Mangiare triestino estratto
Transcript
Mangiare triestino estratto
cucine del territorio Mangiare triestino di Mady Fast La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 1993 Tutti i diritti sono riservati Nuova edizione: settembre 2012 © 2012 Orme editori s.r.l. Sede operativa: Via Isonzo 34, 00198 Roma Tel. 06.8412007 – fax 06.85865742 (su licenza di Fattoria del Mare s.a.s.) Impaginazione ed editing: Monica Sala ORME|TARKA è una linea editoriale di Orme editori s.r.l. diretta da Franco Muzzio Stampa Grafiche del Liri s.r.l. Via Napoli, 852 03036 Isola del Liri (FR) Mady Fast Mangiare triestino con la collaborazione di Lia Cleva e Fulvia Costantinides Presentazione di Marco Guarnaschelli Gotti À Chatherine Chapelon Et à son équipe Si ringrazia Adriano Mosetti per aver messo a disposizione le foto riprodotte nel libro. Indice Indice v Presentazione di Marco Guarnaschelli Gotti xi La cucina a Trieste xiii Rioni 1 Miramare 1 Grignano 3 Barcola 3 Roiano 5 Piazza della stazione 6 Rive 7 Cittavecchia 8 Via Cavana 9 Piazza Grande 10 Teatro Verdi 10 Piazza della Borsa 11 Tergesteo 11 Borgo Teresiano 12 Piazza Ponterosso 13 Corso 15 Piazza Goldoni 16 Viale XX Settembre o acquedotto Politeama 16 Via San Francesco – Torre dei Balini 17 San Giovanni 17 Rotonda del Boschetto 18 San Luigi, Cacciatore, Villa Revoltella e Ferdinandeo 18 Prà del Gobo 19 Piccola Parigi 19 San Giusto 19 Cattedrale e castello di San Giusto 20 San Giacomo 21 Pischianzi 21 I gesuiti e Santa Maria Maggiore 23 vi MANGIARE TRIESTINO Istituto 23 Servola 24 Negozi e mestieri oggi scomparsi 25 Personaggi caratteristici 27 Le religioni a Trieste 31 Armeni 31 Chiesa anglicana 31 Chiesa Beata Vergine del soccorso ovvero Sant’Antonio Vecchio 32 Chiesa del Rosario 33 Chiesa Evangelica di confessione augustana 33 Comunità greco ortodosse e serbo ortodosse 34 I greci a Trieste 35 Logge massoniche 35 Madonna della salute 35 Mussulmani 35 San Giusto 36 San Silvestro 37 Tempio Ebraico 38 Dintorni 39 Aurisina 40 Basovizza 40 Casa Carsica 41 Castello di Moccò 42 Castello di San Servolo 43 Contovello 43 Crevatini 44 Draga Sant’Elia 44 Duino 45 Grotta Gigante 46 Monrupino, i castellieri e il folclore 46 Monrupino 46 Monte Grisa 47 Muggia vecchia: Castrum Muglae 51 Nozze carsiche 51 Obelisco 53 Opicina 54 Padriciano 56 Percedol 56 Prosecco 56 INDICE Rupingrande 56 Rupinpiccolo 57 Samatorza 57 Santa Croce 58 San Dorligo della valle 58 San Giovanni in Tuba: Bocche del fiume Timavo 59 Sistiana 59 Slivia 60 Tram de Opicina 60 Valrosandra 61 Villaggio del Pescatore 61 Zolla 61 Il Carso, vini e gastronomia 62 Antipasti 65 Salse 69 Primi piatti 75 Brodo brustolà 75 Creme di verdure 76 Crespelle 76 Gnocchi 76 Iota 80 Minestre invernali e minestre estive 82 Minestre col sugo (Minestre sute) 87 Pasta estiva variopinta 89 Polenta 91 Risotti 93 Strucolo salà in straza 95 Torte salate 97 Pesce 99 Baccalà 99 Branzino: il principe del mare 101 Brodetti 102 Dentici e orate 104 Mussoli, ostrighe e pedoci 106 Passere 109 Savor e pesce azzurro 111 Sardoncini moli (Filetti de guato ribaltavapori) 113 Sepe sofigade co’ la polenta 115 vii viii MANGIARE TRIESTINO Sogliola 117 Zuppe di molluschi 117 Carni 123 Agnello 123 Anatre 123 Calandra 123 Cappone 125 Capriolo in pais 125 Pais 125 Cevapcici, rasnici, pliescavize 127 Fagiano 129 Faraona 129 Gulasch 132 “Polastri friti” 133 Polpette, polpettine e polpettoni 134 Porzina calda, capuzi garbi e polenta de sarasin 136 Prosciutto in crosta e gelatina 137 Schinchi de vedel e de porco con chifeleti de patate 139 Vedel impanà, wienerschnitzel, milanese 141 Uova 143 Pedoci e robe turche 143 Fantasia di uova sode, formaggi e verdure 144 Erbe, frittate e omelette 145 Verdure 151 Articiochi (Fondi de articiochi