Mangiare triestino estratto

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Mangiare triestino estratto
cucine del territorio
Mangiare triestino
di Mady Fast
La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 1993
Tutti i diritti sono riservati
Nuova edizione: settembre 2012
© 2012 Orme editori s.r.l.
Sede operativa: Via Isonzo 34, 00198 Roma
Tel. 06.8412007 – fax 06.85865742
(su licenza di Fattoria del Mare s.a.s.)
Impaginazione ed editing: Monica Sala
ORME|TARKA è una linea editoriale di Orme editori s.r.l.
diretta da Franco Muzzio
Stampa Grafiche del Liri s.r.l.
Via Napoli, 852
03036 Isola del Liri (FR)
Mady Fast
Mangiare triestino
con la collaborazione di
Lia Cleva e Fulvia Costantinides
Presentazione di
Marco Guarnaschelli Gotti
À Chatherine Chapelon
Et à son équipe
Si ringrazia Adriano Mosetti per aver messo a disposizione le foto
riprodotte nel libro.
Indice
Indice v
Presentazione di Marco Guarnaschelli Gotti xi
La cucina a Trieste xiii
Rioni 1
Miramare 1
Grignano 3
Barcola 3
Roiano 5
Piazza della stazione 6
Rive 7
Cittavecchia 8
Via Cavana 9
Piazza Grande 10
Teatro Verdi 10
Piazza della Borsa 11
Tergesteo 11
Borgo Teresiano 12
Piazza Ponterosso 13
Corso 15
Piazza Goldoni 16
Viale XX Settembre o acquedotto Politeama 16
Via San Francesco – Torre dei Balini 17
San Giovanni 17
Rotonda del Boschetto 18
San Luigi, Cacciatore, Villa Revoltella e Ferdinandeo 18
Prà del Gobo 19
Piccola Parigi 19
San Giusto 19
Cattedrale e castello di San Giusto 20
San Giacomo 21
Pischianzi 21
I gesuiti e Santa Maria Maggiore 23
vi
MANGIARE TRIESTINO
Istituto 23
Servola 24
Negozi e mestieri oggi scomparsi 25
Personaggi caratteristici 27
Le religioni a Trieste 31
Armeni 31
Chiesa anglicana 31
Chiesa Beata Vergine del soccorso
ovvero Sant’Antonio Vecchio 32
Chiesa del Rosario 33
Chiesa Evangelica di confessione augustana 33
Comunità greco ortodosse e serbo ortodosse 34
I greci a Trieste 35
Logge massoniche 35
Madonna della salute 35
Mussulmani 35
San Giusto 36
San Silvestro 37
Tempio Ebraico 38
Dintorni 39
Aurisina 40
Basovizza 40
Casa Carsica 41
Castello di Moccò 42
Castello di San Servolo 43
Contovello 43
Crevatini 44
Draga Sant’Elia 44
Duino 45
Grotta Gigante 46
Monrupino, i castellieri e il folclore 46
Monrupino 46
Monte Grisa 47
Muggia vecchia: Castrum Muglae 51
Nozze carsiche 51
Obelisco 53
Opicina 54
Padriciano 56
Percedol 56
Prosecco 56
INDICE
Rupingrande 56
Rupinpiccolo 57
Samatorza 57
Santa Croce 58
San Dorligo della valle 58
San Giovanni in Tuba: Bocche del fiume Timavo 59
Sistiana 59
Slivia 60
Tram de Opicina 60
Valrosandra 61
Villaggio del Pescatore 61
Zolla 61
Il Carso, vini e gastronomia 62
Antipasti 65
Salse 69
Primi piatti 75
Brodo brustolà 75
Creme di verdure 76
Crespelle 76
Gnocchi 76
Iota 80
Minestre invernali e minestre estive 82
Minestre col sugo (Minestre sute) 87
Pasta estiva variopinta 89
Polenta 91
Risotti 93
Strucolo salà in straza 95
Torte salate 97
Pesce 99
Baccalà 99
Branzino: il principe del mare 101
Brodetti 102
Dentici e orate 104
Mussoli, ostrighe e pedoci 106
Passere 109
Savor e pesce azzurro 111
Sardoncini moli (Filetti de guato ribaltavapori) 113
Sepe sofigade co’ la polenta 115
vii
viii
MANGIARE TRIESTINO
Sogliola 117
Zuppe di molluschi 117
Carni 123
Agnello 123
Anatre 123
Calandra 123
Cappone 125
Capriolo in pais 125
Pais 125
Cevapcici, rasnici, pliescavize 127
Fagiano 129
Faraona 129
Gulasch 132
“Polastri friti” 133
Polpette, polpettine e polpettoni 134
Porzina calda, capuzi garbi e polenta de sarasin 136
Prosciutto in crosta e gelatina 137
Schinchi de vedel e de porco con chifeleti de patate 139
