KING - casastrasse

Transcript

KING - casastrasse
 Strasse KING Cura e guida del progetto: Leonardo Delogu con Daria Menichetti, Davide Tidoni, Elena Cleonice Fecit, Francesco Michele Laterza, Helene Gautier Leonardo Delogu, Luca Poncetta, Sara Leghissa, Simone Evangelisti, Valerio Sirna suono Davide Tidoni luce Luca Poncetta cura dell’allestimento: Cesare Ronconi sostegno di pensiero: Emanuela De Cecco parole: Valerio Sirna, Leonardo Delogu, Arsenij Tarkowskj, prodotto da Strasse in cooproduzione con Sosta Palmizi, santarcangelo dei teatri, armunia e il sostegno di animal a l’esquena, Teatro Valdoca, spazio c-­‐32 vincitore del bando created in Umbria NASCITA E SVILUPPO DI UN PERCORSO DI RICERCA King nasce da alcune questioni molto personali e legate alla mia biografia n. Vengo da una città di provincia – Terni , in Umbria -­‐ segnata dallo sviluppo industriale della fine del’800. Allora veniva chiamata la Manchester italiana una città famosa per la produzione di acciaio e per la sperimentazione della chimica. In realtà prima dell’avvento dell’industrializzazione una valle di pastori e contadini solcata da due fiumi. un luogo bellissimo, dedicato alla transumanza che in breve è diventato un posto inospitale, dove le persone sono state strappate alla terra per inseguire il mito dello sviluppo. Ovviamente questo mito è durato un po’ di anni e dagli anni 70 in poi è progressivamente decaduto, lasciando una città sventrata nel paesaggio e privata della sua identità collettiva. Da bambino i miei parchi giochi erano le fabbriche abbandonate, cattedrali di ferro che segnavano il paesaggio e lo skyline. Erano il posto più divertente e pauroso dove poter rifugiarsi e passare le ore dei pomeriggi d’estate liberati dalla scuola. Da sempre quindi ho vissuto questi spazi come casa, come luoghi da proteggere, sono stati i miei migliori compagni. L’altra motivazione, molto personale alla base di questo progetto è una percezione. Da sempre ho avuto la percezione di abitare un tempo destinato a finire, un periodo di cui avrei conosciuto la naturale decadenza. Oggi più che mai sento che la fine è prossima, non una fine della specie o dell’umano, piuttosto la fine di un ordine, di un sistema di organizzazione della società, più semplicemente la fine a cui stiamo assistendo del sistema liberista-­‐capitalistico. Oggi credo che queste percezioni siano alla base di molte scelte, anche inconsapevoli che ho compiuto nella mia vita, la militanza nei movimenti no global dalla fine degli anni 90 ai primi del 2000 poi l’approdo all’arte e in particolare al teatro e alla live performance. In questo ambito ho lavorato e studiato negli ultimi dieci anni, facendo parte del Teatro Valdoca, una delle maggiori compagnie di teatro di ricerca italiano, come attore e co-­‐autore di molti progetti. Negli ultimi anni ho virato la mia attenzione sullo studio del corpo e del movimento partecipando ad una scuola di due anni diretta da Raffaella Giordano, importante e amata coreografa italiana, e collaborando con la compagnia catalana Mal Pelo e approfondendo gli studi con Claude Coldy fondatore della danza sensibile. Dopo questo importante tempo di studio e lavoro, ho capito che era arrivato il momento di avviare un viaggio più personale e di dare spazio all’urgenza di creare un contesto per affondare nella mia pratica di ricerca. Sono dunque partito da quelle due reminescenza d’infanzia di cui ho parlato prima – la passione per i luoghi abbandonati e la percezione della fine dei nostri tempi – per sviluppare questo progetto. La prima tappa è stata nel 2009 con la creazione di un assolo site specific dentro un capannone industriale a Terni. Il lavoro -­‐ Tabula Rasa -­‐ è stato il frutto di uno studio approfondito degli spazi abbandonati della mia città da cui ho ripeso suoni suggestioni , visive, materiali per costruire una performance che si muoveva tra gli abbandoni della mia biografia e quelli della biografia della mia città. Dopo questa esperienza forte è stato il bisogno di allargare la ricerca e di imbarcare nuovi compagni. Questo allargamento nel tempo ha preso il nome di Camminare nella frana. Questo viaggio ha avuto come primo obiettivo quello del trasformare l’io in noi. La creazione di un gruppo di ricerca nel quale pur mantenendo un ruolo di guida, i componenti del gruppo trovassero sempre di più uno spazio e delle ragioni personali per prendere autonomia, sentirsi tra pari, farci comunità di studio e di vita, ha dato aria al progetto, ha aperto nuovi orizzonti. Al principio abbiamo proceduto con delle camminate nelle periferie delle città italiane, raccogliendo materiali, suoni, interviste, sensazioni del corpo nel solco di una tradizione artistica che si rifà ai situazionisti e ad alcune correnti di studi architettonici. Più camminavamo più ci rendevamo conto che le caratteristiche dei luoghi che attraversavamo avevano una potente analogia con i principi teorici alla base del nostro lavoro in scena. Quindi sono insorte domande su come tutto questo materiale, enorme e multiforme, potesse informare il lavoro performativo e della scena, su come poterlo tradurre in segni parole, gestualità, sequenze di movimento. Accanto a questo abbiamo fatto procedere un “ripopolamento intellettuale”, andando a cercare scrittori, filosofi, architetti che avevano in qualche modo affrontato i nostri argomenti. Abbiamo tracciato cosi una mappa filosofica che parte dagli studi sul perdersi e sul camminare come pratica estetica di La Cecla e Careri, abbiamo attraversato il concetto di deriva, di lateralità, di spazio frattale caro ai situazionisti, indagato gli spazi periferici metropolitani e la loro architettura spontanea attraverso le analisi di Matteo Clemente, fino alla definizione contemporanea di terzo paesaggio di Gilles Clement. ci siamo imbattuti nel pensiero di Deleuze, Guattari, Deridda, Berger, abbiamo attraversato il teatro con Pasolini, Carmelo Bene, Testori, abbiamo cercato nelle culture passate radici comuni e abbiamo incontrato S. Atzeni e i miti dei popoli sardi, la visione di corpo di Nancy, gli studi sui popoli vedici di R.Calasso siamo approdati alla definizione di una nuova possibilità dell’umano nel pensiero di Didi-­‐huberman, Luce Iregary, Maria Zambrano. In ultimo abbiamo a fondo studiato l’estetica e l’etica di andreij Tarkovskij e la poetica del padre