Il Cuore di Gesù

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Il Cuore di Gesù
Il Cuore di Gesù. Sorgente della Misericordia
Noi sappiamo con quasi assoluta certezza che Gesù Cristo è morto crocifisso il 7 Aprile dell’Anno 30,
secondo il calendario gregoriano attuale. Infatti, l’Evangelista Giovanni nel suo Vangelo annota che il Sabato
seguente non era soltanto, ovviamente, il Sabato, ma al tempo stesso il giorno della Pasqua, che coincideva, in
Israele, con la luna piena di primavera. Una semplice tavola astronomica ci indica che nell’anno 30, effettivamente,
la luna piena di primavera è caduta di sabato 8 Aprile. Questa piccola precisazione porta l’Evangelista Giovanni a
raccontare un accadimento reale e crudo. Come, per esempio, quando bisognava calare i corpi dalla Croce dei tre
condannati prima che avessero inizio le celebrazioni del Sabato e della Pasqua. A tal fine furono incaricati dei
soldati per rompere le gambe dei condannati con delle mazze affinché, non potendosi più appoggiare sulle loro
gambe, morissero rapidamente di soffocamento. L’evangelista annota anche che arrivati a Gesù, constatato che era
già morto, per accertarsene, un soldato colpì il fianco con la lancia dal quale scaturì, come è normale che sia,
sangue ed acqua. L’evangelista insiste sull’accadimento con una certa solennità: “Chi ha visto ne dà testimonianza
e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate”. (Gv., 19,35)
Due cose hanno particolarmente impressionato l’evangelista quando, alcuni decenni più tardi, pose per
iscritto l’avvenimento. Anzitutto, si rende conto di alcuni testi della Sacra Scrittura e di alcuni episodi precedenti al
suo Vangelo.
Mi sono reso conto che i pittori e gli scultori che hanno rappresentato Gesù crocifisso avevano la stessa
conoscenza dei testi sacri. Infatti, non vi siete mai chiesti come mai tutte le raffigurazioni che riproducono Cristo
crocifisso e morto in Croce riproducono sul lato destro la ferita del fianco, quando invece il cuore è a sinistra? Ci
viene da pensare che la lancia sia entrata dal lato destro per raggiungere facilmente il cuore. Essi l’hanno fatto
invece perché, come l’Evangelista, si sono ricordati del testo del profeta Ezechiele (Ez., 1-9.12), del periodo della
deportazione di Israele in Mesopotamia, l’attuale Irak.
In una visione, il profeta in esilio vide il Tempio di Gerusalemme e nota che, dal lato destro del tempio,
sgorga improvvisamente una piccola sorgente d’acqua, ma che, a seconda di come il profeta si muove cresce e si
ingrossa salendogli prima fino alle caviglie, poi fino ai reni e infine, diventato un fiume impetuoso, deve nuotare per
poterlo attraversare. A sua grande meraviglia, il profeta vede che, su entrambe le rive del fiume, crescono gli alberi
(così velocemente come nelle storie di “Stella misteriosa” di Tintin e Milou) e che portano frutto ogni mese prima che
il fiume si getta nel Mar Morto del quale risana le acque. L’Evangelista Giovanni si ricorda di questo testo come
anche dell’episodio che riporta al secondo capitolo del suo Vangelo (Gv. 2, 18-22), allorché Gesù caccia i mercanti
dal tempio.
Quando i capi religiosi chiedono a Lui un segno che giustificasse una tale iniziativa, Gesù rispose loro:
“Distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo ricostruirò”.Il tempio era stato appena restaurato dal Re Erode. Tale
opera aveva richiesto 46 anni. Obiettarono dunque a Gesù: “Ci sono voluti 46 anni per costruire questo tempio e tu
in 3 giorni lo ricostruirai?”. Ma, aggiunge l’Evangelista, che non comprese la cosa più importante se non più tardi:
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“Egli parlava del tempio del Suo corpo”, facendo
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così allusione alla Sua Risurrezione il terzo giorno. Infatti,
Giovanni, all’epoca in cui scrisse il suo Vangelo, comprese, come Paolo nella sua lettera ai Colossesi, che Gesù è
veramente il Tempio dove abita fisicamente la pienezza della divinità. E’ la prima ragione per la quale l’Evangelista è
così impressionato da questa scena. San Giovanni comprende che la piccola sorgente di acqua e sangue scaturita
dal fianco squarciato di Gesù è destinato alla stessa fecondità della sorgente stessa che Ezechiele aveva
contemplato nella sua visione.
Non siamo che alla sera del Venerdì Santo, ma un giorno verrà quando questa modesta sorgente, quella
dello Spirito Santo, quella dell’acqua del battesimo e del sangue dell’Eucaristia, diventerà un fiume in piena che
semina la via al suo scorrere. L’Evangelista Giovanni è altresì aiutato dal ricordarsi delle parole del maestro alla
samaritana: “Chi berrà la mia acqua che io gli donerò non avrà più sete in eterno: l’acqua che io gli donerò sarà in lui
un sorgente di vita eterna”.
L’Evangelista ricorda anche il grido che Gesù fece l’ultimo giorno della festa delle tende, consacrato dal
rituale dell’acqua. Egli annota (Gv. 7, 37-39) se in quel giorno solenne. Gesù, in piedi, grida nel tempio: “Chi ha sete
venga a me e beva chi crede in me;” e l’Evangelista commentando la Scrittura dice: “come dice la Scrittura: fiumi di
acqua viva sgorgheranno dal suo seno” e continua con il suo commento, alla luce di quello che, solo dopo,
comprese: “Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora
lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato”. Giovanni è convinto che quella piccola sorgente di sangue
ed acqua scaturita dal fianco di Cristo è chiamata a divenire un fiume immenso destinato a guarire il cuore umano e
a sanare il mondo intero.