Vedel impanà, wienerschnitzel, milanese 141
Uova 143
Pedoci e robe turche 143
Fantasia di uova sode, formaggi e verdure 144
Erbe, frittate e omelette 145
Verdure 151
Articiochi (Fondi de articiochi con bisi) 151
Capuzi garbi 153
I cavoli e madame du Barry 153
Funghi e sommaco 155
Melanzane e moussaka 157
Fasoleti, tegoline e corneti 161
Papriche 161
Patate in tecia 163
Pomidoro 164
Il rafano 166
Sparisi e sparisi selvadighi 168
Autunno, tempo di vino e tartufi 169
Verze 171
La zucca 172
Zuchete 174
INDICE
Formaggi 177
Frico 179
Liptauer 181
Rebecchini 182
Il pane 183
Pancogole, pan suto, panini freschi e zonta de pan de fighi 183
Panini freschi 184
Pane raffermo 185
Dolci 189
Chi no ga santoli no ga buzolai
(Chi non ha padrini, non ha ciambelline) 191
Chifeleti e curabiè, merendine della nostra infanzia 192
Coch, dolce di ieri e di oggi 194
Colaci, ciambelle del Carso 196
Curabiè o chifeleti greci 197
Crafen, dolce compagno delle nostre feste 197
Creme, zavate e torte raffinate 199
Crostate, frittelle e focacce delle nostre nonne 201
Crostoli 204
Cuguluf del Kaiser 205
Le fave dei morti 207
Fritole 208
Gelati, semifreddi, bavaresi e bevande ghiacciate 209
Gibanizia 211
Kaiserschmarn 212
Marzapane e mandorlato 213
Torte 216
Dolcissime palacinche 217
Pinze e titole 218
A ognuno il suo presniz 220
Putiza, protagonista carsolina di ogni avvenimento familiare 222
Le rolate carsoline 223
Un dolce ricordo: le schnitte 224
Strucolo de pasta tirada
Strucolo in straza 225
Torte 228
Dobostorte 229
Rigojanksi, conseguenza di un amore romantico 231
Torta Saint-Honoré 232
Torte povere e altre torte 233
ix
x
MANGIARE TRIESTINO
Frutta 237
Tempo di castagne 237
Frutti di bosco 239
Mele 241
Petorai, peri coti, polentine 243
Feste 247
Vigilia di Natale 1 247
Vigilia di Natale 2 249
Menu tradizionale 249
Pranzo di Natale 1 251
Pranzo di Natale 2 252
Capodanno 1 254
Capodanno 2 256
Carnevale 258
Baby party di carnevale 259
Tradizioni pasquali 261
Tempo di Pasqua, agnelli, asparagi e carciofate 266
Che cosa fare delle uova sode? 268
Battesimi, cresime, anniversari, pranzi in piedi 271
Avanzi che possono ben figurare 273
Glossario 277
Dizionario delle poesie in dialetto 282
Bibliografia 290
Indice analitico delle ricette 293
Indice alfabetico delle ricette 298
Presentazione
Trieste è, insieme a tante altre cose, un luogo dello spirito: e non
c’è bisogno di scomodare Italo Svevo o Umberto Saba per dimostrarlo. Per evocarla a se stessa e a noi Mady Fast ha scelto un punto di vista singolare: quello della cucina. Singolare poi solo per un
difetto congenito della nostra cultura, che normalmente riconosce
nobiltà poetica, letteraria, evocativa al discorso in prosa o in versi
sulle attività umane più diverse tranne a quello sulla basilarissima
fra tutte, cioè il manipolare cibo per trarne sopravvivenza, piacere
o estasi. Fin dai cosiddetti banchi di scuola apprendiamo infatti
che oggetto di espressione in poesia o in prosa possono essere la
vicenda dell’agricoltura e delle stagioni che la scandirono (Esiodo
e Virgilio sono lì a ricordarcelo), la caccia (e da Turgenev a Hemingway non mancano gli esempi), le imprese sportive (ricordate
Pindaro?), perfino la guerra (citazioni, ahimé, innumerevoli): ma
di una vastissima testimonianza sulla vita della nobiltà di toga
prima della Rivoluzione Francese, di un libro pieno di umori, di
aneddoti, di spirito come la Phisiologie du goût di Brillat Savarin si
parla esclusivamente nella sfera della gastronomia, per ricordare la
omelette al latte di carpa o la cottura del pesce a vapore.