Arsenij ritrovando in loro uno splendido esempio, una guida, per la nostra materia di ricerca. Da questo intreccio con la materia di lavoro in sala è nato un format chiamato appunto “Camminare nella frana”. Un workshop di 5gg in cui proponiamo ai partecipanti da un lato il mio metodo pedagogico di lavoro come attore e danzatore, sviluppato in questi anni di lavoro, e poi un’apertura del campo di lavoro della ricerca sugli spazi abbandonati e sulla traduzione in sala di quelle esperienze. Da maggio 2011 ad oggi sono stati fatti 7 seminari nelle maggiori città italiane e una ulteriore edizione di seminari questa più organizzata e complessa chiamata “Piccola scuola nomade” che prevede altre 7 tappe di seminari in giro per l’Italia da luglio a novembre 2012. Hanno partecipato in tutto più di 100 persone. Da queste tappe infine si è composto il gruppo di King. Un gruppo di 11 persone compreso me che curo la parte registica e di studio del movimento, due artisti che si occupano uno della parte sonora e l’altro della parte di illuminazione della scena, e 4 performer alcuni incontrati nei seminari altri conosciuti e amati in precedenti lavori. La casa comune dove progettare e realizzare King l’abbiamo trovata in Strasse, un collettivo di cui fa parte il gruppo di King più altri artisti più concentrati sulle arti visive. METODOLOGIA la metodologia che abbiamo sviluppato fin qui si fonda su alcuni principi chiave: il corpo: come mappa della biografia della persona come prima casa, luogo da curare e abitare con consapevolezza, presenza, dedizione come luogo privilegiato dell’ascolto, della sedimentazione, dell’atto creativo lo spazio-­‐tempo: come incrocio che rende possibile il dispiegarsi dell’azione del corpo come insieme di segni parlanti come chiave del tragico il teatro, la danza, la performance, l’arte: come rito misterioso e irrazionale come fatto principalmente relazionale, come strumento per mettere in luce il cono d’ombra dei tempi da questi presupposti abbiamo sviluppato un metodo per mettere in relazione e far dialogare questi presupposti Sul corpo: proponiamo un training che punta a sviluppare un ascolto preciso e millimetrico della fisiologia delle funzioni del corpo e delle possibilità del movimento. Ci poniamo l’obiettivo di guidare le persone ad un ascolto molto personale della propria struttura fisica per poter fare esperienza dei propri limiti e punti di forza. Cerchiamo di predisporci al contatto con la propria qualità energetica e capire come muoverla senza traumatizzare il corpo. Affrontiamo quindi i vari sistemi (scheletrico, muscolare, connettivo, vascolare, endocrino) per affinare la percezione di come si integrano, lavorano insieme, producono movimento. Ci si allena a potenziare il livello di ascolto per generare un movimento che sia personale e autentico. Sviluppare una cultura del rispetto del corpo (nel movimento, nell’alimentazione, etc) come prima tappa per il rispetto dell’altro e dello spazio condiviso. Generare un corpo sensibile che danza e agisce lo spazio. Predisporre il corpo all’ascolto interno (auscultazione) per poter creare un movimento che contempli l’ascolto dell’altro da sé. Questo viene fatto dentro una lentezza del movimento per poter raffinare l’ascolto e per far si che la velocità e la dinamica siano il frutto di un’espressione energetica integrata con le leggi del corpo. Più lavoriamo più troviamo una straordinaria continuità tra la costruzione architettonica del corpo e la complessità del mondo esterno. Per poter rendere visibile questa continuità lavoriamo nel corpo lontano da qualunque direttiva psicologica e culturale ma ci dedichiamo ad un lavoro scientifico, che nasce dall’osservazione, e dalla deduzione. Ci interessa addestrare i corpi alla consapevolezza della complessità, alla percezione dell’unità psico-­‐fisica che significa anche addestrarsi alla capacità di tenere insieme fragilità e forza, intenzionalità e abbandono, razionalità e irrazionalità e ascoltare la compenetrazione della dualità. Sullo spazio tempo: Il camminare è la pratica principale con cui affrontiamo questa sezione di lavoro. Molto spesso guidiamo i gruppi in delle camminate di molte ore dentro gli spazi abbandonati delle città che ospitano i seminari. Vengono proposti esercizi di osservazione, di ascolto del paesaggio sonoro, di ascolto di come il corpo si predispone all’attraversamento. Vengono fatti campionamenti di suoni frutto della relazione dei performer con lo spazio, vengono raccolti materiali, tracce, oggetti che si incontrano. Chiediamo spesso di tenere un diario in cui appuntare le sensazioni vissute. Spesso poniamo l’accento sull’osservazione di come si trasforma il pensiero durante la pratica del camminare, di come lentamente il pensiero molla la presa e si abbandona alla contemplazione. Di fatto il camminare ci appare come una potente pratica meditativa. Il tempo con cui avvengono le camminate è un tempo rarefatto, sospeso, senza ansia di prestazione. Un tempo dilatato affinchè si possa leggere il progressivo manifestarsi dell’esperienza senza forzare o desiderare nulla. Queste esperienze diventano il materiale su cui innestare la pratica creativa in sala. Quando torniamo in sala da una camminata dedichiamo sempre un tempo per ripercorrere il viaggio fatto in esterno all’interno. Tutto questo diviene un metodo per interrogare la questione della percezione che il corpo ha dello spazio-­‐
