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ABSTRACT
TESI: L’AUTOIRONIA
LAUREANDA
DI RITA LORENA
RELATORE:
CORRELATORE:
I. POGGI
G. ALESSANDRINI
ANNO ACCADEMICO
2008/2009
DISCUSSIONE TESI:
07/07/09
INDICE
INTRODUZIONE
pag. 3
1. L’AUTOIRONIA: IRONIA AUTOREFERENZIALE
1.1 Una panoramica storica dell’ironia
4
1.2 Nuove prospettive di ricerca
11
2. LA COMUNICAZIONE AUTOIRONICA: UNA DIVERSA
SCELTA COMUNICATIVA
2.1 La comunicazione autoironica
19
2.2 Autoironia, immagine e maschera
22
2.3 Rapporto tra autoironia, vergogna e amor proprio
28
2.4 Autoironia e derisione
33
2.5 Esempi autoironici
35
2.6 I vari usi di autoironia
41
2.7 Ipotesi dello scopo affiliativo dell’autoironia
45
.
3. L’USO DELL’AUTOIRONIA NELLA COMICITA’
3.1 La parodia autoironica
48
CONCLUSIONE
51
BIBLIOGRAFIA
53
Nella società contemporanea i termini “ironia” e “autoironia” sono oramai di uso quotidiano;
molti sono gli esempi e le prove che la comicità, e lo humour, siano utilizzati in molte situazioni di vita
interpersonali o in casi di malattia, psicoterapia ed, in generale, in situazioni di disagio.
Nella tradizione l’ironia è sempre stata definita nella sua accezione negativa in quanto, il
linguaggio comunicativo, deve essere chiaro e funzionale alla comprensione degli interlocutori, mentre
essa di base è un’ antifrasi o “inversione di senso”.
La valenza negativa è data dall’obliquità che caratterizza l’ironia ma, la sua apparente
contraddittorietà, ha uno scopo più profondo e relazionale che prescinde dalla chiarezza del linguaggio.
Come nell’autoironia il suo apparente esplicitarsi in modo contraddittorio, mette in evidenza ciò che è più
celato nella persona.
La mia discussione si baserà sul concetto della valenza positiva dell’autoironia, vista come un
diverso tipo di comunicazione e, soprattutto, testarne l’uso affiliativo – comunitario, e a volte, anche
terapeutico.
Questa ricerca è basata sulle nuove prospettive aperte da molti studiosi, come Anolli, che
definiscono l’ironia come miscommunication: una comunicazione diversa, dall’apparenza non
soddisfacente, che si rivela essere efficace ad ottimizzare i rapporti interpersonali . Essere ironici, o
autoironici, non significa ingannare o creare una comunicazione fallimentare: il soggetto autoironico dice
la verità, parla di sé o presenta se stesso in modo veritiero, ma con sfumature scherzose.
L’autoironia, o self-irony, viene utilizzata come un mezzo comunicativo per relazionarsi,
attraverso il quale un soggetto riesce ad esprimere se stesso, superando i propri limiti o handicap.
Inoltre, l’autoironia non deve essere vista come una sorta di maschera sociale, infatti essa
non serve al soggetto per nascondersi, anzi rivela un “ammiccamento alla verità”. L’autoironia è una porta
socchiusa su se stessi,
attraverso la quale l’altro può sbirciare dentro.
Nel commento autoironico persiste una scelta seria: il soggetto parla per primo di ciò che è più
intimo, mettendolo però nella sfera del riso e del gioco.
L’ipotesi di lavoro della mia ricerca è analizzare l’autoironia come un diverso modo di
comunicare e come strumento per superare i propri limiti o handicap, fino ad arrivare ai suoi sovrascopi:
quello affiliativo – comunitario e pedagogico terapeutico.
La metodologia utilizzata è l’analisi del materiale raccolto in base agli indici impliciti ed
espliciti; il materiale sperimentale, studiato nella mia elaborazione, sono esempi di commenti autoironici
di vita quotidiana e l’utilizzo dell’autoironia negli spettacoli di cabaret e film.
