progetto cervo - Parco Nazionale dello Stelvio

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progetto cervo - Parco Nazionale dello Stelvio
Consorzio Parco Nazionale dello Stelvio
Konsortium National Park StilfserJoch
PROGETTO CERVO
PIANO DI CONSERVAZIONE E GESTIONE DEL CERVO
NEL SETTORE TRENTINO DEL
PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO
E NEL DISTRETTO FAUNISTICO VAL DI SOLE
2008
PIANO DI CONSERVAZIONE E GESTIONE DEL CERVO
NEL SETTORE TRENTINO DEL
PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO
E NEL DISTRETTO FAUNISTICO DELLA VAL DI SOLE
A cura di Luca Pedrotti* e Natalia Bragalanti**
Hanno collaborato:
Fabio Angeli# - analisi e capitoli relativi agli impatti sulla rinnovazione del bosco
Ivan Callovi** - analisi e capitoli relativi agli impatti sulla rinnovazione del bosco
Anna Bonardi@ - analisi e figure relative allo studio sugli spostamenti e dispersione della
popolazione
Claudio Pasolli, Mariapia Cova e Marco Bregoli§ - analisi sullo stato sanitario della popolazione
* Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio
** Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale dello
Stelvio
# Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento
@ Università degli Studi dell’Insubria
§ Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Con il contributo e la condivisione di:
Servizio Foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento
Associazione Cacciatori trentini
RINGRAZIAMENTI
Il presente progetto ha richiesto la collaborazione di numerose persone, nelle varie fasi di
organizzazione, realizzazione e stesura finale, senza il cui impegno non sarebbe stato possibile
raggiungere gli attuali risultati. La collaborazione e la condivisione degli obiettivi tra Parco dello
Stelvio, Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento e Associazione Cacciatori
Trentini è risultata di fondamentale importanza in tutte le fasi del lavoro.
Siamo grati a tutto il personale dell’Ufficio periferico di Cogolo del Parco Nazionale dello Stelvio
per l’insostituibile supporto e per la pazienza mostrata verso un’attività inusuale. In particolare
ringraziamo Fausto Ceschi, Nicola Mochen, Dorino Moreschini. Gli operai del Parco, in particolare
Franco Longhi, Livio Moreschini, Fausto Penasa, Carlo Zanon e Antonio Licenzi, hanno dato un
contributo fondamentale a tutte le fasi del lavoro.
Ringraziamo i Comandanti e gli Agenti del Corpo Forestale Provinciale delle Stazioni forestali del
Parco dello Stelvio di Peio e Rabbi, del Distretto Forestale della Val di Sole, Malé, Dimaro e
Ossana, e del Distretto Forestale di Cles, fondamentali per la buona riuscita delle fasi di
monitoraggio e per l’aiuto nelle attività di cattura; un ringraziamento particolare va a Nicolò Bacca,
Michele Barbieri, Claudio Bordati, André Bortolameolli, Piergiorgio Canella, Giuseppe Dalla Torre,
Marco Dallavalle, Luca Ducoli, Massimiliano Luzzani, Stefano Manini, Tommaso Minati, Guido
Moreschini, Christian Moro, Luigi Pedri, Gianni Pegolotti, Luciano Piazzi, David Succetti, Mario
Taddei, Marco Tasin, Bruno Todeschini, Walter Valentini, Severino Viviani e Mauro Zambelli.
Riconoscenza va a tutte le persone che hanno partecipato e dato il loro contributo alla
realizzazione delle operazioni di cattura dei cervi: Ivo Casolla, Cristina Fraquelli e Paolo
Zanghellini che hanno fornito la loro esperienza di veterinari e di esperti di catture; i guardiacaccia
dell’ACT e, in particolare, Stefano Dell’eva, Emilio Depetris, Antonio Fanti, Graziano Paris, Adriano
Taller.
Un ringraziamento a tutti i cacciatori delle Riserve del Distretto Faunistico Val di Sole che si sono
costantemente impegnati ed hanno partecipato alla raccolta dei campioni biologici per le
valutazioni biometriche e sanitarie e ai censimenti.
Gratitudine va a Chiara Albero, Daniele Asson, Federica Badino, Luisa Bresadola, Nicola
Geneletti, Manuel Penasa, Claudia Rigotto, Micol Roncoroni, Chiara Rossi e Diego Serini, che
hanno fornito il loro prezioso aiuto al progetto, nell’ambito della loro tesi di laurea o di master.
Barbara Chiarenzi, Ivan Callovi, Jessica Gentilini, Lucio Luchesa, Sara Luchetti, Ilenia Perrotta,
Francesca Sotti, Margherita Tommasini e Massimiliano Zaninetti si sono alternati nel corso di
cinque anni di progetto nella attività di osservazione, censimento e monitoraggio mediante radiotracking dei cervi marcati. A loro spetta un omaggio particolare per aver contribuito in modo
essenziale, e con grande impegno in lunghe giornate (e nottate!) di campo alla raccolta di una
enorme mole di dati.
Un ringraziamento particolare va a Francesca Cagnacci e Barbara Franzetti, che hanno stimolato
e reso possibile l’avvio di sperimentazioni alternative nella valutazione della densità della
popolazione ed hanno fatto crescere la curiosità e la voglia di percorrere nuove strade.
Giorgio Carmignola e Franco Perco, rappresentano la memoria storica del Progetto Cervo
iniziato a cavallo del nuovo millennio; senza i loro insegnamenti e il loro lavoro precedente questo
piano non esisterebbe.
Grande riconoscenza va a Guido Tosi, per la competenza, la passione e i continui scambi di
idee.
Il proficuo e costante rapporto con il Servizio Foreste e Fauna e con l’Associazione Cacciatori
Trentini ha permesso di raggiungere un eccellente coordinamento delle operazioni congiunte e di
mantenere un continuo scambio di informazioni. Per questo ringraziamo Romano Masé, Maurizio
Zanin, Ruggero Giovannini, Paolo Kovatsch, Maurizio Mezzanotte, Mariasanta Calabrese, Fabrizio
Baldessarri, Walter Sieff della Provincia Autonoma di Trento e Sandro Flaim, Umberto Zamboni,
Alessandro Brugnoli, Lucio Luchesa e Mauro Alberti dell’Associazione Cacciatori Trentini.
Un riconoscimento va alle numerose persone che hanno contribuito ai contenuti ed alla struttura
del progetto: Enrico Bassi ha fornito le sue conoscenze relative allo stato di conservazione del
gipeto; Anna Bonardi ha realizzato le analisi sulla condizione e costituzione delle popolazioni e
sugli spostamenti dei cervi monitorati; Alessandro Gugiatti e Sandro Nicoloso hanno portato la
loro grande esperienza dal “lato” lombardo del Parco; Lucio Luchesa e, in una fase successiva,
Mauro Alberti, tecnici faunistici dell’ACT, hanno costantemente fornito supporto, collaborazione e
un’infinita energia a tutte le fasi del progetto; Ettore Zanon ha fornito la sua esperienza e le sue
conoscenze di balistica per le valutazioni relative all’utilizzo delle munizioni; l’Istituto Zooprofilattico
delle Venezie e in particolare Claudio Pasolli, Marco Bregoli e Mariapia Cova, hanno curato gli
aspetti relativi allo stato sanitario della popolazione; Vincenzo Manini, Alfeo Melchiori, presidente
della Consulta della Val di Sole e i Rettori delle Riserve di Caccia della Val di Sole, si sono resi
disponibili ad un continuo confronto critico sulle previsioni del piano; il confronto critico con Andrea
Agapito e Guido Trivellini, del WWF Lombardia, ha reso possibile un approccio ancora più
approfondito sugli aspetti del controllo delle popolazioni di fauna selvatica.
Un ringraziamento, infine, ai presidenti del Parco, Ferruccio Tomasi, Franca Penasa e Angelo
Dalpez e ai direttori, Paolo Moreschini, Luigi Spagnolli e Wolfgang Platter, per il sostegno e la
fiducia accordate alle attività di ricerca.
INDICE
1.
INTRODUZIONE ................................................................................................................... 1
2. IL PROGRAMMA DI INDAGINE E SPERIMENTAZIONE (1998 – 2000) .............................. 7
2.1. Obiettivi del Programma Triennale.................................................................................... 7
2.2. Quadro della situazione del cervo nell’ Unità di Gestione “Val di Sole” e sintesi delle
conclusioni operative emerse dal programma ............................................................................. 11
2.3. Il primo piano di gestione nell’ug “Val di Sole” (2000-2004) ............................................ 12
3. ATTIVITÀ DI INDAGINE E GESTIONE – LA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI E I
RISULTATI DEL PRIMO PIANO DI GESTIONE (2000-2006) ...................................................... 15
3.1. Definizione a livello cartografico delle aree di svernamento ed estivazione e archiviazione
digitale delle informazioni ............................................................................................................ 16
3.2. Ricostruzione del quadro distributivo, delle consistenze e della demografia ................... 17
3.2.1 Valutazione sperimentale delle consistenze della popolazione ................................... 17
3.2.1.1. Censimenti primaverili notturni .............................................................................. 19
3.2.1.2. Attività sperimentale di censimento mediante mark-resight ................................... 21
3.2.1.3. Attività sperimentale di censimento mediante distance sampling applicato alla
termografia ad infrarossi.......................................................................................................... 22
3.2.1.4. Attività sperimentale di censimento mediante distance sampling applicato al pellet
group count ............................................................................................................................. 24
3.2.1.5. Ricostruzione retrospettiva della demografia e della dinamica di popolazione
mediante cohort analysis......................................................................................................... 25
3.2.1.6. Valutazione della struttura di popolazione mediante censimenti estivi................... 26
3.3. Analisi delle capacità di spostamento e di dispersione della popolazione ....................... 27
3.4. Analisi della condizione e costituzione ............................................................................ 36
3.5. Analisi dello stato sanitario ............................................................................................. 39
3.6. Analisi delle interazioni con altre componenti dell’ecosistema e con le attività umane .... 42
3.6.1 Impatto sul bosco........................................................................................................ 43
3.6.1.1. Rilievo per punti di campionamento....................................................................... 43
3.6.1.2. Rilievi mediante l’impiego di recinti di esclusione .................................................. 44
3.6.1.3. Rilievo mediante transetti a carico della rinnovazione forestale nel Parco Nazionale
dello Stelvio ............................................................................................................................. 45
3.6.2 Impatto sui prati-pascoli .............................................................................................. 46
3.6.3 Interazione con il capriolo ........................................................................................... 47
3.6.4 Interazione con il camoscio......................................................................................... 48
3.6.5 Interazione con il gallo cedrone................................................................................... 49
3.6.6 Interazione con il gipeto .............................................................................................. 50
3.7. Risultati degli andamenti di sei anni di prelievo............................................................... 50
4. STATO DEL CERVO E RAPPORTI CON L’ECOSISTEMA................................................ 55
4.1. Ridefinizione della Unità di Gestione .............................................................................. 55
4.1.1 Il Parco Nazionale dello Stelvio................................................................................... 55
4.1.2 Inquadramento geografico .......................................................................................... 57
4.1.3 L’unità di gestione....................................................................................................... 58
4.1.4 Inquadramento ambientale ......................................................................................... 61
4.2. Status attuale della popolazione di cervo........................................................................ 63
4.2.1 Quadro storico ............................................................................................................ 64
4.2.2 Distribuzione ............................................................................................................... 69
4.2.3 Consistenza e dinamica.............................................................................................. 72
4.2.3.1. Valutazione critica dell’efficienza dei differenti metodi di conteggio adottati........... 74
4.2.3.2. Ricostruzione della popolazione per coorti ............................................................ 80
4.2.3.3. Ricostruzione della dinamica della popolazione .................................................... 83
4.2.3.4. Analisi della mortalità ............................................................................................ 89
4.2.3.5. Storia ed evoluzione della popolazione nell'unità di gestione ................................ 90
4.2.4 Demografia e Struttura.............................................................................................. 106
4.2.4.1. Rapporto tra i sessi ............................................................................................. 106
4.2.4.2. Struttura della popolazione per età...................................................................... 108
4.2.4.3. Analisi della mortalità naturale............................................................................. 109
4.2.4.4. Analisi della natalità e della produttività della popolazione .................................. 111
4.2.4.5. Dinamica di popolazione nel parco e dipendenza dalla densita' .......................... 115
4.2.5 Condizione e costituzione ......................................................................................... 121
4.2.5.1. Curve di crescita ................................................................................................. 121
4.2.5.2. Condizione e costituzione ................................................................................... 123
4.2.5.3. Fertilità e potenziale riproduttivo.......................................................................... 126
4.2.5.4. Distribuzione dei concepimenti............................................................................ 129
4.2.5.5. Conclusioni ......................................................................................................... 130
4.2.6 Capacità di spostamento e di dispersione della popolazione .................................... 132
4.2.6.1. Qual è l’unità di popolazione della Val di Sole e qual è di conseguenza la migliore
unità territoriale da prendere in considerazione per la gestione del cervo in Val di Sole ? ..... 135
4.2.6.2. Quali sono le differenti strategie di occupazione dello spazio ? ........................... 136
4.2.6.3. Che percentuale della popolazione ha un comportamento migratorio ? .............. 141
4.2.6.4. Che spostamenti compiono le cerve che effettuano migrazioni stagionali tra i
quartieri di svernamento e di estivazione ?............................................................................ 143
4.2.6.5. In che periodo avvengono le migrazioni stagionali ? ........................................... 145
4.2.6.6. Qual è la dimensione media degli home range annuali e stagionali ?.................. 146
4.2.6.7. Come funzionano i meccanismi di dispersione ? ................................................. 159
4.2.6.8. Quali sono state la sopravvivenza e le cause di morte degli animali marcati con
radiocollare?.......................................................................................................................... 160
4.2.6.9. Conclusioni ......................................................................................................... 161
4.2.7 Stato sanitario........................................................................................................... 166
4.3. Quadro delle problematiche e delle valenze delle popolazioni di cervo nel contesto
ambientale, gestionale e socio-eConomico dell’ Unità di Gestione............................................ 171
4.3.1 Impatti sulla rinnovazione del bosco ......................................................................... 171
4.3.2 Impatti sui prati-pascoli ............................................................................................. 182
4.3.3 Danni a orti e coltivazioni per calpestio e brucamento............................................... 187
4.3.4 Collisioni con veicoli.................................................................................................. 188
4.3.5 Mortalità nei pressi dei centri abitati .......................................................................... 191
4.3.6 Interazioni con altre componenti faunistiche dell’ecosistema .................................... 193
4.3.6.1. Interazioni con il capriolo..................................................................................... 193
4.3.6.2. Interazioni con il camoscio .................................................................................. 195
4.3.6.3. Interazioni con il gallo cedrone ............................................................................ 199
4.3.6.4. Interazione con il gipeto ...................................................................................... 202
4.3.6.5. Interazioni con i grandi predatori ......................................................................... 210
4.3.7 Mantenimento delle aree aperte................................................................................ 220
4.3.8 Fruizione scientifica e turistico-naturalistica .............................................................. 221
4.3.9 Gestione venatoria.................................................................................................... 222
4.4. Considerazioni di sintesi su status e problematiche ...................................................... 224
4.4.1 Gli impatti ecologici della sovrabbondanza dei cervi ................................................. 224
4.4.2 La situazione nel Parco Nazionale dello Stelvio ........................................................ 227
4.4.3 La situazione nel Distretto Faunistico Val di Sole...................................................... 231
4.4.4 Verso una visione per il nuovo piano di conservazione e gestione del cervo............. 233
4.4.5 Quadro normativo di riferimento................................................................................ 235
5. LINEE STRATEGICHE PER LA CONSERVAZIONE E GESTIONE DELLA POPOLAZIONE
DI CERVO NELL’UNITÀ DI GESTIONE (2009-2013) ................................................................ 239
5.1. Obiettivo generale ........................................................................................................ 240
5.2. Obiettivi specifici........................................................................................................... 240
5.3. Azioni proposte............................................................................................................. 242
5.4. Piano di controllo della popolazione di cervo ................................................................ 246
5.4.1 Obiettivi del piano di controllo ................................................................................... 246
5.4.2 Modalità di riduzione della popolazione all'interno del Parco..................................... 247
5.4.3 Proposta di piano prelievo......................................................................................... 251
5.4.4 Area di intervento...................................................................................................... 258
5.4.5 Tempi di intervento ................................................................................................... 260
5.4.6 Personale ................................................................................................................. 260
5.4.7 Modalità di intervento................................................................................................ 262
5.4.8 Problematiche connesse alla realizzazione del piano di controllo ............................. 262
5.4.9 Costi ......................................................................................................................... 267
5.4.10 Indicatori di valutazione........................................................................................... 269
5.4.11 Risultati attesi ......................................................................................................... 269
6.
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 270
+0641&7<+10'
Le varie componenti sociali attribuiscono alla fauna selvatica un ampio spettro di valori e
significati, spesso tra loro contrastanti. Alcuni di essi sono positivi: sussistenza, ricreazione,
utilità commerciale, arricchimento estetico ed emotivo, valore scientifico legato alla storia
evolutiva e alla funzione ecologica che gli organismi viventi hanno nei sistemi naturali
indispensabili alla vita dell'uomo.
In altri casi la società e alcune componenti dell'opinione pubblica sono più attente agli aspetti
negativi legati alla fauna selvatica. Essa può disturbare o creare danni alle proprietà, ad altra
fauna o a interi ecosistemi. Alcune specie possono fungere da serbatoi o vettori per malattie
trasmissibili all'uomo o agli animali domestici. Altre, infine, possono attaccare direttamente
l'uomo.
In questo senso gli obiettivi della gestione faunistica sono quelli di conservare e migliorare lo
status della fauna che è percepita quale valore positivo e ridurre gli effetti considerati come
negativi o, comunque, indesiderati. In questo senso la limitazione dei danni arrecati dalla fauna
selvatica, così come la sua tutela, gestione e il suo razionale utilizzo (consumptive use) fanno
parte di quello spettro di attività tra loro complementari che, riunite, sotto il più ampio termine di
conservazione faunistica, vengono messe al servizio della società.
L'introduzione di valori di carattere sociale attribuibili alla fauna selvatica per la pianificazione
di politiche pubbliche, è un processo di carattere anche politico, di cui bisogna necessariamente
tenere conto nello sviluppo di programmi di conservazione e gestione faunistica efficaci e
concretamente applicabili.
Esso rappresenta il risultato dei confronti tra le istanze e gli interessi delle varie componenti
sociali che attribuiscono alla fauna differenti scale di valori.
Tale processo non si limita ai soli aspetti tecnici e scientifici, anche se una solida base di
informazioni e considerazioni di carattere scientifico è fondamentale ed imprescindibile per
definire gli obiettivi di base e valutare le conseguenze tecniche delle differenti opzioni politiche.
L’affrontare un tema quale la valutazione dei possibili impatti arrecati da un grande
mammifero come il cervo alle altre componenti dell’ecosistema in cui vive e alle attività
economiche dell’uomo, implica direttamente l'attribuzione di valori e di giudizi negativi. Le
popolazioni animali vengono solitamente definite sovrabbondanti (o in eccesso), e quindi
meritevoli di controllo numerico, quando, complessivamente, creano effetti negativi per una o
più componenti della società.
In termini puramente ecologici, ragionando quindi su scale spaziali e temporali adeguate,
diventa estremamente difficile ed arbitrario attribuire valori positivi o negativi all'evoluzione di
una popolazione e alle sue interazioni con le altre componenti dell'ecosistema, se non
prendendo in considerazione il ruolo e le funzioni che gli ecosistemi stessi (produttivi o naturali)
hanno per l'uomo.
Anche nei casi particolari in cui il giudizio sembrerebbe unanime, si pensi ad esempio al
possibile rischio di estinzione di un elemento della fauna locale che entra in competizione con
una specie alloctona, il rapporto con la specie umana (che, in questo caso, è causa
dell'immissione) è fondamentale.
1
II "danno", quindi, è sempre tale solo in rapporto al punto di vista umano e della società che,
come si è già accennato, non possiede, solitamente, un'opinione univoca nelle sue diverse
componenti. In questo senso l'accezione di "danno" va intesa come problema causato da una
condizione inattesa e non voluta ed è un concetto meramente antropocentrico e speciespecifico.
Il riconoscimento e la valutazione del danno richiede la definizione a priori di un obiettivo
concreto (una condizione desiderata o un beneficio atteso) che possa essere confrontato con la
condizione verificata in modo da determinare l'eventuale insorgenza e l'entità del danno stesso.
Da una prospettiva neutrale nei confronti della specie considerata (sia essa animale o
vegetale), il termine "danno" perde di significato. Da un punto di vista sociale il verificarsi di un
problema necessita di un proprietario (colui che subisce o, comunque, lamenta il danno) ed è il
"proprietario" del problema che solitamente definisce tale il danno. Ad esempio, se un
brucamento intensivo rappresenta un problema per lo sfruttamento forestale e per le specie
arboree, le altre essenze vegetali, così come la fauna e le persone che prediligono gli spazi
aperti, potrebbero invece trarre beneficio da una diminuzione della copertura forestale stessa.
Un simile approccio potrebbe apparire eccessivo nel caso in cui le considerazioni relative ai
danni riguardano le aree protette che, in virtù della loro specifica destinazione, dovrebbero
rappresentare i territori di valore naturalistico e ambientale più elevato e, quindi, meno
manipolati e marginalmente interessati dalla presenza e dalle attività antropiche. Tuttavia il
quadro non è così semplice. In buona parte dell'Europa l'ambiente ha subito trasformazioni così
profonde ad opera dell'uomo, da poter considerare ormai scomparsi, o estremamente rari, i
territori in cui è possibile operare senza tenere conto della presenza e delle esigenze umane.
Inoltre, le dimensioni medie delle aree protette sono tali da rendere impensabile una loro
gestione "a compartimento stagno", che non prenda in considerazione gli effetti della gestione
del territorio protetto sulle aree circostanti (solitamente tali effetti sono positivi, ma il caso non è
generalizzabile).
Una definizione rigorosa delle finalità e degli obiettivi gestionali di ciascuna porzione di
territorio (dai parchi nazionali sino ai distretti faunistici per la pianificazione venatoria) diventa
fondamentale per delineare un'efficace strategia di pianificazione e gestione di tali aree.
Nella realtà italiana, in base a quanto previsto dalla legge quadro sulle aree protette (L.
397/91), nei parchi nazionali è prevista la presenza di territori con ecosistemi parzialmente
alterati da interventi antropici e la possibilità di mantenimento e sviluppo delle attività
tradizionali. Secondo la classificazione in categorie proposta dall'IUCN (1994; Tabella 1.1), una
buona frazione delle aree individuate come "Parco Nazionale" in Italia, non viene riconosciuto
come tale secondo la classificazione internazionale, ma viene inserita nella categoria
"Paesaggio terrestre protetto"; e questo viene fatto prendendo in considerazione lo "stato
ambientale" dell'area considerata e le sue possibili finalità e obiettivi gestionali. Gli obiettivi
primari di un Parco Nazionale sono la conservazione delle specie e della diversità genetica e la
ricreazione, mentre quelli di un paesaggio protetto sono il mantenimento di caratteristiche
culturali e/o tradizionali particolari, la protezione di specifiche caratteristiche naturali/culturali e il
turismo e la ricreazione. Un maggior rigore in questo campo permetterebbe anche di stabilire
obiettivi più chiari nella programmazione degli interventi di controllo e delle differenti modalità di
intervento a seconda della tipologia di area considerata.
Il dibattito sulla necessità di gestione di alcune componenti della fauna selvatica all'interno
delle aree protette si focalizza inoltre sulle possibilità di stabilire quale sia il livello di
autoregolazione naturale delle popolazioni. Gli attuali quesiti e ipotesi sulla regolazione naturale
e sulla stabilità degli ecosistemi non possono essere risolti sul medio-breve periodo dal metodo
scientifico.
In molte aree protette le decisioni sull'opportunità di eventuali interventi diretti dovranno
essere prese prima di aver raggiunto una sufficiente comprensione scientifica del
funzionamento degli ecosistemi presenti. Anche questo significa che la definizione di chiari
obiettivi e motivazioni dovrà tenere in debito conto anche gli aspetti socio-politici ed economici.
2
In base a tutte le considerazioni sinora fatte, il problema trattato appare sicuramente
complesso e molto spesso legato a condizioni peculiari o locali.
Le basi tecnico-scientifiche necessarie a fornire raccomandazioni e soluzioni per risolvere i
problemi causati dalla fauna selvatica racchiudono conoscenza specifiche sulle specie
considerate e sui loro habitat. Ma nella definizione dei problemi e nella realizzazione dei
programmi operativi, gli aspetti tecnici sono solo una parte del "problema".
In questo panorama gli aspetti tecnico-scientifici necessitano del massimo rigore e della
massima chiarezza di obiettivi in modo da garantire una corretta pianificazione degli interventi
ed una altrettanto corretta valutazione dei risultati.
Il primo scopo del presente rapporto è quello di produrre un documento che analizzi in
modo approfondito lo status della popolazione di cervo nel Settore trentino del Parco
Nazionale dello Stelvio (PNS) e nelle aree limitrofe e quantifichi gli effetti e gli impatti
causati dalle elevate densità di cervo alle restanti componenti degli ecosistemi e alle
attività umane di interesse economico.
La seconda parte del rapporto ha lo scopo di tracciare un quadro tecnico di riferimento,
coerente e rigoroso, per valutare la necessità e/o l’opportunità di un controllo numerico
delle popolazioni e per pianificare in modo corretto ed efficace tali operazioni.
Il risultato finale è la stesura di un complessivo piano di conservazione e di gestione della
popolazione di cervo presente nell’unità di gestione posta a cavallo del Settore trentino del
Parco Nazionale dello Stelvio, che affronti il problema del controllo numerico del cervo nell’area
protetta in modo esauriente, coerente e tecnicamente corretto. Il Piano stabilisce un obiettivo
generale per mantenere un soddisfacente stato di conservazione delle popolazioni di cervo nel
Parco e definisce numerosi obiettivi specifici e le corrispondenti azioni per la realizzazione del
piano stesso e per l’avvio di una sua fase di verifica.
Il Piano dovrà essere sottoposto al parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
sull’Ambiente (ISPRA) ed essere approvato dal Consiglio Direttivo del PNS e da parte del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Il Piano stesso dovrà inoltre
essere corredato da uno Studio per la valutazione di incidenza in quanto il Settore trentino del
Parco è in gran parte ricompreso all’interno di tre Siti di Importanza Comunitaria e tre Zone di
Protezione Speciale, la cui valutazione è competenza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare.
Il presente documento si configura come uno strumento di lavoro per impostare in modo
razionale e condiviso le future attività di conservazione e gestione delle popolazioni di cervo nel
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e nel Distretto Faunistico della Val di Sole. Da
una parte, all’interno dell’area protetta, è necessario valutare la necessità e l’opportunità di
ridurre la densità della popolazione per gli impatti che tale densità elevata arreca nel lungo
termine agli equilibri ecologici del Parco e per i conflitti che si ingenerano con le attività di
interesse umano; dall’altra sarà necessario non limitare lo sguardo solamente all’interno del
Parco, consapevoli che il “sistema Val di Sole” debba essere considerato un unicum per la
popolazione di cervo. Così come le azioni attuate all’esterno hanno contribuito in parte a
determinare l’attuale situazione all’interno del Parco, ugualmente sarà necessario, nel momento
in cui si deciderà di agire nel Parco, prendere in giusta considerazione le possibili ricadute sulla
popolazione anche all’esterno.
Giunti al termine della seconda fase di pianificazione e sperimentazione del Progetto Cervo, si
ritiene utile riportare in modo sintetico i principali risultati raggiunti nell’attività di ricerca e
monitoraggio e fornire un quadro progettuale completo ed esaustivo per la futura
programmazione delle attività del “Piano per la conservazione e la gestione della popolazione di
cervo del Parco Nazionale dello Stelvio e della Val di Sole”.
Nella prima parte del documento (Capitolo 2) viene tracciata una sintesi di quanto raccolto,
realizzato e proposto nell’ambito del primo triennio di lavoro del “Progetto Cervo” (1998-2000).
Nel Capitolo 3 vengono documentati gli obiettivi di pianificazione cui ci si è riferiti nel periodo
3
2000-2006 e tutte le modalità di raccolta delle informazioni relative alla popolazione di cervo ed
alle sue interazioni con le componenti ecologiche, economiche e sociali del sistema su cui ci si
è particolarmente concentrati in questo lasso di tempo. Il Capitolo 4 rappresenta il vero e
proprio programma – piano di gestione per il futuro quinquennio. Il Capitolo 4.1 definisce nel
dettaglio le caratteristiche e i confini dell’unità territoriale in cui è distribuita la popolazione di
cervo e a cui si fa riferimento per la programmazione e per le azioni del piano (Unità di
Gestione). Il Capitolo 4.2 comprende una sintesi dello status attuale della popolazione di cervo
presente nell’Unità di gestione e della sua demografia e condizione. Il paragrafo 4.3 analizza e
quantifica, dove possibile, lo stato delle conoscenze delle interazioni tra il cervo e le componenti
ecologiche, economiche e sociali del sistema. Il paragrafo 4.4 contiene le considerazioni di
sintesi sulle problematiche che si vengono a creare in rapporto all’elevata densità della
popolazione di cervo e riporta il quadro normativo di riferimento entro cui si è tenuti a muoversi.
Tutto ciò rappresenta la base per poter effettuare una valutazione critica delle diverse opzioni di
gestione disponibili, per scegliere l’opzione ritenuta più opportuna e per definire
conseguentemente le nuove linee strategiche di gestione (paragrafo 4.5).
L’interesse specifico nei confronti del cervo nasce negli amministratori del Parco Nazionale
dello Stelvio verso la fine degli anni ’90 in base all’esigenza di far fronte alle continue e più o
meno intense pressioni emerse in ambito locale, riguardanti gli ipotizzati danni che le
consistenti popolazioni di cervo arrecavano alla rinnovazione del bosco ed alle attività umane di
interesse economico (pascoli e prati a sfalcio, coltivazioni di pregio, orti e frutticoltura intensiva).
Tra le ulteriori motivazioni alla base dei conflitti, possono essere citate le opinioni negative
sulle elevate densità e concentrazioni di cervo, considerate come una minaccia per l’elevato
rischio di collisioni lungo la rete stradale e come una possibile causa di malattie a carattere
epidemico responsabili di una diminuzione della “qualità” della popolazione e di elevate
mortalità. Secondo l’opinione di alcune categorie di portatori di interessi, le elevate mortalità
naturali sono inoltre considerate “inutili” poiché, attraverso l’introduzione del prelievo venatorio,
potrebbe essere ridotto e controllato il numero degli individui senza il verificarsi di apparenti
sprechi connessi con l’elevata mortalità naturale.
Per questo nel 1997 viene nominata un’apposita “Commissione Cervo”. La Commissione,
incaricata di analizzare il problema e di proporre possibili soluzioni alternative, arriva alla
conclusione che è necessario acquisire maggiori conoscenze, allora carenti, sullo status delle
popolazioni e sugli impatti da esse arrecati, prima di proporre qualsiasi intervento. Il lavoro della
Commissione si conclude nel 2000 con la stesura di un nutrito rapporto denominato “Progetto
Cervo – programma triennale di indagine e sperimentazione per una gestione del cervo nel
Parco Nazionale dello Stelvio”, realizzato da un gruppo di lavoro appositamente incaricato dal
Parco e formato da Franco Perco, Giorgio Carmignola, Luca Pedrotti e Claudio Pasolli.
4
Un’area naturale di terra e/o mare,
designata per:
a) proteggere l’integrità ecologica di uno o più ecosistemi
per le generazioni presenti e future;
b) escludere lo sfruttamento o l’occupazione contraria agli
scopi della designazione dell’area;
c) fornire una base per le opportunità spirituali,
scientifiche, educative, ricreative, tutte devono essere
compatibili con l’ambiente e la cultura.
PARCHI NAZIONALI
III
Aree protette gestite per la
conservazione la specificità
dell’ambiente naturale
MONUMENTI NATURALI
Aree protette gestite
principalmente per la protezione
degli ecosistemi e a fini ricreativi
Un’area che contiene uno, o più, caratteristiche specifiche
naturali o naturali/culturali, che rappresenta un'area di
notevole valore per le sue caratteristiche.
Un’ampia area di terra non modificata o parzialmente
modificata, e/o di mare, protetta e gestita per preservare la
sua condizione naturale.
Ib) Aree incontaminate: aree
protette gestite principalmente
per la protezione della natura
II
Un’area di terra e/o di mare che possiede rilevanti o
rappresentativi ecosistemi o caratteristiche geologiche
fisiologiche e/o di specie, disponibili principalmente per la
ricerca scientifica /o monitoraggio ambientale.
Ia) Riserve naturali o aree di
riserva integrale:
aree protette gestite
principalmente per la scienza
Un’area ove si persegue il mantenimento dei processi
ecologici e la conservazione della diversità biologica
costituenti esempi rappresentativi dell'ambiente naturale
nel quale praticare studi scientifici, il monitoraggio
dell'ambiente, la didattica e per mantenere le risorse
genetiche in uno stato di evoluzione dinamica.
RISERVE NATURALI INTEGRALI
E AREE INCONTAMINATE
I
DEFINIZIONE
NOME
CAT.
NOTE
Si tratta di aree di dimensioni piuttosto contenute, dove però si
rende necessario stabilire un regime di protezione a causa
della presenza di formazioni biologiche e/o geologiche di
particolare interesse oppure di reperti storici e artistici di alto
valore culturale.
Si tratta delle aree protette più note. In linea generale, nei
parchi nazionali non sono ammesse le attività che si basano
sul prelievo delle risorse e ogni iniziativa potenzialmente
nociva per l’ambiente deve essere attentamente autorizzata,
pianificata e controllata. I parchi nazionali si estendono su
superfici molto ampie e spesso comprendono habitat alquanto
differenti e interessanti.
Si tratta di territori in cui tutte le specie e tutte le risorse sono
protette in maniera rigorosa. L’obiettivo è quello di prevenire
qualsiasi possibilità di interferenza con l’uomo, vietando ogni
tipo di attività.
Lo scopo di queste aree infatti è quello di preservare
integralmente la biodiversità che vi abita, garantendone
l’isolamento totale dalle zone industriali e antropizzate. Esse
costituiscono dei laboratori di ecologia a cielo aperto, dove
l’unica attività consentita, su rilascio di specifica
autorizzazione, è appunto lo studio scientifico dei processi
naturali.
Tabella 1.1 – Categorie di gestione delle aree protette secondo l’UICN (Linee guida delle aree protette, 1994).
5
6
VI
V
IV
CAT.
AREE PER LA GESTIONE
SOSTENIBILE DELLE RISORSE
Aree protette per la tutela del
paesaggio e per fini ricreativi
PAESAGGI TERRESTRI E
MARINI PROTETTI
Aree protette gestite per la
conservazione dell’ambiente
naturale attraverso interventi di
gestione
AREE PER LA GESTIONE DI
HABITAT E SPECIE
NOME
Un’area che contiene in modo predominante sistemi
naturali non modificati, gestiti per garantire una protezione
a lungo termine e il mantenimento della diversità biologica,
provvedendo allo stesso tempo un sostenibile flusso di
prodotti naturali e servizi per far fronte ai bisogni della
comunità.
Aree di terra, con coste e mare, dove le interazioni tra
popolazione umana e natura hanno prodotto un’area di
carattere distinto con un valore estetico, ecologico e/o
culturale e spesso con un alto tasso di diversità biologica.
La salvaguardia dell’integrità di questa interazione
tradizionale è vitale per la protezione, mantenimento ed
evoluzione di questa area.
Un’area di terra e/o mare soggetta ad interventi di
gestione al fine di garantire il mantenimento degli habitat
e/o tutelare specifiche specie di animali.
DEFINIZIONE
Si tratta di zone naturali di notevole estensione in cui il bilancio
fra uso e non uso delle risorse è spostato a favore del primo.
In altri termini viene privilegiato il concetto di sfruttamento
controllato della natura rispetto a quello di protezione
rigidamente intesa. Si tratta dunque di aree dotate di una
biodiversità rilevante dove tuttavia è possibile il prelievo
sostenibile di materie prime, di origine biologica e abiologica, a
condizione che tali attività si svolgano nel rispetto dei tempi e
delle modalità del loro rinnovamento spontaneo.
Si tratta di territori e zone di mare in cui i limiti alle attività
umane sono intesi in maniera flessibile. Di fatto in questa
tipologia di area protetta sono consentite pressoché tutte le
attività che hanno a che fare con le tradizioni locali, purché
caratterizzate da un uso sostenibile delle risorse naturali. Si
tratta spesso di località che offrono buone opportunità per un
turismo non aggressivo e attività ricreative compatibili con
l’ambiente.
Rientrano tipicamente in questa categoria le zone abitate da
piccole comunità a economia basata sulla pesca,
sull’agricoltura locale e sul turismo ecologico.
Si tratta di aree il cui significato è grossomodo simile a quello
delle riserve naturali integrali. La differenza risiede nel fatto
che in esse sono tollerate iniziative di manutenzione
dell’ambiente naturale, come alcune pratiche selvicolturali, la
gestione di specie problematiche e poche altre. Nelle riserve
di questo tipo possono inoltre essere autorizzate alcune
attività a basso impatto ambientale.
NOTE
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Ō
In rapporto all’esigenza degli amministratori del Parco Nazionale dello Stelvio di dare una
risposta alle istanze emerse in ambito locale relative agli ipotizzati danni arrecati dal cervo alla
rinnovazione del bosco ed alle attività umane di interesse economico, nel 1997 viene nominata
un’apposita “Commissione Cervo”, composta da alcuni dei massimi esperti di gestione
faunistica in ambito nazionale e da rappresentanti degli Enti preposti alla gestione e
conservazione del patrimonio faunistico. La Commissione arriva alla conclusione che è
necessario acquisire maggiori conoscenze sullo status delle popolazioni e sugli impatti da esse
arrecati, prima di proporre qualsiasi intervento, suggerendo di nominare un Gruppo di esperti
che curi la realizzazione del progetto nel suo complesso. Il Gruppo di esperti conclude il suo
lavoro con la stesura di un nutrito rapporto denominato “Progetto Cervo – programma triennale
di indagine e sperimentazione per una gestione del cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio”.
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Tra il 1998 e il 2000, il gruppo di esperti lavora, anche con il supporto di consulenti esterni e
con il contributo degli agenti forestali del Parco, alla raccolta delle informazioni e alla stesura di
un primo piano di gestione.
I primi tre anni del programma di indagine e sperimentazione servono ad acquisire le
conoscenze di base necessarie (status delle popolazioni di cervo ed entità degli impatti sulle
altre componenti dell’ecosistema) e a dare avvio ad un piano di gestione delle popolazioni di
cervo che individui livelli soglia di consistenza tali da ridurre gli impatti da esse causati. Il piano
definisce quindi le modalità operative con cui ridurre le densità delle popolazioni laddove se ne
ravveda la necessità.
La fase di acquisizione delle conoscenze approfondisce i seguenti aspetti:
- valutazione della distribuzione e delle consistenza delle popolazioni;
- valutazione dell’evoluzione numerica negli anni;
- valutazione dello stato sanitario della popolazione;
- valutazione della condizione, costituzione e fertilità delle popolazioni;
- valutazione dell’ammontare dei danni alle attività agricole;
- valutazione dell’impatto degli ungulati sulla rinnovazione forestale;
- valutazione dell’interazione con i grandi predatori e ipotesi sulla fattibilità ed opportunità
di una loro reintroduzione (ne sfocia uno studio di fattibilità per la reintroduzione della
lince);
- sperimentazione di tecniche di controllo numerico mediante catture e abbattimenti.
7
La fase di raccolta dei dati sfocia nella produzione di un rapporto conclusivo (“Progetto Cervo
– programma triennale di indagine e sperimentazione per una gestione del Cervo nel
Parco Nazionale dello Stelvio”), discusso e approvato, in sede di Consiglio Direttivo, alla fine
del 2000 e consegnato, nella sua veste definitiva, nel gennaio 2001.
In esso sono ampiamente trattati i risultati conseguiti nella raccolta delle informazioni relative
allo status delle popolazioni di cervo e di altri Ungulati, agli impatti arrecati dalla specie sulla
rinnovazione forestale e sulle attività agricole, agli esiti delle azioni sperimentali di prelievo
effettuate mediante catture e abbattimenti. Nella seconda parte del rapporto è contenuta la
parte propositiva di pianificazione e vengono affrontate le differenti proposte gestionali per la
riduzione degli impatti arrecati dal cervo agli ecosistemi e alle attività umane (Piano di
Gestione).
Il rapporto, dopo aver analizzato lo status del cervo (distribuzione, consistenze, evoluzione
numerica, condizione e costituzione, fertilità, stato sanitario, impatto sulla rinnovazione del
bosco) nel Parco e nei territori ad esso limitrofi, individua 8 unità di popolazione (Figura 2.1),
definite anche Unità di Gestione (UG), in cui agire in modo specifico e differenziato.
Un’UG è l’ambito territoriale all’interno del quale, per motivi diversi, in genere di carattere
biologico, ma anche sociale, si ritiene altamente opportuno gestire una popolazione animale in
modo unitario, secondo ben precise finalità e tecniche. Ciascuna UG comprende quindi una
popolazione di cervo “demograficamente isolata” da quelle limitrofe. Per questo motivo i confini
principali che suddividono le UG all’interno del Parco corrono lungo i principali crinali
spartiacque posti al di sopra dei 3.000 m.
In tre unità di popolazione (Gomagoi-Tubre, Valfurva, Media Venosta – Martello) la maggior
parte del territorio, con quartieri di svernamento e di estivazione, si trova all’interno dell’area
protetta. Ne consegue che la dinamica di popolazione, in questi tre casi, dipende
fondamentalmente dalla gestione della specie praticata entro il territorio del Parco.
Per ciascuna UG vengono individuati livelli di “densità obiettivo”, entro cui ricondurre le
popolazioni di cervo, tali da conservare o, se necessario, ripristinare l’equilibrio ecologico della
biocenosi e proposti i conseguenti interventi gestionali. Essi vanno dall’opzione del “non
intervento” all’interno dell’area protetta (monitoraggio e libera evoluzione della popolazione) alla
definizione di piani di controllo per la riduzione della popolazione.
In base a tutti i dati raccolti e analizzati, relativi allo status delle popolazioni e agli impatti
arrecati alle altre componenti delle biocenosi del Parco ed alle attività di interesse economico, il
rapporto individua tre UG in cui la densità delle popolazioni risulta superiore alla Massima
Densità Sostenibile (MDS; Tabella 2.1, Figura 2.2).
Le proposte gestionali - per ciascuna UG - si fondano su due opzioni principali, denominate
rispettivamente “valore soglia” e “libera evoluzione” (ovvero anche “dinamica libera”).
8
Figura 2.1 - Le Unità di Gestione per le popolazioni di cervo del Parco Nazionale dello Stelvio. Spesso i
confini di tali unità territoriali superano abbondantemente i confini del Parco per ricomprendere intere
unità di popolazione.
Il valore soglia viene definito tecnicamente quale “parametro numerico convenzionale,
superato il quale è possibile un apprezzamento oggettivo di un fenomeno”. Riferito alla
dimensione della popolazione, è pertanto una densità superata nettamente la quale si ritiene
probabile l’instaurarsi di concomitanti fenomeni di disagio per l’ambiente, la specie e la società
locale (qui vista nelle sue attività tradizionali, non solo produttive ma anche di sicurezza ecc).
Questa densità soglia (MDS oppure MDBSS, cioè Massima Densità Sostenibile quale
contrazione rispetto a Massima Densità Biologicamente e Socialmente Sostenibile) supera
(comprendendoli anche) i tradizionali concetti di densità “biologica” riferiti solo alla “qualità” della
specie, includendo quindi anche aspetti "agro-forestali” di tipo meramente “economico” e le
esigenze di varietà ecologica della vegetazione.
L’opzione denominata “libera evoluzione” (o “libera dinamica”) è invece “l’indirizzo gestionale
che non prevede interventi diretti atti a modificare i processi demografici di una popolazione”.
Nei confronti del cervo non sono previsti interventi di sorta o almeno non sono previsti interventi
di controllo diretto sulle popolazioni.
L‘individuazione del valore soglia deriva dal confronto tra le Densità attuali (Da) delle
popolazioni di cervo e gli impatti da esse causati alla rinnovazione e sulla composizione
specifica del bosco. La sua determinazione è stata effettuata caso per caso (per ciascuna delle
8 UG) e i differenti livelli di densità soglia - proposti come obiettivo di gestione - vanno intesi
quali parametri sperimentali che necessiteranno in futuro di ulteriori indagini per confermarne
definitivamente gli assunti, ovvero per ricercare i livelli ottimali per approssimazioni successive.
In due UG, il progetto prevede un primo programma triennale di intervento mediante
abbattimenti (2000 – 2002) da realizzarsi anche e soprattutto all’interno dell’area protetta nella
UG Media Venosta – Martello (provincia di Bolzano) e da realizzarsi solo all’esterno del Parco
aumentando i tassi di prelievo e prolungando il periodo dei prelievi nella UG Alta Val di Sole
(Provincia di Trento;Tabella 2.1).
9
Tabella 2.1 - Densità attuali stimate (Da) delle popolazioni di Cervo nelle UG che ricomprendono il
territorio del PNS e individuazione dei rispettivi valori soglia; le densità si riferiscono all’estensione
dell’habitat idoneo alla presenza del cervo (e all’area di distribuzione delle diverse popolazioni).
Unità di Gestione
Da
MDS
Capi/100
Capi/100
ha
ha
Superamento
della MDS
Opzione
Tipo di intervento
Localizzazione
interventi
UG 1 - Val d’Ultimo
2,4
5-6
NO
Non necessario
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
UG 2 – Media Venosta–Martello
8,2
4
SI
Valore soglia
Rifusione e prevenzione dei Prioritariamente
danni
nel Parco
Miglioramenti ambientali
Prelievi
Catture
UG 3 – Gomagoi-Tubre
2,9
4-5
NO
Non necessario
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
UG 4 – Valfurva
12,9
7-8
SI
Libera evoluzione
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
Monitoraggio finalizzato
Catture
UG 5 – Livigno-Valdidentro-V. Viola
3,2
4-5
NO
Non necessario
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
UG 6 – Sondalo
4,9
5-6
NO
Non necessario
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
UG 7 - Alta Valcamonica
4,6
6-7
NO
Non necessario
Rifusione e prevenzione dei Nel Parco
danni
UG 8 - Alta Val di Sole
10,8
7-8
SI
Valore soglia
Rifusione e prevenzione dei Prioritariamente
danni
fuori Parco
Prelievi
Catture
Figura 2.2 – Il primo piano di gestione individua tre Unità di Gestione (in blu) che comprendono porzioni
di Parco in cui l’elevato impatto da brucatura è alla base della scelta di riduzione delle consistenze delle
popolazioni di cervo In colore rosso nella cartina a destra le aree di saggio in cui la brucatura ha colpito
oltre il 60% delle giovani conifere analizzate.
10
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Per l’Unità di Gestione comprendente il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio (UG
Alta Val di Sole), il Piano di Gestione ha fornito delle prime risposte sullo stato delle
popolazioni ed ha previsto la possibilità di riduzione numerica delle popolazioni a fronte
dell’impatto elevato sulla rinnovazione forestale. Il Piano prevede che le azioni di controllo
debbano avvenire, per il momento, solo all’esterno dell’area protetta.
Le scelte di fondo che portano all’intervento iniziale basato esclusivamente su abbattimenti
all’esterno del Parco sono motivate e documentate nel Piano di Gestione stesso sulla base
degli studi e ricerche effettuati e possono essere così riassunte:
•
Lo scopo di un’area protetta è favorire la conservazione della fauna della flora e degli
ecosistemi naturali. L’obiettivo principale è quello di garantire, almeno in certe zone
dell’area protetta, le condizioni più naturali possibili e le minori interferenze antropiche.
•
Le “condizioni più naturali possibili” sono difficili da riscontrare in Europa e in Italia
per la forte antropizzazione e industrializzazione. Ne consegue spesso l’impossibilità di
mantenere o ricondurre le aree a condizioni di elevata naturalità e totalmente prive di
interferenze antropiche. Tali condizioni devono però essere garantite almeno in un certo
numero di “core areas” centrali all’interno delle aree protette.
•
Nelle aree protette è vietata qualsiasi attività venatoria, mentre sono previsti eventuali
prelievi faunistici per ricomporre squilibri ecologici. Il principio di un necessario
equilibrio della componente faunistica nel quadro degli ecosistemi deve intendersi nei
suoi propri caratteri di assetto/qualità naturale (ad es. drastica incidenza sull’ecosistema
forestale, densità superiore a quella biologica con decadimento qualitativo della
popolazione…).
In relazione all’attuale situazione di elevata consistenza delle popolazioni di cervo (densità
tra le più elevate note per l’arco alpino), pare opportuno effettuare un intervento diretto di
riduzione. In tale situazione i prelievi (catture e/o abbattimenti selettivi) si rendono
effettivamente indispensabili. Tali interventi vengono considerati accettabili se realizzati anche
nel rispetto dei principi etico-tecnici di seguito espressi. I prelievi si rendono necessari in
situazioni riconducibili a particolari necessità conservazionistiche, ecologiche ed antropiche, in
assenza di efficaci misure alternative. Nello specifico: densità di popolazione superiore a quella
biotica, in assenza di fattori correttivi naturali a breve-medio termine, con reali pericoli di danno
agli ecosistemi (il cervo mostra caratteri di scarsa condizione, costituzione e fertilità, che
determinano il superamento della densità biotica e l’impatto, misurato a livello qualitativo e
quantitativo, sulla rinnovazione forestale); drastica interferenza (trofico-spaziale) di una specie
molto abbondante (il cervo) nei confronti di specie autoctone più vulnerabili (il capriolo).
11
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Nell’UG Val di Sole l’aumento delle popolazioni di cervo registrato negli ultimi decenni è
risultato esponenziale e i piani di prelievo sino a quel momento formulati si sono limitati a
seguire la progressiva crescita della popolazione senza peraltro riuscire a stabilizzarla. Tale
aumento ha condotto all’insorgere di danni alle colture agricole e alla rinnovazione del bosco e
all’aumento della frequenza delle collisioni con gli autoveicoli. Benché il problema non sia finora
stato affrontato in modo scientifico, tale aumento di densità all’interno dell’area protetta
potrebbe essere messo in relazione con la progressiva diminuzione delle consistenze del
capriolo.
La situazione generale al 2000 è stata schematicamente riassunta nella seguente Tabella.
Tabella 2.2 – Status della popolazione di cervo nell’UG Alta Val di Sole nel 2000 e obiettivi definiti nel
Piano.
UG
Val di Sole
Stato
Cervi censiti
1.900 capi
Sup totale
71.430 ha
Popolazione
stimata
3.050 capi
25% nel Parco
Area
estivazione
45.530 ha
di
Area
svernamento
15.000 ha
di
Densità
6,7 capi/
100 ha
Valore soglia
Riassunto schematico della situazione
All’interno del Parco prevalentemente quartieri di estivazione (??)
La popolazione del Parco è direttamente collegata con i territori di
caccia limitrofi
Elevato
livello di brucamento sulla rinnovazione del bosco
Consistenza soglia
Importanza economica del bosco medio-alta
2.300-2.600
Impatto sulle colture (prati e orti) consistente; parte dei prati è tuttavia
abbandonata
Densità obiettivo
Prelievo venatorio consistente (611 nel 1999; 703 nel 2000)
5-6 capi/ 100 ha
Bracconaggio presente (limitato ?)
Il Consiglio Direttivo del Parco, su proposta della Commissione, ha deliberato l’opzione del
raggiungimento del valore soglia attraverso la realizzazione di interventi diretti volti alla
riduzione numerica della popolazione.
Dalle analisi preliminari emerge come non sia possibile effettuare distinzioni nette tra aree
esterne ed interne al Parco per quanto riguarda le popolazioni di cervo, ma come esse debbano
essere considerate in modo unitario per poter prendere in considerazione un intera
popolazione. Per questo le indagini non si sono limitate all’area del Parco ma si sono estese ad
un congruo intorno individuando, in termini di ipotesi d lavoro, un’Unità di Gestione che
ricomprende parte dei distretti faunistici della Val di Sole Est e Ovest.
In particolare, per l’UG dell’Alta Val di Sole (che comprende il Parco e due distretti faunistici
della Val di Sole Ovest ed Est), la popolazione di Cervo è distribuita su tutto il territorio ad essa
idoneo, sia nell’area protetta che nelle riserve di caccia e il prelievo totale annuale ammonta nel
1999 a più di 600 capi su circa 3.000 stimati in periodo primaverile. Di questi si stimava che
circa la metà trascorresse il periodo estivo nel Parco, mentre i quartieri di svernamento fossero
prevalentemente e quasi esclusivamente distribuiti all’esterno di esso (Figura 2.3).
Secondo il piano di gestione proposto, la densità riferita all’intero territorio dell’UG nel 2000,
stimata in circa 6,7 capi/100 ha, superava il valore soglia definito in 5-6 capi/100 ha. Si è quindi
concordata la definizione di una strategia gestionale dell’intera UG, condivisa da tutte le altre
istituzioni coinvolte nella gestione della specie (Ufficio Faunistico della Provincia Autonoma di
12
Trento, Associazione Cacciatori Trentini). Questa attività, di raccordo con le Istituzioni
confinanti, è peraltro contemplata nell'articolo 32 della Legge 394/91.
Figura 2.3 – Distribuzione estiva (in verde) e invernale (in rosso) del cervo nel Settore trentino del Parco
Nazionale dello Stelvio e nei distretti faunistici della Val di Sole Ovest ed Est. In verde sono riportati i
confini del Parco e in rosso i confini dell’Unità di Gestione Val di Sole.
La strategia prescelta, in un periodo in cui non vi era ancora certezza sulla consistenza reale
della popolazione, ha previsto la progressiva realizzazione di piani di prelievo via via più elevati,
fino al raggiungimento della stabilizzazione della popolazione stessa. L’obiettivo di
stabilizzazione della popolazione (e di una sua possibile futura diminuzione) è da mettersi in
relazione all’impatto sulla rinnovazione forestale che si è fatto importante e generalizzato in
tutta la Val di Sole e in particolare nel Parco. La predisposizione quantitativa e qualitativa dei
piani parte dall’assunto che in Val di Sole sia presente un’unica popolazione di cervo e, quindi,
che anche i cervi conteggiati nel Parco rientrino nelle quote utilizzate per la predisposizione dei
prelievi. Ciò si basa sul fatto che la maggior parte degli abbattimenti viene effettuata in tardo
autunno e in inverno e sull’assunzione che in tale periodo la maggior parte dei cervi abbia già
effettuato una migrazione stagionale verso i quartieri di svernamento posti all’esterno del Parco.
Tale logica di intervento è stata rivolta alla riduzione delle consistenze attraverso il prelievo
limitato all’esterno del Parco, prolungando l’attività venatoria sino al 31 dicembre di ogni anno.
Il prolungamento della stagione venatoria ha il significato di disporre di un tempo maggiore
per completare piani di prelievo elevati e di incidere maggiormente in un periodo in cui c’è
maggiore probabilità che i cervi siano migrati all’esterno del Parco. Il prolungamento di 15 giorni
della stagione venatoria è stato accompagnato dall’introduzione di una ulteriore misura volta a
favorire lo stabile insediamento di nuclei riproduttivi su tutto il territorio del Distretto. A partire
dall’anno 2000 sono infatti state create e messe in funzione le cosiddette “Aree di bramito”. Tali
aree, di estensione di qualche centinaia di ettari, hanno lo scopo di garantire la necessaria
tranquillità alla specie durante il periodo riproduttivo mediante la sospensione dell’attività
13
venatoria. Tra il 2000 e il 2001 tutte le 13 Riserve della Val di Sole (17 con l’alta Val di Non)
hanno aderito al progetto. Sono state create 8 (11 con l’Alta Val di Non) aree di bramito per una
superficie totale di sospensione della caccia durante l’attività riproduttiva di 3.480 ha (4.200 ha),
pari a circa il 10% della superficie di caccia. Nelle riserve aderenti al progetto aree di bramito
valgono le seguanti modalità di esercizio dell’attività venatoria:
- divieto di esercizio di qualsiasi attività venatoria nelle aree di bramito sino al 10 ottobre;
- assenza dell’obbligo dell’accompagnatore;
- esercizio venatorio consentito per cinque giorni alla settimana;
- obbligatorietà della denuncia di uscita;
- prolungamento dell’attività venatoria nella Riserva fino a 31/12, qualora la percentuale di
capi abbattuti entro fine novembre sia inferiore al 92% del piano assegnato.
Il progetto aree di bramito ha avuto una prima durata triennale, successivamente prorogata
per un secondo triennio 2003-2005.
14
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Contestualmente all’avvio della prima fase di applicazione del Piano approvato nel 2001 si è
proseguita e approfondita la fase di raccolta delle informazioni. In questo capitolo vengono
definiti gli obiettivi che sono stati perseguiti nel primo quinquennio del 2001-2006 e vengono
descritti in buon dettaglio non i risultati delle azioni e delle ricerche svolte, ma l’organizzazione
del lavoro e della raccolta dei dati, le collaborazioni avviate e quantificati gli sforzi effettuati.
Il primo piano di gestione promosso per l’Unità di Gestione Val di Sole, oltre a comportare
l’aumento dei prelievi al fine di diminuire la consistenza della popolazione di cervo in tutta l’area
di studio, ha dato l’avvio ad una nuova fase di organizzazione e raccolta delle informazioni.
Organizzare le informazioni esistenti e raccoglierne di nuove è stato ritenuto necessario per
approfondire alcuni aspetti importanti dell’ecologia delle popolazioni e per dare risposte sicure
alle sotto riportate domande, utili per la futura pianificazione della gestione:
•
quanti cervi sono presenti realmente nell’area e con quale struttura per sessi ed età?
•
come si evolve il numero di individui negli anni?
•
quali sono gli spostamenti stagionali dei cervi da e verso il Parco?
•
qual è la condizione sanitaria e biologica media della popolazione?
•
che ruolo giocano fattori quali la mortalità naturale e gli abbattimenti in caccia
sull’evoluzione della popolazione dell’intera Val di Sole ?
L’applicazione delle nuove metodologie di indagine, di seguito descritte, si è posta come
obiettivo una risposta a numerose domande sui rapporti che possono esistono tra i cervi del
Parco e quelli della Val di Sole, sull’ipotesi che possano essere considerati un’unica
popolazione, sul funzionamento dei meccanismi di dispersione, sull’evoluzione demografica
della popolazione, sull’affidabilità e accuratezza dei censimenti, sugli effetti che la nuova
strategia di prelievo comporterà sulla popolazione all’interno e all’esterno del Parco, sui veri o
ipotizzati impatti che una densità così elevata può esercitare sulle altre componenti degli
ecosistemi sino a creare situazioni di squilibrio.
Nei capitoli seguenti vengono definiti e descritti:
15
A. gli obiettivi di tutte le attività di monitoraggio e di ricerca specifica e approfondimento
delle conoscenze;
B. l’organizzazione e le modalità delle attività svolte a questo riguardo;
C. gli sforzi di raccolta delle informazioni e dei dati necessari;
D. le collaborazioni avviate con altri Enti per lo svolgimento delle attività.
&'(+0+<+10'#.+8'..1%#461)4#(+%1&'..'#4''&+
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&+)+6#.'&'..'+0(14/#<+10+
Le aree di distribuzione estiva e di massima concentrazione invernale della popolazione di
cervo nell’UG sono state riportate sulla Carta Tecnica Provinciale in scala 1:10.000 basandosi
sulle interviste e sulle conoscenze degli agenti forestali e dei guardiacaccia. Le carte di base
così tracciate sono state successivamente digitalizzate e inserite nel GIS del Parco dello Stelvio
congiuntamente a tutte le coperture geografiche e i database necessari alla gestione del cervo
ed alla stesura del presente piano. Le aree di distribuzione sono state più volte aggiornata in
base all’evoluzione della popolazione ed alle nuove conoscenze apportare dai soggetti muniti di
radiocollare.
La Tabella 3.1 elenca tutti i database e i geodatabase entro cui sono state organizzate e
inserite tutte le informazioni raccolte nel corso del progetto e fornite dagli enti collaboratori.
Tabella 3.1 - Elenco dei database e dei tematismi geografici creati e/o utilizzati nell’ambito delle
elaborazioni necessarie alla stesura del Piano di conservazione e gestione del Cervo. Formato: mdb,
database MSAccess; xls, foglio eletrronico MSExcel; shp, Esri shapefile; mdb#, Esri geodatabase. Tipo:
GEO, con riferimenti geografici.