con bisi) 151 Capuzi garbi 153 I cavoli e madame du Barry 153 Funghi e sommaco 155 Melanzane e moussaka 157 Fasoleti, tegoline e corneti 161 Papriche 161 Patate in tecia 163 Pomidoro 164 Il rafano 166 Sparisi e sparisi selvadighi 168 Autunno, tempo di vino e tartufi 169 Verze 171 La zucca 172 Zuchete 174 INDICE Formaggi 177 Frico 179 Liptauer 181 Rebecchini 182 Il pane 183 Pancogole, pan suto, panini freschi e zonta de pan de fighi 183 Panini freschi 184 Pane raffermo 185 Dolci 189 Chi no ga santoli no ga buzolai (Chi non ha padrini, non ha ciambelline) 191 Chifeleti e curabiè, merendine della nostra infanzia 192 Coch, dolce di ieri e di oggi 194 Colaci, ciambelle del Carso 196 Curabiè o chifeleti greci 197 Crafen, dolce compagno delle nostre feste 197 Creme, zavate e torte raffinate 199 Crostate, frittelle e focacce delle nostre nonne 201 Crostoli 204 Cuguluf del Kaiser 205 Le fave dei morti 207 Fritole 208 Gelati, semifreddi, bavaresi e bevande ghiacciate 209 Gibanizia 211 Kaiserschmarn 212 Marzapane e mandorlato 213 Torte 216 Dolcissime palacinche 217 Pinze e titole 218 A ognuno il suo presniz 220 Putiza, protagonista carsolina di ogni avvenimento familiare 222 Le rolate carsoline 223 Un dolce ricordo: le schnitte 224 Strucolo de pasta tirada Strucolo in straza 225 Torte 228 Dobostorte 229 Rigojanksi, conseguenza di un amore romantico 231 Torta Saint-Honoré 232 Torte povere e altre torte 233 ix x MANGIARE TRIESTINO Frutta 237 Tempo di castagne 237 Frutti di bosco 239 Mele 241 Petorai, peri coti, polentine 243 Feste 247 Vigilia di Natale 1 247 Vigilia di Natale 2 249 Menu tradizionale 249 Pranzo di Natale 1 251 Pranzo di Natale 2 252 Capodanno 1 254 Capodanno 2 256 Carnevale 258 Baby party di carnevale 259 Tradizioni pasquali 261 Tempo di Pasqua, agnelli, asparagi e carciofate 266 Che cosa fare delle uova sode? 268 Battesimi, cresime, anniversari, pranzi in piedi 271 Avanzi che possono ben figurare 273 Glossario 277 Dizionario delle poesie in dialetto 282 Bibliografia 290 Indice analitico delle ricette 293 Indice alfabetico delle ricette 298 Presentazione Trieste è, insieme a tante altre cose, un luogo dello spirito: e non c’è bisogno di scomodare Italo Svevo o Umberto Saba per dimostrarlo. Per evocarla a se stessa e a noi Mady Fast ha scelto un punto di vista singolare: quello della cucina. Singolare poi solo per un difetto congenito della nostra cultura, che normalmente riconosce nobiltà poetica, letteraria, evocativa al discorso in prosa o in versi sulle attività umane più diverse tranne a quello sulla basilarissima fra tutte, cioè il manipolare cibo per trarne sopravvivenza, piacere o estasi. Fin dai cosiddetti banchi di scuola apprendiamo infatti che oggetto di espressione in poesia o in prosa possono essere la vicenda dell’agricoltura e delle stagioni che la scandirono (Esiodo e Virgilio sono lì a ricordarcelo), la caccia (e da Turgenev a Hemingway non mancano gli esempi), le imprese sportive (ricordate Pindaro?), perfino la guerra (citazioni, ahimé, innumerevoli): ma di una vastissima testimonianza sulla vita della nobiltà di toga prima della Rivoluzione Francese, di un libro pieno di umori, di aneddoti, di spirito come la Phisiologie du goût di Brillat Savarin si parla esclusivamente nella sfera della gastronomia, per ricordare la omelette al latte di carpa o la cottura del pesce a vapore. Ora, Mady Fast racconta Trieste col pretesto della cucina. Ma non solo variazioni sul goulash o sulla “buzara” troverete in questo libro: troverete anche il paesaggio agricolo e costiero, i mercati, i caffè e i ristoranti con i frequentatori del passato e del presente, le atmosfere di Opicina, di Duino, di Miramare, le grida e le voci dei pescatori e dei venditori ambulanti. I vapori