Rischia il carcere l`infermiere che si appropria dei farmaci

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Rischia il carcere l`infermiere che si appropria dei farmaci
Norme e Codici Cassazione penale: reato di peculato per aver portato a casa
farmaci non immediatamente utili alle esigenze di reparto
che si appropria di medicinali
Rischia il carcere L’infermiere
non immediatamente utili per le esigenze di
reparto, rischia il carcere e l’interdizione
l’infermiere
temporanea dai pubblici uffici. È quanto
dalla sentenza 40788 depositata dalla
che si appropria emerge
Sezione Penale della Corte di Cassazione, con
la quale è stato respinto il ricorso di
dei farmaci
un’infermiera imputata del reato di peculato
per aver portato a casa farmaci di proprietà
dell’ospedale
della struttura pubblica.
di Paola Carnevale
Reato di peculato
La sentenza proposta, come vediamo, si
fonda su tre motivazioni:
• si è trattato di dolo;
• si è procurato un danno;
• si è lesionato il buon andamento della
Pubblica Amministrazione.
La Cassazione ha confermato queste tre
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L’infermiere 3/2007
I fatti. La vicenda che ha originato la pronuncia
aveva avuto inizio nel 1997, quando il giudice di
primo grado aveva assolto l’infermiera (con la
formula “perché il fatto non costituisce reato”)
dalla imputazione di peculato ex art. 314 c.p.,
contestatole. Quest’ultima, infatti, si era appropriata
di numerose confezioni di medicinali di proprietà
dell’ospedale prelevandole dal reparto in cui
prestava servizio. Il Tribunale, pur rilevando che il
fatto contestato costituisse reato, concludeva,
però, che difettasse del requisito dell’offensività
perché i medicinali avevano un esiguo valore
commerciale ed erano in parte scaduti.
Sentenza ribaltata dalla Corte di Appello che, al
contrario, dichiarava l’infermiera colpevole del
reato di peculato, condannandola, con le
attenuanti generiche, alla pena di un anno e
quattro mesi di reclusione (pena
condizionalmente sospesa) e all’interdizione
temporanea dai pubblici uffici. Rilevava la Corte
d’Appello che, anche in assenza di un danno
patrimoniale della Pubblica Amministrazione,
esisteva comunque reato perché il gesto
dell’infermiera era lesivo della tutela del “buon
andamento” della Pubblica Amministrazione.
Il ricorso. Contro la condanna del giudice di
appello l’imputata si era rivolta alla Corte di
Cassazione deducendo, innanzitutto, l’inesistenza
dell’elemento psicologico del reato. L’infermiera
motivazioni e ha chiesto il riesame limitatamente
al fatto che la Corte d’Appello non ha applicato
alcuna attenuante per l’esiguità del danno.
Resta fermo il fatto che viene confermata la
condotta dolosa, quindi intenzionale,
dell’infermiere e viene confermato il danno e
l’aggressione al buon andamento della
Pubblica Amministrazione, seppur
sosteneva, infatti, di aver ottemperato all’ordine
del medico di reparto di togliere alcuni farmaci
ritenuti non necessari e di ignorare di doverli
riconsegnare alla farmacia dell’ospedale.
Inesistenza dunque di dolo, ma, eventualmente,
ravvisabile, una condotta colposa, nell’aver ritenuto
legittima l’appropriazione. Con il secondo motivo,
l’imputata rivendicava un vizio di motivazione sulla
sussistenza di un danno alla Pubblica
Amministrazione. Il danno era stato dalla Corte
d’Appello giudicato in modo contraddittorio
“rilevante anche se in misura modesta”; ma delle
due l’una: se era modesto non poteva essere
rilevante. Con il terzo motivo l’infermiera negava la
sussistenza di una lesione dell’interesse al buon
andamento della Pubblica Amministrazione, in
quanto le modalità di eliminazione dei medicinali
non potevano incidere sul buon andamento della
stessa e tantomeno la sentenza impugnata
indicava sotto quale profilo tale interesse sarebbe
stato leso nel caso concreto. Con il quarto motivo,
infine, si deduceva una erronea applicazione della
economicamente limitato.
La sentenza trova substrato giuridico non solo
nelle norme che regolamentano oggi
l’esercizio professionale, ma anche in tutte le
norme che regolamentano la Pubblica
Amministrazione da un lato e l’esercizio
subordinato pubblico dall’altro.
Barbara Mangiacavalli
Norme e Codici
legge penale e un vizio di motivazione nel
mancato riconoscimento delle attenuanti previste
dall’articolo 62 del Codice Penale, non avendo la
sentenza impugnata tenuto conto della estrema
tenuità del danno (articolo 62 c.p. n. 4), e del
fatto che l'imputata prima del giudizio lo aveva
risarcito (all'art. 62 c.p., n. 6).