N
Contenuto
Tipo
Formato
1
Geodatabase dei cervi abbattuti e rinvenuti morti nell’UG dal 1973 ad oggi (localizzazione e dati
identificativi dell’animale: sesso, età, peso)
GEO
Mdb
2
Geodatabase dei cervi abbattuti e rinvenuti morti nell’UG dal 1998 ad oggi (localizzazione e misurazioni
biometriche)
GEO
Mdb
3
Database della dinamica della popolazione di cervo nell’UG dal 1973 al 2008
4
Database della struttura della popolazione in base ai censimenti estivi dal 1997 al 2008
5
Database dei censimenti primaverili notturni dal 1996 al 2008
6
Database dei censimenti con mark-reight
7
Xls
Xls
GEO
Mdb
Database dei cervi catturati e marcati e degli avvistamenti
GEO
Mdb
8
Geodatabase delle localizzazioni dei cervi muniti di radiocollare
GEO
Mdb
9
Database della cohort analysis
10
Database dei censimenti estivi di camoscio dal 1996 al 2008
11
Database della dinamica di popolazione di camoscio dal 1973 al 2008 nel PNS
Xls
12
Database dei censimenti di capriolo per aree campione dal 1996 al 2008 nel PNS
Mdb
13
Database dei censimenti di gallo cedrone per aree campione dal 1996 al 2008 nel PNS
14
Database delle osservazioni occasionali di gipeto dal 1996 al 2008 nel PNS
15
Database della neve caduta al suolo e dell’altezza della neve al suolo presso la Stazione di rilevamento
di Peio Talenta (con correzioni) dal 1982 al 2008
16
Database delle pf sottoposte a sfalcio nel PNS
GEO
Mdb
17
Database degli orti e dei campi coltivati presenti nel PNS
GEO
Mdb
16
Xls
Xls
GEO
Mdb
Xls
GEO
Mdb
Xls
18
Database degli ammanchi nei recinti di esclsione nei prati a sfalcio e nei pascoli delle malghe
GEO
Xls
19
Database delle richieste di indennizzo per danni da cervo
GEO
Mdb
20
Aree con attività di bramito nel PNS
GIS
Shp
21
Aree di rispetto-bramito periodo 2000-2006
GIS
Shp
22
Aree di rispetto-bramito periodo 2008
GIS
Shp
23
Aree di controllo della popolazione nel PNS
GIS
Shp
24
Confini del PNS
GIS
Shp
25
Confini dell’Unità di Gestione
GIS
Shp
26
Confini delle sottounità geografiche dell’UG
GIS
Shp
27
Confini del Distretto Val di Sole
GIS
Shp
28
Confini delle Stazioni forestali della Val di Sole
GIS
Shp
29
Confini delle Riserve comunali di diritto
GIS
Shp
30
Area di distribuzione estiva del cervo
GIS
Shp
31
Area di distribuzione invernale del cervo
GIS
Shp
32
Parcelle e settori di censimento notturno del cervo
GIS
Shp
33
Percorsi lineari effettuati durante i censimenti notturni
GIS
Shp
34
Aree campione per il censimento del capriolo
GIS
Shp
35
Aree campione per il censimento del gallo cedrone
GIS
Shp
36
Parcelle e settori di censimento estivo del camoscio
GIS
Shp
37
Localizzazione delle trappole di cattura del cervo
GIS
Shp
38
Geodatabase della particele catastali dei prati a sfalcio del PNS
GIS
Shp
39
Geodatabase delle particelle catastali delle aree di pascolo delle malghe del PNS
GIS
Shp
40
Distribuzione ed entità dei rilievi del danno da morso alle conifere nel PNS nel 1999-2000
GIS
Shp
41
Distribuzione ed entità dei rilievi del danno da morso all’abete rosso nel PNS nel 1999-2000
GIS
Shp
42
Distribuzione ed entità dei rilievi del danno da morso al Larice nel PNS nel 1999-2000
GIS
Shp
43
Distribuzione ed entità dei rilievi del danno da soffregamento nel PNS nel 1999-2000
GIS
Shp
44
Localizzazione dei recinti di esclusione posti nei prati a sfalcio e nei pascoli delle malghe
GIS
Shp
45
Distribuzione delle osservazioni casuali di Gipeto dal 1999 al 2008
GIS
Mdb
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Nel caso di una popolazione di Cervidi il censimento totale (esaustivo) risulta raramente
possibile; la caratteristica elusività della specie rende difficili i conteggi per avvistamento diretto
e la determinazione a vista dei sessi e soprattutto delle età richiede la presenza di osservatori
esperti e conoscitori della popolazione studiata. Normalmente la popolazione censita viene
sottostimata, ma in alcuni casi si può anche verificare una sovrastima degli effettivi (solitamente
in caso di battute).
La validità e l'efficienza di ciascun metodo di conteggio dipendono in primo luogo dal rispetto
degli assunti di base del metodo stesso e da numerosi altri fattori correlati quali il livello di
preparazione e motivazione del personale impiegabile, i fondi e i tempi a disposizione per
17
l'indagine, l’estensione dell'area da censire, le caratteristiche ambientali dell'area e le
caratteristiche della specie da censire (caratteristiche comportamentali, densità, distribuzione
spaziale).
Ciò è particolarmente valido nel caso dei Cervidi, che sono caratterizzati da indici di
contattabilità relativamente bassi e molto variabili in funzione della stagione considerata e
dell’habitat. Di conseguenza la tecnica più valida risulterà differente a seconda delle specie
censita, della sua distribuzione spaziale e densità sul territorio, degli ambienti occupati e del
periodo temporale in cui viene effettuato il conteggio e ciò è ampiamente sottolineato dai
numerosi metodi di censimento suggeriti dalla Deer e Forestry Commission scozzese (Mayle et
al., 1999) in relazione alle diverse condizioni di partenza.
L'efficienza delle stime di consistenza effettuate con differenti metodi è valutata attraverso
l'utilizzo di alcuni “indici” quali l'accuratezza, la sensibilità, la precisione e la robustezza:
- l'accuratezza indica quanto una stima si avvicina al valore reale di consistenza (e
struttura);
- la precisione si riferisce alla variabilità (o dispersione) di una serie di stime ripetute;
- la sensibilità valuta la capacità di una serie di stime nel rilevare eventuali cambiamenti
nella popolazione;
- la robustezza, infine, indica il grado di tolleranza alla variazione (violazione) delle
assunzioni che stanno alla base delle varie tecniche utilizzate.
Il metodo di conteggio ottimale dovrebbe fornire risultati il più accurati e precisi possibile,
essere di semplice realizzazione, richiedere un numero non eccessivo di rilevatori ed essere
replicabile negli anni in condizioni paragonabili. L'obiettivo è la massimizzazione del rapporto
costi/benefici in relazione ai risultati richiesti, tenendo in considerazione alcuni fattori, come il
livello di preparazione e motivazione del personale impiegabile, i fondi e i tempi a disposizione
per l'indagine, l'estensione dell'area da indagare e le caratteristiche ambientali dell'area.
Infine, il fattore più condizionante è rappresentato dalle caratteristiche della specie censita
(caratteristiche morfologiche ed eco-etologiche, densità, distribuzione interna), le quali vengono
espresse in termini di stabilità e contattabilità.
Le conoscenze sulla consistenza e sulla struttura di una popolazione sono essenziali per lo
sviluppo di strategie gestionali di specie animali quali il cervo. Per questo motivo negli ultimi
anni sono state introdotte nuove metodologie per ottenere stime quantitative delle popolazioni
volte a questo scopo e in grado di fornire indicazioni sul grado di accuratezza e precisione delle
stime stesse. Il grado di accuratezza fornito dall’applicazione di una particolare metodologia è
correlato alle particolari condizioni in cui viene applicato.
La scelta di un metodo dipende quindi dall’ecologia e dal comportamento della specie di
interesse (e quindi, in ultima analisi, dal grado di contattabilità e dal tipo di distribuzione
spaziale), dalle questioni gestionali a cui far fronte e dal tipo di ambiente che caratterizza l’area
di studio (Marques et al., 2001).
Una fase importante e necessaria prima di concretizzare uno studio di lungo termine è quella
finalizzata alla scelta dei metodi di raccolta dati e di stima dei parametri demografici di
popolazione più adeguati, in termini di rapporto costi-benefici e di accuratezza delle stime
all’ambito in cui ci si trova ad operare ed alla specie oggetto di indagine.
La scarsa contattabilità che caratterizza il cervo, sommata alla vastità dell'area da indagare,
ha quindi orientato la scelta di provare ad applicare differenti metodi/tecniche di conteggio tra
loro completamente indipendenti, al fine di effettuare una valutazione critica della loro
accuratezza e precisione e di disporre di stime consistenti, validate e sicure.
Di seguito nello specifico sono sintetizzate le metodologie impiegate e i periodi temporali cui
fanno riferimento le stime di consistenza ottenute:
- Conteggi esaustivi notturni primaverili con sorgente di luce (1993-2008);
18
- Stima della densità (e della sottostima dei censimenti notturni) mediante mark-resight
(2004-2008);
- Stima della densità e della consistenza mediante IRDS (infra-red distance sampling conteggi in distance sampling mediante scanner termici) (2004-2006);
- Stima della densità e della consistenza mediante PGCDS (pellet group count distance
sampling - conteggi dei gruppi di fatte mediante distance sampling) (2005-2007);
- Ricostruzione retrospettiva della consistenza, della struttura di popolazione e
dell’evoluzione numerica (cohort analysis), mediante raccolta sistematica delle
informazioni sui cervi rinvenuti morti e abbattuti in caccia (1973-2002).
L’ obiettivo di questa parte di lavoro è quello di valutare in maniera critica i metodi applicati e
l’opportunità di un loro utilizzo continuato negli anni futuri e di avere una quantificazione
sufficientemente attendibile del livello percentuale di sottostima dei censimenti estensivi
primaverili effettuati in modo standardizzato negli anni.
3.2.1.1.
Censimenti primaverili notturni
Dall’anno 1996, in corrispondenza del mese di aprile, in tutta la Provincia Autonoma di Trento,
il Corpo Forestale Provinciale svolge in collaborazione con l’Associazione Cacciatori Trentini i
censimenti primaverili notturni al cervo. Tale attività ha lo scopo di censire i cervi nel momento
in cui si verifica la ripresa vegetativa nei prati, periodo in cui la specie è molto attratta dalla
disponibilità alimentare che questi offrono e contemporaneamente si sente minacciata dalle
attività antropiche, ricorrendo così alle ore notturne per alimentarsi. La metodica prevede la
realizzazione in autovettura a bassa velocità di un itinerario nelle ore centrali della notte (dalle
ore 23 alle ore 3 del mattino successivo circa) e l’illuminazione delle aree a prato e pascolo ai
bordi del percorso con l’ausilio di fari di adeguata potenza (100 W). Gli animali sono individuabili
per il riflesso degli occhi alla luce del faro e meglio identificati mediante l’impiego del binocolo.
Tutti i gruppi di cervi vengono registrati su un’apposita scheda che identifica ora di
avvistamento, località, numero e se possibile, sesso e classe di età di tutti gli individui censiti
(Figura 3.1).
Ogni anno i transetti percorsi durante il censimento al faro sono ripetuti tre volte, a distanza di
qualche giorno l’uno dall’altro, al fine di ottenere una valutazione migliore della popolazione
censita. Per effettuare la stima della popolazione, viene identificata l’uscita che tra le tre risulta
aver fornito il numero di individui maggiore nel complesso dell’unità di gestione considerata. Al
fine di uniformare e standardizzare nel tempo il metodo di censimento, i percorsi seguiti dagli
automezzi devono rimanere costanti negli anni.
Dall’anno 2007, con l’avvio della delega delle attività di gestione delle popolazioni di cervo e
capriolo in capo all’ACT, l’organizzazione e realizzazione dei censimenti primaverili notturni al
cervo è passata all’ACT stessa e il Corpo Forestale Provinciale, in ragione del suo ruolo di
indirizzo e controllo, effettua una ulteriore uscita di verifica oltre alle tre già programmate.
A partire dal 2004 nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio vengono effettuati
annualmente dai 4 ai 6 conteggi. I conteggi soprannumerari servono per effettuare le stime di
consistenza mediante mark-resight. I conteggi sono organizzati dagli agenti forestali delle
stazioni di Rabbi e Peio in collaborazione con il personale dell’Ufficio Conservazione
Ambientale del Parco e quello dell’ACT.
19
Figura 3.1 - Esempio di scheda utilizzata per il censimento primaverile notturno al cervo.
I dati relativi all’UG Val di Sole (Settore trentino del Parco dello Stelvio e Distretto Val di Sole)
vengono archiviati in un geodatabase, nel quale sono raccolte le informazioni relative ad ogni
uscita di censimento e riferite geograficamente ad un suddivisione dell’area in parcelle di
censimento rappresentative delle aree censite da ciascun equipaggio (Figura 3.2).
20
Figura 3.2 - Parcelle di censimento cui vengono riferiti i cervi conteggiati durante la primavera in Val di
Sole. Le aree rosse fanno riferimento all’area di distribuzione massima (estiva) della popolazione.
3.2.1.2.
Attività sperimentale di censimento mediante mark-resight
La cattura ed il radio-marcaggio dei soggetti studiati attraverso la tecnica del radio-tracking si
è rivelata utile anche per l’avvio dell’attività sperimentale di censimento mediante mark-resight.
Tale metodologia si basa sulla marcatura di un gruppo di individui considerato rappresentativo
della popolazione, in questo caso i cervi marcati con radiocollare, per effettuare stime di
consistenza basate sulla possibilità di avvistare e discriminare i soggetti marcati durante i
censimenti notturni. Il rapporto tra i soggetti marcati disponibili ed i soggetti marcati avvistati può
essere confrontato con il rapporto esistente tra i soggetti non marcati visti per ottenere una
stima della totalità della popolazione presente (Bowden e Kufel, 1995; Schwarz e Seber, 1999).
Gli assunti di base riguardano la distribuzione casuale dei soggetti marcati all’interno della
popolazione e l‘uguale probabilità di essere riavvistati. Il metodo permette di ottenere una stima
della consistenza assoluta della popolazione, riferita all’area in cui sono state effettuate le
osservazioni, e di un intervallo di confidenza associato (White, 1996). Lo scopo del lavoro
sperimentale è stato quello di conseguire il dato relativo alla stima di consistenza della parte di
popolazione di cervo presente durante la fase primaverile all’interno del Parco e di confrontarla
con il dato sinora impiegato a fini gestionali, il numero massimo di cervi conteggiati
contemporaneamente in una singola uscita all’interno dell’UG (MNA, numero minimo certo di
animali presenti o MPS, minima popolazione stimata).
Da tale confronto è possibile estrapolare valutazioni quantitative sulla sottostima connessa ai
censimenti primaverili notturni e a come essa possa variare di anno in anno.
Al fine di ottenere un set di dati con un maggior numero di ripetizioni, all’interno dell’area
protetta, si è reso necessario aumentare il numero delle uscite durante le attività di censimento
notturno al faro. I dati raccolti dalle osservazioni effettuate durante le uscite notturne (6 nel
2004, 2005 e 2006, 4 nel 2007, 5 nel 2008) sono stati elaborati mediante il software Noremark
applicando due differenti stimatori: 1) immigration/emigration model; 2) Bowden’s estimator. Il
primo stimatore meglio si adatta alla situazione dello Stelvio in cui i cervi marcati non sempre
sono presenti all’interno delle aree sottoposte e censimento. Il secondo, in accordo con quanto
21
recentemente riportato in letteratura, è l’unico per il quale il software Noremark calcoli
correttamente gli intervalli di confidenza (Fattorini et al., 2007).
Il software richiede l’immissione dei dati raccolti e relativi a tutte le uscite effettuate nell’ambito
di un censimento secondo le seguenti specifiche: numero di cervi marcati disponibili, numero di
cervi marcati avvistati, numero di cervi non marcati avvistati. La stima della consistenza della
popolazione basata si ottiene come media di tutti i dati ottenuti dalle uscite relative ad un
periodo annuale di censimento. Le sessioni di osservazione devono essere temporalmente
vicine e sono solitamente comprese nell’arco di 14 giorni.
L’applicazione di tale metodologia ha coinvolto personale specializzato nei censimenti
primaverili notturni al cervo e nell’utilizzo dell’apparecchiatura radiotelemetrica selezionati tra gli
agenti forestali della PAT, le guardie dell’ACT ed il personale dell’Ufficio Conservazione
Ambientale del Settore trentino del Parco.
3.2.1.3.
Attività sperimentale di censimento mediante distance sampling
applicato alla termografia ad infrarossi
Il termine “distance sampling” è comunemente usato per indicare un insieme di tecniche di
censimento, affini tra loro per tipologia di dati raccolti e modalità di analisi dei risultati,
ampiamente utilizzate per stimare la densità e/o la consistenza delle popolazioni animali.
Lo scopo è quello di realizzare un monitoraggio standardizzato percorrendo una serie di
transetti o plots, distribuiti casualmente nell’ambito dell’area di studio considerata, in cerca della
specie interessata. Se la distribuzione dei transetti è casuale, è verosimile pensare che la
distribuzione degli animali sia uniforme rispetto alla distanza dai transetti ed è possibile
utilizzare il campione di animali o segni di presenza rilevati (e la loro distanza dalla linea del
transetto) per effettuare inferenza sulla consistenza totale della popolazione studiata.
Per ottenere una stima di densità mediante distance sampling è necessario che durante i
rilevamenti vengano rispettate 4 assunti di base:
1. tutti gli animali presenti sulla linea del transetto/percorso devono avere una probabilità
di avvistamento pari a 1 (cioè devono essere sempre avvistati);
2. i transetti devo essere distribuiti in modo casuale rispetto alla distribuzione della
popolazione;
3. i movimenti dell’osservatore non devono influenzare a priori la probabilità di un
animale di essere avvistato;
4. per ogni animale o gruppo avvistato è necessario rilevare la distanza perpendicolare
dello stesso dalla linea del transetto (ovvero la distanza animale-osservatore e
l’angolo rispetto alla posizione iniziale dell’animale appena avvistato).
L’idea chiave è che l’osservatore non riesca a rilevare tutti gli oggetti presenti nell’intorno del
transetto, ma che all’aumentare della distanza dal transetto ci si attende una diminuzione sia
della visibilità degli oggetti sia, comparabilmente, del numero delle osservazioni raccolte. Se
oltre a contare gli animali osservati se ne registra la distanza, è possibile stimare la probabilità
di avvistamento, cioè la percentuale di animali che non vengono conteggiati durante il
censimento campionario. Il principale vantaggio dato dall’applicazione del distance sampling
consiste proprio nel fatto che parte degli oggetti eventualmente presenti possono non essere
osservati e che pertanto non è necessario realizzare un conteggio esaustivo nell’area censita.
Mediante la modellizzazione dei dati raccolti è possibile stimare la probabilità di osservare un
animale all’interno dell’area coperta dal censimento in funzione della sua distanza
perpendicolare al transetto (Figura 3.3).
22
Figura 3.3 - Durante i transetti, la frequenza delle osservazioni diminuisce con distanza. Modellizzando la
distribuzione è possibile stimare la probabilità di avvistamento (Pa) e passare quindi dal numero di animali
osservati al numero di animali stimati presenti in un’area.
Nel caso di molte specie animali e, in particolare, dei Cervidi, la scarsa contattabilità e una
reazione di fuga che si innesca già a distanze notevoli rende questo metodo di più difficile
applicazione. Un notevole miglioramento degli assunti di base può essere ottenuto nel caso in
cui i censimenti vengano realizzati durante le ore notturne, ossia nel momento in cui maggiore è
la contattabilità degli animali e minore la reazione di fuga.
Figura 3.4 - Immagine di una femmina di cervo con piccolo rilevata dalla termocamera ad infrarossi.
L’utilizzo di apparecchiature quali le termocamere a scansione dotate di sensori in grado di
“leggere” le radiazioni termiche (radiazioni infrarosse) risulta essere un buon compromesso per
effettuare transetti durante le ore notturne, limitando al minimo il disturbo provocato dalla
presenza degli operatori e, soprattutto, dall’utilizzo di un faro per le osservazioni (Figura 3.4).
23
Il termine termografia indica la tecnica mediante la quale è possibile elaborare l’immagine di
un oggetto utilizzando l’emissione di calore da questo prodotta. L’immagine elaborata dalla
termocamera ad infrarossi è la rappresentazione grafica bidimensionale delle temperature
superficiali degli oggetti inquadrati. Le variazioni di temperatura possono essere codificate
utilizzando sia scale di grigio (bianco e nero) sia scale di colori al fine di essere meglio
identificate. Lo studio, promosso e realizzato dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica
(INFS), ha coinvolto il territorio del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio durante gli
anni 2004, 2005 e 2006 e si è svolto nella stagione primaverile, in concomitanza con il periodo
dei censimenti notturni al faro.
3.2.1.4.
Attività sperimentale di censimento mediante distance sampling
applicato al pellet group count
Come accennato in precedenza il distance sampling può essere applicato a numerose
tecniche di censimento, una di queste è il pellet group count. Il vantaggio risiede nell’effettuare
un conteggio di oggetti inanimati, evitando in tal modo rischi di sottostima legati alla reazione di
fuga. Un’ulteriore passaggio è tuttavia necessario per passare da una stima di densità dei pellet
groups presenti alla stima di densità della popolazione che li ha deposti.
I gruppi di fatte (pellet groups, PG) sono uno dei segni più comuni lasciati dai Cervidi in
un’area e possono essere usati come indice relativo di presenza della popolazione o per
stimare la densità della popolazione stessa. Il conteggio dei PG (pellet groups count PGC)
viene generalmente effettuato in primavera e in autunno per la stima delle consistenze invernali
ed estive.
L’idea chiave del metodo è che i PG vengono deposti dagli animali in modo regolare nel
tempo e quindi, conoscendo i tassi di deposizione e di decadimento, è possibile passare dalla
densità di PG per unità di superficie alla densità di cervi.
Lo studio, promosso dal Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio in collaborazione
con il Centro di Ecologia Alpina del Monte Bondone, ha previsto il coinvolgimento delle
Università di Milano, Padova e Parma per un totale di 6 tirocini che hanno permesso il
conseguimento di lauree di primo e secondo livello tra gli anni 2006 e 2008.
La metodologia applicata ha definito, in funzione della densità di cervi presenti, il miglior
rapporto costi/benefici di una stima con un buon livello di accuratezza a fronte di un tempo di
lavoro non troppo oneroso. In base allo schema di campionamento applicato, per ogni stima di
densità sono stati percorsi dai 100 ai 120 transetti di 100 m di lunghezza, ripartiti
omogeneamente dell’area di studio e scelti in modo casuale. Lungo i transetti sono stati contati
tutti i PG osservati e ne è stata misurata la distanza perpendicolare dal transetto stesso. Gli
assunti di base del metodo, per la stima di densità mediante distance sampling, sono analoghi a
quelli già descritti nel capitolo precedente.
Conoscendo la probabilità di “avvistamento” dei PG, il numero di pellet group rilevati, il tasso
di defecazione medio degli animali (numero di PG deposti al gg) e il tasso di decadimento dei
PG (numero di gg che il PG impiega per decomporsi completamente), è possibile stimare la
densità della popolazione e risalire alla stima delle consistenze (Mayle et al., 1999).
Il tasso di decadimento è stato calcolato mediante un lavoro sperimentale, realizzato dalla dal
dott. Ivan Callovi e dalla dott.ssa Anna Bonardi, che ha quantificato la velocità di scomparsa
delle fatte nei diversi mesi dell'anno in funzione del tempo in giorni, delle tipologie di habitat,
dell'esposizione e della pendenza dei versanti. Le stime di densità sono state ottenute
elaborando i dati raccolti con il software Distance (Buckland et al., 2001).
24
3.2.1.5.
Ricostruzione retrospettiva della demografia e della dinamica di
popolazione mediante cohort analysis
La ricostruzione della dinamica della popolazione mediante cohort analysis e la conseguente
valutazione dei principali parametri demografici quali il rapporto tra i sessi, la struttura ed età
della popolazione, ha previsto, presso l’Ufficio Distrettuale Forestale di Malè, la raccolta dei dati
degli animali abbattuti e rinvenuti morti in tutto il Distretto Faunistico della Val di Sole. Il dataset
completo e costantemente aggiornato di anno in anno è inserito in formato geodatabase Esri.
I dati raccolti si riferiscono al periodo compreso tra il 1973 ed il maggio 2008, per un totale di
9.318 individui, di cui 7.364 riferiti ad animali abbattuti durante la stagione venatoria
(corrispondenti a 3.584 maschi, 3.655 femmine e 125 animali indeterminati per sesso ed età) e
1.954 rinvenuti morti nel corso degli anni per cause naturali (corrispondenti a 560 maschi, 549
femmine e 945 animali indeterminati per sesso e/o età).
Per effettuare la ricostruzione retrospettiva della popolazione presente mediante cohort
analysis è necessario che tutti i records (i singoli soggetti abbattuti o rinvenuti morti) siano
determinati per classe di sesso ed età, in modo da poter essere inseriti correttamente nella
ricostruzione della popolazione. Circa il 4% dei records del geodatabase è risultato essere
indeterminato nei campi “sesso” ed “età”. È stato quindi necessario attribuire ai capi
indeterminati i dati mancanti relativi alla determinazione di età e sesso, assegnati in base alla
distribuzione degli stessi negli animali di cui le informazioni erano note. Se ad esempio in un
dato periodo il rapporto sessi femmine/maschi era di 1.5 e c’erano 5 capi indeterminati per
sesso, a 3 di essi è stato assegnato (“attribuito”) il sesso femminile e ai 2 rimanenti quello
maschile. Analogamente si è proceduto per l’assegnazione dell’età. Completato in tal modo il
geodatabase, è stato possibile applicare il metodo della “population reconstruction from
mortality data”, ovvero la ricostruzione della popolazione dai dati della mortalità. Questo metodo
si basa sull’assunto che tutti i soggetti morti vengano rinvenuti e registrati e tutti i soggetti
abbattuti dichiarati. Tale assunto non è mai perfettamente verificato, tuttavia, se il numero di
soggetti non rinvenuti ed abbattuti in modo illegale può essere considerato percentualmente
trascurabile rispetto al totale, è possibile ottenere un valore di consistenza minima certa
prossima al valore reale. Conoscendo l’anno di morte di ogni animale e la sua età è possibile
determinare l’anno di nascita di ogni individuo e, ripetendo questa operazione per tutto il set di
dati a disposizione, risalire al numero di nati in un certo anno, cioè gli animali appartenenti ad
una stessa coorte. Ad esempio un cervo rinvenuto morto nel 2007, la cui età stimata è di 7 anni,
viene considerato nato nell’anno 2000. Così facendo è possibile ottenere, anno per anno, il
numero minimo certo di individui presenti per ciascuna età e sesso e la conseguente struttura
della popolazione per classi di sesso ed età.
All’interno del geodatabase sono stati inoltre georeferenziati i luoghi di ritrovamento o
investimento di buona parte dei capi rinvenuti morti (1.644; Figura 3.5) ed inserite tutte le
informazioni disponibili, per parte dei soggetti del dataset, relative ai dati biometrici provenienti
dalle seguenti differenti raccolte di dati:
5. pesi dei cervi abbattuti disponibili sui registri di abbattimento dell’ACT (circa 5.161
records);
6. lunghezza della mandibola misurata con calibro elettronico durante le mostre dei trofei
per gli anni 2005-07 (circa 1.226 records);
7. campionamento biometrico-sanitario organizzato dal PNS sui rinvenuti morti e su parte
dei cervi abbattuti nelle Riserve di Peio, Rabbi e Vermiglio negli anni 2000 (circa 348
records);
8. misurazioni biometriche standard sui rinvenuti morti del Servizio Foreste e Fauna della
Provincia Autonoma di Trento.
25
Figura 3.5 - Localizzazione dei cervi rinvenuti morti in Val di Sole dal 1973 al 2007.
3.2.1.6.
Valutazione della struttura di popolazione mediante censimenti estivi
Ad anni alterni in Provincia di Trento vengono effettuati, durante i mesi di luglio-agosto, i
censimenti al camoscio nelle diverse “Aree faunistiche”; durante i conteggi vengono registrati
anche i cervi avvistati, distinti per sesso e classi di età. Soprattutto all’interno del Parco
Nazionale dello Stelvio, grazie alla tranquillità di cui gode, il cervo sta progressivamente
riassumendo un comportamento diurno ed occupando le aree poste al di sopra del limite della
vegetazione arborea. Ciò permette di conteggiare un numero elevato di soggetti (da 700 a 865
cervi conteggiati annualmente negli ultimi 6 anni). Lo scopo di un tale conteggio non è una
valutazione quantitativa della popolazione (viene comunque conteggiata una quantità di cervi
che rappresenta solo il 35-40% della popolazione), ma una valutazione di alcuni parametri
demografici di interesse quali il rapporto tra i sessi, il rapporto tra piccoli e soggetti di un anno e
il rapporto esistente tra femmine e piccoli dell’anno, al fine di ottenere una stima relativa ai tassi
di natalità della specie. All’interno del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, in base
alle specifiche finalità di conservazione e monitoraggio delle aree protette, il censimento della
popolazione di camoscio viene ripetuto su base annuale grazie alla collaborazione tra gli agenti
forestali della PAT, gli agenti dell’ACT ed il personale dell’Ufficio Conservazione Ambientale del
Parco.
26
#0#.+5+&'..'%#2#%+6&+52156#/'061'&+
&+52'45+10'&'..#2121.#<+10'
Il cervo ha esigenze spaziali di vasta scala e, soprattutto in ambiente alpino, effettua notevoli
spostamenti per ricercare idonei territori per lo svernamento e l’estivazione. Il territorio del
Parco ha una superficie decisamente piccola, di cui solo una bassa percentuale sembra essere
idonea allo svernamento del cervo. La gestione del cervo in Val di Sole è stata perciò impostata
ipotizzando che gli individui presenti nel Distretto Faunistico Val di Sole e nel Parco Nazionale
dello Stelvio appartenessero ad un’unica popolazione, e, quindi, gli obiettivi gestionali e le
scelte di pianificazione sono sempre state riferite ad un’unica unità di gestione.
Queste premesse facevano però riferimento a cervi studiati in altre aree e il cervo, come
sempre più si sta scoprendo anche in Italia, è una specie estremamente eclettica ed adattabile.
Da queste scelte e da queste considerazioni è nata quindi la consapevolezza dell’importanza di
avviare uno studio approfondito – e a livello locale - del “comportamento spaziale e dei
movimenti stagionali del cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio e in Val di Sole”. Il progetto è
stato promosso e realizzato dal Parco Nazionale dello Stelvio con il supporto e la piena
collaborazione del personale dell’Ufficio Distrettuale Forestale di Malé, del Servizio Foreste e
Fauna della Provincia Autonoma di Trento e dell’Associazione Cacciatori della Provincia di
Trento.
L’approfondimento di alcuni aspetti dell’ecologia del cervo, in particolare l’entità degli
spostamenti stagionali della popolazione tra il Parco e i territori delle riserve comunali della Val
di Sole, è utile per la comprensione dei meccanismi di evoluzione e dispersione delle
popolazioni e per la futura definizione di una strategia di conservazione e di gestione venatoria
che tenda a rendere più omogenea la distribuzione della specie su tutto il territorio.
Le notevoli differenze di mole, di comportamento e di utilizzo dello spazio, che rendono
maschi e femmine di cervo due entità profondamente diverse, il comportamento estremamente
adattabile a una vasta gamma di ambienti ed alla pressione antropica e venatoria in essi
esercitata e i grandi spostamenti che parte delle popolazioni possono effettuare nei loro
movimenti tra quartieri di svernamento e di estivazione, possono rendere molto variabile il
comportamento e l’evoluzione di ciascuna popolazione in rapporto alle particolari situazioni
locali.
L’obiettivo dello studio è l’approfondimento delle conoscenze dirette e locali sul
comportamento spaziale delle popolazioni, quale tassello da aggiungere alle informazioni che
costantemente vengono raccolte sulle consistenze, sulla struttura per età, sulla produttività e
sulla mortalità, in modo da disporre di elementi sempre più precisi da utilizzare per la gestione
delle popolazioni presenti all’interno del Parco e nei restanti territori della Val di Sole sottoposti
a prelievo venatorio.
Il progetto ha richiesto la cattura e il marcaggio di un considerevole numero di individui in tutta
l’area di studio ed ha operativamente preso avvio nel gennaio del 2003; contemporaneamente
si è dato avvio all’attività di radiolocalizzazione degli animali muniti di trasmettitore.
Le catture si sono concentrate principalmente in due periodi: quello invernale, nel quale sono
state utilizzate trappole autoscattanti, e quello autunnale della stagione dei bramiti, nel quale le
catture sono state effettuate in free ranging, al fine di concentrare gli sforzi di cattura sui maschi
adulti, restii nell’entrare nelle trappole durante il periodo invernale.
La dislocazione delle cinque trappole utilizzate è riportata in Figura 3.6. Solo due individui
sono stati marcati nelle trappole poste esternamente al Parco. Le condizioni meteo-climatiche,
la minore densità e la maggiore diffidenza delle popolazioni hanno reso estremamente
deficitaria l’efficienza di tali strutture. A ciò si deve aggiungere che, in base alle esperienze
sinora effettuate sull’arco alpino, il metodo di cattura utilizzato risulta maggiormente selettivo nei
confronti delle femmine e dei soggetti giovani.
27
Figura 3.6 - Distribuzione delle trappole nell’area di studio e relativo numero di cervi catturati.
Le trappole autoscattanti sono strutture adibite alla cattura dei cervi che vengono attratti al
loro interno mediante esche alimentari (mele e fieno). Vengono attivate al tramonto e restano
attive sino all’alba, in relazione alla loro frequentazione da parte dei cervi. Lo scatto della
trappola viene segnalato mediante un sistema elettronico, collegato alle fotocellule che
determinano lo scatto stesso, il quale invia un SMS. Il responsabile della trappola verifica l’esito
dello scatto ed attiva la squadra di cattura che entro mezz’ora si trova pronta ad operare. In
ragione della notevole stazza degli animali da manipolare e della possibilità di catture multiple,
le operazioni seguono uno specifico protocollo che prevede la presenza di almeno 6-8 persone
tra agenti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio e delle stazioni forestali della Val di Sole,
guardiacaccia dell’ACT, operai del Parco e personale dell’Ufficio Conservazione Ambientale del
PNS. Alle catture è sempre presente un veterinario, responsabile della sedazione e del
benessere degli animali.
Una volta in trappola i cervi vengono addormentati mediante l’impiego di un fucile
lanciasiringhe, bendati e immobilizzati alle zampe in modo da procedere rapidamente con le
operazioni di marcaggio e di rilievo dei parametri biometrici (sesso, età, peso, lunghezza della
mandibola, lunghezza del piede posteriore, circonferenza del collo, lunghezza totale, stato di
allattamento, numero delle punte e lunghezza del palco). Terminate le operazioni, in genere
nell’arco di 20-30 minuti dal momento della narcotizzazione, al cervo viene somministrato un
antidoto al narcotico, per facilitarne il risveglio, e viene controllato finché non è in grado di
allontanarsi autonomamente dal luogo di cattura.
La distanza dalla quale viene sparata la siringa contenente il narcotico è di circa 6 metri,
l’antidoto viene somministrato dal veterinario direttamente all’animale mediante una siringa, al
termine della manipolazione da parte della squadra di cattura.
Complessivamente con le trappole sono stati catturati 70 cervi di cui 42 femmine e 28 maschi.
Sui 28 maschi catturati solo un individuo aveva Più di 2 anni di età. Nelle trappole costruite
all’esterno del Parco sono stati catturati solamente 2 cervi (Tabella 3.2).
28
Figura 3.7 - Trappola autoscattante.
Per ovviare ai problemi di selettività delle trappole e disporre di un campione adeguatamente
omogeneo è stato chiesto il supporto del Servizio Foreste e Fauna, che dispone di personale
specializzato nelle catture di Ungulati mediante telenarcosi in free-ranging notturno (operazione
di cattura mediante speciali fucili in grado di lanciare siringhe con narcotico, dotate di
radiotrasmittente). La squadra di lavoro è composta da almeno quattro operatori: un autista, un
operatore al faro, uno al fucile lanciasiringhe ed uno dotato di radio e antenna con il compito di
localizzare l’animale sedato. Con un fuoristrada vengono percorse le aree di abituale pascolo
notturno dove è possibile avvicinare i cervi e una volta individuato con il faro il capo che
interessa monitorare, viene lanciata la siringa con narcotico e radiotrasmettitore; quest’ultimo
permette di ritrovare in assenza di luce l’animale addormentato. La distanza di tiro utile durante
le catture in free ranging si aggira intorno ai 15-25 metri. Si tratta di un metodo di cattura
altamente selettivo poichè concentrato nel periodo della stagione riproduttiva, momento in cui i
maschi adulti sono maggiormente avvicinabili perché impegnati nell’attività di bramito. A partire
dal 2005 l’utilizzo del fucile lanciasiringhe è stato effettuato anche dagli agenti forestali del PNS.
29
Tabella 3.2 - Cervi catturati nelle trappole autoscattanti.
ANNO
PERIODO
CERVI
CATTURATI
CERVI
RADIOMARCATI
CERVI MARCATI CON
COLLARE
CATARIFRANGENTE
M
F
T
M
F
M
F
2002
Dal 5/2 al 19/3
1
3
4
--
--
--
--
2003
dal 03/01 al 13/03
9
17
26
4
14
--
--
2004
dal 6/1 al 24/03
11
10
21
7
8
--
--
2005
--
--
--
--
--
--
--
--
2006
--
--
--
--
--
--
--
--
2007
dal 07/02 al 17/02
2
5
7
--
--
1
3
2008
dal 18/01 al 11/02
5
7
12
--
--
5
7
28
42
70
11
22
6
10
TOT
Figura 3.8 - Cervo sedato in una trappola autoscattante.
30
Figura 3.9 - Maschio radiomarcato durante le catture in free ranging.
Complessivamente in free ranging sono stati catturati 23 cervi di cui 10 femmine e 13 maschi.
Tutti i 13 maschi catturati avevano più di 2 anni di età e 9 di essi avevano più di cinque anni.
Nelle zone esterne al Parco sono stati catturati 3 cervi (Tabella 3.3 - ).
Tabella 3.3 - Cervi catturati in free-ranging (tra parentesi i radiocollari GPS).
ANNO
PERIODO
2002
CERVI
CATTURATI
CERVI
RADIOMARCATI
CERVI MARCATI CON
COLLARE
CATARIFRANGENTE
M
F
T
M
F
M
F
--
--
--
--
--
--
--
2003
22/12
1
--
1
1
--
--
--
2004
19/3 – 9/04 7/10 – 12/10
3
2
5
3
2
--
--
2005
27/04 – 28/04 4/10 – 8/10
4
4
8
4 (2)
4 (2)
--
--
2006
2/10 – 7/10
2
3
5
1 (1)
--
1
3
2007
29/09 – 6/10
3
1
4
2 (2)
--
1
1
13
10
23
11 (5)
6 (2)
2
4
TOT
Il successo medio di cattura è stato pari a 1.2 cervi/notte. Il successo medio di cattura in free
ranging è stato di 1.43 cervi/notte, mente quello con l’utilizzo delle trappole è stato di 0.85
cervi/notte se si considerano solo le notti in cui è stato catturato almeno un cervo.
Complessivamente tra il gennaio 2003 e il febbraio 2008 sono stati catturati 93 cervi, di cui 52
femmine e 41 maschi. Di questi il 75 è stato catturato con le trappole e il restante 25% in modo
selettivo mediante free ranging. Cinque cervi su 93 (il 5%) sono stati catturati all’esterno
31
dell’area protetta (Tabella 3.4). In Tabella 3.5 è riportata la struttura per sessi e classi di età dei
cervi catturati.
Tabella 3.4 - Totale dei cervi catturati suddivisi per sessi, metodo di cattura e area geografica.
CERVI MARCATI CON
CERVI
CERVI
COLLARE
PERIODO
CATARIFRANGENTE
CATTURATI
RADIOMARCATI
M
F
T
M
F
M
F
Rabbi PNS– Trappole
16
28
44
7
15
4
5
Peio PNS – Trappole
11
13
24
3
7
2
5
Val di Sole – Trappole
1
1
2
1
--
--
--
Rabbi PNS – Free ranging
2
1
3
1 (1)
1
1
--
Peio PNS – Free ranging
10
7
18
9 (4)
3 (2)
1
4
Val di Sole – Free ranging
1
2
3
1
2
--
--
TOTALE
41
52
93
22 (5)
28 (2)
8
14
Tabella 3.5 - Struttura per sessi ed età dei cervi catturati.
MASCHI
FEMMINE
Piccoli
11
Piccoli
7
Fusoni
13
Sottili
2
2 - 4 anni
4
2 – 3 anni
6
5 – 7 anni
8
4 – 10 anni
28
8+ anni
5
11+ anni
9
TOT
41
52
Tutti gli individui catturati sono stati marcati con contrassegni auricolari ad entrambe le
orecchie, disposte secondo una combinazione di numeri e colori, rappresentativi della zona e
dell’anno di cattura. Quarantatre soggetti sono stati anche dotati di radiocollare VHF (marca
Telonics e Televilt). Sette individui sono stati dotati di radiocollari a tecnologia GPS (marca
Televilt e Vectronic), programmati per intensificare le localizzazioni giornaliere in
corrispondenza della stagione dei bramiti e dei periodi di migrazione tra le aree di svernamento
ed estivazione. Infine ultimamente 22 soggetti sono stati muniti di collari colorati e muniti di
catarifrangenti colorati per renderli facilmente riconoscibili durante le operazioni di conteggio
notturno e permettere l’applicazione della tecnica di mark-resight per la stima della consistenza
della popolazione.
Le due tabelle seguenti riportano le caratteristiche principali dei cervi catturati e muniti di
radiocollare nel corso dello studio. Non sono stati analizzati i cervi evidenziati in grigio (numero
troppo esiguo di localizzazioni) e in arancione (femmina spostata artificialmente da una valle
all’altra).
32
Tabella 3.6 - Elenco dei cervi muniti di radiocollare nel presente studio; FR = frequenza radiotrasmittente
associata al collare; SEX = sesso; RANGE ETA’ = range di età durante il monitoraggio, stimata alla
cattura in base all’usura dei denti; COLLARE = tipologia di radiocollare applicato; PARCO = relazione che
il cervo ha avuto con il territorio del Parco durante l’intero monitoraggio (in = aree maggiormente
frequentate poste entro Parco; out = frequente utilizzo anche di territori esterni al Parco).
RANGE
DATA
ULTIMA
PESO alla
CATTURA
LOCALIZZAZIONE
CATTURA (kg)
Vhf
26/02/2004
14/12/06
74
in
7-8
Vhf
19/02/2003
19/12/03
89
in
f
4
Vhf
07/01/2004
08/03/04
81
80
f
1-4
Vhf
18/02/2003
29/06/06
66
111
f
9-10
Vhf
09/01/2004
09/05/05
122
120
f
6-8
Vhf
19/03/2004
17/06/06
150
f
8-11
Vhf
05/03/2004
29/06/06
104
69
FR
SEX
50
f
12-15
60
f
61
ETA'
COLLARE
PARCO
in
out
in
180
f
1
Vhf
07/01/2004
09/05/05
181
f
4
Vhf
27/04/2005
17/06/06
210
f
13-14
Vhf
04/01/2003
29/06/06
94
211
f
6-9
Vhf
21/01/2004
09/05/05
104
in
240
f
14-15
Vhf
26/02/2004
09/08/04
102
in
241
f
0-1
Vhf
07/10/2005
02/10/06
in
270
f
8-11
Vhf
19/03/2004
14/12/06
out
in
370
f
12-15
Vhf
27/02/2003
29/06/06
108
out
391
f
6-9
Vhf
19/02/2003
23/08/05
90
out
410
f
6-9
Vhf
16/01/2003
28/06/06
124
out
430
f
4-7
Vhf
03/01/2003
29/06/06
94
in
510
f
8-10
Vhf
28/01/2003
01/12/04
103
in
530
f
0-4
Vhf
11/02/2003
14/12/06
50
in
550
f
5-8
Vhf
07/01/2004
14/12/06
96
in
570
f
9-12
Vhf
22/01/2003
30/06/07
104
in
610
f
7-9
Gps
06/10/2005
29/10/07
in
630
f
5-6
Gps
28/04/2005
06/03/07
in
810
f
3-4
Vhf
13/03/2003
01/02/04
85
in
830
f
4-7
Vhf
05/03/2003
29/06/06
96
in
850
f
0-3
Vhf
23/01/2003
29/06/06
870
f
9-12
Vhf
07/01/2003
30/06/06
000
M
6-7
Gps
05/10/2007
in
115
in
In
030
M
10-12
Vhf
12/10/2004
14/12/06
out
100
M
7-8
Vhf
06/10/2004
05/11/05
out
120
M
7-8
Gps
06710/2007
170
m
4-5
Vhf
04/10/2005
14/12/06
out
260
m
5-7
Vhf
08/04/2004
14/12/06
in
290
m
0
Vhf
29/01/2004
20/03/04
56
291
m
2-5
Vhf
24/03/2004
14/12/06
88
330
m
0
Vhf
28/01/2004
06/03/04
54
331
m
2-5
Vhf
15/03/2004
14/12/06
83
in
340
m
1-4
Vhf
01/03/2004
14/12/06
79
in
In
in
33
555
m
7-8
Vhf
06/10/2005
14/12/06
out
619
M
10
Gps
06/10/2005
25/11/05
In
620
M
11
Gps
03/10/2006
02/12/06
In
640
m
7-9
Gps
04/10/2005
25/05/06
150
out
890
m
1-4
Vhf
11/02/2003
01/10/05
96
out
910
m
1
Vhf
06/01/2004
22/01/04
65
911
m
1-4
Vhf
10/02/2004
14/12/06
931
m
1-3
Vhf
27/01/2003
12/09/04
101
950
m
1
Vhf
13/02/2003
25/02/03
85
951
m
12-14
Vhf
22/12/2003
13/10/05
129
out
970
m
1-5
Vhf
10/01/2003
29/06/06
105
in
in
out
Al fine di proseguire con l’attività di mark-resight, dall’anno 2006 si è proceduto alla cattura di
ulteriori individui che sono stati marcati con collari colorati e dotati di placche catarifrangenti
anch’esse colorate.
Tabella 3.7- Prospetto degli animali marcati con collare catarifrangente.
DATA
CATTURA
02/10/06
02/10/06
05/10/06
07/10/06
07/02/07
07/02/07
15/02/07
17/02/07
29/09/07
06/10/07
18/01/08
18/01/08
18/01/08
23/01/08
23/01/08
29/01/08
05/02/08
05/02/08
07/02/08
11/02/08
11/02/08
11/02/08
MORTE
31/12/2006
25/09/2008
SESSO
ETA'
CLASSE
ETA'
f
f
m
f
m
f
f
f
f
m
f
f
m
f
m
f
f
m
f
m
f
m
4/5
7
5/6
8/9
1
14
3/4
5
9/10
5
3
4
1
14
2
3
4
1
3
1
4
1
subadulta
adulta
adulto
adulta
fusone
anziana
subadulta
adulta
adulta
adulto
subadulta
subadulta
fusone
anziana
subadulto
subadulta
subadulta
fusone
subadulta
fusone
subadulta
fusone
A partire dal gennaio 2003 è cominciata la fase di monitoraggio dei soggetti marcati. Le
diverse fasi del lavoro di campo sono state realizzate a diverse riprese da Sara Luchetti, Ilenia
Perrotta, Margherita Tommasini, Massimiliano Zaninetti e Natalia Bragalanti, biologi e
naturalisti, e da Ivan Callovi, forestale assunto a tempo determinato presso il Parco dello
Stelvio. La raccolta dei dati ha previsto un minimo di tre localizzazioni settimanali per animale,
distribuite in giorni diversi e non consecutivi (156 all’anno), di precisione compresa tra gli 1 e i
10 ha. La tecnica utilizzata è quella della triangolazione mista alla cerca. A partire dall’aprile
34
2004 il gruppo dei ricercatori incaricati del monitoraggio è stato affiancato dal guardiacaccia
dell’Associazione dei Cacciatori della Provincia di Trento Lucio Luchesa.
Complessivamente sono state effettuate 12.678 localizzazioni totali (Figura 3.10). Le
localizzazioni sono state inserite in un database contenente per ognuna di esse le seguenti
informazioni: frequenza del radiocollare, sesso ed età del cervo, data, ora, rilevatore, precisione
della localizzazione, coordinate della localizzazione in Gauss-Boaga fuso Ovest, stagione,
tipologia di occupazione dello spazio (migratore, stanziale, migratore intermedio).
Figura 3.10 - Localizzazioni radiotelemetriche (N = 12.678). In rosa le femmine, in azzurro i maschi.
Le elaborazioni dei dati sono state successivamente effettuate mediante i software ArcGis e
R.
La raccolta dei dati posizionali provenienti dai collari GPS (Figura 3.11) è avvenuta mediante
due differenti tipologie di trasferimento dati a seconda della marca di collare utilizzato. I collari
Televilt hanno previsto lo scarico dei dati via radioVHF, mediante l’utilizzo di una
strumentazione composta da una radio ricevente (RX 9000-Televilt) in grado di ricevere i dati
relativi alle localizzazioni GPS mediante un apposito remote control (RC01-Televilt). I collari
Vectronic invece prevedono la progressiva trasmissione dei dati mediante messaggi sms che la
sim card assemblata nel sistema trasmette al numero di telefono specificato. I messaggi
arrivano a Vectronic che invia ai clienti messaggi di posta elettronica contenenti le localizzazioni
effettuate.
35
Figura 3.11 - Localizzazioni GPS (N = 29.982). In rosa le femmine, in azzurro i maschi.
#0#.+5+&'..#%10&+<+10''%156+67<+10'
In parallelo alle indagini sanitarie curate dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle
Venezie, è stata avviata una campagna per la registrazione delle misurazioni e per i prelievi
biometrici con finalità di valutazione dello stato di fertilità e di condizione (sempre in
collaborazione con l’IZS). Il campionamento è stato effettuato sui cervi abbattuti nelle Riserve di
Peio, Rabbi e Vermiglio, i cui cacciatori hanno fornito un valido aiuto per il reperimento dei
campioni, e su tutti i soggetti rinvenuti morti all’interno e all’esterno del Parco (sui quali il lavoro
di misurazione e campionamento è stato effettuato dagli agenti forestali delle stazioni del Parco
e del Distretto della Val di Sole con la collaborazione del personale del Parco.
Nel caso del cervo esistono numerosi studi che dimostrano come le misure biometriche siano
dei buoni indici per valutare la condizione generale di una popolazione in un determinato habitat
e come le variazioni nella massa corporea e nelle misure lineari, siano correlate ad una
variazione nella qualità degli habitat occupati (Mitchell et al, 1976; Buchil, 1979, Clutton Brock
et al, 1982, Langvatn, 1986).
Per valutare lo “stato” complessivo della popolazione vengono valutati in modo quantitativo e
comparato alcuni indici che permettono di descrivere la condizione e la costituzione della
popolazione stessa. I valori di tali indici vengono anche confrontati con valori analoghi di
popolazioni geograficamente limitrofe in modo da poter effettuare gli opportuni paragoni
(popolazioni delle UG del Parco Nazionale dello Stelvio, settori lombardo e sudtirolose, e delle
limitrofe UG svizzere).
Con il termine di condizione si intende lo stato di forma momentaneo di un animale in
relazione al suo stato nutrizionale, alla sua salute, alle sue capacità fisiologiche e di resistenza.
Tale stato può subire notevoli fluttuazioni sia stagionali sia annuali e viene di norma calcolato
mediante complesse misurazioni relative alle riserve di grasso. Ciò rende necessaria una
perfetta standardizzazione della raccolta e misurazione delle informazioni. Nella pratica la
condizione fisica di un animale viene generalmente valutata attraverso l’apprezzamento del
36
grasso presente nei diversi depositi del corpo, basandosi sul presupposto che la quantità di
grasso presente in questi depositi sia proporzionale alle riserve totali di grasso corporeo.
Con il termine costituzione di un animale si intende lo stato fisico raggiunto da un soggetto e
l’aspetto che il corpo ha assunto, sotto l’influenza delle condizioni di vita, a partire dalla nascita
e soprattutto durante la crescita (Buchli, 1979, Klein, 1985). Determinanti sono soprattutto i
primi anni dello sviluppo e in questo senso l’indice di costituzione può riassumere le diverse
condizioni attraverso le quali l’animale è passato nel corso del proprio sviluppo e rispecchiare
l’influsso medio che le condizioni ambientali hanno esercitato nel corso degli anni sullo sviluppo
dell’animale.
Per la valutazione della costituzione dell’animale vengono utilizzati alcuni parametri somatici
definiti “misure morfobiometriche”. Nell’animale adulto, essendo terminata la crescita, queste
misure riflettono una condizione fisica anteriore. Ad esempio un piccolo che nasce da una
madre che è in cattive condizioni, sarà già alla nascita più debole e riceverà meno latte; questo
lo porterà a sviluppare caratteri somatici inferiori alla media. Il ritardo di sviluppo accumulato nei
primi anni di vita difficilmente viene recuperato negli anni successivi e l’animale mostrerà
caratteri somatici inferiori alla norma durante tutta la sua vita (scarsa costituzione; Buchli, 1979,
Leoni, 1995).
Per la valutazione della condizione fisica e della costituzione dei cervi, in relazione alla loro
densità e alla qualità degli ambienti occupati, si è operato su base campionaria, utilizzando i
soggetti abbattuti in Val Venosta nell’ambito del programma di selecontrollo e quelli provenienti
dall’attività venatoria nel resto dell’area di studio. Sono stati inoltre utilizzati dati biometrici
provenienti da cervi rinvenuti morti nei territori indagati, principalmente provenienti dall’interno
del Parco Nazionale dello Stelvio.
Nello specifico per il Settore trentino, i dati raccolti durante i campionamenti biometrici si
riferiscono agli individui abbattuti durante l’attività venatoria nelle riserve di Peio, Rabbi e
Vermiglio, ed a quelli rinvenuti morti nell’intera UG Val di Sole, nel periodo compreso tra l’anno
1997 e il 2007, per un totale di 296 capi (per cui è disponibile il set completo di misurazioni). Per
quanto riguarda l’evoluzione storica dei pesi sono stati utilizzate le misurazioni rilevate all’atto
del controllo del capo, registrate sul tesserino di abbattimento per un totale di 6.867 records.
Dei 172 capi relativi ad individui rinvenuti morti campionati dagli agenti forestali della PAT, 122
provengono dal territorio del Parco. Di seguito le Tabelle che riportano la suddivisione del
numero di campioni disponibili.
Tabella 3.8 - Abbattuti – misurazione peso. Numero di cervi del campione analizzato, distinti per sesso e
classe di età.
MASCHI
FEMMINE
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
822
946
882
386
150
36
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
942
676
462
270
877
235
Tabella 3.9 - Abbattuti – misurazione mandibola. Numero di cervi del campione analizzato, distinti per
sesso e classe di età.
MASCHI
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
169
193
194
89
47
8
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
213
129
111
68
246
72
37
Tabella 3.10 - Abbattuti – campionamento completo. Numero di cervi del campione analizzato, distinti per
sesso e classe di età.
MASCHI
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
19
22
13
16
11
2
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
24
17
17
13
37
11
Tabella 3.11 - Rinvenuti morti – misurazione peso. Numero di cervi del campione analizzato, distinti per
sesso e classe di età; PNS Parco Nazionale dello Stelvio; DVS Distretto Val d Sole.
PNS
DVS
MASCHI
Piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
19
10
6
1
2
1
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
MASCHI
8
7
8
1
16
8
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
9
15
6
2
1
1
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
18
9
9
2
19
5
Tabella 3.12 - Rinvenuti morti – misurazione mandibola. Numero di cervi del campione analizzato, distinti
per sesso e classe di età; PNS Parco Nazionale dello Stelvio; DVS Distretto Val d Sole.
PNS
DVS
MASCHI
Piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
54
18
10
6
5
5
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
MASCHI
31
7
14
1
23
9
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
4
9
4
1
0
1
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
13
7
4
3
11
5
Tabella 3.13 - Rinvenuti morti – campionamento completo. Numero di cervi del campione analizzato,
distinti per sesso e classe di età; PNS Parco Nazionale dello Stelvio; DVS Distretto Val d Sole.
PNS
DVS
MASCHI
Piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
23
15
7
1
2
1
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
MASCHI
11
7
12
2
20
9
piccolo
fusone
2-4 anni
5-7 anni
8-11 anni
12+ anni
FEMMINE
4
5
1
1
1
1
piccolo
sottile
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
8
2
2
0
6
2
Da un sottocampione degli animali abbattuti e rinvenuti morti, sono stati raccolti set di
misurazioni biometriche e campionamenti completi successivamente analizzati in laboratorio
38
(tratti riproduttivi per le femmine) o misurati dagli agenti forestali, preventivamente preparati. Le
variabili esaminate o prese in considerazione per ogni cervo sono le seguenti:
- sesso;
- età (mediante la valutazione dell’usura della dentatura della mandibola);
- peso completamente eviscerato (field dressed weight di Langvtan (1977));
- lunghezza della mandibola (misurata in linea retta con precisione a 0.5 cm, dal punto
mediale di inserzione dei primi incisivi al punto più posteriore del processo angolare);
- KFI (indice di grasso perirenale (Riney, 1955);
- presenza del piccolo (allattamento in corso o terminato da poco);
- accertamento della fertilità (feto evidente o presenza di corpi lutei veri);
- lunghezza del garretto (misurato tenendo stirato l’arto dalla punta dello zoccolo al punto
più prossimale del calcagno);
- circonferenza minima del collo (misurata con metro a nastro nel punto di minore
circonferenza del collo).
Dall’anno 2006 il personale dell’Ufficio Conservazione Ambientale del Parco, presenzia alle
fasi di valutazione dell’età degli animali abbattuti, esposti alla mostra trofei della Val di Sole e
collabora con i tecnici dell’ACT alla raccolta dei dati relativi all’età, sesso, peso eviscerato,
lunghezza della mandibola (rilevata con calibro elettronico con precisione al decimo di mm),
lunghezza delle stanghe dei fusoni, numero delle punte dei maschi adulti, località e data di
abbattimento.
Tutte le informazioni sono costantemente aggiornate in un geodatabase Access, nel quale per
gli individui rinvenuti morti, è possibile risalire anche all’esatto luogo del ritrovamento.
Per un maggior approfondimento dei metodi di campionamento e di analisi e dei risultati si
veda la relazione “Analisi della densità, dinamica e costituzione delle popolazioni di cervo del
Parco Nazionale dello Stelvio” (Bonardi e Pedrotti in Nicoloso et al., 2006).
#0#.+5+&'..156#615#0+6#4+1
La conoscenza dello stato sanitario della popolazione di cervo presente nel Parco Nazionale
dello Stelvio rappresenta un grosso contributo alla gestione delle patologie sia nel domestico,
sia nel selvatico, potendo altresì contribuire a chiarire il ruolo epidemiologico delle specie
recettive nel mantenimento nell’ambiente degli agenti eziologici coinvolti. Un esempio in tal
senso è rappresentato dalla paratubercolosi, malattia presente con alti valori di prevalenza nei
cervi del Parco. La paratubercolosi è una malattia intestinale cronica dei Ruminanti domestici e
selvatici causata dal Mycobacterium paratuberculosis; la sintomatologia osservata nei soggetti
colpiti dalla malattia è rappresentata da dimagrimento, cattive condizioni del mantello e diarrea.
La trasmissione avviene principalmente per via orale e l’eliminazione con feci, ma recentemente
altre vie come quella verticale dalla madre al feto sono state dimostrate anche nei Ruminanti
selvatici. Tale malattia, pur non dimostrando effetti immediati ed eclatanti sulla dinamica di
popolazione, pone tuttavia numerosi problemi gestionali correlati alla possibilità di trasmissione
della malattia al domestico e merita un adeguato monitoraggio e approfondimento.
L’indagine sullo stato sanitario della popolazione trentina di cervo, attiva dall’anno 1998 al
2005, ha coinvolto il Settore trentino del Parco attraverso la raccolta di visceri e di campioni di
sangue su cervi abbattuti durante la stagione venatoria (nelle Riserve di Peio, n=72; Rabbi,
n=127 e Vermiglio, n=30) o rinvenuti morti nelle aree del Parco stesso (n=100).
39
La ricerca, svolta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento mediante il
coinvolgimento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, è stata indirizzata
all’approfondimento delle conoscenze sulla relazione esistente tra la presenza del
Mycobacterium paratuberculosis e le densità elevate di cervo nell’area di studio.
L’obiettivo del monitoraggio sanitario è stato acquisizione di maggiori conoscenze sulle
popolazioni, sia ai fini della loro conservazione, sia per il controllo della diffusione di patogeni
trasmissibili in ambito di sanità pubblica e in ambito zootecnico. Vista la situazione pregressa,
particolare importanza è stata data alle indagini finalizzate a quantificare lo stato della
popolazione rispetto alle già verificate alte prevalenze di paratubercolosi e al significato di tale
patologia rispetto alla dinamica delle popolazioni e al rapporto tra selvatici e bestiame
domestico.
Gli organi campionati sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico per verificare la
presenza di alterazioni di tipo infiammatorio, degenerativo o la presenza di parassiti. In funzione
delle lesioni riscontrate sono stati effettuati, qualora ritenuti necessari, accertamenti diagnostici
di tipo microbiologico, parassitologico o istopatologico.
Le lesioni anatomopatologiche e le parassitosi riscontrate sono state raggruppate nelle
seguenti categorie:
Polmoniti: processi infiammatori di tipo catarrale o fibrinoso a carico di lobi o parte dei lobi
polmonari, con presenza o meno di enfisema alveolare o interstiziale, interessamento pleurico o
presenza di lesioni nodulari parassitarie
- Dictyocaulosi: infestazione lungo le vie respiratorie da parte di esemplari adulti di
nematodi appartenenti al genere Dictyocaulus.
- Dicroceliosi: infestazione del fegato, delle vie biliari, da parte di esemplari adulti di
trematodi della specie Dicrocoelium dendriticum.
- Periepatiti: processi infiammatori di tipo sostanzialmente fibrinoso a carico della
superficie del fegato, glissoniana.
- Degenerazione epatica: processi degenerativi principalmente di tipo steatosico a carico
del parenchima epatico.
- Epatomegalia: aumento di volume del fegato.
- Nefriti: processi infiammatori a carico della corticale, della midollare o di più strutture dei
reni.
- Cysticercus: infestazione parassitaria da parte di forme larvali del cestode Tenia
denominate Cysticercus tenuicollis.
- Setaria: infestazione da parte di forme adulte del nematode Setaria cervi.
- Abomasiti: processi infiammatori a carico della mucosa dell’abomaso.
- Enteriti: processi infiammatori a carico dell’intestino di diversa estensione e carattere
anatomopatologico, catarrale, emorragico, necrotico o di tipo specifico.
- Lifoadeniti: processi infiammatori di tipo iperplastico o emorragico a carico dei linfonodi
del canale gastroenterico.
- Linfoadenopatie: aumento di volume, edemi o emorragie a carico dei linfonodi del canale
gastroenterico.
- Strongili: infestazione da parte di esemplari adulti appartenenti a diverse specie di
strongili gastrointestinali.
- Miasi: infestazione da parte di forme larvali di ditteri della specie Cephenemya stimulator
a livello nasofaringeo.
- Neotrombicula: ectoparassitosi sostenuta da forme larvali dell’acaro Neotrombicula
autumnalis.
