Osservazioni sulla natura del simbolo

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Osservazioni sulla natura del simbolo
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Osservazioni sulla natura del simbolo
di Anna Pensante
I miti, le religioni, i riti, sono stati i principali “contenitori’’ dei simboli e degli archetipi, e
sono stati studiati in profondità, soprattutto nel corso del ‘900, da autori quali Jung,
Kerény, Corbin, Eliade, Campbell, solo per citarne alcuni, a cui avevano aperto la
strada le intuizioni di Nietzsche e di Freud. Ma oltre allo studio dei motivi simbolici in se
stessi, delle loro origini e del loro significato, è importante considerare anche quali
funzioni svolgono, come parlano all’essere umano e perché, pur avendo origini
antichissime, il loro linguaggio è comprensibile oggi come secoli fa grazie alla loro
struttura intrinseca, in cui gli studiosi hanno evidenziato alcune caratteristiche
fondamentali e ricorrenti.
Utilizzare immagini e metafore per comunicare informazioni alla profondità dell’essere
è, più che una scelta di metodo, un’esigenza insita nella natura umana, che essendo
composita e molteplice ha bisogno di appoggiarsi ai fenomeni sensibili per poter
passare a quelli sovrasensibili. In epoca recente, alcune correnti di psicoterapia hanno
elaborato dei sistemi terapeutici basati anche sull’uso delle immagini, come il sogno
guidato, il training autogeno, la bioenergetica, l’ipnosi, proponendo in ambito
terapeutico quello che fin da tempi molto antichi è il codice più immediato e più efficace
per mettere l’uomo in contatto con le realtà profonde. L’impatto del simbolismo è più
forte perché è sintetico, perciò è intuitivo, a differenza del linguaggio verbale, che è
analitico e pone inevitabilmente dei limiti alla comprensione, cioè è più adeguato alla
parte logica e discorsiva della mente. Il simbolo invece è dotato di una logica sua
propria, la logica simbolica, che per molto tempo è stata contrapposta, come
patrimonio di altre culture (per esempio orientali o africane), alla logica razionale tipica
del mondo occidentale. Solo in tempi recenti si è capito che i due aspetti della logica,
quello cartesiano e quello simbolico, non sono necessariamente in lotta fra loro, ma
possono integrarsi e arricchirsi in modo positivo.
Il simbolismo inoltre è una delle principali modalità di espressione e di interpretazione
della MTC, che nella rappresentazione del macrocosmo-microcosmo e delle leggi a cui
sono sottoposti utilizza metafore che non solo suggeriscono modi specifici di
funzionamento del mondo e dell’uomo, ma nello stesso tempo li collocano in un ordine
generale che comprende tutto. Non è questa la sede per esaminare nei dettagli questo
concetto fondamentale, per il quale rimandiamo ai principali testi di MTC e agli articoli
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citati in bibliografia, ma si può ricordare, per esempio, che gli organi (polmoni, cuore,
fegato, reni) sono assimilati, e non solo in base a una somiglianza formale, ad
altrettanti organismi vegetali (albero, loto, fiore, fagiolo) che ne rappresentano le
funzioni. I nomi cinesi degli agopunti sono espressioni simboliche che ne evocano la
posizione topografica, oppure la funzione energetica (per una trattazione precisa ed
esauriente dei nomi, cfr. l’articolo di L. De Franco, nella bibliografia). Gli organi e
visceri, poi, sono identificati anche con le cariche ministeriali dei funzionari del Celeste
Impero.
È noto che l’uso delle metafore e dei simboli è strettamente connesso al pensiero
medico cinese, e si può dire che fa parte dei suoi strumenti d’azione, guidandoci nella
comprensione di un modello energetico straordinariamente complesso e coerente. In
esso il corpo umano, la materia, sono il supporto e la manifestazione di processi
energetici sottili e invisibili, eppure conoscibili; i simboli sono una delle chiavi di
accesso.I molteplici nomi degli agopunti assumono un significato simbolico e ci
guidano nella comprensione della loro funzione energetica. Come già esposto nel ns
blog è quindi possibile utilizzare direttamente questi nomi per attivare l’energia degli
individui (“Comunicazione Ipnotica e Medicina Tradizionale Cinese”). In effetti, una
funzione essenziale dei simboli è la loro capacità di mettere in rapporto la coscienza
con il subconscio, guidandola verso questa parte non illuminata, non conosciuta,
dell’essere, e rendendola accessibile. Questo è possibile perché il simbolismo è una
totalità, che determina sia l’attività del subconscio, sia quella dello spirito; il simbolo si
estende sia verso il basso (inconscio), sia verso l’alto (superconscio o spirito) e il
termine mediano tra i due è la coscienza. Inoltre il simbolo è conforme alla natura degli
esseri e delle cose, e alle leggi che li governano, quindi è tutt’altro che un artificio o una
convenzione, e non ha un carattere arbitrario, ma esiste un legame intrinseco e
necessario tra segno e significato. Il simbolo infatti è coerente e soprattutto contiene e
rivela i suoi significati in modo simultaneo; nel simbolo sono concentrate molteplici
valenze, che per essere capite richiederebbero una serie di manifestazioni singole,
successive e parziali. Si può dire che il simbolo suggerisca l’unità intrinseca di
determinate aree della realtà: ha una funzione unificatrice, che annulla la
frammentarietà dell’individuo e dell’oggetto, integrandoli in un sistema e in un Tutto.
