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Perché la Media education e perché il MED
Roberto Giannatelli, Professore emerito dell’UPS e Presidente emerito del MED
MED=Media education
MED sta per media education (=ME). Il termine media education l’abbiamo accolto dal movimento
mondiale dei media educator che ha avuto un grande sviluppo nei Paesi anglofoni e dell’America
latina negli ultimi vent’anni.
L’espressione ME ci è sembrata adatta per indicare il nuovo compito della scuola nel secolo dei
media (dal cinema, alla radio, alla televisione e all’Internet) e all’inizio del terzo millennio.
Scuola e media a confronto
L’incontro tra media e scuola non è stato facile. Media e scuola rappresentano infatti due tradizioni
diverse, alle volte contrapposte.
• La scuola ha, secondo una esperienza secolare, una attenzione privilegiata alla tradizione, fa uso
prevalente di testi scritti e di comunicazione faccia a faccia, esalta il ruolo della ragione, si basa
sull’oggettività e sui valori, si costruisce sulla durata, mira alla formazione dell’uomo integrale
e del cittadino.
• I media si rivolgono invece all’attualità, fanno leva sull’emozione e il piacere, si costruiscono
sull’effimero, esaltano la soggettività, sono condizionati da pesanti fattori economici e
ideologici.
Tuttavia, ora più che mai, scuola e media sono chiamati non solo a confrontarsi, ma a collaborare a
vantaggio dell’alunno e della società.
• La scuola dovrà sviluppare nello studente una nuova dimensione, la “quarta competenza” oltre
quelle tradizionali del “leggere, scrivere, far di conto”: la competenza mediale. Essa riguarda
tutti i media moderni (dal cinema all’internet), richiede un vero e proprio apprendimento,
contenuti e metodi propri, non può essere lasciata all’improvvisazione e alla buona volontà
degli insegnanti. Richiede educatori competenti e un curricolo scolastico per gli alunni e una
formazione universitaria per gli insegnanti (cf F.Ceretti, D.Felini, R.Giannatelli, Primi passi
nella media education, Erickson, Trento 2006)
• I media, dal loro canto, dovranno interrogarsi se giovano, a chi giovano, se offrono realmente
un contributo per la costruzione dell’uomo e della società, o se sono al servizio di interessi
particolari, economici e ideologici. Se i media sono risorse per la crescita dell’uomo e della
società, devono essere offerti a tutti. Purtroppo costatiamo l’esistenza di un digital divide e di
nuove povertà: ci sono inforicchi e infopoveri. Se i media sono il nuovo ambiente in cui cresce
il giovane e vive l’adulto, devono porsi il problema ecologico. Sono al servizio della salute o
inquinano l’ambiente? L’etica dei media è oggi un problema centrale per la società. La ME è
uno strumento per formare i giovani alla comprensione e all’etica dei media.
Perché abbiamo scelto un’espressione inglese, la ME?
Il termine inglese Media education, come quella tedesco di Medienerziehung, si presta meglio di
altri usati nelle lingue latine (come: educazione ai media, éducation à l’actualité, educación para
los medios, lectura critica, ecc.) per esprimere, in modo diretto e sintetico, la molteplicità dei
rapporti che si intendono stabilire tra le due realtà dell’educazione e dei media. Media education
indica, infatti, sia l’“educazione con i media”, considerati come strumenti da utilizzare nei processi
educativi generali, sia l’“educazione ai media”, che fa riferimento alla comprensione critica dei
media, intesi non solo come strumenti, ma come linguaggio e cultura. Si può segnalare un terzo
livello: l’ “educazione per i media” finalizzato alla formazione dei professionisti dei media.
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La ME entra nella scuola: a quali condizioni?
La ME può e deve entrare nella scuola rispondendo a tre domande:
• Perché: la ME deve dare le motivazioni del suo ingresso nell’ambito scolastico.
• Che cosa: deve dimostrare che può diventare una disciplina scolastica e non essere solamente
un’attività occasionale e prevalentemente ludica.
