CARL GUSTAV JUNG E L`INCONSCIO COLLETTIVO

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CARL GUSTAV JUNG E L`INCONSCIO COLLETTIVO
CARL GUSTAV JUNG E L'INCONSCIO COLLETTIVO
Adler e la psicologia individuale
Il movimento psicoanalitico avviato da Freud ha conosciuto, sin dall'inizio, uno sviluppo
notevole e ha suscitato contributi e linee di ricerca diversi, per lo più rispondenti
all'impostazione freudiana, ma anche critici. A rompere con Freud è anzitutto Alfred
Adler (1870-1937), fondatore della Società di psicologia individuale. Egli rifiuta
l'identificazione dell'energia psichica fondamentale con la pulsione sessuale, ritenendo
invece che essa consista in una pulsione aggressiva: per lui, la nevrosi è la risposta ipercompensativa degli individui a delle deficienze fisiche, o comunque a un senso di
inadeguatezza, che generano un complesso d'inferiorità. Tali individui si relazionano agli
altri in modo aggressivo, esprimendo in tal modo un atteggiamento non superato di
onnipotenza infantile. Il nevrotico, strumentalizzando il suo deficit, vuole sottomettere gli
altri. Nella nevrosi prevale e si esaspera l'aspetto individualistico a danno di quello sociale
e collettivo. Adler, di idee socialiste, pensa infatti che la natura dell'uomo sia quella di un
essere sociale che coltiva un profondo senso della comunità.
La terapia della nevrosi deve essere il risultato di una collaborazione tra paziente e analista
e avvenire su un piano di parità. Si ha guarigione quando il paziente è in grado di vivere
nel contesto sociale le proprie esigenze personali, realizzando l'equilibrio tra individuo e
comunità. Questo risultato porta al compimento di quel principio attivo, dinamico e
unificante che Adler chiama il Sé creativo, ritenendolo presente in ogni individuo.
La psicologia analitica
Anche Carl Gustav Jung (1875-1961), dapprima allievo di Freud, prende poi nettamente
le distanze dal maestro e ne critica le tesi principali, costituendo una posizione teorica e
una pratica terapeutica che definisce psicologia analitica.
La contrapposizione di Jung a Freud è netta su quasi tutti i punti decisivi.
Innanzitutto, Jung imputa a Freud l'unilateralità della sua psicoanalisi, che dà troppo
spazio agli "istinti naturali" e non riesce a indicare una strada che consenta di liberarsi dal
loro condizionamento, non riconoscendo il ruolo dello "spirito", della vitate esigenza di
liberazione dagli istinti, che pure appartiene all'uomo.
Significativo, in tal senso, è per Jung l'atteggiamento negativo di Freud nei confronti del
fenomeno religioso, che egli invece considera importante nella vita dell'uomo, come forma
di "riscoperta della vita dello spirito".
I motivi di dissenso toccano comunque i fondamenti stessi della psicoanalisi, cioè il modo
di intendere l'inconscio e, più in generale, la struttura della psiche.
Mentre l'inconscio freudiano opera attraverso i contenuti rimossi nel corso dell'esperienza
dell'individuo, quello junghiano porta in sé i segni delle esperienze accumulate
dall'umanità nel suo sviluppo, fin dalle più lontane origini, ed è espressione di uno
sviluppo aperto teleologicamente al futuro.
Quanto alla sessualità, Jung non intende negarne l'incidenza nella vita psichica, ma ritiene
che Freud le abbia attribuito un'importanza eccessiva. Secondo Jung, l'energia psichica (la
libido) non ha solo connotazioni sessuali, ma racchiude in sé una pluralità di impulsi e di
forze.
Anche il metodo freudiano delle libere associazioni per l'interpretazione dei sogni, appare
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a Jung inadeguato, poiché impedisce di cogliere l'autentico significato del sogno, la sua
forma e i suoi contenuti.
Circa il freudiano "disagio della civiltà", anche Jung è convinto che gli indubbi vantaggi
conseguiti con il processo di civilizzazione abbiano comportato delle perdite gravissime,
derivanti soprattutto dalla separazione tra il mondo della coscienza e gli strati più profondi
della psiche. Il nostro intelletto ha creato un mondo che domina la natura, popolandolo di
macchine mostruose, ma solitamente utili. Alcune di queste "macchine" sono, però,
pericolose, perché possono condurre a un suicidio universale, scriverà Jung negli ultimi
anni, guardando ai rischi di conflitto nucleare.
A differenza di Freud, che identifica la civiltà con il "disagio" (se non con una vera e
propria condizione di infelicità) dell'individuo, Jung ritiene possibile raggiungere una
condizione di equilibrio fra inconscio e coscienza, uno stato di stabilità mentale e salute
fisiologica, indispensabili per l'uomo contemporaneo.