L’autoironia è una forma di ironia autoreferenziale, nella quale il bersaglio non si identifica con
l’interlocutore, ma è il locutore stesso.
Nell’ironia si riconoscono due aspetti: quello semantico e quello pragmatico. L’aspetto semantico
è quello che si riferisce al significato manifesto, esplicito delle parole, mentre l’aspetto pragmatico si
riferisce al significato latente, implicito dello scopo di un commento ironico.
Di base l’ironia nasce come un’inversione di senso “ dire contro dire”, ma la carica di questa
forma comunicativa risiede nelle inferenze di significato dell’interlocutore o destinatario del messaggio.
Questo delinea la sua caratteristica principale, cioè la sua ambiguità di significato.
Austin (1955) afferma che affinchè l’uptake dell’ironia, cioè la comprensione da parte dell’interlocutore,
avvenga si deve realizzare l’aperto mascheramento dell’intenzione del parlante. Le intenzioni sono
ambigue, ma tendono a farsi riconoscere o smascherare. Quindi l’ambiguità è importante affinchè l’ironia
si realizzi: “la eventuale ambiguità degli indici fa parte del progetto comunicativo del parlante, il quale
non intende che l’ironia non venga compresa, ma che venga compresa proprio malgrado, o grazie a,
l’ambiguità degli indici ( Mizzau).
L’ironia si caratteristica per la sua funzione illocutiva, cioè “bularsi di, deridere, prendere in
giro”, quindi presuppone sempre un bersaglio.
IRONIA
FUNZIONE ILLOCUTIVA
BERSAGLIO
QUALCUNO
O
QUALCOSA
Nello schema di una conversazione ironica si presuppongono tre attori:
-
A è il parlante, l’ironista
-
B è il ricevente, il destinatario che si identifica con l’interprete designato;
-
C è la vittima, che si identifica con il bersaglio del commento ironico.
I tre ruoli rappresentano la comunicazione triangolare che avviene in teatro, non è necessario che
si concretizzano in tre figure diverse, infatti le possibilità in una struttura discorsiva ironica sono
molteplici:
- nel caso di coincidenza tra il ricevente e la vittima, il primo si identifica come il bersaglio;
- nel caso di messaggi a doppia codifica, la vittima è ignara del significato vero del messaggio e il
parlante è l’unico interprete;
- nel caso di messaggi a doppia codifica, ma si configura un terzo interlocutore che conosce i
presupposti del messaggio, quindi è in grado di comprendere, i ruoli sono distintamente tre.
- il caso in cui la vittima si identifica nel locutore stesso, il quale è inconsapevole del significato
secondo delle sue parole;
- il caso in cui il parlante coincide con la vittima, quindi il locutore è intenzionalmente la vittima
del messaggio ironico, si concretizza nell’autoironia.
L’autoironia si configura come una forma comunicativa volontaria, quindi è intenzionale. La
sua intenzionalità è apertamente mascherata, in quanto il soggetto autoironico utilizza il contesto o indici
gestuali per smascherare il significato implicito delle sue parole. L’ambiguità e il fraintendimento nascono
dall’erronea inferenza fatta dall’interlocutore.
Nell’autoironia il soggetto, esplicitamente fa un commento ironico su se stesso. Le parole,
fornite in un canale scherzoso, sono il contenuto esplicito, mentre il contenuto da inferire, quello latente, è
il significato creato dall’inversione di senso.
In questo caso il soggetto si trova a parlare di un qualcosa di intimo: si fa sempre ironia su un
proprio limite o handicap. Riesce a scherzare su qualcosa che, generalmente, fa soffrire, attuando
un’oggettivazione “di quel qualcosa”.
Nell’ironia, e maggiormente nell’autoironia, come afferma Jouhandeau, si parla di qualcosa di
intimo, che provoca emozione ed angoscia, con freddezza e obiettività, con distacco.