La paratubercolosi è una malattia intestinale cronica dei ruminanti domestici e selvatici
causata da Mycobacterium avium subsp paratuberculosis diffusa in tutti i continenti, grazie
anche alle caratteristiche di resistenza nell’ambiente e alla sua patogenesi. È fonte di ingenti
40
perdite economiche nella zootecnia sia per le forme cliniche, sia per le forme subcliniche che
determinano riduzione delle produzioni.
La sintomatologia osservabile nei soggetti colpiti dalla malattia è rappresentata da
dimagramento, cattive condizioni del mantello e diarrea. La trasmissione avviene
principalmente per via orale e l’eliminazione con le feci, ma recentemente altre vie come quella
verticale dalla madre al feto sono state dimostrate anche nei ruminanti selvatici.
L’elenco delle specie sensibili comprende anche mammiferi non ruminanti e in ambito
selvatico sono segnalati casi nella volpe, nei mustelidi nel coniglio selvatico e nella lepre. In
diversi paesi sono stati promossi studi mirati a verificare l’eventuale ruolo di serbatoio di queste
specie nell’epidemiologia della paratubercolosi.
Il cervo è la specie che maggiormente presenta caratteristiche biologiche ed ecologiche
potenziali per questo ruolo ed è infatti la specie che generalmente anche in Italia presenta le
maggiori prevalenze d’infezione.
Nell’ambito del monitoraggio sanitario del cervo nel Settore lombardo del Parco Nazionale
dello Stelvio la ricerca della paratubercolosi assume un significato particolare perché proprio in
due cervi nelle aree del Parco Nazionale dello Stelvio, Settore altoatesino, sono stati riscontrati i
primi casi in Italia di paratubercolosi nella fauna selvatica nei primi anni ’90.
Sebbene esistano diverse metodiche, la diagnosi nei confronti della paratubercolosi è
alquanto complessa. Questo dipende da diversi fattori come la lenta crescita sui terreni di
coltura, legati alla patogenesi e alla scarsa sensibilità dei test sierologici. La ricerca di lesioni
riferibili a paratubercolosi è stata effettuata su tutto il tratto intestinale e sui linfonodi associati di
372 individui. I cervi che non presentavano alterazioni sono stati raggruppati in classi
anatomopatologiche secondo la seguente classificazione modulata da Perez et al. 1997:
CLASSE A: alterazioni limitate al sistema linfatico intramurale con ispessimento delle
placche di Peyer linfangectasia, linfoadenomegalia o linfadenite iperplastica o emorragica;
erosioni o petecchie limitate alla valvola ileociecocolica;
CLASSE B: enterite di tipo catarrale emorragica con estensione limitata all’ileo o a poche
anse con eventuali erosioni e/o petecchie emorragiche;
CLASSE C1: enteriti emorragiche o catarrali emorragiche estese con gravi lesioni in
corrispondenza della valvola;
CLASSE C2: enteriti croniche con ispessimento della parete e corrugamento della mucosa;
CLASSE C3: concomitante presenza delle lesioni riscontrate in C1 e C2 con associate gravi
linfadeniti iperplastiche.
Sulla valvola ileocecale e sui linfonodi è stato effettuato l’esame colturale per Mycobacterium
paratuberculosis su terreno di Herrold. L’esame colturale è stato seguito, per ogni soggetto, su
un pool di tessuti costituito da una porzione dell’intestino tenue (ileo prossimale) dalla valvola
ileo-cieco-colica e dai linfonodi meseraici e ileocecali. I campioni, conservati in congelatore a 21°C per alcune settimane, dopo lo scioglimento son o stati posti per una notte a +4°C in
tampone di “Butterfield” e successivamente sottoposti ad omogeneizzazione, digestione con
tripsina (0.4% in BPS) e decontaminazione con cloruro di benzalconio allo 1% per 16-18 ore a
temperatura ambiente. Il sedimento del materiale è stato quindi seminato su quattro diversi tipi
di terreno Herrold. Una prima lettura delle piastre è stata effettuata dopo 30-40 giorni di
incubazione a 37°C; i campioni che dopo dodici sett imane non presentavano crescita di alcuna
colonia tipica sono stati considerati negativi. L’identificazione dei ceppi isolati è stata effettuata
sulla base della morfologia delle colonie, sulle caratteristiche biologiche e tintorali e sulla
colorazione di Ziehl-Nielsen.
Metà dei campioni di valvole, linfonodi e porzione di intestino tenue utilizzati per l’esame
colturale sono stati fissati in formalina tamponata al 10% ed inviati al laboratorio di istologia per
l’esame immunoistochimico. I vetrini dopo l’allestimento, subiscono un trattamento di
mascheramento antigenico ed infine vengono incubati con siero policlonale di Mycobacterium
paratuberculosis a temperatura ambiente per 30 minuti. Viene aggiunto un sistema perossidasi
41
e vengono incubati a temperatura ambiente per altri 30 minuti, e successivamente incubati con
un substrato cromogeno per 5 minuti sempre a temperatura ambiente. I vetrini vengono
contrastati con ematossilina, disidratati attraverso la serie ascendente degli alcoli, chiarificati in
cilene e montate a sezione. Al microscopio la presenza di precipitati colorati indica l’avvenuto
legame del coniugato al complesso Ag/Ab e quindi la positività del campione.
Sono state inoltre eseguite analisi specifiche nei confronti della Chronic Wasting Disease
(CWD). La chronic wasting disease (CWD), malattia da deperimento cronico, appartiene alle
encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE) causate da prioni. È l’unica patologia sostenuta di
questa categoria che interessa specie a vita libera. La malattia è stata scoperta per la prima
volta nel Nord America nel 1981, ma si ritiene che possa aver circolato in cervidi a vita libera
anche venti anni prima. Finora è stata riscontrata soltanto in alcune specie di cervidi
(Odocoileus hemonius, Odocoileus virginianus, Cervus elaphus nelsoni).
Fino ad oggi la malattia è rimasta confinata negli Stati Uniti e nel Canada ad eccezione di
alcuni casi registrati nella Corea del Nord in soggetti importati dal Canada. Il clamore suscitato
dalle TSE in Europa ha determinato un incremento dell’interesse nei confronti della CWD con
l’implementazione di monitoraggi sanitari indirizzati al controllo di questa malattia. Di riflesso
anche in Europa si è iniziato ad effettuare indagini dapprima sottoforma di ricerca ed ora anche
come piani di controllo a livello nazionale e comunitario.
Sui reni dei soggetti esaminati è stata effettuato l’esame della condizione fisica attraverso il
calcolo del kidney fat index (KFI), dato dal rapporto tra il peso del rene e il peso del grasso
perirenale (Riney, 1955).
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&'..ŏ'%15+56'/#'%10.'#66+8+67/#0'
All'interno di un ecosistema ciascun elemento è intimamente legato ed interconnesso in una
sorta di rete a tutte le altre componenti, a formare una sorta di equilibrio dinamico in continua
evoluzione. Ogni cambiamento può portare conseguenze in cascata sulle altre componenti. Tali
aspetti e i possibili effetti connessi alle elevate densità di cervo devono essere opportunamente
analizzati e documentati. La presenza del cervo può avere effetti sulla dinamica di altre specie
faunistiche, sulle dinamiche evolutive del bosco e innescare conflitti con le popolazioni locali per
i danni arrecati alle attività di carattere economico. Nei “ristretti” spazi alpini gli aspetti di
convivenza tra l’uomo e gli assetti naturali non possono essere trascurati, in quanto
indissolubilmente legati in un equilibrio complessivo di cui è fondamentale trattare gli aspetti
tecnici, ma di cui è ancora più importante comprende e risolvere gli aspetti sociali ed emotivi.
Le scelte del piano devono mediare e trovare un giusto equilibrio tra necessità dell'uomo, e
conservazione degli ecosistemi in tutte le loro componenti. Di seguito vengono riportate alcune
brevi note metodologiche sulle componenti dell’ecosistema indagate perché considerate
potenzialmente influenzate dalle elevate densità di cervo all’interno dell’area protetta.
42
+/2#66157.$15%1
La valutazione del danno al bosco è stata effettuata mediante due diverse tipologie di
campionamento, la prima in base a rilievi per punti di campionamento, la seconda mediante
l’impiego di recinti di esclusione.
3.6.1.1.
Rilievo per punti di campionamento
La valutazione della distribuzione e dell’entità dell’impatto e del danno da brucamento al
bosco in Val di Sole è stata effettuata dalla PAT a partire dall’anno 2000 fino all’anno 2003,
contemporaneamente in tutto il territorio provinciale, mediante la distribuzione uniforme di punti
di campionamento. Complessivamente sono stati individuati 861 siti di rilievo, distribuiti in modo
che fossero rappresentate le diverse situazioni di esposizione, quota e pendenza dei versanti.
All’interno di ciascun sito è stata ricercata una zona di rinnovazione idonea all’esecuzione del
rilievo, in cui fosse presente un numero di alberelli sufficiente a garantire la rinnovazione del
bosco.
Metodologia di rilievo
Un inventario per campionamento é una fotografia istantanea effettuata in una foresta, che,
nel caso della presente indagine, permette di determinare la percentuale di rinnovazione
danneggiata da parte degli Ungulati selvatici, il tipo di danneggiamento, le specie maggiormente
colpite ed i settori geografici maggiormente interessati al danno.
In ogni sito di campionamento è stata individuata un’area di saggio rettangolare denominata
transetto in cui è stato rilevato il grado di brucamento a carico della rinnovazione di altezza
compresa tra 15 e 130 cm. I dati di questo rilievo sono confrontabili con quelli di studi effettuati
in altre zone dell’arco alpino e con quanto effettuato in modo sistematico e diffuso nel Parco
Nazionale dello Stelvio, con analoghi rilievi nel 1998.
Il rilievo dei transetti si è concluso nel 2000 mentre il rilievo delle piantine all’interno della
gabbia e dell’area testimone è stato ripetuto negli anni 2001, 2002 e 2003.
Il transetto è costituito da una o più strisce di 2 metri di larghezza, lunghe quanto necessario
per poter rilevare il numero minimo preventivato di piantine.
Per poter evidenziare le dimensioni e la qualità del danno in ogni fase di insediamento della
rinnovazione, le piantine rilevate sono state suddivise in cinque classi dimensionali: piante dai
15 ai 25 cm di altezza, dai 26 ai 40 cm, dai 41 ai 70 cm, dai 71 ai 100 cm, dai 101 ai 130 cm.
Per ognuno degli alberelli compresi nel transetto, classificato per specie arborea e classe di
altezza, è stato rilevato il brucamento subito dal germoglio apicale nei tre anni precedenti il
rilievo, distinto in brucamento semplice del germoglio apicale o brucamento ripetuto per due o
tre anni. E’ stata inoltre rilevata l’eventuale presenza di soffregamenti.
Per la valutazione del carico di brucamento sono stati presi in considerazione gli esemplari di
rinnovazione compresi tra 25 e 130 cm di altezza perché le piantine nei primi stadi di sviluppo
subiscono l’influenza di molteplici fattori limitanti diversi dal brucamento, quali la concorrenza
delle specie del sottobosco. Tali fattori vengono indagati nella sperimentazione relativa al rilievo
nelle gabbie e nelle aree testimone. Si deve inoltre considerare che in generale le piante più
piccole rimangono protette in inverno dalla copertura nevosa e quindi risultano meno soggette
al brucamento.
Anche gli analoghi studi effettuati nell’arco alpino utilizzano nell’analisi del brucamento la
rinnovazione di altezza superiore ai 25-30 centimetri.
L'osservazione del brucamento è stata effettuata riferendosi agli ultimi tre anni in quanto ferite
più vecchie sono a volte difficili da osservare perché cicatrizzano molto velocemente (Eiberle,
43
1989) e le piccole discontinuità nel tronco possono essere identificate con sicurezza come
brucamento solo mediante analisi della sezione longitudinale del fusto.
3.6.1.2.
Rilievi mediante l’impiego di recinti di esclusione
Nel corso del 1992 sono state realizzate 10 aree recintate (15 x 20 m) in altrettante località
della Provincia di Trento, vicino alle quali, in condizioni stazionali il più possibile simili, sono
state individuate delle superfici di confronto delle stesse dimensioni, non recintate e soggette
quindi alla normale influenza della fauna selvatica (Figura 3.12). Le aree sono state scelte in
soprassuoli differenti per struttura e composizione, nei quali era stata avvertita la presenza di
segni di brucamento.
L’utilizzo dei recinti presenta il vantaggio di poter monitorare la dinamica dello sviluppo della
rinnovazione a partire dal suo insediamento ed ottenere dati relativi al suo potenziale in
assenza dell’azione di brucamento; questo, confrontato con l’area omogenea non recintata
posta nelle vicinanze evidenzia l’entità dell’azione svolta dagli Ungulati.
Figura 3.12 - Rappresentazione dei recinti di esclusione e delle aree di controllo
Metodologia di rilievo
I rilievi sulle varie componenti vegetazionali sono stati effettuati appena realizzate le aree, nel
1992; in seguito sono stati ripetuti nel 1995 e nel 2007. Questo ultimo rilievo è stato realizzato
nelle sole aree di Piazzola e di Maleda, presenti all’interno dei confini del Settore trentino del
Parco Nazionale dello Stelvio.
La vegetazione è stata suddivisa in 4 categorie:
-
44
erbacea;
rinnovazione (specie arboree) sotto i 30 cm di altezza;
arbustiva (specie arbustive);
rinnovazione (specie arboree) compresa fra i 30 ed i 300 cm di altezza.
Per ogni area, il rilievo sulle piante erbacee e sulla rinnovazione con altezza inferiore ai 30
cm, secondo una classificazione specifica, è stato effettuato mediante un transetto (largo 130
cm) collocato lungo la diagonale del recinto.
Per quanto riguarda lo strato erbaceo una volta individuate le specie è stata stimata la
copertura, per quel che concerne la rinnovazione inferiore ai 30 cm, è stato effettuato il
conteggio degli individui e l’altezza media dei soggetti ripartita per specie.
Le piante con altezza compresa tra i 30 ed i 300 cm e gli arbusti, invece, sono stati conteggiati
singolarmente e misurati in altezza su tutta l’estensione delle aree. Inoltre gli operatori hanno
determinato lo stato delle singole piante individuando le diverse modalità di interazione degli
Ungulati (presenza di brucamento all’apice e/o sulle gemme laterali e di scortecciatura sul
tronco) e l’intensità del suo effetto.
3.6.1.3.
Rilievo mediante transetti a carico della rinnovazione forestale nel Parco
Nazionale dello Stelvio
Per procedere al rilievo del carico di morso sulla rinnovazione arborea del Parco Nazionale
dello Stelvio è stata approntata una cartografia in scala 1:10:000, sulla base della quale la
superficie boscata del Parco è stata suddivisa, mediante una griglia a maglie rettangolari, in
aree di 50 ettari di superficie (500 m x 1.000 m). All’interno di ciascuna di queste aree è stata
ricercata una zona in rinnovazione idonea all’esecuzione del rilievo. Sono state scelte zone con
rinnovazione naturale allo stadio iniziale con una densità di alberelli pari ad almeno 4.000
piantine per ettaro.
Metodologia di rilievo
L’indagine è stata realizzata nell’estate del 1998. Nel Settore altoatesino sono state effettuate
tre indagini (rispettivamente nel 1992, 1995 e 1998).
Il carico di morso presente nelle zone di rinnovazione individuate è stato rilevato in un’area di
saggio di 50 m2 di superficie, rappresentata da una striscia di controllo lunga 25 m e larga 2 m,
delimitata da picchetti in modo da rendere possibile, in tempi successivi, la sua individuazione e
quindi la ripetizione del rilievo (Figura 3.13).
Figura 3.13 - Forma e dimensioni di ciascuna striscia di controllo.
45
Nella striscia di controllo sono stati esaminati tutti gli alberelli inferiori ai 300 cm di altezza
aventi il fusto posizionato entro i confini dell’area di rilievo. Per ognuno di essi, distinto per
specie arborea e classe di altezza, è stato rilevato il morso subito dal getto apicale nei tre anni
precedenti il rilievo e l’eventuale presenza di un danno da soffregamento.
+/2#66157+24#6+2#5%1.+
A partire dal 2005 è stato avviato uno specifico lavoro volto alla quantificazione degli
impatti/danni che la popolazione di cervo arreca ai prati a sfalcio ed ai pascoli delle malghe (per
consumo diretto), ed agli orti e ai campi coltivati per consumo diretto e calpestio. Ciò al fine di
valutare l’impatto in termini economici e sociali e fornire misure di prevenzione e indennizzo .
I prati all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, che risultano in attualità di coltivazione e
che in parte usufruiscono del contributo allo sfalcio impartito dalla Provincia Autonoma di Trento
si estendono su una superficie di circa 200 ettari, pari al 42% della totalità dei prati presenti nel
Settore trentino dell’area protetta.
Per quantificare la percentuale di ammanco sulla produzione di fieno dovuta alla brucatura del
cervo durante la fase primaverile ed estiva, sono stati realizzati recinti di esclusione che
permettessero un confronto comparato della differente crescita. I recinti sono stati posizionati in
modo da essere rappresentativi dei differenti gradi di produttività dei prati.
La produzione di fieno ottenuta dallo sfalcio dei prati è stata suddivisa in tre classi, definite in
base ai valori produttivi medi della Val di Sole (AA.VV., 2000):
- classe 1: rendimento massimo 30 q/ha;
- classe 2: rendimento massimo 50 q/ha;
- classe 3: rendimento massimo 90 q/ha.
È stato possibile ricavare una cartografia relativa alla suddivisione in classi di produttività dei
prati a sfalcio presenti nel Parco, grazie ai precedenti rilievi produttivi effettuati nell’ambito delle
indagini floristiche relative alle tipologie prative del Trentino occidentale (Pedrotti, 1963).
Tabella 3.14 - Superficie occupata dai prati sfalciati suddivisa per classi.
ha
CLASSE
1
PEIO
RABBI
TOTALE
48
2
50
ha
CLASSE
2
ha
CLASSE
3
71
38
109
33
-33
Tabella 3.15 - Potenziale produttivo ripartito nelle tre diverse classi.
- PEIO
RABBI
TOTALE
q
CLASSE
1
q
CLASSE
2
q
CLASSE
3
1.432
72
1.504
3.570
1.901
5.471
2.971
-2.971
L’impiego dei recinti di esclusione ha reso possibile una stima dell’ammanco produttivo dovuto
al pascolamento degli Ungulati e, in particolare, del cervo.
46
Le zone escluse consistono in 18 recinzioni (di 3x3 m) aventi ciascuna una superficie di 9 m2,
opportunamente distribuite al fine di rappresentare le condizioni produttive delle tre classi.
Negli anni 2006 e 2007 ad ogni sfalcio (uno per la classe 1, due per le classi 2 e 3) si è
provveduto contemporaneamente al taglio della porzione di prato contenuta all’interno delle
recinzioni e ad una equivalente nelle immediate vicinanze della stessa. La differenza di peso tra
il fieno sfalciato all’interno delle recinzioni e quello esterno ad esse ha fornito l’ammanco
produttivo dovuto al brucamento da parte degli Ungulati.
Figura 3.14 - Recinto di esclusione.
Analoghi recinti di esclusione sono stati installati nel corso dell’estate 2008 anche sui
principali pascoli delle malghe presenti nel Parco per valutare, in futuro, l’ammanco di
produzione foraggera nel periodo precedente all’alpeggio del bestiame.
+06'4#<+10'%10+.%#24+1.1
Attualmente la stima del trend evolutivo della popolazione di capriolo nell’UG viene effettuata
durante la stagione primaverile mediante censimenti su aree campione (2 aree nel Parco e 3
aree nel Distretto Val di Sole) e tramite il conteggio dei soggetti durante il censimento notturno
al faro del cervo. Questi ultimi conteggi hanno tuttavia scarsa utilità per la valutazione del trend
evolutivo della popolazione in quanto la percentuale di popolazione effettivamente conteggiata
durante i censimenti notturni non supera probabilmente il 15-20% della popolazione
complessiva e il rumore intra-annuale di tale tipo di censimento, legato alle condizioni
meteoclimatiche e allo stato fenologico della vegetazione è di gran lunga superiore.
All’interno del Settore trentino del PNS i censimenti primaverili su aree campione sono svolti
dal personale del Corpo Forestale Provinciale dal 1998, dal 1996, in collaborazione con le
47
guardie dell’ACT, i cacciatori e il personale dell’Ufficio Conservazione Ambientale del Parco. Lo
stesso personale compie quelli notturni al faro.
I censimenti su aree campione, ripetuti tre volte per ogni area nell’arco temporale di una
decina di giorni, hanno lo scopo di valutare l’andamento della popolazione poiché riferiti a
territori monitorati costantemente negli anni. L’operatore ha il compito di osservare la zona fino
al sopraggiungere del tramonto, da due ore ad esso antecedenti e segnalare su di un’apposita
scheda i soggetti avvistati, distinti per sesso e classi di età.
Una specifica attività di monitoraggio e ricerca è stata avviata nel 2006 da parte del Parco, in
collaborazione con il Servizio Foreste e fauna e con tutte le Riserve di caccia del Distretto
Faunistico Val di Sole (ad eccezione di quella di Rabbi), per la valutazione dello status delle
popolazioni di capriolo e per una valutazione delle cause che hanno portato all’attuale
situazione (Sotti et al., 2008). Nell’ambito della ricerca sono stati avviati monitoraggi specifici
per la valutazione delle consistenze a livello distrettuale, mediante cohort analysis, metodi
basati sullo sforzo di caccia e mediante pellet group count per una valutazione più puntuale
delle densità presenti nel Parco mediante.
+06'4#<+10'%10+.%#/15%+1
I censimenti al camoscio all’interno del Parco sono svolti annualmente durante il periodo
estivo (seconda metà di luglio) mediante il metodo standardizzato del block-census (censimento
esaustivi per osservazione diretta su settori parcellizzati, Tosi e Scherini, 1991). Il metodo è
realizzato in modo perfettamente standardizzato dal 1996. Dal 1973 al 1995 sono disponibili le
serie storiche dei censimenti e delle stime effettuate dall’ex Azienda di Stato per le Foreste
Demaniali (ASFD) del Corpo Forestale dello Stato che aveva in gestione l’area protetta.
I censimenti sono effettuati dal personale del Corpo Forestale Provinciale della Val di Sole, in
collaborazione con i guardiacaccia dell’ACT, i cacciatori ed il personale dell’Ufficio
Conservazione Ambientale del Parco.
L’intero territorio interessato dalla presenza del camoscio è suddiviso in parcelle di
censimento (Figura 3.15). Più parcelle sono raggruppate in settori. Ciascun settore deve essere
sottoposto a conteggio nella stessa giornata.
48
Figura 3.15 - Parcelle di censimento per il camoscio; in giallo le aree in cui il camoscio è assente, in rosso
chiaro quelle in cui il camoscio è presente con densità basse e in modo sporadico, in rosso scuro le aree
in cui viene effettivamente realizzato il censimento.
Ogni parcella viene assegnata ad una squadra che ha il compito di percorrere l’area e di
conteggiare i camosci avvistati in un tempo non superiore alle quattro ore per evitare i doppi
conteggi. Ogni squadra ha il compito di segnalare i soggetti avvistati distinti per sesso e classe
di età e di restare in contatto con le squadre limitrofe, per segnalare lo spostamento di eventuali
gruppi da una parcella all’altra. Il rilievo viene effettuato durante le prime ore di luce della
giornata, momento che garantisce la massima contattabilità della specie.
+06'4#<+10'%10+.)#..1%'&410'
In tutto il territorio del Distretto Val di Sole, a partire dal 1991 è stata istituita una rete di 5 aree
campione, corrispondenti ad altrettante arene di canto, che ha permesso di seguire il trend e la
dinamica evolutiva della popolazione. L’insieme dei dati raccolti, integrati dalle segnalazioni
casuali e da rilievi non sistematici su altre arene, consente di tracciare un buon quadro, a livello
quantitativo, di tendenza e di rappresentazioni cartografiche della distribuzione della
popolazione, della localizzazione e attività delle arene e del trend di crescita/diminuzione della
popolazione stessa.
L’attività di campo è svolta dal personale del Corpo Forestale Provinciale in collaborazione
con i guardiacaccia dell’ACT. Tutti i soggetti avvistati vengono segnalati mediante la
compilazione di una apposita scheda di segnalazione non sistematica.
I censimenti primaverili sulle arene di canto, ripetuti tre volte all’anno per ogni area nell’arco
temporale di una decina di giorni tra aprile e maggio, si basano sull’osservazione dei soggetti e
sull’ascolto del canto dei maschi, al fine di valutare l’andamento della popolazione. Tale attività,
49
ripetuta negli anni, è svolta prima dell’alba e durante le prime ore del giorno, tra la fine di aprile
e l’inizio del mese di maggio.
+06'4#<+10'%10+.)+2'61
A partire dal 2004, ogni anno viene svolta in modo sistematico una sessione di avvistamento
in contemporanea per la valutazione quantitativa della presenza del gipeto nell’UG Val di Sole
in simultanea con un analogo conteggio realizzato nel Settore lombardo del Parco. Tale attività
è analoga a quella svolta, con identica metodologia, per la valutazione quantitativa della
presenza dell’aquila nel mese di febbraio-marzo.
La “contemporanea” per l’avvistamento del gipeto si svolge nel mese di novembre/dicembre e
vede il coinvolgimento dell’intero territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, sebbene in alcune
occasioni non è stato possibile concretizzare la contemporaneità dei conteggi in settori diversi
per difficoltà di ordine pratico o per motivi climatici. Lo scopo è quello di valutare la presenza
numerica e la struttura della popolazione mediante l’osservazione del territorio oggetto di
censimento nelle ore più calde della giornata, momento in cui è migliore la contattabilità della
specie poiché maggiormente attiva. Il cielo viene osservato da 15 – 20 stazioni di osservazione
ad alta visibilità e le squadre mantengono il contatto radio per la segnalazione degli spostamenti
degli individui. In modo analogo a quanto riportato per il gallo cedrone, anche le
segnalazioni/osservazioni occasionali di gipeto vengono riportate su una apposita scheda e
tutte le segnalazioni vengono registrate in uno specifico geodatabase.
4+57.6#6+&').+#0&#/'06+&+5'+#00+&+24'.+'81
Attualmente in provincia di Trento la gestione degli Ungulati fa riferimento ad ambiti territoriali
omogenei. Distretti faunistici nel caso dei Cervidi, che raggruppano riserve di caccia limitrofe e,
in genere, comprensori di valle, ed aree faunistiche, nel caso dei Bovidi, che raggruppano
porzioni di riserve che fanno parte dello stesso massiccio montuoso.
I piani di prelievo vengono redatti ogni anno sulla base di censimenti realizzati nel periodo
primaverile, finalizzati a valutare la consistenza e la struttura delle popolazioni animali soggetti a
prelievo. La gestione del cervo viene programmata all’interno di distretti faunistici.
Sulla base dei risultati ottenuti dai censimenti e in riferimento agli obiettivi prefissati, per
ciascun Distretto Faunistico (e, in successione, per ciascuna riserva di caccia) vengono stabilite
le quote di prelievo da attuarsi da parte dei cacciatori delle varie riserve.
Tra il 1971 e il 1992-93, la programmazione e la gestione venatoria è stata di competenza
dell’Associazione dei Cacciatori della Provincia di Trento, associazione privata dotata di uno
strutturato servizio di vigilanza cui afferisce la quasi totalità dei cacciatori della Provincia. Tra il
1992 e il 2006 la programmazione e la gestione venatoria, in base alla nuova legge sulla caccia
(L.P. n. 24/1991), sono passati in capo al Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di
Trento. In tale periodo il Servizio, tramite i suoi distretti forestali competenti, si è occupato anche
della predisposizione e del controllo dei piani di prelievo, gestendo le assegnazioni per singola
Riserva di Diritto. A partire dal 2007 (Determinazione del Dirigente del Servizio Foreste e Fauna
della Provincia Autonoma di Trento n. 649 del 29 dicembre 2006), la definizione degli obiettivi e
dei criteri della gestione venatoria è rimasta in capo al Servizio Foreste e Fauna, mentre la
50
programmazione dell’attività venatoria e la predisposizione dei piani di prelievo è di competenza
dell’Ente gestore della caccia - Associazione Cacciatori Trentini (ACT).
L’ACT predispone per ciascun Distretto faunistico un progetto triennale che analizza lo status
delle popolazioni, dichiara gli obiettivi e specifica i piani di prelievo. I piani sono articolati per
classi di sesso ed età, secondo le specifiche riportate in Tabella 3.16, e successivamente le
assegnazioni vengono ripartite per singola riserva del Distretto. I tassi di prelievo non possono
superare il 35% della consistenza stimata della popolazione.
La verifica della corretta applicazione delle indicazioni in essi contenute viene effettuata
durante l’attività venatoria dal personale di vigilanza dell’ACT e dal Corpo Forestale Provinciale
e durante le annuali mostre dei trofei in cui è possibile effettuare un riepilogo generale di quanto
prelevato ed effettuare valutazioni e misurazioni biometriche.
Tabella 3.16 - Distribuzione dei prelievi del cervo per classi di sesso ed età.
Piccoli (di entrambi i sessi)
30%
Femmine (di uno o più anni)
35%
Maschi
35%
Di cui
Giovani (1 anno)
50%
Subadulti (2-6 anni)
30%
Adulti (7 o più anni)
20%
Per valutare gli esiti della programmazione venatoria e gli effetti dell’applicazione del Piano di
Gestione del cervo nell’UG per il periodo 2000-2005 sono stati raccolte e organizzate tutte le
informazioni relative ai piani di prelievo predisposti ed ai capi effettivamente abbattuti. Per ogni
soggetto abbattuto sono state raccolte le seguenti informazioni:
- data di abbattimento;
- località e riserva;
- numero di cartellino;
- quota;
- sesso;
- età;
- peso eviscerato;
- lunghezza della mandibola (dal 2006 su tutti i soggetti);
- lunghezza delle stanghe nei fusoni (dal 2006);
- numero delle punte nei maschi adulti (dal 2006).
Le informazioni sono state fornite direttamente su supporto informatizzato dal Servizio Foreste
e Fauna per il periodo 1996-2005. Per il periodo precedente (1973-1995) ci si è avvalsi della
collaborazione dell’Associazione Cacciatori Trentini che ha permesso la consultazione dei
registri di abbattimento ed ha fornito aiuto diretto nel popolamento dei database. Per il recente
periodo 2006 e 2007, come già citato, è stata avviata una collaborazione tra il personale tecnico
dell’ACT e del Parco per la raccolta e l’inserimento diretto dei dati degli animali abbattuti, in
occasione delle fasi di valutazione delle annuali mostre dei trofei.
L’attività venatoria al cervo in Val di Sole ha preso avvio nel 1971. Il primo abbattimento fu
realizzato nel 1971 nella Riserva di Pellizzano ad opera di Tullio Bontempelli. Gli abbattimenti
successivi furono effettuati, nel 1973 e 1974, nelle riserve di Vermiglio e Pellizzano. Nel 1976 i
capi prelevati furono sette ed alle prime due riserve si aggiunsero Commezzadura, Mezzana e
Monclassico.
51
In Figura 3.16 viene schematizzato l’anno in cui fu realizzato il primo abbattimento in ciascuna
riserva dell’UG e di parte dell’alta Val di Non. In Figura 3.17 viene schematizzato l’anno in cui
per la prima volta ciascuna riserva dell’UG e di parte dell’alta Val di Non abbatté 5 cervi. Si noti
come i primi centri di affermazione del cervo (e quindi della caccia al cervo) siano lontani dal
territorio del Parco Nazionale dello Stelvio.
Figura 3.16 - Distribuzione temporale dell’anno di abbattimento del primo cervo nelle riserve di caccia
dell’UG. Si notano i tre “centri” di prima colonizzazione della popolazione (Vermiglio, Pellizzano-Mezzana,
Bresimo-Malgazza). In verde i confini dell’UG, in rosso quelli del PNS.
52
Figura 3.17 - Distribuzione temporale dell’anno in cui per la prima volta ciascuna Riserva di caccia
dell’UG abbatté cinque o più cervi. In verde i confini dell’UG, in rosso quelli del PNS.
Nel 1976 viene abbattuta la prima femmina e dal 1979 il prelievo delle stesse diventa
significativo. Dal 1987 viene introdotto il piano di abbattimento e dal 1992 il prelievo tra i sessi
diventa paritario.
Complessivamente, tra il 1973 e il 2007, nel Distretto Val di Sole sono stati abbattuti 7.364
cervi di cui 3.657 maschi e 3.707 femmine (Figura 3.18). I prelievi sono costantemente cresciuti
tra il 1973 e il 2000 (massimo abbattimento 642 capi), con un tasso medio di crescita del 18.7%
annuo, a conferma di una oculata pianificazione della gestione venatoria. Tra il 1993 e il 1999 i
piani di prelievo sono passati da 230 a 554 cervi, con un incremento medio annuo quasi del
15%. Nel 2000, primo anno della pianificazione che ha tenuto conto anche delle considerazioni
legate al “Progetto Cervo”, i piani sono ulteriormente saliti sino a 680 prelievi programmati (+
20%) e si sono mantenuti su valori simili per quattro anni, con lo scopo dichiarato di andare ad
incidere anche sulla quota di cervi presenti in estate all’interno dell’area protetta.
Tuttavia tra il 2000 e il 2007 si è avuta una inversione di tendenza netta e costante nei prelievi
effettivamente realizzati (che verrà successivamente analizzata), con un nuovo minimo di
abbattimenti nel 2007 (327 cervi) e un tasso medio di decrescita del 7.3% annuo. Ciò ha spinto
alla progressiva e conseguente riduzione dei piani di prelievo negli anni successivi.
800
1.40
600
1.20
500
1.00
400
0.80
300
0.60
200
0.40
100
0.20
0
0.00
RS
NUM CERVI
700
1.60
ABBATTUTI
ASSEGNATI
RS ABBATTIMENTI
1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008
Figura 3.18 - Assegnazioni ed abbattimenti nel Distretto Faunistico Val di Sole. La linea tratteggiata indica
il rapporto sessi negli abbattimenti.
53
Consorzio Parco Nazionale dello Stelvio
Konsortium National Park StilfserJoch
56#61&'.%'481'4#22146+%10
.ŏ'%15+56'/#
4+&'(+0+<+10'&'..#70+6&+)'56+10'
+.2#4%10#<+10#.'&'..156'.8+1
Il Parco Nazionale dello Stelvio si estende, nel cuore delle Alpi centrali, su una superficie di
circa 134.000 ettari ed è prevalentemente costituito da territori montani ed alpini.
Il Parco Nazionale dello Stelvio rappresenta, per estensione, la seconda area protetta
dell‘arco alpino e il quarto Parco Nazionale italiano. L‘area protetta si trova unita, senza
soluzione di continuità, al Parco Nazionale Svizzero e al Parco Naturale dell‘Adamello e,
unitamente al Parco Naturale dell‘Adamello Brenta e a quello delle Orobie, costituisce uno dei
più importanti sistemi di aree protette dell‘Europa occidentale, con un’estensione complessiva di
367.000 ha.
Il Parco Nazionale dello Stelvio (Figura 4.1) è ricompreso entro i confini di due regioni
(Lombardia, Trentino – Alto Adige) e quattro province (Bolzano, Brescia, Trento, Sondrio), due
delle quali autonome, ed abbraccia paesaggi antropici e consuetudini locali tra loro
estremamente diversi per situazioni ambientali e socio-economiche. Con le sue molteplici
situazioni e problematicità è un’Area protetta in cui l’attuazione di una zonizzazione differenziata
appare estremamente importante.
Il PNS è stato istituito nel 1935 con la legge N° 7 40 del 24 Aprile. L’istituzione del Parco
esprimeva la volontà di una tutela integrale delle diverse componenti ambientali di un'ampia
porzione di territorio tipicamente alpino, con estesi ghiacciai e praterie d'alta quota fino alla
fascia boscata sottostante, allo scopo di migliorare la flora, incrementare la fauna, conservare le
particolari formazioni geologiche, valorizzare le bellezze paesaggistiche e promuovere lo
sviluppo turistico.
55
La gestione tecnica e amministrativa fu affidata all’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali,
il servizio di sorveglianza alla Milizia Forestale, i cui compiti, dopo la sua soppressione, sono
stati svolti dal Corpo Forestale dello Stato. Solo nel 1951 fu approvato, con D.P.R. n.1178 del
30.06.51, il regolamento per l’applicazione della legge costitutiva. Questo regolamento alleggerì
alcuni divieti posti dalla legge del 1935, demandando all’Azienda di Stato per le foreste
demaniali la possibilità di rilasciare autorizzazioni per molte attività.
Figura 4.1 – I confini del Parco Nazionale dello Stelvio; in colori diversi i territori ricadenti nelle differenti
province; le scritte e i tratti di confine più sottili si riferiscono ai confini delle stazioni forestali adibite alla
sorveglianza e ai monitoraggi.
Nel 1977 il territorio lombardo del Parco fu ampliato alle zone di Cancano e di Livigno
(Provincia di Sondrio), nonché ai monti Sobretta, Gavia e Serottini (Provincia di Brescia),
creando così un collegamento con il Parco Nazionale Svizzero.
Nell’ambito dell’approvazione delle norme dello Statuto di Autonomia per la Regione Trentino
Alto-Adige, con il D.P.R. n. 279 del 22/03/1974 fu affermato per la prima volta il principio che la
gestione del Parco non dovesse essere esercitata esclusivamente dallo Stato ma anche dalle
province autonome di Trento e Bolzano mediante la costituzione di un apposito consorzio.
Solo a partire dal 1995, a seguito degli accordi di Lucca (sottoscritti nel 1992) e del DPCM del
26.11.1993 (con cui si decreta la costituzione del Consorzio di gestione), il PNS ha assunto la
forma consortile che permette all’area protetta di venire gestita in accordo e con il contributo
dello Stato, delle province autonome di Trento e Bolzano e della Regione Lombardia.
Il territorio del PNS non presenta, allo stato attuale, un ambiente naturale conservato
integralmente su tutta la propria estensione. Gli ambienti che maggiormente hanno mantenuto
le caratteristiche di originaria integrità sono quelli di alta quota, che comprendono i ghiacciai, gli
ambienti rupestri, i macereti e i pascoli alto-alpini; essi occupano vaste porzioni del territorio
protetto.
In alcune zone (Passo dello Stelvio, Valfurva, Peio) lo sviluppo di infrastrutture turistiche, in
primo luogo sciistiche, si è tuttavia spinto fino alle quote più alte.
56
Le praterie alpine, poste oltre il limite superiore della vegetazione forestale, si sono
generalmente mantenute in condizioni prossime alla naturalità; bisogna tuttavia considerare che
la secolare pratica del pascolo del bestiame domestico ha modificato la composizione naturale
della vegetazione.
Nella fascia boscata, solo alcune formazioni hanno conservato le loro caratteristiche
originarie. La maggior parte dei boschi, in particolare quelli caratterizzati dalle condizioni
stazionali migliori, sono stati oggetto di costante gestione, finalizzata all‘utilizzo del legname ed
hanno subito, con il tempo, notevoli cambiamenti di struttura, composizione e densità rispetto
allo stato originario. La continuità della copertura forestale ha inoltre lasciato il posto in diverse
zone ai prati a sfalcio, soprattutto nelle vicinanze dei masi di montagna e nei fondivalle.
In diverse situazioni le esigenze di sviluppo economico delle popolazioni locali si sono quindi
contrapposte alla volontà di tutela alla base dell’istituzione del Parco. Soprattutto nelle zone di
potenziale sviluppo economico, la gestione dell‘area protetta non è stata sempre coerente con
le finalità da essa perseguite.
Tale problematica, comune anche ad altri parchi di grande estensione presenti sul territorio
Nazionale, viene affrontata dalla Legge quadro sulle aree protette (L. 394/91). Essa ridefinisce i
principi fondamentali per l'individuazione e la gestione delle aree protette e, in particolare, dei
parchi nazionali, allo scopo di perseguire le seguenti finalità:
1. conservazione degli ecosistemi, delle loro singole componenti e dei processi evolutivi
naturali;
2. applicazione di metodi di gestione che realizzino un‘integrazione tra uomo e ambiente
e salvaguardino le attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
3. promozione di attività educativo-formative, di ricreazione e di ricerca scientifica;
4. difesa e ricostituzione degli equilibri idrogeologici.
Le diverse esigenze di tutela e sviluppo vengono affrontate dalla Legge quadro attraverso la
zonizzazione del territorio che prevede forme differenziate di uso, godimento e tutela (Art. 12, L.
394/91).
+037#&4#/'061)'1)4#(+%1
L’area di studio è situata nella porzione nord-occidentale nella Provincia Autonoma di Trento
ed è confinante con la Provincia di Brescia ad ovest, la Provincia di Sondrio a nord ovest e con
quella di Bolzano a nord (Figura 4.2).
Il territorio oggetto d’indagine si è esteso su di un’area di circa 72.000 ha e comprende:
• Il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, valli di Peio e Rabbi.
•
L’alta Val di Non tra il passo delle Palade, la Val di Rumo e la Val di Bresimo.
•
La sinistra e destra orografica della Val di Sole sino al Passo del Tonale.
57
Figura 4.2 - L’area presa in considerazione dal progetto si colloca nelle Alpi centrali italiane e nella
porzione nord-occidentale della Provincia di Trento. Essa comprende il Settore trentino del Parco dello
Stelvio e i territori della Val di Sole e di parte dell’Alta Val di Non.
.ŏ70+6&+)'56+10'
Le indagini non si sono limitate all’area del Parco, che non è in grado di ospitare una
popolazione di cervo autonoma e autosufficiente, ma si sono estese ad un congruo intorno. I
confini dell‘area complessiva sono stati tracciati in una prima fase lungo le linee dei principali
fondovalle antropizzati, in modo da interessare un’area sufficientemente vasta per comprendere
un’intera popolazione di cervo.
Nell’ambito relativo all’intero territorio del PNS, sono stati precedentemente identificati i confini
di singole Unità di Gestione in modo da minimizzare gli errori dovuti a possibili spostamenti di
soggetti da un‘unità all‘altra. Ciascuna UG comprende quindi una popolazione di cervo
“demograficamente isolata” da quelle limitrofe e le aree da essa occupate durante le stagioni
estiva e invernale.
E‘ opportuno sottolineare come questa suddivisione inizialmente si basasse sulle conoscenze
delle popolazioni del Parco e sull‘ecologia del cervo in ambiente alpino e come sia stata
successivamente modificata e migliorata in base agli studi ed alle conoscenze di maggiore
dettaglio acquisite durante il progetto, marcando e dotando i cervi catturati di radiocollari.
L’individuazione delle UG è avvenuta sulla base delle caratteristiche morfologiche e
ambientali dell‘area e delle informazioni acquisite sulla distribuzione e consistenza delle
popolazioni di cervo presenti.
Un’UG è l’ambito territoriale all’interno del quale, per motivi diversi, in genere di carattere
biologico, ma anche sociale, si ritiene altamente opportuno gestire una popolazione animale in
modo unitario, secondo ben precise finalità e tecniche. L’individuazione si è resa necessaria
anche per rispettare le sostanziali diversità esistenti nel Parco, appunto anche di carattere
sociale e culturale, esplicabili ad esempio - sia pure in modo semplicistico - nei limiti
amministrativi delle quattro Province.
Ciascuna UG racchiude al suo interno una singola unità di popolazione di cervo, intesa come
insieme di individui che sono quindi caratterizzati da parametri demografici e di dinamica
evolutiva comuni. E‘ chiaro come gli spostamenti di soggetti tra UG differenti siano sempre
possibili e contribuiscano a mantenere un‘identità genetica comune, ma questi, in base almeno
alle indagini fin qui condotte, non partecipano in modo significativo a modificare le
caratteristiche demografiche delle singole unità di popolazione (struttura per classi di sesso ed
età, tassi di natalità e sopravvivenza età-specifici, reclutamento e incrementi annui, fenomeni di
autoregolazione dipendenti dalla densità).
58
L’UG “Val di Sole” cui fa riferimento questo specifico piano coincide con l’attuale Distretto
Faunistico Val di Sole, utilizzato dall’Associazione Cacciatori Trentini (ACT) per la pianificazione
venatoria e con il territorio del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio (Figura 4.3).
Essa comprende tutta la Val di Sole propriamente detta, dal Passo del Tonale sino al ponte di
Mostizzolo e le tributarie Val Meledrio, Val di Peioe Val di Rabbi, la cui testata delle ultime due
ricade nel Parco Nazionale dello Stelvio. I limiti dell’area sono in genere rappresentati dai
principali profili di cresta che racchiudono il bacino del Noce e confinano:
-
a est con la provincia di Brescia (Valcamonica);
a nord-est con la provincia di Sondrio (Valfurva);
a nord con la provincia di Bolzano (Val Martello e Val d’Ultimo);
a nord ovest con la Val di Bresimo;
a ovest e sud-ovest con il massiccio del Brenta;
a sud con la Val Rendena e il massiccio della Presanella.
L’area ha una estensione di circa 630 km2 di cui il 28% (270 km2) ricade nel PNS e il restante
72% nel Distretto Faunistico Val di Sole che comprende 13 riserve di caccia di diritto
(Estensione media 3,41 ± 2.57 km2; min 0.56, max 11.01)
L’area di distribuzione del cervo copre circa 380 km2 (61%) e durante l’inverno si concentra su
circa 120 km2 (19%), caratterizzati dalle migliori condizioni di svernamento. Le aree forestali
coprono circa 270 km2 (43%).
Figura 4.3 – I confini dell’attuale Unità di gestione “Val di Sole” (in rosso). In viola i confini delle riserve di
caccia e in blu l’estensione dell’UG a parte dell’alta Val di Non considerata tra il 2000 e il 2006.
Durante il corso dell’indagine i confini dell’UG individuata sono cambiati per motivazioni di
carattere ecologico (le informazioni acquisite sulle migrazioni stagionali del cervo) e pratico (la
corrispondenza, se possibile, con altri istituti di gestione). Nella prima fase (1998-2000; area
verde in Figura 4.4) il limite dell’area è stato individuato lungo il fondovalle della Val di Sole. I
59
successivi studi sulle capacità di spostamento mediante radio-tracking (si veda il paragrafo
4.2.6) hanno evidenziato la necessità di ampliare l’estensione dell’area per ricomprendere in
modo più adeguato l’intera “unità di popolazione”. Pertanto, a partire dal 2003-2004, si è deciso
di estendere l’UG e di farla corrispondere a quelli che in tale periodo erano definiti distretti
faunistici “Val di Sole Est” e “Val di Sole Ovest” (area rossa e area blu in Figura 4.4) utilizzati
dalla Provincia Autonoma di Trento per la programmazione venatoria.
Con Determinazione del Dirigente n. 67 del 28 febbraio 2007, è stata recentemente approvata
la convenzione tra PAT e ACT che delega a quest’ultima le attività gestionali e la definizione dei
programmi di prelievo del cervo. Ciò ha portato ad una ridefinizione dei confini delle “aree
omogenee di gestione” che ha portato alla creazione di un unico Distretto faunistico per la Val di
Sole con l’esclusione delle riserve dell’Alta Val di Non precedentemente afferenti al Distretto
“Val di Sole Est” (area rossa in Figura 4.4).
L’Unità di Gestione cui fa riferimento il Piano si estende per 62.469 ettari e corrisponde al
Distretto Faunistico Val di Sole, così come definito dal “Progetto triennale cervo (Cervus
elaphus hippelaphus, L. 1758), approvato con deliberazione della Consulta Distrettuale della
Val di Sole in data 2 maggio 2007, approvato dalla Giunta esecutiva dell’Associazione
Cacciatori Trentini in data 7 giugno 2007 e approvato in via definitiva dal Comitato ùFaunistico
Provinciale con Delibera n. 513 del 29 agosto 2007.
Figura 4.4 – I confini dell’Unità di gestione nelle varie fasi dello studio. In verde l’area più limitata presa in
considerazione nel 1999; in rosso l’UG attuale, corrispondente con il Distretto faunistico Val di Sole, e in
blu l’estensione a parte dell’alta Val di Non considerata tra il 2000 e il 2006.
Nella Tabella 4.1 vengono riportate le principali caratteristiche della UG in relazione ai confini
presi in considerazione (si veda la Figura 4.4). La superficie idonea alla presenza del cervo
(massima distribuzione potenziale) nello specifico caso risulta corrispondente alla superficie
dell’area di distribuzione attuale ed è stata calcolata secondo quanto riportato nel successivo
capitolo 4.2.2. Essa è stata utilizzata quale superficie di riferimento per esprimere tutti i valori di
densità presi in considerazione nel presente documento.
60
Tabella 4.1 – Caratteristiche ed evoluzione temporale dei confini dell'Unità di Gestione; le superfici
relative alla presenza del cervo sono state calcolate secondo quanto riportato nel paragrafo 4.2.2.
ANNO
Unità di Gestione
Superficie
(ha)
Sup. estiva Sup. invernale % all‘interno
Sup.
cervo (ha)
cervo (ha)
del PNS
Bosco (ha)
N
Riserve
19982002
Alta Val di Sole
41.761
23.008
9.828
42%
15.074
9
20032006
Val di Sole – V. di Non
71.430
45.528
13.144
25%
31.237
17
2007
Val di Sole
62.469
37.935
11.609
28%
26.997
13
+037#&4#/'061#/$+'06#.'
L’area di indagine presenta un gradiente altitudinale che va dai 500 m s.l.m. in bassa Val di
Sole sino ai 3.769 m della cima del Monte Cevedale ed è caratterizzata da un clima
prevalentemente continentale. Le precipitazioni raggiungono una media annua di 900 (stazione
di Rabbi, periodo dal 1931 al 1960). Nel corso dell’anno l’escursione termica è notevole,
l’insolazione elevata e la presenza di nebbia è bassa.
Oltre il 40% del territorio è coperto da foreste, prevalentemente di abete rosso e larice, il 27%
è occupato dalle praterie alpine, mentre il 20% da terreni improduttivi d’alta quota (ambienti
rupestri e macereti). I ghiacciai occupano ormai meno del 4% del territorio, le attività agricole
(principalmente coltivazioni di frutta e prati a sfalcio) attorno al 5% e i territori urbanizzati non
superano l’1% della superficie totale (Tabella 4.2).
Tabella 4.2 – Caratteristiche di uso del suolo dell’Unità di gestione in base alla carta di uso del Suolo
della Provincia Autonoma di Trento (superficie in ettari).
Uso del suolo
Val di SOLE
PNS
TOTALE
urbanizzato
774
84
858
acqua
292
100
392
agricoltura
2786
452
3238
querceti
219
0
219
pinete
96
0
96
faggete
331
21
352
abetine
2085
24
2110
lariceti secondari
2643
0
2643
peccete
11471
1937
13407
lariceti
5120
1181
6300
cembreti
276
656
932
alnete e mughete
53
69
122
pascoli alpini
11654
5347
17001
improduttivo
6393
5825
12218
ghiacciai
666
1806
2472
44856
17503
62359
TOTALE
61
Le praterie alpine oltre il limite della vegetazione arborea posto a circa 2200-2300 metri di
quota, sono rappresentati dalle tipiche associazioni di pascolo di alta montagna. I suoli dell’area
di studio sono prevalentemente silicei, perciò le formazioni più frequenti sono i prati a Caricetum
curvulae, Festucaetum halleri e Festucaetum varie. In destra orografica, sotto le pendici del
massiccio del Brenta, dove il suolo si presenta calcareo, la prateria tipica è il seslerieto.
I boschi maggiormente rappresentati sono quelli tipici di abete rosso (Picea abies). Sono le
formazioni forestali più diffuse; si trovano prevalentemente nella fascia montana e subalpina
dove rappresentano uno stadio climax, in equilibrio duraturo con le diverse componenti
climatico-stazionali. Nelle stazioni più fertili riveste un’importante interesse economico in quanto
è la specie da cui vengono ricavati i maggiori proventi sull’arco alpino.
L’area comprende associazioni con pino silvestre (Pinus sylvestris) e roverella (Quercus
pubescens) alle quote meno elevate e sui versanti esposti a meridione e con abete bianco
(Abies alba) e faggio (Fagus sylvatica) nelle stazioni più fresche e a quote più basse.
Il larice (Larix decidua), presente in modd diffuso, assume importanza soprattutto nella fascia
montana e subalpina. Nella prima sono presenti perlopiù formazioni secondarie, spesso come
conseguenza di interventi antropici volti all’esercizio del pascolo del bestiame domestico. Nelle
stazioni più fresche, con il diminuire del pascolo, si instaura lentamente una successione
vegetazionale che vede favorita la rinnovazione di abete rosso. A differenza di quest’ultima
specie, il larice è più appetito e quindi spesso danneggiato sia dal bestiame domestico che da
quello selvatico. Alle quote superiori della Valle di Peio è diffuso il pino cembro (Pinus cembra)
in associazione con il larice: queste formazioni hanno assunto nel tempo un rilevante ruolo
economico in virtù della alta qualità del legname prodotto.
Le formazioni arbustive sono associate a rododendro (Rhododendron ferrugineum) nelle
stazioni più fresche e a ginepro (Juniperus communis) in quelle più asciutte.
Importanti sono le formazioni di ontano verde (Alnus viridis) caratterizzate da popolamenti
molto diffusi nel piano sub-alpino, in stazioni fresche, umide, in ombra e a lungo innevate.
Nel fondovalle sono presenti i popolamenti di ontano bianco (Alnus incana); sulle pendici
boscate poste a bassa quota si trovano anche la betulla (Betula pendula), il nocciolo (Corylus
avellana) e il pioppo tremulo (Populus tremula); Tali formazioni sono spesso il risultato della
progressiva colonizzazione dei prati terrazzati e delle coltivazioni abbandonate alle quote
inferiori. Alle quote più basse, e sui versanti calcarei, in particolare esposti a nord, è da
segnalare la presenza del faggio (Fagus sylvatica), soprattutto in bassa Val di Sole.
La continuità della copertura forestale ha inoltre lasciato il posto in diverse zone (Val di Rabbi,
Peio e Bresimo) ai prati a sfalcio, soprattutto intorno ai masi di montagna e ai fondovalle. Alle
quote più basse (i fondovalle di Val di Sole e Val di Non) si rileva una espansione dei centri
abitati e delle zone produttive (coltivazioni intensive di mele nelle aree della Val di Non).
Il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio occupa la testata delle valli tributarie di
Peio e di Rabbi, entrambe poste a nord del solco della Val di Sole, posto grossomodo in
direzione est-ovest. Questa situazione caratterizza l’area protetta come ambiente tipicamente
alpino e alto-alpino rispetto al resto della Val di Sole in cui è ben rappresentato anche
l’orizzonte montano. La distribuzione altitudinale illustra in modo chiaro le differenze tra le due
aree, che si riflettono sulle caratteristiche climatiche e vegetazionali (Figura 4.5). Il bosco
occupa infatti circa il 50% della superficie in Val di Sole e si riduce al 22% nell’area protetta,
mentre i pascoli alpini e le aree improduttive si estendono sul 64% della superficie del Parco e
sul 40% della Val di Sole
Considerevole risulta la presenza di Ungulati che sono presenti con quattro specie: camoscio
(Rupicapra rupicapra), stambecco (Capra ibex), cervo (Cervus elaphus) e capriolo (Capreolus
capreolus).
Tra i Mustelidi sono presenti la donnola (Mustela nivalis), l’ermellino (Mustela erminea), la
martora (Martes martes), la faina (Martes foina) e il tasso (Meles meles).
Altri Mammiferi presenti nell’area sono la volpe (Vulpes vulpes) che risulta diffusa in tutto il
territorio, la lepre variabile (Lepus timidus), la marmotta (Marmota marmota), e diverse specie di
62
micromammiferi, tra cui l’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis) e il toporagno alpino (Sorex
alpinus).
0.400
0.600
VSOLE
0.350
PNS
0.500
0.300
0.400
0.250
%
VSOLE
PNS
0.300
0.200
0.200
0.150
0.100
0.100
2.000-2.500
2.500-3.000
3.000-3.500
> 3.500
ia
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gh
ia
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pi
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1.500-2.000
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1.000-1.500
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0.000
ac
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a
0.000
0.050
Figura 4.5 – Distribuzione altitudinale (a sinistra) e di tipologie di uso del suolo (a destra) nell’Unità di
Gestione suddivisa tra il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio e il restante Distretto della Val di Sole.
Per l’erpetofauna sono da segnalare le specie più tipiche dell’ambiente alpino, le quali
mostrano particolari adattamenti alle condizioni ambientali d’alta montagna; tra gli Anfibi: la
salamandra nera (Salamandra atra) e la rana di montagna (Rana temporaria); tra i Rettili: la
lucertola vivipara (Lacerta vivipara) e il marasso (Vipera berus).
Per quanto concerne l’avifauna, tra i Rapaci diurni è possibile ricordare il gipeto (Gypaetus
barbatus), che è tornato ad occupare il territorio del PNS, grazie ad un progetto di
reintroduzione promosso a livello internazionale sull’arco alpino. Inoltre l’aquila reale (Aquila
chrysaetos), la poiana (Buteo buteo), l’astore (Accipiter gentilis), lo sparviere (Accipiter nisus), il
gheppio (Falco tinnunculus) e il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus). I Rapaci notturni
annoverano il gufo reale (Bubo bubo), l’allocco (Strix aluco), la civetta nana (Glaucidium
passerinum) e la civetta capogrosso (Aegolius funereus). Tra i Galliformi tutte e cinque le specie
alpine: il gallo cedrone (Tetrao urogallus), il gallo forcello (Tetrao tetrix), la pernice bianca
(Lagopus mutus), il francolino di monte (Bonasa bonasia) e la coturnice (Alectoris graeca). Altri
volatili osservabili sono il picchio nero (Dryocopus martius), il picchio rosso maggiore (Picoides
major), il corvo imperiale (Corvus corax), il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus), la nocciolaia
(Nucifraga caryocatactes) e numerose altre specie di passeriformi, tra cui la cincia bigia alpestre
(Parus montanus), il picchio muraiolo (Thicodroma muraria), il fringuello alpino (Montifrigilla
nivalis) e il crociere (Loxia curvirostra).
56#675#667#.'&'..#2121.#<+10'&+%'481
I meccanismi di regolazione delle popolazioni animali sono spesso complessi, le componenti
del sistema in gioco sono molteplici e il loro funzionamento e regolazione sono diversi e non
sempre noti. E’ diventato quindi fondamentale, durante il periodo 2000-2006, continuare ad
acquisire informazioni sullo stato del sistema e approfondire alcuni aspetti importanti
dell’ecologia delle popolazioni, utili per la futura pianificazione della gestione.
Nel caso di specie animali non facilmente contattabili (e, quindi, non facilmente sottoponibili a
conteggi, come i Cervidi), qualsiasi pianificazione deve inquadrarsi nel campo della gestione
adattativa, il cui processo logico d’azione può essere così schematizzato:
63
- acquisizione delle conoscenze di base necessarie alla definizione degli obiettivi per la
pianificazione degli interventi;
- realizzazione degli interventi;
- verifica dei risultati;
- confronto tra obiettivi e risultati ottenuti per la pianificazione dei successivi interventi;
- eventuale modifica degli obiettivi o dei metodi impiegati.
In un simile processo i risultati conseguiti concorrono alla definizione di obiettivi via via più
precisi e sostenuti da informazioni e verifiche. E’ questa la logica del presente piano, che si
propone una durata quinquennale, una verifica in corso d’opera dopo due anni ed una alla fine
del quinquennio e una successiva analisi critica e revisione di obiettivi e metodi per il
quinquennio successivo.
Per quanto riguarda nello specifico il Settore trentino del Parco dello Stelvio, in questa
seconda fase sono proseguite e si sono approfondite le indagini avviate nel primo triennio e
sono state avviate nuove attività volte ad ampliare le conoscenze sulla popolazione. Tali attività
e i loro obiettivi possono essere così schematizzati:
A. Evoluzione numerica, della dinamica e della demografia delle popolazioni di cervo.
B. Stato sanitario, condizione e fertilità delle popolazioni di cervo.
C. Capacità di spostamento e di dispersione delle popolazioni di cervo.
D. Analisi degli effetti della gestione venatoria sul comportamento spaziale e sulla
demografia.
E. Analisi degli effetti e degli impatti della popolazione sulle altre componenti della
biocenosi.
37#&415614+%1
Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio e le aree limitrofe hanno svolto un ruolo
fondamentale per il ritorno del cervo sulle Alpi italiane e svolgono tuttora una funzione
estremamente importante per lo sviluppo e la conservazione delle sue popolazioni.
Scomparso progressivamente su tutto l’arco alpino italiano tra il XVIII e il XIX secolo, il cervo è
tornato a far parte della fauna alpina italiana per fenomeni di dispersione naturale e, in seguito,
operazioni localizzate di reintroduzione. Il periodo che va dal 1869 ai primi del ‘900 è il più
critico per la specie su tutte le Alpi. Da alcuni nuclei relitti, conservati con finalità di caccia
esclusiva, situati nel Lichtenstein ed in Germania (Ammer e Karwendel), il cervo ritorna
lentamente verso l’Austria ed il Canton Grigioni in Svizzera, anche a seguito di alcune
reintroduzioni effettuate in Austria (Voralberg) e in Germania (Allgau). Nei Grigioni tra il 1880 e
il 1937 si passa da un abbattimento annuo di 6 cervi ad uno di 430 (Haller, 2002). Nel 1902 si
registrano le prime nuove sporadiche segnalazioni nel bormiese. Negli anni ’20 è ormai
presente una piccola popolazione nella media Val Venosta, negli anni ’30 il cervo fa la sua
comparsa in Val d’Ultimo e negli anni ’40 si registra il ritorno in Val Martello mentre nella zona
tra Glorenza e Silandro la specie si è ormai consolidata notevolmente (Figura 4.6).
Secondo i più recenti studi genetici effettuati da Kuehn e collaboratori (2004), un piccolo
nucleo residuo si è preservato nei dintorni di Glorenza - Valle di Tubre - Monastero, nell’attuale
Settore sudtirolese del Parco. Tale nucleo ha tuttavia contribuito poco, da un punto di vista
genetico, alla successiva ricolonizzazione del territorio italiano.