tempo scenico, di come e dove ci si colloca nello spazio-­‐tempo della scena. Quello che ci interessa è capire come un corpo collocato in uno spazio riesce ad illuminare quello spazio e a modificarlo. Come la presenza riesce a far vedere il segno architettonico le linee di forza. Per fare questo c’è bisogno di una buona dose di umiltà di capacità di sottrarre l’ego per far vivere lo spazio tempo. Questo perché i luoghi abbandonati parlano di uno stare al di là del fare, della presenza di segni esposti alle intemperie che raccontano una condizione di perdita e allo stesso tempo di nuova vita che ripopola questi spazi. Sono luoghi il cui potere più grande è quello non tanto di evocare un passato che non c’è più quanto di rappresentare un presente in cui convivono decadenza e rinascita. E questo avviene soprattutto attraverso i dati sensibili e percettivi, le diagonali delle travi che pendono da un soffitto, il ritmo delle gocce che cadono, i muschi sui muri, le geometrie dei buchi nei pavimenti e allo stesso tempo, un’edera che si impossessa di una colonna, un gatto che va a caccia, i cartoni di un barbone che ci ha fatto casa. Questi sono dati che recuperiamo in termini ritmici, estetici, figurativi, mai in chiave antropologica o psicologica. Per questo ci alleniamo alla raccolta dei dati sensibili e alla capacità di costruire architetture di corpi nel e con lo spazio e a giocare con il tempo, ad ascoltare il tempo d’innesco dell’azione, il suo apice, e la sua naturale fine. Ascoltare il tempo della fine e il riverbero nello spazio dell’azione è uno dei punti centrali della nostra ricerca sul gesto. Sull’atto creativo Per la nostra esperienza l’arte ha principalmente un valore politico nel più alto dei sensi. Un fatto di comunicazione di un personalissimo punto di vista che tenta di entrare in relazione con gli altri. Amiamo tutto ciò che è fuori dalla comprensione razionale, tutto ciò che ha magia, mistero, che sta nell’ombra, che restituisce la complessità della vita. Per noi l’arte non ha niente a che fare con il calcolo, con la progettazione, con l’ordine, con la commerciabilità. Casomai questi sono strumenti per creare le condizioni affinchè si produca un lavoro, ma non sono a nostro avviso gli appoggi da cui procedere per il fatto creativo. Per questo il metodo con cui affrontiamo la parte più creativa del lavoro è quello dell’improvvisazione. Termine abusato e violentato questo e che forse dovrebbe essere reinventato. L’improvvisazione è il regno dell’ignoto, del non conosciuto. E’ il vuoto. Nella nostra accezione improvvisare significa mettersi a disposizione del presente, di se stessi, dell’altro, dello spazio-­‐tempo in cui si è collocati. La costruzione e solidificazione di una forma quindi avviene a posteriori come un lavoro di ricucitura e specificazione. Per improvvisare in questa direzione è necessario lavorare sull’ego. Per far si che il materiale che emerge sia il frutto di un accordo, di una fragilità, di un tesoro che viene a galla e non il frutto del virtuosismo, della trovata, del carisma del performer, serve mettersi a disposizione, allenare la pazienza, la fiducia, abbandonarsi. Questo diventa metodo soprattutto perché funzionale ad un obiettivo, forse più sotterraneo, ma non meno importante che è quello del bisogno di far uscire l’arte dalle regole del novecento. Senza entrare nei dettagli quello che pensiamo e che si debbano orientare le energie verso una diversa concezione dell’arte non più come frutto del genio individuale (artista visivo, archistar o marina abramovich che sia) ma come frutto di un processo aperto di relazione, in cui la qualità del processo è fondante della qualità dell’opera. Non più opere che relegano lo spettatore a solo osservatore ma contesti che permettano di svolgere un ruolo di testimonianza, di libertà di lettura, di partecipazione rinnovando la dimensione di rito di comunità. Per cercare di indagare queste questioni abbiamo orientato la ricerca da un lato ponendo l’accento sulla questione relazionale cioè su come si entra in relazione con uno spazio, con l’altro, da sé, con chi guarda, dentro una percezione non necessariamente visibile ed esposta; dall’altro sull’osservazione e la relazione con lo spazio urbano facendo della strada il luogo principale da dove raccogliere informazioni; poi abbiamo iniziato a lavorare su progetti site-­‐specific privilegiando l’aperto come luogo dell’azione. King ha l’obiettivo di far esistere dentro lo spazio vuoto della scena tutte le informazioni raccolte Un rito che viaggerà tra una netta definizione della forma e un’ apertura all’ascolto del presente, che si nutrirà della relazione con il pubblico/testimone dell’ evento, che lavorerà per accogliere e trasformare l’energia della presenza di un pubblico, che lotterà e si sacrificherà per riuscire a mantenere la fragilità, l’emotività, la leggerezza del lavoro davanti allo sguardo del pubblico, senza ripiegare nella simulazione, nella rappresentazione, nel clichè Per far questo il metodo generale che stiamo adottando a fronte di questo lungo periodo di studio è quello di appuntamenti periodici con il gruppo di lavoro paralleli al percorso di ricerca. Residenze in cui sia i performer che la parte tecnica mettono sul campo i materiali raccolti e indagano le possibili relazioni, collisioni, accordi. Da qui ne scaturisce per ora un panorama variegato, in cui la regia ha il compito di comporre seguendo le curve emotive del lavoro, specificando e orientando le proposte dei singoli componenti, ricucendo dentro una drammaturgia emotiva e non narrativa i vari segni che popolano lo spazio scenico. Ne consegue un grande bisogno di tempo. Un tempo di sedimentazione e cura personale dei propri segni e un tempo di riemersione nello spazio condiviso della scena. Serve tempo per far si che le cose si allineino e manifestino dentro la fisiologia del processo creativo. KING Oltre il concetto di spettacolo King quindi non è uno spettacolo ma qualcosa di più complesso. E’ un viaggio di conoscenza sull’umano attraverso degli strumenti privilegiati di analisi, una forte attrazione e dedizione per il paesaggio e un obiettivo di condivisione della ricerca artistica. Questo fa si che King prima di essere uno spettacolo è la cura di tutto il percorso che c’è prima della condivisione. Potremmo dire che si muove su un bordo a cavallo tra la ricerca, l’arte relazionale, l’arte performativa. Data questa attenzione al percorso King si presenta come una comunità di ricerca nomade che si insedia in un territorio, lo studia, lo attraversa e poi si innesta e colonizza “gentilmente” uno spazio. Sperimenta delle forme leggere di abitare, mette in relazione la propria materia di lavoro con lo spazio e la specificità dell’esperienza e apre all’incontro di un pubblico. Finito il rito si pulisce lo spazio e il gruppo si rimette in viaggio. La Prima manifestazione articolata di King avverrà nel giugno –luglio 2013 in cui in un viaggio a piedi dal tirreno (rosignano solvay) all’adriatico (igea Marina ) apriremo e ci riferiremo al pubblico dei festival di Castiglioncello prima e Santarcangelo Poi Come accennato precedentemente al percorso di ricerca abbiamo affiancato dei momenti residenziali del gruppo ristretto di King in cui abbiamo approfondito e