In questa constatazione mi pongo di nuovo l’interrogativo sul fatto che il soggetto autoironico
ha un forte controllo delle emozioni per riuscire a mettere in atto un distacco da qualcosa di suo più
intimo. Inoltre, in un atto autoironico “quel qualcosa”, su cui si fa ironia, viene messo in evidenza agli
altri, e rendendolo evidente è punibile di critica.
Concludendo, il soggetto autoironico ha pieno controllo emozionale e competenze specifiche,
perchè trova un modo alternativo di comunicare, cioè una nuova strategia per gestire i rapporti relazionali
e per ottimizzare l’efficacia della comunicazione.
Fare autoironia vuol dire “ridere di se stessi”, ma questo spirito nasce dalla coscienza della
propria condizione di vita, dalla presa di coscienza dei propri limiti e della propria fragilità. Si può
rappresentare come un’autovalutazione della condizione esistenziale e umana. Nel fare autoironia il
soggetto mette in gioco se stesso, riesce a “sdrammatizzare la sua vita”, attraverso l’uso della maschera
ironica comunica nella sfera del gioco comunicativo.
Alleman afferma che il fare ironia, e maggiormente autoironia, è mascherarsi: si attua uno
spostamento che ha lo scopo di mettere un velo, non su ciò che si pensa, ma su ciò che si prova.
Nell’autorionia si realizza uno spostamento atto a proteggere la propria intimità, come Ducrot
afferma: “ è il gioco tra dire e non dire, il gioco comunicativo tra il detto e non detto…”.
Concludendo, il soggetto autoironico ha la capacità di sdrammatizzare su alcuni aspetti della
sua vita, sul suo carattere o personalità, legata alla capacità di scherzare per rendere, infine, tutto meno
cupo.
Quindi, si identifica come una persona che ha piena consapevolezza dei propri limiti, che ha una
certa dose di umiltà e modestia, in quanto tutto ciò che è lodevole in lui viene messo in evidenza dai fatti.
Infine, a mio avvivo il fare autoironia è una scelta, intenzionale e consapevole, e più che altro
coraggiosa.
L’ironia è un’ espediente, uno stratagemma per raddrizzare l’immagine sociale: nasce dal
bisogno di gestire la propria immagine nel rapporto con gli altri e si manifesta nel momento in cui viene
capita come tale.
L’autoironia si definisce come uno strumento di presentazione di sé stesso: il soggetto
autoironico, attraverso un commento autoreferenziale, mette a nudo la sua immagine. La maschera che
indossa è velata, è quasi trasparente, fa intravedere quel qualcosa di intimo che è accentuato dalle parole.
La forma comunicativa autoironica è un arte della parola, usata con intelligenza, ingegno e garbo
con il fine di avere un’efficacia comunicativa. E’ un‘autorappresentazione di sé stessi e si serve di
un’obliquità che si identifica “ in una maschera che rivela”.
Il materiale sperimentale utilizzato nella mia ricerca sono esempi autoironici derivati dalle
conversazioni della vita quotidiana e da spettacoli di cabaret e film.
L’ironia ha due livelli di significato: il significato letterale, quello manifesto, e il significato
derivato, quello latente.
ESEMPIO N° 1
Una ragazza si presenta ad una festa, invitata da una sua amica, ma non le hanno specificato che fosse
un’occasione importante ( in cui bisognava vestirsi in modo elegante).
Lei si presenta vestita in modo casual e appena entra nella stanza, è palese il contrasto. Dopo un attimo
di silenzio, esclama : “Certo si può dire che sono la più elegante!”.
