61 - unitel

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Casi pratici
Agevolazioni
ƒ IL 36% ANCHE IN ASSENZA DI ACCORDO CON I CONDOMINI
D. In vista dei lavori di manutenzione ordinaria della facciata del mio palazzo, sono il solo
condomino che all’amministratore chiede l’attivazione della procedura del 36%; gli altri condomini
sono contrari. Cosa posso fare per rivendicare i miei diritti?
----R. Nel caso in questione, il singolo condomino può attivare direttamente la pratica per il 36% e
sarà l’unico che avrà diritto alla detrazione, provvedendo a pagare gli importi con bonifico bancario
o postale a suo nome. Il limite detraibile, per la detrazione del 36% (articolo 2, comma 15, legge
203/2008) per gli interventi condominiali è sempre riferito, come limite massimo, alla singola unità
immobiliare. In sostanza, se il condominio consta di 10 unità, il limite di 48.000 euro per i lavori di
manutenzione ordinaria va moltiplicato per le 10 unità immobiliari di cui è costituito il condominio.
Il condomino, unico beneficiario della detrazione, dovrà inviare la comunicazione al Centro
operativo di Pescara preventivamente all’inizio dei lavori a nome del condominio e lui stesso dovrà
a suo nome pagare le proprie quote di lavori con bonifico a fronte di fatture a lui intestate, con
l’indicazione del costo della manodopera. Alla comunicazione a Pescara dovranno essere allegate
copia della delibera assembleare del condominio e della tabella millesimale di ripartizione della
proprietà sulle parti comuni che autorizza il rifacimento della facciata del condominio. Ovviamente,
gli eventuali controlli sulla regolarità dei lavori sotto il profilo fiscale e urbanistico riguarderanno
tutti i lavori e non la sola quota di competenza del condomino che vuole accedere al 36% (guida
alle agevolazioni del 36% edita dall’agenzia delle Entrate e pubblicata sul sito
www.agenziaentrate.it). I lavori devono essere eseguiti regolarmente, altrimenti ciò potrebbe
inficiare la spettanza del 36% al singolo condomino. Resta il fatto che non risulta comprensibile la
mancanza di interesse degli altri condomini nei confronti del possibile beneficio.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 22 giugno 2009, n. 47)
Antincendio
ƒ LARGHEZZA DELLE SCALE E DELLE USCITE DI UN ALBERGO
D. Come si calcola la larghezza delle scale facenti parte del sistema di vie di esodo di un'attività
alberghiera?
Ai sensi del punto 7.6, "Larghezza totale delle uscite", D.M. 9 aprile 1994, "La larghezza totale
delle uscite da ogni piano, espressa in numero di moduli, è determinata dal rapporto tra il massimo
affollamento previsto e la capacità di deflusso del piano.
Per le strutture ricettive che occupano più di due piani fuori terra, la larghezza totale delle vie di
uscita che immettono all'aperto viene calcolata sommando il massimo affollamento previsto in due
piani consecutivi, con riferimento a quelli aventi maggiore affollamento".
Dovendo calcolare la larghezza delle scale nonché il numero totale dei moduli di uscite di
emergenza necessari affinchè sia garantito l'esodo, nel caso in cui i due piani a maggior
affollamento siano il piano terra (dove è presente il ristorante, la hall, il bar, la sala colazioni ecc.)
e il primo piano, con quale criterio si calcola la larghezza delle scale?
Considerando la somma dell'affollamento del piano terra e del primo piano oppure, visto che le
persone presenti al piano terra non utilizzano le scale, solo l'affollamento del primo piano?
----R. La larghezza delle scale deve essere determinata in base all'affollamento previsto nei due piani
consecutivi in elevazione che ospitano il maggior numero complessivo di persone.
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Quindi, escludendo il piano terra, occorre individuare i due piani consecutivi di massimo
affollamento e calcolare la larghezza delle scale in base alla somma delle presenze di ciascun piano
e alla capacità di deflusso prevista dal punto 7.2, decreto ministeriale 9 aprile 1994.
Viceversa, se, come spesso accade, le uscite del piano terra sono indipendenti dal vano scala, il
dimensionamento delle uscite al piano terra deve tener conto del massimo affollamento previsto a
questo livello.
A queste uscite (o numero di moduli) calcolate per il piano terra occorre aggiungere, invece,
ulteriori moduli di esodo per tenere conto delle scale provenienti dai piani superiori qualora queste
non immettano direttamente all'aperto ma, per esempio, conducano nella hall dell'albergo (nei casi
in cui questa situazione è consentita).
(Mario Abate, Ambiente & Sicurezza,Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009, n. 13, p. 74)
ƒ
COINTESTAZIONE DEL CPI
D. Un'esposizione di auto è stata realizzata in un edificio a uso esclusivo costituito da due piani
fuori terra sulla base di un progetto approvato nel 2001.
Al piano terra, di superficie pari a 900m2, è realizzata la vera e propria esposizione accessibile al
pubblico.
Al piano primo, di superficie pari a 900 m2, è stato realizzato il deposito di autoveicoli (privi di
carburante e con alimentazione elettrica disconnessa). Per portare le auto al piano primo è
installato un apposito montacarichi. Il proprietario ha deciso di dividere in due l'edificio e di
affittare le due porzioni dell'edificio a due società di vendita di auto distinte.
Al piano terra saranno realizzati, pertanto, due compartimenti privi di comunicazioni e con accessi
indipendenti destinati entrambi a esposizione auto accessibile al pubblico.
Al primo piano saranno realizzati due compartimenti destinati a deposito di autoveicoli (privi di
carburante e con alimentazione elettrica disconnessa).
Entrambe le porzioni avranno superficie lorda complessiva superiore a 400 m2 per cui saranno
individuabili come attività 87 di cui al D.M. 16 febbraio 1982.
Il mio dubbio riguarda il montacarichi che sarebbe utilizzato per portare le auto in entrambi i
depositi auto al primo piano. Il montacarichi sarà accessibile dall'esterno (da spazio scoperto). Il
vano del montacarichi avrà resistenza al fuoco REI 120. Al piano primo sarà realizzato un
disimpegno di sbarco REI 120. La comunicazione con un compartimento (deposito auto) avverrà
tramite porta REI 120 con autochiusura. La comunicazione con l'altro compartimento (deposito
auto) avverrà tramite filtro a prova di fumo.
Chiaramente, questa modifica comporta la richiesta del parere di conformità antincendio.
Il fatto di avere il montacarichi in comune e l'impianto idrico antincendio in comune comporta il
dover cointestare il certificato di prevenzione incendi alle due società?
----R. Per rispondere in maniera precisa occorrerebbe verificare esattamente la configurazione delle
attività descritte. In linea di massima, quello che può determinare la necessità di cointestare il
certificato di prevenzione incendi è la connessione funzionale fra le due sezioni dell'edificio. La
connessione funzionale può essere determinata, più che dalla unicità dell'impianto antincendio,
dalla fruizione non completamente distinta delle due attività e, quindi, dall'eventuale utilizzo
comune di montacarichi, di vie di accesso, di vie di esodo, di comandi di intervento di emergenza
ecc. Un altro elemento di valutazione può essere costituito dall'indipendenza dei comandi degli
impianti (per esempio, elettrico, antincendio) per ogni attività.