specificato le informazioni emerse dal lavoro dei seminari. Ad oggi abbiamo realizzato 5 residenze creative: La prima in spagna presso L’animal a l’esquena della compagnia Malpelo nel giungo 2011 La seconda presso La sosta Palmizi nel novembre 2011 in cui si è definito l’intero gruppo La terza presso il castello Pasquini di Castiglioncello nel marzo del 2012 La quarta a Serra de’ Conti nell’agosto 2012 La quinta a Cesena presso il Teatro Valdoca a Dicembre 2012 Esplicitiamo di seguito alcune linee di lavoro definite fin qui: 1-­‐ Concezione dello spazio: luci, suono, costumi, oggetti , 2-­‐ La costruzione del gesto: partiture fisica individuali e collettive 3-­‐ l’organizzazione dei corpi nello spazio scenico 4-­‐ una direzione testuale 5-­‐ la drammaturgia, la regia 1 -­‐concezione dello spazio Ci approcciamo allo spazio in primis in modo topografico. L’orientamento cardinale, la geo-­‐morfia del paesaggio, le distanze, le aperture, gli elementi architettonici Poi facciamo esperienza di alcune valenze visive ed emotive dello spazio. Poi lo spazio della scena è anche lo spazio della vita. Quindi durante il tempo di studio realizziamo delle leggere formule abitative che diventano la casa del gruppo per il periodo di permanenza. Poi mettiamo in relazione questo con i materiali sviluppati nel tempo > luci: le fonti luminose, come anche il suono, saranno tutte integrati al’interno della scena come oggetti che hanno in se sia un valore di segno visivo che di funzionalità. Abbiamo lavorato a cercare di riprodurre alcune tipologie di luci ritrovate negli spazi abbandonati come la luce che filtra dalle foglie di un albero, quella riflessa da uno specchio d’acqua, quella filtrata da una finestra rotta o da un panno svolazzante. Le abbiamo realizzate applicando dei supporti (piccoli motori a cui sono stati innestati delle sagome o dei materiali specifici che riproducessero l’effetto richiesto) ai fari da teatro o a fari da esterno.. Questi fari azionati e spostati a vista dall’artista che li ha realizzati. Dall’altro abbiamo realizzato dei piccoli oggetti di scena luminosi (un faro di una macchina, un secchio con dentro un piccolo led, etc.) che vengono azionati dai performer in scena. Una ultima direzione di luci è stata quella dell’utilizzo del fuoco > suono: anche il suono ha una forte relazione con lo spazio e con gli oggetti di scena. Lavoriamo con molteplici fonti sonore (otto di norma) dislocate nella scena, che sono studiate a seconda della spazializzazione che decidiamo di realizzare. Utilizziamo un impianto audio minimo di base mentre il resto delle fonti sono altoparlanti delle radio, megafoni delle stazioni dei treni, allarmi, piccole casse. Anche queste sono disposti sia nel perimetro dello spazio e azionati dall’artista che le ha progettate sia all’interno degli oggetti di scena e quindi azionati dai performer. Il tessuto sonoro è frutto del campionamento e della rielaborazione dei suoni registrati durante le camminate e il percorso di ricerca. Rumori della città, pezzi di discorsi, pezzi di film che hanno accompagnato lo studio, discussioni interne del gruppo etc. a volte i pezzi vengono rielaborati fino a diventare vere e proprie melodie. > costumi: i costumi sono il frutto della ricerca che ognuno di noi ha fatto sulla propria figura. Si tratta per ognuno di noi di vestiti con cui abbiamo un forte legame emotivo (il pigiamo di un nonno, la sottoveste di una vecchia zia, il cappotto di un genitore da giovane, la maglietta della squadra di calcio di quando si era bambini) oppure vestiti trovati all’interno degli spazi abbandonati (camici, scarpe, grembiuli, cappelli etc). Di base però il vestiario è un vestiario comune senza troppe connotazione, poi durante il percorso dello spettacolo vengono utilizzati alcuni dei costumi suddetti. > oggetti: Gli oggetti di scena come i costumi sono recuperati tutti dalle camminate nelle periferie e nei luoghi abbandonati. Cartoni, pezzi di legno, giocattoli rotti, un pallone bucato, delle pentole, un secchio, una scala. 2-­‐ La costruzione del gesto: la linea principale della costruzione delle partiture fisiche individuali parte dallo studio di azioni molto pratiche (cucinare, giocare a pallone, pulire uno spazio) per poi trasformarsi in coreografie puramente gestuali e astratte. Ad oggi questa ci appare come una direzione interessante da esplorare per dare concretezza al gesto. Quello che ci affascina in questo momento e capire come coniugare un agire molto terreno legato ad azioni quotidiane o di servizio della scena a fughe del gesto verso una dimensione astratta, simbolica. Le partiture corali invece le stiamo costruendo o a partire da alcune situazioni emerse durante l’improvvisazione e legate a dei contesti specifici (una parata funebre, una deposizione, un ballo di gruppo tipo balera) oppure da suggestioni incrociate durante il tempo di ricerca (spostare degli oggetti come se volassero da soli, l’accerchiamento del gruppo su uno). Le forme collettive rispondono anche a delle costruzioni spaziali legate alle riproduzioni di sistemi ancestrali/simboliche come la riproduzione del sistema solare o di alcune particolari costellazioni. 3-­‐ i corpi nello spazio scenico abbiamo capito che ci interessa far vivere lo spazio e renderlo leggibile dall’esterno come fosse un altro protagonista del lavoro. Per questo abbiamo messo molta attenzione su varie possibilità dal riempimento graduale dello spazio con i corpi ad un rapido svuotamento, dalla possibilità di tracciare traiettorie o con il corpo o anche solo con lo sguardo al soffermarsi in un punto dello spazio per poterlo illuminare. Lavoriamo sul concetto di densificazione, di rarefazione, di ritmo dello spazio, di architetture di corpi che disegnano skyline particolari. Abbiamo affinato un lavro sul campo lungo, sulla profondità della visione. La peculiarità del lavoro non è quella di creare delle forme sterili, solamente estetiche, di pura geometria, ma poter restituire la vivezza della spazio, il suo continuo pulsare e modificarsi dentro la relazione con chi lo abita (pubblico compreso). 