Analizzando il primo esempio è evidente la molteplicità di indici espliciti ed impliciti, che nel
loro insieme tendono ricostruire il significato metacomunicativo dell’enunciazione del soggetto
autoironico:
a) la frase tende a smorzare il senso di inadeguatezza, che provoca vergogna e attacca l’immagine e l’
autoimmagine );
b) L’esclamazione “Certo si può dire…” è un indice esplicito orale di autoironia, andando a rafforzare il
contrasto palese tra il soggetto e il contesto;
c) Nella situazione si riscontra anche un indice implicito di tipo contestuale extralinguistico, ossia la
contro-verità La frase pronunciata dalla ragazza è una contraddizione, in quanto si scontra con il contesto,
cioè su ciò che si constata, quindi chi ascolta il messaggio capisce subito che è autoironico, perché
contrasta con l’ambiente, la mancanza di ambiguità che rende il contrasto tra la presentazione della
ragazza e il contesto;
d)La gestualità del comportamento non verbale del soggetto arricchisce l’intenzione ironica: i gesti
riscontrati in questo caso sono riguardanti lo sguardo, che viene indirizzato a terra, che metacomunica il
“non volere vedere” il contrasto e evitare lo sguardo di critica altrui.
Le braccia vengono indirizzate verso il basso, e le mani sfiorano, con un movimento dall’alto al basso, i
suoi abiti, come a sottolineare ciò che incongruo con la situazione.
L’analisi degli esempi autoironici porta alla consapevolezza che sono molteplici gli usi che un
soggetto può farne dell’autoironia.
L’analisi degli esempi autoironici, che ho proposto nella mia ricerca, apre un interrogativo
sull’uso, diretto e consapevole, dell’autoironia in diversi contesti e in rapporto a determinate situazioni.
In seguito alla lettura degli impliciti, caratteristici di questa forma comunicativa, relativi agli esempi, si
possono individuare vari tipi di uso dell’autoironia:
1.
Autoironia come strumento positivo di coscienza di se stessi, nel caso in cui prendersi in giro è
piena accettazione di se stessi. “Prendersi in giro” ( cioè dirlo esplicitamente) è riuscire a rendere noto agli
altri una propria debolezza o difetto, ma sottolineare che ciò non fa soffrire anzi è un punto di forza.
Gli esempi di questo particolare uso si riscontrano nei commenti autoironici di comici di cabaret; inoltre
questo utilizzo si può avvicinare alla tecnica socratica;
2.
Autoironia come strumento di punizione. In questo caso “prendersi in giro” è mettere in evidenza
la realtà per autopunirsi, per non essere all’altezza della situazione.
Un esempio di questo tipo si può trovare nel film “Dietro la maschera” , nel quale il protagonista, un
ragazzo affetto da una malattia genetica che gli pone una condizione di deformità facciale, utilizza
commenti autoironici. Il significato latente metacomunica una situazione di sofferenza, che cerca conforto
nel ridere di se stesso, ma contemporaneanete, utilizza ciò per autopunirsi.
Un altro esempio di questa modalità si riscontra nell’esempio 5, da me fornito:
X si trova seduta dietro la sua scrivania, durante l’orario di lavoro. Si avvicina un collega chiedendole se
avesse concluso la pratica richiestale qualche tempo prima. Lei, imbarazzata, risponde di no. Il collega si
allontana contrariato e con un’espressione di disappunto.
Allora X esclama ad alta voce: “Un altro collega che non ce l’ha con me!”.
Il soggetto utilizza l’autoironia per, innanzitutto, enfatizzare un stato di evidenza, naturalmente
ingigantendo la situazione, ciò provoca ilarità, in seguito, il significato nascosto è quello di autopunirsi di
un proprio comportamento erroneo. Certo, a mio avviso, questa non è l’unica possibilità, in quanto la
scelta di comunicare con ironia è certamente indice di una voglia di sdrammatizzare la situazione creatasi.
3. Autoironia come strumento salvafaccia per salvarsi dalla vergogna e da una situazione imbarazzante.
questo si identifica come l’uso più frequente dell’autoironia. L’autoironia si identifica come una sorta di
autodifesa dei soggetti, che si sentono, per qualche motivo un’anomalia al normale andamento delle cose o
alla normale costruzione della realtà.
.
4. Autoironia come strumento di conforto. In questo caso l’autoironia viene usata per avere conforto dal
proprio interlocutore, attraverso un processo di affiliazione.Un esempio di tale tipo lo si trova
nell’esempio 4.