delle pentole sono molto più, anche sensorialmente, evocativi se si sa che cosa c’è dietro: tanto più per la cucina triestina, una cucina “colta” nel senso che i suoi piatti raccontano spesso una vicenda storica o geografica che si ripercorre nei sapori. È così per il viaggio della “iota” dal Carso alla città cosmopolita, è così per tutti gli “struco- li” salati e dolci nei quali si possono rintracciare, ricetta per ricetta, gli elastici rapporti tra periferia e centro di un impero, è così per il già citato “goulash” passato, con modifiche, da piatto di pastori girovaghi della piana ungherese a stufatino borghese col brivido del piccante, è così per i vari involtini di cavolo, o cavoli ripieni, una formula che parla una lingua gastronomica articolata dalla Kirghisja alla Turchia, con accenti del Friuli e di Milano. Dobbiamo insomma a Mady Fast un tipo di libro di cucina nuovo, che si può consultare col mestolo in mano o leggere come un saggio, davanti al camino. Il mio consiglio è di usarlo in entrambi i modi. Marco Guarnaschelli Gotti settembre 1993 La cucina a Trieste L’interesse per le cucine regionali si è manifestato in questi ultimi anni in tutta Europa come se, paradossalmente, l’uomo volesse completare con la gastronomia la ricerca della sua identità. Dalle varie pubblicazioni sull’argomento è emerso, con sempre maggior chiarezza, che la cucina triestina è costituita dalla fusione di varie componenti che riflettono la diversità delle genti che si sono avvicendate nella nostra zona. Ne risulta una ricca selezione di piatti che il triestino ha assimilato e riproposto a suo gusto dando vita al patrimonio gastronomico della città. Accanto alla cucina popolare cui si è affiancata in questi ultimi cinquant’anni la cucina dei contadini e dei pescatori istriani, riscontriamo influenze di ogni tipo che ne confermano e giustificano la caratteristica “mitteleuropea”. La civiltà ebraica ha lasciato molte tracce nei costumi, nel modo di vita, nell’amore per le arti, nelle abitudini legate al culto che si sono talvolta sovrapposte alle usanze liturgiche cattoliche. La colonia inglese ha influito apportando rigorismo e tolleranza e la fantasia greca e quella turca ne hanno vivacizzato la gastronomia. Non bisogna dimenticare i commercianti pugliesi e siciliani che si stabilirono a Trieste alla fine dell’Ottocento i cui discendenti, pur mantenendo le loro consuetudini alimentari, sono triestini a tutti gli effetti, vivendo in città da quattro generazioni. Le complesse diversità che hanno formato il triestino hanno generato in lui un profondo senso di autocritica non sempre positiva che, trasformata in autodistruzione, frena iniziative, crea insicurezza e gli fa dimenticare la straordinaria bellezza delle coste e delle ridenti colline che circondano la città dove i nitidi palazzi liberty e neoclassici la rendono sempre più simile a un grande palcoscenico irreale, scenario dove sembra non possa avvenire nulla di concre- xiv MANGIARE TRIESTINO to. Soltanto quando si allontana per qualche mese o per qualche anno e si è affermato lontano dal suo ambiente, il triestino vede la città nella giusta dimensione e ne rimpiange l’apparente rudezza che altro non è che scontrosa spontaneità. Il ricordo ne rievoca i particolari più semplici come le passeggiate in Costiera, i caldarrostai, la fiera di san Nicolò, i gelati del viale con i stornei che rendevano il transito impossibile all’imbrunire e, assieme ai ricordi, riemergono i sapori: caramei, strucoli, radiceto, schinchi e chifeleti accanto ai buchtel, cugulufe kaisershmarren presenti ormai solo nei discorsi delle nonne. La passeggiata in Carso è un’abitudine che interessa e appassiona ai giorni nostri i veri triestini e i loro amici appartenenti