Carcere all`infermiera generica che rifiuta di pulire il

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Carcere all`infermiera generica che rifiuta di pulire il
Norme e codici La Cassazione penale rigetta il ricorso di un’infermiera generica
che “per vergogna” si era rifiutata di pulire un paziente dell’altro sesso. Rifiuto infondato
sia perché quest’atto rientra nelle mansioni di routine dell’infermiere
generico, sia in ragione dell’urgenza richiesta dal caso specifico
Carcere all’infermiera generica che rifiuta
di pulire il paziente di altro sesso
di Paola Carnevale
L’
infermiere generico o professionale che si rifiuta di pulire i pazienti
di sesso diverso rischia una condanna per omissione di atti d’ufficio. Tale principio è stato stabilito dalla Corte di Cassazione,
Sezione penale, con sentenza numero 39486.
I fatti. La vicenda che ha originato la pronuncia aveva avuto inizio nel 2003, quando il giudice di primo grado aveva condannato, con le
attenuanti generiche, alla pena di sei mesi di
reclusione oltre all’interdizione dai pubblici uffici per un anno e al risarcimento dei danni,
un’infermiera generica, in quanto responsabile del reato di “rifiuto di atti d’ufficio”, disciplinato all’articolo 328 del Codice penale. L’infermiera si era infatti rifiutata di pulire un degente, sottoposto a un intervento di resezione
colica, il cui letto e le parti intime erano imbrattate con le feci fuoriuscite dalla sacca di
contenimento delle stesse.
Questa operazione, secondo il giudice di primo grado – e poi confermato dal giudice di appello – doveva essere compiuta immediatamente per evidenti ragioni di igiene e sanità. A niente erano valse le giustificazioni addotte dall’infermiera generica: in primo luogo che il malato era di sesso diverso e conseguentemente lei
provava vergogna a pulire le parti intime di una
persona di sesso maschile, ed in secondo luogo che la cura dell’igiene non le era stata prescritta nel caso specifico dal medico. Il paziente era stato pulito dal cognato, che aveva poi
denunciato la operatrice, accusandola inoltre
di essersi allontanata per una mezz’ora dal reparto. Fatti tutti comprovati da persone che si
trovavano nel giorno dell’episodio ricoverati
presso la stessa struttura.
Il ricorso. Contro la condanna del giudice di
appello l’imputata si era rivolta alla Corte di
Cassazione deducendo innanzitutto la errata
interpretazione dell’articolo 6 del DPR 225/74.
In questa norma si afferma che l’infermiere
generico coadiuva l’infermiere professionale
in tutte le sue attività e provvede, su prescrizione del medico, direttamente a varie mansioni
tra cui la raccolta degli escreti dei pazienti e la
pulizia degli stessi. In questo caso, continuava
l’imputata, il riposizionamento della sacca e la
raccolta degli escreti doveva essere effettuata
proprio in seguito a un errato posizionamento di quest’ultima ad opera di un infermiere
professionale (ma sulla base della sentenza impugnata, in quel turno non erano previsti infermieri professionali….). Con il secondo motivo l’imputata, pur ammettendo di aver commesso un errore nel non aver ritenuto “urgente” l’atto da compiere, tuttavia affermava essere un “errore scusabile”, proprio perché in quel
momento era impegnata in altre operazioni
(la distribuzione del vitto), e soprattutto in considerazione del breve ritardo riportato (solo
mezz’ora).
Diritto. Per i giudici della Sesta Sezione penale della Cassazione, il ricorso è infondato.
Innanzitutto l’affermazione della responsabilità penale si riscontra nella condotta dell’infermiera generica di non aver provveduto alle
operazioni di pulizia, mansione che le competeva in quel momento sulla base dei turni di
servizio, affermando di provare vergogna in ragione della differenza di sesso del paziente. Rifiuto assolutamente ingiustificato, in considerazione del fatto che tale incombenza rivestiva
carattere di urgenza e rientrava nelle mansio-
ni di routine dell’infermiere generico, proprio
a norma dell’articolo 6 della citata norma. Del
resto le operazioni di pulizia del paziente e la
raccolta degli escreti possono essere effettuate
dall’infermiere generico, su prescrizione del
medico, ma quest’ultima non è necessaria e
può essere impartita in via generale, laddove
la specifica prescrizione del medico occorre
esclusivamente con riferimento ad interventi
di tipo terapeutico. Nella fattispecie, in assenza di infermieri professionali, tali operazioni
dovevano essere svolte da un infermiere generico addetto al reparto sulla base dei turni di
servizio. La motivazione addotta dell’essere lei
in quel momento impegnata in altra attività –
la distribuzione del vitto – non è da ritenersi
sufficiente per esonerarla dalla immediata effettuazione dell’operazione di pulizia, incombenza che rivestiva carattere prioritario rispetto alla semplice distribuzione del vitto, attività
quest’ultima che poteva ben essere sospesa e
ripresa solo dopo pochi minuti. Non è infatti
da ritenersi “scusabile” l’errore di non aver compreso l’urgenza dell’atto richiesto, proprio perché il riconoscimento del carattere d’urgenza
è implicito negli elementi basilari cognitivi della professione ed è richiesto nelle ordinarie
competenze professionali di una infermiera
generica; inoltre, nella fattispecie, il rifiuto
espresso dall’imputata non atteneva a questo
profilo bensì era stato motivato dalla “vergogna” provata per la diversità di sesso.
Dunque oltre alla condanna penale di sei mesi di reclusione (con le attenuanti generiche)
e l’interdizione dai pubblici uffici per un anno, l’infermiera dovrà pagare le spese processuali dei gradi di giudizio.
L’infermiere 1/2007
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