Troviamo anche altrove questo fiume nel libro dell’Apocalisse nel Capitolo 22 (Ap. 22, 1-5), quando
Giovanni contempla nel cielo il Trono sul quale sono seduti il Padre, l’Agnello immolato, ma in piedi, il Cristo
crocifisso e risorto, e vedeva scaturire da quel trono un fiume, quello dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal
Figlio: “Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello” Per
descrivere questo fiume, l’autore dell’Apocalisse si ispira al libro della Genesi (Gn. 2, 10-14) che descrive il fiume a
quattro braccia che percorreva il Paradiso Terrestre, ma che ritrova adesso nel Paradiso Celeste. Per evocare la
fertilità di questo fiume, l’Apocalisse riprende letteralmente le espressioni del profeta Ezechiele: “In mezzo alla
piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti
ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni”. Solo dopo aver ripercorso tutte le reminiscenza,
possiamo comprendere meglio perché l’Evangelista Giovanni riporta con solennità l’episodio, banale dal punto di
vista fisiologico, del corpo di Gesù trafitto dalla lancia.
Ma c’è ancora un’altra ragione per la quale Giovanni è sconvolto ricordandosi di tale episodio. L’ultima ferita
inferta al corpo di Gesù, dopo tanti oltraggi ben richiamati nei testi della Passione e di cui il Sudario della Sindone di
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Torino è un’evidente illustrazione, quest’ultima ferita è in un certo senso gratuita visto che Gesù era già morto. Tutto
era compiuto! Quello che tocca il cuore di Giovanni è che quest’ultima ferita diviene il luogo stesso dalla quale
sgorga una fonte inarrestabile di vita, di rinnovamento, di misericordia e di trasfigurazione. Questa dolce vendetta
commuove profondamente l’Evangelista. Egli comprende infatti che oramai saranno le ferite stesse inferte all’Amore
di Dio fattosi carne e crocifisso, a diventare sorgente di perdono, sostenuto dal fatto che il nostro cuore ha avuto un
breccia, per quanto piccola essa possa essere, corrispondente alla ferita del Cuore di Cristo. Ecco perché
l’Evangelista, al termine della sua contemplazione del cuore trafitto dalla lancia, cita il profeta Ezechiele scrivendo:
“Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gn 19, 37). Oramai, chiunque alzerà gli occhi, con fede, verso la
piaga del cuore di Cristo potrà scoprire a suo tempo la serietà del suo peccato e la sorgente del perdono che
rigenera. E’ come se il Signore gli dicesse: “Tu sei vinto da prima! I tuoi stessi peccati, se tu li confidassi al mio
cuore, diventeranno un’occasione di trasfigurazione! La Mia Misericordia sarà sempre più grande delle tue miserie”.
Quando ho ascoltato la testimonianza di una persona che assiste le donne che hanno abortito o che sono
stato costrette ad abortire, sono stato profondamente toccato perché mi ha ricordato l’esperienza sconvolgente che
vivo regolarmente nella mia diocesi quando accogliamo, in una simile celebrazione, le donne che hanno perso un
figlio o che hanno vissuto il dramma dell’aborto. In quest’ultimo caso soprattutto, il Cuore di Cristo come sorgente di
misericordia, diventa una sorgente di speranza per queste donne, alle quali solo Gesù può dire: “figlia mia, è vero
che, per delle ragioni che tu conosci non hai permesso a questo figlio di nascere, ma non è stato annientato. Se
vorrai porre la tua speranza in Me, si vorrai bere alla sorgente della Mia Misericordia, anche questo avvenimento
tragico della tua vita potrà diventare occasione di ringraziamento perché, quando arriverai all’altra sponda di questa
vita, quel figlio che tu non hai donato la vita sarà il primo ad accoglierti e chiamandoti per nome, del tuo vero nome,
“mamma” e tu potrai infine pienamente accoglierlo per quello che era fin dall’inizio, tuo figlio”. Chi altro potrebbe
aprire nel cuore umano ferito una tale speranza? Chi, dunque, se non il cuore trafitto di cui le stesse ferite diventano
sorgente di guarigione?
Per concludere, vorrei rievocare il bellissimo testo di San Giovanni della Croce nel quale parla della
sorgente della quale ho trattato. Ne parla nel poema che compose durante la sua prigionia a Toledo in una fortezza
rivolta verso il Tagi. Nella sua cella, poteva intendere il gorgoglio delle acque del fiume. Questo suono ha ispirato il
suo poema che incomincia con queste parole: “Conosco di una sorgente che sorge e che scorre, ma è nel profondo
della notte”. Nelle strofe seguenti rievoca questa sorgente a tre correnti, sorgente eterna della Trinità, che per
grazia dell’Incarnazione, scorre anche in questo mondo sorgendo dal costato squarciato di Cristo sulla Croce.
Termina sottolineando come questa sorgente eterna, ci è presentata, quando vogliamo, nell’Eucaristia, della quale
era privato durante la sua prigionia nella cella, ma che contemplava nella memoria orante del suo cuore:
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“Questa sorgente eterna è racchiusa
Nel nostro Pane Vivente per donarci la Vita,
ma è nel profondo della notte.
Questa sorgente di acqua viva, oggetto dei nostri desideri,
La vedo e la contemplo in questo vero pane di vita,
ma è nel profondo della notte”.
Quant’è grande la nostra gioia di poter incontrare, nell’Eucaristia, celebrata o adorata, il Cuore di Cristo,
sorgente della Misericordia!
S.E. Mons. A. M. Léonard
Vescovo di Namur (Belgio)