Ora, Mady Fast racconta Trieste col pretesto della cucina. Ma non
solo variazioni sul goulash o sulla “buzara” troverete in questo libro: troverete anche il paesaggio agricolo e costiero, i mercati, i
caffè e i ristoranti con i frequentatori del passato e del presente, le
atmosfere di Opicina, di Duino, di Miramare, le grida e le voci dei
pescatori e dei venditori ambulanti. I vapori delle pentole sono
molto più, anche sensorialmente, evocativi se si sa che cosa c’è
dietro: tanto più per la cucina triestina, una cucina “colta” nel
senso che i suoi piatti raccontano spesso una vicenda storica o
geografica che si ripercorre nei sapori. È così per il viaggio della
“iota” dal Carso alla città cosmopolita, è così per tutti gli “struco-
li” salati e dolci nei quali si possono rintracciare, ricetta per ricetta,
gli elastici rapporti tra periferia e centro di un impero, è così per
il già citato “goulash” passato, con modifiche, da piatto di pastori
girovaghi della piana ungherese a stufatino borghese col brivido
del piccante, è così per i vari involtini di cavolo, o cavoli ripieni,
una formula che parla una lingua gastronomica articolata dalla
Kirghisja alla Turchia, con accenti del Friuli e di Milano. Dobbiamo insomma a Mady Fast un tipo di libro di cucina nuovo, che
si può consultare col mestolo in mano o leggere come un saggio,
davanti al camino. Il mio consiglio è di usarlo in entrambi i modi.
Marco Guarnaschelli Gotti
settembre 1993
La cucina a Trieste
L’interesse per le cucine regionali si è manifestato in questi ultimi
anni in tutta Europa come se, paradossalmente, l’uomo volesse
completare con la gastronomia la ricerca della sua identità.
Dalle varie pubblicazioni sull’argomento è emerso, con sempre
maggior chiarezza, che la cucina triestina è costituita dalla fusione
di varie componenti che riflettono la diversità delle genti che si
sono avvicendate nella nostra zona.
Ne risulta una ricca selezione di piatti che il triestino ha assimilato
e riproposto a suo gusto dando vita al patrimonio gastronomico
della città.
Accanto alla cucina popolare cui si è affiancata in questi ultimi
cinquant’anni la cucina dei contadini e dei pescatori istriani, riscontriamo influenze di ogni tipo che ne confermano e giustificano la caratteristica “mitteleuropea”.
La civiltà ebraica ha lasciato molte tracce nei costumi, nel modo
di vita, nell’amore per le arti, nelle abitudini legate al culto che
si sono talvolta sovrapposte alle usanze liturgiche cattoliche. La
colonia inglese ha influito apportando rigorismo e tolleranza e la
fantasia greca e quella turca ne hanno vivacizzato la gastronomia.
Non bisogna dimenticare i commercianti pugliesi e siciliani che si
stabilirono a Trieste alla fine dell’Ottocento i cui discendenti, pur
mantenendo le loro consuetudini alimentari, sono triestini a tutti
gli effetti, vivendo in città da quattro generazioni.
Le complesse diversità che hanno formato il triestino hanno generato in lui un profondo senso di autocritica non sempre positiva
che, trasformata in autodistruzione, frena iniziative, crea insicurezza e gli fa dimenticare la straordinaria bellezza delle coste e delle
ridenti colline che circondano la città dove i nitidi palazzi liberty e
neoclassici la rendono sempre più simile a un grande palcoscenico
irreale, scenario dove sembra non possa avvenire nulla di concre-
xiv
MANGIARE TRIESTINO
to. Soltanto quando si allontana per qualche mese o per qualche
anno e si è affermato lontano dal suo ambiente, il triestino vede la
città nella giusta dimensione e ne rimpiange l’apparente rudezza
che altro non è che scontrosa spontaneità.