(Mario Abate, Ambiente & Sicurezza,Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009, n. 13, p. 74)
ƒ
CPI PER UNA ATTIVITÀ FRAMMENTATA
D. Una ditta, soggetta ai controlli di prevenzione incendi in quanto ricadente al punto 87, D.M. 16
febbraio 1982, intende separare completamente le due parti destinate rispettivamente a
esposizione e a deposito, in modo da non essere più soggetta alla richiesta del certificato di
prevenzione incendi.
In particolare, si intenderebbe procedere a una separazione completa tra le due zone creando locali
distinti e separati, con accessi indipendenti, e ognuno avente superficie inferiore a 400 m2. Nel
primo locale la ditta svolgerebbe l'attività di vendita vera e propria, mentre il secondo locale
sarebbe utilizzato per il deposito della merce.
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In questa eventualità, oltre a non raggiungere le superfici per far rientrare l'attività tra quelle di cui
ai punti 87 e 88, D.M. 16 febbraio 1982, i quantitativi di materiali combustibili, presenti in ciascun
locale, non configurerebbero nemmeno altre attività soggette comprese nell'elenco allegato allo
stesso decreto.
Quindi, ricapitolando la ditta è sempre la stessa, l'attività è la stessa ma i due locali sono
complementari e inscindibili.
Una tale situazione determina ancora l'esistenza di una attività 87 anche se non c'è più una
comunicazione diretta tra i due locali?
Oppure la separazione determina, sic et simpliciter, una non più necessaria osservanza della
normativa antincendio?
----R. Una separazione, priva di comunicazioni, tra locali compartimentati aventi accessi diversi e
indipendenti realizza certamente una frammentazione del rischio incendio di una attività.
Pertanto, se le caratteristiche delle attività svolte nei compartimenti risultano al di sotto delle soglie
stabilite dall'elenco allegato al D.M. 16 febbraio 1982, quali limiti di interesse dal punto di vista
della prevenzione incendi, le stesse possono essere escluse dai controlli di prevenzione incendi e,
quindi, dalla richiesta del certificato di prevenzione incendi.
Per il caso prospettato, quindi, se la superficie del locale vendita, comprensiva dei servizi e dei
depositi con essa comunicanti, è inferiore ai 400 m2, l'attività non può configurarsi rientrante al
punto87, D.M. 16 febbraio 1982.
E' necessario non confondere, però, l'assoggettabilità ai controlli dei Vigili del Fuoco con
l'osservanza dei criteri di sicurezza e delle norme generali di prevenzione incendi.
(Mario Abate, Ambiente & Sicurezza,Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009, n. 13, p. 76)
ƒ
TRAMEZZI DI SEPARAZIONE TRA CORRIDOIO E CAMERA
D. All'interno di un albergo, se l'accesso alle camere, ubicate al primo, al secondo e al terzo piano
fuori terra (al piano terra è presente la hall e la sala colazioni), è realizzato mediante un ballatoio
esterno, i tramezzi di separazione tra le camere e i corridoi devono essere comunque REI 30?
Poiché le camere saranno realizzate con una parete parzialmente vetrata prospiciente proprio il
ballatoio, è necessario comprendere se i vetri dovranno essere REI oppure, se il ballatoio è
considerabile esterno (anche se coperto dalla proiezione del ballatoio del piano superiore), possono
essere di tipo normale.
----R. Il punto 6.5, "Corridoi", D.M. 9 aprile 1994, ha prescritto che "I tramezzi che separano le
camere per ospiti dai corridoi devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiore a REI
30. Le porte delle camere devono avere caratteristiche non inferiore a RE 30 con dispositivo di
autochiusura".
Questo al fine di assicurare una idonea compartimentazione che garantisca la fruibilità dei corridoi
come vie di esodo in caso di incendio.
Quindi, a rigore, anche nel caso prospettato, in cui i corridoi di piano sono costituiti da ballatoi
esterni, i requisiti citati devono comunque essere rispettati.
Infatti, in caso di incendio, il ballatoio potrebbe essere investito dal fumo, che presumibilmente
tenderebbe a disperdersi con relativa facilità, venendo interessato, inoltre, dall'irraggiamento
termico originato dalle fiamme.
Questa situazione potrebbe ritardare o addirittura impedire l'evacuazione delle persone e dei clienti
a meno di non avere a disposizione un ballatoio sufficientemente largo.
A quest'ultimo riguardo, l'eventuale sufficiente larghezza del ballatoio deve essere oggetto di
valutazione in sede di esame del progetto da parte del competente Comando provinciale dei Vigili
del Fuoco sulla base degli esiti di una approfondita valutazione del rischio incendio.
(Mario Abate, Ambiente & Sicurezza,Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009, n. 13, p. 75)
ƒ
CONFORMITÀ ANTINCENDIO PER UN’ISOLA ECOLOGICA
D. Si sta predisponendo la richiesta di parere di conformità antincendio per un’isola ecologica, nella
quale sono depositati diversi materiali tra cui carta, legname, plastica, gomma ecc. Si configurano
come depositi anche se i materiali stazionano in container all’aperto?
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R. Ai fini della assoggettabilità all’obbligo di certificato di prevenzione incendi, occorre verificare
semplicemente se ogni singola tipologia di deposito, quale legna, carta, plastica ecc., possa o meno
essere ricomprensibile in una delle attività di cui al D.M. 16.02.1982. Per esempio, considerando la
carta, la voce di cui al punto 43, D.M. 16.02.1982, ha compreso i depositi con capacità maggiore di
50 q, indipendentemente dal fatto che siano ubicati all’aperto o al chiuso. Quando il legislatore ha
voluto escludere i depositi all’aperto, lo ha fatto espressamente, come al punto 46, D.M. 16
febbraio 1982. Lo stesso vale per quanto specificato ai punti 55 e 58, D.M. 16 febbraio 1982.
(Mario Abate, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009, n. 13, p. 76)
Appalti
ƒ AVVALIMENTO
D. E' possibile partecipare ad una gara d'appalto in avvalimento beneficiando dell'aumento del
"quinto" della classifica di qualificazione in possesso?
----R. L'art. 49, c. 1 del D.lgs 163/2006 prevede, in termini assolutamente generici, che il concorrente
alla gara possa avvalersi, ai fini della qualificazione, dei requisiti di carattere tecnico, economico,
finanziario, e organizzativo ovvero dell'attestazione SOA di un altro soggetto. Proprio la genericità
di tale disposizione comporta che, ai fini dell'individuazione dei requisiti che possono costituire
oggetto di "prestito", non vi siano indicazioni puntali né tanto meno limiti predefiniti dal legislatore.