64
Figura 4.6 – La sequenza temporale della ricolonizzazione storica delle Alpi centrali da parte del cervo
secondo la ricostruzione di Haller (2002). La ricolonizzazione parte nella seconda metà dell’800 dal
Liechtenstein (A) e dalle Alpi tedesche (B e C).
Il cervo è scomparso dalla Val di Sole per cause umane a metà del XIX secolo. L’ultima
segnalazione attualmente nota risale al 1847 per la Val di Rabbi (Figura 4.8). La sua graduale
ricomparsa è avvenuta per immigrazione naturale da Svizzera e Alto Adige nei primi decenni
del secolo scorso e la sua affermazione avviene progressivamente negli anni ’60 tanto che nel
1972 viene dato avvio alla gestione venatoria. In base alle segnalazioni raccolte (Tabella 4.3) è
verosimile ipotizzare che il cervo abbia ricolonizzato la Val di Sole passando dalla Val Venosta,
per la Val d’Adige e la Val d’Ultimo, sino all’alta Val di Non (Figura 4.7).
Il fatto che il territorio del Parco rappresenti una “scelta secondaria”, in termini di idoneità
ambientale rispetto alla Val di Sole, si evidenzia osservando quali siano state le prime core
areas strategicamente occupate dal cervo tra gli anni ’60 e ’70. Solo con l’attivazione dell’attività
venatoria e con il suo successivo intensificarsi il rapporto nella distribuzione del cervo “fuori e
dentro parco” si inverte.
65
Figura 4.7 –Schematizzazione della fase di ricolonizzazione del cervo nelle Alpi centrali e nel Trentino
nord-occidentale. I punti a diversi colori rappresentano le prime segnalazioni sporadiche, le aree rosse i
primi nuclei stabili che formeranno l’asse portante della popolazione creatasi nel periodo 1965-75.
Nei primi decenni del secolo scorso si registrarono in Val di Sole le prime segnalazioni di
singoli individui, in probabile dispersione dalla Val Venosta e dal Canton Grigioni. Inizialmente il
cervo ha occupato l’asta principale della Val di Sole, disposta tra est ed ovest, tanto che,
all’inizio della gestione venatoria della specie, nel 1973, la sua presenza veniva ancora
considerata sporadica all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio (Figura 4.9).
Nell’inverno del 1951 sei cervi vennero catturati a Vermiglio in precarie condizioni. Ed è a
partire dalla seconda metà degli anni ’60 che il cervo può essere considerato una presenza
stabile e affermata in Valle, anche se con consistenze ancora limitate. Da notare il fatto che,
alla fine degli anni ’60, la presenza del cervo nel Settore trentino del Parco Nazionale dello
Stelvio era ancora considerata del tutto sporadica e occasionale, al contrario di una presenza
stabile riportata per la Val di Sole (Figura 4.9). Tanto che nel 1971 venne deciso l’avvio
dell’attività venatoria, che già dal 1976 aprì anche alle femmine. Da qui in avanti i semplici dati
di prelievo testimoniano il trend evolutivo della popolazione. Tra il 1973 e il 1980 i prelievi
passarono da 5 a 60, nel 1990 salirono a 160, nel 1993 il numero di femmine abbattute
pareggiò quello dei maschi e nel 2000 vennero abbattuti circa 740 capi (negli allora due distretti
faunistici di “Val di Sole Ovest” e “Val di Sole Est” che comprendevano anche il territorio di parte
dell’alta Val di Non), che diminuirono leggermente negli anni successivi. Sono serviti al cervo
cinquanta anni per colonizzare stabilmente la Val di Sole, mentre ne sono bastati trenta per
passare da poche centinaia di individui ad oltre 3500. Questo comportamento e questa
dinamica non sono né ignoti né anomali. Simili esperienze sono state vissute nei decenni
precedenti sia nel Canton Grigioni che in Val Venosta (ed ora anche in alta Valtellina). Una
dinamica di popolazione veloce ed esplosiva che ha portato le popolazioni verso densità tra le
più alte tra quelle conosciute per l’arco alpino. Oltre alle similitudini geografiche ed ambientali,
un altro fattore accomuna le aree citate: la presenza di una porzione più o meno vasta di area
protetta. In tutti i casi specifici, un Parco Nazionale.
66
Figura 4.8 – Storia della progressiva ricomparsa del cervo in Val di Sole. Le barre rosse indicano le
segnalazioni sporadiche relative alla parte iniziale e centrale del secolo scorso; le barre verdi indicano il
progressivo aumento esponenziale dei prelievi venatori negli ultimi trent’anni. La foto di sfondo ritrae due
dei sei cervi rinvenuti a Vermiglio nel 1951.
E’ importante sottolineare come le aree storiche di stabilizzazione della popolazione negli anni
’60 e ’70 si siano tutte formate ben lontano dal territorio del Parco Nazionale dello Stelvio. In
questi anni possono essere individuate tre differenti “core areas” che garantivano le necessarie
esigenze di cibo e tranquillità all’asse portante della popolazione e in cui si aveva la massima
attività di bramito durante il periodo riproduttivo. A Vermiglio l’area compresa tra Barco, Pozat,
Palù e il Monte Boai. A Pellizzano nell’area di Laores e Paludelle. A Bresimo nell’area della
Malgazza.
L’area del Parco, posizionata alla testata delle due valli laterali di Peio e Rabbi e caratterizzata
da altitudini maggiori e da un ambiente più duro per il cervo, è stata colonizzata solo in una fase
successiva, con la progressiva crescita della popolazione e l’occupazione di tutti i territori ad
essa idonei. Nel 1973, anno del avvio della gestione venatoria in più riserve, all’interno del
Parco si stimava la presenza di non più di 20 cervi. La Figura 4.9 mostra il primo anno di avvio
della gestione venatoria in ciascuna Riserva della Val di Sole ed evidenzia in modo significativo
i tre nuclei di popolazione da cui ha preso avvio la storia del cervo nel distretto. A fronte di
un’attività di bramito già affermata in Val di Sole nella seconda metà degli anni ’60, i primi
bramiti all’interno del Parco furono registrati negli anni 1979-80 (Casolla in verbis) e una loro
affermazione definitiva può essere collocata attorno al 1982. In tale anno, dei circa 700 cervi
stimati presenti in Val di Sole, solo una quarantina occupavano il territorio protetto.
67
Figura 4.9 – Primo anno di apertura della caccia al cervo in ciascuna Riserva. Tonalità crescenti di grigio
indicano un inizio anticipato e la localizzazione dei nuclei di popolazione più importanti (aree in rosso).
Nello stesso decennio la presenza del cervo nel PNS era ancora poco affermata.
L’attuale popolazione di cervo che occupa grossomodo i territori del Settore trentino del Parco
Nazionale dello Stelvio e del Distretto Faunistico Val di Sole, negli ultimi quattro anni oscilla
attorno a consistenze primaverili di 2.300-2.900 capi, è sottoposta ad un prelievo annuo tra i
370 e i 450 capi ed ha una densità media stimata intorno ai 6-7 cervi ogni 100 ha. Il cervo in Val
di Sole rappresenta sicuramente una realtà importante - e a volte ingombrante - ed un
patrimonio da conservare scrupolosamente e da gestire con oculatezza.
In Tabella 4.3 vengono riportate nel dettaglio tutte le segnalazioni relative ai primi decenni di
presenza sporadica del cervo in Val di Sole.
Tabella 4.3 – Ricostruzione della fase di ricolonizzazione della Val di Sole da parte del cervo. La maggior
parte delle segnalazioni sono contenute in Castelli (1941).
1847
Un trofeo di maschio presente presso la casa di Giuseppe Manfroni-Colombo riporta la dicitura
“1847 - ultimo abbattimento in Val di Rabbi”.
1915-18
Orme di cervo rinvenute sulla montagna di Castelfondo; 1 femmina passa l’inverno sotto Castel
Cles.
1916
1 femmina rinvenuta morta per neve nei pressi di Mezzana.
1922
1 grossa femmina avvistata per due-tre mesi nei pressi di Cles.
1924
4-5 cervi avvistati sul monte Ozol.
1929-30
1 grosso maschio avvistato a Menas in estate-autunno; i palchi vengono ritrovati in primavera
1935
1 cervo avvistato tra Castelfondo e Revò; 1 fusone viene abbattuto a Cagnò; 1 maschio adulto
viene avvistato in autunno tra Fontana Maora di Cles e Grum di Caldes.
1936
In settembre viene ritrovato lo scheletro di un maschio in valle della Rocca di Tovel (palchi
68
presso il MTSN).
1937
1 maschio avvistato vicino al paese di Cles mentre si dirige verso il torrente Noce;
1 maschio avvistato in ottobre, inseguito da cani, tra Cles e Mechel.
1938-39
1 maschio ripetutamente avvistato in Faè di Cles, con tracce sicure di 1 altro individuo più
piccolo.
1938
2 maschi rilasciati in val di Peio (??).
1946-47
Riportati avvistamenti di “grossi caprioli” a Vermiglio.
1951
6 cervi scendono in paese a Vermiglio a causa della neve. Vengono trasferiti a Terzolas per
passare l’inverno in stalla. Una femmina viene portata a Paneveggio.
1971
Primo anno di attività venatoria ufficiale. Assegnazione del primo capo di cervo, in comune, a
turno, tra le Riserve di Vermiglio, Mezzana e Pellizzano. Il primo abbattimento viene effettuato a
Pellizzano da Tullio Bontempelli.
&+564+$7<+10'
L‘areale occupato dal cervo nell’UG è stato cartografato sulla base delle informazioni fornite
dal personale di sorveglianza e delle informazioni progressivamente raccolte nell’ambito dello
studio sulle capacità di spostamento e migrazione stagionale mediante radio-tracking. Sono
state individuate con particolare attenzione le zone occupate durante il periodo invernale, la
fase più critica per la biologia della specie e per gli effetti del brucamento alla rinnovazione
forestale.
E’ possibile affermare che nell’UG vi è piena coincidenza tra area di distribuzione reale e
potenziale del cervo. Esso occupa in Val di Sole tutte le aree potenzialmente idonee alla sua
presenza e la sua distribuzione al di sopra della vegetazione arborea (perlomeno all’interno del
Parco) sta raggiungendo quote sempre più elevate e all’interno del Parco ha raggiunto limiti una
volta impensabili.
Grazie alla tranquillità fornita dalla presenza dell’area protetta, che limita il disturbo dell’uomo,
un sempre più cospicuo numero di cervi (sia maschi che femmine con piccoli) trascorre la fase
estiva al di sopra del limite della vegetazione arborea anche durante la fase diurna, sfruttando
in modo ottimale il foraggio quantitativamente e qualitativamente ricco dei pascoli alpini. Un
certo numero di animali trascorre addirittura la fase centrale della giornata al di sopra del limite
delle praterie continue, trovando tranquillità e sicurezza nelle zone di macereto con situazioni
dominanti in termini di visibilità. Si tratta di un comportamento acquisito e trasmesso che di
anno in anno interessa una frazione sempre maggiore della popolazione. La Figura 4.10 mostra
il numero di cervi conteggiati annualmente nel mese di luglio durante il censimento del
camoscio al di sopra dei 2000 metri di quota. Tale fenomeno, sempre più eclatante, permette di
effettuare osservazioni naturalistiche (anche a fini turistici) di notevole efficacia e facilità, ma
introduce la possibile problematica delle interazioni competitive con il camoscio di cui si
accennerà nel capitolo 4.3.6.2.
69
900
800
DEER COUNTED
700
600
500
400
300
200
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
Figura 4.10 – Numero di cervi conteggiati annualmente durante il censimento estivo del camoscio al di
sopra del limite della vegetazione arborea nel Settore trentino del PNS.
Durante l‘estate (maggio - ottobre) la specie è ampiamente distribuita, pur con un netto
gradiente di densità, nell’intera UG e occupa una superficie complessiva di circa 38.000 ha, pari
al 60% del territorio complessivo (Figura 4.11 e Tabella 4.4)
Figura 4.11 – Distribuzione del cervo in Val di Sole nel periodo 2003-2007; in verde l’area occupata dal
cervo durante l’estate, in rosso le aree in cui il cervo si concentra durante la stagione invernale; l’area
utilizzata durante l’inverno si è progressivamente ingrandita all’interno del Parco; il contorno rosso
rappresenta il confine dell’attuale Unità di Gestione.
70
L‘area in cui il cervo attualmente si concentra nella stagione invernale (dicembre - marzo) ha
una superficie notevolmente più ridotta ed è circa di 11.600 ha, pari al 19% del territorio
complessivo.
Durante l’inverno la popolazione limita molto la sua distribuzione e si concentra principalmente
nelle zone di bosco situate su versanti esposti a sud. I confini del Parco sono posti entro i 1.500
m di quota e questo fa si che i principali quartieri di svernamento si trovino all’esterno dell’area
protetta, a quote più basse e sui versanti più soleggiati. Questo induce parte della popolazione
ad attuare un comportamento di migrazione stagionale tra quartieri di estivazione (situati
all’interno del Parco) e di svernamento (situati principalmente all’esterno).
Tabella 4.4 – Unità di Gestione “Val di Sole”. Superficie complessiva e superficie delle aree utilizzate
dalla popolazione di cervo durante l’inverno e durante l’estate.
UG
Sup. totale
(ha)
Cervo area
estiva
Cervo area invernale
Totale
PNS
Val di Sole
1998-2002
62.469
37.935
8.751
1.594
7.157
2003-2007
62.469
37.935
11.609
4.439
7.170
Figura 4.12 – Distribuzione del cervo in Val di Sole nel periodo 1998-2002; in verde l’area occupata dal
cervo durante l’estate, in rosso le aree in cui il cervo si concentra durante la stagione invernale; il
contorno rosso rappresenta il confine dell’attuale Unità di Gestione.
In caso di inverni miti e con poca neve tuttavia, una parte significativa della popolazione è
comunque in grado di svernare nelle zone situate alle quote maggiori occupate durante l’estate.
Anche in questo caso il fenomeno è in costante evoluzione e tra la fine degli anni ’90 ed oggi la
situazione sembra essere drasticamente cambiata (Tabella 4.4). Se fino a una decina di anni fa
le zone occupate per lo svernamento all’interno del Parco erano di estensione limitata (circa
71
1.600 ha), attualmente sono aumentate di quasi tre volte (circa 4.400 ha). A ciò hanno
contribuito, come si vedrà più avanti, i particolari andamenti meteo-climatici degli ultimi anni e,
soprattutto, la notevole e pianificata pressione venatoria degli ultimi 8 anni che aveva lo scopo
di limitare la crescita della popolazione ed ha favorito la strategia di comportamento spaziale di
tipo “stanziale” nelle femmine (capitolo 4.2.6).
Tabella 4.5 – Unità di Gestione “Val di Sole”. Superficie complessiva e superficie delle aree utilizzate
dalla popolazione di cervo durante l’inverno e durante l’estate.
AREA
Sup. totale
%
Cervo area inv
%
Cervo area est
%
Parco
17.579
28%
4.439
38%
8.148
21%
Esterno al Parco
44.890
72%
7.170
61%
29.787
79%
Totale
62.469
11.609
19%
37.935
60%
%105+56'0<#'&+0#/+%#
Le considerazioni relative alla consistenza, alla demografia e alla dinamica della popolazione
si sono sviluppate a seguito dell’applicazione di differenti tecniche volte alla valutazione
numerica della popolazione. La stima annuale delle consistenze e dei principali parametri
demografici rappresenta l’elemento di base per valutare l’evoluzione temporale e lo status della
popolazione di cervo e la sua influenza sull’evoluzione di altre specie animali e vegetali. A tale
scopo è stato messo a punto ed affinato un protocollo standardizzato per l’annuale
realizzazione di censimenti esaustivi della popolazione di cervo per osservazione diretta
notturna. Nel periodo di studio si sono avviati, in riferimento a diversi intervalli temporali, metodi
alternativi di stima numerica della popolazione (diretti e indiretti) a supporto, conferma e
ulteriore affinamento di quanto già realizzato con i censimenti tradizionalmente realizzati.
Di seguito nello specifico sono sintetizzate le metodologie impiegate e i periodi temporali cui
fanno riferimento le stime di consistenza ottenute:
1. Conteggi esaustivi notturni primaverili con sorgente di luce (1993-2008);
2. Stima della densità (e della sottostima dei censimenti notturni) mediante mark-resight
(2004-2008);
3. Stima della densità e della consistenza mediante IRDS (infra-red distance sampling conteggi in distance sampling mediante scanner termici) (2004-2006);
4. Stima della densità e della consistenza mediante PGCDS (pellet group count distance
sampling - conteggi dei gruppi di fatte mediante distance sampling) (2005-2007);
5. Ricostruzione retrospettiva della consistenza, della struttura di popolazione e
dell’evoluzione numerica (cohort analysis), mediante raccolta sistematica delle
informazioni sui cervi rinvenuti morti e abbattuti in caccia (1973-2002).
I risultati e le considerazioni del presente paragrafo fanno riferimento alle informazioni raccolte
e analizzate nell’ambito delle metodologie sopra riportate, di cui si è trattato nel paragrafo 3.2.
72
A partire dal 1993 sono stati realizzati censimenti primaverili notturni standardizzati, al fine di
modulare i piani di prelievo all’andamento della consistenza censita. Dal 2000 si è cercato di
modulare i piani di prelievo al fine di riscontrare, dai dati dei censimenti, una sostanziale
stabilizzazione numerica della popolazione. Il cervo occupa durante la fase estiva circa 380 km2
(455 con l’alta Val di Non) e si concentra, durante gli inverni più nevosi, in circa 88 km2 (circa
120 negli inverni caratterizzati da scarse precipitazioni nevose). Il Parco comprendeva sino a
pochi anni fa solo il 10-20% delle aree di svernamento dell’intera UG e per questo motivo il
passato piano di gestione si era posto come obiettivo la stabilizzazione della popolazione
attraverso un graduale innalzamento dei piani di prelievo. L’ipotesi di base considerava che, nel
periodo di novembre e dicembre, i prelievi andassero ad incidere in modo significativo sulla
parte migratoria di popolazione che trascorre l’estate nel Parco e che si sposta a quote più
basse durante l’inverno.
Per una corretta valutazione delle azioni intraprese, la precedente strategia di gestione ha
previsto l’approfondimento di alcuni aspetti dell’ecologia e della demografia della popolazione.
A tale fine è stato deciso di catturare e marcare un numero significativo di soggetti. Il
marcaggio, mediante radiocollari VHF e GPS e mediante collari colorati dotati di placche
catarifrangenti ha permesso anche di disporre di un campione di soggetti marcati da impiegare
per le stime quantitative.
Nel contempo, uno sforzo particolare è stato dedicato alla valutazione quantitativa della
popolazione e alla ricostruzione della sua dinamica. A tale fine è stato deciso di applicare
differenti metodi di valutazione quantitativa della popolazione per valutare la loro accuratezza e
affidabilità.
La realizzazione di specifiche sessioni di conteggio in presenza di cervi marcati e riconoscibili
individualmente ha permesso l’applicazione di tecniche di mark-resight per la valutazione della
sottostima dei censimenti notturni effettuati in primavera
La raccolta sistematica delle informazioni sui soggetti abbattuti e rinvenuti morti e la stima
della produttività della popolazione (effettuata durate i censimenti estivi al camoscio) ha
permesso di ipotizzare l’andamento dei censimenti nella stagione successiva (Tabella 4.6) e di
avere un ulteriore metodo di verifica dei conteggi e delle stime di consistenza effettuate. Sono
stati inoltre applicati tre differenti metodi alternativi per la valutazione delle consistenze per una
ulteriore valutazione critica delle stime di consistenza derivate dai conteggi notturni corretti con i
coefficienti di sottostima calcolati mediante il mark-resight: la ricostruzione retrospettiva della
popolazione - cohort analysis – basata sulla raccolta sistematica di tutti i soggetti abbattuti e
rinvenuti morti; il distance sampling mediante thermal imaging (in collaborazione con l’Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica); il distance sampling mediante pellet count (in collaborazione
con il Centro di Ecologia Alpina).
Attualmente (2008) nel Distretto Faunistico della Val di Sole è stimata una presenza
primaverile di circa 2.900 cervi, di cui circa il 65-70% (circa 1.800) è concentrato
all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio. La densità complessiva è di circa 7-8
cervi/km2 se consideriamo l’area di distribuzione della popolazione (380 km2) e di circa 45 cervi/km2 se consideriamo l’intera superficie dell’UG, con punte, all’interno del Parco,
di 40 cervi/km2 durante le fasi di concentrazione invernale e di 20 cervi/km2 durante le
fasi estive. Entrambi sono valori tra i più alti registrati per l’arco alpino (Tabella 4.6).
Durante la fase estiva è stimata una presenza di circa 3.640 cervi (di cui 730 nuovi nati), di cui
circa il 65-70% (circa 2200-2300) è concentrato all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio.
73
Tabella 4.6 – Stima delle consistenze (al netto dei piccoli) e delle densità della popolazione di cervo
nell’Unità di Gestione “Val di Sole” (anno 2008).
AREA
Consistenza
%
Area UG
Densità
UG
Area inv
Densità
inv
Area est
Densità est
Parco
1.880
65%
17.579
10.7
4439
42.3
8148
23.1
Esterno al
Parco
1.025
35%
44.890
2.3
7170
14.3
29.787
3.4
Totale
2.905
62.469
4.7
11.609
25.0
37.935
7.7
Una simile situazione, caratterizzata da buone consistenze complessive e densità elevate, ma
da un evidente disequilibrio tra l’interno e l’esterno dell’area protetta (Tabella 4.6), è frutto della
storia degli ultimi quaranta anni, dei criteri di gestione che nelle diverse fasi storiche sono stati
applicati e delle sorprendenti capacità adattative del cervo.
La storia della dinamica della popolazione di cervo del Parco dello Stelvio e della Val di Sole
merita quindi un ulteriore approfondimento, che verrà trattato successivamente in questo
paragrafo, per capire i motivi ed i meccanismi che hanno portato alla situazione attuale.
4.2.3.1.
Valutazione critica dell’efficienza dei differenti metodi di conteggio
adottati
Censimenti mediante mark-resight
Le stime di consistenza della popolazione di cervo presente all’interno del Parco (e in alcune
zone limitrofe ad esso in cui erano presenti soggetti marcati) mediante tecniche di mark-resight
(cattura – marcaggio - riavvistamento) sono state effettuate in concomitanza con i censimenti
notturni primaverili. In questo caso le sessioni ripetute di osservazione non si sono limitate alle 3
previste dalla standardizzazione provinciale, ma sono andate dalle 4 alle 6 a seconda dell’anno
considerato.
In Tabella 4.7 sono riportati i risultati delle elaborazioni secondo i due stimatori impiegati
(immigration/emigration; Bowden) per gli anni da 2004 al 2008.
Tabella 4.7 – Valutazione della sottostima dei censimenti notturni primaverili stimata con il metodo del
mark-resight in base ai cervi marcati e riavvistati. MPS minima popolazione stimata; tabella a) stima
effettuata mediante il modello immigrazione/emigrazione; tabella b) stima effettuata mediante lo stimatore
di Bowden; “occasioni” rappresenta il numero di sessioni di avvistamento utilizzate per la stima.
A) IMMIGRATION / EMIGRATION MODEL
ANNO
occasioni
2004
5
26
1.786
1.512-2.193
1.084
39%
2004
2004
4
3
26
26
1.748
1.735
1.476-2.155
1.445-2.192
1.084
1.084
38%
38%
2005
5
24
1.678
1.459-1.996
1.162
31%
2005
2005
4
3
24
24
1.710
1.694
1.474-2.055
1.433-2.086
1.162
1.162
32%
30%
74
Cervi
marcati
Consistenz
a stimata
IC 95%
MPS
Sottostima
2006
5
26
1.833
1.589-2.176
1.109
39%
2006
2006
4
3
26
26
1.688
1.731
1.460-2-016
1.473-2.128
1.109
1.109
34%
36%
2007#
2007#
4
3
13
13
1.528
1.324
1.253-1.993
1.109-1.721
952
952
38%
28%
2008
5
21
2.009
1.755-2.387
1.368
32%
2008
4
21
2.035
1.762-2.455
1.368
33%
2008
3
21
2.113
1.799-2.617
1.368
35%
# la stima si riferisce alla sola Stazione forestale di Peio
B) BOWDEN’S ESTIMATOR
ANNO
occasioni
Cervi
marcati
Consistenza
stimata
IC 95%
MPS
Sottostima
2004
2004
2004
5
4
3
26
26
26
1.805
1.860
1.835
1.389-2.346
1.375-2.517
1.36-2.503
1084
1084
1084
40%
42%
41%
2005
2005
2005
5
4
3
24
24
24
1.580
1.729
1.564
1.205-2.073
1.313-2.278
1.190-2.057
1.162
1.162
1.162
26%
33%
26%
2006
2006
2006
5
4
3
26
26
25
1.807
1.669
1.723
1.463-2.232
1.368-2.036
1.369-2.170
1.162
1.162
1.162
39%
34%
36%
2007#
4
13
1.482
1.116-1.968
952
36%
2007#
3
13
1.282
1.007-1-633
952
26%
2008
2008
2008
5
4
3
21
21
21
1.981
2.023
2.139
1.595-2.460
1.631-2.510
1.795-2.551
1.368
1.368
1.368
31%
32%
36%
# la stima si riferisce alla sola Stazione forestale di Peio
I valori percentuali di sottostima stimati in base all’applicazione dei modelli di mark-resight
vanno dal 26 al 42% a seconda dell’anno, del modello e del numero di sessioni considerate. La
percentuale di sottostima viene calcolata come il reciproco del rapporto tra il numero di animali
effettivamente conteggiati (MPS) e il numero di animali stimati presenti.
In base alla distribuzione temporale delle sessioni di avvistamento e agli spostamenti effettuati
da alcuni animali marcati da e verso l’area di studio, si è ritenuto opportuno tenere in
considerazione le stime effettuate in base al modello “immigration/emigration” e alle 4 sessioni
di avvistamento tra loro più ravvicinate nel tempo (massimo entro 14 giorni).
La sottostima media dei censimenti notturni primaverili in Val di Sole è quindi risultata variabile a seconda
dell’anno considerato, con scostamenti tuttavia di entità medio-bassa. La percentuale di sottostima
maggiore si è avuta negli anni 2004 e 2006, con valori pari al 38%, mentre quella minore si è registrata
nell’anno 2005 con un valore del 32% (
Tabella 4.8). In media, tra il 2004 e il 2008, la percentuale di sottostima dei censimenti è stata
del 35%.
75
La stima di tali valori, di indiscussa utilità per una più corretta interpretazione dei dati dei
conteggi primaverili è stata possibile grazie all’elevato numero di cervi marcati e radio-marcati
che a partire dal 2003 sono stati catturati grazie al lavoro del personale del Parco.
I dati di dinamica di popolazione presentati nelle parti successive del capitolo sono stati
ricavati applicando ai dati dei censimenti primaverili i rispettivi valori di sottostima ovvero il dato
di sottostima medio, per gli anni antecedenti al 2004.
Tabella 4.8 – Valutazione della sottostima dei censimenti notturni primaverili stimata con il metodo del
mark-resight in base ai cervi marcati e riavvistati. MPS minima popolazione stimata.
ANNO
Consistenza
stimata
MPS
Sottostima
2004
1.748
1.084
38%
2005
2006
1.710
1.688
1.162
1.109
32%
34%
2007
2008
1.528
2.035
952
1.368
38%
33%
MEDIA
35%
Censimenti mediante scanner termici
Il metodo applicato si basa sulla realizzazione di transetti notturni (durante la seconda metà di
aprile, in concomitanza al periodo dei censimenti con faro, per rendere i dati maggiormente
confrontabili) lungo i quali si avvistano i gruppi di cervi e ne viene rilevata la distanza
perpendicolare rispetto al transetto percorso. Il metodo, definito distance sampling, è a base
campionaria e prevede di contattare solamente una percentuale della popolazione, purché i
transetti percorsi possano essere considerati casuali e rappresentativi dell’area di studio in
esame (in questo caso approssimativamente la stessa area battuta durante i censimenti con
faro).
L’idea chiave del metodo è quella che la probabilità di avvistare un animale decresca con la
distanza dal transetto e che i soggetti presenti a distanza “zero” abbiano il 100% di probabilità di
essere avvisati. Misurando le distanze di avvistamento di ciascun gruppo è possibile stimare
curve di “probabilità di avvistamento” e passare quindi dagli animali avvistati a quelli realmente
presenti nell’area. Analogamente alle tecniche di mark-resight, l’applicazione del distance
sampling permette di ottenere una stima di consistenza di popolazione e il suo annesso
intervallo di confidenza statistico.
Nel caso specifico, i conteggi notturni lungo i transetti non avvengono con l’ausilio di sorgenti
luminose, ma di uno scanner termico in grado di rilevare le radiazioni infrarosse legate alla
temperatura degli oggetti. In tal modo è possibile rilevare in modo agevole un corpo “caldo”
rispetto allo sfondo quale quello di un cervo totalmente al buio, limitando quindi il disturbo e le
reazioni di fuga. Per maggiori dettagli sul metodo si rimanda a Buckland et al., 1993, 2001 e
2004.
Questa parte di lavoro nasce in concomitanza ad un progetto dell’Istituto Nazionale per la
Fauna Selvatica volto a valutare l’efficacia e l’applicabilità di un nuovo metodo di censimento
delle popolazioni di Ungulati. Il metodo può essere definito “Stima della densità e della
consistenza di popolazioni mediante Distance Sampling e termocamera a infrarossi (IRDS –
infra-red distance sampling). Distance Sampling è il nome della tecnica statistica di
campionamento che permette di stimare la probabilità di avvistamento in relazione alle distanze;
76
gli scanner termici permettono di mappare i gradienti di temperatura in falsi colori e di
riconoscere i corpi più caldi anche nel buio più completo.
Il lavoro è stato svolto in quattro differenti aree di studio per una valutazione critica del metodo
su specie di Ungulati diverse ed in aree differenti. Nel Parco il lavoro è stato svolto per tre anni
consecutivi, tra l’aprile 2004 e l’aprile 2006, dalla dott.ssa Barbara Franzetti e dai suoi
collaboratori, con l’ausilio tecnico e logistico del personale del Parco. Tale attività si è basata su
una convenzione a titolo non oneroso tra i due Enti.
In Tabella 4.9 sono riportati i risultati sintetici del lavoro svolto e le stime di consistenza
ottenute. Per effettuare il censimento mediante IRDS sono necessarie 6-7 notti di lavoro svolto
da due persone in contemporanea che percorrono complessivamente dai 20 ai 30 km di
transetti a seconda della situazione distributiva della popolazione. Ad esempio nel 2005 è stato
necessario percorrere una lunghezza di transetti maggiore in relazione alla distribuzione meno
aggregata sul fondovalle dei cervi, a sua volta legata allo scarso innevamento. Le consistenze
stimate aumentano progressivamente nel triennio passando da circa 1.450 a circa 1.700 cervi,
ma tali differenze non possono essere considerate significative in base agli intervalli di
confidenza annessi.
Per maggiori dettagli sull’applicazione specifica del metodo al caso del Parco Nazionale dello
Stelvio si rimanda alla specifica pubblicazione di Franzetti e Focardi, 2006.
Tabella 4.9 – Risultati di sintesi dei censimenti sperimentali mediante IRDS realizzati tra il 2004 e il 2006
nel territorio del PNS; periodo di realizzazione dei transetti; numero di gruppi di cervi avvistati; numero di
cervi avvistati.
ANNO
PERIODO
2004
16-22
aprile
2005
2006
LUNGH
TRANSETTI
N GRUPPI
N CERVI
Consistenza
stimata
IC 95%
23.2 km
147
643
1.435
837-2.472
20-26
aprile
30.9 km
162
990
1.645
1.042-2.596
21-25
aprile
21.7 km
178
971
1.713
1.030-2.876
Censimenti mediante conteggi dei gruppi di pellet
La metodologia prevede la combinazione di un metodo di censimento indiretto, basato sul
conteggio dei gruppi di fatte (PGC) deposti dal cervo, con la tecnica di campionamento del
distance sampling. I gruppi di fatte (pellet groups - PG) deposte dal cervo, poiché immobili,
rappresentano una buona alternativa per l'applicazione di metodi alternativi mirati ad ovviare al
problema della scarsa contattabilità e avvistabilità del cervo che può portare a doppi conteggi e
sottostime. In questo caso il PGC è stato applicato mediante la tecnica del faecal standing crop
(FSC), la quale prevede un solo conteggio in campo e necessita della conoscenza del tasso di
decadimento dei pellet group. Il campionamento è stato effettuato percorrendo transetti lineari
lungo i quali vengono conteggiati i gruppi di fatte e misurata la loro distanza dalla linea centrale
del transetto. I transetti sono stati distribuiti in modo random sull'area di studio; ciascuno ha una
lunghezza di 100 metri ed il loro numero è funzione della densità di cervo (e di pellet) e del
coefficiente di variazione che si vuole ottenere per la stima. Maggiore è il numero di transetti e il
numero di PG conteggiato, maggiore sarà la precisione della stima e minore l'intervallo di
confidenza della stima stessa.
Analogamente a quanto visto per i censimenti con gli scanner termici, che applicano la stessa
tecnica del distance sampling, la misurazione delle distanze permette di stimare la probabilità di
77
contatto dei PG e di passare dai PG conteggiati a quelli presenti (Buckland et al., 1993, 2001 e
2004).
Conoscendo la probabilità di “avvistamento” dei PG, il numero di pellet group rilevati, il tasso
di defecazione medio degli animali (numero di PG deposti al gg) e il tasso di decadimento dei
PG (numero di gg che il PG impiega per decomporsi completamente) , è possibile stimare la
densità densità della popolazione e risalire alla stima delle consistenze (Mayle et al., 1999).
Il tasso di decadimento è stato calcolato mediante un lavoro sperimentale, realizzato dalla
dott.ssa Anna Bonardi, che ha quantificato la velocità di scomparsa delle fatte nei diversi mesi
dell'anno in funzione del tempo in giorni, delle tipologie di habitat, dell'esposizione e della
pendenza dei versanti (Laing et al., 2003). Le stime di densità sono state ottenute elaborando i
dati raccolti con il software Distance (Buckland et al., 2001).
Questa parte di lavoro è stata realizzata in collaborazione con la dott.ssa Francesca Cagnacci
e con il Centro di Ecologia Alpina, con il quale il Parco ha formalizzato una convenzione non
onerosa volta a sviluppare attività di collaborazione nel campo delle ricerca ecologica.
Nello specifico il progetto ha voluto valutare l’efficacia e l’applicabilità di un nuovo metodo di
censimento delle popolazioni di Ungulati. Il metodo può essere definito “Stima della densità e
della consistenza di popolazioni mediante conteggi dei gruppi di fatte mediante distance
sampling” (PGCDS – pellet group count distance sampling). Distance sampling è il nome della
tecnica statistica di campionamento che permette di stimare la probabilità di avvistamento (delle
fatte in questo caso) in relazione alle distanze; una volta stimata la densità dei PG, è possibile
risalire alla densità di popolazione del cervo dividendo il valore per i tassi di defecazione e
decadimento sopra citati.
Il lavoro di campo si è avvalso della collaborazione di 6 studenti che hanno svolto il proprio
tirocinio universitario e/o la propria tesi nell'ambito di lauree triennali o specialistiche. L'obiettivo
mirava alla valutazione della densità e consistenza invernale o estiva del cervo all'interno del
territorio del Parco a diverse fasi temporali. La raccolta dei dati in campo necessita di circa 1
mese di lavoro da parte di due persone che lavorano congiuntamente. Per la stima delle densità
invernali i transetti vengono percorsi a fine inverno, nel mese di maggio; per la stima della
densità estiva, i transetti sono stati percorsi tra il mese di settembre e quello di ottobre.
Per maggiori dettagli sulla teoria e applicazione specifica del metodo, sulle modalità di lavoro
di raccolta in campo e sui risultati di dettaglio relativi al caso del Parco Nazionale dello Stelvio si
rimanda alle seguenti tesi di laurea e di specializzazione realizzate da studenti delle Università
di Edolo, Padova e Parma nell'ambito del progetto: Albero, 2005; Bresaola, 2008; Penasa,
2006; Rossi, 2008; Serini, 2006.
In Tabella 4.10 sono riportati i risultati di sintesi del lavoro effettuato. Sono disponibili due
stime di densità invernale riferite ai periodi 2004-05 e 2006-07, confrontabili con i risultati dei
censimenti primaverili del 2005 e 2007, ed una di densità estiva per l'anno 2005. La consistenza
estiva risulta maggiore in relazione alla presenza dei piccoli, nati nel mese di maggio-giugno.
L'intervallo di confidenza della stima del 2007 è inferiore per il maggior numero di transetti
effettuati e di PG contattati.
Tabella 4.10 – Risultati di sintesi dei censimenti sperimentali mediante PGCDS realizzati tra l'inverno
2004-05 e l'inverno 2006-07 nel territorio del PNS; numero di transetti percorsi; numero di PG conteggiati.
Periodo di
riferimento
Inverno 04-05
Estate 2005
Inverno 06-07
Periodo di
realizzazione
N transetti
N PG
Consistenza stimata
IC 95%
4 mag – 1 giu
120
5.232
1.737
1.442-2.093
6 set – 8 ott
113
4.605
2.258
1.743-2.927
2 mag – 6 giu
139
8.156
1.941
1.706-2.207
# corretta per l’incremento dovuto alla nascita dei nuovi cerbiatti
78
L'applicazione del PGCDS nel territorio del PNS risulta attuabile sia in termini di risultati che di
sforzo necessario; pur non essendo un metodo di ordinario impiego, esso conserva tutte le
caratteristiche di praticabilità, ripetibilità e confrontabilità tipiche dei più tradizionali metodi di
conteggio.
Valutazione critica dei differenti metodi di conteggio impiegati
Il confronto dei risultati ottenuti applicando tre metodi di conteggio tra loro differenti e
indipendenti mostra valori di consistenza del tutto simili, a parte l'eccezione relativa al 2004 tra
MR e IRDS (Tabella 4.11 e Figura 4.13).
E' quindi possibile affermare con ragionevole sicurezza che il censimento notturno
primaverile, opportunamente corretto con i coefficienti di sottostima derivati dall'applicazione del
mark-resight, fornisca stime sufficientemente attendibili sulla consistenza totale della
popolazione da utilizzare a fini gestionali e per lo studio della sua dinamica. I dati
successivamente presentati per descrivere l'evoluzione della popolazione nel tempo derivano
da tale set di dati cui vanno aggiunte alcune considerazioni ricavate da un quarto metodo di
conteggio della popolazione: la ricostruzione della popolazione per coorti.
Tabella 4.11 – Stima di consistenza della popolazione di cervo nel PNS. Confronto tra i risultati ottenuti
con metodi diversi e indipendenti. MR mark-resight; IRDS censimento con scanner termico; PGCDS
conteggio dei gruppi di fatte.
ANNO
Consistenza
MR
IC95%
Consistenza
IRDS
IC95%
Consistenza
PGCDS
IC95%
2004
1.748
1.476-2.155
1.435
837-2.472
--
--
2005
1.710
1.474-2.055
1.645
1.042-2.596
1.737
1.442-2.093
2006
1.688
1.460-2-016
1.713
1.030-2.876
--
--
2007
2.015
1.652-2.628
--
--
1.941
1.706-2.207
79
3500
MARK-RESIGHT
PELLET GROUP COUNT
3000
INFRAROSSO
NUM CERVI
2500
2000
1500
1000
500
0
2005
2006
2007
ANNI
Figura 4.13 - Stima di consistenza della popolazione di cervo nel PNS. Confronto tra i risultati ottenuti con
metodi diversi e indipendenti. I valori ottenuti sono molto simili tra loro. Le barre rappresentano l'intervallo
di confidenza.
4.2.3.2.
Ricostruzione della popolazione per coorti
In questo paragrafo vengono presentati i dati di sintesi del quarto metodo di valutazione delle
consistenze della popolazione. Il metodo viene definito “Population reconstruction from mortality
data” o “Cohort analysis”, ovvero ricostruzione della popolazione per coorti dai dati di mortalità
(naturale e di caccia) (Downing, 1980; Rosberry & Woolf, 1991; Skalsky et al, 2005; Skalsky et
al, 2007).
Il metodo si basa sull’assunto che, conoscendo l’anno di morte di ogni animale (in pratica
rinvenendo tutti gli animali morti per cause naturali o antropiche e stimandone il sesso e l’età), è
possibile a ritroso determinare l’anno di nascita di ogni individuo e, ripetendo questa operazione
per tutto il set dei dati, risalire al numero di nati in un certo anno, cioè di animali appartenenti ad
una stessa coorte. Ad esempio, un cervo abbattuto nel 1994, la cui età è stimata di 8 anni,
viene considerato nato nel 1986.
Si tratta quindi di un metodo retrospettivo che permette di conoscere nel dettaglio la
situazione solo nel momento in cui è recuperata (in quanto morta) la gran parte degli animali
presenti nell'anno cui si riferisce la stima. Nel caso del cervo della Val di Sole, il 95% dei
soggetti abbattuti o rinvenuti morti ha un'età inferiore o uguale ai 10 anni. Pertanto le stime
ottenute con questo metodo possono al momento essere considerate pressoché complete fino
all'anno 1997 e comunque affidabili sino al 2001. Oltre tale anno le consistenze sono ancora
sottostimate e si dovranno attendere gli anni successivi per la loro revisione. Il vantaggio del
metodo è dato dal fatto di poter ricostruire la popolazione in tutti i suoi elementi di sesso ed età
ed ottenere quindi anche informazioni sulla struttura della stessa.
L’accuratezza della Population reconstruction è evidentemente legata al numero di tutti gli
animali che muoiono e non vengono trovati, a quelli che vengono uccisi in maniera illegale e
agli individui che emigrano dall’area di studio o vi immigrano. È infatti altamente improbabile
ritrovare tutti gli animali che muoiono per cause naturali (e conoscere il numero di quelli che
vengono bracconati) ma, se si può assumere che la maggior parte degli animali deceduti
vengano reperiti (come ad esempio nei parchi) allora l’accuratezza può essere considerata
elevata (Mayle et. al., 1999).
80
In Provincia di Trento, nell’ambito della valutazione dei trofei, viene stimata l’età di tutti gli
individui abbattuti durante la stagione venatoria, in base all’usura della tavola dentaria. Sono
quindi state raccolte (e la raccolta continua di anno in anno) tutte le informazioni sui capi
abbattuti a partire dal 1973, primo anno di attività venatoria in Val di Sole per cui sono
disponibili i dati. Per gli animali rinvenuti morti invece, viene compilata una scheda di
rilevamento in cui analogamente sono riportati sesso ed età del soggetto. All’interno del Parco
Nazionale dello Stelvio tale attività è iniziata nel 1995, nel resto del Distretto, nel 1992.
Si dispone pertanto di un notevole database che raccoglie i dati relativi a 7.364 cervi abbattuti
tra il 1973 e il 2007 (3657 maschi e 3707 femmine) ed a 1.987 cervi rinvenuti morti tra il 1992 e
l'aprile 2008 (925 maschi e 1062 femmine). In base a questi dati, è stato possibile determinare il
numero di animali morti ogni anno, ripartiti in base al sesso e all’età e, successivamente,
calcolare la consistenza di femmine e maschi per ogni anno ed età (Tabella 4.19). In relazione
alla carenza di dati sui rinvenuti morti per il periodo 1973-1992 ed alla mancanza di dati sugli
ipotizzati prelievi non registrati, è lecito aspettarsi che il metodo fornisca una sottostima rispetto
a quelli presentati in precedenza, soprattutto nel citato periodo 1973-1992.
Per una analisi più approfondita di pregi e limiti del metodo e per un approfondimento su
metodo di calcolo e sui risultati ottenuti sulla popolazione di cervo dell'UG, si rimanda alla Tesi
di master in “Gestione e conservazione dell'ambiente e della fauna” della dott.sa Laura Nave
(2004).
Nella Figura 4.14 è mostrata, per confronto, l'evoluzione nel tempo della consistenza della
popolazione calcolata con la ricostruzione della popolazione ed in base ai censimenti corretti
con le stime del mark-resight. Il trend delle due curve è in accordo (si escluda la parte
tratteggiata della linea rossa che ancora non dispone di tutti i dati e non è quindi affidabile) e
mostra, in accordo con le teorie ecologiche, il tipico accrescimento delle popolazioni animali. La
differenza tra i due metodi di stima varia dai 200 ai 500 capi. La realizzazione di simulazioni di
population reconstruction indica come, per giustificare tale discrepanza, sia sufficiente supporre
che ogni anno circa una sessantina-settantina di cervi morti non vengano rilevati se morti, o non
ne venga registrato l'abbattimento. Tale ipotesi appare pienamente giustificabile.
Tornando alla linea rossa che indica la curva di crescita della popolazione, possiamo
comunque registrare alcune indicazioni interessanti sul trend storico di crescita della
popolazione stessa. La forma della curva indica il tipico accrescimento logistico delle
popolazioni animali, caratterizzato da un primo periodo in cui la consistenza della popolazione è
bassa e gli accrescimenti sono lenti, da un secondo periodo di crescita più veloce ed esplosiva
e da un terzo periodo in cui la crescita esplosiva tende a rallentare sino ad azzerarsi e la
popolazione comincia a fluttuare negli anni attorno ad un valore costante. Tale valore, indicato
come capacità portante media dell'ambiente, indica che le risorse ambientali (cibo e rifugi) non
sono in grado di sostenere un numero maggiore di animali, e che la popolazione entra in fase di
autoregolazione in modo tale che il numero di individui nati sia mediamente uguale al numero
dei morti e la crescita netta sia zero.
La popolazione ha avuto un periodo di crescita più lenta nel periodo 1973 – 1988,
caratterizzata da un tasso medio di crescita netta del 10% (al quale bisogna aggiungere i tassi
di prelievo per avere una reale idea degli accrescimenti potenziali della popolazione); una
seconda fase di crescita esplosiva tra il 1989 e il 1995, con incrementi netti medi del 20%, un
progressivo rallentamento tra il 1996 e il 2000 (incrementi netti medi del 10%) ed un ultima fase
di sostanziale stabilizzazione a incrementi netti zero, a partire dal 2000, pur con notevoli
fluttuazioni tra un anno e l'altro legate all'andamento meteo-climatico (analizzato nel dettaglio
nel proseguo del capitolo). Nel complesso, tra il 1973 e il 2000 la popolazione si è accresciuta
con un incremento medio netto annuo del 13%.
81
3500
STIMA dal MARK-RESIGHT
3000
COHORT ANALYSIS
2500
Num cervi
2000
1500
1000
500
0
1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010
Figura 4.14 – Evoluzione delle consistenze della popolazione di cervo ricostruite mediante cohort
analysis (linea rossa), confrontate con i censimenti primaverili notturni corretti con i coefficienti di
sottostima ricavati dal mark-resight (linea nera). La parte di linea rossa tratteggiata indica dati non ancora
completi e quindi non confrontabili.
2500
0.6
consistenza (cohort analysis)
abbattimenti
tasso di prelievo
0.5
2000
cervi
1500
0.3
1000
0.2
500
0.1
0
1970
0
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
Figura 4.15 – Evoluzione delle consistenze della popolazione di cervo ricostruite mediante cohort
analysis (CA) (linea blu, in grigio la parte ancora incompleta), confrontate con l’entità dei prelievi
effettuati (linea rossa). La linea nera tratteggiata indica i tassi di prelievo stimati come prelievi / cervi
stimati con CA.
82
tasso prelievo
0.4
Dalla Figura 4.15 possiamo notare come i bassi incrementi annui netti tra il 1973 e il 1983
siano in parte da imputarsi ai tassi di abbattimento particolarmente elevati (ben oltre il 30%). A
partire dalla fine degli anni '80 i tassi di abbattimento si sono assestati tra il 20 e il 30% della
consistenza stimata permettendo la continua crescita della popolazione. Nonostante ciò, a
partire dalla seconda metà degli anni '90, gli incrementi annui netti (la linea verde) continuano
ad essere positivi ma assumono valori via via inferiori fino ad azzerarsi nel 2000, sintomo che la
(parte di) popolazione caratterizzata da densità elevate comincia a rallentare la propria crescita.
4.2.3.3.
Ricostruzione della dinamica della popolazione
Dopo aver analizzato le differenti tecniche di censimento ed effettuato una valutazione critica
sull'efficacia dei metodi impiegati, nel presente paragrafo si dettagliano i dati utilizzati per
ricostruire la dinamica della popolazione cui si farà riferimento nel paragrafo 4.2.3.5 in cui si
analizzano criticamente le varie fasi evolutive della popolazione.
I dati utilizzati per la ricostruzione della dinamica della popolazione hanno la seguente origine:
• serie storica dei censimenti notturni primaverili – conteggio massimo per l'intera UG
sulle tre ripetute;
•
i dati sono corretti per il coefficiente di sottostima calcolato con il mark-resight per
ottenere la consistenza primaverile stimata;
•
produttività annuale, calcolata come rapporto piccoli/femmine desunto durante i
conteggi estivi di cervo in occasione dei censimenti al camoscio;
•
stima della consistenza estiva calcolata dalla primaverile in base alla produttività e
considerando un rapporto sessi pari a 1 maschio : 1.5 femmine;
•
abbattimenti realizzati durante il periodo venatorio;
•
rinvenimenti di cervi morti o investiti per ciascun anno biologico (che ricomprende una
coorte di nuovi nati, da giugno dell'anno t a maggio dell'anno t+1).
Ciascun dato è riportato anche scorporato tra PNS e riserve di caccia esterne (Distretto Val di
Sole).
In fondo al capitolo sono riportate le seguenti tabelle che riportano nel dettaglio tutti i dati
raccolti, elaborati e necessari alla ricostruzione della dinamica.
- Tabella 4.13 – Censimenti del cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia e Stazioni
forestali dal 1993 al 2008.
- Tabella 4.14 – Abbattimenti di cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia dal 1975 al
2007.
- Tabella 4.15 – Piani di prelievo di cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia dal 1987
al 2007.
- Tabella 4.16 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG dal 1983 al
2008. Stima delle consistenze primaverili ed estive totali e separate per PNS e Distretto
della Val di Sole.
- Tabella 4.17 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG dal 1983 al
2008. Consistenze primaverili, abbattimenti e piani di abbattimento.
- Tabella 4.18 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG mediante
cohort analysis dal 1973 al 2001.
83
Le figure seguenti mostrano la ricostruzione della dinamica di popolazione di cervo nell'UG a
partire dal 1983 sino al 2008 (dal 1993 sono disponibili dati ufficiali di censimento, dal 1983 al
1993 sono disponibili stime di consistenza – verosimilmente riferite al periodo estivo –
opportunamente riparametrate).
3500
STIMA dal MARK-RESIGHT
3000
CENSIMENTI PRIMAVERILI
Num Cervi
2500
2000
1500
1000
500
0
1981
1983
1985
1987
1989
1991
1993
1995
1997
1999
2001
2003
2005
2007
2009
Figura 4.16 – Confronto tra i dati dei censimenti notturni primaverili (linea verde) e le stime di
consistenza della popolazione di cervo dal 1982 al 2008 (linea nera); la linea nera tratteggiata continua
indica le stime ricavate dai censimenti ufficiali realizzati dal Servizio Foreste e Fauna con la
collaborazione del Parco dello Stelvio e dell'Associazione Cacciatori Trentini (subentrata alla PAT a
partire dal 2007).
La popolazione cresce tra il 1982 e il 1999 di 1.850 capi, passando da circa da 700 a 2.550
cervi. Successivamente si hanno oscillazioni legate agli andamenti invernali, tra i 2500 e gli
attuali 2900 capi. I prelievi aumentano regolarmente e parallelamente all'aumento della
popolazione sino al 2000. Successivamente, nonostante la popolazione non diminuisca, i
prelievi diminuiscono costantemente sino al minimo di 374 abbattimenti del 2008, pari a quanto
realizzato nel 1996. I prelievi diminuiscono costantemente dal 2000 ad oggi, nonostante i tassi
di prelievo siano sempre inferiori al 27% delle consistenze complessive.
3500
0.60
consistenza
abbattimenti
3000
tassi di abbattimento
0.50
2500
Num Cervi
0.40
2000
0.30
1500
0.20
1000
0.10
500
0
1980
0.00
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
Figura 4.17 – Accrescimento della popolazione di cervo dal 1982 al 2008 (linea verde); la linea rossa
indica gli abbattimenti realizzati, la linea tratteggiata nera i tassi di abbattimento stimati.
84
Scorporando il dato della dinamica nelle due aree “Parco dello Stelvio” e “Distretto Val di Sole”
è possibile notare un andamento notevolmente differente (Figura 4.18). Sino al 1996 le
consistenze all'esterno del Parco sono maggiori, anche in ragione della maggiore superficie di
habitat idoneo disponibile ed anche la crescita è maggiore (Figura 4.18 - A); dal 1996 al 2001 i
numeri nei due settori si equivalgono, attorno al migliaio di individui ciascuno (Figura 4.18 - B);
mentre a partire dal 2002 la dinamica all'interno del Parco continua a crescere sino a
raggiungere stime di 1.800-2.000 cervi, mentre all'esterno diminuisce sino a stime di 500 cervi,
per poi successivamente riprendersi e ritornare attorno al migliaio nel 2008 (Figura 4.18 - C).
3000
Parco
2500
Val Sole
Totale
Numero Cervi
2000
1500
1000
500
A
0
1981
1984
1987
1990
1993
B
1996
1999
C
2002
2005
2008
Figura 4.18 – Accrescimento della popolazione di cervo dal 1982 al 2008 (linea verde); le linee rossa e
azzurra rispettivamente indicano l'andamento della popolazione all'interno del Parco dello Stelvio e nel
Distretto Val di Sole; negli ultimi anni è possibile evidenziare tendenze opposte a fronte di una
complessiva stabilità.
Analizzando la Figura 4.19 è possibile meglio comprendere la dinamica complessiva che, a
fronte di una diminuzione nel Distretto Val di Sole, ha fatto registrare un ulteriore aumento
all'interno del Parco che ha controbilanciato la dinamica totale della popolazione. Questo
fenomeno, come verrà illustrato nel dettaglio oltre nel rapporto, è legato al progressivo
cambiamento di comportamento dei cervi all'interno del Parco (sempre più le femmine legate al
Parco assumono un comportamento stanziale e non migrano più all'esterno del Parco durante
l'inverno alla ricerca di migliori condizioni) ed alle miti condizioni che hanno caratterizzato le
ultime stagioni garantendo buone condizioni di svernamento anche all'interno del Parco.
Venendo progressivamente a mancare la quota di cervi che nella seconda parte della
stagione venatoria (all'approssimarsi dell'inverno) escono dal Parco e migrano in quartieri di
svernamento più favorevoli, il piano di prelievo si è basato sempre più sul solo contingente di
85
cervi conteggiati e presenti nel territorio libero all'attività venatoria. In una tale situazione di
distribuzione disomogenea dei cervi sul territorio, il tasso reale di abbattimento deve essere
praticamente riferito quasi esclusivamente alla quota di cervi che occupa il Distretto Val di Sole
(e ad una quota di cervi del Parco non superiore al 25% - vedi oltre i dati relativi alle capacità di
spostamento e migrazione) Dalla figura si evince come a partire dal 1999 i tassi effettivi di
prelievo siano stati sempre superiori al 30% (ipotizzato come massimo incremento annuale
possibile per il cervo in una situazione simile alla Val di Sole, si veda il paragrafo 4.2.3.5),
causando la diminuzione della popolazione, ripresasi solo ultimamente a fronte di un nuovo calo
dei tassi di prelievo.
Una ulteriore conferma delle difficoltà verificatesi sul finire degli anni '90 la si può leggere
nell'andamento della Figura 4.20 che mostra l'andamento relativo dell'ammontare dei piani di
prelievo e degli abbattimenti effettivamente realizzati. Sino al 2000 le due curve sono rimaste
pressoché allineate a testimonianza di un buon adattamento tra i piani di caccia e la
consistenza della popolazione (media del 90% di realizzazione dei piani). Successivamente la
differenza tra quanto previsto e quanto realizzato si fa notevole e continua ad esserlo per ben
sei anni (media del 75% di realizzazione) sin a quando i piani di prelievo non sono ulteriormente
diminuiti in modo corrispondente alla reale presenza della popolazione in territorio di caccia
(89% di realizzazione nel 2008).
Complessivamente dal 1973 al 2008 sono stati abbattuti 7.364 cervi di cui 3.657 maschi e
3.707 femmine. I prelievi sono costantemente aumentati sino al 2000 per diminuire poi
costantemente sino al 2008. Il primo piano superiore ai 50 capi è stato realizzato nel 1982, nel
1990 si sono superati i 100 cervi, nel 1997 i 400 e nel 2000 è stato realizzato l'unico piano
superiore ai 600 animali.
3500
0.70
Consistenza Parco
Consistenza Val Sole
prelievo
Consistenza Totale
Tasso di prelievo
0.60
2500
0.50
2000
0.40
1500
0.30
1000
0.20
500
0.10
0
1980
tasso di prelievo
Num Cervi
3000
0.00
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
Figura 4.19 – Accrescimento della popolazione di cervo dal 1982 al 2008 (linea verde); le linee rossa e
azzurra rispettivamente indicano l'andamento della popolazione all'interno del PNS e nel Distretto Val di
Sole; la linea nera i prelievi effettuati e la linea nera tratteggiata i tassi di prelievo calcolati solo sulle
consistenze dei cervi conteggiati nel Distretto Val di Sole.
86
800
PIANO DI PRELIEVO
CERVI ABBATTUTI
700
CERVI ABBATTUTI
600
500
400
300
200
100
0
1987
1989
1991
1993
1995
1997
1999
2001
2003
2005
2007
Figura 4.20 – Piani di prelievo del cervo (linea azzurra) e abbattimenti realizzati (linea rossa) nel Distretto
Val di Sole tra il 1986 e il 2007.
La Tabella e la Figura successive verificano la coerenza reciproca delle stime di consistenza
mediante censimento e quelle relative alla produttività (stimata come rapporto piccoli/femmine
durante l'estate) e al numero di soggetti abbattuti e rinvenuti morti. Vengono confrontate le
stime di consistenza basate sui censimenti primaverili e la proiezione della stima di consistenza
nell'anno successivo calcolata in base alle stime di produttività ed alla detrazione dei soggetti
abbattuti e rinvenuti morti.
87
Tabella 4.12 – Ricostruzione della dinamica della popolazione di cervo della UG Val di Sole negli ultimi
nove anni in base ai censimenti corretti per la sottostima, al rapporto piccoli / femmine estivo e al numero
di individui abbattuti in caccia e rinvenuti morti.
anno
censiti
stimati
nati
stima estate
morti
abbattuti
stima anno
successivo
Sottostima Rapp Pic/FF
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
88
821
982
1.187
1.293
1.384
1.413
1.658
1.664
1.372
1.403
1.479
1.386
1.561
1.540
1.725
2.094
35%
0.62
1263
469
35%
0.62
1511
561
35%
0.62
1826
678
35%
0.62
1989
738
35%
0.62
2129
791
35%
0.57
2174
745
35%
0.48
2551
728
35%
0.47
2560
725
35%
0.39
2111
489
35%
0.51
2158
657
35%
0.39
2275
533
35%
0.38
2132
492
32%
0.49
2296
675
34%
0.38
2333
532
38%
0.41
2782
686
28%
0.39
2908
688
1732
24
211
2071
42
256
1497
2504
67
266
1773
2727
100
374
2171
2920
85
431
2253
2919
100
432
2404
3279
128
509
2387
3285
441
642
2642
2600
104
451
2202
2815
155
577
2045
2808
311
527
2083
2624
79
429
1970
2970
160
452
2116
2866
53
407
2358
3468
122
374
2406
3597
2972
3500
RICOSTRUZIONE DINAMICA
CENSIMENTI
3000
NUM CERVI
2500
2000
1500
1000
500
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Figura 4.21– Confronto tra le stime di consistenza basate sui censimenti primaverili e la proiezione della
stima di consistenza nell'anno successivo calcolata in base alle stime di produttività ed alla detrazione dei
soggetti abbattuti e rinvenuti morti (per maggiore dettaglio si veda la Tabella 4.12).
4.2.3.4.
Analisi della mortalità
I dati relativi ai cervi morti riguardano i soggetti abbattuti in caccia e quelli rinvenuti morti e/o
investiti da autoveicoli. La causa di morte dei rinvenuti, ad eccezione delle citate collisioni, non
è riportata. I dati relativi a tutti i cervi abbattuti e dichiarati sono stati raccolti per il periodo 1973
– 2008. Le informazioni sui rinvenuti morti sono disponibili a partire dal 1984, ma si ritiene che i
dati possano essere ritenuti confrontabili solo a partire dal periodo 1993-94 in cui è stato avviato
un protocollo di raccolta standardizzata. Complessivamente sono stati abbattuti 7.480 cervi
durante la caccia tra il 1973 e il 2008 ed un minimo certo di 1.994 cervi sono morti per cause
naturali tra il 1984 e il 2008. Come già discusso gli abbattimenti hanno mostrato un trend di
costante crescita con un picco massimo nel 2000 e un successivo trend di costante diminuzione
sino al 2008. L’andamento della mortalità naturale ha dei picchi irregolari strettamente legati
alle condizioni invernali ed alla densità della popolazione. I tassi annuali di accrescimento (o
diminuzione) della popolazione sono maggiormente correlati con l’andamento della mortalità
naturale che con quello degli abbattimenti (r2 = -0.89, rispetto a r2 = -0.77; Figura 4.22).
Tutte le considerazioni in merito agli andamenti e al significato della mortalità naturale sono
riportati ai capitoli 4.2.4.3 e 4.2.4.5. Le considerazioni in merito agli andamenti degli
abbattimenti e agli esiti delle strategie di prelievo adottate sono riportati nel capitolo 4.3.9.