Diritto. Per i giudici della Cassazione, il ricorso è
fondato solo sulla omessa motivazione delle
attenuanti generiche di cui all’articolo 62 c.p. n. 4
e 6. Al contrario, non vi è alcun dubbio sulla
condotta “appropriativa” dell’imputata che invece
di restituire i medicinali alla farmacia del
nosocomio, li portò a casa sua. Il tutto aggravato
dal fatto che, proprio per ammissione della
ricorrente, solo in parte erano scaduti, mentre
l’altra parte conservava validità e solo quest’ultima
era stata ritenuta non “strettamente necessaria”
per le esigenze del reparto. La condotta era
inoltre da considerarsi assolutamente dolosa, non
potendo l’imputata ignorare che i medicinali di
una struttura pubblica devono essere riconsegnati
(ed in ogni caso non portati a casa) e connotata
dal carattere di “offensività”, perché il danno, sia
pure modesto, era tuttavia economicamente
apprezzabile.
Il nodo della questione sta nel fatto che “non vi
può essere alcun dubbio sulla sussistenza del
dolo in chi non poteva ignorare che i medicinali,
solo in parte scaduti, di proprietà della struttura
pubblica, non immediatamente utili per le
esigenze del reparto, dovessero essere
Obbligatoria l’iscrizione all’Albo
per esercitare la professione
l solo diploma di infermiere non è sufficiente per
esercitare la professione infermieristica, ma è
obbligatorio essere iscritti all’Albo, pena la condanna
prevista dall’articolo 348 del Codice Penale per
esercizio abusivo della professione. È quanto emerso
dalla sentenza depositata il 28 marzo scorso dal
tribunale di Genova.
Il giudice unico ha condannato alla somma di
quattrocentocinquanta euro il legale rappresentante,
responsabile di una cooperativa che forniva turni
infermieristici in appalto ad una residenza protetta,
in quanto due degli addetti non risultavano iscritti
all’Albo Professionale della Provincia, ai sensi del
decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato
n.233 del 1946.
In effetti quest’ultimi, pur avendo entrambi il
diploma d’infermiere professionale, non erano
iscritti all’Albo della Provincia, come emergeva da
controlli effettuati presso l’Ipasvi; avevano entrambi
svolto negli anni passati presso la residenza
mansioni di infermieri percependo come
compenso una retribuzione corrispondente a
I
quella del contratto nazionale così come risultava
dal foglio turni raccolto presso la casa di riposo e dai
certificati di ritenuta d’acconto emessi. Invano
l’imputata, vicepresidente della cooperativa e
responsabile della stessa, a conoscenza della
situazione, aveva invocato a sua difesa, di aver
adibito i due addetti a semplice attività di “operatore
sanitario”. Invano in quanto non era riuscita a
dimostrare il diverso corrispettivo pattuito per le
Esercizio abusivo
Lo spettro del reato previsto dall’art. 348
CP accompagna gli infermieri
da molti anni.
Dal 1994, con il Dm 739, l’interpretazione
del suddetto articolo per quanto riguarda i
requisiti di esercizio professionale, non ha
più alcune discrezionalità: i requisiti per
esercitare (in tutti gli ambiti) sono il titolo
di studio abilitante e l’iscrizione all’Albo.
Requisiti che per il settore pubblico
consegnati alla farmacia del nosocomio, non
potendosi comunque ritenere fosse consentito
farne cosa propria”. Dice a chiare lettere la
Cassazione: “Il danno, sia pure modesto, era
economicamente apprezzabile, sicché la condotta
è stata ritenuta, in concreto, connotata del
carattere di offensività rispetto al bene giuridico
tutelato dalla norma”.
Non avendo tuttavia la Corte di Appello addotto
delle motivazioni sulla sussistenza delle attenuanti
del risarcimento del danno, e del danno di
speciale tenuità (articolo 62, n. 4 e 6), la
Cassazione ha annullato la sentenza
esclusivamente su tali punti e limitatamente ad
essi rinviato al giudice di secondo grado per un
nuovo esame.
differenti prestazioni. Del resto, come risultava dai
documenti prodotti, nel contratto di appalto era
specificata la produzione dei documenti attestanti il
possesso in capo al personale incaricato dei requisiti
richiesti dalla legge per l’espletamento della
specifica attività dedotta. Tutto ciò risultava
sufficiente al giudice per “ritenersi la sussistenza
della coscienza e della volontà dell’imputata di
concorrere, mediante la fornitura contrattuale di
prestazioni infermieristiche, nell’esercizio abusivo
della professione di infermieri”.
Il Tribunale ha ritenuto però modesto l’abuso e
concesso le attenuanti generiche in ragione anche
dell’incensuratezza dell’imputata, sanzionata solo
con la pena pecuniaria ed ovviamente alle spese
processuali. (P.C.)
valgono fin dal 1982, mai modificati.
Al di là della riflessione sul significato
dell’iscrizione all’Albo per un professionista
intellettuale, ciò che non dovrebbe più essere
in discussione, e la giurisprudenza ce lo
conferma, è che in assenza di uno dei due
requisiti (titolo abilitante e iscrizione all’Albo) si
configura il reato di esercizio abusivo di attività
tutelata dallo Stato attraverso la legislazione
pubblicistica.
B.M.
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