• Come: la ME, come ogni disciplina scolastica, deve poter esibire un suo metodo consono con il
progetto scolastico.
• Chi? Quale educatore si farà carico della nuova disciplina: un insegnante di classe oppure uno
specialista che può venire dall’esterno?
Perché: le motivazioni
Ogni media educator dovrà giustificare il suo intervento nell’ambito della programmazione
scolastica. Dovrà convincere i propri colleghi sull’urgenza della media education mostrando la
fondatezza delle motivazioni e la dignità dei suoi obiettivi. Le ragioni fanno riferimento a:
1. la pervasività dei media nella vita dei giovani d’oggi. Il ragazzo italiano vede mediamente tre
ore al giorno la televisione, dedica altro tempo al computer, internet, videogiochi, ecc. per un
totale di 4 ore e 15 minuti (rapporto CENSIS). I canadesi avevano registrato alla fine degli anni
‘80 le ore passate davanti alla televisione dai ragazzi e adolescenti: 15.000 ore alla tv e 11. 000
dedicate alle attività scolastica. Una scuola parallela!
2. L’influsso dei media sui ragazzi. I media sono “un’industria delle coscienze”, plasmano la
mentalità delle nuove generazioni, inducono a comprare ciò che è proposto dalla pubblicità e a
seguire i modelli di vita esplicitamente o implicitamente proposti. C’è un intreccio pernicioso
tra media e pubblicità. “I media comperano audience per venderla ai pubblicitari” (Len
Masterman). E il mezzo facile per comperare audience, è la violenza e il sesso. “La tv ci ha
cambiato la testa!” (L.Scaffa).
3. Media e democrazia. I media sono presenti nei processi democratici nei paesi avanzati come in
quelli del terzo mondo. Al “potere” dei media, la ME vuole contrapporre il “contropotere”
dell’educazione. La formazione del cittadino consapevole, critico e libero, è uno dei suoi
obiettivi. .
Gli obiettivi della ME
1. Alfabetizzazione. I media vanno considerati la nuova lingua, una sorta di koiné che attraversa il
mondo. La ME è l’insegnamento della nuova lingua universale. Don Milani: dare la lingua e la
parola per formare il cittadino (Lettere a una professoressa).
2. Autonomia critica. Come dice Marina D’Amato, dobbiamo togliere il bambino da “dentro” il
televisore per collocarlo “davanti”, perché possa prendere le distanze e assumere un
atteggiamento critico. La ME fornisce gli strumenti per sviluppare il senso critico, ad es. gli
strumenti della semiotica per l’analisi dei testi.
3. Cittadinanza. I media collocano il giovane nell’agorà del vivere sociale e democratico, ma
anche lo condizionano. Compito della ME, è educare all’attualità, ma anche alla cittadinanza.
Che cosa: i contenuti
Se la ME entra nella scuola deve indicare il perché, il che cosa, il come insegnare. Circa il “che
cosa”, diciamo che la ME insegna tutti i media: dal cinema, alla radio e televisione, all’internet.
Poiché il sistema dei media è un sistema coerente, l’alunno dovrà capire i concetti-chiave che sono
comuni a tutti i media. Len Masterman ha proposto un’analisi dei media che si sviluppa attorno a
quattro concetti principali (cf A scuola di media, La Scuola, Brescia 1997):
1. Determinants o condizionamenti. La prima domanda che ci si fa su un prodotto mediale è la
seguente: chi l’ha prodotto? e perché l’ha prodotto? Si tratta dell’analisi delle istituzioni e delle
ragioni della produzione (ad es.: tv commerciale o di servizio pubblico?).
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2. Rethoric o linguaggio mediale. L’alunno deve poter conoscere e dominare la logica del
linguaggio dei media: linguaggio dell’immagine, dei suoni, dell’emozione, della narrazione, del
montaggio, ecc. Siamo di fronte a una nuova lingua e cultura universale.
3. Ideology. I media non sono neutrali, e neppure innocui. Essi trasmettono una filosofia di vita e
sono al servizio di ideologie di tipo commerciale, consumistico, politico e perfino religioso.
