Invecchiamento. La memoria e la partecipazione. C`è una frase su

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Invecchiamento. La memoria e la partecipazione. C`è una frase su
Invecchiamento.
La memoria e la partecipazione.
C’è una frase su cui tutti i geriatri sono più o meno d’accordo: il vero pacemaker
dell’invecchiamento, cioè quello che dà il ritmo e la qualità del nostro invecchiamento,
è il cervello e le funzioni mentali. Questo va di pari passo con un’altra serie di aforismi
o idee o frasi in cui si dice che il vero antidoto alla vecchiaia è la cultura, la nostra capacità cioè di vedere il mondo, di avere comunque un atteggiamento di interesse, di stimolo e di apprendimento. Goya, molto molto anziano, ultraottantenne, ha fatto un quadro con questo vecchio che va, questo vecchio frate, ma sotto l’ha firmato scrivendo
“aun aprendo”, sto ancora imparando. Questa è un’utopia o è una realtà?
Direi che molto dipende da noi. Però dobbiamo partire da un concetto che è estremamente importante: la fine della devoluzione fisica del nostro organismo non vuol dire la
fine della devoluzione psichica. Sono due cose diverse che seguono delle linee diverse.
Le linee di apprendimento, di arricchimento anche culturale che ci riguardano sono in
realtà un continuum per tutta la vita e tutti gli studi psicologici lo dimostrano, qualunque
sia il nostro livello culturale. Questo naturalmente se la salute complessivamente ce lo
consente. E oggi uno degli spauracchi più grossi, una delle cose che temiamo più tutti,
me compreso naturalmente, è proprio questo invecchiamento patologico della mente, la
demenza, che fa sì che si parli di una specie di nuova epidemia silenziosa.
Allora, parlare dell’invecchiamento del cervello fa sì che noi ci dobbiamo preoccupare
innanzitutto del fatto che… possiamo o non possiamo intervenire a modificare quelli
che sono gli aspetti di fondo del nostro invecchiamento? Cioè il modo come ci comportiamo, quello che facciamo ha o no ha dei riflessi sulle conseguenze che ci sono
all’interno della nostra vita mentale quando invecchiamo? Oppure tutto è definitivo,
tutto è predefinito e la possibilità che noi abbiamo di modificare quello che succede è un
po’ affidata al caso, alla fortuna, al fatto che… ci siamo scelti i genitori, a tutta una serie
di imponderabili sui quali possiamo fare poco?
Io direi: l’atteggiamento migliore che ci aiuta è un atteggiamento molto ancorato a
quello che succede e che ci dà l’idea di ciò che possiamo fare, e che non è che noi siamo
onnipotenti naturalmente, ma nello stesso tempo non è vero neanche che noi siamo impotenti. Cerchiamo di individuare questo giusto mezzo.
La struttura cerebrale invecchia: non molto, non è una delle parti del nostro organismo
che nell’invecchiamento normale, non patologico, invecchi in maniera pesante. C’è una
perdita di peso, c’è una perdita di volume, in certi settori del cervello si perdono alcuni
neuroni – queste cellule di cui il cervello è sostituito; una parte anche della impalcatura
che non è solo di sostegno, che un po’ partecipa alla attività del cervello, che si chiama
glia – è molto importante: si perde un poco anche questo; però c’è tutta una serie di cose
che non conosciamo assolutamente.
Una di queste è la selettività delle aree colpite. Noi sappiamo ad esempio che le aree
frontali e prefrontali, quelle davanti del cervello, sono un po’ più colpite di quelle posteriori, un po’ più colpite magari di quelle parietali e temporali, ma non sappiamo perché,
a tutt’oggi non siamo assolutamente in grado di capire perché ci sia questa differenza di
invecchiamento dentro alla nostra struttura cerebrale.