a qualsiasi ceto sociale. Un tempo il Monte Radio, chiamato Terstenico, le colline verdeggianti di Rozzol, costituivano la meta delle escursioni domenicali. I più abbienti andavano a villeggiare a Opicina, Senosecchia, Corniale o San Daniele del Carso portando appresso domestici e biancheria e si fermavano a pranzo lungo le strade carsiche. Probabilmente per questa ragione tutti i triestini, senza differenza di censo, conservano tra i ricordi d’infanzia il profumo di timo e di ginepro, le foglie di sommaco, e il sapore dei piatti carsolini. Il triestino nonostante sia allegro e cordiale non è dotato del senso di ospitalità: non possiede l’espansività veneta unita alla capacità di accogliere. Diffidente di fronte a chi ignori le sue abitudini e non si entusiasmi subito al primo bicchiere di Terrano o resti perplesso di fronte alla iota si chiude in sé: “no gavemo gnente” sembra pensare. Purtroppo dimentica che a Trieste vi era una tradizione di ristoratori formati alla scuola del Lloyd triestino dove i passaggi sulle navi che attraversavano gli oceani erano ricercati per l’ottimo trattamento di bordo. Nei ristoranti dei cuochi del Lloyd, aperti al momento del pensionamento e dello sbarco, le pietanze erano preparate da cuochi di origine piranese e gradese noti già nel 1500 per l’esecuzione di banchetti illustrati dal Babudri e dal Caprina LA CUCINA A TRIESTE xv Il servizio era inappuntabile e si presentavano ben diversamente dalle trattorie di oggi anche se in questi ultimi anni si può notare qualche segno di ripresa. In questa città di traffici, i ristoranti come i caffè ospitavano incontri di affari, per preliminari di vendite e di contratti. Era importante mangiare bene, pietanze classiche servite con garbo e una certa raffinatezza. L’ospite di riguardo invece, veniva invitato a casa, dove le padrone di casa, o per loro le cuoche, erano esperte e conoscevano i segreti della cucina internazionale che Katherina Prato, moglie di un ufficiale austriaco, aveva descritto pazientemente in un grosso e farraginoso volume dedicato alla cucina dell’Austria del sud, di cui troviamo le ricette trascritte, non senza qualche variante, nei libricini manoscritti delle nonne. Un mosaico variegato composto da svariate consuetudini costituisce lo sfondo gastronomico della nostra città diffidente nonostante l’apparente gaia spensieratezza, consapevole dei propri valori ma sempre troppo preoccupata per un futuro dagli incerti confini. Valori e difetti che si ritrovano nella sua gastronomia dove si incontrano la cucina della borghesia e quella rustica popolana e carsolina, la saggia cucina veneta, la barocca cucina austriaca, le stimolanti pietanze ungheresi, la consistente frugalità slovena, la sobrietà severa della cucina istriana, il sapore primitivo delle erbe dalmate, il tocco mediterraneo della cucina greca ispiratrice remota della raffinata cucina turca e la smagliante e consistente presenza delle pietanze dell’Italia meridionale. Da questo caleidoscopico insieme risulta una serie di piatti apparentemente molto diversi tra loro: alcune portate rimangono solo un ricordo, altre sono sopravvissute, altre ancora hanno cambiato genere e da pietanze povere sono rientrate nelle abitudini come piatto unico o come entrée perdendo il loro aspetto popolare ma fondendo il passato con il presente e mantenendo viva una tradizione da conservare con affettuosa devozione. Il rispetto della tradizione non impedisce alla gastronomia triestina di modificarsi e in questo volume accanto alle ricette tipiche, xvi MANGIARE TRIESTINO sono state introdotte ricette più moderne che si possono eseguire esclusivamente con prodotti che crescono nei nostri dintorni. Abbiamo voluto di proposito allontanarci dal tipico per