4-­‐ il testo prevediamo che ci sia del testo anche questo frutto del lavoro che ognuno ha fatto sulla sua figura. In questo momento ci sono pezzi di bibbia estrapolati da deuteronomio e dalle apocalissi, alcuni frammenti di film di Tarkovskij (in particolare stalker e nostalghia), alcune poesie di Arsenij Tarkovskij (padre del regista e importante poeta russo) e invece scritti di alcuni del gruppo. I testi saranno o registrati e quindi mandati come voci fuori campo, oppure detti con il microfono dal vivo. Privilegiamo un interpretazione asciutta frutto più della ritmica del testo che del senso compiuto della frase in un bordo particolare che evita accuratamente gli sperimentalismi e cerca di restituire il senso del testo senza cadere nell’interpretazione psicologica. 5-­‐la drammaturgia la drammaturgia di King ha molti piani, si intreccia il piano della vita di tutti i giorni di una comunità con la creazione di un linguaggio artistico, i travagli e le gioie della relazione di una comunità di studio, con i travagli e le gioie di una comunità di pari. La drammaturgia fatta di emozioni e di curve energetiche si intreccia con la drammaturgia della costruzione di uno spazio attraversabile anche nella non-­‐azione anche quando non ci sono fatti visibili. Il pubblico si troverà a comporre una propria personale drammaturgia e regia dell’esperienza componendo tra momenti di vuoto, momenti di convivialità e scambi di opinione, momenti di grande densità, di stupore, di azione forte, di emotività a nuovi momenti di silenzio e sedimentazione. Per concludere, King è la ricerca di una radice profonda dell’arte della scena. Ci avviciniamo a quel suo essere atto comunitario, rito di trasformazione sottile. E il tentativo di capire e adattare all’oggi le ragioni di quel tempo del rito, di ritrovarci nel territorio dell’invisibile, dell’inspiegabile e permetterci un abbandono alle energie del presente. KING 1° MANIFESTAZIONE progetto speciale per il Festival di Castglionello e Santarcangelo – estate 2013 LA PARTENZA Per una costruzione accidentale di una partenza condivisa e di una comunità che cammina Castiglioncello -­‐ Rosignano Solvay :::premessa teorica::: Realizzare tappe di avvicinamento alla costruzione di una piccola comunità eterogenea che attraverso la pratica del camminare, compia un viaggio all’interno del proprio territorio ed entri in contatto con il nostro processo artistico di conoscenza del mondo. Il processo si costruisce intorno ad alcuni concetti cardine. Il paesaggio (nello specifico il paesaggio laterale, residuale, terzo paesaggio) come specchio del rimosso culturale, emotivo di una comunità, il lato buio che non vogliamo vedere e che ci mette in relazione alla paura, a ciò che non capiamo, al misterioso. La gestione del potere (in molte varianti: da come si gestisce la pianificazione di un territorio ai conflitti tra soggetti di un gruppo, etc etc) come questione da problematizzare per la costruzione di un nuovo modello di relazione fra le persone Il camminare, come pratica meditativa nel corpo, in grado di sciogliere le tensioni, di facilitare l’incontro e l’apertura, di indagare un territorio-­‐ paesaggio e un territorio interiore, di fare comunità. :::proposta pratica::: L’idea è che il gruppo di King compia delle camminate-­‐esplorazioni nel territorio tra Castiglioncello e Rosignano Solvay. Queste camminate saranno in principio fondate sull’accidentalità dei percorsi e degli incontri. Non faremo comunicazione sul nostro andare, non lanceremo nessun appello ad aggregarsi, ma viaggeremo con la domanda interna di esplorare e fare degli incontri. Da qui sicuramente nasceranno degli incontri con le persone del posto, che diventeranno le nostre guide segrete, i nostri informatori. Progressivamente con l’arrivo della primavera proporremo avendo già intessuto delle relazioni con alcuni abitanti, delle camminate aperte in cui guideremo e ci faremo guidare. Inizieremo cosi la costruzione di una piccola comunità di persone che avrà come perno quello di incontrarsi per esplorare il territorio, parlare, condividere sguardi. Progressivamente, dall’interno, noi svolgeremo un lavoro di facilitazione all’emersione di alcuni bisogni di socialità e d’incontro a cui proveremo a dare seguito, siano esse cene, pranzi all’aperto, incontri di approfondimento, piccole proposte di lavoro sul corpo; questo dipenderà molto dall’ascolto dei bisogni interni al gruppo in relazione alle nostre competenze e possibilità. Proveremo a cercare un’intersezione tra il nostro portato pratico, artistico ed intellettuale e i loro desideri. Progressivamente noi sveleremo anche il nostro lavoro, e proveremo a farli mettere in relazione con il nostro modo di trattare e tradurre nell’atto performativo quelle stesse questioni che loro vivranno nell’esperienza del camminare Ad un certo punto potremmo porci l’obiettivo di una conclusione di questo viaggio che potrebbe coincidere con la costruzione di una giornata (che potrebbe essere la giornata di apertura del festival il 28 giugno) auto-­‐organizzata sulla spiaggia di Rosignano Solvay. Pensiamo ad una festa, un momento conviviale all’interno del quale ad un certo punto potremmo coinvolgerli nel nostro momento performativo. Poi immaginiamo che la festa possa continuare attraversando la notte e anche pubblici diversi. La mattina il nostro gruppetto si metterà in cammino verso l’altra sponda del mare. LA CAMMINATA alle spalle l’ombra, in faccia il sole, sotto i piedi la terra, sopra la testa il cielo infinito :::premessa teorica::: Un viaggio-­‐meditazione-­‐ricerca attraverso la terra che congiunge le due sponde dell’Italia. Portare un’acqua ad un’altra acqua, tenere insieme i due mari, queste due larghezze in un percorso sulla terra, tenere insieme in uno sforzo integrante, in un movimento, in un’approssimazione, in una tensione simbolica l’ovest e l’est, l’oriente e l’occidente. Passare oltre il concetto di oriente ed occidente, attraverso la pratica del corpo in cammino. Cercare l’unità attraverso l’esperienza. :::proposta pratica::: 280 KM in cui si attraversa il cuore dell’italia, un cuore paesaggistico e spirituale, forse il cuore più in ombra più assorto e in silenzio. Per noi è l’opportunità di mettere in relazione la nostra esperienza artistica, le nostre motivazioni intellettuali ed emotive, il fuoco della nostra ricerca dentro un movimento lento e costante, dentro un incedere contemplativo e fattuale. Attraverseremo una terra di forte valenza naturalistica, di piccoli paesi, piccole comunità e di fatto la culla del monachesimo italiano Durante questo percorso