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L’altra cosa è che delle funzioni che si perdono con l’invecchiamento è difficile dare
una definizione così estesa, precisa. È un’esperienza un po’ comune a tute le persone
anziane che il primo problema che noi guardiamo, a cui attribuiamo – a questa perdita
cellulare – la conseguenza è la perdita della memoria, perché è una delle cose che ci
preoccupa di più. In realtà devo dire che questa sensazione soggettiva di perdita di memoria non sempre è accompagnata da dei fatti oggettivi, cioè non è che davvero poi uno
perde la memoria. Intanto la capacità massima nostra di ricordare è molto più legata diciamo alla memoria dei fatti che sono successi più di recente che non dei fatti che sono
successi tanti anni fa. La memoria passata, la memoria storica, questa tende ad essere
pochissimo modificata dall’invecchiamento. Magari si perde un po’ di più la memoria
di lavoro o la memoria episodica. Cosa vuol dire? La memoria di lavoro è quella in cui
uno, non so, legge un numero di telefono, legge una lista, fa una cosa eccetera , la deve
riportare, la deve rifare, la deve riscrivere, eccetera. È quella memoria diciamo temporanea che mi serve poi per decidere poi che cosa immagazzino definitivamente e che cosa invece non mi interessa tenere. Quello che non mi interessa tenere, direi, questa memoria immediata con l’invecchiamento non si perde, rimane uguale. Il passaggio invece
da questa memoria di lavoro immediata alla memoria definitiva diciamo in qualche
modo, cioè alla memoria in cui io metto via le cose ma poi le ritrovo, questo può essere
alle volte più complicato, specialmente per le cose che io sperimento direttamente che
mi riguardano, più che non le notizie astratte o lontane. Chi è il presidente della repubblica magari me lo ricordo, dove ho messo i calzini questa mattina non me lo ricordo
più.
Io richiamo due considerazioni. Uno, il fatto che nella maggior parte dei casi il deficit
che poi si riscontra non è di memoria negli anziani, in senso strettissimo, ma è più di
attenzione. Cioè si fanno molte cose, ci accadono molte cose a cui noi non prestiamo
attenzione, e la memoria automatica dopo i primi quattro o cinque anni di età comincia a
diminuire in maniera enorme, cioè l’apprendimento automatico è dei bambini nei primi
anni di vita, poi più andiamo avanti più, inevitabilmente e giustamente, le informazioni
sono selezionate attraverso il meccanismo del loro contenuto, diciamo, emozionale prima di tutto, ma anche intellettivo eccetera. Quindi anche il meccanismo di una attenzione: attenzione emotiva, attenzione intellettuale, quello che è. Ma insomma dobbiamo
dar valore a quello che vogliamo ricordare altrimenti non lo ricordiamo. Nel 90% dei
casi le cose che noi dimentichiamo sono quelle cui non diamo un grande valore, o non
riusciamo ad attribuirgli un valore in senso strettissimo e a costruirlo come tale: i nomi e
cognomi alle volte, che non rappresentano la persona, non hanno questo valore simbolico semantico; i soprannomi sì, i soprannomi si ricordano perché sono correlati simbolicamente coi tratti di una persona, mentre spesso i nomi e i cognomi sono del tutto
astratti rispetto a ciò che una persona è. Quindi, intanto, più attenzione: da una creta età
in poi la memoria non è automatica, è figlia della attenzione.
Il secondo punto è che inevitabilmente quando le informazioni sono così tante, perché la
vita ce le accumula, diventiamo più selettivi. Diventiamo più selettivi anche verso gli
amici: un ragazzo fa amicizia con tutti, quando si ha 50 anni, 60 anni, 70 anni fare amicizia diventa sempre più difficile. La selettività fa parte del modo in cui noi invecchiamo, giustamente, perché anche il cervello deve difendersi da tutte le informazioni che
entrano dentro, deve cercare di tenere quelle importanti ma perdere quegli altri; qualcuno gli deve dire “quelle sono importanti e quelle no”. E allora dobbiamo imparare che le
cose che vogliamo ricordare dobbiamo volerle ricordare.
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Un’altra cosa molto importante, l’ultima che riguarda la memoria, è il tono dell’umore.
Se siamo depressi dimentichiamo. Questo da una parte è positivo, nel senso che il nostro cervello, il nostro umore, il nostro io ci allontana da un mondo che non ci piace.
Forse io come tutti, insomma, alle volte, trovare qualcosa che ci faccia dimenticare delle
cose invece che ricordarle è una gran bella cosa. Ma teniamo conto comunque di questo
fatto: che spesso molte lamentazioni che noi abbiamo dentro di noi rispetto a noi stessi
sono legate a momenti di depressione, di scontentezza, di non gratificazione del momento complessivo della nostra vita e non del nostro cervello e della nostra memoria.
Quindi spesso miglioramenti di memoria si hanno da tutt’altri punti di vista, quando
stiamo meglio perché qualcuno ci vuole bene, perché siamo stati insieme bene con delle
persone, perché abbiamo recuperato un apporto, perché, perché, perché… Perché la nostra vita è migliorata complessivamente.