Il ricordo ne rievoca i particolari più semplici come le passeggiate
in Costiera, i caldarrostai, la fiera di san Nicolò, i gelati del viale
con i stornei che rendevano il transito impossibile all’imbrunire e,
assieme ai ricordi, riemergono i sapori: caramei, strucoli, radiceto,
schinchi e chifeleti accanto ai buchtel, cugulufe kaisershmarren
presenti ormai solo nei discorsi delle nonne. La passeggiata in
Carso è un’abitudine che interessa e appassiona ai giorni nostri
i veri triestini e i loro amici appartenenti a qualsiasi ceto sociale.
Un tempo il Monte Radio, chiamato Terstenico, le colline verdeggianti di Rozzol, costituivano la meta delle escursioni domenicali. I più abbienti andavano a villeggiare a Opicina, Senosecchia,
Corniale o San Daniele del Carso portando appresso domestici e
biancheria e si fermavano a pranzo lungo le strade carsiche.
Probabilmente per questa ragione tutti i triestini, senza differenza
di censo, conservano tra i ricordi d’infanzia il profumo di timo e
di ginepro, le foglie di sommaco, e il sapore dei piatti carsolini. Il
triestino nonostante sia allegro e cordiale non è dotato del senso
di ospitalità: non possiede l’espansività veneta unita alla capacità
di accogliere. Diffidente di fronte a chi ignori le sue abitudini
e non si entusiasmi subito al primo bicchiere di Terrano o resti
perplesso di fronte alla iota si chiude in sé: “no gavemo gnente”
sembra pensare.
Purtroppo dimentica che a Trieste vi era una tradizione di ristoratori formati alla scuola del Lloyd triestino dove i passaggi sulle
navi che attraversavano gli oceani erano ricercati per l’ottimo trattamento di bordo.
Nei ristoranti dei cuochi del Lloyd, aperti al momento del pensionamento e dello sbarco, le pietanze erano preparate da cuochi
di origine piranese e gradese noti già nel 1500 per l’esecuzione di
banchetti illustrati dal Babudri e dal Caprina
LA CUCINA A TRIESTE
xv
Il servizio era inappuntabile e si presentavano ben diversamente
dalle trattorie di oggi anche se in questi ultimi anni si può notare
qualche segno di ripresa.
In questa città di traffici, i ristoranti come i caffè ospitavano incontri di affari, per preliminari di vendite e di contratti. Era importante mangiare bene, pietanze classiche servite con garbo e una
certa raffinatezza.
L’ospite di riguardo invece, veniva invitato a casa, dove le padrone
di casa, o per loro le cuoche, erano esperte e conoscevano i segreti della cucina internazionale che Katherina Prato, moglie di un
ufficiale austriaco, aveva descritto pazientemente in un grosso e
farraginoso volume dedicato alla cucina dell’Austria del sud, di
cui troviamo le ricette trascritte, non senza qualche variante, nei
libricini manoscritti delle nonne.
Un mosaico variegato composto da svariate consuetudini costituisce lo sfondo gastronomico della nostra città diffidente nonostante l’apparente gaia spensieratezza, consapevole dei propri
valori ma sempre troppo preoccupata per un futuro dagli incerti
confini. Valori e difetti che si ritrovano nella sua gastronomia dove
si incontrano la cucina della borghesia e quella rustica popolana
e carsolina, la saggia cucina veneta, la barocca cucina austriaca,
le stimolanti pietanze ungheresi, la consistente frugalità slovena,
la sobrietà severa della cucina istriana, il sapore primitivo delle
erbe dalmate, il tocco mediterraneo della cucina greca ispiratrice
remota della raffinata cucina turca e la smagliante e consistente
presenza delle pietanze dell’Italia meridionale.
Da questo caleidoscopico insieme risulta una serie di piatti apparentemente molto diversi tra loro: alcune portate rimangono solo
un ricordo, altre sono sopravvissute, altre ancora hanno cambiato
genere e da pietanze povere sono rientrate nelle abitudini come
piatto unico o come entrée perdendo il loro aspetto popolare ma
fondendo il passato con il presente e mantenendo viva una tradizione da conservare con affettuosa devozione.