La struttura della psiche
Secondo Jung, la coscienza e l'inconscio sono due sfere che si contrastano, ma che, nello
stesso tempo, si integrano a vicenda. Ancor più di Freud, egli sottolinea come la coscienza
costituisca solo una limitata porzione della psiche, una piccola isola nel mare
dell'inconscio: "noi passiamo una gran parte della nostra vita nell'inconscio", afferma,
"nelle principali situazioni della vita] la coscienza dipende dall'inconscio".
Fondamentale, inoltre, è l'idea che la coscienza sia un prodotto recente, sviluppatosi al
termine di un lunghissimo processo durato migliaia di anni, muovendo dal fondo oscuro
dell'inconscio. Jung ritiene che : l'evoluzione della coscienza sia ben lungi dall'essere
compiuta e che ancora vaste zone della mente umana siano avvolte nel-I l'oscurità.
La psiche si struttura in tre dimensioni, o livelli, che interagiscono tra loro: l'Io, l'inconscio
personale e l'inconscio collettivo.
L'Io, la coscienza, fornisce all'individuo il senso dell'identità personale, della continuità
dell'esistere, e funge da "selettore" dell'immensa quantità di dati che l'esperienza riversa in
continuazione sulla mente.
L'inconscio personale è il deposito - necessariamente vastissimo - dei contenuti rimossi o
ignorati dalla coscienza, o perché hanno perso attualità e interesse, o perché spiacevoli e
incompatibili con essa. La massa di tali contenuti (immagini, sentimenti, pensieri, ecc.)
può costituirsi in una sorta di "costellazione autonoma" (o complesso), capace di influire
sui comportamenti dell'individuo, fino a determinare, nei casi estremi, delle forme
patologiche di dissociazione della personalità, o schizofrenie.
L'inconscio collettivo è sicuramente il dato di maggiore novità della teoria junghiana: "è
la poderosa massa ereditaria spirituale dello sviluppo umano, che rinasce in ogni struttura
cerebrale individuale", deposito ancestrale del genere umano. Nell'individuo, infatti, oltre
ai contenuti consci della sua esperienza personale che sprofondano nell'inconscio, ve ne
sono altri che non hanno la loro fonte in lui: taluni sogni forniscono infatti immagini e
contenuti che non possono essere spiegati con i ricordi, ma debbono essere considerati
materiali di un inconscio collettivo, costituiti dalle esperienze fondamentali dell'umanità
vissute fin dai primordi.
Così, scendendo in profondità, troviamo dapprima, nell'inconscio personale, una sfera che
ci appartiene, quella delle pulsioni originarie, delle emozioni e degli affetti rimossi; ma, in
uno strato più profondo, oscuro e inaccessibile alla coscienza, troviamo dei contenuti a noi
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estranei e incomprensibili: sono i contenuti sia delle nevrosi, sia delle visioni e delle
allucinazioni tipiche di coloro che creano, come gli artisti.
Scendendo ancora, attraverso diversi livelli, andando anche oltre lo strato che proviene
dagli antenati primordiali - umani e animali - si arriva fino a una forza centrale, descritta
come un'insondabile e misteriosa forza, la matrice dell'inconscio e della psiche
individuale, la cui raffigurazione ha esposto Jung a critiche di misticismo.
Fondamentale, per Jung, è giungere al recupero consapevole di quell'inconscio collettivo,
proprio perché l'uomo moderno ha smarrito il rapporto con le sue radici. Ed è attraverso i
sogni che è possibile ristabilire un rapporto tra il mondo dei nostri pensieri coscienti e
queste espressioni più primitive. Il linguaggio simbolico dei sogni ha tanta forza da
restituirci quell'energia emotiva di cui abbiamo privato molte nostre idee, così da ridarci
quel "respiro della natura" che la società civilizzata ha smarrito.
I tipi psicologici
Un importante aspetto della teoria junghiana è costituito dalla distinzione - operata in Tipi
psicologici, del 1921 - fra estroversione e introversione. Si tratta di due atteggiamenti
possibili insiti nell'individuo, due modi di reagire a ciò che si presenta al di fuori o
all'interno.
L'estroverso ha un rapporto positivo con l'oggetto, con il mondo esterno; il suo
comportamento si conforma alle regole collettive, segue lo "spirito del tempo".
L'introverso, invece, ha difficoltà ad adattarsi al mondo esterno perché segue
prevalentemente il suo mondo soggettivo e non sa reagire rapidamente alle situazioni.
Introversione ed estroversione sono reciprocamente compensatone: se il conscio è
estroverso, l'inconscio è introverso e viceversa. Nella seconda metà della vita si acuisce il
contrasto tra i due atteggiamenti e si ha quasi un rovesciamento di posizioni: per esempio,
chi aveva sviluppato l'atteggiamento estroverso assumerà quello opposto e viceversa. In
questa seconda parte della vita la funzione trascurata e l'atteggiamento opposto si fanno
sentire.