Le altre funzioni che non sono la memoria, tipo l’intelligenza in senso ampio, si è visto
che sono pochissimo modificate: la capacità di risolvere i problemi in certi casi addirittura migliora, e senza scendere magari in differenze che sono molto molto psicologiche.
Gli psicologi hanno tutto questo linguaggio per cui parlano di una intelligenza cristallizzata e di una intelligenza fluida che diminuisce, eccetera. In pratica a mio parere vuol
dire questo, se loro han capito bene di che cosa parlano e spero anch’io: è che noi abbiamo molta più capacità invecchiando di saper utilizzare bene quello che abbiamo,
quindi di trovare nuovi significati, nuove connessioni, nuove motivazioni, anche molto
inusitate, a una serie di costruzioni e di sistemi, di equilibri, di pensieri, che non la voglia di acquisire dei nuovi modi di vedere, dei nuovi modi di pensare eccetera. Siamo
molto più disponibili ad approfondire quello che nel tempo selettivamente ci siamo costruiti come idee, come punti di vista, che non ad andarne a cercare costantemente degli
altri.
Questo alle volte è un bene e alle volte un male. Però in una società complessa come la
nostra può essere una cosa molto interessante, perché fa degli anziani, se rimangono
all’interno del nostro modello sociale, una specie di deposito di pensiero, una specie di
situazione automeditativa in cui le cose che ci sono vengono riperse, messe come dentro
delle mappe molto intricate dal punto di vista cognitivo eccetera, che fanno sì che ci sia
una specie di ripulsa del futile che accompagna l’invecchiamento, cioè che fa emergere
(ecco perché la vecchiaia alle volte è difficile), fa emergere le cose che hanno più valore. E queste possono essere restituite poi a tutta la società, cominciando dalla famiglia,
da chi sta vicino eccetera, sempre che ci sia qualcuno che ascolta, ecco. Perché una definizione bella ma terribile di vecchiaia è che il vecchio è pieno di risposte a domande
che nessuno gli fa. Però un vecchio deve imparare che non sempre le domande ti arrivano, alle volte devi andarle a cercare tu, e questo per la salute mentale è fondamentale. Se
noi pensiamo che verranno sempre a bussare alla nostra porta e a cercarci per farci delle
domande… Dobbiamo imparare a modificare il nostro atteggiamento mentale: noi abbiamo sempre pensato che l’attività, la partecipazione era una risposta a delle richieste
che gli altri ci facevano, dobbiamo cominciare a pensare da una certa età in poi che la
vita è andare a cercare là dove le domande si formano perché noi possiamo offrire le nostre risposte. La vita forse non correrà attraverso le nostre porte, ma se noi apriamo le
porte e andiamo dove la vita scorre gli altri sono in grado accoglierci. Dobbiamo imparare a partecipare, ecco. Avere l’iniziativa: passare dalla risposta alla iniziativa.
All’inizio può essere poco gratificante, ma alla fine questo migliorerà in maniera enorme la nostra vita. È alle volte meno facile di quello che sembra. Perché alle volte abbiamo delle difficoltà. Uno dei problemi dell’invecchiamento del sistema nervoso cen
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trale è anche l’invecchiamento dei nostri sensi, ci sentiamo un po’ meno bene, facciamo
più fatica, dobbiamo cambiare tre volte gli occhiali per leggere, per guardare, per fare,
eccetera. Quindi anche la vita sociale ha un suo costo che a 20 anni non ha. Ma è un costo che vale la pena di pagare. Quindi da una parte, ecco attenzione, non avere timore di
usare tutte le cose che ci possono aiutare a vedere meglio, a sentire meglio, eccetera,
perché queste cose non vanno sottovalutate mai, hanno un peso molto molto grosso.
Quindi sorvegliamole un po’, facciamo dei controlli anche da questo punto di vista, perché la nostra salute mentale dipende anche da queste cose. Il fatto che ascoltiamo e vediamo in maniera sufficiente e buona da usarli senza grandi problemi.
Dall’altra però dobbiamo anche convincerci che questa possibilità di avere una interazione col mondo, con le attività, con le altre persone, con le informazioni eccetera, ha
un grosso significato preventivo vero. Cioè non è una situazione palliativa in cui semplicemente è un aspetto consolatorio, diciamo, dell’invecchiamento, il fatto che la partecipazione alle attività eccetera ci fanno sentire meglio. Bè, già questo non sarebbe male,
nel senso che stare bene è meglio che stare male.
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