Ne consegue che i requisiti dell'impresa ausiliaria possono essere prestati all'impresa principale
secondo le caratteristiche che essi hanno in base alla disciplina che li regolamenta. Pertanto, con
specifico riferimento all'attestazione SOA e, più in particolare, alla possibilità che l'impresa in
possesso di una certa classifica di iscrizione possa beneficiare dell'aumento del quinto riferito al
relativo importo, si deve ritenere che tale possibilità possa essere utilizzata anche qualora il
requisito venga in considerazione nell'ambito di un rapporto di avvalimento. In definitiva, non
sembrano sussistere impedimenti alla possibilità che l'impresa che concorre alla gara possa
usufruire dell'aumento del quinto in relazione alla classifica di iscrizione posseduta dall'impresa
ausiliaria. Il fenomeno delle offerte anomale è una delle questioni "storiche" del settore delle opere
pubbliche, su cui da sempre si confrontano soluzioni legislative, interventi giurisprudenziali,
opinioni degli operatori. Il problema si ripropone in maniera ancora più accentuata nei periodi di
crisi del mercato, in cui la "caccia all'appalto" comporta che pur di aggiudicarsi la gara i concorrenti
non esitano a formulare offerte con ribassi molto elevati (appunto anomali). Con altrettanta
puntualità si ripresenta il dibattito sui meccanismi più efficaci per frenare il fenomeno. In
particolare, si riaffaccia la tesi di chi ritiene che almeno per gli appalti sottosoglia - per i quali non
vi è una norma comunitaria che espressamente preveda l'obbligo di esclusione previa verifica in
contraddittorio- sia più conveniente procedere all'esclusione automatica delle offerte anomale. In
realtà, la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia UE ha affermato che l'obbligo di far
precedere l'esclusione delle offerte sospette di anomalia da una fase di verifica in contraddittorio
con gli offerenti costituisce un principio generale dell'ordinamento comunitario. Come tale, esso
deve trovare applicazione anche con riferimento agli appalti sottosoglia. Le ragioni alla base di
questa impostazione sono chiare. Da un lato, si tende a garantire che la stazione appaltante non
escluda aprioristicamente offerte che, pur presentando ribassi elevati, sono giustificabili, cioè
potenzialmente idonee a garantire la corretta esecuzione dei lavori. Dall'altro, si vuole evitare che il
meccanismo di esclusione automatica possa costituire un ostacolo allo sviluppo di una sana
concorrenza, impedendo a imprese che hanno formulato offerte vantaggiose (e congrue) di
rendersi affidatarie dei lavori. La stessa giurisprudenza comunitaria ammette tuttavia per gli appalti
sottosoglia alcune eccezioni al principio dell'obbligo di esclusione preceduta da contraddittorio. Una
recente pronuncia della Corte Ue del 15 maggio 2008 consente infatti l'esclusione automatica in
due ipotesi: a) per gli appalti che non presentano un interesse c.d. transfrontaliero, che cioè per
dimensione, ubicazione o altre caratteristiche non siano idonei ad attrarre l'interesse delle imprese
di altri paesi; b) nel caso in cui il numero dei partecipanti alla gara sia talmente elevato da rendere
la verifica in contraddittorio estremamente difficoltosa in relazione alle capacità organizzative
dell'ente appaltante. Il legislatore nazionale ha tendenzialmente seguito queste indicazioni che
emergono a livello comunitario. Con le ultime modifiche del terzo decreto correttivo l'esclusione
automatica è infatti una facoltà che le stazioni appaltanti possono esercitare solo per gli appalti fino
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a 1 milione di euro, quasi a identificare tale limite di importo con l'insussistenza dell'interesse
transfrontaliero dell'appalto; e comunque purchè le offerte ammesse siano superiori a dieci. La
linea di tendenza è quindi chiara: l'esclusione delle offerte anomale deve essere preceduta dalla
verifica in contraddittorio, mentre l'esclusione automatica deve essere limitata
a ipotesi
circoscritte. Ne esce rafforzata da un lato l'esigenza che gli enti appaltanti si attrezzino per
compiere efficacemente tale verifica; dall'altro, la necessità che essi siano supportati in questo loro
sforzo da una disciplina legislativa meno vincolante di quella contenuta nel Codice dei contratti e da
un indirizzo giurisprudenziale il più possibile univoco e probabilmente emendato da alcuni eccessi di
ipergarantismo formale.
(Roberto Mangani, www.ediliziaterritorio.ilsole24ore.com, 1 giugno 2009)
ƒ
MATERIALI
D. Il decreto che doveva fissare gli aumenti sui materiali intervenuti nell'anno 2008 avrebbe
dovuto essere pubblicato entro il 31.1.2009. E' stato emanato?
----R. E' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 106 del 9 maggio 2009 i l Decreto del Ministero
delle Infrastrutture e Trasporti che - ai sensi dell'art. 1, comma 1 del decreto legge 23.10.2002, n.
162 - in deroga all'art. 133, commi 4, 5, 6, e 6 bis del D.lgs. 163/2006 rileva entro il 31 gennaio
2009, le variazioni percentuali su base annua, in aumento e in diminuaizone, superiori all'8%,
relative al 2008, dei prezzi dei materiali da costruzione più significativi. Tale Decreto consente il
calcolo della compensazione da liquidare agli appaltatori per gli eccezionali aumenti subiti da taluni
materiali da costruzione nel 2008.
L'istanza per ottenere la compensazione dovrà essere presentata alla stazione appaltante, a pena
di decadenza, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale in esame (9
maggio 2009) ossia entro l'8 giugno 2009.
PREMESSA - IL D.l. 23 OTTOBRE N. 162, CONVERTITO CON LEGGE 22 DICEMBRE 2008, N. 211
Il decreto legge 23 ottobre 2008, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla 22 dicembre 2008, n.
deroghe alla disciplina ordinaria in materia di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione
(di cui all'art. 133, commi 4, 5 e 6 e dell'art. 253 comma 24 del D.Lgs. n. 163/2006), al fine di
tener conto delle improvvise oscillazioni dei prezzi di taluni materiali da costruzione che, nel corso
del 2008, hanno inciso fortemente nei rapporti contrattuali tra stazioni appaltanti e imprese
esecutrici. La rilevazione dei prezzi avviene su base semestrale, riguarda le variazioni dei prezzi dei
materiali superiori all 8% per l'anno 2008 e non risulta più ancorata al verificarsi di circostanze
eccezionali. Il ritardo, imputabile all'impresa, nell'andamento dei lavori rispetto al cronoprogramma
contrattuale, rende inapplicabili le variazioni dei prezzi e la conseguente compensazione.
L'accertamento dell'imputabilità del ritardo all'appaltatore dovrà essere effettuto, ove possibile, dal
collaudatore in corso d'opera ovvero dal responsabile del procedimento; comunque l'appaltatore
potrà ottenere la compensazione, rilasciando garanzia fideiussoria pari all'importo
dell'adeguamento.