89
3500
0.3
0.2
0.1
2000
0
1500
-0.1
1000
-0.2
500
-0.3
0
-0.4
84
85
19
19
19
19
19
86
19
87
19
88
19
89
19
90
19
91
19
92
19
93
19
94
19
95
19
96
19
97
19
98
19
99
20
00
20
01
20
02
20
03
20
04
20
05
20
06
20
07
20
08
2500
82
83
Numero cervi
3000
Tasso di incremento
abbattimenti
rinvenimenti
incremento
consistenza
Figura 4.22 – Andamento delle consistenze della popolazione di cervo (linea verde) a confronto con
l’entità annuale della mortalità naturale (n° di ce rvi rinvenuti morti, barra rossa) e degli abbattimenti (barra
nera). I tassi annuali di incremento (punti neri) si abbassano soprattutto negli anni in cui si verifica un alta
mortalità naturale).
4.2.3.5.
Storia ed evoluzione della popolazione nell'unità di gestione
La crescita della popolazione di cervo della Val di Sole e del Parco Nazionale dello Stelvio ha
seguito un andamento logisticio a partire dai primi anni ’70 per poi assestarsi negli ultimi 10
anni.
La popolazione ha vissuto una fase di massimo accrescimento lungo la curva di sviluppo
logistico fino alla fine degli anni’ 90. Dopodiché si è stabilizzata con fluttuazioni attorno ad un
valore costante, anche se per ora con ampie fluttuazioni annuali.
Dal 1970 al 1985 non venivano effettuati censimenti estensivi e standardizzati della
popolazione e non si aveva quindi un'idea sufficientemente precisa di quanti cervi ci fossero in
Val di Sole.
La crescita della popolazione era relativamente lenta e i tassi di prelievo applicati
contribuivano a controllarla (Consistenza soglia).
Il cervo era ancora scarsamente presente nel PNS (Figura 4.23). Nel 1973, quando prese
avvio la gestione venatoria del cervo in Val di Sole, nel Parco era stimata la presenza di circa
20 cervi e la prima attività di bramito fu registrata nel 1982. All'inizio degli anni '70 esistevano
già tre importanti aree di bramito situate lontano dall'area protetta (Vermiglio, PellizzanoMezzana, Bresimo). Anche l'esame della distribuzione dei primi abbattimenti in ciascuna riserva
della Val di Sole (Figura 4.23) fa comprendere come il cervo sia probabilmente arrivato in Val di
Sole dall'Alto Adige – Val d'Ultimo e si sia stabilizzato lungo l'asse principale della valle dove
esistono le migliori condizioni di habitat e di svernamento. Solo in un momento successivo,
dopo aver creato in tali aree l'asse portante della popolazione il cervo ha colonizzato anche le
restanti zone ed anche le parti più interne delle valli di Rabbi e Peio in cui è presente il PNS.
90
Nel 1982 il 50% dei cervi dell'UG erano stimati presenti nelle core areas della popolazione (tra
Bresimo, Vermiglio e Mezzana-Pellizzano; 548 cervi su 1150). Nel PNS, nello stesso periodo
erano stimati 51 cervi.
Figura 4.23 – Sitazione del cervo in Val di Sole negli anni '70. In diverso gradiente di grigio gli anni in cui
viene dato avvio al prelievo venatorio nelle riserve del Distretto Val di Sole e in parte del Distretto Alta Val
di Non. Le aree bordate di rosso rappresentano le prime aree in cui negli anni '70 si sviluppo attività di
bramito; da sinistra a destra, Vermiglio, Pellizzano-Mezzana e Malgazza.
Dal 1985 AL 1993-94 non si ha ancora una chiara idea della consistenza della popolazione di
cervi e delle sue capacità di crescita. In questo periodo i tassi di prelievo vengono mantenuti
relativamente costanti e ciò consente una più rapida crescita della popolazione. La popolazione
cresce all'esterno del Parco, ma comincia ad affermarsi e a crescere più rapidamente anche
all'interno dell'area protetta. Il baricentro/asse portante della popolazione è ancora esterno al
Parco dello Stelvio.
Dal 1994 al 1999 vengono progressivamente alzati gli abbattimenti (e i tassi di prelievo). La
popolazione comunque continua a crescere nonostante la programmazione venatoria preveda
di prelevare tutto l’IUA (incremento utile annuo). La stesura dei piani di prelievo, a titolo
prudenziale, si basa sui numeri derivati dai censimenti che rappresentano ancora delle
sottostime della consistenza reale. La crescita è ora più lenta all'esterno del Parco ed
esponenziale all'interno, dove si sta creando una nuova core area che garantisce ottime
condizioni di tranquillità.
In questi anni di continua crescita della popolazione si decide di alzare ulteriormente e
costantemente di anno in anno i prelievi e i tassi per riuscire a raggiungere un punto di equilibrio
in cui la popolazione smetta di crescere (verifcandolo con gli annuali censimenti primaverili).
Questo per rallentare la crescita di una popolazione che comincia a creare alcuni problemi di
convivenza (collisioni, danni alle attività agricole) e per capire in modo chiaro qual è la reale
consistenza della popolazione e che entità di prelievo applicare per mantenere una situazione
di equilibrio (accrescimento zero). A fronte di un prelievo che si fa percentualmente e
numericamente sempre più importante, il baricentro della popolazione comincia a spostarsi
verso l'interno del Parco Nazionale dello Stelvio (Figura 4.24) che comincia ad essere percepito
come zona rifugio prioritaria. Dal 1993 al 2000 i prelievi sono progressivamente aumentati da
211 a 509. Nel 2000 la popolazione raggiunge la sua massima consistenza primaverile stimata
in circa 2.560 soggetti (6.7 cervi /Km2 di habitat occupato).
91
100%
Distretto Val di Sole
PNS
80%
60%
40%
20%
0%
82-84
85-88
89-92
93-96
97-00
01-04
05-08
Figura 4.24 – Distribuzione percentuale dei cervi conteggiati all'interno/esterno del PNS durante i
censimenti primaverili. La progressiva e costante concentrazione all'interno dell'area protetta è evidente.
A partire dal 2000 l'aumento dei piani di prelievo ha l'ulteriore scopo di ridurre le consistenze
anche all'interno del Parco, sfruttando il fatto che l'area protetta ha poche aree idonee allo
svernamento e che una buona parte dei cervi che vi trascorre l'estate, compie migrazione
all'esterno durante l'inverno e può quindi essere prelevata in tale periodo. La strategia ha lo
scopo di ridurre una densità elevata che all'interno del Parco crea problemi notevoli alla
rinnovazione del bosco senza la necessità di dover intervenire con abbattimenti all'interno
dell'area protetta.
Questa strategia si prolunga fino al 2004. Nel 2000 i piani di prelievo subiscono un incremento
del 23%, da 554 a 680 e le assegnazioni restano pressoché stabili per 4 anni (Figura 4.25).
Tra il 2000 e il 2004 i prelievi non aumentano più (642 nel 2000; 496, media tra il 2001 e il
2004). L’analisi dei prelievi in relazione alla consistenza della popolazione (tasso medio di
prelievo 2001-2004, 0.23 ± 0.02) mostra come la stabilizzazione sia da imputarsi anche al
sensibile e irregolare aumento della mortalità naturale innescatasi, soprattutto all’interno del
Parco, per fenomeni di dipendenza dalla densità (441 e 311 soggetti rinvenuti morti
rispettivamente nel 2000-01 e nel 2003-04, con tassi di mortalità pari a 0.17 e 0.14).
In questo periodo, contestualmente all'aumento dei piani di prelievo e al prolungamento della
stagione venatoria sino al 31 dicembre, vengono definite e istituite le aree di bramito. Tali aree,
dell'estensione di centinaia di ettari, sono interdette alla caccia al cervo durante l'attività
riproduttiva (dal 15 settembre al 10 di ottobre) ed hanno lo scopo di ricreare condizioni di
maggiore tranquillità per la popolazione e di favorire la (ri)creazione di core areas distribuite in
modo sufficientemente omogeneo anche nel territorio del Distretto della Val di Sole.
Dal 2003, con la prosecuzione della elevata pressione venatoria programmata, si assiste alla
definitiva “rottura” delle core areas esterne al Parco e al conseguente marcato decremento della
popolazione all'esterno al Parco. La divergenza tra piani di prelievo e abbattimenti
effettivamente realizzati si accresce e resta costante nonostante a partire dal 2004 i piani
vengano abbassati.
92
3000
1200
Num Cervi
abbattimenti
consistenza
2500
1000
2000
800
1500
600
1000
400
500
200
0
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
0
2010
Figura 4.25 – Andamento delle consistenze di cervo (in rosso) in relazione agli abbattimenti effettuati (in
blu). I prelievi sono aumentati sino al 2000 per poi diminuire progressivamente a fronte di una
stabilizzazione della consistenza della popolazione totale.
L'esperienza delle aree di bramito risulta fallimentare in quanto nella fase successiva al
periodo riproduttivo (la seconda metà di ottobre), la ripresa dell'attività venatoria contribuisce a
mantenere alto il disturbo e a non permettere la stabilizzazione di nuclei di femmine. I cervi che
cominciano ad utilizzare tali aree vengono solitamente abbattuti durante la seconda fase della
stagione venatoria contribuendo a rafforzare il comportamento diffidente e la scarsa
propensione dei cervi ad un utilizzo stabile e tradizionale del territorio.
Tra il 2001 e il 2006 la popolazione nel suo complesso rimane pressoché costante, fluttuando
tra 2.100 e 2.300 capi, in relazione anche agli andamenti invernali (che nel 2000-01 e 2003-04
contribuiscono alla regolazione naturale).
In tal modo l’obiettivo di stabilizzazione della popolazione attraverso i soli abbattimenti
venatori sembra realizzato. Nel complesso, tuttavia, si ottiene una stabilizzazione della
popolazione ma come somma di due fenomeni opposti: nel Distretto della Val di Sole i prelievi
elevati fanno diminuire la popolazione, mentre nel Parco i cervi si auto-regolano in modo
naturale e proseguono la loro fase di crescita e concentrazione (non naturale, poiché indotta dal
disturbo umano).
La stabilizzazione della popolazione è in realtà frutto di un contemporaneo aumento dei cervi
nel Parco e di una loro diminuzione all’esterno. Il fenomeno è frutto di un duplice effetto:
l'innescarsi di meccanismi di dipendenza dalla densità che frenano la crescita all’interno del
Parco e i piani di prelievo prossimi o superiori all’incremento utile annuo applicati nell'ultimo
decennio nel Distretto Val di Sole.
La sostanziale stabilità della popolazione nel quinquennio 2001-2006 maschera quindi
tendenze differenti che si sono create all’esterno e all’interno del Parco. Dal 2001 al 2006 la
popolazione stimata all’interno del Parco è passata da 1.088 a 1.956 soggetti (tasso istantaneo
di crescita 0.12), mentre nelle zone esterne è diminuita da 1.512 a 910 capi (tasso istantaneo di
crescita -0.10). A partire dal 2001, la frazione di popolazione presente all’esterno del Parco
appare in costante diminuzione, a fronte di una crescita dei cervi presenti nel Parco, in
93
relazione agli elevati piani di prelievo che si sono posti l’obiettivo di fermare la crescita
dell’intera popolazione .
Figura 4.26 – La maggiori densità di popolazione del cervo in Val di Sole si sono progressivamente
spostate all’interno del Parco sino a raggiungere valori molto elevati. All’inizio degli anni ’70 (in alto) la
popolazione cominciò ad affermarsi nella Val di Sole esterna. La mappa indica le densità medie rilevate
per parcella di censimento nel periodo 2001-2005.
L’aumento dei prelievi realizzati solo all’esterno del Parco ha intensificato il comportamento
stanziale della popolazione all’interno del Parco e l’effetto rifugio dell’area protetta, creando
elevate concentrazioni e portando, nel tempo, ad un elevato gradiente nella distribuzione delle
densità progressivamente decrescente man mano che ci si allontana dal territorio del Parco.
Conseguentemente, i piani di prelievo, tarati sull’intera popolazione, hanno causato una
diminuzione delle consistenze nelle aree sottoposte a prelievo venatorio.
In questo periodo il comportamento dei cervi che utilizzano il territorio del Parco si fa sempre
meno mobile. La componente femminile migratoria si riduce notevolmente. Aumenta il
comportamento di utilizzo tradizionale del Parco anche durante l’inverno da parte soprattutto
delle femmine che, spesso, preferiscono le dure condizioni invernali del Parco ad un
comportamento migratorio che le porterebbe in aree di maggiore rischio per la sopravvivenza. A
ciò contribuisce anche la notevole serie di inverni miti che aiuta i cervi ad assumere
comportamenti di tipo stanziale o di tipo migratorio a corto raggio. Negli unici due inverni
caratterizzati da notevoli precipitazioni nevose (2000-01 e 2003-04) i 301 e 226 cervi rinvenuti
morti all'interno del Parco testimoniano la scarsa propensione ai movimenti migratori e la
perdita di conoscenza delle tradizionali rotte di spostamento, anche in caso di situazioni limite
che aumentano il rischio di morte per starvation. Attualmente le cerve stanziali o migratrici di
corto raggio che occupano il territorio del Parco possono oltrepassare i confini solo in caso di
eccezionali e prolungate situazioni di alta neve al suolo che negli ultimi anni non si sono più
verificate. L’elevata mortalità invernale in occasione di inverni particolarmente nevosi pare
94
attualmente il principale fattore in grado di regolare la dinamica della popolazione all’interno del
Parco. Tale mortalità non è legata a fenomeni epidemici, ma a scarsità di cibo in relazione alle
elevate densità (starvation).
La componente maschile, al contrario continua a mantenere una percentuale elevata di
soggetti che compiono movimenti migratori (circa il 50%) e svernano anche a 10-20 km
dall'area protetta. Attualmente le aree con evidente attività di bramito durante il periodo
riproduttivo sono distribuite quasi esclusivamente all’interno del Parco.
Tra il 2006 e il 2008, grazie a due inverni particolarmente miti e favorevoli (rispettivamente
solamente 20 e 56 cervi rinvenuti morti nel corso dei due anni) ed ad una ulteriore diminuzione
degli abbattimenti (407 nel 2007 e 374 nel 2008) si verifica un nuovo aumento della
popolazione nel suo complesso che passa dai 2.350 cervi stimati nel 2006 agli attuali 2.900.
L'aumento non riguarda solo il Parco ma anche il Distretto della Val di Sole in cui i cervi sono
passati da 700 a 1.025.
Le stime mediante mark-resight dimostrano come la sottostima nei censimenti notturni
primaverili si attesti tra il 32% e il 38% con un valore medio del 35%. Le stime di densità
calcolate con altri metodi indipendenti forniscono valori confrontabili e supportano le stime
effettuate.
In base a queste considerazioni si arriva a stimare le consistenze dettagliate nel paragrafo
precedente. La situazione si è profondamente modificata dal 1996 ad oggi, probabilmente
anche in relazione alla strategia adottata e descritta precedentemente. Come mostrato nella
Figura 4.27, il rapporto tra cervi presenti al''interno ed esterno dell'area protetta si è invertito ed
ora (durante la fase estiva) nel Parco è presente quasi il doppio dei cervi presenti all'esterno.
2500
PN STELVIO
V SOLE
2000
Num cervi
1500
1000
500
0
1996
2007
Figura 4.27 – Stime di consistenza del cervo nel PNS e nel Distretto Faunistico Val di Sole. I rapporti
sono profondamente cambiati nell'ultimo decennio.
Se focalizziamo la situazione in termini di densità, la densità complessiva della popolazione è
ragguardevole (quasi 8 cervi/km2) e quella all’interno del Parco è tra le più alte note per l’arco
alpino (23 cervi/km2 di habitat estivo) e supera di un ordine di grandezza quella presente nel
Distretto Val di Sole (23 cervi/km2 contro 3.5 cervi/km2!; Figura 4.28). Tale situazione mostra
ormai differenze di densità tali e un gradiente delle stesse che tende a diminuire man mano che
ci si allontana dall'area protetta (Figura 4.26), da far ritenere la situazione affatto naturale e,
all'interno del Parco, a rischio di ingenerare effetti negativi, sia di carattere economico che
ecologico, sul lungo termine difficilmente sostenibili. Nel successivo capitolo 4.3 verranno
95
affrontati in maggiore dettaglio tutti gli aspetti quantitativi degli attuali e possibili futuri impatti
negativi delle elevate densità della popolazione di cervo.
35
30
PNS
Distretto Val di Sole
CERVI / KMQ
25
20
15
10
5
0
2006
2007
2008
Figura 4.28 – Stima della densità del cervo, rispetto all'area di distribuzione, nel PNS (rosso) e nel
Distretto Val di Sole (blu). Le differenze tra le due aree sono ormai molto elevata e prossime a un ordine
di grandezza; le barre indicano l'intervallo di confidenza delle stime.
96
95
107
1994
562
420
982
1993
500
321
821
Val di Sole
PNS
TOT
Alta Val di Non
21
12
72
3
1994
11
9
4
103
0
7
1
28
22
45
8
105
219
156
264
18
10
63
3
1993
4
0
3
52
4
10
0
30
39
56
7
44
251
121
200
RUMO
LIVO
BRESIMO
CIS
Riserve
CALDES-CAVIZZANA
TERZOLAS
MALE
RABBI
CROVIANA
MONCLASSICO
DIMARO
COMMEZZADURA
MEZZANA
PELLIZZANO
OSSANA
PEIO
VERMIGLIO
P.N. STELVIO - RABBI
P.N. STELVIO - PEIO
137
1995
640
547
1187
27
15
92
4
1995
32
0
10
117
3
10
0
43
23
60
17
89
236
227
320
193
1996
651
642
1293
34
12
142
5
1996
37
5
19
109
2
20
0
39
25
54
0
75
266
321
321
176
1997
612
772
1384
35
37
99
5
1997
28
11
21
100
2
31
3
28
38
67
8
73
202
407
365
258
1998
781
632
1413
53
20
178
7
1998
27
4
13
240
0
46
1
48
39
81
1
144
137
386
246
222
1999
699
959
1658
55
15
145
7
1999
12
5
11
248
5
23
4
54
41
66
0
72
158
458
501
236
2000
663
1001
1664
75
18
134
9
2000
27
6
34
147
2
24
0
19
48
35
6
155
160
404
597
247
2001
749
623
1372
49
27
166
5
2001
13
8
29
142
1
58
0
27
66
108
12
156
129
384
239
184
2002
511
892
1403
54
22
103
5
2002
11
3
23
153
4
17
0
4
37
34
9
114
102
395
497
254
2003
437
1042
1479
54
49
147
4
2003
4
0
11
188
5
12
1
3
32
23
4
92
62
392
650
225
2004
323
1063
1386
54
24
134
13
2004
1
2
15
102
10
10
0
8
34
27
0
43
71
461
602
268
2005
489
1072
1561
74
56
138
0
2005
15
8
3
115
2
19
0
16
95
44
3
93
76
411
661
185
2006
457
1083
1540
43
41
97
4
2006
14
4
13
112
10
24
0
27
44
34
0
75
100
456
627
242
2007
476
1249
1725
63
55
121
3
2007
26
0
21
112
0
20
0
10
50
24
5
114
94
365
884
2008
739
1355
2094
2008
20
8
14
157
4
49
0
21
103
60
0
160
143
517
838
97
Tabella 4.13 – Censimenti del cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia. Sono riportati anche i dati delle riserve dell’Alta Val di Non un tempo appartenenti al
Distretto faunistico “Val di Sole Est”.
5
0
Alta Val di Non
98
0
1
3
1
1
1
3
2
0
2
0
3
0
2
5
1
0
2
5
3
1
0
10
3
1
3
13
4
3
3
15
6
3
2
17
8
3
4
15
6
3
8
18
6
5
6
20
10
4
4
21
10
5
9
23
13
7
10
24
12
10
15
26
13
9
20
26
14
5
7
7
14
5
24
8
36
10
45
14
45
21
71
27
53
30
50
28
61
35
68
41
84
39
75
50
94
53
107
64
140
69
159
1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992
2
5
10
17
24
32
29
43
33
25
31
37
44
34
42
48
65
71
1
0
1
1
4
6
6
14
10
11
14
13
20
18
26
31
44
51
2
2
3
6
8
7
10
14
10
14
16
18
20
23
26
28
31
37
0
0
0
0
1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992
0
0
1
2
1
3
4
6
6
4
6
8
6
8
8
9
13
15
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
1
1
2
1
0
2
3
2
0
0
0
0
0
1
1
1
1
0
2
1
2
3
5
4
6
7
0
0
0
0
0
1
1
4
2
3
5
4
6
6
11
16
23
29
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
1
0
2
3
2
1
2
2
2
1
2
3
2
2
2
2
3
0
0
1
1
2
1
2
0
2
0
0
1
1
0
2
1
5
4
0
2
3
4
6
4
8
10
8
8
8
8
10
4
9
10
12
13
1
1
3
4
5
9
0
10
8
4
5
5
7
6
5
8
7
8
1
1
2
2
4
8
9
9
4
5
6
8
9
8
7
8
10
12
0
0
0
2
2
4
4
5
2
2
2
3
4
2
4
4
6
7
1
0
1
1
4
5
5
10
8
8
9
9
14
12
15
15
21
22
2
2
3
6
8
7
10
14
10
14
16
18
20
23
26
28
31
37
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
TOTALE
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
RUMO
LIVO
BRESIMO
CIS
Riserve
CALDES-CAVIZZANA
TERZOLAS
MALE
RABBI
CROVIANA
MONCLASSICO
DIMARO
COMMEZZADURA
MEZZANA
PELLIZZANO
OSSANA
PEIO
VERMIGLIO
P.N. STELVIO - RABBI
P.N. STELVIO - PEIO
Tabella 4.14 – Abbattimenti di cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia. Sono riportati anche i dati delle riserve dell’Alta Val di Non un tempo appartenenti al
Distretto faunistico “Val di Sole Est”.
Alta Val di Non
TOTALE
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
RUMO
LIVO
BRESIMO
CIS
Riserve
CALDES-CAVIZZANA
TERZOLAS
MALE
RABBI
CROVIANA
MONCLASSICO
DIMARO
COMMEZZADURA
MEZZANA
PELLIZZANO
OSSANA
PEIO
VERMIGLIO
P.N. STELVIO - RABBI
P.N. STELVIO - PEIO
16
22
39
21
18
30
43
23
21
26
52
27
21
27
52
29
21
28
49
31
23
20
52
32
24
22
49
31
27
21
53
24
24
31
52
29
27
33
60
32
29
38
60
22
30
33
58
29
31
35
53
25
84
211
98
256
114
266
126
374
129
431
129
432
127
509
126
642
125
451
136
577
152
527
149
429
150
452
144
407
374
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
92
115
118
171
192
197
217
251
206
211
182
163
173
158
142
71
83
83
129
160
165
213
297
165
279
271
197
218
185
181
48
58
65
74
79
70
79
94
80
87
74
69
61
64
51
13
21
32
18
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
20
20
24
27
33
35
35
38
38
33
31
27
29
28
23
3
3
5
5
7
8
6
11
5
5
8
5
5
3
3
9
10
11
17
17
17
20
22
19
13
13
13
16
13
14
40
46
52
65
78
85
108
149
80
140
144
101
115
97
94
1
1
2
3
4
5
6
7
5
3
4
4
7
5
6
2
8
6
12
17
19
19
24
25
23
19
14
19
16
16
0
4
6
10
6
9
6
5
5
3
2
3
5
3
5
17
22
20
29
31
30
38
38
31
30
18
16
13
18
13
13
14
13
21
23
24
29
40
28
36
28
25
25
20
18
15
18
20
23
29
27
31
34
35
38
39
33
37
38
30
12
15
11
24
25
23
27
32
15
27
20
23
17
14
14
31
37
31
64
82
80
105
148
85
139
127
96
103
88
87
48
58
65
74
79
70
79
94
80
87
74
69
61
64
51
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
99
89
45
Alta Val di Non
100
6
10
24
11
8
10
23
13
8
10
24
13
12
16
26
14
14
20
26
15
15
23
34
18
18
24
39
21
20
24
43
22
21
26
52
27
25
28
55
29
23
28
55
32
24
27
53
33
29
26
53
34
28
26
60
33
28
24
55
30
32
26
60
35
33
28
63
37
31
28
63
36
33
28
63
37
51
104
54
105
55
120
68
156
75
174
90
230
102
279
109
304
126
392
137
478
138
508
137
554
142
680
147
678
137
687
153
660
161
618
158
574
161
562
419
1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
49
55
54
62
75
85 113 134 143 183 224 235 251 282 283 289 271 232 218 217 162
20
26
25
30
47
52
69
87
97 133 167 185 215 301 301 301 301 301 281 270 197
20
23
26
28
34
37
48
58
64
76
87
88
88
97
94
97
88
85
75
75
60
5
9
21
10
1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
8
8
10
12
14
16
20
23
26
31
36
38
38
42
42
42
41
34
32
32
26
2
3
2
2
3
3
5
5
6
11
10
11
12
12
12
13
11
11
9
9
6
2
4
6
8
8
9
9
11
12
17
20
21
24
27
28
28
23
22
20
22
15
6
9
11
16
26
30
38
48
54
69
84
95 108 149 149 149 149 149 140 135
98
1
1
1
1
1
1
3
3
3
5
6
6
6
10
10
10
7
7
8
8
6
4
4
4
4
4
7
9
9
9
11
19
21
23
26
27
28
28
24
24
25
18
3
2
2
4
6
6
9
12
9
14
16
12
13
13
12
13
11
7
9
10
8
8
10
8
10
13
13
17
21
23
29
35
38
39
42
40
42
34
26
22
20
15
7
9
8
8
10
10
14
17
18
23
27
30
33
40
40
40
42
35
31
30
22
9
9
8
8
10
12
15
18
20
23
29
29
31
35
37
38
40
40
38
38
30
5
5
5
5
6
8
12
15
17
19
26
29
32
35
35
35
34
26
25
23
16
14
17
14
14
21
22
31
39
43
64
83
90 107 152 152 152 152 152 141 135
99
20
23
26
28
34
37
48
58
64
76
87
88
88
97
94
97
88
85
75
75
60
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
TOTALE
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
RUMO
LIVO
BRESIMO
CIS
Riserve
CALDES-CAVIZZANA
TERZOLAS
MALE
RABBI
CROVIANA
MONCLASSICO
DIMARO
COMMEZZADURA
MEZZANA
PELLIZZANO
OSSANA
PEIO
VERMIGLIO
P.N. STELVIO - RABBI
P.N. STELVIO - PEIO
Tabella 4.15 – Piani di prelievo di cervo nell’UG suddivisi per Riserva di caccia. Sono riportati anche i dati delle riserve dell’Alta Val di Non un tempo appartenenti
al Distretto faunistico “Val di Sole Est”.
53
77
96
98
136
137
157
154
153
145
142
137
170
212
256
307
368
464
609
770
991
1158
1328
1491
1642
1788
1930
2006
1771
1798
1694
1548
1546
1518
1548
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
CA ad
1973
ANNI
82
104
126
144
168
196
216
222
216
206
214
221
273
325
388
444
555
716
910
1146
1389
1613
1828
2098
2304
2440
2624
2832
2347
2430
2338
2051
2134
2002
2085
CA tot
0.77
0.64
0.62
0.53
0.62
0.62
0.57
0.44
0.56
0.23
0.50
0.34
0.34
0.45
0.32
0.39
0.35
PP/FF
RS
1.56
1.61
1.54
1.48
1.38
1.34
1.28
1.26
1.27
1.22
1.15
1.16
1.20
1.19
1.19
1.20
670
491
585
612
718
722
862
928
1078
1194
1263
1511
1826
1989
2129
2174
2551
2560
2111
2158
2275
2132
2296
2333
2782
2908
N tot
D tot
1.8
1.3
1.5
1.6
1.9
1.9
2.3
2.4
2.8
3.1
3.3
4.0
4.8
5.2
5.6
5.7
6.7
6.7
5.6
5.7
6.0
5.6
6.3
6.2
7.0
7.7
1732
2072
2505
2728
2920
2919
3279
3285
2600
2815
2808
2624
2970
2866
3468
3597
N est
1589
1526
1781
2072
2228
2367
2341
2544
2279
1817
2003
1848
2024
2379
2327
ST pri
39
58
97
110
142
170
189
213
255
250
320
494
646
842
988
1188
972
1475
1540
958
1372
1603
1635
1576
1641
2015
1882
N PNS
666
611
394
475
470
549
534
650
673
827
874
769
865
985
1002
942
1202
1075
1020
1152
786
672
497
719
692
768
1026
N VS
0.5
0.7
1.2
1.3
1.7
2.1
2.3
2.6
3.1
3.1
3.9
6.1
7.9
10.3
12.1
14.6
11.9
18.1
18.9
11.8
16.8
19.7
20.1
20.2
20.4
23.6
23.1
D PNS
101
D VS
Tabella 4.16 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG. CA consistenza ricavata dalla cohort analysis; PP/FF rapporto piccoli-femmine
ricavato dalla cohort analysis e, dal 1996, da osservazioni dirette; RS rapporti sessi cohort analysis; N consistenza primaverile ricavata dai censimenti corretti con
2
la sottostima stimata mediante mark-resight; D densità cervi/km area occupata; N est stima consistenza estiva; PNS area del parco; VS resto della Val di Sole.
2.2
2.1
1.3
1.6
1.6
1.8
1.8
2.2
2.3
2.8
2.9
2.6
2.9
3.3
3.4
3.2
4.0
3.6
3.4
3.9
2.6
2.3
1.7
2.5
2.4
2.5
3.4
102
ANNI
N tot N PNS N VS PdA Abb
1973
2
1974
2
1975
5
1976
7
1977
14
1978
24
1979
36
1980
45
1981
45
1982
706
39
666
71
1983
670
58
611
53
1984
491
97
394
50
1985
585
110
475
61
1986
612
142
470
68
1987
718
170
549
89
84
1988
722
189
534
104
75
1989
862
213
650
105
94
1990
928
255
673
120
107
1991 1078
250
827
156
140
1992 1194
320
874
174
159
1993 1263
494
769
230
211
1994 1511
646
865
279
256
1995 1826
842
985
304
266
1996 1989
988 1002
392
374
1997 2129
1188
942
478
431
1998 2174
972 1202
508
432
1999 2551
1475 1075
554
509
2000 2560
1540 1020
680
642
2001 2111
958 1152
678
451
2002 2158
1372
786
687
577
2003 2275
1603
672
660
527
2004 2132
1635
497
618
429
2005 2296
1576
719
574
452
2006 2333
1641
692
562
407
2007 2782
2015
768
419
374
2008 2908
1882 1026
419
5
2
7
1
1
7
24
42
67
100
85
100
128
441
104
155
311
79
160
53
122
M
1
22
38
36
26
60
301
60
71
226
38
120
20
83
M PNS
0.12
0.14
0.12
0.13
0.14
0.15
0.18
0.18
0.17
0.20
0.22
0.23
0.22
0.27
0.32
0.32
0.29
0.29
0.25
0.24
0.15
T PdA
0.16
0.19
0.16
0.18
0.19
0.20
0.30
0.32
0.31
0.39
0.51
0.42
0.52
0.67
0.59
0.87
0.98
1.24
0.80
0.81
0.55
T PdA (VS)
0.10
0.08
0.10
0.10
0.11
0.12
0.10
0.11
0.12
0.13
0.13
0.17
0.17
0.15
0.19
0.20
0.20
0.20
0.25
0.21
0.27
0.23
0.20
0.20
0.17
0.13
T Abb
0.11
0.09
0.13
0.13
0.14
0.15
0.14
0.14
0.16
0.17
0.18
0.27
0.30
0.27
0.37
0.46
0.36
0.47
0.63
0.39
0.73
0.78
0.86
0.63
0.59
0.49
T Abb (VS)
0.01
0.02
0.03
0.04
0.05
0.04
0.05
0.05
0.17
0.05
0.07
0.14
0.04
0.07
0.02
0.04
TM
0.03
0.04
0.03
0.03
0.04
0.20
0.06
0.05
0.14
0.02
0.08
0.01
0.03
TM (PNS)
Tabella 4.17 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG. N consistenza ricavata dai censimenti corretti con la sottostima stimata mediante
mark-resight; PNS area del parco; VS resto della Val di Sole; PdA piano di prelievo; Abb abbattimenti; M morti; TM tasso di mortalità.
73-74
74-75
75-76
76-77
77-78
78-79
79-80
80-81
81-82
82-83
83-84
84-85
85-86
86-87
87-88
88-89
89-90
90-91
91-92
92-93
93-94
94-95
95-96
96-97
97-98
98-99
99-00
00-01
01-02
02-03
03-04
04-05
05-06
06-07
07-08
FEMMINE
0
15
14
17
32
14
32
27
40
31
28
34
46
55
53
60
70
100
144
164
213
238
247
276
330
346
349
377
455
276
297
357
249
296
251
275
5
14
13
11
33
11
27
21
31
23
25
23
43
50
45
52
65
90
128
145
182
199
209
212
263
263
266
270
249
212
211
207
186
202
203
1
2
10
5
13
8
11
25
10
16
13
18
13
14
16
28
37
33
46
54
85
109
124
157
168
171
163
200
208
211
185
187
150
149
161
151
164
5
9
4
8
8
9
20
8
7
10
8
10
10
16
26
31
31
41
52
76
96
108
126
136
148
126
150
164
142
148
136
103
110
120
118
3
0
5
8
3
8
7
8
10
5
5
7
5
9
9
14
24
27
27
39
47
70
83
92
109
111
118
107
124
130
112
113
104
85
86
99
4
5
0
4
5
3
5
4
5
8
4
5
4
5
6
8
12
21
26
24
37
45
62
68
78
90
82
97
78
81
96
82
85
81
68
70
5
0
5
0
3
5
2
4
3
4
7
4
3
4
4
5
7
12
19
24
23
35
40
52
58
66
75
70
78
54
64
73
60
68
62
60
6
0
0
4
0
3
5
2
3
3
1
5
2
3
3
4
4
5
12
16
18
23
29
36
39
50
55
67
58
53
49
47
58
51
54
52
7
0
0
0
3
0
2
4
2
1
2
1
4
1
2
3
2
3
4
11
14
17
18
27
32
29
42
46
58
43
44
37
40
47
44
45
8
0
0
0
0
0
0
2
3
1
1
1
0
3
1
1
2
2
1
3
11
13
14
16
23
25
22
36
38
45
37
32
31
35
33
34
9
0
0
0
0
0
0
0
2
3
1
1
1
0
2
1
1
1
2
1
3
11
12
10
15
15
21
20
28
22
34
27
19
30
23
24
10
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
0
0
1
0
2
1
1
1
1
1
2
8
11
9
13
12
18
12
16
20
22
24
12
25
18
11
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
0
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Tabella 4.19 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG mediante cohort analysis; numero di individui totali presenti per anno ed età.
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953 2134 1.02
876 2002 1.08
901 2085 1.05
RSA TN TNF
0.95 0.56 1.15
0.97 0.35 0.72
0.92 0.31 0.65
0.69 0.47 1.15
1.07 0.23 0.45
0.93 0.43 0.89
1.06 0.38 0.74
0.86 0.44 0.95
1.01 0.41 0.82
1.06 0.43 0.83
1.05 0.51 1.00
0.93 0.61 1.27
1.27 0.61 1.08
1.36 0.53 0.93
1.33 0.52 0.90
1.24 0.45 0.81
1.41 0.51 0.87
1.49 0.54 0.91
1.72 0.49 0.78
1.70 0.49 0.78
1.66 0.40 0.64
1.71 0.39 0.62
1.62 0.38 0.61
1.49 0.41 0.68
1.48 0.40 0.68
1.36 0.36 0.63
1.30 0.36 0.64
1.30 0.41 0.73
1.37 0.33 0.56
1.29 0.35 0.62
1.26 0.41 0.73
1.36 0.33 0.56
1.34 0.38 0.66
1.36 0.32 0.55
1.42 0.35 0.59
0.24
0.19
0.13
0.15
0.15
0.10
0.03
-0.03
-0.05
0.04
0.03
0.21
0.17
0.18
0.13
0.22
0.25
0.24
0.23
0.19
0.15
0.13
0.14
0.09
0.06
0.07
0.08
-0.19
0.03
-0.02
-0.15
0.04
-0.06
0.04
R0
IUA FAB MAB
0
2
0.27
0
2
0.21
0
5
0.14
1
6
0.17
2
13
0.17
2
22
0.10 10
25
0.03 11
35
-0.03 15
38
-0.05 39
34
0.04 15
36
0.03 17
33
0.24 28
33
0.19 29
40
0.19 35
41
0.14 23
51
0.25 32
52
0.29 37
70
0.27 63
76
0.26 75
73
0.21 111
96
0.16 126 117
0.13 160 110
0.15 185 171
0.10 246 185
0.06 232 178
0.08 259 231
0.08 324 296
-0.17 237 208
0.04 294 287
-0.02 266 263
-0.14 202 224
0.04 234 222
-0.06 189 218
0.04 208 164
AB
2
2
5
7
15
24
35
46
53
73
51
50
61
69
76
74
84
107
139
148
207
243
270
356
431
410
490
620
445
581
529
426
456
407
372
105
TAB SRAB FM MM M TM
0.04 0.00
0 0
0 0.00
0.03 0.00
0 0
0 0.00
0.05 0.00
0 0
0 0.00
0.07 0.17
0 0
0 0.00
0.11 0.15
0 0
0 0.00
0.18 0.09
0 0
0 0.00
0.22 0.40
0 0
0 0.00
0.30 0.31
0 0
0 0.00
0.35 0.39
0 0
0 0.00
0.51 1.15
0 0
0 0.00
0.36 0.42
0 0
0 0.00
0.36 0.52
0 1
1 0.00
0.36 0.85
0 0
0 0.00
0.33 0.73
0 0
0 0.00
0.30 0.85
1 4
5 0.01
0.24 0.45
2 0
2 0.00
0.23 0.62
5 2
7 0.01
0.23 0.53
0 0
0 0.00
0.23 0.83
1 0
1 0.00
0.19 1.03
5 2
7 0.01
0.21 1.16 14 10 24 0.02
0.21 1.08 30 12 42 0.03
0.20 1.45 45 22 67 0.04
0.24 1.08 58 42 100 0.05
0.26 1.33 51 34 85 0.04
0.23 1.30 53 47 100 0.04
0.25 1.12 76 52 128 0.05
0.31 1.09 240 201 441 0.16
0.25 1.14 50 54 104 0.04
0.32 1.02 71 84 155 0.06
0.31 1.01 145 166 311 0.13
0.28 0.90 54 25 79 0.04
0.29 1.05 72 88 160 0.07
0.27 0.87 28 19 47 0.02
0.24 1.27 41 40 81 0.04
Tabella 4.20 – Ricostruzione della dinamica di popolazione del cervo nell’UG mediante cohort analysis; PF piccoli femmine; PM piccoli maschi; P piccoli totali; FAD
femmine adulte; MAD maschi adulti; ADT adulti totali; FT femmine totali; MT maschi totali; TOT totale; RSP rapporto sessi nei piccoli; RSA adulti; TN tasso di
natalità; TNF tasso natalità sulle femmine; R0 tasso finito di crescita; IUA incremento utile annuo; FAB femmine abbattute; MAB maschi abbattuti; AB totale
abbattuti; TAB tasso di abbattimrnto; SR AB rapporto sessi abbattuti; F M femmine rinvenute morte; M M maschi rinvenuti morti; M totale rinvenuti morti; TM tasso
mortalità naturale.
&'/1)4#(+#'56476674#
Nel presente capitolo vengono presentate alcune delle informazioni e delle analisi ricavate
dalla raccolta dei dati sulla popolazione di cervi effettuata dalla data di partenza del Progetto,
volte a meglio caratterizzare lo stato della popolazione in termini demografici, di struttura della
popolazione e di potenzialità di accrescimento.
4.2.4.1.
Rapporto tra i sessi
Il rapporto sessi (RS) della popolazione non sembra essere vicino alla parità ed è debolmente
sbilanciato a favore delle femmine. Tuttavia, in base all'analisi delle sue variazioni nel tempo
(basate sui dati della cohort analysis, Figura 4.29), è possibile notare come lo sbilanciamento
nel RS sia aumentato sino ai primi anni '90 (1.7 femmine per maschio), per poi diminuire fino a
valori medi di 1.3 femmine per maschio in ragione del prelievo selettivo maggiormente orientato
alle femmine operato nella seconda metà degli anni '90.
1.8
1.6
1.4
1.2
1
0.8
Rapporto sessi
Rapporto sessi abbattimenti
0.6
85-86
87-88
89-90
91-92
93-94
95-96
97-98
99-00
01-02
03-04
05-06
07-08
Figura 4.29 – Variazione del rapporto sessi nella popolazione in base alla cohort analysis (linea blu). Il
RS è andato progressivamente verso un riequilibrio quando nei piani di prelievo è stato prelevato un
maggior numero di femmine per raggiungere lo scopo (linea nera); il rapporto sessi è indicato come
numero di femmine per maschio.
Ipotizzando che i cervi morti in modo naturale siano un campione rappresentativo della
popolazione, dall'analisi della loro distribuzione per sesso ed età è possibile stimare il rapporto
sessi medio della popolazione per il decennio 1997-2007 (a tale periodo si riferisce la maggior
parte dei dati – Figura 4.30). In realtà numerosi studi di ecologia e demografia indicano
106
chiaramente come, soprattutto a densità elevate, i tassi di mortalità siano differenziati tra i sessi
e maggiori nella classe maschile (Clutton Bock et al., 1982; Clutton Bock et al., 1997; Loesk et
al., 1999; Mysterud et al., 2000). Il nostro intento è tuttavia quello di mostrare come e in che
entità il rapporto sessi sia comunque sbilanciato a favore delle femmine. In caso di mortalità
differenziale tra i due sessi, le stime qui presentate rappresenteranno comunque una sottostima
di un RS ancora più sbilanciato a favore delle femmine. Le informazione riferite ai soggetti
radiomarcati fanno comunque propendere per una mortalità percentualmente relativamente
simile nei due sessi.
In base a tali dati il RS medio nella parte adulta della popolazione (3 o più anni) si attesta sul
valore di 1 maschio ogni 1.5 femmine (Tabella 4.21). Come lecito attendersi il rapporto sessi dei
piccoli è prossimo alla parità in quanto il RS alla nascita è vicino a 1:1. Il RS aumenta poi
progressivamente con le classi di età sino a raggiungere il valore di 1 maschio per 2.45
femmine nei soggetti di 11 o più anni.
Il RS negli abbattimenti che avvengono all'esterno del Parco è ormai corretto da molti anni.
Tra il 1992 e il 2007 il RS medio negli abbattimenti è risultato pari a 1 maschio per 1.12
femmine ± 0.15.
In ragione di ciò è lecito attendersi che l'attuale squilibrio tra i sessi sia frutto delle elevate
densità presenti ormai da parecchi anni nel Parco. E' noto che elevate densità di popolazione
aumentano in modo differenziale i tassi di mortalità e di emigrazione tra i sessi, portando il RS a
favore delle femmine. In caso di elevate densità, condizioni difficili e scarsità di alimento sono i
maschi, più grossi e pesanti, a pagare il maggior tributo. Ciò sembra essere confermato anche
dal rapporto tra i sessi stimato in base alle osservazioni estive (in occasione del censimento del
camoscio) il cui sbilanciamento nel Parco sembra aumentare all’aumentare della densità della
popolazione (Figura 4.31).
350
femmine
maschi
300
250
200
150
100
50
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
20
ANNI
Figura 4.30 – Distribuzione dei cervi rinvenuti morti nel periodo 1996-2007 per classi di sesso ed età.
107
Tabella 4.21 – Stima del RS nella popolazione per classi d'età in base ai dati di mortalità. PNS, rinvenuti
morti nel Parco; DVS, rinvenuti morti nel Distretto Val di Sole.
Classe d'età
Rapporto Sessi (mm : ff)
Morti totali
PNS
DVS
0.5 anni
1 : 1.03
1 : 0.94
1 : 1.26
1-2 anni
1 : 0.88
1 : 0.98
1 : 0.81
3-5 anni
1 : 1.36
1 : 0.91
1 : 2.13
6-10 anni
1 : 1.41
1 : 1.16
1 : 1.73
11+ anni
1 : 2.45
1 : 2.56
1 : 2.33
3 o + anni
1 : 1.49
1 : 1.13
1 : 2.01
1.40
rapporto sessi
1.20
1.00
0.80
0.60
0.40
R Sq Linear = 0.614
1000.00
1200.00
1400.00
1600.00
1800.00
2000.00
Consistenza (anno precedente)
Figura 4.31– Il rapporto tra i sessi del cervo nel PNS sembra aumentare all’aumentare della densità della
popolazione.
4.2.4.2.
Struttura della popolazione per età
La struttura per età della popolazione è ricavata dalla cohort analysis. I dati risultano pertanto
attendibili sino al periodo 2001-02. Un confronto tra la struttura di età nel periodo 1980-85 e
1997-2002 (Figura 4.32), mostra un notevole miglioramento ed invecchiamento della
popolazione dovuto sia al progressivo miglioramento dei criteri di gestione venatoria, sia al fatto
che ormai più della metà della popolazione stessa gode della protezione del Parco e può quindi
raggiungere con maggiore facilità le età più avanzate. Di ciò se ne giova decisamente anche la
componente venatoria in grado di raccogliere annualmente un buon numero di maschi adulti
caratterizzati da comportamento migratorio da e verso il Parco. L'attuale struttura per età indica
una popolazione ben strutturata con età medie che sono andate via via aumentando. Nel
periodo citato l'età media dei maschi è passata da 1,2 a 1,85 anni e quella delle femmine da 1,7
a 2,2 anni. Resta ancora il già citato squilibrio tra i sessi. In ogni caso le classi adulte sono ben
108
rappresentate e prossime alla struttura teorica ritenuta ottimale per un popolazione di cervo
(Figura 4.32).
12+
FEMMINE 80-85
FEMMINE 97-02
MASCHI 80-85
MASCHI 97-02
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
-40%
-30%
-20%
-10%
0%
10%
20%
30%
40%
Figura 4.32 – Struttura della popolazione di cervo per sessi ed età ricavata dalla cohort analysis in due
differenti periodi storici.
Tabella 4.22 – Evoluzione della struttura della popolazione di cervo per sessi e classi d'età tra il 1980-85
e il 1997-2002.
Maschi 80-85
Maschi 97-02 Teorica
Femmine 80-85 Femmine 97-02 Teorica
Piccoli
31%
29%
25%
Piccoli
33%
26%
23%
Fusoni
28%
21%
17%
Sottili
23%
19%
15%
2-4 anni
33%
31%
29%
2-3 anni
21%
24%
21%
5-9 anni
6%
17%
27%
4-10 anni
22%
30%
38%
10+ anni
1%
2%
2%
11+ anni
1%
2%
2%
4.2.4.3.
Analisi della mortalità naturale
La Figura 4.33 indica l'andamento numerico della mortalità naturale a partire dagli anni '90.
Esiste una stretta relazione, dal momento in cui la popolazione ha cominciato ad assumere
valori di densità medio-alti, tra l'entità della mortalità invernale e la nevosità e la durezza
dell'inverno (tra il 94-95 e il 2007-08, il coefficiente di correlazione è di 0.92). L'indice di nevosità
presentato nella figura è stato calcolato come integrale dell'altezza della neve al suolo dal 1
ottobre al 30 maggio misurata presso la Stazione di Peio Tarlenta (Val di Peio, dati dei campi
neve
disponibili
sul
sito
web
di
Meteotrentino
–
http://www.meteotrentino.it/yeti1/elencoStazioni.aspx?ID=132).
Negli anni di mortalità maggiore, legati allo sfavorevole andamento dell'inverno, gli episodi di
mortalità particolarmente elevata colpiscono soprattutto il territorio del Parco in cui le densità
sono più elevate e più evidenti sono i fattori di regolazione naturale dipendenti dalla densità
109
(Figura 4.34 e Figura 4.35). Tra il 1992 e il 2008, in tutta l'UG il tasso medio di mortalità naturale
è risultato pari al 5.6% (con una DS elevata pari al 4%), con punte massime negli anni più duri
rispettivamente del 17% e del 7%. Nel solo PNS il tasso medio di mortalità naturale è risultato
del 5.8% con punte massime del 20% e del 14%.
L'entità dei tassi di mortalità è quindi strettamente dipendente dalla densità della popolazione
e dalla quantità di neve che cade durante l'inverno. I due fattori contribuiscono a regolare e
rallentare la crescita della popolazione in caso di alte densità.
1000
30000
cervi rinvenuti morti
indice di nevosità
900
25000
800
700
20000
Num cervi
600
500
15000
400
10000
300
200
5000
100
0
0
81-82
83-84
85-86
87-88
89-90
91-92
93-94
95-96
97-98
99-00
01-02
03-04
05-06
07-08
Figura 4.33 – Serie storica dei rinvenimenti di cervi morti. Nell'ultimo quindicennio esiste una stretta
relazione tra mortalità naturale e nevosità e durezza dell'inverno (linea blu).
350
PNS
DVS
300
Num cervi
250
200
150
100
50
0
95-96
96-97
97-98
98-99
99-00
00-01
01-02
02-03
03-04
04-05
05-06
06-07
07-08
Figura 4.34 – Serie storica dei rinvenimenti di cervi morti. Gli episodi di mortalità particolarmente elevata
colpiscono soprattutto il territorio del Parco in cui le densità sono più elevate (barre rosse).
110
.5.5
.4.4
.3.3
.2.2
Mortalityrate
rate
Mortality
.1.1
0.0
0.0
-.1
-.1
00
100000
100000
200000
200000
300000
300000
Total
Totalabundance
abundance**Average
Averagesnow
snowdepth
depth
Figura 4.35 – I tassi di mortalità annuali (mortality rate) della popolazione sono strettamente correlati e
regolati da due fattori: la densità/consistenza della popolazione (Total abundance) e la nevosità della
stagione invernale che limita la disponibilità di cibo (Average snow depth).
Figura 4.36 – Localizzazione geografica di tutti i cervi rinvenuti morti nell'UG.
4.2.4.4.
Analisi della natalità e della produttività della popolazione
E' possibile farsi un'idea della produttività della popolazione presente all'interno del Parco,
valutando il rapporto piccoli/femmine stimato in base ai conteggi dei cervi effettuati durante i
111
censimenti estivi del camoscio, realizzati tra il mese di luglio e agosto. In base ai numerosi studi
sull'ecologia e demografia del cervo è noto che la specie modula i suoi accrescimenti in caso di
alte densità, non solo a causa dell'aumento della mortalità, ma anche attraverso una riduzione
della produttività in termini di piccoli nati (Clutton-Brock et al., 1982). Il meccanismo è legato allo
scadimento della condizione media della popolazione (pesi medi inferiori, minori accumuli di
grasso) all'aumento della densità. Ciò fa diminuire la probabilità che una femmina raggiunga lo
stato di fertilità e fa si che l'età del primo accoppiamento (l'età delle primipare) si dilazioni nel
tempo sino ai 4-5 anni. In conseguenza risulta una diminuzione del numero di piccoli prodotti
per femmina e in una ulteriore diminuzione dell'incremento utile annuo. Il rapporto tra piccoli e
femmine totali in popolazioni caratterizzate da densità medie e buoni incrementi, si attesta su
valori del 65-70%. La Tabella 4.23 mostra i valori del rapporto piccoli/femmine, rilevato come
descritto per la popolazione di cervi del Parco dello Stelvio. I tassi di natalità all’interno del
Parco risultano estremamente variabili in funzione della densità e dell’andamento meteoclimatico dell’inverno. Di conseguenza sono molto variabili anche gli incrementi della
popolazione. La Figura 4.37 illustra come, tra il 1997 e il 2008, la produttività della popolazione
all'interno del Parco sia andata progressivamente calando (mediamente dal 60% al 40%, con
punte del 35%).
Tabella 4.23 – Rapporto piccoli/femmine (produttività) e rapporto sessi stimato in base alle osservazioni
di cervo effettuate durante i censimenti estivi di camoscio. N, numero di cervi osservati; i rinvenuti morti
fanno riferimento all'anno biologico precedente (p.es., per il 1997 al periodo giugno 1996 – maggio 1997).
ANNO
112
CERB/FF
RS
N
Rinvenuti morti
1997
0.62
0.70
296
100
1998
0.57
0.46
560
85
1999
0.44
0.94
522
100
2000
nd
nd
nd
128
2001
0.23
1.13
612
441
2002
0.50
0.67
498
104
2003
0.34
1.02
706
155
2004
0.34
1.24
720
311
2005
0.45
0.96
773
79
2006
0.32
1.30
771
160
2007
0.39
0.98
865
53
2008
0.35
1.26
486
122
0.7
0.6
piccoli / femmine
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Figura 4.37 – La produttività della popolazione di cervo all'interno del Parco (stimata come rapporto
estivo piccoli/femmine) è andata progressivamente calando negli ultimi 12 anni.
Le cause, come già accennato e come verrà illustrato nel suo complesso nel paragrafo
4.2.4.5, sono legate alle elevate densità ed alla modulazioni degli andamenti meteo-climatici. I
tassi di natalità dipendono inversamente dalla densità e dalla neve. Possiamo notare infatti
dalle elaborazioni di Figura 4.38, Figura 4.39 e Figura 4.40 come la produttività della
popolazione diminuisca all'aumentare della consistenza (e della densità) della stessa e
all'aumentare della durezza e nevosità dell'inverno precedente in cui è avvenuta la fase di
gestazione.
0.65
0.6
0.55
piccoli / femmine
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
800
1000
1200
1400
1600
1800
2000
2200
Consistenza popolazione
Figura 4.38 – La produttività della popolazione di cervo all'interno del Parco (stimata come rapporto
estivo piccoli / femmine) diminuisce in modo significativo all'aumentare della densità di popolazione.
113
0.7
0.6
piccoli / femmine
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
nevosità
Figura 4.39 – La produttività della popolazione di cervo all'interno del Parco (stimata come rapporto
estivo piccoli / femmine) diminuisce all'aumentare della durezza e nevosità dell'inverno.
500
450
400
350
Morti
300
250
200
150
100
50
0
0.2
0.25
0.3
0.35
0.4
0.45
0.5
0.55
0.6
0.65
Piccoli / femmine
Figura 4.40 – La produttività della popolazione di cervo all'interno del Parco (stimata come rapporto
estivo piccoli / femmine) diminuisce all'aumentare della durezza e nevosità dell'inverno. Possiamo notare
infatti una buona relazione tra l'aumento dei rinvenimenti di cervi morti negli inverni particolarmente duri e
la produttività della popolazione nell'anno successivo.
Dall'analisi dei dati ricavati durante le osservazioni estive è possibile notare anche una
relazione significativa (F=22.9, p<0.01) tra il rapporto piccoli/femmine e il rapporto sessi della
popolazione (Figura 4.41). In questo caso il RS viene stimato in base alle osservazioni estive
effettuate al di sopra della vegetazione arborea ed è quindi leggermente sottostimato in quanto
la presenza estiva dei maschi al di sopra del bosco è percentualmente maggiore. Tuttavia il
trend individuato mostra come un rapporto sessi maggiormente equilibrato favorisca una
migliore produttività della popolazione.
114
1.6
1.4
1.2
rapporto sessi
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0.2
0.25
0.3
0.35
0.4
0.45
0.5
0.55
0.6
0.65
piccoli / femmine
Figura 4.41 – La produttività della popolazione di cervo all'interno del Parco (stimata come rapporto
estivo piccoli / femmine) è influenzata anche dalla struttura della stessa. Un rapporto sessi più equilibrato
garantisce una maggiore produttività.
4.2.4.5.
Dinamica di popolazione nel parco e dipendenza dalla densita'
Qualsiasi popolazione animale non si riproduce, in condizioni naturali, illimitatamente, poiché
deve far fronte alla competizione per le risorse con gli individui della stessa specie. La Figura
4.42 mette a confronto la curva di crescita teorica, rispetto a quella reale. La curva teorica, a
sinistra, tiene conto solamente del tasso intrinseco di crescita della popolazione (r0) e mostra un
accrescimento di tipo esponenziale. La curva che descrive i reali incrementi di una popolazione
ha un andamento simile solo nella prima parte ed assume poi un andamento di tipo “sigmoide”.
Lo scostamento è dovuto all’insieme di fattori intrinseci ed estrinseci che limitano una crescita
infinita e che sono nel complesso definiti come resistenza ambientale. L’accrescimento di una
popolazione non continua all’infinito, ma è la risultante dell’incremento naturale e dell’azione dei
fattori ambientali che tendono a frenare l’aumento della popolazione stessa, stabilizzandola
verso uno stato di equilibrio in cui il numero di nascite, in media, equivale il numero di morti
mantenendo costante il numero complessivo di individui della popolazione. Tale tipo di
accrescimento viene definito “logistico” (dal nome della curva di accrescimento logistico che lo
descrive) ed è caratterizzato da una prima fase in cui gli accrescimenti sono piccoli ma in
progressivo aumento, da una seconda di accrescimento veloce e a tratti “esplosivo” e da una
terza in cui gli accrescimenti tendono a diminuire sino a farsi prossimi allo zero.
In una popolazione di Ungulati non sottoposta a sfruttamento venatorio e a predazione
naturale, la regolazione è legata alle risorse alimentari pro capite, che si fanno più limitate
all’aumentare della densità di popolazione. In ambiente alpino, inoltre, la disponibilità media di
risorse alimentari può variare molto di anno in anno a seconda della quantità di neve che cade
e permane al suolo durante l’inverno, impedendo l’accesso a buona parte delle risorse
alimentari. Questa sorta di “imprevedibilità” di medio periodo fa si che una popolazione nella
fase finale della sua curva di crescita non rimanga stabile, ma continui ad oscillare sopra e sotto
un valore medio di equilibrio a seconda dei vari andamenti invernali. Più la variabilità della
nevosità invernale sarà alta di anno in anno, più queste oscillazioni saranno ampie, alternando
fasi di crescita a veri e propri crash demografici in occasione di inverni particolarmente duri.
115
Figura 4.42 – Accrescimento teorico e reale di una popolazione in funzione della resistenza ambientale. I
tassi di incremento diminuiscono progressivamente all’aumentare della densità (consistenza).
La regolazione della crescita di una popolazione in funzione della sua densità/consistenza
dipende dalla disponibilità alimentare pro capite che si fa via via più scarsa. Avere meno cibo a
disposizione significa avere un peso e una condizione (e sul lungo termine una costituzione) più
scadente. Una condizione più scadente aumenta le probabilità di malattia e di morte e, nel caso
delle femmine, rende meno probabile che le stesse si possano riprodurre con successo.
L’aumento dei tassi di mortalità e la diminuzione dei tassi di natalità è alla base della
complessiva crescita zero della popolazione. Tale fenomeno viene definito regolazione
dipendente dalla densità.
L’equazione logistica, che ci permette di modellizzare la curva di accrescimento logistico, è
caratterizzata da due parametri che ci aiutano a caratterizzare le “performances” della
popolazione nel suo specifico ambiente. Il parametro r0, definito tasso intrinseco di crescita e il
parametro K, definito capacità portante. K indica la densità (o la consistenza) di popolazione a
livello della quale si ha un’autoregolazione della popolazione attorno a valori medi costanti; r0
indica gli accrescimenti annui massimi potenziali di una popolazione, possibili in caso di densità
ancora basse. Nel caso in cui la densità sia vicina a K, il valore di r tenderà a zero.
In base ai dati disponibili dal 1983 al 2008, relativi all’evoluzione numerica della popolazione
di cervo solo all’interno del Parco, agli andamenti meteo-climatici invernali e al numero di
animali annualmente rinvenuti morti di morte naturale, è possibile verificare, rispetto alla teoria
sopra accennata, quale sia la attuale situazione della popolazione di cervo nel PNS. Come già
riportato, la durezza dell’inverno è quantificata attraverso l'indice di nevosità presentato nella
Figura 4.43, e calcolato come integrale dell'altezza della neve al suolo dal 1 ottobre al 30
maggio.
Dal 1983 ad oggi la popolazione di cervo del Parco ha mostrato un accrescimento di tipo
logistico. Il modello applicato ai dati spiega in modo significativo la dipendenza degli
accrescimenti annui della popolazione stessa dal suo progressivo aumento di densità. La
popolazione ha un tasso annuo potenziale di crescita pari al 28% (nelle fasi a bassa densità) e
una capacità portante di circa 1700 cervi all’interno del Parco. Questa situazione indica come la
popolazione sia entrata in piena fase di autoregolazione da circa dieci anni e mostri continue
oscillazioni dovute agli andamenti invernali attorno al valore di capacità portante K. Il fatto che
116
la popolazione abbia terminato la sua fase di crescita è indicato anche dal notevole aumento
della mortalità naturale (le barre blu della Figura 4.43) a partire dal 2001. E’ facile inoltre notare
come le elevate mortalità invernali siano direttamente correlate agli inverni più nevosi che
rappresentano il principale fattore di regolazione per le popolazioni con elevate densità.
2000
CERVI MORTI
PERSISTENZA DELLA NEVE
CONSISTENZA
MODELLO LOGISTICO
1500
R0 = 0.28
K = 1.703
F = 10.9 p< 0.01
1000
R2 = 0.31
500
20
09
20
07
20
05
20
03
20
01
19
99
19
97
19
95
19
93
19
91
19
89
19
87
19
85
19
83
19
81
19
79
0
Figura 4.43 – Nella stabilizzazione della consistenza complessiva della popolazione all’interno del Parco
anche la mortalità naturale legata agli inverni particolarmente rigidi (barre azzurre) gioca un ruolo
importante.
Possiamo quindi considerare la popolazione all’interno del Parco in una fase di equilibrio
caratterizzata da ampie oscillazioni attorno ad un valore K (che cambia continuamente nel
tempo). La regolazione degli accrescimenti è denso-dipendente e l’azione della densità modula
e regola sia i tassi di natalità (facendoli progressivamente diminuire), sia i tassi di mortalità
(facendoli aumentare).
La Figura 4.44 indica come la natalità, qui rappresentata dal rapporto piccoli/femmine nei
conteggi estivi, tenda a diminuire con l’aumento della consistenza della popolazione e come, al
contrario, i tassi di mortalità (calcolati come numero di cervi rinvenuti morti sul totale degli
stimati) aumentino all’aumentare della densità.