Introversione ed estroversione si intrecciano e si combinano variamente con quattro
fondamentali funzioni psicologiche: il pensiero, il sentimento, l'intuizione e la sensazione.
Pensiero e sentimento sono considerati razionali perché operano mediante valutazioni e
giudizi ("vero-falso", "piacere-dolore"); intuizione e sensazione sono, invece, ritenute
irrazionali perché, in quanto percezioni, dipendono da stimoli esterni alla coscienza, che,
nel caso dell'intuizione, risultano ignoti.
In ogni uomo prevale una sola di queste funzioni, quella che si sviluppa maggiormente. Da
ciò deriva una varietà di tipi psicologici possibili, dipendente dalla combinazione di uno
dei due atteggiamenti che appare prevalente - l'estroversione o l'introversione - con una
delle quattro funzioni che risulta dominante: intellettuale estroverso, sentimentale
estroverso, intellettuale introverso, ecc.
Gli archetipi
Nei sogni, le fantasie e le visioni provenienti dall'inconscio collettivo attingono agli strati
più profondi, dove si trovano gli archetipi. "Essi rappresentano o personificano certe
condizioni istintive dell'oscura psiche primitiva, della radice vera e propria, ma invisibile,
della coscienza".
Gli archetipi sono i centri e i campi di forza dell'inconscio, fonte di un suo ordine, per noi
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invisibile e inaccessibile. Nel linguaggio figurato, proprio dell'inconscio, essi appaiono in
forma personificata o simbolica, sono sempre delle metafore.
Jung paragona gli archetipi alle Idee platoniche. Ma mentre l'Idea platonica aveva in sé un
carattere di perfezione, l'archetipo ha, in sé, sia una parte chiara che una parte oscura.
Gli archetipi sono sottratti al divenire e al mutamento propri della psiche individuale. Nel
loro assieme rappresentano la somma di tutte le possibilità latenti della psiche umana.
Sono potenze psichiche vitali che rappresentano forze protettrici e salutari contro cui,
però, è pericoloso andare: si correrebbero quei "pericoli dell'anima" noti a chi studia la
psicologia dei primitivi e che nella nostra società si manifestano come disturbi nevrotici e
psicotici.
Negli archetipi si trova il patrimonio prezioso di simboli profondi e gravidi di energia, da
cui tutte le religioni hanno attinto la loro forza magica. Ma nel mondo occidentale
tecnicizzato e dominato dal razionalismo è venuta meno la loro forza, lasciando gli uomini
privi di aiuto e di punti di riferimento. Per toglierli da questa situazione di abbandono e di
disorientamento e reimmetterli nel gran fiume della vita, occorre aiutarli a recuperare un
rapporto con il mondo archetipico: questo è uno degli scopi fondamentali dell'opera di
Jung.
Il numero degli archetipi è limitato. Tra gli archetipi più importanti vi è l'immagine
primordiale della Grande Madre, simbolo della potenza fertilizzante della terra. Mentre
quello materno simboleggia la materia, l'archetipo paterno, il padre di tutte le cose, è
simbolo dello spirito.
Tra gli archetipi ve ne sono poi tre a cui Jung ha dedicato un'attenzione particolare.
Il primo è l'Ombra, quella parte inconscia che racchiude gli aspetti oscuri di ogni
personalità, gli aspetti meno positivi, i valori inferiori. Sono aspetti che, per motivi diversi,
non si vorrebbero conoscere e di cui si nega la presenza in noi stessi, che si tratti
dell'amore eccessivo per il denaro o della viltà: perciò prendere coscienza dell'Ombra
richiede un notevole sforzo morale, che, d'altra parte, è la base per la conoscenza di sé.
Il secondo è l'Anima, che non ha nulla a che vedere con il tradizionale concetto filosofico
o religioso, ma è l'elemento femminile presente nell'uomo. Nell'uomo, in ogni uomo, vi è
dunque, secondo Jung, "un'immagine ereditaria collettiva della donna, col cui aiuto egli
comprende l'essenza della donna".
La prima portatrice dell'immagine dell'Anima è la madre e perciò il carattere dell'Anima di
ciascuno sarà influenzato dal rapporto con la propria madre: se il rapporto è negativo, ne
deriveranno atteggiamenti di irritazione, insicurezza, emotività; se è positivo, un carattere
effeminato e una certa difficoltà ad affrontare la vita.
L'Anima, però, ha anche elementi positivi, non solo negativi, poiché aiuta l'uomo a trovare
e riconoscere gli aspetti inconsci. È la fonte dell'Eros, cioè della capacità di relazione e di
connessione che consente all'uomo di trovare la donna che fa per lui.