IL DECRETO MINISTERIALE 30 APRILE 2009
Il Decreto Ministeriale adottato lo scorso 30 aprile, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 106 del 9
maggio 2009, in attuazione della succitata normativa di cui al D.L. n. 162/2008 richiama,
nell'articolo 1, una serie di Allegati che riportano i prezzi medi per semestre; in particolare:
- nell'allegato 1, i prezzi medi per l'anno 2007 relativi ai materiali da costruzione più significativi e
le variazioni percentuali dei prezzi superiori all'8%, verificatesi nel primo e nel secondo semestre
dell'anno 2008, rispetto ai prezzi medi rilevati con riferimento all'anno 2007;
- nell'allegato 2, i prezzi medi per il primo semestre 2008 relativi ai materiali da costruzione più
significativi e le variazioni percentuali dei prezzi superiori all'8%, verificatesi nel secondo semestre
2008, rispetto ai prezzi medi rilevati nel primo semestre dell'anno 2008;
- nell'allegato 3, i prezzi medi dei materiali da costruzione più significativi - già indicati nell'allegato
1 - per ciascuno degli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, e le variazioni percentuali eccedenti il 10%,
verificatesi nel primo e nel secondo semestre 2008, rispetto ai prezzi medi rilevati con riferimento
agli anni 2003, 2004, 2005 e 2006;
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L'articolo 2 richiama, infine, i limiti di copertura finanziaria per le compensazioni in esame, già
fissati dall'art. 1, commi 8, 9, 10 e 11, del D.L. n. 162/2008. Circa la determinazione delle
compensazioni spettanti in base alla normativa in esame, risulta che la compensazione sarà
determinata applicando alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e
contabilizzate nel primo e nel secondo semestre 2008, le variazioni di prezzo:
- eccedenti l'8%, qualora l'offerta sia stata presentata nel 2007 ovvero nel primo semestre 2008
(in quest'ultimo caso, la compensazione sarà applicata con riferimento ai materiali impiegati nelle
lavorazioni eseguite e contabilizzate nel secondo semestre 2008);
- eccedenti il 10% complessivo, qualora l'offerta sia stata presentata nell'arco temporale compreso
fra il 2003 ed il 2006.
(Ivana Falco, www.ediliziaterritorio.ilsole24ore.com, 21 maggio 2009)
ƒ
PREZZI
D. Le stazioni appaltanti sono obbligate ad adottare per i bandi di gara di lavori publbici tariffe
prezzi aggiornate?
----R. Inquadramento normativo
In materia di affidamento di un appalto pubblico, come appare di tutta evidenza dalla disciplina
statale in materia, i prezzari della stazione appaltante o i listini correnti nell'area interessata ,
devono rispecchiare l'andamento reale ed aggiornato dei prezzi di un determinato territorio.
Il Legislatore italiano nell'art. 2 del D.lgs. 163/2006 ha sancito che l'affidamento e l'esecuzione di
lavori pubblici, servizi e forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto
dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, rispettando, altresì, i principi di
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.
Le modalità generali di determinazione dei singoli prezzi sono fissate nell'art. 34 del D.P.R.
554/1999, allo stato vigente, trasfuso nell'art. 32 dell'emanando regolamento di attuazione del
Codice dei contratti:
Il computo metrico estimativo viene redatto applicando alle quantità delle lavorazioni i prezzi
unitari riportati nell'elaborato elenco dei prezzi unitari. Tali prezzi sono dedotti dai vigenti prezzari
della stazione appaltante nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 133, comma 8, del Codice, o
dai listini ufficiali vigenti nell'area interessata.
Partire da un parametro certo e codificato, qual'è il tariffario, nella determinazione del base d'asta,
pone le imprese, che intendono partecipare all'appalto, in una condizione di parità, garantendo il
regolare svolgersi della concorrenza (cfr: Pareri dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici:
n. 41 del 9 ottobre 2007, n. 76 del 23.10.2007 e n. 140 del 13 dicembre 2007) e, allo stesso
tempo, assume una valenza pregnante nella verifica di congruità delle offerte.
Parallelamente all'obbligo inderogabile del progettista di redigere il computo metrico estimativo
applicando i prezzi desunti dal prezzario aggiornato della stazione appaltante, l'art. 133 del Codice
(recante Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi), al comma 8, impone alle
stazioni appaltanti l'aggiornamento annuale i propri prezziari.
Le stazioni appaltanti provvedono ad aggiornare annualmente i propri prezzari, con particolare
riferimento alle voci di elenco correlate a quei prodotti destinati alle costruzioni, che siano stati
soggetti a significative variazioni di prezzo legate a particolari condizioni di mercato. I prezzari
cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati
fino al 30 giugno dell'anno successivo, per i progetti a base di gara la cui approvazione sia
intervenuta entro tale data. In caso di inadempienza da parte dei predetti soggetti, i prezzari
possono essere aggiornati dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture
di concerto con le regioni interessate.
Anche in fase di verifica della documentazione progettuale (nell'ambito del procedimento di
validazione del progetto, disciplinato dall'art. 53 dell'emanando regolamento di attuazione del
Codice), il soggetto preposto al controllo, per la documentazione di stima economica, ha l'obbligo
di verificare che i prezzi unitari assunti come riferimento siano dedotti dai prezzari della stazione
appaltante, aggiornati ai sensi dell'articolo 133, comma 8.
L'obbligo dell'aggiornamento dei prezzi
L'obbligo di aggiornamento dei prezzi posto in capo alle stazioni appaltanti, se da una parte
garantisce la qualità dell'opera pubblica, in aderenza ai principi espressi nel richiamato art. 2,
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comma 1, del D.leg.vo 163/06, dall'altra contribuisce ad assicurare l'equilibrio delle prestazioni
contrattuali, riconoscendo agli operatori economici una sostanziale posizione legittimante
all'aggiornamento dei prezzari. In questo senso vanno lette le diverse pronunce dei Tribunali
amministrativi che pongono in rilievo, sostanzialmente, come l'obbligo di aggiornare i prezzari
costituisca principio fondamentale dell'azione di ogni amministrazione.
In particolare il Tar Catania, nella sentenza n. 2281/2008 (vertenza Catania/Italferr.) afferma la
necessita che le procedure di gara siano poste in essere sulla base di prezzari aggiornati, con valori
economici coerenti con l'attuale andamento del mercato, a pena di intuibile carenza di effettività
delle offerte e di efficacia della pubblica amministrazione, oltre che di sensibili alterazioni della
concorrenza tra imprese, essendo penalizzate dai prezzi non aggiornati soprattutto le imprese più
competitive, poiché sopportano i maggiori oneri per l'aggiornamento del costo del lavoro, per
l'investimento, la formazione e così via.
Per il T.A.R. Catania il rispetto dell'obbligo di assicurare nei contratti pubblici l'effettivo
adeguamento dei prezzari ai valori correnti di mercato, costituisce una sostanziale condizione di
efficacia e di efficienza dell'azione amministrativa e trae, pertanto, fondamento dall'art. 97 della
Costituzione. Si tratta, infatti, di un principio generale dell'azione amministrativa, volto a garantire
sia l'effettività e serietà delle offerte, sia la conseguente sostenibilità dell'appalto, sia la libera ed
effettiva concorrenza tra le imprese.
La configurazione di un vero e proprio interesse legittimo pieno all'aggiornamento dei prezzari, in
capo agli operatori economici, è stata ancor prima espressa dal T.A.R. Puglia, sezione Lecce,
Sentenza 11 ottobre 2007, n. 3468. Tale impostazione rileva sotto il profilo del regolare
svolgimento del procedimento di gara, nel senso che, nel caso in cui venga posto a base d'asta un
prezzario non aggiornato, i soggetti interessati a partecipare alla gara possono impugnare gli atti di
gara, facendo valere dinnanzi al Tribunale amministrativo competente il vizio di violazione di legge
e richiedendo, in tal senso, l'annullamento del bando per illegittimità di un presupposto essenziale
(il prezzario) su cui lo stesso si fonda. In questo senso il TAR di Lecce riconosce sostanzialmente
come legittima, la pretesa delle imprese a che siano posti a base di gara progetti redatti con
prezzari aggiornati, confermando nel merito l'annullamento del bando e del progetto a base d'asta
nella parte relativa ai prezzi non aggiornati utilizzati nella predisposizione della gara.