4. Audience. Il recettore non è un soggetto passivo; la sua “mappa cognitiva” entra in
negoziazione con i messaggi dei media. Si deve studiare come avviene la ricezione.
Un concetto centrale che rappresenta la chiave interpretativa dei media, è quello della
“rappresentazione”: i media non sono la realtà, ma una sua costruzione. Un primo compito della
ME è quello di “decostruire” i testi dei media.
Come: i metodi della ME
Se la ME vuole entrare nella scuola deve poter giustificare la sua metodologia. Non si tratta di un
insegnamento improvvisato, ma di una attività didattica con obiettivi, contenuti, metodi propri.
L’esperienza di ME di questo decennio, ha mostrato la validità di questi metodi in particolare:
• L’analisi semiotica dei testi (dallo spot pubblicitario alla telenovela televisiva…). Le ragioni e
il metodo di questa analisi sono state illustrate da P.C.Rivoltella, L’audiovisivo e la formazione.
Metodi per l’analisi, Cedam, Padova 1998.
• Metodi di produzione dell’audiovisivo. La ME conduce a “leggere” e “scrivere” con i media.
Si può scrivere il proprio saggio scolastico anche con la macchina fotografica e la telecamera…
I passaggi e la metodologia della produzione di un video sono illustrate da Luciano Di Mele in
un libro di prossima edizione presso le edizioni Erickson: Fare video a scuola.
• Rete, internet, videogiochi. Internet e new media fanno ormai parte della ME. I nostri
riferimenti vanno a A.Calvani, Educazione, comunicazione e nuovi media. Sfide pedagogiche e
cyberspazio, UTET, Torino 2001 e a P.C. Rivoltella (ed.), I rag@zzi del web. I preadolescenti e
Internet: una ricerca, Vita e Pensiero, Milano 2002 (2° edizione); Id., Screen generation, Vita e
Pensiero, Milano 2006.
Chi: la nuova professionalità del media educator
Perché la ME possa entrare nella scuola, è necessario che entri in gioco un educatore competente e
motivato (Cf P.C.Rivoltella, C.Marazzi, Le professioni della media education, Carocci, Roma 2001;
R.Giannatelli e P.C. Rivoltella, a cura di, Media educator. Nuovi scenari dell’educazione, nuove
professionalità, Edizioni Iusob-Ucsi, Roma 2003). Si è proposto che intervenga l’insegnante di
classe con l’aiuto di un esperto esterno, il media educator appunto. Le università italiane stanno
moltiplicando i corsi di laurea magistrale e i master per preparare i media educator di domani.
Concludendo questo punto, vorrei ricordare che l’espressione Media education ha ormai acquisito il
diritto di cittadinanza in Italia, ed è sostenuta da un gruppo di docenti universitari, di professionisti
dei media e di insegnanti che, agli inizi degli anni ’90, hanno dato origine al movimento del MED,
associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione.
La ME è venuta a indicare un’attività educativa e didattica, finalizzata allo sviluppo nei giovani di
una informazione e comprensione critica circa la natura e le categorie dei media, le tecniche da loro
impiegate per costruire i messaggi e produrre senso, i generi e i linguaggi specifici; ed anche una
competenza nel loro impiego nel progetto educativo.
Pier Cesare Rivoltella, che ha dato una struttura teorica al movimento della media education
italiana, ha proposto la seguente definizione di ME: “quel particolare ambito delle scienze
dell’educazione e del lavoro educativo che consiste nel produrre riflessione e strategie operative in
ordine ai media intesi come risorsa integrale per l’intervento formativo” (P.C.Rivoltella, Media
education. Modelli, esperienze, profilo disciplinare, Carocci, Roma 2001, p.37)
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Un’esperienza da raccontare: dalla media education al MED
Vorrei ora raccontare la mia esperienza nella Media education. Siamo nel settembre 1991, cioè agli
inizi delle prime sperimentazioni di ME in alcune scuole di Roma e Milano. Con il primo gruppo di
insegnanti, ai quali si sono uniti docenti universitari e professionisti dei media, abbiamo fondato il
28 febbraio 1996 l’associazione MED-Media education, Associazione italiana per l’educazione ai
media e alla comunicazione, con sede legale a Roma (Via Cavriglia 8). Il notiziario si chiama
InterMED e il sito è: www.medmediaeducation.it
La nostra Summer School di Corvara, che è giunta XVII edizione, è stato il luogo dove il MED è
cresciuto come scuola (nel senso anglosassone di School of…), movimento, comunità. I nostri
media educator sono circa 500 sparsi in tutti Italia e coordinati nelle sedi regionali di Torino,
Milano, Padova, Perugia, Roma, Pescara, Napoli, Bari, Palermo.