5. Autoironia come strumento scaramantico. In questo caso l’autoironia viene utilizzata viene
utilizzata per sdrammatizzare l’eccessivo successo ottenuto, al fine di evitare la negatività data dall’invidia
degli altri e dalla sorte.
Questo uso lo ritroviamo in questo esempio:
Durante una riunione di lavoro, A viene elogiato dal suo capo per un progetto concluso ottimamente. A si
sente orgoglioso di sé stesso, ma allo stesso tempo ha paura che questi complimenti diano fastidio ai suoi
colleghi, che sono lì presenti.
Allora A esclama: “Certo se riuscirò ad impegnarmi di più arriverò al Nobel”.
Il caso, sopra citato, si avvicina all’uso delle forme scaramantiche che si utilizzavano
nell’antichità, come i Carmina Triumphalia e i Versi Fescennini. I tipici Carmina Triumphalia era i canti
improvvisati dai soldati che si rivolgevano al loro comandante, in riferimento al suo successo ed onore. Si
caratterizzavano come beffeggi e allusioni che avevano lo scopo di allontanare le maldicenze e l’invidia
degli dei. Quindi si voleva allontanare le eventualità negatività e l’ironia della sorte.
La funzione era di prendere in giro il soggetto che veniva celebrato al fine di moderare
l’esaltazione del successo con il riso e non suscitare superbia nel condottiero.
Propongo un tipico uso che se ne faceva; questo esempio è un canto riportato dallo storico
Svetonio, nel quale si fa allusione al’omosessualità di Cesare:
“ Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc triumphat qui subegit
Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem”
( Svetonio)
“ Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede Cesare
Ecco, ora trionfa Cesare, che sottomise le Gallie, mentre non trionfa Nicomede, che pur sottomise
Cesare”.
6. Autoironia come affermazione di giudizio autoreferenziale, in questo uso si utilizza l’autoironia per
prendersi in giro prima che lo facciano gli altri. E’ una consapevole accettazione dei propri limiti, ma ha lo
scopo di affermare che il soggetto è l’unico giudice di se stesso, al fine di evitare la critica e, soprattutto la
censura, da parte degli altri e del contesto sociale e culturale in cui vive.
Un esempio di questo uso si può ritrovare in alcuni personaggi politici contemporanei. Analizziamo le
battute autoironiche del presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Questo è un esempio noto
tratto da un quotidiano italiano:
Il presidente del Consiglio nella breve replica ha fatto una battuta autoironica sulla sua
statura. Rivolgendosi al senatore Democratico Enrico Morando dice: “ Lei senatore ha osservato che
nel mio discorso alla Camera ho ripetuto molte volte la parola crescere. Forse perché – ha aggiunto
Berlusconi- ce l’ho dentro visto che dicono che sono nano…”. Il Cavaliere mentre parlava ha sollevato
il braccio per indicare una persona alta, suscitando l’ilarità dell’assemblea.
Questo esempio è esplicativo del caso in cui si utilizza l’ironia come forte accettuanzione del
proprio essere: il soggetto autoironico è consapevole dei propri deficit, ma non ammette la critica altrui.
L’autoironia è vista come mezzo per rendersi giudici di se stessi e, in un certo odo, come
strumento di difesa: mi prendo in giro da solo prima che lo facciano gli altri.
In questo caso il soggetto parla pubblicamente della sua altezza, anzi ciò viene sottolineata, oltre che dal
significato manifesto delle parole, anche dall’implicito “Forse perché” e dalla gestualità del braccio.
Quest’ ultimi si identificano come rafforzativi del significato delle parole, ma allo stesso tempo, come
indici di non giudicabilità di se stesso.
Si potrebbe anche ipotizzare, che l’uso dell’autoironia in questo caso, potrebbe identificarsi
come un tipo di comunicazione persuasiva, nel senso che con il significato manifesto,il soggetto mette
“in piazza” il suo limite, riguardante l’altezza, ma con il significato latente, vuole affermare che solo lui
si può giudicare perché è in una posizione di superiorità.
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