(Ivana Falco, www.ediliziaterritorio.ilsole24ore.com, 21 maggio 2009)
Edilizia e urbanistica
ƒ COSTRUZIONE IN ADERENZA SENZA CONSENSO DEL VICINO
D. Il mio giardino è stato diviso da quello del vicino con una rete alta due metri, sorretta da ritti in
ferro di pari altezza. Tale struttura è stata prevista in un atto notarile di divisione. Puntualizzo che
non è previsto alcun diritto di veduta, né esistono costruzioni a ridosso di tale rete. Vorrei sapere
se posso realizzare sulla mia proprietà, e in aderenza alla rete, un muro alto due metri senza
chiedere il consenso ai vicini.
----R. L’articolo 877 del Codice civile (costruzioni in aderenza) recita: « Il vicino, senza chiedere la
comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza
appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente. Questa norma si applica anche nel caso previsto
dall'articolo 875; il vicino in tal caso deve pagare soltanto il valore del suolo».Premesso che per
costruzione si intende qualsiasi opera avente i caratteri della solidità, della stabilità e
dell’immobilizzazione rispetto al suolo, ai fini della costruzione in aderenza è necessario che non
ricorra alcuna utilizzazione del muro del vicino e che la nuova fabbrica sia completamente
autonoma (sia strutturalmente e strumentalmente che funzionalmente) dalla costruzione
preesistente. In aderenza, cioè, è quella costruzione che si trovi in semplice contatto con il muro
del vicino, dal quale è, dal punto di vista strutturale, autonoma, in modo che, se venisse meno
questo muro, l’evento risulterebbe del tutto indifferente all’autonomia della costruzione
(Cassazione, 12419/93).Al contrario, ogni qualvolta vi sia utilizzazione del muro del vicino, deve
ritenersi che la nuova fabbrica non possa considerarsi in maniera dissimile dalla edificazione in
appoggio, mancando, in tal caso, la completa autonomia, in quanto il perimento o la demolizione
della fabbrica preesistente non potrebbero verificarsi senza che l’integrità e l’autosufficienza della
nuova costruzione ne siano compromesse (Cassazione, 1507/75). L’edificazione in aderenza e
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l’edificazione in appoggio costituiscono una eccezione alle regole codicistiche delle distanze fra
edifici: nel primo caso, l’edificio deve essere in grado di reggersi autonomamente; nel secondo,
l’edificio eretto si appoggia al muro che sorge sul confine lungo tutta la sua estensione. Solo nel
caso di costruzione in appoggio, il vicino deve prestare il proprio consenso e il proprietario della
nuova costruzione dovrà pagare il costo di metà del muro comune nonché la metà del valore del
suolo su cui è costruito. Nel caso del lettore, la rete metallica non può costituire appoggio e la
costruzione in aderenza è possibile senza consenso
(Paolo Mariotti, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 22 giugno 2009, n. 47)
ƒ
LE REGOLE DA APPLICARE PER LA PEREQUAZIONE
D. Come si attua la perequazione urbanistica in un piano regolatore del Comune? È sempre
necessario che le aree di espansione siano suddivise in comparti urbanistici, oppure vi sono altre
modalità o strumenti?
----R. La perequazione urbanistica consiste nell'attribuzione di un valore edificatorio comune a tutte le
proprietà oggetto di trasformazione del territorio, con il contestuale onere di cessione gratuita delle
aree necessarie alle opere pubbliche. A tal fine, lo strumento maggiormente usato dalle
amministrazioni comunali è quello del comparto, in cui vengono riuniti i lotti, con attribuzione di
una capacità edificatoria complessiva, conseguendone, in pratica, che i proprietari di un comparto
perequativo partecipano in misura uguale alla distribuzione delle rendite e degli oneri derivanti
dalla trasformazione urbanistica del territorio. Altra forma di perequazione è la compensazione, che
avviene quando si attua una cessione di aree per opere pubbliche in permuta con altre edificabili o
diritti edificatori commerciabili. Vi è poi anche l'incentivazione, che premia con incrementi
volumetrici variabili, a seconda delle leggi regionali, interventi edilizi ricompresi in aree soggette a
riqualificazioni urbane, ambientali e paesaggistiche.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Rispondel 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
LA CASA SANATA NON SI PUÒ AMPLIARE
D. La legge regionale della Toscana n. 24 dell'8 maggio 2009 prevede all'articolo 5, comma 4, che
in caso di superfici condonate, esse: a) concorrano a determinare la superficie utile lorda su cui
calcolare l'ampliamento del 20%; b) debbano essere detratte dalla superficie ampliabile. Il 30
dicembre scorso ho acquistato una villetta unifamiliare, per la quale era stata rilasciata ai sensi
della legge 47/85, dietro domanda del precedente proprietario, concessione edilizia in sanatoria
riguardante l'intera costruzione (anno di ultimazione 1959). Visto che quando ho acquistato
l'immobile questo era regolarmente accatastato e conforme alle normative urbanistiche vigenti,
anche se frutto di pregressi "condoni" richiesti dal precedente proprietario, posso effettuare gli
interventi straordinari di ampliamento fino al 20% previsti all'articolo 3 della legge regionale della
Toscana n. 24/2009?
----R. Ai sensi dell'articolo 5, comma 4, lettera b) della legge regionale Toscana n. 24/2009, dagli
ampliamenti realizzabili vanno sottratte le superfici abusive, anche se in seguito condonate. Visto
che, come specificato nel quesito, la sanatoria pregressa riguarda l'intera costruzione, nel caso di
specie non si ritiene possibile fruire dell'incremento volumetrico del 20 per cento.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
L'UFFICIO TECNICO COMUNALE DEVE VERIFICARE L'ABUSO
D. Un cittadino riscontra che una costruzione edificata con Dia (dichiarazione di inizio attività) non
ha rispettato determinate norme, quali le distanze da altri fabbricati e segnala la cosa al
responsabile del procedimento presso l'ufficio tecnico comunale. Questi è obbligato a verificare
l'abuso? In caso affermativo, tocca a lui, e in che modo procedere? In caso invece di risposta
negativa a chi si deve rivolgere il cittadino che riscontra un abuso edilizio?
----R. Ai sensi dell'articolo 27, Dpr 380/2001, spetta al dirigente o al responsabile del competente
ufficio comunale la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale, che può essere
esercitata d'ufficio su denuncia dei cittadini. In sostanza, ove un cittadino segnali in maniera
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circostanziata l’esistenza di opere realizzate da terzi in difformità dal titolo concessorio, spetta al
Comune, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza sull’assetto del territorio, riscontrare l’istanza in
senso positivo (accertando l’effettiva esistenza degli abusi e assumendo i consequenziali
provvedimenti) o negativo evidenziando all’istante come e perché, se del caso in base all’esito dei
necessari accertamenti, non si sia ritenuto di irrogare sanzioni(Consiglio di Stato, sezione IV, 15
gennaio 2009, n. 177).