Dove e come è iniziato il nostro movimento? All’inizio degli anni ‘90 stavo approfondendo il
quadro teorico della Media education, guidato nei nuovi territori dell’universo mediale da quello
che è stato il mio “maestro”, Len Masterman (di questo media educator abbiamo tradotto il volume:
A scuola di media, La Scuola, Brescia 1997). In quegli stessi anni avevo preso contatto anche con
diversi pionieri della ME all’estero: negli USA con Elisabeth Thomann, in Canada con John
Pungente e Barry Duncan coordinatori del progetto: Media Literacy. Resources Guide (Toronto
1989), in Inghilterra con Cary Bazalgette, allora responsabile del dipartimento education del British
Film Institut di Londra (oltre a Andrew Hart e David Buckingham), in Francia con Geneviève
Jacquinot della Sorbona, Jacques Gonnet e Evelyne Bevort del Clemi, in America latina con Ismar
de Oliveira Soares dell’Università di San Paolo, ecc.
Convinto della proposta che veniva dal mondo anglofono e latinoamericano, e forte delle mie
precedenti esperienze di ricerca-azione nel campo educativo, ho iniziato a proporre e sperimentare
alcuni percorsi di ME presso alcune scuole medie di Roma e di Milano. Siamo, come ho ricordato,
nel settembre 1991.
A me era familiare, per gli anni trascorsi nella Facoltà di scienze dell’educazione dell’Università
salesiana di cui ero stato Preside (e in quel tempo mi trovavo ad avviare come Preside il nuovo
Istituto di scienze della comunicazione sociale presso l’Università Salesiana), il principio
pedagogico: “una teoria per l’educazione non è affidabile fino a quando non viene verificata sul
campo”. Aggiungerei: fino a quando non dà origine a un’autentica innovazione didattica. Per la
messa in opera della sperimentazione, mi ero pertanto servito del modello di ricerca-azione di Kurt
Lewin (USA) riproposto in Italia dai professori Michele Pellerey e Cesare Scurati.
Il modello che ho adottato nel Laboratorio di Media education di Roma e Milano negli anni 19911995 (ed è documentato nel volume Teleduchiamo, curato da me e Pier Cesare Rivoltella presso
l’editrice Elledici, 1994), prevedeva tre fasi di intervento:
• Fase della preparazione: formazione del gruppo degli insegnanti; approfondimento delle
motivazioni, acquisizione delle competenze di base; promozione di attività interdisciplinari e
affiatamento del gruppo. Infine studio del disegno di ricerca (contenuti da sperimentare,
obiettivi delle unità didattiche, scelta delle attività degli alunni, definizione dei criteri per la
valutazione).
• Fase della ricerca: assegnazione di compiti differenziati agli insegnanti che partecipano alla
ricerca (analisi semiotica dei testi al docente di lettere, aspetti tecnici all’insegnante di
educazione tecnica, ecc.) e organizzazione della raccolta della documentazione (nel quaderno di
classe e raccolta delle produzioni audiovisive e giornalistiche).
• Fase dell’azione: sono stati coinvolti i genitori e i consigli di classe e di istituto, si è partecipato
a concorsi indetti localmente per le produzioni degli alunni, si sono interessate le autorità locali
e la stampa, si è promossa la “festa finale”, il Communications day, per la presentazione dei
lavori degli alunni al termine dell’anno scolastico.