proporre ai nostri lettori un che di diverso che non sia l’ennesima edizione di un manuale esclusivamente di cucina triestina di cui ve ne sono parecchie già in commercio. Un grazie particolare a mio marito, a mia figlia Anna, ai professionisti Dario Basso, Liliana Bontempo, Giorgio Busdon, Silvestra Crismani, Lucia Cuk, Diana Redivo, Arturo Rimini, Mario Suban, Anna e Michele Valente, Camillo Zambon. Agli studiosi Livio Grassi e Pietro Covre, agli amici Franco Battiston, Liliana Bamboschek, Sergio Ciriello, Mirella Doz, Emilia Emili, Giuliana Fabricio Dei Rossi, Ervino Fabbro, Cesare Fonda, Maria Goriup, Alba e Stanko Jazbar, Luciano Meola, Laura Borghi Mestroni, Mariuccia Molinari, Luciana Morassutti, Nora Morpurgo, Laura Niseteo, Thea Riva de Onestis, Gianni Romani, Rina Romani, Maria Grazia Rozzo, Lidia Samer, Graziella Semacchi, Lucy Seriani, Nadia Sossi, Puci Stroili, Alda Suber, Armida Taucer, Edda Vidiz, Sergio Zorzon. Ai giornalisti Paola Vento, Luciano Santin e Luciana Versi e a tutti coloro che con il loro affetto mi sono stati vicini. Golfo di Trieste e castelli dopo il mille (da G. Almerigogna). Pianta del Comune di Trieste e rioni cittadini. Rioni Miramare Le bianche torri di Miramare sembrano accogliere il visitatore che proviene dalla strada costiera, sullo sfondo vi è Trieste che si specchia nel suo mare e che si snoda verso l’Istria e il campanile di Pirano. A destra punta Sdobba, Monfalcone, Grado e Lignano si collegano alle Alpi innevate completando lo splendido scenario. Carducci nelle Odi barbare recita: O Miramare, a le tue bianche torri attediate per lo ciel piovorno fosche con volo di sinistri augelli vengon le nubi. … Addio castello pe’ felici giorni nido d’amore costruito in vano! Il castello ha purtroppo una triste rinomanza: Massimiliano d’Austria lo fece costruire nel 1856 dirigendo personalmente i lavori e vi stabilì la sua dimora scegliendo come data la vigilia di Natale del 1860 sistemandosi nel pianoterra poiché il piano superiore non era ancora completato. Trascorse anni sereni fino a quando accettò la corona del Messico dove fu fucilato a Queretaro a opera dei rivoltosi. Nel 1914 il principe di Wied diretto in Albania per essere incoronato re, dormì al castello nel quale fu anche ospite Guglielmo II imperatore di Germania. Ambedue perderanno il trono. 2 MANGIARE TRIESTINO Nello stesso anno si ferma al castello Francesco Ferdinando d’Asburgo, che era destinato a diventare re di Croazia e d’Ungheria. Verrà invece assassinato a Sarajevo pochi mesi dopo. Nel 1933 il castello ospitò Amedeo duca d’Aosta e la famiglia. Dopo sei anni di soggiorno il duca partì per l’Etiopia perché ne era stato nominato viceré. Morì in Africa nel corso della Seconda Guerra mondiale prigioniero degli inglesi. Alla fine della guerra il castello fu occupato dagli alleati che lo deturparono con un orribile camino per potenziarne il riscaldamento. Anche alcuni generali che abitarono per un periodo nel castello morirono in un secondo tempo di morte violenta. Il generale Charles Moor giunto a Miramare con la moglie morirà in Corea durante il conflitto. Fu sostituito da Vernice Musgrave McFadden il quale dopo un periodo di permanenza con la moglie venne richiamato in America dal presidente Eisenhower. Morì in un incidente automobilistico lungo il tragitto da Trieste a Livorno. Il generale britannico Freybeerg che aveva guidato i neozelandesi nella “corsa per Trieste” volle dormire fuori dal castello in una tenda nel parco, per sfuggire alla maledizione. La precauzione fu inutile poiché morì di polmonite. Molti sostengono che le sinistre vicende sono legate alla presenza di una sfinge in pietra posta a capo del moletto. Il parco è uno dei più belli della città, ricco com’è di