Il terzo è l'Animus, cioè l'elemento maschile presente nella donna. Come l'Anima dipende
dall'influenza della figura materna, l'Animus dipende da quella paterna. All'Eros presente
nell'Anima corrisponde, nella donna, il Lògos paterno, che è la fonte delle convinzioni
"vere" e indiscutibili.
L'Animus dà alla donna un tratto di fredda ostinazione e, come tratti positivi, la riflessività,
la ponderatezza, il coraggio e lo spirito d'iniziativa.
In questa analisi junghiana di Anima e Animus si insinua qualche elemento stereotipo:
nell'uomo è meno sviluppata la funzione di relazione di cui è emblema Eros, mentre il
Lògos nella donna "rappresenta un incidente deplorevole". L'Anima spiega le reazioni
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femminili e irrazionali degli uomini, l'Animus la propensione all'argomentazione mostrata
dalle donne che intendono prevalere nelle discussioni.
Il "Sé" e il processo di individuazione
Tra i concetti nati dalla riflessione e dall'indagine sul mondo dell'inconscio, quello del Sé
occupa una posizione di assoluto rilievo.
Che cos'è il Sé? È la totalità della vita della psiche, a differenza dell'ego (l'Io cosciente),
che ne costituisce solo una parte. Se ne può dare una definizione, ma fondamentale, per
poterne parlare, è farne esperienza. Intuizioni del Sé in epoche antecedenti della civiltà e
della cultura sono, ad esempio, il daimon di cui parlavano i Greci (ricordiamo quello di
Socrate, che, secondo il filosofo, gli diceva che cosa non doveva fare) o il genius dei
Romani.
Il Sé svolge nella vita psichica di ogni uomo una funzione molto importante. Lo si può
definire un principio di direzione e di regolazione dello sviluppo psichico. È un centro
interiore di guida della vita psichica, distinto dalla personalità conscia. Ne consegue che
per Jung lo sviluppo psichico non è prodotto dalla volontà e dall'intenzione consapevole
dell'individuo, ma è involontario e naturale.
Per riconoscere il Sé bisogna collocarsi nella sfera dei sogni e della loro interpretazione. Si
vedrà così che la nostra attività onirica segue un suo percorso complesso, non lineare, che
tende verso una direzione: il Sé è, appunto, il centro creatore e organizzatore di questa
attività. Il lento, talvolta impercettibile percorso di sviluppo della vita psichica che deriva
da quell'attività è il processo di individuazione. Lo scopo di questo processo è la
realizzazione dell'unicità individuale dell'uomo, di ogni uomo. Compito di ciascuno di noi,
afferma Jung, è "diventare se stessi, attuare il proprio Sé", lasciarsi "invadere"
dall'inconscio non per smarrirsi e annullarsi in esso, ma anzi, per estendere, attraverso
esso, gli spazi di realtà che ad ogni individuo paiono disponibili. All'ego non si attribuisce
comunque una funzione marginale, perché all'Io integrale concorrono sia l'Io cosciente sia
la parte inconscia. Se vi è separazione tra il Sé e l'ego, se l'ego non stabilisce o ristabilisce
un rapporto con il Sé, ne va della salute psichica di ogni uomo.
Quello dell'individuazione è un cammino molto difficile, ma non impossibile; è un
percorso che va intrapreso perché, anche se non portato completamente a termine,
consentirà comunque a ciascuno di percorrere un tratto di strada, cioè di compiere una più
o meno ampia scoperta, conquista e realizzazione di se stesso.
Inconscio collettivo e archetipi
Jung afferma che nell'inconscio, oltre a uno strato (denominato inconscio personale) i cui:
contenuti constano di materiali riconducibili al passato personale di ciascuno, vi sono
anche immagini in cui non vi è nulla di personale e che appartengono a uno strato più
profondo, che è innato. Jung lo chiama inconscio collettivo, perché i suoi contenuti sono
gli stessi ovunque. È composto e strutturato da immagini primordiali collettive, dette
archetipi, o anche categorie ereditarie, cioè immagini comuni presenti fin dai tempi remoti
e che sono dotate di contenuto affettivo. Jung trova il termine "archetipo" già in Filone
(con riferimento all'immagine di Dio nell'uomo) e ne riconosce in Agostino il concetto ("le
idee principali [...] contenute nell'intelligenza divina") come parafrasi dell'Idea platonica, e
vede nelle "rappresentazioni collettive" tipiche della mentalità primitiva, nelle figure
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simboliche delle primitive visioni del mondo, qualcosa di molto vicino a ciò che intende
per archetipo.
Archetipi si manifestano e sono rappresentati nelle favole e nei miti, il cui senso è quello
di essere manifestazioni psichiche che rivelano l'essenza dell'anima. Nel sogno queste
antiche immagini riemergono e si fa presente l'inconscio collettivo.
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