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L’esperienza di quegli anni, è stata particolarmente felice. Ciò era dovuto alla collaborazione
cordiale dei Professori di comunicazione sociale dell’Università Salesiana di Roma e
dell’Università Cattolica di Milano (collaborazione necessaria per dare fondamento scientifico al
progetto) e dei professionisti dei media (registi, giornalisti, fotografi, produttori della RAI) che
avevano un ruolo altrettanto importante: essi svelavano agli insegnanti i “segreti” della pratica
professionale, davano sicurezza e qualità nelle produzioni. Gli insegnanti, che avevano aderito alla
nostra proposta, erano pure qualificati, soprattutto entusiasti, affiatati e convinti.
Vorrei riportare la testimonianza di una insegnante della prima ora, ora coordinatrice del MEDLombardia: “Il dato fondamentale è il grande entusiasmo con cui siamo partiti, un entusiasmo però
bilanciato dalle poche risorse che avevamo in mano e dalla consapevolezza delle difficoltà che
avremmo incontrato. Procedendo nel lavoro ci siamo resi conto che i programmi scolastici non
venivano ridotti a causa del tempo dedicato alla Media education, ma risultavano arricchiti nei
contenuti, anche per la partecipazione entusiasta dei ragazzi. Le unità didattiche sono state svolte in
un clima disteso ed estremamente diversificato nelle attività, che hanno permesso di sviluppare
attività manuali e capacità organizzative in aula e nei vari laboratori di cui la scuola dispone.
Premesso che siamo consapevoli che quanto operato darà i suoi frutti tangibili quando i ragazzi,
raggiunto un livello più avanzato di maturazione, si orienteranno a fare le loro scelte di vita,
possiamo però fin da questo momento esprimere un giudizio positivo sulle dinamiche innestate,
che si esprimono nello sviluppo della capacità di indagine e interpretazione autonoma della realtà
che li circonda, in una maggiore capacità di cogliere le strategie e le tecniche usate dai media, e
infine nella presa di coscienza di una sinergia culturale presente nell’operare degli insegnanti. Alla
luce di questo, il nostro esperimento ci pare pienamente riuscito e meritevole di essere portato
avanti per il futuro (Angela Castelli, in R.Giannatelli-P.C.Rivoltella 1994, p.328-329).
Il percorso didattico per la scuola media che era maturato nel nostro Laboratorio di ME era così
articolato:
• Nel primo anno avevamo proposto i seguenti temi (fornendo informazioni, stimoli e materiali
utili per l’insegnamento): l’homo communicator: come “funziona” la comunicazione umana; la
comunicazione attraverso l’immagine (fissa); teoria e tecnica della fotografia; semiotica
dell’immagine; costruzione di un racconto fotografico con colonna sonora;
• Nel secondo anno venivano affrontati alcuni aspetti della comunicazione di massa: il caso della
televisione: storia, linguaggio e generi; analisi del racconto televisivo (narratologia), della
fiction e dello spot pubblicitario; esercitazioni con la telecamera e l’unità di montaggio;
produzione di un video scolastico.
• Nel terzo anno il tema centrale era quello dell’informazione: come vengono raccolte e scritte le
“notizie”; come è organizzato un giornale; analisi del contenuto su articoli di giornale;
simulazione del lavoro della redazione di un giornale; produzione di un giornale scolastico.
Nella progettazione delle “unità didattiche” sono intervenuti, in particolare, gli insegnanti di
lettere, educazione artistica, educazione tecnica, lingua straniera. Quando si è reso possibile, è stato
invitato in classe un professionista dei media, si sono organizzate visite guidate alle redazioni dei
giornali, radio e televisioni locali, ad agenzie pubblicitarie. I genitori sono stati informati del
progetto di ME in atto; alle volte si sono organizzate per loro conferenze e dibattiti sugli stessi temi
affrontati a scuola con i loro figli. In qualche caso i genitori hanno voluto sostenere
economicamente la nostra iniziativa. Nel delicato lavoro di programmazione e coordinamento, la
presenza del dirigente scolastico è stata determinante per assicurare il successo all’iniziativa.