Il rispetto della tradizione non impedisce alla gastronomia triestina di modificarsi e in questo volume accanto alle ricette tipiche,
xvi
MANGIARE TRIESTINO
sono state introdotte ricette più moderne che si possono eseguire
esclusivamente con prodotti che crescono nei nostri dintorni.
Abbiamo voluto di proposito allontanarci dal tipico per proporre
ai nostri lettori un che di diverso che non sia l’ennesima edizione
di un manuale esclusivamente di cucina triestina di cui ve ne sono
parecchie già in commercio.
Un grazie particolare a mio marito, a mia figlia Anna, ai professionisti Dario Basso, Liliana Bontempo, Giorgio Busdon, Silvestra
Crismani, Lucia Cuk, Diana Redivo, Arturo Rimini, Mario Suban, Anna e Michele Valente, Camillo Zambon.
Agli studiosi Livio Grassi e Pietro Covre, agli amici Franco Battiston, Liliana Bamboschek, Sergio Ciriello, Mirella Doz, Emilia
Emili, Giuliana Fabricio Dei Rossi, Ervino Fabbro, Cesare Fonda, Maria Goriup, Alba e Stanko Jazbar, Luciano Meola, Laura
Borghi Mestroni, Mariuccia Molinari, Luciana Morassutti, Nora
Morpurgo, Laura Niseteo, Thea Riva de Onestis, Gianni Romani,
Rina Romani, Maria Grazia Rozzo, Lidia Samer, Graziella Semacchi, Lucy Seriani, Nadia Sossi, Puci Stroili, Alda Suber, Armida
Taucer, Edda Vidiz, Sergio Zorzon.
Ai giornalisti Paola Vento, Luciano Santin e Luciana Versi e a tutti
coloro che con il loro affetto mi sono stati vicini.
Golfo di Trieste e castelli dopo il mille (da G. Almerigogna).
Pianta del Comune di Trieste e rioni cittadini.
Rioni
Miramare
Le bianche torri di Miramare sembrano accogliere il visitatore che
proviene dalla strada costiera, sullo sfondo vi è Trieste che si specchia nel suo mare e che si snoda verso l’Istria e il campanile di
Pirano. A destra punta Sdobba, Monfalcone, Grado e Lignano si
collegano alle Alpi innevate completando lo splendido scenario.
Carducci nelle Odi barbare recita:
O Miramare, a le tue bianche torri
attediate per lo ciel piovorno
fosche con volo di sinistri augelli
vengon le nubi.
…
Addio castello pe’ felici giorni
nido d’amore costruito in vano!
Il castello ha purtroppo una triste rinomanza: Massimiliano d’Austria lo fece costruire nel 1856 dirigendo personalmente i lavori
e vi stabilì la sua dimora scegliendo come data la vigilia di Natale
del 1860 sistemandosi nel pianoterra poiché il piano superiore
non era ancora completato. Trascorse anni sereni fino a quando
accettò la corona del Messico dove fu fucilato a Queretaro a opera
dei rivoltosi. Nel 1914 il principe di Wied diretto in Albania per
essere incoronato re, dormì al castello nel quale fu anche ospite
Guglielmo II imperatore di Germania. Ambedue perderanno il
trono.
2
MANGIARE TRIESTINO
Nello stesso anno si ferma al castello Francesco Ferdinando d’Asburgo, che era destinato a diventare re di Croazia e d’Ungheria.
Verrà invece assassinato a Sarajevo pochi mesi dopo.
Nel 1933 il castello ospitò Amedeo duca d’Aosta e la famiglia.
Dopo sei anni di soggiorno il duca partì per l’Etiopia perché ne
era stato nominato viceré. Morì in Africa nel corso della Seconda
Guerra mondiale prigioniero degli inglesi.
Alla fine della guerra il castello fu occupato dagli alleati che lo
deturparono con un orribile camino per potenziarne il riscaldamento. Anche alcuni generali che abitarono per un periodo nel
castello morirono in un secondo tempo di morte violenta. Il generale Charles Moor giunto a Miramare con la moglie morirà in
Corea durante il conflitto.
Fu sostituito da Vernice Musgrave McFadden il quale dopo un periodo di permanenza con la moglie venne richiamato in America
dal presidente Eisenhower. Morì in un incidente automobilistico
lungo il tragitto da Trieste a Livorno.