Per mezzo del pensiero simbolico, l’uomo può muoversi e circolare in tutti i livelli del
reale, perché grazie a esso vengono unificati piani apparentemente inconciliabili fra
loro.
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Un’altra caratteristica funzionale del simbolo è che si tratta dell’espressione di una
totalità, perciò è al di là delle categorie di razionale e irrazionale, ma le riassume in sé,
perché è costituito da dati presi a prestito da tutte le funzioni psichiche; entrando in
contatto con il simbolo, tutto lo psichismo ne viene investito e stimolato in maniera
potente. È un processo che si attiva quando l’individuo cessa di percepire la realtà
interna ed esterna a se stesso come “oggetto’’ e la vive invece come immagine:
l’oggetto infatti è fisso e rigido, mentre l’immagine è dinamica e vitale e comunica alla
psiche il proprio dinamismo, risvegliando la coscienza.
Tra le immagini simboliche, una particolare categoria di forme primordiali costituiscono
gli archetipi, che possono essere considerati come strutture fondamentali in grado di
organizzare le immagini intorno a sé; si potrebbero anche definire come i modelli del
funzionamento psichico profondo che permettono di disporre in “costellazioni’’ le
molteplicità di eventi che appartengono alla vita umana individuale e collettiva: i
comportamenti pratici, le immagini mitiche, gli stili di coscienza e le personalità, oppure
le patologie; basterebbe nominare solo alcuni archetipi tra i più immediati (la madre,
l’eroe, il vecchio saggio, oppure l’albero o il labirinto nell’ambito delle forme) per
evocare istantaneamente tutti questi livelli di espressione. Per mezzo degli archetipi si
possono collegare fra loro e spiegare i contenuti e le manifestazioni della personalità
del singolo, ma anche della collettività, perché archetipo significa qualcosa che
appartiene fondamentalmente all’uomo ed è condiviso dalla psiche di tutti. Come è
noto, si deve a Jung l’intuizione dell’aspetto collettivo degli archetipi, che
rappresentano le pulsioni più forti e più orientate dell’inconscio, l’impronta basilare
dell’umanità. È importante sottolineare che il loro potere rappresenta anche un
pericolo: l’immagine che il simbolo propone può essere benefica o malefica per la
psiche, e mettere in libertà i simboli espone anche al rischio di venirne sopraffatti e
divorati, perché la loro natura è quella di abbagliare la coscienza, possederla. Alcuni
autori, in particolare M. Eliade e R. Guénon, interpretano questo movimento in senso
inverso, poiché sarebbe il subconscio a imitare e copiare gli archetipi, talvolta anche in
modo limitato e meccanico; nella loro visione è la vita che imita lo spirito: “come in alto,
così in basso’’, ma in questo ambito l’essenziale non è tanto determinare se la natura
degli archetipi e dei simboli sia trascendente oppure un prodotto dell’inconscio umano,
poiché si tratterebbe di un discorso troppo vasto, ma solo riassumere alcune
considerazioni sulla loro azione.
La difficoltà di un discorso “scientifico’’ sugli archetipi deriva dalla loro natura
essenzialmente metaforica; possiamo conoscerli indirettamente, miticamente, non con
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la logica, e infatti Jung li definisce “inconoscibili in se stessi’’. Questa aporia è chiarita
efficacemente da J. Hillman in un passaggio che forse vale la pena di riportare perché
espone in breve tutte le definizioni applicabili a tali fenomeni: “... (1) sono pieni di
opposizioni interne, di poli positivi e insieme negativi; (2) sono inconoscibili e insieme
sono noti attraverso le immagini; (3) sono istinto e insieme spirito; (4) sono congeniti, e
tuttavia non ereditati; (5) sono strutture puramente formali e insieme contenuti; (6) sono
psichici e insieme extrapsichici (psicoidi). Questi accoppiamenti e molti altri simili a essi
(...) non debbono essere risolti filosoficamente o empiricamente, e neppure
semanticamente. Essi appartengono all’eterna auto-contraddizione e duplicità delle
metafore del mito (...)’’ [Hillman, 1983, pag. 270]. Sembrerebbe così che parlare in
termini logico-razionali del simbolo e dell’archetipo sia per forza di cose un atto limitato
e incompleto. Senza la sua ambiguità interna, la tensione tra le valenze benefiche e
quelle terribili, il simbolo non è più tale, perde il suo potere sulla coscienza e rimane
semplicemente un’immagine, una convenzione inerte e in un certo senso innocua.
Molte discipline recenti cercano di integrare lo studio dei simboli in un sistema più
ampio: etnologia, linguistica, antropologia, psicoanalisi... sono estremamente vaste le
possibilità di approfondimento in questo campo. Forse però non bisogna dimenticare
che i simboli sono qualcosa di vivo; come avviene per i templi indiani (tra le massime
espressioni e concentrazioni di simbolismi che l’essere umano può incontrare), per
conoscere bisogna prima vedere e capire (darshana), ma poi bisogna avvicinarsi e
penetrare all’interno (abhigamana), fino alla cavità che rappresenta il cuore della
divinità – in altre parole, il contatto con il simbolo dovrebbe essere il più possibile
un’esperienza viva per poterne accogliere il senso profondo.
Bibliografia
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