piante rare ed esotiche; durante la bella stagione vi si svolgono concerti itineranti di musica classica e d’estate la piccola darsena offre uno straordinario palcoscenico allo spettacolo di luci e suoni. L’acqua è tanto pura che di fronte al castello sorge un parco marino creato nel 1973 dove si possono studiare specie che si consideravano estinte nei nostri mari. Il parco si affaccia sulla baia di Grignano anch’essa sede di un porticciolo nautico, ristoranti, stabilimenti balneari e l’albergo che ospita gli studiosi del centro internazionale di fisica che si trova alle spalle del complesso residenziale. Sulle colline che sovrastano Grignano prosperano le viti che danno il vino Pucino oggi bianco ma che ai tempi dell’imperatrice Livia, RIONI 3 seconda moglie di Augusto era quasi sicuramente nero essendo il prodotto di vitigni di refosco che il nostro terreno argilloso trasforma in terrano. Sembra che la longevità dell’imperatrice Giulia Augusta, che raggiunse l’età di 82 anni, fosse dovuta al consumo esclusivo di tale bevanda. [Testo di Viviana Rocco]. Grignano A Grignano, prima di arrivare al castello di Miramare troviamo l’albergo Riviera sorto al posto di un vecchio monastero. L’albergo Adriatico invece è stato messo a disposizione degli scienziati che lavorano presso il centro di Fisica Teorica sotto la direzione del premio Nobel Abdul Salam. Con altri scienziati provenienti da ogni parte da mondo si sta preparando l’anello per il protosincrotrone progettato a Ginevra dal goriziano prof. Rubbia, premio Nobel anche lui, che troverà la sua sede nell’area di Padriciano-Basovizza. Barcola La prova che Barcola fosse nota agli antichi romani, è che sul finire del 1800 nel corso di lavori di sterramento, vennero alla luce antiche ville romane. Nel secolo scorso era ancora un villaggio di pescatori: l’Agapito segnala la presenza delle tonnare che avevano il loro posteggio disegnato sulla riva, e alcuni triestini ricordano la presenza di questi segni. I sardoni barcolani erano e sono tuttora un piatto tradizionale e ricercato. “Casanova che la sapeva lunga in fatto di buoni bocconi, narrava dei pranzi consumati a Trieste a casa del console Monti di Venezia in grande compagnia e, aggiungeva, ero stato una sera in riva al mare a mangiare le sardelle”. [Testo di F. Babudri]. Solo nel 1859 fu aperta la strada che costeggiava il mare; prima bisognava passare attraverso il colle di Gretta. Sono ancora vive le 4 MANGIARE TRIESTINO tradizioni antiche come la sagra di san Bartolomeo del 24 agosto. Nel passato a una di queste sagre partecipò persino il re delle Due Sicilie che in quel periodo si trovava a Trieste in attesa di proseguire per Vienna. C’era uno squero, piccolo cantiere navale dove si costruivano e si riparavano barche da pesca. Sul finire del secolo a Barcola ebbe inizio lo sviluppo turistico: nel 1889 si aprì il bagno Excelsior mentre dall’altra parte della strada sorgevano osterie con luminarie e palloncini ed erano frequenti gli spettacoli pirotecnici. Il tram abolì le distanze. Con lo sviluppo edilizio scomparvero i villaggi di pescatori, le campagne, le tonnare, le sagre. Passeggiata ridente, relativamente nuova essendo stata aperta nella seconda metà del secolo scorso, oggi è costellata di gelaterie, bar e da qualche ristorante dove si può mangiare ottimo pesce. Ravvivata da due schiere di tamerici si affaccia sul golfo ed è in tutte le stagioni una delle passeggiate preferite dai triestini. Sulla costiera si trovano bagni pubblici chiamati topolini ma la gente di ogni ceto sociale preferisce fare il bagno e prendere il sole sulla passeggiata stessa che si trasforma in una spiaggia variegata e affollata fino al bivio da cui si può accedere al castello di Miramare. Sull’ultimo