Il generale britannico Freybeerg che aveva guidato i neozelandesi
nella “corsa per Trieste” volle dormire fuori dal castello in una
tenda nel parco, per sfuggire alla maledizione. La precauzione fu
inutile poiché morì di polmonite.
Molti sostengono che le sinistre vicende sono legate alla presenza
di una sfinge in pietra posta a capo del moletto.
Il parco è uno dei più belli della città, ricco com’è di piante rare
ed esotiche; durante la bella stagione vi si svolgono concerti itineranti di musica classica e d’estate la piccola darsena offre uno
straordinario palcoscenico allo spettacolo di luci e suoni.
L’acqua è tanto pura che di fronte al castello sorge un parco marino creato nel 1973 dove si possono studiare specie che si consideravano estinte nei nostri mari.
Il parco si affaccia sulla baia di Grignano anch’essa sede di un porticciolo nautico, ristoranti, stabilimenti balneari e l’albergo che
ospita gli studiosi del centro internazionale di fisica che si trova
alle spalle del complesso residenziale.
Sulle colline che sovrastano Grignano prosperano le viti che danno
il vino Pucino oggi bianco ma che ai tempi dell’imperatrice Livia,
RIONI
3
seconda moglie di Augusto era quasi sicuramente nero essendo il
prodotto di vitigni di refosco che il nostro terreno argilloso trasforma in terrano. Sembra che la longevità dell’imperatrice Giulia
Augusta, che raggiunse l’età di 82 anni, fosse dovuta al consumo
esclusivo di tale bevanda. [Testo di Viviana Rocco].
Grignano
A Grignano, prima di arrivare al castello di Miramare troviamo
l’albergo Riviera sorto al posto di un vecchio monastero. L’albergo
Adriatico invece è stato messo a disposizione degli scienziati che
lavorano presso il centro di Fisica Teorica sotto la direzione del
premio Nobel Abdul Salam.
Con altri scienziati provenienti da ogni parte da mondo si sta
preparando l’anello per il protosincrotrone progettato a Ginevra
dal goriziano prof. Rubbia, premio Nobel anche lui, che troverà la
sua sede nell’area di Padriciano-Basovizza.
Barcola
La prova che Barcola fosse nota agli antichi romani, è che sul finire del 1800 nel corso di lavori di sterramento, vennero alla luce
antiche ville romane.
Nel secolo scorso era ancora un villaggio di pescatori: l’Agapito
segnala la presenza delle tonnare che avevano il loro posteggio disegnato sulla riva, e alcuni triestini ricordano la presenza di questi
segni.
I sardoni barcolani erano e sono tuttora un piatto tradizionale e ricercato. “Casanova che la sapeva lunga in fatto di buoni bocconi,
narrava dei pranzi consumati a Trieste a casa del console Monti di
Venezia in grande compagnia e, aggiungeva, ero stato una sera in
riva al mare a mangiare le sardelle”. [Testo di F. Babudri].
Solo nel 1859 fu aperta la strada che costeggiava il mare; prima
bisognava passare attraverso il colle di Gretta. Sono ancora vive le
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MANGIARE TRIESTINO
tradizioni antiche come la sagra di san Bartolomeo del 24 agosto.
Nel passato a una di queste sagre partecipò persino il re delle Due
Sicilie che in quel periodo si trovava a Trieste in attesa di proseguire per Vienna.
C’era uno squero, piccolo cantiere navale dove si costruivano e si
riparavano barche da pesca. Sul finire del secolo a Barcola ebbe
inizio lo sviluppo turistico: nel 1889 si aprì il bagno Excelsior
mentre dall’altra parte della strada sorgevano osterie con luminarie e palloncini ed erano frequenti gli spettacoli pirotecnici.
Il tram abolì le distanze. Con lo sviluppo edilizio scomparvero i
villaggi di pescatori, le campagne, le tonnare, le sagre. Passeggiata
ridente, relativamente nuova essendo stata aperta nella seconda
metà del secolo scorso, oggi è costellata di gelaterie, bar e da qualche ristorante dove si può mangiare ottimo pesce.
Ravvivata da due schiere di tamerici si affaccia sul golfo ed è in
tutte le stagioni una delle passeggiate preferite dai triestini. Sulla
costiera si trovano bagni pubblici chiamati topolini ma la gente
di ogni ceto sociale preferisce fare il bagno e prendere il sole sulla
passeggiata stessa che si trasforma in una spiaggia variegata e affollata fino al bivio da cui si può accedere al castello di Miramare.