La valutazione sommativa e in itinere del progetto, è stata assicurata da alcuni momenti di verifica,
come il monitoraggio delle attività svolte nella classe (documentate nel “quaderno di classe”); la
discussione in gruppo, l’esame delle produzioni realizzate dagli alunni. Il Communications day
celebrato alla fine dell’anno scolastico, costituiva non solo un momento di festa per le scuole, ma
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anche l’occasione per presentare i propri lavori e ottenere una valutazione da parte degli esperti
invitati alla manifestazione. I corsi di settembre tenuti a Roma (si trattava di una settimana in cui si
portava avanti un programma di formazione degli insegnanti e, nello stesso tempo, si avviava la
progettazione delle unità didattiche da realizzare durante l’anno scolastico) e la Summer School di
Corvara hanno costituito i momenti forti di aggregazione e di approfondimento del progetto.
A conclusione di questa esperienza di media education, mi sembra di poter affermare che un fattore
centrale della riuscita è stata la possibilità di attuare un “va’ e vieni” tra università e scuola, tra
studiosi e professionisti della comunicazione (e della pedagogia) e insegnanti. Fin dagli inizi avevo
tenuta presente la raccomandazione del pedagogista inglese, L. Stenhouse: “lo sviluppo del
curricolo deve corrispondere a quello dell’insegnante”; e ancora: “ogni classe diventi un
laboratorio, e ogni insegnante un membro della comunità scientifica”. L’esperienza della ME ha
determinato negli insegnanti motivazione, competenza, professionalità, passione educativa.
Per approfondire la nostra proposta di media education, rimandiamo alla seguente bibliografia:
D. Buckingham, Media education. Alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea,
Edizioni Erickson, Trento 2006
Ceretti F., D.Felini, R.Giannatelli, a cura di, Primi passi nella media education, Erickson, Trento
2006
Felini Damiano, Pedagogia dei media. Questioni, percorsi e sviluppi, La Scuola, Brescia 2004
Felini Damiano e Beate Weyland, Media education tra organizzazione e fantasia, Erickson, Trento
2007
Giannatelli Roberto – Pier Cesare Rivoltella, Teleduchiamo. Linee per un uso didattico della
televisione. Elledici, Leumann (To) 1994; Media educator. Nuovi scenari dell’educazione, nuove
professionalità, Edizioni Iusob-Ucsi, Napoli-Roma 2003
Gonnet Jacques, Educazione, formazione e media, Armando, Roma 2001
Jacquinot Geneviève – Gérard Leblanc (edd.), Appunti per una lettura del cinema e della
televisione, Editoriale scientifica, Napoli 1999; Id., Scienze dell’educazione e scienze
dell’informazione e della comunicazione in dialogo, in “InterMed” marzo 2000
Masterman Len, A scuola di media. Educazione, media e democrazia nell’Europa degli anni ’90,
Editrice La Scuola, Brescia 1997
Morcellini Mario, La Tv fa bene ai bambini, Meltemi, Roma 1999; La scuola della modernità. Per
un manifesto della media education, FrancoAngeli, Milano 2004; con Ida Cortoni, Provaci ancora,
scuola, Erickson, Trento 2007
Rivoltella Pier Cesare, L’audiovisivo e la formazione. Metodi per l’analisi. Cedam, Padova 1998;
Id., La scuola in rete. Problemi ed esperienze di cooperazione on line, GS Editrice, Santhia 1999;
Id., La media education. Modelli, esperienze, profilo disciplinare, Carocci, Roma 2001; Id. e Chiara
Marazzi, Le professioni della media education, Carocci, Roma 2001; Media education. Fondamenti
didattici e prospettive di ricerca, La Scuola, Brescia 2005; Screen education, Vita e Pensiero,
Milano 2007
Tricarico Maria Franca, Insegnare i media. Didattica della comunicazione nei programmi
scolastici, GS Editrice, Santhia 1999
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