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
È 10 M LA DISTANZA MINIMA TRA PARETI FINESTRATE
D. Hanno costruito una casa di 4 piani attaccata al muro confinante del mio condominio. Inoltre,
hanno aperto 3 finestre di circa 150x90 cm per ogni piano, che sporgono all'interno del
condominio. Ne avevano il diritto?
----R. Come stabilito dall'articolo 9, comma 2, del Dm 1444/68, la distanza minima da rispettare tra
pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è pari a metri 10. Quanto al metodo di calcolo della
distanza, il regolamento edilizio locale o le norme tecniche attuative del Prg, normalmente,
stabiliscono anche i criteri di misurazione. Fatte comunque salve le indicazioni della normativa
locale, la giurisprudenza prevalente ritiene che la distanza tra i fabbricati deve essere computata
dai punti massimi di sporgenza, compresi terrazzi e balconi (Cassazione civile, sezione II, 28
settembre 2007 n. 20574).
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
RETROCESSIONE: IL VALORE SI CONTESTA IN APPELLO
D. Nel 1969 ho subito un esproprio su un terreno inserito nel Prg con destinazione a verde pubblico
e servizi, ricevendo un indennizzo di circa 120 euro. Sul terreno insisteva all'epoca anche una casa.
Con la legge 47/85 è stata presentata domanda di condono, ottenendo concessione edilizia in
sanatoria. Al fine di ottenere la retrocessione, il Comune chiede l'importo di 96.000 euro, valore
determinato da una perizia privata e riferita ai prezzi di mercato nelle vicinanze di Roma. La
richiesta del Comune appare sproporzionata e tardiva, anche in considerazione che la finalità
dell'esproprio non si è realizzata. Preciso che ho avuto il possesso continuato e ininterrotto della
casa. Nonostante le mie spiegazioni al dirigente del Comune, insistono sull'entità dell'importo.
----R. Ai sensi dell’articolo 48 del Dpr 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle Espropriazioni), il
corrispettivo della retrocessione, se non è concordato dalle parti, è determinato dall'ufficio tecnico
erariale o dalla commissione provinciale per gli espropri, sulla base dei criteri applicati per la
determinazione dell'indennità di esproprio e con riguardo al momento del ritrasferimento
(Cassazione civile, sezione I, 24 maggio 2004 n. 9899). Ove i suddetti meccanismi di valutazione
non vengano rispettati, è comunque possibile proporre opposizione avverso la stima avanti la Corte
di appello nel cui distretto si trova il bene espropriato.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
IL SILENZIO SUL PERMESSO EQUIVALE A UN RIFIUTO
D. Ho acquistato un terreno per costruirmi casa. Ho presentato il progetto il 5 febbraio scorso, ma
il Comune non ha ancora dato risposta (pare che la commissione edilizia non si sia ancora riunita).
C'è un tempo limite oltre il quale il cittadino non è costretto ad attendere (una sorta di silenzio
assenso) e può iniziare a costruire? Se sì, le eventuali responsabilità che il Comune assume una
volta approvato il progetto, ricadono sempre sul Comune o no?
----R. Il procedimento per il rilascio del permesso di costruire è regolamentato dall’articolo 20, Dpr
380/2001 (Testo unico dell’edilizia). In particolare, tale norma prevede che, decorsi i termini ivi
previsti per il rilascio del permesso (60 giorni variabili a seconda della presenza di eventuali
richieste di integrazione della documentazione e raddoppiati per i Comuni con più di 100.000
abitanti, più 15 giorni per l'adozione del provvedimento conclusivo), sullo stesso si intende formato
il silenzio-rifiuto. Contro il silenzio serbato dall’amministrazione, oltre alla possibilità di ricorrere
avanti il Tribunale amministrativo regionale competente, altro rimedio è quello previsto dall’articolo
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21, Dpr 380/2001. Secondo tale disposizione normativa, l’interessato può presentare nuova istanza
al Comune chiedendo di pronunciarsi sulla richiesta di permesso di costruire entro 15 giorni dalla
ricezione di tale ulteriore istanza. In mancanza di risposta, l’interessato potrà inoltrare domanda di
intervento sostitutivo al competente organo regionale.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
IL «BONUS VOLUMETRIA» PUÒ RIDURRE LE DISTANZE
D. L'art. 11, c. 2, Dlgs 115/2008 stabilisce che, nel caso di riqualificazione energetica di edificio
esistente, comportante maggiori spessori delle murature esterne, è permesso, in merito alla
distanza minima tra edifici, derogare della misura massima di 20 centimetri per il maggiore
spessore delle pareti verticali. Questa regola riguarda anche l'articolo 873 del Codice civile qualora,
in un edificio esistente, la maggiorazione dei 20 centimetri riduce l'attuale distanza da 3 metri a
2,80 metri? Il proprietario può opporsi?
----R. Dando attuazione alla dir. 2006/32/Ce, il Dlgs 115/2008 ha introdotto a livello statale il
cosiddetto «bonus volumetria» – vale a dire la possibilità di non computare nella volumetria
prevista dal piano i maggiori spessori degli elementi verticali e orizzontali degli edifici che
permettano di migliorarne le prestazioni energetiche – già autonomamente regolamentato da parte
di alcune legislazioni regionali (ad esempio, Basilicata, Lombardia, Lazio, Puglia, Marche).In
particolare, l’art. 11, c. 2 Dlgs 115/2008 prevede che, nel caso di interventi di riqualificazione
energetica di edifici esistenti che comportino la realizzazione di maggiori spessori delle murature
esterne e degli elementi di copertura, quali ad esempio i cappotti termici, al fine di garantire una
riduzione del 10% dei limiti di trasmittanza di cui al Dlgs 192/2005 – come modificato dal Dlgs
311/2006 – è permesso derogare nell’ambito delle procedure di rilascio dei titoli abilitativi a quanto
previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi per quel che riguarda:– le
distanze minime tra gli edifici e le distanze minime di protezione del nastro stradale, per una
dimensione massima di 20 cm;– le altezze massime degli edifici, nella misura massima di 25 cm.
Vengono quindi posti dei precisi limiti e delle puntuali condizioni (ad esempio, riduzione del 10%
dei limiti di trasmittanza), in assenza dei quali non trova applicazione il disposto contenuto nell’art.
11 e conseguentemente non è possibile derogare alle prescrizioni sulle distanze. Al riguardo si
evidenzia che, fra le normative nazionali in tema di distanze fra le costruzioni cui è permesso
derogare con la realizzazione dei maggiori spessori, rientra anche l’art. 873 del Cod.civile e quindi
eseguendo lavori di risparmio energetico sarà possibile portare la distanza da 3 metri a 2,80 metri.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
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VA SEMPRE SEGNALATO IL CAMBIO DI IMPRESA
D. Tramite un tecnico, ho presentato in Comune una Dia per la ricostruzione di un muro franato in
una zona soggetta a vincolo paesaggistico. Ottenuta l'autorizzazione con parere favorevole della
Sovraintendenza, il tecnico che doveva effettuare i lavori utilizzando la propria impresa, si è
rifiutato di eseguire l'opera, per cui ho provveduto direttamente con l'ausilio di un operaio. Ultimato
il lavoro, devo fare qualche comunicazione? Se sì, posso farlo direttamente o devo ricorrere ad
altro tecnico?