tratto di questo viale vi sono altri stabilimenti privati e pubblici. Da Barcola si percorre un viale alberato e si lasciano a destra il bagno ferroviario e a sinistra, sulla collina, il faro della Vittoria eretto nel 1927 a ricordo dei caduti sul mare. Sora el coston de Barcola tuto de bianca piera, se alza de la tera un faro colossal, Dedrio, xe rocia carsica, in fiancoi el ga trieste in alto el ziel zeleste e soto el nostro mar. Un mariner e un’ancora RIONI 5 puzai sul basamento ghe dona al monumento artistico valor. In zima, sora l’agile colona scanelada, corona iluminada, sta ’l splendido fanal. Più in alto ancora, un angelo emblema de vitoria l’eterna per la storia, i sacri eroi del mar Raimondo Cornet Corrai, “El faro de la vitoria” da Trieste Mia! Roiano Roiano era un sobborgo di campagna dove le famiglie patrizie avevano vigne, mandrie e case coloniche, numerose erano le rogge e il torrente Martesin separava Roiano da Trieste. Nel 1857 Trieste fu collegata con Vienna con la prima linea ferroviaria che passava su un viadotto sopra il Lazzaretto nuovo, voluto da Maria Teresa nel 1769 alla foce del Martesin. La strada ferrata contribuì a unire la città a Roiano. La costruzione del castello di Miramare avvenuta nel 1856 ebbe come conseguenza l’apertura della strada via Lazzaretto nuovo, oggi viale Miramare, lungo la quale si sviluppò il borgo. La chiesa dedicata ai santi Ermacora e Fortunato, fino a un secolo fa si trovava isolata da quello che è divenuto il centro urbano. La chiesa iniziata nel 1858 fu consacrata nello stesso anno dal vescovo Bartolomeo Legat. Nella chiesa di Ss. Ermacora e Fortunato vi sono i bassorilievi che rappresentano le quattordici stazioni della Via Crucis ad opera dello scultore triestino contemporaneo Carlo Sbisà. 6 MANGIARE TRIESTINO All’epoca dell’inaugurazione del Lazzaretto, Roiano nota come Ruglano o Ruiani era pressoché una zona disabitata: vi si accedeva attraverso le colline di Scorcola e di Opicina, dalla salita di Gretta e dal mare, percorrendo la via Belvedere ora via Udine. Nel 1868 la parte di Roiano che dava sul mare fu chiusa per la costituzione del punto franco. Una delle prime industrie fu quella dei cordami: già prima della chiusura del Lazzaretto, la via dei Cordaroli ci ricorda le corderie Sinibaldi e Bozzini. La ditta “Camis e Stock” ha trovato a Roiano la sua seconda sede e presto verrà nuovamente ristrutturata da privati. L’abitato si estende fino alla località di monte Radio nota anche come Terstenico. Vi è un’antica trattoria, la trattoria Bolle nota fin dal 1899, che fa parte delle antiche trattorie tipiche della città. Dopo la guerra le case si infittirono e oggi campi e boschi sono un ricordo. Piazza della stazione Si arriva così in piazza Libertà dove troviamo la stazione che fu costruita nel 1878. A sinistra guardando la stazione vediamo il vecchio silos, deposito di granaglie quando Trieste era un grande emporio, trasformato oggi in un ampio posteggio di tre piani a pagamento per le macchine. Proseguendo sulla sinistra dove si trovava la stazione delle corriere costruita negli anni Trenta, oggi è stato attrezzato in pochi mesi un nuovo teatro, la sala Tripcovich, offerto dal maestro Raffaello de Banfield Tripcovich noto compositore di musica lirica e sinfonica e molto amato in città per la sua generosa disponibilità. RIONI 7 Rive Da piazza Libertà il corso Cavour ci porta alle rive dove troviamo la sede della Banca d’Italia dal massiccio aspetto rinascimentale, un edificio post-moderno, l’albergo Jolly, un edificio della R.A.S., il palazzo verde dei cantieri riuniti dell’adriatico CRDA, dal 1940 già sede della Fincantieri, la direzione delle Generali dal 1886, sull’angolo con il canale vi è il grattacielo del 