Sull’ultimo tratto di questo viale vi sono altri stabilimenti privati
e pubblici.
Da Barcola si percorre un viale alberato e si lasciano a destra il
bagno ferroviario e a sinistra, sulla collina, il faro della Vittoria
eretto nel 1927 a ricordo dei caduti sul mare.
Sora el coston de Barcola
tuto de bianca piera,
se alza de la tera
un faro colossal, Dedrio,
xe rocia carsica,
in fiancoi el ga trieste
in alto el ziel zeleste
e soto el nostro mar.
Un mariner e un’ancora
RIONI
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puzai sul basamento
ghe dona al monumento
artistico valor.
In zima, sora l’agile
colona scanelada,
corona iluminada,
sta ’l splendido fanal.
Più in alto ancora, un angelo
emblema de vitoria
l’eterna per la storia,
i sacri eroi del mar
Raimondo Cornet Corrai, “El faro de la vitoria” da Trieste Mia!
Roiano
Roiano era un sobborgo di campagna dove le famiglie patrizie
avevano vigne, mandrie e case coloniche, numerose erano le rogge
e il torrente Martesin separava Roiano da Trieste.
Nel 1857 Trieste fu collegata con Vienna con la prima linea ferroviaria che passava su un viadotto sopra il Lazzaretto nuovo, voluto
da Maria Teresa nel 1769 alla foce del Martesin.
La strada ferrata contribuì a unire la città a Roiano. La costruzione del castello di Miramare avvenuta nel 1856 ebbe come conseguenza l’apertura della strada via Lazzaretto nuovo, oggi viale
Miramare, lungo la quale si sviluppò il borgo.
La chiesa dedicata ai santi Ermacora e Fortunato, fino a un secolo
fa si trovava isolata da quello che è divenuto il centro urbano. La
chiesa iniziata nel 1858 fu consacrata nello stesso anno dal vescovo Bartolomeo Legat.
Nella chiesa di Ss. Ermacora e Fortunato vi sono i bassorilievi che
rappresentano le quattordici stazioni della Via Crucis ad opera
dello scultore triestino contemporaneo Carlo Sbisà.
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MANGIARE TRIESTINO
All’epoca dell’inaugurazione del Lazzaretto, Roiano nota come
Ruglano o Ruiani era pressoché una zona disabitata: vi si accedeva
attraverso le colline di Scorcola e di Opicina, dalla salita di Gretta
e dal mare, percorrendo la via Belvedere ora via Udine.
Nel 1868 la parte di Roiano che dava sul mare fu chiusa per la
costituzione del punto franco.
Una delle prime industrie fu quella dei cordami: già prima della
chiusura del Lazzaretto, la via dei Cordaroli ci ricorda le corderie
Sinibaldi e Bozzini.
La ditta “Camis e Stock” ha trovato a Roiano la sua seconda sede
e presto verrà nuovamente ristrutturata da privati.
L’abitato si estende fino alla località di monte Radio nota anche
come Terstenico.
Vi è un’antica trattoria, la trattoria Bolle nota fin dal 1899, che fa
parte delle antiche trattorie tipiche della città.
Dopo la guerra le case si infittirono e oggi campi e boschi sono
un ricordo.
Piazza della stazione
Si arriva così in piazza Libertà dove troviamo la stazione che fu
costruita nel 1878.
A sinistra guardando la stazione vediamo il vecchio silos, deposito
di granaglie quando Trieste era un grande emporio, trasformato
oggi in un ampio posteggio di tre piani a pagamento per le macchine. Proseguendo sulla sinistra dove si trovava la stazione delle
corriere costruita negli anni Trenta, oggi è stato attrezzato in pochi
mesi un nuovo teatro, la sala Tripcovich, offerto dal maestro Raffaello de Banfield Tripcovich noto compositore di musica lirica e
sinfonica e molto amato in città per la sua generosa disponibilità.
RIONI
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Rive
Da piazza Libertà il corso Cavour ci porta alle rive dove troviamo
la sede della Banca d’Italia dal massiccio aspetto rinascimentale,
un edificio post-moderno, l’albergo Jolly, un edificio della R.A.S.,
il palazzo verde dei cantieri riuniti dell’adriatico CRDA, dal 1940
già sede della Fincantieri, la direzione delle Generali dal 1886,
sull’angolo con il canale vi è il grattacielo del 1928 in mattoni
rossi dai profili bianchi progettato da A. Berlam.