nutriremo i nostri materiali di lavoro con i luoghi e gli incontri che faremo. Periodicamente invieremo dei feedback (video, scritti, foto) di allontanamento al punto di partenza e degli annunci di avvicinamento al nostro punto di arrivo. :::tempi::: Partenza il 29 giugno arrivo il 17 luglio L’ARRIVO Arrivare, insediarsi, condividere Santarcangelo di Romagna – Igea Marina? :::premessa teorica::: Arrivare, studiare nel corpo le qualità di uno spazio,e adattare la propria ricerca carica di un lungo viaggio all’interno dello specifico di un paesaggio. Esserci con gentilezza, con rispetto, lasciare che le informazioni emergano. Traslare nella pratica dell’abitare e dello stanziarsi le informazioni del viaggio. E una volta pronti aprire lo spazio della condivisione, della relazione, dell’incontro. Trovare modi diversi di comunicare l’esperienza e di arricchirla con la presenza di testimoni interessati. Ricostruire intorno a questo la radice del teatro, del suo essere rito fondativo e vivificante di una comunità in movimento che attraverso il momento unico dell’incontro trova e trasforma se stessa e lo spazio circostante. Tentare il superamento del giudizio per aprirsi alla possibilità del cambiamento. :::proposta pratica::: Il gruppo di KING costruirà il suo campo base all’interno del Parco Baden Powell (ironia della sorte) della città di Santarcangelo. Un parco non ancora del tutto completato nella prima periferia della città, sotto il convento dei cappuccini. Qui il gruppo sperimenterà una forma di “colonizzazione gentile” di questo spazio realizzando delle forme abitative auto costruite dove abiterà e compierà la parte finale del progetto di ricerca. Durante il periodo d’insediamento aprirà lo spazio in diverse ore della giornata modulando proposte sempre diverse di condivisione con il pubblico del festival di Santarcangelo dei teatri della propria esperienza. Immaginiamo momenti d’incontro pubblico di narrazione e approfondimento degli elementi teorici ed esperienziali del progetto anche con il supporto di personaggi che in qualche modo hanno accompagnato direttamente o indirettamente il nostro percorso. A questo aggiungeremo momenti di convivialità e incontro più informale cene, feste etc. e momenti performativi in cui sarà possibile vedere il frutto della ricerca del gruppo. Compieremo cosi un complesso rito collettivo intorno alla materia di lavoro. Finito il festival partiremo per compiere l’ultimo tratto di strada verso il mare dove termineremo il nostro viaggio. :::tempi::: Arrivo il 16-­‐17 luglio partenza il 22 luglio PICCOLA SCUOLA NOMADE Una sintesi Con Piccola scuola nomade si allarga e volge a conclusione un ciclo di ricerca e formazione iniziato nel maggio del 2011 con il primo seminario di camminare nella frana. Dopo molte tappe di lavoro abbiamo deciso di creare questa opportunità di studio che interessa la seconda metà del 2012 e che permette alle persone che hanno già frequentato i seminari o che intendono frequentarli ora di avere un tempo più strutturato nel segno della continuità e dell’approfondimento. Una piccola scuola indipendente e senza fissa dimora che si radunerà una volta al mese in alcune delle principali città italiane, una comunità che si ritrova e trasforma e che si nutre di volta in volta del territorio che la ospiterà. Come nelle precedenti esperienze di workshop continueremo a studiare e a interrogare la relazione tra corpo, presenza, atto creativo e lo spazio urbano Si tratta di sei appuntamenti da luglio a novembre 2012 con format particolari che vanno da incontri di tre giorni fino ad un massino di dieci. Ogni appuntamento affronterà un tema specifico di lavoro e studieremo le peculiarità della città e del territorio ospitante. Sono previsti nel percorso gli interventi di altri artisti e studiosi, al fine di allargare l’offerta formativa Al termine di ogni seminario è prevista una apertura al pubblico per studiare l’esperienza dell’esposizione agli occhi degli spettatori. Sarà possibile frequentare tutto il percorso completo o anche solo un singolo seminario. Sono previste delle formule economiche per agevolare la partecipazione al maggior numero di appuntamenti. Piccola scuola nomade è rivolta a danzatori, attori e performer professionisti e non fino ad un massimo di 15 partecipanti. Prima tappa: Torino 7-­‐11 luglio DARE PRESENZA, ESSERE TESTIMONI “sappi che tu mangi ciò che vedi, e che mangiando lo diventi, perché esso ti inghiottisce dall’interno, e ti digerisce dall’interno. Sappi che il visibile è un veleno mortale e divorante” Georges Didi-­‐Huberman parafrasando S.Agostino il lavoro in sala sarà caratterizzato da un progressiva presa di consapevolezza della fisiologia del corpo, della sua struttura, dell’ascolto dei bisogni. Ci soffermeremo in particolare sul sistema scheletrico. Procederemo nello studio della qualità della presenza, nella relazione della presenza con lo spazio circostante. Ci introdurremo dentro lo spazio dell’improvvisazione. Lo studio delle periferie di Torino sarà uno dei focus di questo appuntamento. Torino è una delle città i cui sono stati tentati esperimenti di riqualificazione urbana tra i più innovativi in Italia. Sarà interessante vedere come una città a grande vocazione industriale ha ri-­‐orientato o no le sue periferie, come vive oggi la città operaia. Un viaggio a piedi da Mirafiori nord a Falchera attraverso vuoti e i pieni che definiscono il paesaggio. Il legno sarà l’elemento guida di questo seminario. L’ultimo giorno è prevista un’apertura al pubblico in uno spazio all’aperto ancora da definire. Ospite: Davide Tidoni – sound space researcher Partecipanti : 18 Seconda tappa: Genova 27 – 29 luglio NEL SILENZIO PRIMA Un appuntamento a breve distanza dal primo, di meno giorni, e interamente in sala. Un focus tutto sul lavoro del corpo, sul movimento, sulla respirazione, sull’ascolto e la scrittura individuale. Un tempo di studio concentrato e mirato a rafforzare i principi basilari del lavoro in scena. Un tempo per studiare l’accoglienza, la capacità di sensibilizzarsi per ricevere le informazioni, per dare corpo a quel silenzio prima di ogni evento. L’elemento guida sarà l’aria. Non è prevista alcuna apertura. Partecipanti :13 Terza tappa: Serra dei conti 15 – 25 agosto COME UN CAMPO INCOLTO “Guardando alcune strade si incontrano giardini involontari. Li