117
0.30
Tasso di mortalità
Piccoli / Femmine
0.60
0.50
0.40
0.20
0.10
0.30
R Sq Quadratic =0.959
0.00
0.20
0.00
R Sq Linear = 0.538
100000.00
200000.00
300000.00
Consistenza * Neve
1000.00
1200.00
1400.00
1600.00
1800.00
2000.00
Consistenza (anno precedente)
Figura 4.44 – A sinistra) il tasso di natalità della popolazione diminuisce al crescere della densità; a
destra) i tassi di mortalità della popolazione aumentano all’aumentare della densità, con particolare
effetto durante gli inverni più nevosi (si veda oltre il testo).
Il risultato complessivo è una dipendenza inversa, in questi ultimi 15 anni, tra i tassi di
accrescimento netto della popolazione e la sua consistenza (Figura 4.45).
Tasso di accrescimento
0.40
0.20
0.00
-0.20
-0.40
R Sq Linear = 0.446
500.00
1000.00
1500.00
2000.00
Consistenza (anno precedente)
Figura 4.45 – Il tasso di accrescimento della popolazione viene regolato dalla densità. Il cervo cresce
sempre più lentamente con l’aumento delle consistenze della popolazione.
Per meglio descrivere la dinamica delle popolazioni in situazioni alpine, in cui l’andamento
dell’inverno rappresenta un fattore di estrema importanza per la regolazione delle popolazioni, è
possibile verificare le relazioni tra gli accrescimenti delle popolazioni stesse mediante modelli
che tengano conto anche del fattore nevosità e verificare, tra i vari modelli testati, quale sia il
migliore descrittore della situazione reale.
118
400000.00
Nel caso del PNS sono stati testati tutti i possibili modelli che spiegassero le variazioni dei
tassi di accrescimento della popolazione in funzione (Tabella 4.24):
- della densità di popolazione l’anno precedente (N);
- della nevosità (S);
- dell’interazione tra densità e nevosità (N*S).
Sono state testate due famiglie di modelli; quella che prevede una relazione continua e una
seconda che prevede la possibilità di relazioni differenti al di sopra/sotto di un livello soglia di
nevosità (Jacobson et al., 2004).
Tabella 4.24 – I tassi di accrescimento della popolazione dipendono dalla consistenza della popolazione
2
stessa, dalla nevosità invernale e dalla loro interazione. Elenco dei modelli testati; R coefficiente di
determinazione; AIC Akaike information criterion.
N° param.
R2
AIC
N + S + N*S
S + N*S
N + N*S
N+S
N*S
N
S
4
3
3
3
2
2
2
0.82
0.81
0.82
0.81
0.80
0.44
0.38
-23.66
-25.22
-25.60
-24.67
-25.99
-9.65
-8.09
N + S + N*S
S + N*S
N + N*S
N+S
N*S
N
S
4
3
3
3
2
2
2
0.94
0.83
0.91
0.82
0.81
0.65
0.39
-35.47
-22.59
-32.79
-21.65
-25.05
-15.02
-6.31
MODELLO NORMALE
1
2
3
4
5
6
7
MODELLO SOGLIA
1
2
3
4
5
6
7
Il modello che meglio spiega la dinamica della popolazione di cervo del Parco, in base al
valore di AIC, conferma che i tassi di accrescimento dipendono dalla densità, dalla nevosità e
dalla loro interazione secondo un modello “soglia” (Tabella 4.47). Il modello spiega il 94% della
variabilità dei dati.
Ri = a + b ∗ Consistenza i −1 + c ∗ AltezzaNevei + e ∗ Consistenza i −1 ∗ AltezzaNevei + σε i
119
Tasso di accrescimento
0.40
0.20
0.00
-0.20
-0.40
R Sq Linear = 0.707
0.00
100000.00
200000.00
300000.00
400000.00
Consistenza * Neve
Figura 4.46 - I tassi di accrescimento della popolazione del Parco dipendono dalla densità, dalla nevosità
e dalla loro interazione secondo un modello “soglia”.
La selezione del modello soglia quale migliore spiegazione della dipendenza dalla densità
indica che l’effetto delle elevate densità sui tassi di accrescimento della popolazione non agisce
in modo uguale e continuo, ma che il suo effetto è maggiore e significativo solo al di sopra di un
valore soglia di “durezza” e nevosità dell’inverno. E’ quindi la combinazione dei due fattori che
rende più forte la regolazione. La sola presenza di densità elevate senza inverni nevosi non è
sufficiente a regolare la dinamica (Tabella 4.48).
0.60
neve sotto la soglia
.
neve sopra la soglia
Tasso di accrescimento
0.40
0.20
0.00
-0.20
-0.40
-0.60
R Sq Linear = 0.29
R Sq Linear = 0.491
0.00
500.00
1000.00
1500.00
2000.00
Consistenza (anno precedente)
Figura 4.47 – La densità regola gli accrescimenti della popolazione in modo mediato dalla nevosità
invernale. L’effetto delle densità sugli accrescimenti è significativo e più elevato in caso di inverno nevosi
al di sopra della media (soglia – i punti neri).
120
In sintesi la parte di popolazione di cervo presente all’interno del Parco è caratterizzata da
densità molto elevate, tali da avere ormai innescato da una decina d’anni fenomeni di
autoregolazione negli accrescimenti della popolazione in relazione alle densità stesse. La
dipendenza dalla densità fa si che in media, nel lungo termine, la crescita della popolazione si
stabilizzi a zero. Nella pratica la popolazione sperimenta anni di leggera crescita, alternati ad
anni di crash demografici ed elevata mortalità in relazione alla durezza e nevosità dell’inverno.
Nel casi estremi la mortalità raggiunge valori ragguardevoli (437 soggetti rinvenuti morti
nell’inverno 2000-01, 298 nell’inverno 2003-04) e i cervi di norma non muoiono nelle zone più
remote del Parco, ma si avvicinano ai paesi e ai fondovalle. E’ quindi possibile affermare che
nelle attuali condizioni il cervo nel Parco non continuerà a crescere. Tuttavia, la stabilizzazione
della popolazione su valori tanto elevati da innescare fenomeni di autoregolazione da densità
ha dei risvolti non trascurabili sulla condizione e costituzione della popolazione stessa e su
numerose altre componenti dell’ecosistema che risento di tale situazione. Tali aspetti verranno
trattati nei capitoli 4.3.5 e 4.3.6.
%10&+<+10''%156+67<+10'
Le popolazioni di cervo che insistono nei territori circostanti il massiccio dell’Ortles – Cevedale
rappresentano uno dei nuclei più importanti per questa specie nell’intera catena alpina.
Nell’ambito di una complessiva valutazione del loro status è importante poter conoscere la
condizione e lo “stato di salute” degli animali per valutare il significato delle attuali densità
raggiunte dalle popolazioni in rapporto alla qualità degli habitat occupati e ai potenziali effetti
sulla vegetazione. In relazione a ciò e per poter effettuare le opportune considerazioni sulla
popolazione del Settore trentino del Parco dello Stelvio e della Val di Sole appare importante
confrontare le caratteristiche di condizione e costituzione con quelle di altre popolazioni che
abitano zone caratterizzate da densità di popolazione differenziate e da qualità ambientali per il
cervo non omogenee.
4.2.5.1.
Curve di crescita
Dai dati relativi ai cervi abbattuti sono state costruite le curve di crescita del peso in funzione
dell'età (Figura 4.48). Il cervo è specie con spiccato dimorfismo sessuale, naturale trovare
differenze di peso tra i sessi, almeno per gli adulti. Dall’evoluzione del peso eviscerato in
funzione dell’età dei cervi campionati sono state stimate le curve di crescita ponderale per
entrambi i sessi. Nelle femmine la crescita si arresta prima (attorno ai 4 anni è raggiunto
l’asintoto attorno ai 70-72 kg), per i maschi la crescita prosegue fino ai 7-8 anni (115-117 kg).
121
140
femmine
maschi
120
PESO VUOTO (kg)
100
80
60
40
20
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
ETA'
Figura 4.48 - Curve di crescita del peso in funzione dell’età, per i due sessi (data la scarsa
rappresentatività delle età maggiori, per i M l’età 13 rappresenta i 13+; per le femmine l’età 17 le 17+).
Le curve di crescita della mandibola, per maschi e femmine, sono riportate nella Figura 4.49.
La differenza nella lunghezza è già visibile nei soggetti di circa 6 mesi di età. Il ritmo di crescita
è maggiore sino al quarto anno di età per poi rallentare in entrambi i sessi. Nelle femmine la
lunghezza massima tra i 27.5 e i 28 cm, mentre nei maschi tra i 29.5 e i 30 cm.
31
LUNGH MANDIBOLA (cm)
29
27
25
23
21
19
femmine
maschi
17
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
ETA'
Figura 4.49 - Curve di crescita della mandibola in funzione dell’età, per i due sessi (data la scarsa
rappresentatività delle età maggiori, per i M l’età 11 rappresenta gli 11+; per le femmine l’età 14 le 14+).
122
4.2.5.2.
Condizione e costituzione
Il confronto tra le UG per la CONDIZIONE viene limitato alle sole femmine di 3 o più anni,
perché rappresentano il campione di maggiori dimensioni e perché esse, rispetto ai maschi,
risentono e rispondono maggiormente ai fattori limitanti di carattere ecologico e demografico.
Dalla trattazione relativa al peso eviscerato emerge che una differenza significativa tra UG
esiste, per tutte le classi d’età di entrambi i sessi. In particolare è stata sottolineata la presenza
di due gruppi, caratterizzati da pesi medi molto simili tra loro: le UG in provincia di Bolzano e in
Svizzera (pesi inferiori) e quelle in Lombardia e Trentino. Conclusioni analoghe si possono
trarre se si considerano le curve di accrescimento della mandibola in funzione dell’età.
La Figura 4.50 fornisce un quadro sintetico che evidenzia le differenze tra UG “settentrionali” e
“meridionali” , relativa ai risultati ottenuti nella presente indagine per le femmine di 3 o più anni,
nelle aree effettivamente campionate.
Figura 4.50 - Condizione media delle femmine di 3 o più anni (stimata mediante il peso medio
eviscerato), nelle aree indagate.
Si conferma l’esistenza di differenze tra popolazioni settentrionali e popolazioni meridionali,
che hanno condizione maggiore e soddisfacente. Il raggiungimento di masse corporee più
pesanti e di un maggiore sviluppo scheletrico è generalmente considerato indicativo di individui
in buone condizioni che vivono in favorevoli condizioni ambientali. Le differenze esistenti tra le
due aree identificate (nord vs sud) riguardano le condizioni ambientali (più proibitive al nord) e
le densità delle popolazioni di cervo che le abitano.
Per il calcolo della COSTITUZIONE si è adottata la formula proposta da Buchli (1979),
ottenuta sui cervi grigionesi e valida per le femmine di età maggiore o pari a 3.5 anni. Il suo uso
in questo contesto ha valore puramente indicativo, si giustifica solo per la vicinanza geografica
e le somiglianze di habitat con l’area in cui è stato messo a punto (intero Cantone dei Grigioni).
La costituzione è considerata “buona” quando IC assume valori superiori a 0.14; per valori
inferiori è considerata “cattiva”. Nel lavoro proposto da Buchli (1979), viene suggerito che in
123
popolazioni caratterizzate da un buono stato, la percentuale di soggetti con scarsa costituzione
non dovrebbe superare il 20%. Superata questa soglia si può ipotizzare che una popolazione
mostri i primi sintomi legati alle elevate densità, in rapporto alla qualità degli habitat, e
all’innescarsi di fenomeni di competizione intraspecifica.
Per avere un’idea delle differenze presenti tra tutte le UG, è riportata la Figura 4.51, che
mostra la distribuzione dell’indice misurato sulle femmine di 3 o più anni, nell’intero periodo di
studio e da cui si vede come si possano individuare due sottogruppi, uno a costituzione
mediamente maggiore (le UG meridionali), l’altra inferiore (le UG settentrionali). Tuttavia la
percentuale di femmine caratterizzate da cattiva costituzione nellUG Val di Sole è prossima al
30%.
4
2
0
IC
-2
-4
N=
92
105
72
46
318
31
97
LO1
LO2
LO3
TN1
BZ1
BZ2
CH1
UG
Figura 4.51 - Diagramma a scatole che mostra i valori dell’indice di Buchli assunti dalle femmine di 3 o
più anni nelle diverse UG. La popolazione della Val di Sole (TN1), campionata solo all'esterno del Parco,
assume valori al di sopra della media.
I valori di condizione e costituzione sinora mostrati sono stati calcolati riferendosi a cervi
prelevati in forma venatoria nel Distretto Val di Sole caratterizzato da densità di popolazione
decisamente differenti rispetto ai valori di densità presenti all’interno del Parco. Altre
considerazioni possono essere fatte attraverso l'analisi dei dati relativi ai cervi provenienti
dall’interno del Settore trentino Parco Nazionale dello Stelvio: le misure biometriche degli
animali rinvenuti morti.
I dati relativi agli abbattimenti si riferiscono interamente a cervi prelevati fuori parco, mentre i
rinvenimenti provengono tutti dall’interno del Parco; in questo senso la variabile “morte”
(naturale o per abbattimento) identifica anche l’origine dell’animale (Parco o Distretto Val di
Sole). Vengono confrontate le misure di lunghezza della mandibola, lunghezza del garretto e
peso eviscerato, benché sia ragionevole aspettarsi che quest’ultimo sia notevolmente inferiore
nei cervi rinvenuti morti, di solito, per inedia. Per questa ragione non è stato possibile calcolare
l’indice di costituzione di Buchli, precedentemente utilizzato.
Per un maggior approfondimento delle analisi e dei risultati si veda la relazione “Analisi della
densità, dinamica e costituzione delle popolazioni di cervo del Parco Nazionale dello Stelvio”
(Bonardi e Pedrotti, in Nicoloso et al., 2006). Nell’allegato G della citata relazione sono riportate
124
le statistiche descrittive di femmine e piccoli usate nelle analisi seguenti. La suddivisione in
classi d’età utilizzata qui comprende le femmine di 3 anni tra le adulte.
I risultati delle analisi statistiche evidenziano come i pesi siano significativamente differenti in
base all’età e al tipo di morte (maggiori per gli abbattuti), mentre nessun effetto è rilevato per le
misure scheletriche (Tabella 4.25).
Tabella 4.25 – Valori medi di peso, mandibola e garretto nelle femmine adulte dell'UG Val di Sole
abbattute in caccia e rinvenute morte. Sono considerate adulte le femmine di 3 o più anni.
Peso (kg)
Lungh. Mandibola (cm)
Lungh.garretto (cm)
abbattuti
morti
abbattuti
morti
Abbattuti
morti
Piccola
37.32
24.53
19.60
20.14
44.17
42.36
Sottile
54.77
33.87
23.93
23.00
47.33
47.31
Subadulta
64.49
39.33
25.82
25.25
48.53
48.4
Adulta
70.25
53.87
27.43
27.44
49.21
49.36
Sino al 2004 non sembrano quindi esserci differenze nella costituzione per le femmine che
vivono all'interno del Parco alle densità maggiori. Per escludere un effetto troppo recente della
densità sulle misure scheletriche da poter essere rilevato con dati di esemplari adulti, sono stati
analizzati anche i soli piccoli, maschi e femmine, la cui crescita riflette solo le condizioni
ambientali dell’anno prima e i risultati confermano quelli dell’analisi precedente.
E' comunque possibile, in assenza di differenze nella costituzione, ipotizzare una significativa
differenza nella condizione media, tra la parte popolazione che mediamente occupa l'area
protetta e la restante in ragione delle enormi differenze (anche se recenti) di densità. La
costituzione media, come già visto, può essere stimata confrontando i pesi medi delle femmine
adulte. Diventa quindi interessante confrontare i cervi che vivono a queste differenti densità
mediante la loro condizione, valutata in base al peso. Esiste un campione, seppur limitato, di
animali che sono stati catturati all’interno del Parco, nell’ambito dello stesso progetto. Il peso
delle femmine catturate di 3 o più anni può essere confrontato con quelle delle cerve abbattute
fuori Parco, dopo opportuna trasformazione (abbiamo a disposizione pesi di animali vivi, non
eviscerati come quelli considerati finora). Secondo Perco (1987) il peso dei cervi eviscerati è il
65% di quello totale. Applicando questa correzione, è stata effettuata un'analisi della varianza
per confrontare i pesi medi delle cerve catturate entro Parco, di quelle abbattute nelle riserve di
Peio e Rabbi (più vicine al Parco) e di quelle abbattute nel resto dell'UG, nello stesso arco
temporale, dal 2001 al 2003.
I risultati evidenziano come la condizione dei cervi abbattuti nelle riserve di Peio e Rabbi sia
significativamente inferiore rispetto al resto dell'UG, mentre sia paragonabile a quella dei cervi
catturati entro Parco, con un peso medio intermedio rispetto agli altri due campioni (F = 10.8, 2
gl, p<0.01; Tabella 4.26). Questo sembra indicare il recente innescarsi di meccanismi densodipendenti che potrebbero portare, nel tempo, ad una diminuzione della qualità degli individui
(in termini di costituzione) che gravitano dentro e attorno all’area protetta, rispetto a quelli del
resto della Val di Sole, dove le densità di cervi sono ancora basse.
125
Tabella 4.26 – Valori medi di peso nelle femmine di 3 o più anni dell'UG Val di Sole, provenienti da tre
subunità differenti. Sono considerate adulte le femmine di 3 o più anni.
Intervallo di confidenza
N campione
Peso medio
minimo
massimo
Riserve Val di Sole
254
72.04
70.86
73.22
Riserve Peio e Rabbi
155
68.35
67.01
69.69
Parco
22
65.89
62.20
69.57
TOTALE
431
70.40
69.52
71.28
4.2.5.3.
Fertilità e potenziale riproduttivo
In questa parte del lavoro viene esaminata la fertilità delle femmine di cervo in relazione
all’età, alle dimensioni corporee e allo stato riproduttivo. Nei territori del Parco e nelle aree
limitrofe il cervo vive in habitat la cui offerta alimentare invernale viene ampiamente modulata
dall’esposizione dei versanti e dal disturbo antropico ed è caratterizzato da densità
relativamente elevate nel contesto alpino italiano (fino a 6 capi/100 ha). In ambienti
caratterizzati da una scarsa qualità trofica e da densità di popolazione paragonabili o superiori,
quali le brughiere scozzesi, le popolazioni mostrano tassi riproduttivi e di crescita relativamente
bassi (Mitchell, 1973). I tassi di natalità minori dipendono in parte da un ritardo nel
raggiungimento dell’età della pubertà e in parte da una riduzione dei tassi di gravidanza nelle
femmine sessualmente mature.
Le frequenze di femmine gravide e allattanti sono diverse entro classe d’età. La percentuale di
femmine gravide è non significativa nelle femmine sottili, ed è risultata attorno al 60% nelle
femmine di due anni e di circa l'80% nelle femmine adulte (Figura 4.52). La percentuale di
femmine risultate allattanti è risultata inferiore in tutte le classi di età e si assesta sul 65-70%
nelle adulte (Figura 4.53).
100
90
80
70
60
50
40
30
GRAVIDA
20
no
%
10
0
sì
piccolo
1 anno
2 anni
3 anni
4-9 anni 10+ anni
classe d'età
Figura 4.52 - Grafico a barre che mostra le percentuali di femmine risultate gravide nell’intero campione,
entro classe d’età.
126
100
90
80
70
60
50
40
30
AL LAT T
20
asciutta
%
10
0
allattante
piccolo
1 anno
2 anni
3 anni
4-9 anni
10+ anni
classe d 'e tà
Figura 4.53 - Grafico a barre che mostra le percentuali di femmine risultate allattanti nell’intero campione,
entro classe d’età.
In Tabella 4.27 sono messi a confronto i pesi medi delle femmine risultate gravide e non
gravide, distinte per classe d’età all'interno dell'UG. Sotto i 33 kg nessuna femmina è risultata
gravida e il peso massimo delle non gravide è stato di 82 kg ed i pesi medi delle femmine
gravide sono significativamente più alti.
L'analisi multivariata sull'intero campione, effettuata per indagare contemporaneamente
l’effetto sul peso dovuto alla classe d’età, alla fertilità, allo stato fisiologico (allattante o no) e alla
diversa UG di provenienza ha confermato che le femmine gravide hanno pesi medi superiori
alle non gravide, che le UG settentrionali hanno pesi inferiori, ma non rilevano alcun effetto
statisticamente significativo dovuto allo stato fisiologico.
Tabella 4.27 – Pesi medi delle femmine gravide e non a seconda della classe di età.
Intervalllo di confidenza
Classe d'età
2-3 anni
4+ anni
N
Peso medio
minimo
massimo
Non gravida
9
53.89
46.47
61.31
Gravida
19
68.26
63.76
72.77
Totale
28
63.64
59.17
68.11
Non gravida
13
63.12
56.13
70.10
Gravida
38
68.11
65.15
71.06
Totale
51
66.83
64.06
69.60
Per indagare in termini quantitativi in che modo la condizione degli animali possa influire sulla
probabilità delle femmine di essere fertili sono stati costruiti due tipi di modelli logistici (la cui
adeguatezza in questi casi è stata dimostrata ad esempio da Albon et al. 1983) utilizzando
come descrittori : a) soltanto il peso eviscerato e b) peso eviscerato e KFI come misure di
condizione, le variabili biometriche disponibili e, per l’età, anche i termini quadratici e cubici,
come suggerito da Albon et al. (1983).
L’analisi a), effettuata separatamente per le cerve delle UG settentrionali (Settore sudtirolese)
e meridionali (Settore trentino), evidenzia come cambi, con il peso, la probabilità di essere
127
fertile per una femmina del nord rispetto a una del sud. Il campione analizzato è stato di 260
femmine di cui 176 gravide, per il nord e di 98 femmine di cui 57 gravide, per il sud. In Tabella
4.28 sono riportate le stime dei coefficienti con l’intervallo di confidenza al 95%, mentre in
Figura 4.54 sono mostrate le due curve stimate dal modello.
Tabella 4.28 - Costante e coefficiente della variabile “peso eviscerato”, come stimato dal modello
nell’analisi a) per le femmine del nord (A) e del sud (B).
N O RD
df
1
1
Sig.
.000
.000
E xp( B)
1.157
.001
Wald
20.426
df
1
Sig.
.000
Exp(B)
1.153
-8.307 1.945
18.243
a. Variable(s) entered on step 1: PESO_INV.
1
.000
.000
Satep
1
PE SO _INV
C onstan t
B
.145
-7.006
S.E.
.021
1.109
W ald
48 .135
39 .946
95.0% C .I.for EXP ( B)
Lower
U pper
1.110
1.205
a. Variable(s) enter ed on step 1 : PESO _IN V .
SUD
95.0% C.I.for EXP(B)
Step
a
1
PESO_INV
Constant
B
.142
S.E.
.032
Lower
1.084
Upper
1.226
1
Probabilit à di essere f ert ile
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
nord
sud
0.1
0
25
35
45
55
65
75
85
Peso eviscerat o (kg)
Figura 4.54 - Curve stimate dal modello logistico per la probabilità di essere fertile delle femmine del nord
e del sud, relative all’analisi a) descritta nel testo.
Risulta evidente come per le cerve settentrionali la probabilità di essere fertile sia, a parità di
peso, ben superiore rispetto alle femmine del sud, che devono raggiungere masse corporee
maggiori di circa 10 kg prima di raggiungere una probabilità di essere fertile del 50%.
Per effettuare l’analisi b) è stato scelto il metodo backward stepwise, con la statistica
likelihood ratio come criterio di eliminazione dei descrittori che non forniscono contributi
significativi alla riduzione della varianza residua. In questo modo si ottiene il modello più
parsimonioso, che spiega la maggior varianza possibile. Poiché la prima analisi effettuata ha
escluso le due misure scheletriche (lunghezza di mandibola e garretto), ne è stata effettuata
un’altra escludendo queste variabili, in modo da ottenere un campione più numeroso (non tutti i
casi presentano le misure di ogni parametro biometrico).
128
Il campione analizzato è stato di 340 femmine, di cui 228 gravide. Nella Tabella 4.29 e Tabella
4.30 sono mostrati l’elenco dei descrittori testati, le stime dei coefficienti per quelli selezionati,
con l’intervallo di confidenza al 95%, e gli step cui gli altri sono stati esclusi (riclassificazione
corretta: da 67.1 a 84.4%; -2 Log Likelihood: da 430.958 a 261.624; GOF test di Hosmer e
Lemeshow: Χ2 = 9.498, df = 8, P = 0.302).
Tabella 4.29 - Descrittori inseriti nell’analisi di regressione logistica per stimare l’effetto che hanno sulla
probabilità delle femmine di essere gravide.
Variabile
Abbreviazione
KFI medio
KFI_MED
Peso eviscerato
PESO_INV
Nord – sud (UG di appartenenza, variabile categorica)
NORD_SUD
Allattamento (asciutta o allattante, variabile categorica)
ALLATT
Età
ETA_REAL
Età
2
ETA2
Età
3
ETA3
Interazione età * nord - sud
ETA_REAL * NORD_SUD
Costante
Constant
Tabella 4.30 - Stime dei coefficienti dei descrittori selezionati dal modello.
Variables in the Equ atio n
95.0% C.I.for EXP(B)
Step 3a
KFI_MED
PESO_INV
NORD_SUD(1)
ETA_ REAL
ETA2
ETA3
Constant
B
.0 29
.0 82
1.041
S.E.
.0 07
.0 22
.4 11
Wald
19.235
14.485
6.405
1.657
-.174
.0 05
-9.486
.3 38
.0 46
.0 02
1.405
23.994
14.487
8.249
45.575
df
1
1
1
Sig.
.0 00
.0 00
.0 11
Exp(B)
1.029
1.085
2.831
Lower
1.016
1.041
1.265
Upper
1.043
1.132
6.336
1
1
1
1
.0 00
.0 00
.0 04
.0 00
5.241
.8 40
1.005
.0 00
2.701
.7 69
1.002
10.169
.9 19
1.009
a. Variable( s) en tered on step 1: KFI_ MED, PESO_ INV, NORD_SUD, ETA_REAL , ETA2, ETA3, ALLATT, ETA_REAL * NORD_SUD .
Essere in buona condizione, si può affermare ancora una volta, consente di essere fertile a
pesi relativamente inferiori e questo effetto è sicuramente più marcato a 6 anni, rispetto che a
10: a età maggiori bisogna raggiungere un peso relativamente più elevato, rispetto alle età
inferiori.
4.2.5.4.
Distribuzione dei concepimenti
Le date dei concepimenti sono state stimate in base al giorno dell’abbattimento e all’età, in
giorni, stimata per il feto in base alla lunghezza totale dalla punta del muso alla base della coda,
misurata in occasione dell’analisi degli uteri. In base alle lunghezze dei feti per femmine di cui
era noto il momento del concepimento (Valentincic, 1958), è stata ricavata la seguente
relazione lineare tra le due variabili che ha permesso di stimare l’età in giorni con un sufficiente
grado di approssimazione (F = 312.9, 7gl, p<0.01).
Età _ in _ giorni = 24.99 + 3 .557 • Lungh _ del _ Feto ( cm )
I concepimenti verificati (n = 157) si sono distribuiti tra il 4 settembre e il 28 ottobre, con un
picco massimo di attività riproduttiva tra il 29 settembre e il 5 di ottobre, periodo in cui si sono
verificati il 44 % degli eventi (Figura 4.55).
129
40
35
30
N
25
20
15
10
5
0
4-8 sett
9-13 sett
14-18 sett
19-23 sett
24-28 sett
29 sett-3 ott
4-8 ott
9-13 ott
14-18 ott
19-23 ott
24-28 ott
Periodo
Figura 4.55 - Distribuzione delle date di concepimento, stimate in base alla lunghezza del feto.
Sull’Isola di Rhum, in Scozia, è stato verificato che le femmine di rango superiore,
caratterizzate da una costituzione superiore alla media, in genere sono in grado di produrre
nella loro vita un numero maggiore di figli maschi (Clutton-Brock et al., 1982). Nel nostro caso il
rapporto sessi al concepimento non è risultato significativamente diverso da 1:1 (test binomiale:
n = 116, P = 0.164). Inoltre, non sono state rilevate differenze significative tra cerve che portano
feti maschi o femmine nei valori medi o mediani dei parametri peso, KFI, lunghezza della
mandibole, in grado di descrivere la condizione e la costituzione dei soggetti.
4.2.5.5.
Conclusioni
Dalle analisi è emerso come le UG indagate possano essere suddivise in tre tipologie: quelle
settentrionali (provincia di Bolzano e Val Müstair), quelle meridionali (Val di Sole, alta
Valcamonica, Valfurva - Valdisotto – Sondalo) e Livigno – Valdidentro, che mostra
caratteristiche a sé. Le popolazioni delle UG del nord presentano una condizione e una
costituzione inferiori, in relazione alle elevate densità ed alla qualità degli habitat occupati.
Anche i parametri riproduttivi mettono in evidenza l’insorgenza di meccanismi atti a deprimere i
tassi di natalità e regolare gli incrementi della popolazione; anche se tale fenomeno non sembra
ancora manifestarsi con l’intensità tipica delle popolazioni ad elevata densità studiate negli
ambienti scozzesi. Tale situazione deve essere considerata una naturale conseguenza delle
elevate consistenze che innescano fenomeni di autoregolazione nelle popolazioni. Ciò non
significa comunque che il numero di cervi presenti possa essere considerato in equilibrio con le
esigenze dell’economia forestale e agricola, per le quali la densità limite si situa generalmente
al di sotto di quella biologica, né con le eventuali necessità di accelerare i processi di naturale
evoluzione degli ecosistemi forestali. Le popolazioni meridionali, pur contraddistinte da densità
elevate, insistono su territori caratterizzati da una buona qualità ambientale e ampia
disponibilità di quartieri di svernamento con elevata offerta alimentare (vero soprattutto per Val
di Sole e alta Valcamonica). Il loro stato appare tuttora generalmente buono e anche i parametri
riproduttivi non sembrano risentire in modo significativo delle elevate densità. Si rilevano
tuttavia segnali che indicano un possibile inizio di peggioramento della costituzione dei cervi
che vivono dentro il Parco, a densità maggiori e ci si può attendere un peggioramento se non
cambieranno le condizioni, cioè se i valori di densità entro Parco continueranno a restare alti.
E' infatti possibile affermare come la condizione media della popolazione sia andata
diminuendo dagli anni ’90 ad oggi. A titolo di esempio, la Figura 4.56 e Figura 4.57 mostrano
130
come la distribuzione dei pesi e i pesi medi, rispettivamente delle femmine adulte e dei maschi
fusoni sia costantemente diminuita dal 1980 ad oggi, verosimilmente in relazione al costante
aumento della densità della popolazione sino all'inizio di questo secolo.
Per meglio comprendere il fenomeno è utile soffermarsi sui pesi medi delle femmine adulte.
L'analisi della varianza a due vie dimostra come i pesi medi siano diminuiti in modo significativo
tra prima e dopo il 1998 (periodo di raggiungimento delle massime densità; F = 5.28, p<0.01, 2
gl), ma come i pesi medi delle femmine abbattute nelle riserve di Peio e Rabbi abbiano pesi
medi inferiori al resto del Distretto (F = 7.31, p<0.01, 2 gl). La condizione della popolazione è
diminuita nel tempo in modo generalizzato, ma tale diminuzione, nell'ultimo decennio è stata più
veloce nelle riserve prossime al Parco (Figura 4.58).
110.0
100.0
PESO VUOTO
90.0
80.0
70.0
60.0
50.0
40.0
1980
1985
1990
1995
1998
2000
2003
2006
Figura 4.56 – Diminuzione dei pesi medi delle femmine di 3 o più anni abbattute in Val di Sole dal 1980
ad oggi. La linea nera centrale indica la media e il box grigio ricomprende il secondo e terzo quartile della
distribuzione.
120.0
PESO VUOTO
100.0
80.0
60.0
40.0
1980
1985
1990
1995
1998
2000
2003
2006
Figura 4.57 – Diminuzione dei pesi medi dei maschi fusoni (1 anno) abbattuti in Val di Sole dal 1980 ad
oggi. La linea nera centrale indica la media e il box grigio ricomprende il secondo e terzo quartile della
distribuzione.
131
In sintesi la costituzione della parte di popolazione presente all’esterno del Parco può
considerarsi ancora soddisfacente. Attualmente è possibile affermare che esistono differenze
significative nella condizione dei cervi che svernano nel Parco, rispetto all’esterno ed è possibile
ipotizzare che esistano differenze significative anche nella costituzione. Ciò sembra confermato
che esistono differenze anche tra i cervi delle riserve di Peio e Rabbi e i restanti, sempre in
relazione alle diverse densità. L’attuale condizione e costituzione dei cervi del Parco, diminuita
nel corso degli anni ed inferiore rispetto alle zone esterne, influenza pesantemente la
demografia e la dinamica della popolazione.
Figura 4.58 – Peso medio completamente eviscerato delle femmine di cervo adulte (3 o più anni)
abbattute durante la stagione venatoria; a sx i pesi medi tra il 1984 e il 1998, a dx quelli tra il 1999 e il
2006; in rosso i pesi medi delle femmine abbattute nelle riserve di Peio e Rabbi, confinanti con il Parco, in
nero quelli delle femmine abbattute nelle altre riserve dell’UG. Differenze significative tra periodo (F=5,28,
p<0.01, 2 gl) e tra settore (F=7,31, p<0.01, 2gl).
%#2#%+6&+52156#/'061'&+&+52'45+10'&'..#2121.#<+10'
Quanto possa essere importante la presenza di aree in cui il cervo sia in grado di godere della
giusta tranquillità è testimoniato da numerose esperienze (Wotschikowsky et al., 2006). Per
capirlo è sufficiente pensare alla sua complessa struttura sociale, alle sue necessità durante il
periodo riproduttivo ed alle sue dimensioni corporee e del palco.
La disponibilità di aree in cui possa godere di adeguata tranquillità è tanto fondamentale che
attualmente si ritiene ancora più importante, rispetto alla definizione quantitativa dei piani di
prelievo, la creazione ed il mantenimento di una rete di aree di rispetto capillarmente diffuse in
tutto il territorio (al fine di mantenere densità omogenee su vasti territori).
Una risorsa importante come il cervo (anche numericamente!) va gestita oculatamente. E una
buona gestione, non lo scopriamo oggi, implica una conoscenza approfondita della risorsa
stessa, della sua distribuzione, della sua consistenza, della sua evoluzione e anche dei suoi
132
spostamenti. Come già visto, la gestione del cervo in Val di Sole è stata impostata ipotizzando
che gli individui presenti nel Distretto faunistico, Parco compreso, appartenessero ad un’unica
popolazione, e, quindi, gli obiettivi gestionali e le scelte di pianificazione sono sempre state
riferite ad un’unica Unità di Gestione in base a due considerazioni principali:
• il cervo ha esigenze spaziali di vasta scala e, soprattutto in ambiente alpino, effettua
notevoli spostamenti per ricercare idonei territori per lo svernamento e l’estivazione,
anche se distanti tra loro decine di chilometri;
•
il territorio del Parco rappresenta una porzione piuttosto piccola dell’unità di gestione
(circa il 28%) e al suo interno è presente una percentuale ancora minore di territori
idonei allo svernamento (circa dal 15% negli anni scorsi sino all'attuale 38%).
Di conseguenza, un prelievo che si concentrasse soprattutto tra novembre e dicembre su una
specie ad elevata mobilità, era stato ipotizzato sufficiente per riuscire ad incidere sulle
popolazione nella sua totalità.
Ma cosa vuol dire “specie ad elevata mobilità”? Gli studi sinora condotti sull’arco alpino hanno
evidenziato modelli comportamentali simili per tutte le popolazioni studiate (Atzler, 1984;
Georgii, 1980; Georgii e Schröder, 1983; Koube e Hrabe, 1996; Luccarini et al., 2006; Meyer e
Filli, 2006; Schmidt, 1993):
• esistono due tipologie di individui; i cervi stanziali, che rimangono nella stessa area per
tutto il corso dell’anno, e i cervi migratori, che occupano aree di svernamento e di
estivazione distinte (Figura 4.59);
•
le aree occupate durante le due stagioni principali possono distare tra loro da poche
centinaia di metri a 4-5 km e sino a 20-30 km in situazioni climatico-ambientali
particolarmente dure;
•
la percentuale di individui migratori in ciascuna popolazione è estremamente variabile e
dipendente da numerosi fattori collegati con la disponibilità alimentare, il comfort termico
e la tranquillità;
•
il comportamento migratorio si riscontra in particolare nelle regioni alpine ed è composto
da periodi stazionari intercalati da due movimenti stagionali che avvengono
generalmente nel periodo primaverile e (tardo) autunnale;
•
la scelta dei luoghi estivi e di svernamento e le relative rotte di spostamento vengono
tramandati dalla madre al piccolo, instaurando un movimento migratorio di tipo
tradizionale e più marcato nelle femmine che nei maschi;
•
una parte della popolazione mostra fenomeni di dispersione che spingono alcuni
esemplari a colonizzare nuove regioni senza più fare ritorno al luogo d’origine;
•
le femmine occupano annualmente aree familiari (home ranges) in genere di minore
estensione rispetto ai maschi (500-1.000 ettari le femmine; 1-5.000 ettari i maschi).
133
Figura 4.59 - Un esempio di differenti strategie di uso dello spazio nelle femmine di cervo; a sinistra una
femmina stanziale che occupa tutto l’anno una stessa area, a destra una migratrice che ha quartieri
invernali ed estivi distanti e ben differenziati. In rosso sono mostrati gli home range estivi, in blu quelli
invernali (MCP al 95%).
L’obiettivo dello studio specifico realizzato nel Parco dello Stelvio e in Val di Sole è stato
l’approfondimento delle conoscenze dirette e locali sul comportamento spaziale della
popolazione presente all’interno del Parco e nei restanti territori della Val di Sole sottoposti a
prelievo venatorio.
Le domande cui si è cercato di rispondere possono essere così riassunte:
1. che rapporti esistono tra i cervi del Parco e quelli della Val di Sole ?; possono essere
considerati un’unica popolazione o devono essere trattati in modo distinto al momento
della pianificazione dei prelievi ?;
2. qual è la dimensione media degli home ranges annuali e stagionali ?;
3. quali sono le capacità medie di spostamento dei soggetti che compiono migrazioni
stagionali tra i quartieri di svernamento e di estivazione ? e che percentuale della
popolazione ha un comportamento migratorio ?;
4. in che periodo avviene la migrazione stagionale ?;
5. come funzionano i meccanismi di dispersione nei giovani ?;
6. qual è o quali sono le unità di popolazione della Val di Sole e qual è di conseguenza la
migliore unità territoriale da prendere in considerazione per la gestione del cervo in Val
di Sole ?
La fase di monitoraggio dei cervi non è ancora definitivamente conclusa, anche se ormai la
maggior parte dei radiocollari apposti ha terminato il suo ciclo vitale e la raccolta dei dati ha
raggiunto la sua fine per la maggior parte dei soggetti. Per questo i risultati e le considerazioni
conclusive presentate sul comportamento spaziale della popolazione possono essere
considerate pressoché definitive.
La quantità di dati raccolta merita un primo momento di divulgazione e di approfondimento e
alcune delle domande che hanno stimolato l’avvio del progetto possono avere delle prime
134
risposte. I risultati presentati si riferiscono ai dati raccolti nel periodo gennaio 2003 – giugno
2007. Le analisi riportate sono frutto del lavoro svolto dalla dott.ssa Anna Bonardi nell’ambito
della sua tesi di dottorato.
4.2.6.1.
Qual è l’unità di popolazione della Val di Sole e qual è di conseguenza la
migliore unità territoriale da prendere in considerazione per la gestione
del cervo in Val di Sole ?
La Figura 4.60 mostra la distribuzione di tutte le localizzazioni dei cervi monitorati dal gennaio
2003 al giugno 2007. Nonostante 35 dei 39 cervi (di cui si è analizzato il comportamento) siano
stati catturali all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, si evidenziano notevoli spostamenti in
tutto il restante territorio dell’Unità di Gestione con le sole eccezioni dell’alta valle posta in
comune di Vermiglio e della destra orografica della bassa Val di Sole. Una femmina ha passato
parte del suo tempo in Val d’Ultimo, per poi fare ritorno in Val di Rabbi, mentre una seconda ha
effettuato un notevole movimento di dispersione che l’ha portata a stabilizzarsi nella bassa Val
di Non, tra Vigo di Ton e il Biotopo della Rocchetta (Figura 4.73). Si è dimostrato come altri
soggetti compiano migrazioni stagionali tradizionali tra la Val di Rabbi e la Val di Bresimo ed
altri trascorrano la fase invernale in Val di Rabbi e la fase estiva in Val di Peio.
I maschi, sia giovani che alcuni adulti, hanno mostrato spostamenti di maggiore entità e,
soprattutto, più imprevedibili e variabili nel tempo. Complessivamente, gli spostamenti effettuati
dal piccolo campione di cervi monitorati (39 su una popolazione di oltre 3.000!) hanno coperto
una superficie di 660 km2 che si sovrappone in modo sufficientemente fedele ai confini della
prima ipotesi di UG (comprendente anche le riserve di Bresimo, Cis, Livo e Rumo in alta Val di
Non). L’estensione della prima ipotesi di unità di gestione per il cervo in Val di Sole, non ha
dimensioni molto diverse ed è pari a 715 km2, mentre l'UG attualmente considerata e
coincidente con il Distretto Val di Sole più il PNS, ha una superficie complessiva di 625 km2.
Considerata la notevole frequenza con cui sono stati verificati fenomeni di migrazione
stagionale verso i territori dell'alta Val di Non (6 cervi su 39!), l'Unità di Gestione biologicamente
più significativa avrebbe dovuto prendere in considerazione anche tali territori. Tuttavia in prima
battuta e per semplificare l'approccio amministrativo, si è preferito limitare i confini dell'attuale
UG ai confini dell'attuale Distretto Val di Sole, evitando, quindi, l'inserimento di una parte del
Distretto Alta Val di Non (che comprende anche la riserve di Fondo e Castelfondo). Per una
futura migliore gestione delle popolazioni si suggerisce tuttavia di ampliare i confini dell'UG a
ricomprendere le citate riserve di caccia dell'alta Val di Non.
135
Figura 4.60 – Localizzazioni totali dal gennaio 2003 al giugno 2007 dei 39 cervi muniti di radiocollare. In
verde i confini dell’unità di gestione della Val di Sole e in blu quelli del PNS. Si noti come una parte non
trascurabile di localizzazioni faccia riferimento a cervi che, pur essendo stati catturati all'interno del Parco,
hanno passato parte del loro tempo in alta Val di Non.
4.2.6.2.
Quali sono le differenti strategie di occupazione dello spazio ?
Su un campione di 24 femmine, è stato possibile identificare tre differenti modi di occupazione
dello spazio e di utilizzo stagionale dell’habitat, indipendentemente dalla classe d’età e dalle
dimensioni degli home ranges effettivamente utilizzati. Un esempio di ciascun schema
comportamentale è mostrato nelle figure successive, utilizzando i dati di singoli individui. I
moduli generali possono essere così schematizzati:
F. Animali stanziali: stazionano tutto l’anno nello stesso luogo, con modesti spostamenti
altitudinali o longitudinali. Oltre alle zone di fondovalle, i loro home ranges includono
solo le porzioni inferiori dei versanti vallivi. In tardo autunno esse riducono le
dimensioni del loro home range in relazione alle prime nevicate. Le aree invernali e
quelle estive si sovrappongono abbondantemente (Figura 4.61).
136
5000
FEMMINA STANZIALE
12/04/2004
4000
06/10/2005
distanza netta percorsa (m)
26/04/2005
3000
2000
01/10/2004
1000
0
tempo
Figura 4.61 - Comportamento spaziale della femmina 870, stanziale, dall’inverno 2002 – 2003 all’inverno
2005 - 2006. In rosso le localizzazioni e gli home range estivi, in blu quelli invernali. Gli home range sono
rappresentati con i Minimi Poligoni Convessi che, per ciascuna stagione, racchiudono il 95% delle
localizzazioni.
G. Animali migratori: tra autunno, inverno e primavera mostrano un home range situato
a quote più basse lungo i fianchi vallivi. Durante l’estate, dopo uno spostamento veloce
e repentino, utilizzano un home range completamente separato e distante, situato
spesso in aree alpine ai limiti della vegetazione arborea (Figura 4.62).
137
14000
FEMMINA MIGRATRICE
distanza netta percorsa (m)
12000
10000
11/05/2004
02/05/2005
8000
6000
4000
13/09/2005
22/09/2004
2000
0
tempo
Figura 4.62 - Comportamento spaziale della femmina 410, migratrice, dall’inverno 2002 – 2003 all’inverno
2005 - 2006. In rosso le localizzazioni e gli home range estivi, in blu quelli invernali. Gli home range sono
rappresentati con i Minimi Poligoni Convessi che, per ciascuna stagione, racchiudono il 95% delle
localizzazioni. Il punto rosso isolato è una localizzazione effettuata durante la migrazione dai quartieri
invernali a quelli estivi.
H. Animali migratori “intermedi”: è una variante del modulo precedente (definiti anche
come “type III” o migratori di corto raggio. Questi animali ritardano e rallentano la fase
di migrazione verso le zone di estivazione, soffermandosi, durante la primavera-estate,
a quote intermedie, dove stabiliscono un ulteriore home range che utilizzano per 2-6
settimane prima di salire verso le quote superiori. Queste aree “intermedie” possono
essere utilizzate anche durante l’autunno. La fase estiva può altresì essere preceduta
da una frenetica fase esplorativa primaverile che porta l’animale ad occupare uno
spazio molto esteso. Questa fase primaverile (maggio-giugno) caratterizzata da
138
spostamenti più ampi e irregolari è stata registrata soprattutto (ma non in modo
esclusivo) nelle femmine di 1-2 anni, forse in relazione al momentaneo distacco dal
gruppo familiare durante il periodo dei parti (Figura 4.63).
7000
FEMMINA TYPE III
distanza netta percorsa (m)
6000
5000
4000
21/05/2004
24/05/2005
3000
2000
1000
02/10/2005
04/10/2004
0
tempo
Figura 4.63 - Comportamento spaziale della femmina 530, type III, dall’inverno 2002 – 2003 all’estate
2006. In blu le localizzazioni e gli home range invernali, in rosa gli home range relativi al resto dell’anno.
Le localizzazioni non invernali sono distinte in primaverili (verdi), estive (rosse) e autunnali (gialle). Gli
home range sono rappresentati con i Minimi Poligoni Convessi, che racchiudono il 95% delle
localizzazioni.
La fedeltà al sito e la tradizionalità nell'utilizzo degli stessi quartieri estivi ed invernali di anno
in anno è risultata sorprendente (il 92% delle femmine studiate!). La distribuzione spaziale dei
differenti quartieri stagionali degli animali è rimasto sorprendentemente identica di anno in anno
con due sole eccezioni su 24. Una femmina di 6 anni ha modificato le zone in cui ha trascorso
139
l’estate (Val Maleda, Rabbi e Val d’Ultimo) e una seconda, di 9 anni, ha effettuato un
movimento di dispersione che l’ha portata a stabilirsi definitivamente in bassa Val di Non. Nel
caso dei maschi la fedeltà al sito non è risultata altrettanto regolare e presente spesso solo
dopo il raggiungimento dell’età adulta. Un comportamento esplorativo e irregolare è tipico di
parte dei maschi di età compresa tra gli uno e i 5 anni.
La Tabella 4.31 riporta le caratteristiche principali dei cervi catturati e muniti di radiocollare nel
corso dello studio. Non sono stati analizzati i cervi evidenziati in grigio (numero troppo esiguo di
localizzazioni) e in arancione (femmina spostata artificialmente da una valle all’altra).
Tabella 4.31 – Elenco dei cervi muniti di radiocollare; FR = frequenza radiotrasmittente associata al
collare; SEX = sesso; CL ETA’ = classe d’età (1 = maschio fino a 6 anni; 2 = maschio con più di 6 anni; 3
= femmina fino ai 3 anni; 4 = femmina tra i 4 e gli 11 anni; 5 = femmina con più di 11 anni); COMP. SP. =
strategia di occupazione dello spazio, valutata sull’intero periodo di monitoraggio dell’individuo e per ogni
anno (inverno più estate successiva); N fix = numero complessivo di localizzazioni durante l’intero
periodo di monitoraggio; CATTURA = dove è avvenuta la cattura rispetto al territorio del Parco.
FR
SEX
CL
ETA'
COMP. SP.
50
f
5
migr
60
f
4
stanz
61
f
4
---
COMP. SP.
COMP. SP.
COMP. SP.
COMP. SP.
COMP. SP.
2003
2004
2005
2006
2007
type III
migr
migr
stanz
---
80
f
3
type III
111
f
4
dispersione
type III
---
type III
120
f
4
migr
migr
migr
150
f
4
stanz
stanz
stanz
180
f
3
---
181
f
4
---
210
f
5
spec
211
f
4
migr
migr
240
f
5
stanz
stanz
241
f
3
stanz
type III
N fix
CATTU
RA
% fix in
Parco
401
in
93.5
120
in
99.2
25
in
100.0
490
in
99.2
195
in
38.5
318
out
37.1
399
in
98.7
---
24
in
83.3
---
94
in
100.0
stanz
spec
type III
152
in
54.6
migr
411
in
99.5
63
in
98.4
stanz
146
in
100.0
69.3
270
f
4
migr
migr
migr
394
out
370
f
5
type III
type III
type III
type III
migr
486
in
63.8
391
f
4
migr
migr
migr
migr
355
in
79.4
410
f
4
migr
migr
migr
migr
464
in
67.2
430
f
4
migr
migr
migr
migr
503
in
80.9
267
in
97.0
540
in
98.0
510
f
4
migr
migr
migr
530
f
3
type III
type III
type III
550
f
4
migr
570
f
4
stanz
stanz
610
f
4
stanz
stanz
630
f
4
Migr
stanz
810
f
4
Type III
migr
830
f
4
Type III
stanz
type III
type III
migr
migr
migr
type III
stanz
type III
type III
stanz
427
in
95.6
499
in
98.6
318
in
97.8
322
in
100.0
153
in
95.4
480
in
83.5
850
f
3
stanz
type III
type III
type III
500
in
98.6
870
f
4
stanz
type III
stanz
stanz
511
in
100.0
313
in
56.9
157
in
41.4
30
m
2
Migr
migr
100
m
2
Migr
migr
170
m
1
Migr
260
m
1
type III
290
m
1
---
---
291
m
1
stanz
type III
140
type III
migr
migr
171
in
59.6
type III
386
out
81.1
24
in
50.0
stanz
388
in
100.0
330
m
1
---
331
m
1
stanz
migr
stanz
stanz
394
in
97.5
340
m
1
type III
type III
type III
stanz
399
in
99.7
555
m
2
migr
migr
169
in
59.8
640
m
2
migr
migr
111
in
21.6
890
m
1
vagrant
381
out
0.0
910
m
1
---
6
in
100.0
911
m
1
type III
931
m
1
vagrant
950
m
1
---
951
m
2
type III
970
m
1
stanz
---
vagrant
vagrant
16
migr
vagrant
---
type III
vagrant
type III
type III
vagrant
---
type III
type III
type III
stanz
stanz
stanz
Tot
4.2.6.3.
in
100.0
408
in
99.5
207
in
42.5
6
in
100.0
262
in
39.3
514
in
97.3
13369
93.5
Che percentuale della popolazione ha un comportamento migratorio ?
Per definire in modo oggettivo il tipo di comportamento spaziale delle femmine di cervo
monitorate sono stati presi in considerazione e calcolati due parametri. L’entità dello
spostamento tra quartieri invernali ed estivi e la percentuale di sovrapposizione tra gli uni e gli
altri. L’indice VI (Volume of Intersection statistic) fornisce un modo sintetico per effettuare tali
valutazioni; esso varia da 0 (sovrapposizione nulla) a 1 (home range con identico pattern di
utilizzo dello spazio e sovrapposizione completa). La Tabella 4.32 mostra i valori di
sovrapposizione tra home range stagionali nelle diverse tipologie di comportamento spaziale.
Le femmine con comportamento stanziale hanno aree estive ed invernali che si sovrappongono
in media per il 45%, le migratrici di corto raggio hanno sovrapposizioni minori con media del
14%, mentre le migratrici mostrano sovrapposizioni pressoché nulle (2%).
Tabella 4.32 - Media e range di VI (Volume di intersezione, espresso in percentuale) per l’uso stagionale
dello spazio nelle femmine, stimato con il kernel, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio e
per ogni anno.
FEMMINE
stanziali
type III
migratrici
2003
2004
2005
2006
2007
Totale
media
41.3
51.0
47.7
39.4
54.2
44.9
min
39.3
49.5
45.1
20.2
20.2
max
43.2
52.5
51.1
63.6
63.6
N
2
2
3
4
media
11.1
12.2
19.0
9.0
min
5.3
5.4
9.5
5.3
max
18.3
22.0
33.6
33.6
N
4
7
6
1
18
media
0.0
1.2
3.7
0.9
1.9
min
0.0
0.0
0.0
0.6
0.0
max
0.0
3.0
10.2
1.7
10.2
N
2
6
7
4
19
1
12
14.1
141
media
Totale
15.9
13.0
17.7
18.9
min
0.0
0.0
0.0
0.6
0.0
max
43.2
52.5
51.1
63.6
63.6
8
15
16
9
N
54.2
1
16.9
49
Figura 4.64 - Grafico a dispersione che mostra come varia la distanza tra il centroide della core area
frequentata in inverno e quello della core area frequentata nell’estate successiva in funzione della
sovrapposizione degli home range stagionali, espressi come VI percentuale, per le femmine con diverso
comportamento migratorio.
Il 43% delle femmine (10 su 23) ha mostrato un comportamento migratorio, il 22% un
comportamento migratorio a corto raggio e il restante 35% è risultato stanziale (Figura 4.64 e
Tabella 4.33). Tuttavia se consideriamo il comportamento migratorio stagionale ai fini di stimare
la percentuale di femmine monitorate che escono dai confini del Parco durante i mesi invernali,
è importante notare come sei delle dieci femmine con comportamento migratorio abbia
comunque entrambi gli home-range stagionali all'interno dell'area protetta e come le migratrici di
corto raggio siano in termini generali del tutto assimilabili, ai fini della nostra indagine, alle
femmine con comportamento stanziale. Pertanto, sul totale del campione di femmine indagate,
il 78% ha mostrato un comportamento di tipo stanziale o migratorio “entro Parco”, mentre solo il
22% ha mostrato un comportamento migratorio che le ha portate all'esterno del Parco durante i
mesi invernali. Tale percentuale è decisamente bassa rispetto a quanto atteso in base alla
strategia di gestione applicata e rispetto a quanto evidenziato in studi analoghi (Buchli, 1979;
Georgii, 1980; Georgii e Schröder, 1983; Luccarini et al., 2006; Meyer e Filli, 2006; Monaco, in
verbis).
Le femmine catturate in Val di Peio e in Val di Rabbi hanno ugualmente mostrato
comportamenti sia stanziali, sia migratori.
142
Tabella 4.33 - Strategie migratorie delle femmine e rapporti col territorio del Parco.
Strategia migratoria
N
%
Stanziale
8
34.8
Type III
5
21.7
Migratrice
10
43.5
TOTALE
23
N “in” Parco
% “in” Parco
12
92.3
6
60.0
18
78.3
Decisamente differente si presenta la situazione dei maschi il cui comportamento
particolarmente variabile su base individuale ha reso difficoltosa una classificazione in tipologie
precise come fatto per le femmine (Tabella 4.34). Circa la metà dei maschi ha effettuato
spostamenti stagionali di limitata estensione. La quasi totalità di essi (6 su 7) è stazionata
all’interno del Parco per tutto il corso dell’anno. L’altra metà ha mostrato un netto
comportamento migratorio a lungo raggio o un comportamento vagante tipico dei soggetti più
giovani che non hanno ancora assunto un comportamento tradizionale di utilizzo del territorio (si
veda oltre nel capitolo).
Tabella 4.34 - Strategie migratorie dei maschi e rapporti col territorio del Parco.
Strategia migratoria
Spostamenti
minori
Spostamenti
maggiori
TOTALE
4.2.6.4.
N
%
Stanziale
3
21.4
Type III
4
28.6
Vagrant
2
14.3
Migratore
5
35.7
14
N “in” Parco
% “in” Parco
6
85.7
0
0
6
42.9
Che spostamenti compiono le cerve che effettuano migrazioni stagionali
tra i quartieri di svernamento e di estivazione ?
Per le femmine, analizzando le distanze tra quartieri di svernamento ed estivazione in
funzione della strategia migratoria presentata, risulta che le medie relative ai diversi
comportamenti sono significativamente differenti (Figura 4.65 e Tabella 4.35). Il risultato resta lo
stesso sia considerando la distanza tra i centroidi degli home range stagionali (inverno vs estate
successiva) calcolati con il MCP al 95%, sia le core areas stagionali, stimate con il kernel al
50%. Analizzando più nel dettaglio i dati con un test post hoc, è possibile individuare come
siano le migratrici a compiere le distanze maggiori, mentre stanziali e type III sono da
considerarsi assimilabili secondo il test LSD, differenti secondo il test di Games-Howell.
143
Figura 4.65 – La distanza tra aree occupate durante l’estate e durante l’inverno è differente a seconda del
tipo di strategia utilizzata dalle femmine di cervo.
Le femmine stanziali hanno una distanza tra i quartieri stagionali evidentemente modesta, che
misura in media 735 m (ds 396 m). Le femmine migratrici e migratrici intermedie, pur
rappresentando il 70% del campione studiato, hanno mostrato distanze medie relativamente
basse se paragonate a quanto riportato negli studi effettuati nel Canton Grigioni (Buchli, 1979) e
in Trentino orientale (Monaco, in verbis). La distanza media delle migratrici è risultata pari a
5.244 m (ds 3.147 m), mentre quella delle migratrici intermedie è pari a 2007 m (ds 669 m).
L’elevato numero di femmine “migratrici a corto raggio” può essere messo in relazione a
numerosi fattori e merita approfondimenti specifici. Tra i vari fattori cui possono essere attribuite
parte delle motivazioni, possiamo ricordare gli effetti delle densità elevate, l’ampia variabilità e
idoneità ambientale della Val di Sole su piccola scala (che permette ai cervi di trovare tutto ciò
di cui hanno bisogno senza la necessità di effettuare spostamenti eccessivi) e la presenza di
un’area protetta entro cui godere della necessaria tranquillità durante tutto il corso dell’anno.
Tabella 4.35 - Distanza media (in metri) tra quartieri di svernamento e di estivazione delle femmine,
calcolata come distanza lineare tra i centroidi della core area invernale ed estiva, calcolate con il kernel al
50%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
2003
2004
2005
2006
2007
Totale
media
483.2
719.7
1242.5
629.7
166.6
734.9
DS
149.8
75.2
120.7
359.2
N
2
2
3
4
media
1846.4
1996.3
1981.1
2881.9
2007.1
DS
419.6
750.7
648.6
0.0
668.6
N
4
7
6
1
18
media
7714.4
5329.6
4787.2
4677.3
5243.5
DS
2369.6
3219.8
3300.8
2423.4
3147.1
N
2
6
7
4
19
media
2972.6
3159.4
3070.3
2678.8
DS
3049.9
2778.4
2699.6
2512.7
8
15
16
9
stanziali
type III
migratrici
N
144
396.2
1
166.6
12
2950.5
2758.8
1
49
4.2.6.5.
In che periodo avvengono le migrazioni stagionali ?
Come per l’utilizzo tradizionale dei quartieri stagionali da parte di ciascun animale, così la
maggior parte delle femmine inizia gli spostamenti della migrazione primaverile in un periodo
estremamente preciso e simile per tutti. La fase di migrazione tra quartieri estivi ed invernali è
risultata altamente sincronizzata e repentina per tutte le femmine monitorate (8-10 giorni;
Tabella 4.35).
In tutti gli anni di monitoraggio, tutte le femmine hanno iniziato la propria migrazione
stagionale tra gli ultimi giorni di aprile e la prima settimana di maggio (Tabella 4.36). Tali
spostamenti, di differente durata tra le migratrici e le migratrici intermedie, hanno portato parte
delle femmine ad occupare aree di estivazione completamente separate e poste mediamente
ad altitudini maggiori (in un caso, una femmina ha trascorso i mesi di luglio e agosto tra i 2.300
e i 2.700 m, sempre al di sopra del limite del bosco).
Tabella 4.36 - Mediana, minimo e massimo della data di migrazione per le femmine entro ogni stagione di
ciascun anno e complessiva per estate ed inverno.
Mediana
Min
Max
est03
2-mag
14-apr
18-mag
inv03-04
18-ott
4-set
13-nov
15-mag
26-apr
25-mag
inv04-05
8-nov
22-set
26-dic
est05
29-apr
5-apr
7-giu
inv05-06
12-nov
13-set
23-dic
est06
2-mag
23-apr
17-mag
inv06-07
14-nov
22-ago
11-dic
ESTATE
2-mag
5-apr
7-giu
INVERNO
10-nov
22-ago
26-dic
est04
Il periodo entro il quale i cervi lasciano le aree estive e quelle riproduttive per rientrare in
quelle di svernamento è risultato molto più variabile, sia tra animali differenti, sia, soprattutto, tra
gli anni di monitoraggio, caratterizzati da una permanenza del manto nevoso estremamente
differente (massima durante l’inverno 2003-04 e pressoché minima durante l’inverno 2004-05).
I cervi radiomarcati sono ad esempio rientrati nelle zone di svernamento utilizzate l’inverno
precedente tra il 4 settembre e il 13 novembre nel primo anno, mente tra il 22 settembre e il 26
dicembre il secondo anno, caratterizzato da quasi completa assenza di neve.
La Tabella 4.37 mostra gli analoghi risultati nel caso della classe maschile. Pur mostrando
una maggiore variabilità, sia di classe, sia individuale, le date medie delle migrazioni appaiono
comunque del tutto simili tra i due sessi.
145
Tabella 4.37 - Mediana, minimo e massimo della data di migrazione per i maschi entro ogni stagione di
ciascun anno e complessiva per estate ed inverno.