Si prosegue verso la Sacchetta e si possono ammirare il palazzo
Carciotti che dà il nome alla riva e che porta il nome del proprietario Demetrio Carciotti venuto a Trieste dalla Morea. La chiesa
di san Nicolò dei Greci, tempio neoclassico che accoglie una delle
più attive, numerose e gloriose comunità di Trieste, fu eretta nel
1787 dopo la separazione tra greco ortodossi e serbo ortodossi.
L’edificio accanto era un albergo dedicato al principe di Metternich chiamato in seguito Hotel de la Ville. Oggi ospita una banca.
L’ultimo è il caffè Tommaseo. Si cambia marciapiede e nome della
riva.
Un elegante ristorantino, l’Elefante Bianco, ci accoglie, sempre
molto disponibile per gli orari: vi si può accedere anche dopo
teatro sicuri di trovare stuzzichini invitanti e piattini creati al momento. Seguono il retro del teatro e il palazzo della prefettura. In
seguito, attraversata la piazza Unità e lasciato a sinistra il molo
Audace, costeggiando il palazzo del Lloyd, troviamo l’hotel Savoia
Excelsior, e di fronte a esso, la stazione marittima i cui piani superiori ospitano il Palacongressi.
Ancora palazzi a sinistra, e a destra ritroviamo la pescheria, chiamata scherzosamente Santa Maria del Guato per il campanile che
si innalza accanto all’edificio e che è invece un rivestimento per
il serbatoio di acqua di mare che alimenta il sottostante acquario. Nell’acquario marino si trovano pesci esotici, pesci di grosse
dimensioni, pesci adriatici, pesci d’acqua dolce e, in una grande
vasca, una famiglia di pinguini che fanno la gioia dei più piccoli.
Proseguendo sempre sulla sinistra abbiamo la piscina coperta e
più avanti le gloriose società veliche come l’Adriaco, e la Vela, le
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MANGIARE TRIESTINO
società canottiere Adria, Ginnastica. Sempre tra una selva di alberi
e sartie la riva si chiude e ci porta alla Lanterna. Già dal 1776 il
governatore della città, a quel tempo soggetta all’Austria, propose
di costruire un grande faro in testa al molo teresiano, dove si ritiene ne esistesse uno già al tempo dei Romani. Il Faro fu poi progettato dall’architetto triestino Matteo Pertsch. La lanterna diventò
ben presto il simbolo di Trieste mercantile, con il suo cannone
che sparando a mezzogiorno, annunciava l’ora esatta agli abitanti.
[Testo di Giuliana Fabricio Dei Rossi da “Mare Vivo”].
Nel 1985 il presidente della sezione di Trieste della Lega Navale
Italiana si assunse l’impegno di avviarne il restauro per trasformare la lanterna in sede sociale. Oggi ospita la sezione di Trieste Mare
Vivo e un buon ristorante.
Più avanti vi è un bagno pubblico, il pedocin, dove un muro si
spinge nel mare, dividendo gli uomini dalle donne; viene sempre
citato poiché la divisione mal si concilia con lo spirito disinvolto
dei triestini.
Il bagno Ausonia Savoia era il ritrovo dei giovani nel dopoguerra:
quanti tuffi ascoltando l’allora giovanissimo Lelio Luttazzi che accennava sul piano del bar quei motivi che poi sarebbero diventati
famosi. Oggi, rinnovato, offre un confortevole ambiente a chi ha
poco tempo per allontanarsi dalla città e non vuole perdere i benefici dei bagni marini.
Più avanti troviamo le navi “ro-ro” porta container e la parte operativa del Porto Nuovo di Trieste.
Cittavecchia
Cittavecchia e le rive abbondavano di osterie e tutte offrivano
dell’ottimo vino alla numerosa quanto esigente clientela; avevano
inoltre sempre pronte in cucina le tradizionali trippe, lo sguazeto,
la iota e dei minestroni preparati con grossi pezzi di carne suina.
Le principali erano la trattoria All’arco di Riccardo, Alle antiche
spade, Al buon vecchio, Le due pistole, All’Antica Marinella, La
croce d’oro, al Pavone; non mancavano le osterie di infimo grado