ha creati la natura. Non danno l’impressione di essere selvatici e tuttavia lo sono. Un indizio, un fiore particolare, un colore vivo, li distingue dal paesaggio circostante. Guardando questi giardini come i cani guardano le mosche, avvertiamo uno sfasamento… Gilles Clement – il giardino in movimento COME UN CAMPO INCOLTO è questa particolare forma di seminario della durata di 10 giorni in cui i partecipanti collaboreranno alla costruzione di un accampamento dove il gruppo vivrà, preparerà il cibo, dormirà e porterà avanti la materia di studio. Il centro tematico del seminario sarà la trasformazione, la possibilità di modificare il paesaggio, lo spazio,e di trasfigurare noi stessi a fronte della relazione con l’altro e con l’ambiente. Lavoreremo a renderci flessibili, permeabili, in movimento. Il lavoro avrà una parte di studio in sala dove affronteremo il sistema muscolare e il sistema fasciale e questioni compositive legate alla relazione, alla scrittura in due o tre, al lavoro in gruppo. Il laboratorio si arricchirà della partecipazione di alcuni ospiti. La terra e i fuoco saranno gli elementi guida di questa tappa. L’ultimo giorno è prevista un apertura al pubblico del laboratorio all’interno dell’accampamento. Ospiti: Emiliano Austeri scenografo terrà un laboratorio di autocostruzione di rifugi e capanne Vincenzo Schino e Marta Bichisao della compagnia Opera terranno una giornata di lavoro sul lavoro dell’attore Mariangela Gualtieri del Teatro Valdoca terrà una piccola conferenza sul tema della trasformazione Partecipanti: 23 Quarta tappa: Terni 12-­‐16 settembre KING – studio sul potere “Io abito il mio corpo come una casa su una frana” F. Arminio -­‐ terracarne Questa tappa sarà uno scavo più specifico dentro l’universo poetico della compagnia e in particolare dentro il nuovo lavoro che si chiamerà appunto KING. Viaggeremo in un parallelo tra la città e il corpo cercando di rintracciare, come fossero due mappe interconnesse, le manifestazioni del potere, i suoi segni, le tensioni, i paradossi, i conflitti. Indagheremo come creare azioni sceniche e movimento da queste informazioni. Concentreremo il lavoro in sala sullo studio del sistema nervoso e del sistema endocrino. Ci occuperemo della forza del pensiero, della sua invadenza, della possibilità di creare da un punto ispirato, misterioso, pragmatico, fuori dalla razionalità. Lavoreremo molto sulla praticità, sui gesti quotidiani, sulla semplicità dell’azione e allo stesso tempo sulla possibilità di trasformazione e astrazione. Lavoreremo basculando tra energie sottili ed energie più esposte dinamiche, prorompenti. Il metallo sarà l’elemento guida del seminario. Ospiti: Simone Bicorgna – insegnante di Parkour Partecipanti: 18 Quinta tappa: Venezia 3-­‐7 ottobre TORNARE ALL’UNO “Certo io faccio scultura e pittura e questo da sempre, dalla prima volta che ho disegnato o dipinto,per mordere la realtà, per difendermi, per nutrirmi, per crescere; crescere per meglio difendermi, per meglio attaccare, per fare più presa, per avanzare il più possibile su tutti i piani, in tutte le direzioni, per difendermi contro la fame, contro il freddo, contro la morte per essere il più libero possibile; il più libero possibile per tentare – coi mezzi che oggi mi sono propri – di vedere meglio, di capire meglio, quel che mi circonda; di capire meglio per essere il più libero, il più forte possibile, per spendere, per spendermi il più possibile in quello che faccio, per correre la mia avventura, per scoprire nuovi mondi per combattere la mia guerra, per il piacere? Per la gioia? Della guerra, per il piacere di vincere e di perdere.” Alberto Giacometti – la mia realtà Venezia come simbolo dell’arte e del genio umano. Sarà il nostro pretesto per ragionare su come sviluppare la propria arte personale in relazione al presente e alle questioni dell’ascolto che fondano la nostra proposta. Il focus tematico sarà quindi quello del fare arte. Della capacità peculiare di ognuno di costruire un universo poetico e relazionarlo agli altri e allo spazio condiviso. Dedicheremo molto tempo al viaggio in solitaria, alla solitudine necessaria per entrare in contatto con le ombre, i silenzi, le cose nascoste. Sarà un lavoro a partire dal singolo, dalle caratteristiche individuali, dalle motivazioni personali per poi giungere alla messa in condivisione, a generare un fatto terzo tra me e l’altro da me. Far esplodere l’uno per poi ricucirlo dentro un universo più grande e cosi ritrovarsi. L’acqua sarà uno degli elementi guida di questo seminario, come sostanza da cui si è generata la vita, come qualita dell’accoglienza. Nel corpo porremo attenzione al sistema arterioso e venoso, al sistema dei liquidi e a quello viscerale. Alla fine del seminario è prevista un’apertura al pubblico dentro gli spazi del magazzino del sale. Ospite: Andrea Abbatangelo – artista visivo Partecipanti: 16 Sesta e settima tappa: Milano 3-­‐4-­‐5 e 8-­‐9-­‐10 novembre SCOLPIRE IL TEMPO “L’orribile è sempre racchiuso nello stupendo, cosi come lo stupendo è racchiuso nell’orribile. La vita è compenetrata dal lievito di questa contraddizione grandiosa fino all’assurdo che nell’arte si presenta in una unità contemporaneamente armonica e drammatica. L’immagine rende palpabile questa unità dove tutto è contiguo e ogni cosa trapassa nell’altra. L’immagine può essere creata e percepita, accettata oppure respinta, ma non compresa nel significato cerebrale della parola. L’arte invece ci da questa possibilità, essa rende l’infinito avvertibile…” Andreij Tarkovskij – scolpire il tempo Queste ultime due tappe molto ravvicinate tra loro saranno l’occasione per lavorare sulla complessità e sulla visione a partire dall’ascolto del presente. La tappa di Milano all’interno del festival Pulsi, che da anni si interroga intorno all’improvvisazione, è per noi il luogo per sperimentare e concentrarci proprio su quel fenomeno chiamato improvvisazione e per tentare di ridefinirlo secondo la nostra esperienza. Studieremo il campo comune di ascolto, lo spazio condiviso dove viaggiano le informazioni, capiremo come predisporci per essere al servizio dell’azione, per sottrarre volontà e per essere in accordo con il nostro sentire e quello degli altri. Approfondiremo le questioni legate all’azione, alla percezione dell’inizio e della fine, e alla presenza, all’esposizione allo sguardo. Ricostruiremo un architettura fatta di corpi di sguardi, di presenze, di segni ricuciremo l’esperienza urbana dentro lo spazio vuoto del teatro. Lavoreremo generando al presente senza la preoccupazione della comprensibilità e del senso nella fiducia che il senso non è un atto unilaterale, ma il frutto di un percorso, di una relazione esposta alle intemperie del tempo. Nel corpo lavoreremo nella costruzione di una percezione di unità, di integrazione delle informazioni accumulate, nella scoperta delle forze sottili, di collegamento, che animano il corpo. Lo spazio-­‐tempo sarà l’elemento guida. Partecipanti: 25 DOCUMENTAZIONE Stiamo lavorando ad una narrazione più complessiva del viaggio di ricerca che si compone di scritti dei partecipanti, di appunti sul lavoro, di foto, video, testimonianze. Per ora molto materiale è visionabile nel nostro sito web www.casastrasse.org/index.php?