1928 in mattoni rossi dai profili bianchi progettato da A. Berlam. Si prosegue verso la Sacchetta e si possono ammirare il palazzo Carciotti che dà il nome alla riva e che porta il nome del proprietario Demetrio Carciotti venuto a Trieste dalla Morea. La chiesa di san Nicolò dei Greci, tempio neoclassico che accoglie una delle più attive, numerose e gloriose comunità di Trieste, fu eretta nel 1787 dopo la separazione tra greco ortodossi e serbo ortodossi. L’edificio accanto era un albergo dedicato al principe di Metternich chiamato in seguito Hotel de la Ville. Oggi ospita una banca. L’ultimo è il caffè Tommaseo. Si cambia marciapiede e nome della riva. Un elegante ristorantino, l’Elefante Bianco, ci accoglie, sempre molto disponibile per gli orari: vi si può accedere anche dopo teatro sicuri di trovare stuzzichini invitanti e piattini creati al momento. Seguono il retro del teatro e il palazzo della prefettura. In seguito, attraversata la piazza Unità e lasciato a sinistra il molo Audace, costeggiando il palazzo del Lloyd, troviamo l’hotel Savoia Excelsior, e di fronte a esso, la stazione marittima i cui piani superiori ospitano il Palacongressi. Ancora palazzi a sinistra, e a destra ritroviamo la pescheria, chiamata scherzosamente Santa Maria del Guato per il campanile che si innalza accanto all’edificio e che è invece un rivestimento per il serbatoio di acqua di mare che alimenta il sottostante acquario. Nell’acquario marino si trovano pesci esotici, pesci di grosse dimensioni, pesci adriatici, pesci d’acqua dolce e, in una grande vasca, una famiglia di pinguini che fanno la gioia dei più piccoli. Proseguendo sempre sulla sinistra abbiamo la piscina coperta e più avanti le gloriose società veliche come l’Adriaco, e la Vela, le 8 MANGIARE TRIESTINO società canottiere Adria, Ginnastica. Sempre tra una selva di alberi e sartie la riva si chiude e ci porta alla Lanterna. Già dal 1776 il governatore della città, a quel tempo soggetta all’Austria, propose di costruire un grande faro in testa al molo teresiano, dove si ritiene ne esistesse uno già al tempo dei Romani. Il Faro fu poi progettato dall’architetto triestino Matteo Pertsch. La lanterna diventò ben presto il simbolo di Trieste mercantile, con il suo cannone che sparando a mezzogiorno, annunciava l’ora esatta agli abitanti. [Testo di Giuliana Fabricio Dei Rossi da “Mare Vivo”]. Nel 1985 il presidente della sezione di Trieste della Lega Navale Italiana si assunse l’impegno di avviarne il restauro per trasformare la lanterna in sede sociale. Oggi ospita la sezione di Trieste Mare Vivo e un buon ristorante. Più avanti vi è un bagno pubblico, il pedocin, dove un muro si spinge nel mare, dividendo gli uomini dalle donne; viene sempre citato poiché la divisione mal si concilia con lo spirito disinvolto dei triestini. Il bagno Ausonia Savoia era il ritrovo dei giovani nel dopoguerra: quanti tuffi ascoltando l’allora giovanissimo Lelio Luttazzi che accennava sul piano del bar quei motivi che poi sarebbero diventati famosi. Oggi, rinnovato, offre un confortevole ambiente a chi ha poco tempo per allontanarsi dalla città e non vuole perdere i benefici dei bagni marini. Più avanti troviamo le navi “ro-ro” porta container e la parte operativa del Porto Nuovo di Trieste. Cittavecchia Cittavecchia e le rive abbondavano di osterie e tutte offrivano dell’ottimo vino alla numerosa quanto esigente clientela; avevano inoltre sempre pronte in cucina le tradizionali trippe, lo sguazeto, la iota e dei minestroni preparati con grossi pezzi di carne suina. Le principali erano la trattoria All’arco di Riccardo, Alle antiche spade, Al buon vecchio, Le due pistole, All’Antica Marinella, La croce d’oro, al Pavone; non mancavano le osterie di infimo grado