Mediana
Min
Max
est03
6-mag
2-mag
13-mag
inv03-04
24-ott
21-ott
6-nov
12-mag
17-mar
2-giu
inv04-05
20-ott
10-set
30-dic
est05
2-mag
23-mar
28-mar
inv05-06
23-nov
10-set
29-dic
est06
24-apr
2-apr
5-giu
inv06-07
15-nov
23-set
14-dic
ESTATE
4-mag
17-mar
5-giu
INVERNO
4-nov
10-set
30-dic
est04
4.2.6.6.
Qual è la dimensione media degli home range annuali e stagionali ?
La dimensione degli home ranges occupati durante le diverse stagioni subisce una
caratteristica variazione annuale, come può essere evidenziato analizzando l’intero campione a
livello inter e intra-individuale. Le estensioni degli home ranges annuali in entrambi i sessi,
considerati come inverno + estate successiva, sono stati calcolati secondo il modello del
minimo poligono convesso che racchiude il 95% delle localizzazioni tra loro più vicine. Le
estensioni degli home ranges stagionali in entrambi i sessi, sono stati calcolati secondo il
modello del minimo poligono convesso che racchiude il 95% delle localizzazioni tra loro più
vicine (Hayne, 1949) e secondo il modello dello stimatore kernel (Worton, 1989). Di quest’ultimo
si riportano le stime effettuate al 95% (area entro cui si ha il 95% di probabilità di trovare
l’animale), che rappresentano l’estensione dell’home range e le stime al 50% (area più piccola
entro cui si ha in 50% di probabilità di rinvenire l’animale), che rappresentano l’estensione della
core area (Samuel e Garton, 1988). Tutte le stime di estensione degli home range sono state
calcolate per femmine e maschi, raggruppando le prime secondo le tre categorie “stanziali”,
“migratrici a corto raggio” e “migratrici” e i secondi in due classi di età, “da 1 a 6 anni”, “oltre i 7
anni”.
Nel caso delle femmine le aree di estensione minore sono occupate durante l’inverno e
misurano in media 247 ettari (deviazione standard 202.2; numero del campione 72), mentre le
aree estive, comprensive dei territori di prima migrazione e di quelli autunnali, occupano
dimensioni da due a tre volte maggiori e mostrano un valore medio di 522 ettari (deviazione
standard 549.2; numero del campione 69). Le stesse differenze si verificano anche
considerando separatamente gli anni di indagine.
Se si analizza l’estensione degli home ranges stagionali suddividendo le femmine secondo le
differenti strategie di occupazione dello spazio, si può notare come le dimensioni medie delle
aree invernali non differiscano tra le diverse categorie (da 210 a 262 ha), mentre siano
decisamente maggiori nelle femmine migratrici durante la fase estiva (rispettivamente 631 e
146
623 ha contro 300 ha), in ragione di un più ampio utilizzo del territorio durante la fase
primaverile ed autunnale.
Nessuna differenza è stata invece messa in evidenza, tra le diverse tipologie di occupazione
dello spazio, nell’estensione delle core areas sia estive (media di 153 ha), sia invernali (media
di 83 ha).
Le femmine che hanno evidenziato un comportamento stanziale, hanno occupato durante
tutto l’anno un home range che può essere considerato continuo e che ha dimensioni medie di
500 ettari. Le femmine che hanno mostrato un comportamento di tipo migratorio intermedio
hanno anch’esse home ranges stagionali parzialmente sovrapponibili o perlomeno in continuità
tra loro, con dimensioni annuali medie simili e pari a 743 ettari. Sulla base del comportamento
delle femmine migratrici, non appare invece ragionevole combinare le differenti aree stagionali
in un unico home range annuale. Le rotte utilizzate per la migrazione non devono essere
considerate parte dell’home range, perché percorse in un periodo di tempo molto breve e
perché l’inserimento di tali corridoi aumenterebbe in modo sproporzionato e artificiale
l’estensione delle aree calcolate. Per tali aree annuali risulterebbe infatti un’estensione media di
1.912 ettari, comprendenti tuttavia porzioni di territorio in realtà non utilizzato.
A conferma della maggiore variabilità individuale e della maggiore tendenza dei maschi ad
effettuare spostamenti di estensione più ampia, gli home range occupati risultano sempre
significativamente più grandi e la deviazione standard delle stime è superiore al valore medio
delle stime stesse, mentre nel caso delle femmine ciò avviene solo nel caso delle migratrici.
Nel caso dei maschi l’estensione media degli home ranges stagionali è risultata maggiore
rispetto alle femmine, sia durante l’estate (media di 983 ha contro 522 ha), sia durante l’inverno
(media di 1.138 ha contro 247 ha). Anche in termini di home range annuali i maschi hanno
occupato superfici di maggiore estensione, superiori di oltre il doppio (media di 2.757 ha contro
1.173 ha).
Tuttavia, raggruppando i maschi secondo due classi di età (i giovani più i subadulti e i soggetti
adulti al di sopra dei 6 anni di età) si evidenziano due comportamenti di occupazione dello
spazio differenti. Da una parte i soggetti più giovani che, durante l’estate, occupano aree più
ampie dell’inverno analogamente alle femmine (media estiva 1.042 ha, media invernale 555
ha). Dall’altra i maschi adulti che mostrano home ranges estivi simili (media di 843 ha), ma aree
invernali decisamente vaste (media di 3.016 ha). Ciò è legato al fatto che la parte di maschi
adulti caratterizzati da comportamento migratorio passa parte dell’inverno in Val di Sole e parte
compiendo migrazioni di estensione ancora maggiore verso la bassa Val di Sole e la Val di Non
in cui trovano condizioni di svernamento particolarmente vantaggiose.
Mentre nelle femmine sono stati messi in evidenza comportamenti simili e consistenti nel
tempo e chiare strategie differenziate di occupazione dello spazio, nel caso dei maschi la
variabilità inter-individuale è risultata molto elevata e maggiori difficoltà sono sorte al momento
di “incasellare” il comportamento di ciascun individuo entro schemi ben definiti. Abbiamo già
visto come una percentuale ben più elevata di soggetti (oltre la metà) abbia attuato una
strategia di carattere migratorio, mentre altri abbiano mostrato un comportamento decisamente
stanziale all’interno del Parco. Tra i maschi sono stati messi in evidenza anche individui definiti
come “vagrant” (cioè, vaganti), di norma soggetti giovani, che non hanno mostrato un
comportamento stabile, ma hanno continuato a cambiare luoghi e comportamento con il
passere degli anni. L’individualità, in questo caso, gioca un ruolo importante nel definire e
quantificare le caratteristiche di migrazione e occupazione dello spazio. Sembra possibile,
basandosi su alcuni esempi di comportamento di singoli individui esemplificati nelle figure,
tracciare alcune interessanti considerazioni di carattere descrittivo e qualitativo.
A differenza delle femmine, una elevata percentuale di maschi ha evidenziato una tendenza a
effettuare spostamenti di maggiore entità e un’occupazione dello spazio più frammentata e
variabile e meno prevedibile. E’ possibile affermare che ogni individuo mostra un
comportamento decisamente variabile e personalizzato, tanto da rendere possibili molte
147
varianti, dalla quasi totale stanzialità a movimenti irregolari o di elevata entità. Alcuni soggetti
giovani mostrano un comportamento molto conservativo e simile a quello delle femmine, mentre
altri mostrano generalmente home ranges stagionali più ampi, frammentati e disgiunti rispetto
alle femmine, una tendenza ad effettuare spostamenti più improvvisi anche durante la stessa
stagione e a volte aree di svernamento diverse in differenti stagioni. Diverso il comportamento
dei maschi adulti i quali, se migratori, hanno verosimilmente ormai terminato la fase esplorativa
e di dispersione ed occupano home ranges stagionali identici nel corso degli anni, spesso tra
loro distanti anche decine di chilometri.
A titolo esemplificativo, il maschio 890, di due-tre anni, se confrontato con la femmina 410
(Figura 4.66), mostra una distribuzione stagionale più dispersa ed una propensione ad
occupare aree stagionali differenti nei due diversi anni, senza mai entrare nel territorio del
Parco.
Figura 4.66 – Distribuzione ed estensione degli home ranges stagionali del maschio 890, in confronto a
quelli della femmina 410 di 7 anni. In marrone gli home ranges invernali della femmina e in viola quelli
estivi. In blu gli home ranges invernali del maschio, in verde quelli primaverili, in giallo quelli estivi e in
rosso quelli autunnali. Gli home ranges sono calcolati con il metodo del kernel e le linee racchiudono il
75% delle localizzazioni stagionali.
La Figura 4.67 e Figura 4.68 mostrano, a titolo di esempio, i movimenti monitorati per quattro
maschi adulti muniti di radiocollare. Il maschio 951, di 12 anni, ha abitudini estremamente
stanziali, anche se occupa aree nettamente differenziate nelle diverse stagioni. L’estate viene
trascorsa all’esterno del Parco, mentre l’autunno in una delle più importanti aree di bramito. Il
maschio 100, di 7 anni, catturato in periodo riproduttivo all’interno del Parco in Val di Peio, si è
spostato, per lo svernamento in Val di Sole, di circa 26 chilometri, muovendosi sino all’imbocco
della Val di Rabbi e passando attraverso otto riserve di caccia differenti. Il maschio 030, di 10
anni, è stato catturato, durante l’attività riproduttiva del 2004 all’interno del Parco e al termine
del bramito si è repentinamente trasferito nella zona di svernamento situata in Val di Sole a 8
chilometri di distanza. L’anno successivo è tornato nel Parco, occupando durante il periodo
riproduttivo esattamente la stessa area, per poi effettuare uno spostamento migratorio invernale
sino all’alta Val di Non. Il maschio 640, di 10 anni è stato catturato in Val di Rabbi, all’interno del
Parco, durante il periodo del bramito. Il radiocollare con tecnologia GPS di cui è stato munito ha
tracciato in modo preciso lo spostamento di circa 30 km che l’animale ha percorso in pochi
giorni per portarsi nella sua abituale zona di svernamento posta tra l’alta Val di Non e la
Provincia di Bolzano. Il cervo ha occupato per due anni consecutivi le stesse aree compiendo
esattamente gli stessi spostamenti negli stessi periodi.
148
Figura 4.67 – Localizzazioni del maschio 951 di 12 anni (in giallo) e del maschio 100 di 7 anni (in blu). La
linea continua unisce le localizzazioni in ordine temporale.
Figura 4.68.– Localizzazioni del maschio 030 di 10 anni (in blu) La linea continua unisce le localizzazioni
in ordine temporale. Durante l’estate e l’autunno il cervo usufruisce del territorio del Parco attirato dalla
elevata densità di femmine. Durante la fase invernale esce completamente dall’area protetta, effettuando
spostamenti di decine di chilometri e occupando i territorio di molte diverse riserve di caccia.
149
Figura 4.69 – Localizzazioni del maschio 640 di 10 anni (in blu), dotato di radiocollare con tecnologia
GPS. Lo spostamento tra la zona occupata durante la fase estiva ed autunnale nel Parco e quella
occupata in inverno è stata effettuata in 3-5 giorni ed ha una lunghezza di circa 30 chilometri. Durante
l’estate e l’autunno il cervo usufruisce del territorio del Parco attirato dalla elevata densità di femmine.
Durante la fase invernale esce completamente dall’area protetta, effettuando spostamenti di decine di
chilometri e attraversando i territori di molte diverse riserve di caccia sino alla Provincia di Bolzano. Nei
due anni in cui è stato munito di radiocollare ha occupato aree estive ed invernali identiche, effettuando
gli stessi percorsi di spostamento.
150
Figura 4.70 - Confronto tra il comportamento spaziale di maschi e femmine nei mesi invernali. In blu sono
rappresentate le core area dei maschi (stimate con i kernel al 50%) e in azzurro quelle delle femmine.
Figura 4.71 - Confronto tra il comportamento spaziale di maschi e femmine nei mesi estivi. In rosso sono
rappresentate le core area dei maschi (stimate con i kernel al 50%) e in rosa quelle delle femmine.
151
Tabella 4.38 - Dimensione media (in ettari) degli home range annuali delle femmine calcolati con il
Minimo Poligono Convesso al 95%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio compiuta entro
anno.
MCP95 - FEMMINE
media
stanziali
DS
N
media
type III
DS
N
media
migratrici
DS
N
media
DS
N
2003
620.33
303.9251
3
789.078
367.0694
5
2347.11
1111.496
5
2004
491.79
194.9891
3
694.57
129.7282
7
2139.67
1144.603
8
2005
857.47
176.7139
3
862.1333
226.5949
6
1939.074
980.8684
7
2006
293.362
114.4078
5
621.854
211.356
5
1312.741
931.5789
7
2007
137.34
1349.4
1083.8
13
1303.0
1077.0
18
1332.4
855.7
16
809.7
753.2
17
137.3
1
1
Totale
500.8613
296.9068
15
743.0196
256.1
23
1911.69
1111.352
27
1172.584
976.1807
65
Tabella 4.39 - Dimensione media (in ettari) degli home range annuali delle femmine calcolati con il
Minimo Poligono Convesso al 95%, per migratrici e stanziali o type III.
MCP95 - FEMMINE
media
non migr
DS
N
2003
725.8
354.3
8
2004
633.7
178.4
10
2005
860.6
211.3
9
2006
457.6
236.3
10
media
DS
N
2347.1
1111.5
5
2139.7
1144.6
8
1939.1
980.9
7
1312.7
931.6
7
1349.4
1083.8
13
1303.0
1077.0
18
1332.4
855.7
16
809.7
753.2
17
migratrici
media
DS
N
2007
137.3
1
Totale
647.4
297.5
38
1911.7
1111.4
27
137.3
1
1172.6
976.2
65
Tabella 4.40 - Dimensione media (in ettari) degli home range annuali dei maschi calcolati con il Minimo
Poligono Convesso al 95%, per ciascuna classe d’età.
MCP95 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
2003
2082.7
1316.5
3
2004
1868.4
2001.2
7
2005
1563.3
1370.9
7
2006
1276.7
1273.6
6
Totale
1649.1
1586.7
23
media
DS
N
nd
911.8
nd
1
6840.2
5470.5
3
6526.4
8874.7
4
5942.2
7364.7
8
2082.7
1316.5
3
1748.8
1898.5
8
3146.4
4017.6
10
3376.5
6252.3
10
2757.0
4403.8
31
7+ anni
media
DS
N
152
Tabella 4.41 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali delle femmine calcolati con il
Minimo Poligono Convesso al 95%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
MCP95 FEMMINE
stanziali
type III
migratrici
media
DS
N
media
DS
N
media
DS
N
media
DS
N
inv0203
149.3
62.8
4
133.6
71.6
5
149.5
84.9
4
143.3
73.9
13
est03
311.1
76.8
4
955.3
354.9
5
484.5
236.5
4
612.2
381.7
13
inv0304
190.3
102.1
6
199.5
58.6
5
184.9
64.0
9
190.2
76.6
20
est04
369.5
147.7
5
519.0
147.8
4
791.2
841.0
9
613.6
631.5
18
inv0405
498.8
224.2
4
270.6
69.9
4
437.1
404.7
9
412.4
326.3
17
est05
424.5
259.5
6
646.4
181.0
4
873.0
913.5
9
683.7
679.6
19
inv0506
276.5
138.9
6
262.0
102.3
4
241.7
77.2
8
257.8
107.9
18
est06
145.1
63.4
6
323.1
234.7
4
220.6
80.3
8
218.2
143.8
18
inv0607
110.7
7.7
2
135.8
21.7
2
123.2
20.5
4
est07
Totale
99.9
277.8
192.6
44
415.0
326.4
35
436.8
572.9
62
381.8
432.8
141
1
99.9
1
Tabella 4.42 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali delle femmine calcolati con il
Minimo Poligono Convesso al 95%, per migratrici e stanziali o type III.
MCP95 - FEMMINE
non migr
migratrici
media
DS
N
media
DS
N
media
DS
N
inv0203
140.6
68.3
9
149.5
84.9
4
143.3
73.9
13
est03
669.0
418.4
9
inv0304
194.5
85.3
11
484.5
236.5
4
612.2
381.7
13
184.9
64.0
9
190.2
76.6
20
est04
435.9
165.4
9
inv0405
384.7
201.5
8
791.2
841.0
9
613.6
631.5
18
437.1
404.7
9
412.4
326.3
17
est05
513.3
255.6
10
inv0506
270.7
125.8
10
est06
216.3
179.0
10
inv0607
110.7
7.7
2
873.0
913.5
9
683.7
679.6
19
241.7
77.2
8
257.8
107.9
18
220.6
80.3
8
218.2
143.8
18
135.8
21.7
2
123.2
20.5
4
est07
Totale
99.9
338.6
269.3
79
1
436.8
572.9
62
381.8
432.8
141
99.9
1
Tabella 4.43 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali dei maschi calcolati con il Minimo
Poligono Convesso al 95%, per ciascuna classe d’età.
MCP95 MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
media
7+ anni
DS
N
media
DS
N
inv02-03
365.7
260.8
3
nd
365.7
260.8
3
est03
1577.2
1480.4
3
nd
inv03-04
471.8
800.3
9
131.5
nd
1
1577.2
437.8
1480.4
766.1
3
10
est04
1334.9
1494.7
8
520.6
419.9
2
1172.0
1388.7
10
inv04-05
913.8
1103.1
7
4858.3
4269.5
3
2097.1
3096.4
10
est05
690.4
307.5
8
888.1
550.4
5
766.4
428.9
13
inv05-06
531.0
235.1
7
3079.5
4152.3
4
1457.8
2794.2
11
est06
880.2
685.9
7
946.3
226.1
4
904.3
564.8
11
inv06-07
214.7
60.7
3
122.8
nd
1
191.7
65.9
4
Totale
785.4
960.8
55
1820.7
2968.7
20
1061.5
1799.1
75
153
Tabella 4.44 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali delle femmine calcolati con il
kernel al 95%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
K95 - FEMMINE
stanziali
type III
migratrici
media
DS
N
inv0203
352.6
160.1
4
media
DS
N
488.9
201.0
4
inv0304
396.1
57.0
4
180.3
69.8
2
1170.4
280.5
5
media
DS
428.3
319.8
N
3
339.5
234.3
9
media
DS
N
est03
est04
563.0
136.0
5
inv0405
748.0
306.7
4
est05
763.6
205.1
4
inv0506
316.3
162.4
6
est06
268.4
70.7
5
996.9
324.5
4
375.9
114.4
4
846.6
170.1
4
416.2
197.7
4
866.8
652.8
162.9
284.2
61.5
738.6
396.1
525.6
188.5
645.7
326.5
384.3
141.2
340.4
161.8
236.0
507.7
300.3
3
813.8
384.1
12
7
307.2
81.9
16
9
747.2
361.0
18
8
543.8
249.4
16
9
720.7
283.3
17
8
368.7
166.9
18
5
360.2
223.6
9
1
200.1
35.9
2
53
529.9
328.2
118
224.4
41.6
3
inv0607
164.3
est07
Totale
110.5
1
1
462.7
258.0
36
653.9
411.0
29
1
110.5
1
Tabella 4.45 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali delle femmine calcolati con il
kernel al 95%, per migratrici e stanziali o type III.
K95 - FEMMINE
non migr
media
DS
N
inv0203
295.1
159.1
6
migratrici
media
DS
N
media
DS
N
est03
867.5
419.9
9
inv0304
325.1
90.8
9
428.3
319.8
3
652.8
162.9
3
339.5
234.3
9
813.8
384.1
12
est04
755.9
321.8
9
inv0405
561.9
297.0
8
284.2
61.5
7
738.6
396.1
9
307.2
81.9
16
747.2
361.0
18
est05
805.1
192.9
8
inv0506
356.2
184.0
10
est06
inv0607
164.3
est07
Totale
385.0
280.5
4
110.5
1
1
548.0
348.3
65
525.6
188.5
8
645.7
326.5
9
384.3
141.2
8
340.4
161.8
5
236.0
543.8
249.4
16
720.7
283.3
17
368.7
166.9
18
360.2
223.6
9
200.1
35.9
2
507.7
300.3
53
1
110.5
1
529.9
328.2
118
Tabella 4.46 - Dimensione media (in ettari) degli home range stagionali dei maschi calcolati con il kernel
al 95%, per ciascuna classe d’età.
K95 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
inv02-03
342.9
8.2
3
est03
1276.8
814.1
3
inv03-04
2465.2
3986.3
5
est04
1328.6
626.4
8
inv04-05
943.8
678.5
7
est05
1015.5
470.5
7
inv05-06
643.8
288.0
6
est06
812.6
451.9
7
Totale
1110.4
1509.9
46
media
DS
N
nd
nd
342.9
8.2
3
1276.8
814.1
3
175.8
nd
1
2083.6
3737.6
6
663.3
nd
1
1254.7
626.5
9
1364.3
1018.7
3
1069.9
819.0
10
1203.5
328.4
3
1071.9
441.3
10
15456.1
25374.6
4
6568.7
17614.1
10
1224.4
499.7
3
936.2
503.4
10
4936.0
14570.9
15
2051.2
7526.0
61
7+ anni
media
DS
N
154
Tabella 4.47 - Dimensione media (in ettari) delle core area stagionali delle femmine calcolate con il kernel
al 50%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
K50 - FEMMINE
stanziali
type III
migratrici
media
DS
N
media
DS
N
media
DS
N
media
DS
N
inv0203
76.9
39.8
4
24.3
nd
1
34.0
nd
1
61.0
39.7
6
est03
114.4
63.3
4
267.9
65.2
5
131.6
30.5
3
182.6
92.6
12
inv0304
84.8
20.4
4
55.9
21.5
5
50.2
13.6
6
61.3
23.4
15
est04
116.7
23.7
5
255.1
90.6
4
154.1
88.2
9
166.1
91.6
18
inv0405
171.4
70.2
4
70.4
28.2
4
97.8
46.4
8
109.4
62.6
16
est05
185.0
67.4
4
201.3
51.6
4
131.9
68.7
9
160.7
71.8
17
inv0506
69.5
46.0
6
103.8
62.4
4
96.8
45.3
7
88.8
52.1
17
est06
47.1
9.9
2
166.3
1
78.2
36.6
5
81.4
45.4
8
inv0607
37.8
est07
Totale
25.0
1
1
105.4
65.9
35
154.7
104.2
28
106.3
66.2
49
118.1
80.2
112
56.0
1
46.9
9.1
2
25.0
1
Tabella 4.48 - Dimensione media (in ettari) delle core area stagionali delle femmine calcolate con il kernel
al 50%, per migratrici e stanziali o type III.
K50 – FEMMINE
non migr
media
DS
N
migratrici
media
DS
N
media
DS
N
inv0203
66.4
41.4
5
34.0
nd
1
61.0
39.7
6
est03
199.7
99.8
9
inv0304
68.7
25.5
9
131.6
30.5
3
182.6
92.6
12
50.2
13.6
6
61.3
23.4
15
est04
178.2
93.3
9
inv0405
120.9
73.6
8
154.1
88.2
9
166.1
91.6
18
97.8
46.4
8
109.4
62.6
16
est05
est06
193.1
60.5
8
inv0506
83.2
55.7
10
est07
Totale
86.8
56.7
3
inv0607
37.8
nd
1
25.0
nd
1
127.3
88.5
63
131.9
68.7
9
160.7
71.8
17
96.8
45.3
7
88.8
52.1
17
78.2
36.6
5
81.4
45.4
8
56.0
nd
1
46.9
9.1
2
nd
106.3
66.2
49
118.1
80.2
112
25.0
nd
1
Tabella 4.49 - Dimensione media (in ettari) delle core area stagionali dei maschi calcolate con il kernel al
50%, per ciascuna classe d’età.
K50 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
media
7+ anni
DS
N
media
DS
N
inv02-03
63.3
5.8
2
nd
est03
305.8
217.4
3
nd
63.3
5.8
2
305.8
217.4
3
inv03-04
108.2
29.5
4
30.3
nd
1
92.6
40.8
5
est04
319.5
164.4
8
118.5
nd
1
297.1
167.4
9
inv04-05
214.0
175.8
7
215.9
145.4
3
214.6
167.3
10
est05
233.4
142.3
7
229.1
97.4
3
232.1
130.4
10
inv05-06
140.3
53.5
5
173.8
146.1
3
152.8
100.3
8
est06
160.9
82.9
7
284.9
143.1
3
198.1
119.1
10
155
Totale
209.1
155.1
43
204.3
141.3
14
207.9
151.9
57
Tabella 4.50 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine, calcolati con il Minimo Poligono Convesso al 95%, per ciascuna tipologia di comportamento
migratorio.
MCP95 - FEMMINE
media
stanziali
DS
N
media
type III
DS
N
media
migratrici
DS
N
media
DS
N
Estate
300.4
198.0
22
631.2
345.1
17
622.7
738.0
30
Inverno
255.2
184.3
22
210.9
94.1
18
262.5
250.2
32
Totale
277.8
192.6
44
415.0
326.4
35
436.8
572.9
62
522.0
549.2
69
247.4
202.2
72
381.8
432.8
141
Tabella 4.51 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine, calcolati con il Minimo Poligono Convesso al 95%, per migratrici e stanziali o type III.
MCP95 - FEMMINE
media
non migr
DS
N
Estate
444.6
317.7
39
Inverno
235.3
152.2
40
Totale
338.6
269.3
79
media
DS
N
622.7
738.0
30
262.5
250.2
32
436.8
572.9
62
522.0
549.2
69
247.4
202.2
72
381.8
432.8
141
migratrici
media
DS
N
Tabella 4.52 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali dei
maschi, calcolati con il Minimo Poligono Convesso al 95%, per ciascuna classe d’età.
MCP95 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
Estate
1042.1
1095.7
26
Inverno
555.2
749.8
29
Totale
785.4
960.8
55
media
DS
N
842.5
460.5
11
3016.3
4089.8
9
1820.7
2968.7
20
982.8
956.6
37
1138.1
2342.1
38
1061.5
1799.1
75
7+ anni
media
DS
N
156
Tabella 4.53 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine, calcolati con il kernel al 95%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
K95 - FEMMINE
Estate
Inverno
Totale
stanziali
media
DS
N
506.4
254.9
17
423.6
254.5
19
462.7
258.0
36
type III
media
DS
N
1006.6
291.1
14
324.7
151.7
15
653.9
411.0
29
migratrici
media
DS
N
620.0
345.8
26
399.6
195.2
27
507.7
300.3
53
681.1
362.7
57
388.7
210.1
61
529.9
328.2
118
media
DS
N
Tabella 4.54 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine, calcolati con il kernel al 95%, per migratrici e stanziali o type III.
K95 - FEMMINE
media
non migr
DS
N
Estate
732.3
368.6
31
Inverno
380.0
220.8
34
Totale
548.0
348.3
65
media
DS
N
620.0
345.8
26
399.6
195.2
27
507.7
300.3
53
681.1
362.7
57
388.7
210.1
61
529.9
328.2
118
migratrici
media
DS
N
Tabella 4.55 - Dimensione media (in ettari) degli home range di tutte le stagioni estive ed invernali dei
maschi calcolati con il kernel al 95%, per ciascuna classe d’età.
K95 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
Estate
1090.3
608.1
25
Inverno
1134.5
2133.7
21
Totale
1110.4
1509.9
46
media
DS
N
1135.3
436.5
7
8261.7
19344.7
8
4936.0
14570.9
15
1100.1
575.2
32
3100.6
10801.7
29
2051.2
7526.0
61
7+ anni
media
DS
N
157
Tabella 4.56 - Dimensione media (in ettari) delle core area di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine calcolati con il kernel al 50%, per ciascuna tipologia di comportamento migratorio.
K50 - FEMMINE
Estate
Inverno
Totale
stanziali
media
DS
N
118.8
68.0
16
94.1
61.8
19
105.4
65.9
35
type III
media
DS
N
237.9
76.1
14
71.4
45.3
14
154.7
104.2
28
migratrici
media
DS
N
129.2
73.6
26
80.5
44.3
23
106.3
66.2
49
153.4
87.6
56
82.8
51.9
56
118.1
80.2
112
media
DS
N
Tabella 4.57 - Dimensione media (in ettari) delle core area di tutte le stagioni estive ed invernali delle
femmine calcolati con il kernel al 50%, per migratrici e stanziali o type III.
K50 - FEMMINE
media
non migr
DS
N
Estate
174.4
93.3
30
Inverno
84.5
56.5
33
Totale
127.3
88.5
63
media
DS
N
129.2
73.6
26
80.5
44.3
23
106.3
66.2
49
153.4
87.6
56
82.8
51.9
56
118.1
80.2
112
migratrici
media
DS
N
Tabella 4.58 - Dimensione media (in ettari) delle core area di tutte le stagioni estive ed invernali dei
maschi calcolati con il kernel al 50%, per ciascuna classe d’età.
K50 - MASCHI
media
1-6 anni
DS
N
Estate
249.3
161.6
25
Inverno
153.3
125.9
18
Totale
209.1
155.1
43
media
DS
N
237.2
125.9
7
171.3
148.0
7
204.3
141.3
14
246.7
154.6
32
158.3
132.7
25
207.9
151.9
57
7+ anni
media
DS
N
158
4.2.6.7.
Come funzionano i meccanismi di dispersione ?
Poche informazioni sono disponibili su questo argomento vista l’esiguità del campione
raccolto, la frazione della popolazione che entra in dispersione e colonizza nuove aree senza
più fare ritorno al luogo d’origine è di per sé bassa e non è facile metterla in evidenza con
campioni di questa entità. Il numero di soggetti giovani, quelli più propensi a effettuare
spostamenti di questo tipo non è trascurabile (4-5 femmine e 7 maschi). Per il momento due
sono i soggetti maschi giovani che hanno mostrato un comportamento irregolare e non simile
negli anni, con frequenti cambiamenti di aree di estivazione e svernamento (Figura 4.72). Tale
tipo di comportamento è stato definito “vagrant” (vagante) e non è stato considerato per il
calcolo delle medie prima riportate. Nel caso del maschio 890 di 2-3 anni, il percorso che unisce
idealmente gli home ranges occupati nelle differenti stagioni dei tre anni di monitoraggio
assomma a circa 42 chilometri e non comprende mai, unico caso, il PNS.
Figura 4.72 – Distribuzione delle localizzazioni e comportamento spaziale di tipo vagante senza home
ranger stabili di due maschi giovani (in alto il maschio 890, di 1-4 anni, in basso il maschio 931, di 1-3
anni).
Un notevole e inconsueto movimento di dispersione è invece stato effettuato dalla femmina
111, adulta di 9 anni, che dopo aver trascorso l’inverno e parte dell’estate 2004 nel Parco
159
Nazionale dello Stelvio della Val di Peio, ha velocemente attraversato tutta la Val di Sole
discendendo lungo la destra orografica della Val di Non per stabilirsi, tra fine estate e inverno
tra Vigo di Ton e il biotopo della Rocchetta (Figura 4.73). Le due aree distano in linea d’aria
circa 32 chilometri, ma lo spostamento della cerva si è sviluppato lungo un percorso di almeno
53 chilometeri.
Figura 4.73 - Comportamento di dispersione mostrato dalla femmina 111 che, dopo aver svernato in Val
di Peio, alla fine di luglio 2004 ha raggiunto la bassa Val di Non, dove è rimasta fino all’inverno
successivo. I punti sono rappresentati con un gradiente di colore che rappresenta le prime localizzazioni
(più chiare) fino alle più recenti (più scure).
4.2.6.8.
Quali sono state la sopravvivenza e le cause di morte degli animali
marcati con radiocollare?
La Tabella 4.59 riassume gli esiti della sopravvivenza e le cause di morte dei soggetti muniti di
radiocollare tra il 2003 e il 2006. Il 56% dei cervi è ancora vivo, il 21% è morto per cause
naturali (tra cui starvation, clostridiosi e collisioni con autoveicoli), il 9% è stato abbattuto fuori
Parco durante la stagione venatoria e il 14% è stato abbattuto in modo illegale principalmente
all’esterno del Parco.
160
Tabella 4.59 - Esiti della sopravvivenza e le cause di morte dei soggetti muniti di radiocollare tra il 2003 e
il 2006; tra parentesi gli animali morti di morte naturale nei mesi successivi alla cattura durante l’inverno
2003-04, particolarmente duro e nevoso.
Vive
Femmine
Morte
naturale
Abbattimento
in caccia
Bracc
TOT
Vive
Morte
naturale
Abbattimento
Bracc
14
8 (2)
2
2
26 (2) 54%
31%
8%
8%
Maschi giovani
5
0 (4)
1
2
8 (4) 63%
--
13%
25%
Maschi adulti
5
1 (1)
1
2
9 (1) 56%
11%
11%
22%
24
9 (7)
4
6
43 (7) 56%
21%
9%
14%
TOTALE
4.2.6.9.
Conclusioni
In base ai dati raccolti tra gennaio 2003 e dicembre 2006 è possibile tracciare le seguenti
considerazioni ed evidenziare le prospettive future di gestione della popolazione.
Lo studio sulle capacità di spostamento evidenzia come non sia possibile considerare i cervi
del Parco e quelli della Val di Sole come due unità distinte e separate. Più della metà dei
soggetti monitorati mostra un comportamento stagionale migratorio e circa il 30% della
popolazione compie spostamenti di parecchi chilometri tra l’estate e l’inverno.
In base all’esame della distribuzione delle localizzazioni dei cervi monitorati (Figura 4.60) e
alla distribuzione geografica delle catture, sembra confermata l’ipotesi che l’unità territoriale
entro cui gestire la popolazione di cervo (Unità di Gestione) debba comprendere tutto il territorio
trentino del Parco, il Distretto Faunistico della Val di Sole e parte del Distretto Faunistico alta
Val di Non.
Lo studio ha confermato l’esistenza di due principali strategie di uso dello spazio. Tra i cervi
che presentano un comportamento migratorio e stanziale si collocano i cervi con
comportamento di tipo intermedio, con areali stagionali separati, ma contigui nello spazio. Le tre
tipologie di comportamento risultano più marcate per le femmine: Il 44% delle femmine
monitorate mostra un comportamento stagionale migratorio e circa il 22% di esse compie
spostamenti di parecchi chilometri tra l’estate e l’inverno, tra l’interno e l’esterno dell’area
protetta. Tuttavia il restante 78% mostra un comportamento sostanzialmente stanziale e una
parte significativa delle femmine (il 73%) trascorre l’intero anno all’interno del Parco e ne mappa
i confini. La percentuale di individui migratori e l’estensione delle migrazioni è sinora risultata
mediamente bassa rispetto a quanto verificato in altre situazioni alpine
I cervi iniziano gli spostamenti migratori primaverili in un periodo estremamente preciso e
limitato nel tempo, tra gli ultimi giorni di aprile e la prima settimana di maggio. Il rientro nelle
zone di svernamento appare più variabile e dipendente dagli andamenti meteo-climatici.
La distanza tra i siti di estivazione e svernamento passa dai 735 m (±396) per le stanziali ai
5.244 m (±3.147) per le migratrici.
La quasi totalità delle femmine monitorate ha utilizzato in modo tradizionale negli anni le
stesse aree di estivazione e di svernamento. Le dimensioni medie degli home ranges invernali
variano tra i 140 e i 400 ha, mentre gli home ranges estivi, comprensivi dei territori di prima
migrazione e di quelli autunnali, occupano dimensioni da due a tre volte maggiori e mostrano
valori medi tra i 475 e i 873 ha.
161
Nel caso dei maschi, soprattutto negli adulti, le caratteristiche individuali giocano un ruolo
significativo nel comportamento spaziale e la maggioranza di essi, pur utilizzando il territorio del
Parco durante il periodo riproduttivo e l’estate, trascorre l’inverno all’esterno, spesso anche a
parecchie decine di chilometri di distanza.
La Figura 4.74 schematizza le principali rotte di spostamento che è stato possibile mettere in
evidenza per i maschi. Una parte (circa il 40-50%) resta all’interno del Parco o in prossimità dei
suoi confini per tutto il corso dell’anno, compiendo movimenti migratori di limitata entità. Altri (il
50-60%) si spostano dalle Valli di Peio e Rabbi verso la media e la bassa Val di Sole,
giungendo, in alcuni casi, sino a Bresimo.
Figura 4.74 – Principali rotte di migrazione messe in evidenza per i maschi catturati nel PNS.
La Figura 4.75 mette in evidenza le principali rotte di spostamento che è stato possibile
individuare per le femmine monitorate. Alcune di esse si spostano durante l’estate nella Valle di
Bresimo, una è arrivata a visitare anche la Val d’Ultimo, mentre altre svernano nella porzione di
Parco dello Stelvio della Val di Rabbi per andare poi a estivare in quella della Val di Peio. Una
porzione probabilmente significativa sverna sui versanti soleggiati della media Val di Sole per
portarsi poi repentinamente all’interno del Parco in Val di Peio al sopraggiungere della
primavera. Una, infine, sembra essersi definitivamente spostata nella bassa Val di Non.
Tuttavia una frazione cospicua delle femmine monitorate (18 su 23) trascorre l’intero anno
all’interno del Parco e ne mappa praticamente i confini (Figura 4.76). A differenza di quanto
emerge per i maschi, che mostrano un comportamento spaziale con frequenti movimenti che li
portano a valicare i confini del Parco, una parte consistente di esse, pari al 78% del totale,
passa praticamente l’intero ciclo annuale all’interno dell’area protetta . E tra queste, sono 4 (il
22%) quelle che effettuano alcuni limitati spostamenti, limitati nello spazio e nel tempo,
all’esterno del Parco (Figura 4.77). Decisamente diversa la situazione dei maschi, tra cui circa
la metà dei soggetti monitorati (il 55%) ha mostrato un netto comportamento migratorio che li ha
portati ad utilizzare in modo significativo anche i territori all’esterno dell’area protetta.
162
Figura 4.75 – Principali rotte di migrazione e dispersione messe in evidenza per le femmine catturate nel
Parco dello Stelvio e nelle aree limitrofe.
In conclusione le dimensioni dell’UG sono ritenute sufficienti a comprendere gli spostamenti
dei cervi marcati ed alla gestione della popolazione. Tuttavia, solo il 25% delle cerve ha
evidenziato una strategia migratoria di occupazione dello spazio. Le distanze tra aree di
svernamento e di estivazione sono risultate piccole rispetto ad altre realtà. Le femmine hanno
mostrato un comportamento estremamente conservativo e tradizionale e si sono mosse su
brevi spazi, nei limiti del possibile sempre all’interno del Parco. I maschi hanno invece un
comportamento più imprevedibile, variabile di anno in anno e si muovono su aree molto più
vaste uscendo in modo significativo dall’area protetta.
I comportamenti di maschi e femmine sono risultati diversi al punto da rendere necessarie
modalità di gestione differenti.
Gli spostamenti stagionali delle femmine sono risultati inferiori all’atteso e non sufficienti ad
una gestione realizzata solo all’esterno del Parco. L’eventuale controllo all’interno del Parco per
ridurre la densità della popolazione dovrà quindi concentrarsi maggiormente sulle femmine per
essere più efficace.
Il periodo di migrazione primaverile rende necessaria una oculata pianificazione delle attività
di censimento che avvengono proprio a cavallo di tale periodo. Il periodo di migrazione
autunnale, soprattutto nel caso dei maschi che compiono spostamenti di notevole estensione,
rende necessaria una oculata pianificazione delle attività venatorie.
163
Figura 4.76 – Una percentuale cospicua delle femmine monitorate trascorre praticamente l’intero arco
vitale all’interno del Parco, mostrando un comportamento stanziale o migratore a corto raggio.
Figura 4.77 – Una percentuale basse delle femmine monitorate (5 su 23) ha compiuto spostamenti
stagionali di entità notevole al di fuori del Parco, mostrando un comportamento migratore.
164
Figura 4.78 – Circa la metà dei maschi monitorati (5 su 11, 45%) trascorre praticamente l’intero arco
vitale all’interno del Parco, mostrando un comportamento stanziale o migratore a corto raggio.
Figura 4.79 – Circa la metà dei maschi monitorati (6 su 11, 55%) ha compiuto spostamenti stagionali di
entità notevole al di fuori del Parco, mostrando un comportamento migratore.
165
56#615#0+6#4+1
(a cura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Sezione di Trento)
La paratubercolosi è una malattia enterica ad andamento cronico causata da Mycobacterium
avium subsp. paratuberculosis (MAP), che colpisce principalmente ruminanti domestici e
selvatici; fra questi ultimi i cervidi risultano essere particolarmente sensibili (Pacetti et al., 1994;
De Lislie et al., 1995). Recenti indagini hanno dimostrato che lo spettro d’ospite è molto più
ampio, essendo sensibili all’infezione anche specie non ruminanti (Beard et al., 1999; Greig et
al., 2002; De Lisle et al., 2002).
La sintomatologia è caratterizzata da diarrea intermittente, progressivo deperimento e
cachessia terminale. La principale via di trasmissione dell’infezione è quella oro fecale. Feci di
animali infetti e grandi eliminatori possono contaminare acqua, alimenti e ambiente, ed essere
fonti importanti per la trasmissione dell’infezione ad animali recettivi.
In Italia la paratubercolosi è stata segnalata in diverse specie selvatiche dell’arco alpino: cervi,
stambecchi, camosci, caprioli, mufloni con prevalenze variabili a seconda del test diagnostico
utilizzato e della zona considerata (Tolari et al., 1987; Nebbia et al., 2000; Ferroglio et al.,
2000).
La prima segnalazione in Italia di casi clinicamente conclamati di infezione paratubercolare in
cervi risale agli anni ’90 e riguarda animali provenienti dal Settore altoatesino del Parco
Nazionale dello Stelvio (Pacetti et al., 1994). Nei cervidi la maggior positività all’esame colturale
si riscontra soprattutto nella frazione più giovane della popolazione (fusoni e sottili) (Carpi G. et
al. 2005).
In un’indagine eseguita nel Settore altoatesino del Parco Nazionale dello Stelvio la prevalenza
riscontrata all’esame colturale varia dal 31.96 % al 61 % (Fraquelli et al., 2000).
Mentre una ricerca condotta tra il 1998 e il 2002 in Trentino ha messo in evidenza valori di
prevalenza, che variano da 55 % al 80 % nel settore occidentale, e da 36 % a 6 % nel settore
orientale (Carpi G. et al. 2005).
I ceppi di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, isolati da bovini, ovini e cervi, sono
stati sottoposti ad analisi PCR-REA e la tipizzazione, basata sul polimorfismo presente
nell’IS1311, ha dimostrato l’origine bovina dei ceppi (Robbi et al., 2000).
Il monitoraggio nel Parco Nazionale dello Stelvio
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, dopo le osservazioni effettuate agli inizi
degli anni ’90 dal direttore della sezione di Bolzano, dr. Pacetti, a partire dal 1997 ha iniziato
uno studio sistematico dello stato sanitario del cervo presente nel territorio delle due province
autonome. Negli anni 2004 e 2005 ha realizzato in queste province e con propri fondi di ricerca,
uno studio sulla paratubercolosi in ambiente alpino. Nel Trentino sono state controllate la parte
orientale (Primiero, Fassa e Fiemme), e la parte occidentale (Val di Sole); la maggior parte dei
campioni occidentali è giunta dal Parco Nazionale dello Stelvio.
La prevalenza all’esame colturale per paratubercolosi nei cervi è risultata di 39.13% (n = 46)
nella zona occidentale del Trentino (Settore trentino del PNS e zone limitrofi) e di 8.82% (n =
34) nel settore orientale del Trentino. Nella Provincia di Bolzano si è riscontrato una prevalenza
superiore pari a 62.79% (n = 43) nel Settore Altoatesino del PNS e a 29.73% (n = 37) nelle
restanti zone della provincia.
In Tabella 4.60 sono indicate le prevalenze di cervo capriolo camoscio nelle diverse zone
considerate.
166
Tabella 4.60 - Valori di prevalenze all’esame colturale in cervo, capriolo e camoscio
CERVO
POS
N tot
CAPRIOLO
CAMOSCIO
P (%)
POS
N tot
P (%)
POS
N tot
39.13%
4
17
23.53%
0
3
8.82%
3
29
10.34%
2
26
3
66
4.55%
0
4
P (%)
PNS e
Trentino
occidentale
18
Trentino
orientale
3
34
Altre zone
Trentino
0
3
PNS
Altoatesino
27
43
62.79%
---
---
---
---
---
---
Altre zone
provincia
Bolzano
11
37
29.73%
5
11
45.45%
4
10
40.00%
46
7.69%
In Figura 4.80 è riportato il confronto tra le prevalenze e i diversi anni di indagine.
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
2000
2001
TN occidentale
2002
TN orientale
2004/5
PNS altoatesino
Figura 4.80 - Prevalenze all’esame colturale in cervi per settore di indagine in diversi anni di indagine.
La Figura 4.81 permette di confrontare i dati di popolazione (densità) con la prevalenza di
infezione all’esame colturale nei cervi dei due settori trentini considerati dal 200 al 2005.
167
10
8
6
4
2
densità (capo/100 ha)
prevalevza
12
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
0
2000
2001
% Est
2002
% Ovest
2003
D Est
2004/5
D Ovest
Figura 4.81 - Correlazione tra densità (D) di popolazione di cervo e prevalenza (%) all’esame colturale.
Il grafico consente di rilevare una prevalenza sostanzialmente e stabilmente bassa dopo il
2000 nel settore orientale, dove la densità è inferiore a quella del settore occidentale.
Quest’ultimo presenta una tendenza al decremento della prevalenza, pur manifestando una
decisa tendenza all’incremento della densità. C’è da dire che il dato del Trentino orientale è più
omogeneo di quello del Trentino occidentale, dove il campionamento è stato effettuato al di
fuori del territorio del Parco. È riferito che a partire dal 2001 si è osservato un costante aumento
della densità entro il Parco e una diminuzione all’esterno. Considerato che il campionamento ha
coinvolto cervi cacciati all’esterno, esso risulta poco significativo per lo stato sanitario dei cervi
che vivono stabilmente entro i confini e che hanno densità notevolmente più elevate.
Considerazioni
Gli studi effettuati in questi anni e culminati nella ricerca corrente, hanno permesso di
evidenziare una stabile circolazione di infezione paratubercolare in ambiente selvatico in zone
in cui la prevalenza sierologica negli allevamenti bovini è prossima allo zero e non sono
osservate forme cliniche o lesioni anatomopatologiche riferibili a paratubercolosi, nei bovini ivi
allevati. Abbiamo anche rilevato che le lesioni più gravi, osservate all’esame anatomopatologico
come appartenenti al gruppo C, che sono significativamente espressione di paratubercolosi,
costituiscono una percentuale relativamente esigua del campione esaminato, sia in Trentino
che in Alto Adige e che tale rapporto appare direttamente correlato con le densità di
popolazione. A fronte di tali considerazioni si può ragionevolmente dedurre che nell’area di
studio la paratubercolosi è in grado di mantenersi in ambito selvatico indipendentemente dalla
presenza di ruminanti domestici che ne sostengano la presenza e la diffusione. A tale proposito
i nostri risultati suggeriscono che la specie cervo è in grado di mantenere nel tempo l’infezione
paratubercolare nelle proprie popolazioni e nell’ambiente selvatico, con la possibilità di
contaminare altre specie selvatiche e domestiche. Considerato che la paratubercolosi, anche in
popolazioni in cui vi è elevata prevalenza all’esame batteriologico, non è mai stata osservata
come causa di elevata mortalità del cervo, si può dedurre che nella maggior parte dei cervi
batteriologicamente positivi per MAP, l’infezione decorrerà in modo lieve, inapparente o forse
anche transitorio, mentre solo pochi manifesteranno la malattia e contribuiranno a mantenere
l’infezione nel territorio. In alcune zone la prevalenza d’infezione appare particolarmente elevata
nelle popolazioni di cervo studiate e coinvolge anche altre specie selvatiche ruminanti e non
ruminanti. Le lesioni anatomopatologiche caratterizzate e descritte nel corso degli anni,
evidenziano una precocità di forme cliniche rispetto ai ruminanti domestici con interessamento
delle classi più giovani.
La prevalenza d’infezione e la presenza di forme patologiche gravi sono inferiori nelle aree
dove la densità di popolazione è inferiore. Questo dato viene rafforzato dal confronto di diverse
168
aree di studio nelle due province e dai risultati ottenuti da altre indagini effettuate dall’Istituto.
Infatti anche studi effettuati nel Settore lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio confermano
questi risultati, con densità, prevalenze d’infezione e frequenza di lesioni gravi (classe C)
analoghe a quelle del Trentino orientale. Nel Trentino nord occidentale, che corrisponde alla
zona che comprende il Parco Nazionale dello Stelvio, il controllo attuato su bovini allevati e
macellati in quel territorio non ha rilevato nessun caso di lesioni specifiche all’osservazione
anatomopatologica. A ciò si aggiunga che da parecchi anni in quella zona non vengono
segnalati casi di paratubercolosi nel bovino e la prevalenza osservata all’esame sierologico per
paratubercolosi è vicina allo zero. Ciò tuttavia appare correlato alla peculiare forma di
allevamento (razze allevate e consistenza delle stalle) e non esclude in alcun modo il fatto che
un territorio caratterizzato da un’elevata prevalenza nel selvatico costituisca una fonte
potenziale di infezione per il domestico. Le nostre osservazioni ripetute suggeriscono quindi che
vi sia un certo numero di cervi in grado di mantenere l’infezione in ambiente selvatico attraverso
la contaminazione dei pascoli e del foraggio.
I risultati forniti dall’analisi molecolare evidenziano un grado di similarità molto alto tra i ceppi
isolati dalle diverse specie. Per la maggior parte dei ceppi isolati non sono state rilevate
differenze per zona d’origine, mentre rimane aperta la possibilità che vi siano variabili
determinate della specie dell'animale ospite. In relazione alla differenza tra prevalenza
d’infezione e malattia nelle diverse specie va tenuto in considerazione il fatto che la
paratubercolosi sia ritenuta una patologia condizionata da fattori scatenanti, quali possono
essere fattori stressanti come il periodo degli amori per i maschi, la gravidanza e il parto per le
femmine, patologie concomitanti, il sovraffollamento, come negli allevamenti intensivi per i
domestici, determinato da densità elevate per le popolazioni a vita libera.
E’ possibile utilizzare i cervi del Parco per operazioni di reintroduzione e
ripopolamento?
Allo stato attuale non vi sono vincoli di legge che impediscano il trasferimento dei cervi
presenti nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, per causa di patologie in essi
riscontrate. Tuttavia, alla luce delle nostre indagini sanitarie, questa possibilità è avversata da
diversi fattori:
- L’elevata prevalenza di soggetti riscontrati positivi all’esame colturale per Micobacterium
avium subsp. paratunberculosis, è riferita a cervi sottoposti a prelievo venatorio al di fuori
del Parco, per cui è lecito supporre che le densità molto più elevate entro il Parco siano
associate ad una maggiore diffusione dell’agente eziologico e ad un numero consistente
di soggetti infetti ed eliminatori. È noto, tra l’altro, che la densità accentua la probabilità di
incontro tra parassita e ospite recettivo.
- Per quanto indicato al punto precedente e poiché buona parte dei cervi non ne lasciano
mai il territorio, i dati che abbiamo non consentono di definire correttamente lo stato
sanitario del cervo all’interno del Parco, perlomeno per il segmento femminile della
popolazione.
- Sebbene sia stato dimostrato che solo pochi dei cervi positivi all’esame colturale siano
destinati a manifestare la malattia, allo stato attuale non vi sono metodiche di laboratorio
in grado di identificare animali eliminatori o destinati a diventarlo.
In base alle considerazioni effettuate non è possibile oggi porsi il problema del trasferimento
dei cervi presenti nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, in quanto mancano i
prerequisiti di conoscenza e gestione delle problematiche sanitarie, indispensabili per tale
azione. È prioritario programmare e realizzare uno studio che accerti lo stato sanitario del
cervo all’interno del Parco e che definisca le azioni di gestione necessarie per ridurre l’impatto
della paratubercolosi sul cervo e sulle altre specie simpatriche, nonché per impedire che le
169
attività zootecniche ne subiscano un danno. Solo a posteriori sarà possibile valutare la
possibilità del trasferimento dei cervi. Deve però essere chiaro che, allo stato attuale delle
conoscenze scientifiche, non sarà possibile ridurre a zero la possibilità di trasferire cervi con
rischio di paratubercolosi e, dunque, ogni singolo progetto dovrà essere valutato sia per gli
aspetti della provenienza dei cervi, sia per quelli della destinazione.
170
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All'interno di un ecosistema ciascun elemento è intimamente legato ed interconnesso in una
sorta di rete a tutte le altre componenti, a formare una sorta di equilibrio dinamico in continua
evoluzione. Ogni cambiamento può portare conseguenze in cascata sulle altre componenti. Tali
aspetti e i possibili effetti connessi alle elevate densità di cervo devono essere opportunamente
analizzati e documentati. La presenza del cervo può avere effetti sulla dinamica di altre specie
faunistiche quali il capriolo o i Tetraonidi ed anche sulle dinamiche evolutive del bosco.
Analogamente un adeguata numerosità e distribuzione della popolazione è necessaria al fine di
creare e mantenere una rete trofica adeguata a favorire l’espansione delle aree di presenza dei
grandi predatori e dei consumatori secondari. Inoltre, in ambiente alpino, la presenza umana e
le sue interrelazioni con l'ambiente naturale non possono essere trascurate in quanto
indissolubilmente legate in un equilibrio complessivo.
Le scelte del piano devono mediare e trovare un giusto equilibrio tra necessità dell'uomo, e
conservazione degli ecosistemi in tutte le loro componenti. La gestione del cervo nel Parco
Nazionale dello Stelvio non può prescindere dalla conoscenza delle eventuali interazioni con
altre specie di ungulati presenti nell’area protetta e nelle aree limitrofe e nemmeno dagli impatti
che la popolazione arreca alle attività umane di interesse socio-economico. Di seguito vengono
riportate alcune brevi note che descrivono e quantificano i rapporti tra la popolazione di cervo,
l’ecosistema e le attività umane, cercando nel possibile di mettere in luce e quantificare in modo
oggettivo gli aspetti positivi e negativi, sul medio e lungo termine, legati alle elevate densità
della popolazione.
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La stabilità fisica ed ecologica e la capacità di rinnovazione delle foreste di montagna
presuppongono la presenza di un equilibrio tra la componente animale e vegetale.
L’azione degli Ungulati selvatici sulla rinnovazione del bosco è dovuta prevalentemente a
motivazioni di origine alimentare (brucamento e scortecciamento) e nel caso dello sfregamento
ha origini comportamentali.
Il brucamento alla rinnovazione forestale da parte degli Ungulati selvatici è un fenomeno
naturale ed i giovani alberi rappresentano, in particolare durante la stagione invernale, una
componente fondamentale della loro alimentazione. Il brucamento diventa un fattore limitante
per la pianta solo nel caso di un’asportazione significativa, o ripetuta nel tempo, di gemme e
rametti; nel caso di piantine di un anno di età o di pochi centimetri di altezza si può verificare la
loro completa asportazione.
171
In generale, il danneggiamento di una pianta da parte degli Ungulati selvatici diventa dannoso
per l’intero popolamento solo nel caso in cui non rimanga una presenza di piantine sufficiente a
garantire i normali meccanismi di rigenerazione del bosco.
Difficile risulta individuare la soglia oltre la quale la brucatura porta ad un effettivo danno
economico, visto che i fattori concorrenti sono molto complessi ed interrelati. In linea generale, i
processi naturali prevedono la produzione di un numero elevatissimo di semi delle diverse
specie forestali; semi che saranno poi sottoposti agli agenti della selezione naturale per
ottenere una rinnovazione affermata. In tal senso, la brucatura degli Ungulati, costituisce un
naturale anello delle catene alimentari e meccanismo di selezione.
La possibilità di rinnovazione di una foresta dipende quindi dalla sua capacità di produrre
seme fertile, dalla presenza di condizioni idonee alla germinazione ed allo sviluppo e da un
idoneo equilibrio con le componenti consumatrici dell’ecosistema.
A tal riguardo va tenuto presente che, in condizioni di difficoltà ecologico-stazionale
congiunturali, una foresta subisce in modo molto più forte l’impatto della brucatura.
Anche il tipo di gestione determina un diverso effetto della brucatura: la gestione naturalistica
prevede la continuità della rinnovazione. L’interruzione, anche temporanea, dei processi di
rigenerazione può essere da un lato poco evidente, ma produce effetti deleteri sulla sostenibilità
dei prelievi ed accentua il danno economico.
Lo scortecciamento produce inoltre dei danni economici diretti per scadimento delle qualità
tecnologiche del legname.
L’azione degli Ungulati sulla rinnovazione è diretta in modo preferenziale verso determinate
specie vegetali (ad esempio abete bianco e latifoglie). Da ciò ne può derivare un’alterazione
della naturale mescolanza specifica ed un impoverimento nella varietà ecologica del bosco.
Gli Ungulati selvatici hanno iniziato a costituire un serio problema per la rinnovazione dei
popolamenti forestali verso l'inizio degli anni '60 nelle foreste dell'Europa centrale ed orientale.
Nelle Alpi italiane, problemi relativi ad uno squilibrio tra la consistenza delle popolazioni di
Ungulati selvatici e l'affermazione della rinnovazione forestale sono stati segnalati per la prima
volta nella seconda metà degli anni ‘70.
I primi studi sull’argomento sono stati effettuati da Aldous negli Stati Uniti (1944). In Italia studi
sull'impatto degli ungulati selvatici sulla rinnovazione forestale sono stati effettuati in alcuni
territori di Piemonte, Valle d'Aosta, Trentino (Parchi naturali) - Alto Adige (Motta, 1995; Motta,
Quaglino, 1989; Motta, Franzoi, 1997; Armani e Franzoi, 1998; Provincia Autonoma di Bolzano,
1997). Nel corso degli anni ’90 sono state eseguite ricerche analoghe anche in altre regioni
alpine (Baviera, 1994; Tirolo, 1995).
L’esperienza del Parco Nazionale Svizzero e delle aree limitrofe del Canton Grigioni risulta di
particolare interesse, in quanto analizza l’impatto della brucatura in diretta relazione con la
dinamica di popolazione del cervo in area protetta in una situazione in parte simile a quella
presente in Val di Sole.
I risultati di un monitoraggio di 9 anni mediante recinti di escusione in Val Trupchun, all’interno
del Parco, portano alla conclusione che la rigenerazione naturale è rallentata dagli Ungulati,
anche se le condizioni stazionali e geografiche hanno una notevole importanza come co-fattore
(Abderhalden e Campell, 2006). L’impatto è risultato maggiore sul versante destro della valle
(quello caratterizzato dalle esposizioni più meridionali e favorevoli allo svernamento) e
maggiore sull’abete rosso, rispetto al larice. In Val Trupchun è presente una densità di cervo
paragonabile a quella dello Stelvio trentino, anche se durante l’inverno gli animali lasciano quasi
completamente la valle (esposta prevalentemente a nord) per uscire lungo i versanti posti a
quote inferiori all’esterno del Parco. La situazione non è in realtà completamente paragonabile
al Settore trentino del PNS in cui sono presenti densità di svernamento attorno ai 40 cervi/km2.
L’impatto del cervo è risultato maggiore durante le prime fasi di germinazione.
Un ulteriore lavoro mediante recinti di esclusione fa riferimento ad un area più vasta della
Valle dell’Engadina (Abderhalden at al., 2006). In tre dei nove recinti la brucatura degli ungulati
è stata ritenuta responsabile del rallentamento della rinnovazione.
172
In Provincia di Trento, già nei primi anni ’90, l’impatto della brucatura risultava localmente
evidente e spingeva il Servizio Foreste ad attivare una prima rete di monitoraggio impostata su
recinti di esclusione, di dimensioni 10x10 m, abbinati ad analoghe aree testimone. Due di questi
recinti vennero realizzati all’interno del PNS. Nel 1998 il PNS ha attivato una campagna di
rilevamento mediante transetti su tutto il territorio. Nel 2001 il Servizio Foreste e fauna ha
impostato una campagna analoga su tutto il territorio provinciale, compreso il territorio trentino
del Parco. Nel 2007 il PNS ha monitorato i due recinti di esclusione del ’92.
I risultati della ricerca del ’98 nel PNS hanno evidenziato la gravità dell’impatto per il Settore
trentino. In particolare hanno portato, allora, alle seguenti considerazioni:
• la percentuale media di brucamento a carico della rinnovazione forestale è superiore a
quella registrata in altre regioni dell’arco alpino con analoghi rilievi (Figura 4.82);
•
in alcune zone del Parco il livello di brucamento è così elevato da pregiudicare
l’affermazione e lo sviluppo della rinnovazione forestale;
•
le zone in cui è stato rilevato il carico di morso più elevato, e tra queste il Settore
trentino della Val di Rabbi, si sovrappongono a quelle in cui si verificano le massime
concentrazioni di cervo durante il periodo invernale (Figura 4.83);
•
le altre specie di Ungulati selvatici ed il bestiame domestico concorrono al danno da
morso solo in aree di limitata estensione;
•
particolarmente significativa risulta la fotografia dello stato della rinnovazione che deriva
dall’analisi comparata delle situazioni più problematiche: Lasa e Rabbi.
Percentuali di morso in Baviera, Tirolo, Alto Adige e
Parco nazionale dello Stelvio
Baviera
50
40
Tirolo
30
Alto Adige
20
Parco
Nazionale dello
St l i
10
latifoglie
conifere
pino
silvestre
larice
0
abete
rosso
Percentuale di morso annuo
60
Figura 4.82. – Raffronto tra le percentuali annuali di morso alla rinnovazione arborea esaminata in altre
zone. I valori del Tirolo si riferiscono a un periodo di 1,5 anni.
I valori di brucatura a Rabbi infatti sono paragonabili a quelli di Lasa (pur leggermente
inferiori), anche se il danno alla rinnovazione forestale non è, a prima vista, così evidente. La
rigenerazione della foresta non sembra essersi fermata perché gli alberi che hanno raggiunto i
venti anni di età non presentano ritardi nella crescita. Tuttavia le piantine più giovani, sotto il
metro di altezza, mostrano un carico di morso notevole. A Lasa invece, in Val Venosta, l’impatto
sulla rinnovazione forestale è particolarmente evidente e la vegetazione assume, su porzioni
assai vaste del territorio, un portamento a cespuglio basso, con ritardi notevoli nella crescita.