/formazione/piccola-­‐scuola-­‐nomade/ E sulla nostra pagina facebook camminarenellafrana_012 Materiali on-­‐line Qui di seguito alcuni materiali visionabili > Video -­‐ Camminare nella frana/piccola scuola nomade Serra de’conti COME UN CAMPO INCOLTO – AGOSTO 2012 Clip 3:41 http://www.youtube.com/watch?v=NbiXropWiQc Terni STUDIO SUL POTERE – SETTEMBRE 2012 Clip 4:04 http://www.youtube.com/watch?v=u3fcKeHFOic -­‐ King Primo studio Terni giugno 2012 www.youtube.com/watch?v=Yu8BvMvjwLc > Foto: -­‐ camminare nella frana/ milano e dro maggio e luglio 2011 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.10150562636568295.374466.308080088294&type=3 -­‐ camminare nella frana/Piccola scuola nomade Torino – DARE PRESENZA, ESSERE TESTIMONI-­‐ LUGLIO 2012-­‐12-­‐21 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.528058753878560.125082.340301882654249&type=1 Genova – NEL SILENZIO PRIMA – LUGLIO 2012 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.528065957211173.125083.340301882654249&type=3 ujh† Serra de’Conti -­‐COME UN CAMPO INCOLTO – AGOSTO 2012 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.4650023491519.187080.1321191102&type=3 Terni – STUDIO SUL POTERE – SETTEMBRE 2012 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.4731953299713.189105.1321191102&type=3 Venezia – TORNARE ALL’UNO – OTTOBRE 2012 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.4813571260111.190927.1321191102&type=3 Milano –SCOLPIRE IL TEMPO – NOVEBRE 2012 http://www.facebook.com/media/set/?set=a.4997073167544.194420.1321191102&type=3 -­‐ King Celra (spagna) – Cortona – Castiglioncello – Terni http://www.casastrasse.org/index.php?/produzioni/kings/ > Intervista: http://www.klpteatro.it/leonardo-­‐delogu-­‐la-­‐tappa-­‐finale-­‐del-­‐mio-­‐camminare-­‐nella-­‐frana BIO STRASSE Srasse nasce a Milano nel 2006 con il nome di ProvocoAzioni, da Francesca De Isabella e Sara Leghissa. Il progetto si costituisce di azioni che cercano una forma e un linguaggio diretto per comunicare con la realtà urbana (archivio presso www.provocoazioni.it). Nel 2009 il progetto, con Elena Cleonice Fecit, si pulisce e definisce, attraverso la gestione di uno spazio, Casa Strasse, che ospita laboratori di teatro e di teatrodanza, e diventa residenza per studi e produzioni (www.strasseontown.blogspot.com). Da luglio 2010 Strasse non ha più una sede a Milano. Senza casa, Strasse smette di identificarsi con uno spazio e ritorna a essere un modo di agire lo spazio, lo spazio pubblico, lo spazio privato. Nel settembre 2011, in seguito a precedenti collaborazioni, Leonardo Delogu entra attivamente nell’associazione. Strasse nasce dalla necessità di fare entrare il linguaggio teatrale in canali e spazi aditi alla vita quotidiana e alla gestualità della vita urbana. L’intenzione non è quella di riqualificare o sconvolgere questi spazi nel loro significato, ma quella di sottrarli all’imperturbabile flusso del quotidiano, e trasportarli, per un momento, altrove. “ …è come una sommossa che non si scontri direttamente con lo Stato, un’operazione di guerriglia che libera un’area (di tempo, di terra, di immaginazione) e poi si dissolve per riformarsi in un altro dove, in un altro tempo, prima che lo Stato la possa schiacciare” (T.A.Z.) Strasse si ridefinisce oggi come un luogo di produzione, formazione e ricerca che indaga la relazione tra il lavoro su corpo, lo spazio urbano e il video. Strasse apre una strada di indagine che si orienta attraverso la guida di alcune parole chiave, fuochi di lavoro dedotti dalle precedenti esperienze individuali e collettive. BIO LEONARDO DELOGU nato a Terni nel 1981 Inizia gli studi di teatro nel 2002 con la scuola europea per l’attore realizzata dalla Fondazione Emilia Romagna Teatro per la direzione artistica di Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri del Teatro Valdoca. Qui studia fra gli altri con Danio Manfredini, Catia dalla Muta,Gabriella Rusticali, Carolina Talon Sampieri, Rhuena Bracci. Dopo la scuola entra nella compagnia e lavora praticamente in tutti i principali lavori prodotti fino ad oggi. Ora con il teatro Valdoca è impegnato nella tournèe dell’ultima creazione “ Caino”., Dal febbraio 2009 a giugno 2010 fa parte del gruppo di lavoro biennale sulle nuove scritture per la danza contemporanea diretto da Raffaella Giordano, supportato dal Teatro Stabile di Torino e dall’Arboreto di Mondaino, dove studia tra gli altri con Chiara Guidi, Francesca dalla Monica, Cinzia de Lorenzi. Da questa esperienza fonderà insieme ad altri 11 artisti la famigliafuchè collettivo di giovani attori e danzatori impegnati nello studio del corpo e dell’improvvisazione. Dal 2010 inizia la collaborazione con la compagnia di danza catalana Malpelo. Nel 2011 inizia a seguire i seminari di danza sensibile condotti da Claude Coldy ed ora fa parte del 4° cerchio di Formazione triennale in DS. Nel 2009 comincia un personale percorso di ricerca che porta alla realizzazione del progetto "Tu sei dunque venuto in questa casa per distruggere" e la performance "io sono dei vostri" di cui è regista e interprete. Ora è impegnato nel nuovo progetto King. Dal 2011 è entrato a fare parte del collettivo di artisti Strasse e ha anche cominciato la sua attività di formatore con i laboratori Camminare nella frana. Dal 2012 è artista associato Sosta Palmizi. > Contatti: Leonardo Delogu Mail:[email protected] Mobile: +39 3208638472 Web: www.casastrasse.org Skype: leonardocammina