----R. L’art. 23, c. 2 del Dpr 380/2001, prevede che la denuncia di inizio attività sia corredata
dall’indicazione dell’impresa cui si intende affidare i lavori. È evidente che con questa norma si
vuole rendere noto al Comune, soggetto cui deve essere presentata la Dia, chi materialmente
eseguirà i lavori e ciò al fine di poter vigilare sull’attività edilizia e applicare eventualmente i poteri
sanzionatori. Pertanto, in caso di modifica dell’impresa, bisogna comunicare contestualmente al
Comune le generalità del soggetto subentrante, e ciò vale per analogia anche qualora il
committente affidi i lavori a un lavoratore autonomo, come nel caso in questione. Nella fattispecie,
poiché non è stata fatta prima dell’inizio dei lavori, ovvero in corso di esecuzione, è opportuno fare
tale comunicazione anche una volta terminati i lavori, contestualmente alla comunicazione di
ultimazione lavori di cui all’articolo 23, comma 2, ultimo periodo Tue. Per quanto riguarda il profilo
della normativa sulla sicurezza del lavoro, si richiama l’articolo 90 del Dlgs 81/2008 che al comma
9, lettera a) impone al committente, anche nel caso in cui affidi i lavori a un lavoratore autonomo,
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di presentare il certificato di iscrizione alla Camera di commercio e il Documento unico di regolarità
contributiva, corredato da autocertificazione sul possesso degli altri requisiti previsti dall’ Allegato
XVII del Dlgs 81/2008, vale a dire: specifica documentazione attestante la conformità alle
disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali,
elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione, nonché attestati inerenti la propria
formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dal presente decreto legislativo.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
ƒ
SENZA SOTTOSCRIZIONE NON È DOVUTO ALCUN ONERE
D. A seguito dell'approvazione di un piano di lottizzazione da parte del Comune, è seguita la
sottoscrizione della relativa convenzione solo tra alcuni dei proprietari delle aree lottizzate. Coloro
che hanno sottoscritto la convenzione hanno anche provveduto all'esecuzione di tutte le opere di
urbanizzazione (anche quelle relative al mappale il cui proprietario non ha sottoscritto la
convenzione). Ora, vorrei sapere se questi soggetti, che hanno sostenuto tutte le spese per
l'esecuzione delle opere, possono rivalersi nei confronti del proprietario del mappale facente parte
della lottizzazione che non ha sottoscritto la convenzione per il recupero delle spese di
urbanizzazione pro quota sostenute anche per lui.
----R. Come previsto dall'articolo 16, comma 1 del Dpr 6 giugno 2001, n. 380, la corresponsione del
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione è correlato al rilascio del
permesso di costruire. Conseguentemente, e fino a quando i soggetti facenti parte del comparto
edificatorio non sottoscriveranno la relativa convenzione di lottizzazione, non saranno tenuti al
pagamento degli oneri di urbanizzazione.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 15 giugno 2009, n. 45)
Pubblico Impiego
PUBBLICI DIPENDENTI: IL TFR NON È UN ONERE DEDUCIBILE
D. Sono una dipendente della Pubblica istruzione e ho aderito al fondo di previdenza
complementare del settore Espero. Ho visto che nel Cud sui redditi 2008 il contributo datoriale e
quello mio personale al fondo sono stati già dedotti dal reddito. Non così invece per il Tfr,
anch'esso conferito al fondo. In sede di dichiarazione dei redditi, posso dedurre dal reddito anche il
Tfr conferito al fondo?
----R. In materia di deducibilità dei contributi versati alla previdenza complementare da parte dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni che si iscrivono a forme pensionistiche complementari
di natura negoziale (come, ad esempio, il fondo pensione Espero), continuano a risultare applicabili
le disposizioni vigenti fino al 31 dicembre 2006 per la generalità dei lavoratori. L’importo deducibile
non può dunque essere superiore al 12% del reddito complessivo, nel limite massimo di 5.164,57
euro, e, con riferimento ai redditi di lavoro dipendente, al doppio della quota di Tfr destinata ai
fondi pensione medesimi. Ai fini del rispetto dei limiti sopra indicati vanno considerati i contributi
versati dall’iscritto e dal datore di lavoro, ma non il trattamento di fine rapporto conferito al fondo
pensione. La somma versata a titolo di Tfr non rappresenta un onere deducibile rilevando
esclusivamente per la verifica del rispetto dei limiti di deducibilità come sopra descritti.
(Paola Sanna, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 15 giugno 2009, n 46)
Sicurezza ed igiene del lavoro
ƒ
IL RAPPRESENTANTE PUÒ ANCHE ESSERE TERRITORIALE
D. Può una stessa persona, dipendente di una specifica ditta, svolgere il ruolo di rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza (Dlgs 81/08) per tre diverse unità produttive appartenenti a un unico
gruppo?
----R. L'art.47, c.2 del Dlgs 81/2008 afferma il diritto dei lavoratori di eleggere o designare il
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responsabile della sicurezza dei lavoratori in tutte le aziende o unità produttive. Va chiarito che
l'elezione o designazione del Rls non è un obbligo dell'azienda ma un diritto dei lavoratori.
Pertanto, nel caso citato dal lettore, i lavoratori possono eleggere o designare il/i Rls secondo le
modalità previste dal Ccnl dove sono anche definiti i tempi di lavoro retribuito da dedicare
all'attività e le modalità di espletamento dell'incarico. Nel caso in cui i lavoratori di un'azienda
decidessero di non avvalersi di questo diritto, il legislatore ha previsto che le funzioni di Rls siano
espletate dai Rlst (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali), art.47, c.8 del Dlgs
81/2008.Quindi, nel caso del lettore, o i lavoratori eleggono/designano i Rls nelle singole unità
produttive oppure si avvalgono dei Rlst nei modi e nei termini previsti dall'art.48 del citato decreto.
(Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde 22 giugno 2009, n. 48)
ƒ
STRESS: SCADUTI IL 16 MAGGIO I TERMINI PER L'INVIO
D. Vorrei sapere se la data del 16 maggio, per l'invio della relazione sullo stress correlato vedi Dl
81/2008, è stata prorogata e quali sono gli obblighi di legge previsti. Posso fare la relazione anche
io che sono consulente del lavoro?
----R. Il termine del 16 maggio 2009 per l’integrazione del Documento di valutazione dei rischi con la
valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato, non è stato prorogato. L’analisi del
rischio e l’elaborazione del documento correlato sono di stretta ed esclusiva competenza del
Servizio di prevenzione e protezione, ragion per cui è necessario il possesso dei requisiti di
qualificazione professionale, nonché la designazione da parte del datore di lavoro.
(Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 22 giugno 2009, n. 48)
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QUANDO IL DATORE DI LAVORO PUÒ DIVENTARE RSPP
D. Nelle aziende artigiane e industriali al di sotto dei 30 dipendenti, anche il datore di lavoro può
svolgere il ruolo di Rspp (responsabile dei servizi di prevenzione e protezione) dopo aver
frequentato l’apposito corso previsto per i datori di lavoro di 16 ore. Il corso abilita il datore di
lavoro anche all’elaborazione del documento di valutazione dei rischi?
Nelle aziende di servizi fino a 200 dipendenti, il datore di lavoro può svolgere direttamente il ruolo
di Rspp? Mentre nelle aziende artigiane e industriali dai 31 ai 199 dipendenti è preclusa questa
possibilità dovendo svolgere il ruolo di Rspp o un dipendente o un professionista esterno?
---R. Nelle aziende di servizi fino a 200 dipendenti il datore di lavoro può svolgere direttamente il
ruolo di Rspp, così come nelle aziende artigiane e industriali fino a 30 addetti il datore di lavoro che
cumuli soggettivamente anche la qualifica di Rspp può elaborare personalmente il Documento di
valutazione dei rischi; a patto però che possieda le capacità necessarie, come dispone l’articolo 7,
paragrafo 7 della direttiva 89/391/Cee. In caso contrario, egli è tenuto a ricorrere a competenze
(persone o servizi) esterne all’azienda.
(Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 22 giugno 2009, n. 48)
ƒ
L'UNITÀ PRODUTTIVA NON COINVOLGE I TERZI
D. Devo provvedere alla comunicazione all'Inail dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in
conformità di quanto previsto dall'articolo 47 del Dlgs 81/2008. Vorrei sapere che cosa si intende
per «unità produttiva». La nostra società esercita l'attività di pulizie per conto di committenti
pubblici e privati e, pertanto, opera presso le strutture dei committenti. Tali strutture sono da
ritenersi ciascuna «unità produttiva» oppure no?
----R. La definizione di «unità produttiva» è contenuta all’articolo 2, comma 1, lettera t) del Dlgs
81/2008 e indica lo «stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di
servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale». Peraltro va precisato che l’«unità
produttiva» in relazione alla quale deve essere adempiuto, da parte del datore di lavoro, l’obbligo
della comunicazione annuale all'Inail dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza (articolo 18, comma 1, lettera aa) del Dlgs 81/2008) è quella relativa alla propria
organizzazione imprenditoriale (azienda), non quelle di terzi datori di lavoro committenti, presso le
quali si opera in regime di «appalto interno» ex articolo 26 del Dlgs 81/2008. Ne deriva che, nel
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caso prospettato, l’obbligo di comunicazione non sussiste.
(Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 22 giugno 2009, n. 48)
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SORVEGLIANZA SANITARIA: LE REGOLE NEI RISTORANTI
D. Vorrei sapere se un'azienda che somministra alimenti e bevande (ristorante) in ottemperanza al
Dlgs 81/08 è tenuta alla nomina del medico competente.
----R. I ristoranti, la cui attività può intrinsecamente implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori ad
agenti biologici, sono esentati dall’obbligo di sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria
qualora i risultati della valutazione dei rischi dimostrino che essa non è necessaria.
(Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 22 giugno 2009, n. 48)
ƒ
FORMAZIONE NECESSARIA PER IL MEDICO A PROGETTO
D. È obbligatoria la partecipazione ai corsi di formazione, ai sensi del Dlgs 81/08, oltre che dal
personale dipendente infermieristico, anche dei medici specialisti ambulatoriali interni (Sumai)?
----R. Secondo quanto dispone l’articolo 37 del Dlgs 81/2008, i corsi di formazione in materia di
sicurezza sul lavoro sono previsti indistintamente per tutti i lavoratori dipendenti, o a questi
assimilabili. Con riguardo al caso di specie, – qualora non si tratti di lavoratori dipendenti –
l‘obbligo formativo sussiste solo qualora i medici specialisti ambulatoriali siano inquadrati con
contratto «a progetto» ai sensi dell’articolo 61 del Dlgs 276/2003, e sempre che la loro attività sia
svolta in forma esclusiva a favore del committente.
Tributi locali
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PERTINENZE ESENTI ANCHE SE SITUATE IN ALTRO EDIFICIO
D. Con riferimento al quesito 1385 pubblicato sull'Esperto risponde del 20 aprile scorso, il Comune
dichiara che l'esenzione Ici è ammessa per le unità pertinenziali dell'abitazione principale «ubicate
nello stesso edificio o complesso immobiliare dell'abitazione». Avendo un box pertinenziale in un
altro edificio, devo pagare l'Ici?
----R. La tesi dell’ente impositore competente non risulta da alcuna norma di legge. Peraltro, proprio ai
fini dell’ Ici, il legislatore ha richiamato espressamente il concetto di pertinenza di cui all’articolo
817 del Codice civile (articolo 30, comma 12, della legge 488/99). E, alla stregua del criterio
civilistico, la qualifica di pertinenza si basa su di un dato fattuale, ossia sulla destinazione effettiva
e concreta di un bene al servizio od ornamento di un altro bene. Le pertinenze rimangono tali
«anche se poste in separati corpi di fabbrica» (circolare 150 del 10 agosto 1994, paragrafo 2). Il
contribuente non può che effettuare il pagamento dell’imposta e presentare contestualmente
un’apposita istanza di rimborso, redatta in carta semplice. Successivamente, per far valere le
proprie ragioni, dovrà proporre ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro il rifiuto
espresso o tacito della restituzione (articoli 18 e seguenti del Dlgs 546/92; Corte di cassazione,
sezione tributaria, sentenza 6724 del 12 marzo 2008).
(Antonio Piccolo, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 22 giugno 2009, n. 47)
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SE C'È ASSOLUTA INAGIBILITÀ LA RENDITA VA «RIMOSSA»
D. L'amministrazione municipale di un Comune dell'Appennino modenese sta per emettere decreto
di inagibilità su un immobile ex rurale (ora classificata A/7 e sino a ora locato come seconda casa)
gravemente lesionato da un movimento franoso che si è originato a monte della casa. Per quanto
attiene all'Ici, il Comune sembra indirizzato a dar corso a una riduzione al 50%, anziché a
un'esenzione totale (l'immobile non è praticamente suscettibile di restauro) o a calcolare la tassa
come superficie edificabile (sebbene non sia ipotizzabile ricostruire un immobile su un terreno
interessato da una frana). Desidererei sapere cosa prevede la legislazione vigente in materia.
-----
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R. Nell’ambito della disciplina dell’ Ici, non vi è alcuna specifica disposizione. Difatti, l’articolo 8,
comma 1, primo periodo, del vigente Dlgs 504/92 stabilisce solamente che l'imposta è ridotta del
50% «per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al
periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni». La questione deve essere quindi
trattata in via interpretativa. Nel caso prospettato propendiamo per la tassazione dell’area di
sedime, se l’area stessa mantiene le caratteristiche di fabbricabilità (in senso conforme, risoluzione
30 ottobre 1992 protocollo 7/2186 e risoluzione 23 ottobre 1992 prot. 7/2172). Diversamente, non
si rende applicabile alcuna Ici. Peraltro, dal punto di vista catastale, il contribuente può provvedere
a rimuovere in via definitiva la relativa rendita (vedi agenzia del Territorio, circolare 1/T del 13
febbraio 2004), data l’assoluta inagibilità o inabitabilità del fabbricato.
(Antonio Piccolo, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 22 giugno 2009, n. 47)
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