Tale situazione è pienamente giustificata dal ritardo temporale con cui le densità di cervo
sono divenute limitanti a Rabbi rispetto a Lasa, dove la consistenza del cervo era già
ragguardevole negli anni ’60.
173
Il raffronto con Lasa ci aiuta quindi ad ipotizzare l’evoluzione dell’impatto nel tempo, nel caso
in cui le attuali densità elevate permangano e perpetuino la ripetuta azione di brucatura: se le
consistenze di cervo in Val di Sole dovessero rimanere ai livelli attuali anche in futuro, gli
effetti prodotti potrebbero essere simili a quelli ora presenti nella stazione di Lasa.
In Figura 4.84 è individuata la distribuzione spaziale delle stime di densità di cervo realizzate
mediante pellet group distance sampling. I dati si riferiscono agli inverni 2004-05 e 2006-07 nei
quali è stata stimata una densità media all’interno del Parco di oltre 30 cervi / km2. Sono passati
già 10 anni dai rilievi per la valutazione dell’impatto da morso sulla rinnovazione forestale ed è
verosimile, in base alla densità e distribuzione evidenziata, attendersi un impatto ancora più
accentuato.
Figura 4.83 – Percentuale del carico da morso sulle conifere rilevato nel 1998 nel Parco dello Stelvio.
174
Figura 4.84 – Confronto tra l’entità del danno da morso sulla rinnovazione forestale stimato nel biennio
1998-99 e la distribuzione e densità invernale del cervo nel Settore trentino del PNS in due periodi più
recenti, stimata mediante la tecnica del pellet group count distance sampling.
175
Tabella 4.61 - Percentuali di morso al getto apicale a carico delle principali specie arboree, secondo
quanto rilevato nel 1998.
Stazioni del Parco
Abete
rosso
Gomagoi
15
Lasa
54
Val Martello
33
Val d’Ultimo
23
Settore altoatesino 30
Rabbi
57
Peio
32
Settore trentino
41
Vezza d‘Oglio
25
Sondalo
21
Valfurva
27
Livigno-Valdidentro 12
Settore lombardo 24
Totale Parco
31
Abete
bianco
**
**
**
**
**
**
Larice
26
60
18
23
42
25
21
23
33
33
53
36
38
38
Pino
silvestre
8
32
**
13
38
41
18
26
19
Pino
cembro
8
28
19
24
17
27
27
34
15
15
19
19
Conifere Latifoglie
16
54
25
23
31
47
28
34
31
26
25
29
27
31
61
88
70
82
74
**
**
**
94
83
**
**
87
76
** specie presente nella rinnovazione rilevata con valori inferiori all’1%
- specie assente nella rinnovazione rilevata
Per quanto riguarda il mantenimento della variabilità ecologica, il brucamento risulta
colpire in misura più rilevante le latifoglie e l'abete bianco, la cui la presenza nei popolamenti,
già costituzionalmente scarsa, risulta ulteriormente ridotta.
Anche per quanto riguarda lo strato arbustivo, alcune specie come mirtillo nero e ginepro
nano risultano maggiormente appetite di altre.
Nelle zone ad elevato brucamento il bosco tende quindi a ridurre la propria variabilità
specifica. Il danno di natura ecologica, pur presente, non pare irreversibile dato che i rilievi
effettuati all’interno di superfici recintate nella stazione di Lasa, mostrano la grande capacità di
riaffermazione delle latifoglie nell‘arco di pochi anni.
La funzione produttiva: i boschi delle regioni alpine sono da sempre utilizzati dalle
popolazioni locali per la produzione di legname. Sui versanti soleggiati, sotto copertura dei
popolamenti più radi a larice, si sviluppa un cotico erboso che veniva utilizzato per il pascolo del
bestiame domestico. Sui versanti esposti a settentrione, in condizioni stazionali migliori e su
terreni più freschi, si sono sviluppate invece formazioni più dense, soprattutto di abete rosso,
con buona rinnovazione naturale, sottoposte a tagli regolari per la fornitura di legname.
L’utilizzo economico dei boschi nel Parco Nazionale dello Stelvio è proseguito fino ad oggi e
l'istituzione dell'area protetta non ne ha sostanzialmente modificato la gestione tecnicoeconomica, viste le modalità di gestione improntate alla selvicoltura naturalistica. Il bosco
all'interno del Parco è di proprietà di enti pubblici (comuni e a.s.u.c.) anche se, nel caso di
Rabbi, prevale la proprietà collettiva (consortele), non sempre soggetta ad uso civico.
La
Tabella 4.62 riassume alcuni dati provvigionali e di utilizzazione significativi, ricavati dai piani
di assestamento forestale.
176
Tabella 4.62 - Dati provvigionali e di utilizzazione nei tre settori del Parco Nazionale dello Stelvio ricavati
dai piani di assestamento forestale.
Settori del Parco
superficie
d‘altofusto
provvigione
totale
taglio annuo
autorizzato
taglio annuo
effettuato
ha
m³
m³
m³
Lombardo
7.032
738.692
3.369
n.d.
Trentino
3.608
631.228
5.041
4.171
16.834
3.087.297
22.556
19.726
Altoatesino
L'alta intensità di brucamento presente nei boschi della stazione di Lasa, determina un
significativo ritardo nella crescita della rinnovazione naturale nelle superfici sottoposte a taglio
boschivo. In futuro pertanto sarà possibile utilizzare una quantità di legname inferiore
rispetto a quella attuale. Al fine di garantire lo sviluppo della rinnovazione nelle zone a
maggiore produzione e in quelle ad elevato rischio idrogeologico, l'autorità forestale ha
provveduto ad adottare costose misure di prevenzione, come la recinzione di intere superfici in
rinnovazione o la protezione individuale degli alberelli. Ambedue queste ultime considerazioni
espresse per la realtà altoatesina sono viste, nel ’98, come future ipotesi plausibili per la realtà
trentina.
La funzione protettiva: certamente la funzione di difesa idrogeologica svolta dal bosco è più
importante, dal punto di vista sociale, rispetto a quella produttiva. Dall'esame dei piani di
assestamento risulta che le zone all’interno delle quali il livello di brucamento è maggiore
appartengono alla categoria del bosco di produzione e solo in misura minore alla categoria del
bosco di protezione. E’ peraltro evidente che in presenza di pendenze elevate, la scomparsa
del bosco per mancanza di rigenerazione potrebbe instaurare e/o accentuare problematiche
idrogeologiche (in particolare valanghive).
I risultati del rilievo 2001, eseguito a livello provinciale dal Servizio Foreste e Fauna,
permettono non solo di confermare le analisi svolte nel Parco nel 1998, ma anche di rendere
evidente la differenza di pressione sulla rigenerazione della foresta nei vari ambiti.
A tal proposito, si ritiene opportuno presentare i dati relativi all’abete rosso.
Questa specie infatti, risulta da un lato la più rappresentata nella rinnovazione naturale del
Trentino (50% degli esemplari totali rilevati) e, d’altro canto, viene ritenuta dalla letteratura
specifica, non particolarmente appetita dagli Ungulati. La percentuale media di bruciamento,
che a livello provinciale è risultata contenuta (19%), sale al 28% nell’ambito della Val di Sole ed
all’interno del PNS supera il 60%!
Nelle tabelle seguenti vengono riportati i valori di presenza e di brucamento nei diversi distretti
forestali. Le percentuali di brucamento maggiori si riscontrano in Val di Sole, Valsugana e Val di
Fiemme e Fassa.
177
Tabella 4.63 - Presenza dell’abete rosso nei distretti forestali e percentuale di brucamento totale riferita
agli esemplari di altezza compresa tra 25 e 130 cm.
presenza totale
presenza > 25 cm
presenza > 70 cm
numero
%
numero
%
numero
%
2502
73%
2068
76%
771
82%
F. di Primiero
% di brucamento
20%
Trento
846
21%
741
25%
269
30%
18%
Pergine
1395
48%
1109
49%
391
61%
12%
Cavalese
2425
73%
1997
76%
721
80%
24%
Cles
2860
57%
2423
59%
891
68%
8%
Malè
2099
76%
1683
77%
730
85%
28%
Tione
3298
54%
2826
58%
1073
64%
20%
Borgo Vals.
1438
49%
1054
46%
329
44%
24%
Riva del G.
821
38%
520
37%
187
64%
13%
Rovereto
826
19%
713
21%
262
28%
9%
TOTALE
18510
50%
15134
53%
5624
61%
19%
Tabella 4.64 - Percentuali di presenza e di brucamento nei distretti forestali relative alle specie arboree
principali.
abete rosso
abete b.
pres bruc
pre
s
bruc pre bru
s
c
larice
pres
pino silv.
bruc pre
s
cembro
bru
c
pre bru pres bru pres
s
c
c
bruc
F. di Primiero
76
21
16
71
5
14
0
-
-
1
61
97
28
3
56
Trento
25
17
16
81
4
8
4
12
2
0
15
17
51
34
49
31
Pergine
49
10
28
67
5
12
7
3
0
-
2
13
92
27
8
32
Cavalese
75
25
3
77
8
21
0
-
13
10
0
-
100
24
0
-
Cles
59
8
20
62
4
25
5
13
0
-
4
32
90
22
10
31
Malè
77
30
8
82
9
32
1
9
2
11
1
21
97
33
3
73
Tione
58
21
8
79
2
24
0
-
1
11
16
28
70
28
30
33
Borgo Vals.
46
27
19
58
9
40
1
23
2
32
12
34
80
35
20
39
Riva del G.
37
11
8
57
2
47
0
-
0
-
16
28
49
19
51
45
Rovereto
21
9
5
48
1
24
2
12
0
-
25
14
30
17
70
30
0
faggio
conifere
latifoglie
A tal riguardo risulta esemplificativa la rappresentazione grafica dell’impatto a livello
provinciale, dove le aree del PNS spiccano rispetto al complesso provinciale per una brucatura
superiore al 60% (Figura 4.85).
Nel 2007 il PNS ha proposto il controllo dei recinti di esclusione istituiti all’interno dell’area
protetta nel 1992, utilizzando le stesse modalità di rilievo. Benché l’ispezione sia stata effettuata
in due località, poste una al di sopra dell’abitato di Piazzola e la seconda sita all’imbocco della
Val Maleda, per quest’ultima il dato ottenuto è stato alterato dall’azione di pascolamento dei
bovini domestici; per questo motivo nell’elaborazione finale è stata posta maggiore attenzione
sui dati conseguiti nell’area di studio presente in prossimità del abitato di Piazzola.
L’area di Piazzola è posta a circa 1500 m s.l.m. ed è rappresentata da un lariceto esposto a
sud originatosi su un ex pascolo, dove nel periodo invernale i gruppi di cervi si concentrano
numerosi.
178
Figura 4.85 - Percentuali di brucamento a carico della rinnovazione di abete rosso.
I risultati ottenuti, confrontati con le analisi passate sono davvero interessanti: il numero di
piante per ettaro passate in rassegna durante il controllo del 1995 era praticamente simile, sia
nell’area recintata, sia nella superficie senza recinto; durante la verifica del 2007 invece i valori
sono notevolmente cambiati, mostrando in questo modo l’elevata influenza del cervo sulla
rinnovazione nell’area non recintata e nel contempo la capacità di recupero della rinnovazione
all’interno della superficie recintata (Figura 4.86).
3500
3000
APERTO
CHIUSO
N° piante / ha
2500
2000
1500
1000
500
0
1995
2007
Figura 4.86 - Confronto tra la rinnovazione forestale presente all’interno e all’esterno del recinto di
esclusione a distanza di 12 anni. I dati si riferiscono all’area di Piazzola (Rabbi) e sono relativi alle
indagini del 1995 e del 2007.
179
Confrontando i rilievi effettuati nel recinto di Piazzola nel 1995 e successivamente nel 2007 si
è potuto evidenziare accanto ad un incremento del numero degli individui presenti, anche
l’aumento del numero delle specie, con la comparsa di alcune latifoglie.
In particolare sono stati rinvenuti numerosi esemplari di giovani piante con altezza compresa
trai 10 ed i 300 centimetri di Sorbus aria, Sorbus aucuparia e Prunus avium piante molto
appetite dai Cervidi. Proprio per questo nella limitrofa area non recintata contraddistinta dalle
medesime caratteristiche ecologiche le latifoglie non sono state segnalate (Figura 4.87).
Recinto di Piazzzola
1995
2007
120
100
80
60
40
20
Sorbus aucuparia
1995
Sorbus aria
Corylus avellana
2007
Juniperus communis
Fraxinus ornus
Prunus avium
Picea abies
0
Figura 4.87 - Confronto tra la rinnovazione forestale, suddivisa per specie, presente all’interno e
all’esterno del recinto di esclusione a distanza di 12 anni. I dati si riferiscono all’area di Piazzola (Rabbi) e
sono relativi alle indagini del 1995 e del 2007.
Un metodo sintetico di valutazione dell’impatto della brucatura è possibile all’atto
dell’assestamento e della gestione ordinaria della foresta; i due tipi di analisi sono formalizzati
rispettivamente nello stesso piano di assestamento e nelle annotazioni manuali del registro
storico particellare di ogni elaborato.
1) Nel primo caso, il tecnico incaricato della revisione deve inserire in relazione un giudizio
sintetico sull’impatto della brucatura, esprimendone quindi localizzazione e valori in ogni singola
descrizione particellare.
Nel piano di assestamento del 1978 si parla espressamente di difficoltà di rinnovazione nel
lariceto, ma l’impatto viene attribuito unicamente al pascolo domestico.
Nel successivo elaborato del 1993 la “difficoltà di affermazione” della rinnovazione nel lariceto
viene invece attribuita a “concentrazione invernale del cervo”, mettendo in evidenza un danno
sulle piantine già sviluppate, in via di affermazione.
La recente revisione del piano di assestamento (2003) ha preso in considerazione in modo
approfondito l’impatto degli Ungulati sulla rinnovazione concludendo sinteticamente che
“all’interno dei lariceti la situazione di rigenerazione della foresta è pressoché ferma a 25 anni
fa”. In base a tali conclusioni il piano auspica la realizzazione di interventi artificiali a sostegno
della rinnovazione, con realizzazione di chiudende.
180
2) Nel secondo caso, le operazioni di martellata impongono al tecnico di valutare la presenza,
idoneità e possibilità di sviluppo della rinnovazione per poter decidere i criteri di assegno ed
individuare le piante da utilizzare.
Durante gli anni ’90 era evidente al selvicoltore che le foreste del Settore trentino del PNS
erano sottoposte ad un’azione di brucatura da parte degli Ungulati. In linea generale tale azione
veniva peraltro considerata compatibile con la capacità di rigenerazione della foresta.
Solo nel caso della Consortela Piazzola, già nel 1991 si era attivata una procedura di
indennizzo dei danni da brucatura, in base ad un’istruttoria dell’allora Capo dell’ispettorato di
Malè, dott. Bruno Crosignani che, nelle conclusioni, così recitava:
”… la situazione non evidenzia danni di natura e misura tale da incidere al presente sulle
funzioni del bosco e sul suo reddito. La loro presenza tuttavia indica probabili conseguenze
future su entrambi. L’incertezza sui processi di interrelazione tra fauna e soprassuolo e sulla
loro velocità non permette allo scrivente di eseguire previsioni fondate su quantificazioni
accertate. Se la persistenza delle azioni di danno dovesse incidere in futuro in modo
significativo sulla funzionalità del bosco oltre che sul suo reddito, il problema che si pone non è
evidentemente solo di quantificare o monetizzare il danno, ma è come porvi rimedio. A tal fine,
non si ritiene perseguibile la contemporanea conservazione di alta densità di Ungulati e alta
densità di efficienza dei soprassuoli senza ricorrere a costosi interventi artificiali quali ad
esempio recinzioni e protezioni che, oltre ad essere di dubbia efficacia, snaturerebbero l’intero
ecosistema forestale.”
Il caso della Consortela Piazzola risulta senz’altro significativo, trattandosi di circa 170 ha di
lariceto, costituenti area di svernamento preferenziale del cervo.
Nella seconda metà degli anni ’90, le martellate nel PNS risultavano poco condizionate dal
cattivo stato della rinnovazione. Nel territorio di Peio, l’impatto compariva solo nei lariceti a
monte dell’abitato, mentre tutta la Val de la Mare, sembrava sopportare in modo sufficiente la
pressione di brucatura. A tal riguardo va detto che la sinistra orografica di La Mare, pur
costituendo area di svernamento, presenta una notevole presenza di canaloni da valanga
occupati da arbusteti, che sicuramente sollevano le fustaie da una buona parte della pressione
del cervo.
Nel territorio di Rabbi, assume rilevanza l’impatto sulla rinnovazione nei lariceti della
Consortela Piazzola; il caso di alcune particelle (nello specifico la n° 13, 14 e 17) è senz’altro
emblematico.
Gli assegni eseguiti erano spesso impostati su sgomberi a gruppi e strisce in funzione di
illuminare la rinnovazione esistente, di altezza variabile da 50 a 100 cm, che pur brucata, veniva
considerata di probabile affermazione.
Seguendo la normale cadenza decennale, le martellate degli ultimi anni (2003-2007) sulle
medesime superfici hanno invece rilevato la completa scomparsa delle piante a cui a suo tempo
era stata affidata la rigenerazione.
In assenza di rinnovazione i normali prelievi garantiti da una produttività medio-buona della
foresta si rendono quindi non più possibili se non con notevoli rallentamenti o mediante
interventi artificiali di stimolo alla rinnovazione previa realizzazione di chiudende.
Anche nel territorio di Peio l’impatto della brucatura sta assumendo sempre più rilevanza. Nei
lariceti sopra l’abitato la situazione è piuttosto simile a quella di Piazzola, ma ciò che è cambiato
in modo incisivo è l’impatto sia in destra che in sinistra di Val de la Mare. Come sopra
accennato, le formazioni forestali sono qui più varie ed intercalate a mosaico da tessere
vegetazionali che possono scaricare parte della pressione del cervo. Ciò malgrado, frequenti
sono le aree in cui i prelievi vengono eseguiti senza avere la garanzia che la rinnovazione
ancora presente vedrà garantita la propria affermazione.
181
Contestualmente, nell’ultimo decennio si è rivelato sempre più incisivo l’impatto sulle
componenti arbustive; se la brucatura su mirtillo rosso e nero risulta poco evidente e non
percepibile (si nota unicamente la loro assenza) la distruzione del ginepro nano in tutte le aree
con pendenza medio-elevata e buona esposizione è ormai constatata su tutto il territorio del
Parco. In destra di La Mare, inoltre, dove il cervo sverna malgrado l’esposizione non favorevole,
anche il rododendro pare subire il medesimo impatto. Gli effetti quantitativi e qualitativi sullo
strato arbustivo possono avere un effetto a cascata su altre componenti faunistiche quali i
Tetraonidi forestali.
In termini di impatto ecologico, le già piccole percentuali di latifoglie e di abete bianco presenti
vanno incontro ad un destino di progressiva diminuzione.
Esistono differenze significative negli impatti sulla rinnovazione forestale nei boschi utilizzati
dal cervo durante l’inverno rispetto ai boschi utilizzati esclusivamente durante l’estate. Sul lungo
termine una azione così pesante non appare sostenibile in relazione agli obiettivi di gestione
forestale. In futuro potrà rendersi necessario definire quali siano gli obiettivi di gestione per le
due tipologie di bosco e quali azioni sia necessario mettere in campo per ottenere gli stessi
risultati che si otterrebbero in assenza di elevate densità di cervo.
In conclusione, in base alle analisi realizzate sia dal Parco dello Stelvio che dalla PAT,
l’impatto del cervo sulla rinnovazione forestale per brucatura delle gemme apicali all’interno del
Parco risulta di notevole entità e con valori massimi se confrontato con le restanti realtà trentine
e alpine.
Benché non sia ancora possibile trarre conclusioni definitive di carattere scientifico sull’effetto
della brucatura sulla dinamica di sviluppo del bosco a lungo termine, tuttavia a livello locale di
scala, la rinnovazione forestale è ridotta a zero laddove esistono le maggiori concentrazioni
invernali di cervo. Gli scenari futuri di una simile situazione sono facilmente ipotizzabili.
In termini di impatto ecologico, le gia piccole percentuali di latifoglie presenti vanno incontro
ad un destino di progressiva diminuzione e parimenti diminuisce lo strato arbustivo del
sottobosco.
+/2#66+57+24#6+2#5%1.+
La densità del cervo nei territori del Parco Nazionale dello Stelvio ha raggiunto valori molto
elevati che si pongono in assoluto fra i più alti mai registrati sull'arco alpino. La presenza di una
popolazione così cospicua ha innescato il conflitto con le popolazioni locali per le proprie
ripercussioni sulle attività agricole tradizionali delle valli. Nelle valli trentine del Parco Nazionale
dello Stelvio l'agricoltura tradizionale è in crisi in quanto il turismo ha modificato l'economia
locale e le colture tipiche della valle sono state progressivamente abbandonate. Oggi le uniche
pratiche agricole tradizionali all’interno del Parco riguardano quasi esclusivamente lo sfalcio dei
prati, attività estremamente importante per il mantenimento degli ecosistemi e dei paesaggi
tradizionali.
La fauna selvatica, e in particolare il cervo, esercita oggi un impatto pesante sui prati da
sfalcio del territorio del Parco e gli agricoltori locali lamentano danni ingenti in relazione al
quantitativo di erba sfalciata e alla sua qualità. Bisogna infatti rilevare che la presenza costante
del Cervide in aree limitate determina calpestio e presenza di escrementi nel fieno. Danni
vengono anche segnalati a livello dei pascoli, dove il cervo è entrato in conflitto con il bestiame
domestico per il loro sfruttamento.
182
La presenza di una elevata densità di cervi provoca la concentrazione stagionale di una
buona parte della popolazione in determinate zone caratterizzate dal possedere la maggiore (e
migliore) disponibilità alimentare. Tipica è la situazione primaverile (seconda metà di aprile –
prima decade di maggio) in cui la popolazione si abbassa in modo cospicuo verso le fasce
altitudinali inferiori per alimentarsi durante la fase notturna nei prati a sfalcio e nei prati pascoli
del fondovalle che per primi si liberano dalla neve al termine della stagione invernale e iniziano
la nuova fase vegetativa.
Recenti studi effettuati nel Parco Nazionale Svizzero, area protetta con una popolazione
numericamente paragonabile a quella del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio,
dimostrano come l’aumento della densità di cervi e il conseguente aumento della brucatura che
questi arrecano sulle aree un tempo sottoposte a pascolo intensivo da parte del bestiame
domestico, determina un incremento del numero di specie erbacce e quindi della biodiversità
che caratterizza le zone a prato-pascolo (Schütz et al., 2003). Ciò nonostante la situazione dei
prati mantenuti in attualità di sfalcio è differente in quanto è lo sfalcio stesso, selettivamente
differente rispetto alla brucatura dei domestici, a contribuire al mantenimento di una elevata
qualità in termini di ricchezza specifica.
La brucatura a carico dei prati a sfalcio comporta una perdita di produttività che si riflette sulla
diminuzione del profitto ottenuto dalla loro gestione e su un calo di motivazione da parte di chi
ancora svolge tali attività che non sono più economicamente competitive . Attualmente la PAT
incentiva economicamente l’attività di sfalcio presso i conduttori dei prati di fondovalle, al fine di
mantenere attiva la conduzione e la conservazione dei paesaggi culturali nelle zone rurali di
montagna come contributo alla conservazione della biodiversità. I cervi ricercano attivamente i
prati meglio gestiti (e, quindi, dalla qualità migliore) e il continuo verificarsi di danni e ammanchi
nella produzione spesso crea un senso di frustrazione che disincentiva ulteriormente.
Figura 4.88 – Prati in attualità di sfalcio all’interno del Parco (in rosso). In verde le superfici prative
complessive. La linea rossa rappresenta i confini del Parco e i punti gialli la localizzazione dei recinti di
esclusione utilizzati per le stime.
L’utilizzo dei recinti di esclusione per la valutazione dell’impatto del cervo dei prati situati
all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio ha reso possibile una stima dell’ammanco
produttivo dovuto al pascolamento degli Ungulati.
183
Le zone escluse consistono in 18 recinzioni aventi ciascuna una superficie di 9 m2,
opportunamente distribuite al fine di essere rappresentative delle condizioni produttive delle
diverse tipologie di prato a sfalcio (suddiviso in tre classi di produttività).
I prati all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio (PNS) che sono in attualità di coltivazione e
che in parte usufruiscono del contributo sullo sfalcio fornito dalla Provincia Autonoma di Trento
si estendono su una superficie di circa 200 ettari, pari al 42% della totalità dei prati presenti
nell’area protetta (Figura 4.88).
La produzione di fieno ottenuta dallo sfalcio dei prati è stata suddivisa in tre classi definite in
base ai valori produttivi medi della Val di Sole (AA.VV. 2000):
• classe 1: rendimento massimo 30 q/ha;
•
classe 2: rendimento massimo 50 q/ha;
•
classe 3: rendimento massimo 90 q/ha.
È stato possibile ottenere una cartografia relativa alla suddivisione in classi grazie ai
precedenti rilievi produttivi effettuati nell’ambito delle indagini floristiche relative alle tipologie
prative del Trentino occidentale (Pedrotti, 1963) (Tabella 4.65, Tabella 4.66).
Tabella 4.65 - Superficie occupata dai prati sfalciati suddivisa per classi.
PEIO
RABBI
TOTALE
ha CLASSE 1
48
2
50
ha CLASSE 2
71
38
109
ha CLASSE 3
33
-33
Tabella 4.66 - Potenziale produttivo ripartito nelle tre diverse classi.
PEIO
RABBI
TOTALE
Q CLASSE 1
1.432
72
1.504
Q CLASSE 2
3.570
1.901
5.471
Q CLASSE 3
2.971
-2.971
Negli anni 2006 e 2007 ad ogni sfalcio (uno per la classe 1, due per le classi 2 e 3) si è
provveduto contemporaneamente al taglio della porzione di prato contenuta all’interno delle
recinzioni e ad una equivalente nelle immediate vicinanze della stessa. La differenza di peso tra
il fieno sfalciato all’interno delle recinzioni e quello esterno ad esse ha fornito l’ammanco
produttivo dovuto al brucamento da parte degli ungulati (Tabella 4.67, Tabella 4.68).
184
Tabella 4.67 - Produzioni ed ammanchi ricavati dal confronto con i recinti di esclusione - anno 2006.
COMUNE
CATASTALE NOME
Peio
Covel
KG FIENO
INTERNO –
CLASSE I° TAGLIO
1
13
KG FIENO
ESTERNO –
I° TAGLIO
9
KG FIENO
INTERNO –
II° TAGLIO
0
KG FIENO
ESTERNO
–
II°
TAGLIO
0
%
AMMANCO
I° TAGLIO
31
Peio
Masi Lagostel
1
13
11
0
0
15
--
Peio
Socina
1
16.5
15
8
6
9
25
Peio
Peio
Daverte
Ronc
1
1
12.5
13
6.5
8
8
--
5
--
48
38
38
--
Peio
Mezzoi
2
14
8
14
9
43
36
Peio
Le Palu'
2
13.5
10
9
8
26
11
Cogolo
Canedi
2
14
14
14
7
0
50
Peio
Cogolo
Loc. Val del
Sol
2
Masi Vicla
2
12.5
12
6.5
10.5
9
9
5
7
48
13
44
22
Peio
Masi Mont
2
16
16
8
7
0
13
Cogolo
Peio
Iscla
Toecli
2
2
-30
-17
12
28
7
13.5
-43
42
52
Cogolo
Pegaia
3
25
13.5
14
12
46
14
Cogolo
Guilnova
3
0
0
19
15
--
21
Cogolo
Planet
3
33.5
19
16
14
43
13
Cogolo
Guilnova 2
3
--
--
12
7.5
--
38
%
AMMANCO
II° TAGLIO
--
Tabella 4.68 - Produzioni ed ammanchi ricavati dal confronto con i recinti di esclusione-anno 2007.
COMUNE
CATASTALE NOME
KG FIENO KG FIENO KG FIENO KG FIENO %
INTERNO – ESTERNO – INTERNO – ESTERNO – AMMANCO
CLASSE I° TAGLIO I° TAGLIO
II° TAGLIO II° TAGLIO I° TAGLIO
%
AMMANCO
II° TAGLIO
Peio
Covel
1
12
10
--
--
17
--
Peio
Peio
Masi Lagostel
Socina
1
1
8
18
6
18
2.5
--
2
--
25
0
---
Peio
Daverte
1
12
5.5
4
1.5
54
63
Peio
Ronc
1
--
--
--
--
--
--
Peio
Peio
Mezzoi
Le Palu'
2
2
14
--
11
--
7
--
7
--
21
--
0
--
Cogolo
Canedi
2
23
13.5
10
8
41
20
Peio
Cogolo
Loc. Val del
Sol
2
Masi Vicla
2
11
--
11
--
6.5
--
3
--
0
--
54
--
Peio
Masi Mont
2
24
24
--
--
0
--
Cogolo
Iscla
2
23.5
22
10
7.5
--
25
Peio
Toecli
2
24
12
16
14
50
13
Cogolo
Cogolo
Pegaia
Guilnova
3
3
29
--
29
--
---
---
0
--
---
Cogolo
Planet
3
34.5
34.5
20
20
0
0
Cogolo
Guilnova 2
3
--
--
--
--
--
--
185
L’impiego dei recinti di esclusione ha permesso di stabilire la percentuale di ammanco nelle
classi produttive (Tabella 4.69).
Tabella 4.69 - Percentuale di ammanco ricavata dai recinti di esclusione.
CLASSE
%
AMMANCO
2006
%
AMMANCO
2007
MEDIA
3
32
0
16
2
1
32
23
21
19
26.5
21
Definita la produzione massima potenziale e la percentuale di ammanco ricavata dai recinti di
esclusione è stato possibile quantificare la mancata produzione (Tabella 4.70).
Tabella 4.70 - Mancata produzione dovuta al brucamento da Ungulati.
TOTALE
q
CLASSE 1
241
q
CLASSE 2
1.450
q
CLASSE 3
624
Considerando un prezzo del fieno pari a 15 euro al quintale, come valore medio per la Val di
Sole, viene riportato nella seguente tabella il valore dell’indennizzo per ettaro per classe:
€/ha
CLASSE 1
95
€/ha
CLASSE 2
199
€/ha
CLASSE 3
216
Secondo una media su due anni della stima di ammanco ,il danno economico ad esso legato
per brucatura dei prati a sfalcio assomma quindi a quasi 34.000 euro.
Complessivamente l’impatto dovuto alla brucatura di prati a sfalcio e pascoli da cui si ricava
alimentazione per il bestiame domestico, in base a rilievi sistematici di campo, può variare tra i
40.000 e i 60.000 euro annui. Nella valutazione complessiva non ci si deve fermare al semplice
valore economico, ma è necessaria una riflessione più approfondita sul significato del
mantenimento dei paesaggi culturali nelle zone rurali di montagna, non in termini economici, ma
di mantenimento complessivo del paesaggio.
Il brucamento dei pascoli si fa sentire non solo sui fondovalle ma anche sui pascoli secondari
delle malghe. Le attuali densità di cervi fanno si che anche i pascoli delle malghe, posti alle
quote intermedie subiscano un danno causato dall’eccessivo brucamento (Figura 4.89). Ciò
causa una sensibile riduzione del primo foraggio disponibile durante il mese di giugno e può
essere motivo di un ritardo nella monticazione. Ad oggi si stima in media un ritardo di circa 15
giorni nel carico delle malghe dovuto alla mancanza del primo foraggio. Attualmente all’interno
del Parco o nelle sue immediate vicinanze sono attive 19 malghe che in media durante l’estate
caricano una quantità di bestiame pari a 1.170 u.b.a (Figura 4.89). Per ottenere una stima
oggettiva di tale effetto, nel 2008 sono stati posizionati 8 recinti di esclusione nei pascoli delle
principali malghe in modo da poter ottenere una prima stima nell’estate 2009. Per ovviare a tale
problema sono state previste per il momento modalità forfetarie di indennizzo.
186
Figura 4.89 – L’attività zootecnica è ancora presente all’interno del Parco. Le aree con vari colori
rappresentano i pascoli disponibili per ciascuna malga ancora attiva.
A partire dal 2007 il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio ha predisposto un
regolamento per l’indennizzo dei danni da Ungulati sui prati a sfalcio, sui pascoli e sulle
coltivazioni e per la prevenzione dei danni agli orti privati (Allegato 2). Durante l’anno 2007 sono
pervenute 36 richieste di indennizzo allo sfalcio per un totale di 20.200 € liquidati. Per
l’ammanco di produzione causato dal cervo ai pascoli delle malghe è stato pagato un
indennizzo complessivo di 6.800 €. È previsto per l’anno 2008 l’aggiornamento dei dati
provenienti dai recinti di esclusione siti nei prati a sfalcio e la valutazione dell’ammanco relativo
ai pascoli monticati mediante la posa di ulteriori recinti di esclusione.
&#00+#146+'%1.6+8#<+10+2'4%#.2'56+1'$47%#/'061
Nelle zone di margine ai centri abitati solitamente frequentate da Cervidi, rappresentati da
aree coltivate ed ambienti boscati, generalmente la maggior parte dei danni a carico delle
colture orticole è causata dal capriolo, poiché specie più tollerante agli ambienti e al disturbo
antropico e con minori necessità in termini di spazio (Putman e Moore, 1998).
Tuttavia la particolare situazione nella quale si trova il territorio del Settore trentino del PNS (si
veda la parte specifica dedicata alle interazione del cervo con il capriolo), rende maggiormente
probabile l’insorgere dei danni a carico del cervo, poiché presente con densità notevolmente più
elevate.
I danni arrecati ai piccoli appezzamenti orticoli ad uso familiare, ubicati nei pressi dei centri
abitati, rendono necessaria per alcuni proprietari, la posa di recinzioni al fine di diminuire la
brucatura ed il calpestio provocato, o la rinuncia alle coltivazioni. Un esempio di questa
situazione può essere rappresentato dagli orti posti attorno all’abitato di Peio che si estendono
187
su una superficie di circa 4 ha e che devono essere adeguatamente protetti per poter portare a
termine la produzione (Figura 4.90).
Figura 4.90 – Distribuzione degli orti privati nei pressi del paese di Peio (in azzurro).
I danni a orti e campi coltivati ad uso privato rappresentano una fattispecie poco importante
da un punto di vista economico, ma decisamente di grande peso in termini di accettazione da
parte delle popolazioni locali. Il problema è, almeno in parte, densità indipendente e l’unica
soluzione effettiva è rappresentata dalla recinzione di orti e coltivazioni con funzione di
prevenzione del rischio di danno.
La rifusione dei danni agli orti o ai campi coltivati per consumo privato non viene pertanto
ritenuta sostenibile in assenza di opere di prevenzione. Per far fronte al problema il Comitato di
Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Parco Nazionale dello Stelvio, ha previsto, a
partire dal 2008, la fornitura di materiale (staccionate in legno e/o recinzioni metalliche) per la
recinzione e la protezione degli appezzamenti orticoli presenti nell’area protetta come metodo di
prevenzione ai potenziali danni.
Le attività agricole a livello imprenditoriale rappresentano un’eccezione, in relazione alla
situazione orografica e climatica del territorio del Parco e comunque necessitano di adeguate
strutture di protezione (recinzioni).
%1..+5+10+%108'+%1.+
Negli ultimi decenni si è verificato in tutto il territorio nazionale, un notevole aumento del
traffico veicolare, con il conseguente incremento della rete stradale. Tale fenomeno si è
verificato in concomitanza con l’accrescimento e la relativa espansione delle popolazioni di
Ungulati, che ha provocato un aumento degli incidenti stradali. Il rischio di collisione con
autoveicoli rappresenta un costo in termini economici (il cui indennizzo è peraltro già coperto
dalla PAT) ed un rischio per l’incolumità e la salute delle persone. Negli ultimi 15 anni, in Val di
Sole si sono verificato 344 investimenti, senza, per il momento, gravi conseguenze per la salute
umana.
Tra il 1992 e il 2007 ogni anno in Val di Sole si verificano in media 21 investimenti
automobilistici provocati dall’attraversamento di cervi lungo la rete viaria principale (344
188
investimenti). Tale fenomeno, contenuto fino a circa dieci anni fa (media di 11,6 investimenti
all’anno), è andato via via aumentando (media di 27 investimenti all’anno nell’ultimo decennio),
al punto da indurre la Provincia Autonoma di Trento a realizzare sottopassi lungo i tratti di
strada maggiormente interessati dall’attraversamento di cervi e quindi dagli investimenti.
Vengono messi in evidenza due picchi nel corso dell’anno, il primo in concomitanza con la
fase di utilizzo dei pascoli di fondovalle (aprile), il secondo in (probabile) occasione della fase di
migrazione autunnale verso le zone di svernamento (Figura 4.91).
0.2
0.18
0.16
0.14
%
0.12
0.1
0.08
0.06
0.04
0.02
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
MESI
Figura 4.91 – Distribuzione percentuale degli investimenti nel corso dell’anno.
La Figura 4.92 riassume l’andamento di tale fenomeno negli anni. Si è assistito ad un
incrmento sino al 2000, ad una successiva diminuzione e ad una recente stabilizzazione,
nell’ultimo triennio, attorno ai 27-28 cervi. Il numero di investimenti complessivi all’anno, come è
lecito attendersi, sembra dipendere in modo significativo dalla consistenza della popolazione (F
= 14.2, 1 gl, p < 0.01; Figura 4.94).
45
40
35
NUM CERVI
30
25
20
15
10
5
0
92-93 93-94 94-95 95-96 96-97 97-98 98-99 99-00 00-01 01-02 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07 07-08
Figura 4.92 - Serie storica dei cervi investiti in Val di Sole dal 1992 al 2007.
189
45
40
35
INVESTIMENTI
30
25
20
15
10
5
0
1000
1200
1400
1600
1800
2000
2200
2400
2600
2800
3000
CONSISTENZA POPOLAZIONE
Figura 4.93 – Il numero di cervi investiti ogni anno in Val di Sole dipende dalla consistenza complessiva
della popolazione.
La progressiva riduzione delle collisioni negli ultimi anni è probabilmente da mettersi in
relazione con il già illustrato fenomeno di progressiva concentrazione della popolazione
all’interno del Parco. Notiamo infatti come sia correlato l’andamento degli investimenti nella sola
Val di Sole con il numero di cervi conteggiati annualmente in questo settore di UG (r2 = 0.52;
Figura 4.93). Il numero di soggetti investiti all’interno del Parco non è aumentato in modo
corrispondente in relazione alla scarsità della rete viaria principale in esso presente.
30
300
cervi censiti in Val di Sole
investimentib in Val di Sole
250
25
200
20
150
15
100
10
50
5
0
0
93-94 94-95 95-96 96-97 97-98 98-99 99-00 00-01 01-02 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07 07-08
Figura 4.94 – Gli investimenti di cervi lungo l’asse principale della Val di Sole sono correlati con la
presenza della popolazione.
La Figura 4.95 mostra la localizzazione di tutti gli investimenti avvenuti in Val di Sole negli
anni analizzati. Le aree di colore verde indicano le zone in cui tendono a concentrarsi le
collisioni. Il 65% degli investimenti può essere localizzato in 6 aree “calde” verso cui la
190
popolazione mostra particolare predilezione per gli attraversamenti da un versante all’altro.
Interventi infrastrutturali per la mitigazione dei rischi (recinzioni, sottopassi per l’attraversamento
della fauna) si rendono comunque necessari in quanto i rischi maggiori sono presenti all’esterno
delle aree del Parco in cui le strade sono di maggiore traffico e scorrimento.
Attualmente in Val di Sole, in occasione delle opere di rettificazione di un tratto stradale, è
stato realizzato un apposito sottopasso per la fauna selvatica con funzione di prevenzione. Il
sottopasso è posizionato nel comune di Pellizzano nei pressi del bivio per Termenago sulla SS
42, dove si è sinora verificata la più alta percentuale di incidenti. Il costo di realizzazione, per la
PAT, è stato pari a circa 150.000 €. La gestione di tutte le restanti aree a rischio comporterebbe
una spesa pari a circa 1.000.000 €.
Figura 4.95 – Oltre il 65% delle collisioni avviene lungo specifici e prevedibili punti di attraversamento tra
un versante e l’altro.
/146#.+60'+24'55+&'+%'064+#$+6#6+
Le condizioni climatiche agiscono spesso come fattore determinante sulla regolazione della
dinamica di popolazione di una specie, selezionando quella parte di individui caratterizzata da
una buona condizione e costituzione, a discapito degli individui più deboli.
L’abbondanza e il perdurare della neve al suolo determina in modo cruciale le disponibilità
alimentari del periodo invernale. Come già visto nel capitolo 4.2.4.5. gli inverni caratterizzati da
abbondanti precipitazioni nevose e dal lungo perdurare della neve fino a primavera inoltrata,
sono teatro di consistenti morti per inedia (starvation). La parte di popolazione di cervo presente
all’interno del Parco è caratterizzata da elevate densità, tali da avere ormai innescato da 8-9
anni fenomeni di autoregolazione negli accrescimenti della popolazione in relazione alle densità
stesse.
191
Nella pratica la popolazione sperimenta anni di leggera crescita, alternati ad anni di crash
demografici ed elevata mortalità in relazione alla durezza e nevosità dell’inverno. Con tempi di
ritorno variabili tale fenomeno è ormai frequente nel territorio del Settore trentino del PNS, dove
le densità di cervo sono elevate.
Nel casi estremi la mortalità raggiunge valori ragguardevoli (441 soggetti rinvenuti morti
nell’inverno 2000-01, 311 nell’inverno 2003-04) e i cervi di norma non muoiono nelle zone più
remote del Parco. Spesso gli animali defedati e in deboli condizioni si spostano alle quote più
basse in corrispondenza ai limiti dei territori di svernamento e vengono a morire nelle vicinanze
dei centri abitati (Figura 4.96).
Figura 4.96 - Distribuzione dei cervi rinvenuti morti in Val di Rabbi nell’inverno 2000-2001. In inverni
particolarmente duri e limitanti il numero di soggetti che muoiono attorno ai centri abitati può farsi elevato
e innescare problemi di ordine sociale.
L’accumulo di un numero tanto elevato di carcasse in breve tempo (di norma la seconda parte
dell’inverno) nei pressi dei centri abitati suscita, in una parte della popolazione residente,
opinioni contrastanti.
Spesso il giusto ruolo che la selezione naturale dovrebbe poter giocare all’interno di un’area
protetta non è capito nei suoi significati positivi. Polemiche, richieste di azioni di foraggiamento
supplementare e problemi di smaltimento delle carcasse per questioni sanitarie rappresentano
una situazione di crisi e di emergenza che ormai si ripropone ad intervalli intra-annuali sempre
più regolari.
Lo smaltimento di una carcassa di cervo presso un inceneritore comporta per il Parco dei costi
basati sul peso dell’animale (0.50 €/kg + IVA) e sul trasporto dello stesso presso una struttura
appropriata (25 € a viaggio).
192
+06'4#<+10+%10#.64'%1/210'06+(#70+56+%*'&'..ŏ'%15+56'/#
4.3.6.1.
Interazioni con il capriolo
Il rapporto tra cervo e capriolo (Capreolus capreolus) è ben noto in letteratura. Le due specie,
pur essendo sufficientemente diverse in termini strutturali e di esigenze ecologiche, possono
avere un’ampia sovrapposizione di nicchia, soprattutto nel caso in cui le densità di una delle
due specie sia tanto elevata. Il fenomeno di competizione (in termini di dinamica di popolazione)
si basa su una sovrapposizione dello spettro trofico delle due specie e su una sorta di
intolleranza spaziale da parte del capriolo, in caso di elevate concentrazioni di cervo. Il
fenomeno è stato studiato e documentato in numerose occasione anche se ancora manca un
quadro chiaro e complessivo (Latham et al., 1996; Latham et al., 1999; Putman, 1986;
Schoeder and Schoeder, 1984).
Già negli anni ‘60 il capriolo occupava il territorio del Parco con buone consistenze di
popolazione. Nell’ultimo ventennio l’Amministrazione del Parco ha segnalato un notevole
regresso di questa specie e sussiste l’ipotesi che, parallelamente alla progressiva affermazione
del cervo nell’area protetta, abbia avuto luogo una graduale diminuzione delle popolazioni di
capriolo presenti all’interno del Parco.
A partire dal secondo dopoguerra, il capriolo ha mostrato nell’area della Val di Sole un
continuo incremento numerico, legato alle ottimali condizioni di habitat e al progressivo
miglioramento della gestione faunistico venatoria delle popolazioni, arrivando ad occupare tutti
gli ambienti ottimali e sub-ottimali per le sue caratteristiche ecologiche. Nell’ultimo ventennio le
popolazioni di capriolo all’interno del Parco sembrano aver subito una netta inversione di
tendenza che ha portato ad un drastico calo e ad una presunta fase di flessione nella dinamica
delle popolazioni stesse.
A seguito dell’accrescimento esponenziale delle popolazioni di cervo, avvenuto nell’ultimo
ventennio, è lecito aspettarsi un’interazione conflittuale tra le due specie con conseguente
decremento nella dinamica delle popolazioni di capriolo. Capriolo e cervo tendono a
sovrapporsi, perlomeno parzialmente, nell’utilizzo dello spazio, nella selezione degli habitat e
quindi nello sfruttamento delle risorse trofiche. Ciò comporta l’innescarsi di fenomeni di
competizione interspecifica che, nel caso in cui le popolazioni di cervo aumentino
considerevolmente le loro densità (ed è questo il caso della Val di Sole, in cui è presente una
delle più alte densità di cervi note per l’arco alpino), può portare ad un riaggiustamento delle
consistenze e densità delle popolazioni di capriolo verso livelli inferiori. Tale forma di
competizione non porta alla scomparsa del capriolo, ma ne limita l’incremento e, soprattutto, lo
spinge verso l’utilizzo delle aree sub-ottimali, in relazione alle esigenze ecologiche della specie.
La situazione appena descritta porta probabilmente ad un decremento delle consistenze del
capriolo, ad una diminuzione delle “condizioni medie” degli individui e a un minor grado di
percettibilità. Il calo di percettibilità riduce in modo considerevole la fruibilità della specie, anche
a fini turistici.
Esistono numerose impressioni che tale meccanismo si sia ormai instaurato nei territori
compresi nel Parco. Tuttavia nella situazione del Parco attualmente non esistono dati attendibili
sulla consistenza assoluta delle popolazioni di capriolo anche se recentemente sono stati
avviati monitoraggi specifici sia nel Settore trentino, sia in quello lombardo. Di seguito vengono
presentate tutte le informazioni quantitative attualmente disponibili a supporto delle ipotesi
avanzate.
Dal 1996 vengono effettuati con regolarità censimenti standardizzati primaverili per aree
campione. Tali censimenti non forniscono valori assoluti, ma se effettuati in modo
standardizzato possono fornire un quadro del trend evolutivo della popolazione. Il trend dei
193
censimenti all’interno del Parco dal 1998 ad oggi mostra un costante decremento, che ha
portato all’attuale dimezzamento dei caprioli che vengono avvistati rispetto a dieci anni fa
(Figura 4.97) e che ha un andamento decisamente opposto a quello della popolazione di cervo
rilevato mediante i censimenti notturni. Inoltre anche il numero di caprioli e cervi contati
annualmente durante i censimenti notturni dal 1995 al 2008 è correlato negativamente in modo
significativo (r2 = -0.57; Figura 4.98).
40
2200
35
2000
1800
25
1600
20
1400
15
1200
10
1000
800
1997
caprioli osservati
stima consistenza cervo
30
5
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
0
2008
Figura 4.97 – Confronto tra il trend evolutivo dei censimenti per aree campione del capriolo all’interno del
Parco dello Stelvio (in blu) e i cervi conteggiati annualmente durante i censimenti notturni (in rosso).
1300
1200
1100
1000
cervi
900
800
700
600
500
400
0
10
20
30
40
50
60
70
80
caprioli
Figura 4.98 - Il numero di caprioli contati tra il 1995 e il 2008 durante il censimento notturno nel Parco è
correlato in modo negativo alla presenza del cervo (numero di cervi conteggiati nello stesso censimento).
194
Una ulteriore idea sullo status attuale e sugli attuali bassi valori di densità del capriolo legati
alla presenza del cervo deriva dai primi monitoraggi recentemente effettuati mediante pellet
group count, nell’ambito del progetto per la valutazione dello status del capriolo (Sotti, 2008). In
Tabella 4.71 sono riportate le prime stime di densità di confronto tra le due specie, riferite a due
aree campione che coprono grossomodo la riserva d caccia di Peio e la porzione di Parco della
stessa Val di Peio. All’interno del Parco esiste un ordine di grandezza di differenza nelle stime
tra le due specie.
Tabella 4.71 - Stime di densità di cervo e capriolo effettuate mediante pellet group count su plot ripuliti
(clearence count) riferite ad aree campione poste nel Parco in Val di Peio (PNS) e nella Riserva di Peio
(PEIO).
CERVO
4.3.6.2.
Numero
pellet group
Densità
(capi / km2)
PNS
PEIO
PNS
PEIO
Capriolo
15
13
2.9
2.5
Cervo
210
26
32.4
4.0
Interazioni con il camoscio
Il camoscio è l’ungulato più comune che è possibile incontrare alle quote più alte nel Parco
Nazionale dello Stelvio. E’ un tipico abitante degli ambienti di alta quota, dall’orizzonte submontano a quello alpino, in una fascia altitudiale che mediamente va dai 1.500 ai 2.500 metri.
Il camoscio non è mai completamente scomparso dal gruppo dell’Ortles-Cevedale. Dal 1968
ad oggi, nell’area protetta la popolazione è aumentata da circa 250 a circa 1350 individui dopo
avere raggiunto picchi di oltre 2200 capi nella seconda metà degli anni ’90. La consistenza della
popolazione è annualmente monitorata mediante una tecnica di censimento per osservazione
diretta definita block-count, effettuato nei mesi estivi. La realizzazione di accurati conteggi e la
loro disponibilità a partire dal 1973 ci permettono di analizzare la “storia” della popolazione e di
trarre alcune considerazioni sui suoi andamenti negli ultimi anni. E’ possibile evidenziare come i
fenomeni demografici e la recente fase di calo della popolazione sia imputabile a fattori di
dipendenza dalla densità ed alle condizioni invernali degli ultimi anni, ma anche probabilmente
alla competizione con il cervo che nella fase estiva sempre più massicciamente frequenta e
utilizza per l’alimentazione le praterie alpine un tempo occupate solo dal camoscio.
Grazie alla tranquillità fornita dalla presenza dell’area protetta, un sempre più cospicuo
numero di cervi trascorre la fase estiva al di sopra del limite della vegetazione arborea,
sfruttando in modo ottimale il foraggio quantitativamente e qualitativamente ricco dei pascoli
alpini (Figura 4.10). Un certo numero di animali trascorre addirittura la fase centrale della
giornata al di sopra del limite delle praterie continue, trovando tranquillità e sicurezza nelle zone
di macereto con situazioni dominanti in termini di visibilità. Un carico di oltre 1.000 cervi che si
alimentano nelle stesse zone di estivazione del camoscio non può che sottrarre cibo alla
popolazione e costringerla ad evitare le aree più massicciamente frequentate dai cervi,
spostandosi a quote sempre più alte (Figura 4.99).
Negli ultimi anni si è infatti assistito ad un progressivo spostamento estivo della popolazione
verso quote sempre più alte. I maschi adulti, che sino a pochi anni fa occupavano
prevalentemente il limite superiore della vegetazione arborea dei lariceti, ora si distribuiscono
abbondantemente al di sopra di tale limite.
195
2660
2640
ALTITUUDINE (m)
2620
2600
2580
2560
2540
2520
2500
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
ANNI
Figura 4.99 – Altitudine media degli avvistamenti di camoscio durante i censimenti estivi. Negli ultimi
dodici anni l’altitudine media di osservazione si è alzata di oltre 100 m, forse in relazione alla presenza
sempre più consistente del cervo nelle praterie alpine.
Analizzando la Figura 4.100, che riporta la dinamica di popolazione di cervo e camoscio nel
Parco dal 1983 ad oggi, è possibile notare come, dopo il grosso crash di entrambe le specie a
causa dell’inverno 2000-2001, particolarmente duro e nevoso, la popolazione di cervo abbia
ripreso la sua crescita, mentre il camoscio sia entrato in una nuova fase di equilibrio, assestato
su densità inferiori.
30000
2500
NEVE
CAMOSCIO
CERVO
25000
2000
20000
1500
15000
1000
10000
500
5000
0
19
83
19
84
19
85
19
86
19
87
19
88
19
89
19
90
19
91
19
92
19
93
19
94
19
95
19
96
19
97
19
98
19
99
20
00
20
01
20
02
20
03
20
04
20
05
20
06
20
07
0
ANNI
Figura 4.100 – Andamento dei censimenti di camoscio e di cervo all’interno del Parco Nazionale dello
Stelvio dal 1983 al 2007. Le barre grigie rappresentano l’indice di nevosità della stagione invernale.
Per verificare la significatività statistica e quantificare le relazioni tra gli accrescimenti della
popolazione di camoscio e i fattori di regolazione prima citati (denso-dipendenza, nevosità e
196
competizione con il cervo), sono stati testati tutti i possibili modelli mediante regressione
multipla (in Tabella 4.72 sono mostrati i primi sette in base al valore dell’AIC).
Tabella 4.72 – Modelli che testano la significatività della relazione tra i tassi di accrescimento della
popolazione di camoscio e, rispettivamente, la densità di popolazione di camoscio, la densità di
popolazione di cervo e la nevosità dell’inverno. Ncam-1 densità di camoscio all’anno t-1; Ncer-1 densità
di cervo all’anno t-1; Ncer-2 densità di cervo all’anno t-2; i modelli di regressione testati possono essere
continui oppure separati sopra e sotto il livello soglia di neve oltre il quale si innescano fenomeni di
denso-dipendenza. Il modello con AIC più basso è quello che meglio spiega i dati raccolti.
Parametri nel
modello
df
AIC
Ncam-1, Ccer-2,
5
417.8 Continuo; soglia durezza dell’inverno su
camoscio; nessuna soglia su densità cervo
Ncam-1, Ccer-2,
5
418.1 Broken stick; soglia durezza dell’inverno su densità
camoscio; nessuna soglia su densità cervo
Ncam-1,
Neve
7
418.4 Continuo; soglia durezza dell’inverno su
camoscio; nessuna soglia su densità cervo
densità
Ncam-1, Ccer-2,
6
419.4 Continuo; soglia
camoscio e cervo
durezza
dell’inverno
su
densità
Ncam-1,
Neve
Ccer-1,
8
419.6 Continuo; soglia
camoscio e cervo
durezza
dell’inverno
su
densità
Ncam-1,
Neve
Ccer-2,
8
419.6 Continuo; soglia
camoscio e cervo
durezza
dell’inverno
su
densità
Ncam-1, Ccer-2,
6
419.8 Continuo; soglia durezza dell’inverno su
camoscio; nessuna soglia su densità cervo
densità
Ncam-1, Ccer-2,
6
419.8 Broken stick; soglia durezza dell’inverno su densità
camoscio e cervo
Ccer-2,
tipo
densità
durezza dell’INVERNO
(effetto soglia)
R
consistenza CAMOSCIO (t-1)
(tasso accrescimento camoscio)
consistenza CERVO (t-2)
Figura 4.101 – In base alle analisi effettuate è possibile affermare che l’accrescimento della popolazione
di camoscio dipende dalla densità della popolazione (i cui meccanismi di autoregolazione entrano in
gioco solo durante gli inverni particolarmente duri e rigidi - effetto soglia) e dalla densità della popolazione
competitrice di cervo (con due anni di ritardo).
197
I risultati mostrano come l’accrescimento della popolazione di camoscio degli ultimi trent’anni
dipenda in modo significativo dalla densità di popolazione stessa, i cui meccanismi di
autoregolazione entrano in gioco solo durante gli inverni particolarmente duri e rigidi (effetto
soglia), ma anche dalla densità della popolazione competitrice di cervo, indipendentemente
dalla situazione invernale. E infatti l’ipotesi riguarda una competizione trofica e spaziale durante
la fase estiva di alimentazione (Figura 4.101).
Le analisi mostrano come i tassi di natalità rimangano relativamente costanti, mentre siano i
tassi di mortalità ad essere strettamente dipendenti dalla densità della popolazione. La
diminuzione della popolazione occorsa nell’ultimo decennio è legata all’interazione tra
meccanismi di regolazione dipendenti dalla densità, fattori meteo-climatici e competizione con il
cervo (Figura 4.101). In una prima fase (sino all’inizio degli anni ’90), caratterizzata da nevosità
invernale medio-alta, la popolazione è cresciuta costantemente. In una seconda fase (gli anni
’90), la scarsa nevosità media ha permesso una ulteriore crescita della popolazione sino al
raggiungimento delle massime densità. Nella terza fase (il nuovo secolo), il ritorno di inverni con
nevosità medio-alta e i fenomeni di competizione con il cervo hanno nuovamente alzato i tassi
di mortalità naturale invernale, causando un riequilibrio della popolazione su valori inferiori di
capacità portante.
E’ possibile mettere in evidenza una significativa dipendenza dei tassi di accrescimento del
camoscio dalla densità della popolazione stessa (con un anno di ritardo) solo al di sopra di una
determinata soglia di “durezza” della stagione invernale (i punti blu della Figura 4.102a). E’
possibile inoltre mettere in evidenza una significativa dipendenza dei tassi di accrescimento del
camoscio dalla densità della popolazione di cervo (con due anni di ritardo) indipendentemente
dall’andamento della stagione invernale (Figura 4.102b).
Figura 4.102 – A destra) i tassi di accrescimento del camoscio diminuiscono all’aumentare della densità
di popolazione solo in caso di inverni di durezza superiore alla media (i punti blu). A sinistra) i tassi di
accrescimento del camoscio diminuiscono all’aumentare della densità di popolazione del cervo
indipendentemente dalla situazione invernale (i punti rossi rappresentano gli inverni al di sotto della
media).
198
4.3.6.3.
Interazioni con il gallo cedrone
La distribuzione del gallo cedrone sul territorio alpino è limitata al settore centro-orientale
dell’area e i nuclei presenti nel Parco Nazionale dello Stelvio ne rappresentano una delle
propaggini più occidentali. Lo status della specie sulle Alpi negli ultimi trent’anni è andata via via
peggiorando probabilmente a causa della modificazione degli habitat legati all’azione dell’uomo
e ai cambiamenti climatici. Dall’anno 1990 ne è stata sospesa la caccia in provincia di Trento. A
partire dall’anno 2003 la specie non è più cacciabile in tutto il territorio nazionale.
Il gallo cedrone trova il suo naturale habitat in foreste con attitudini alla produzione legnosa. In
ambito alpino il suo naturale habitat è incentrato nelle foreste di conifere con presenza di radure
ricche di piante suffrutticose, ambiente facilmente riscontrabile nel territorio del Settore trentino
del Parco Nazionale dello Stelvio. La medesima tipologia di territorio è frequentata anche dal
cervo, al punto da influenzare potenzialmente la disponibilità trofica della specie con un’azione
di pesante modifica dello strato arbustivo del sottobosco.
Al momento attuale, in Val di Sole, si stima una consistenza minima primaverile di 110 maschi
su di un area occupata di quasi 80 km². Il rapporto maschi/femmine sulle arene risulta
costantemente a favore dei maschi (da 1,5/1 a 3/1) indicando, secondo De Franceschi (1996),
una dinamica favorevole della specie. Adottando prudenzialmente un rapporto maschi/femmine
di 1/1 (De Franceschi 1996) ed una sottostima dei maschi subadulti (Mollet et al. 2003) pari al
20%, la stima della popolazione primaverile dovrebbe superare i 300 individui. Tale densità si
allinea quindi con i valori di 2-4 individui/km² registrati da Storch in Baviera (1993a/b), e ritenuti
corrispondere alle massime densità per il centro Europa.
A partire dal 1997 la dinamica del cedrone in Val di Sole viene monitorata mediante
censimenti primaverili in 5 aree campione. Due delle cinque aree sono poste all’interno del
Parco. I soggetti censiti nel 2007 ammontano a 24 maschi adulti e 10 femmine; all’esterno delle
aree campione sono stati rilevati altri 8 maschi e 6 femmine, per un totale complessivo di 30
maschi e 16 femmine.
Mediante rilievo estensivo, nell’UG sono state rilevate 91 aree di canto. I dati dei primi
censimenti sono stati aggiornati mediante le aree campione ed altri rilievi non sistematici,
suddividendo le aree di canto in tre differenti tipologie (Figura 4.103):
A. arene caratterizzate da più punti di canto tra loro collegati, con presenza di un numero
di maschi superiore a 3, forte continuità dell’areale occupato e dinamismo della
popolazione (n = 26);
B. arene caratterizzate da singoli punti di canto con presenza di un numero limitato di
maschi (1–2), scarsa continuità di areale con le arene più vicine e sintomi di scarso
dinamismo di popolazione (n = 27);
C. arene abbandonate (n = 38).
In tutte le aree registrate come problematiche nei primi anni ’90, a distanza di 15 anni, la
situazione è stabile o peggiorata.
199
Figura 4.103 - Densità di gallo cedrone maschio sulle arene di canto in rapporto all’area di svernamento
del cervo in Val di Sole.
La distribuzione delle arene in base alla densità di maschi pare rispondere ad alcune regole di
fondo. Caratteristica comune dell’area ottimale (i versanti esposti a settentrione), in Val di Sole,
è la pecceta altimontana a mirtillo nero, da secoli utilizzata in modo intensivo, anche con tagli a
raso fino ai primi decenni del ‘900. In alcuni casi si tratta di peccete subalpine e lariceti a mirtillo
nero/rododendro, con minore incidenza della selvicoltura. L’importanza del mirtillo nero è
registrata da molti autori (Storch 1993a/b; Bollmann et al. 2005) e, secondo Storch, porta il
cedrone a preferire le esposizioni fresche.
L’area scadente corrisponde invece a tutti i versanti ad esposizione calda, trasformati
dall’uomo in lariceti o rade peccete xeriche a mirtillo rosso. Su questi versanti, la fascia di
habitat idoneo per il cedrone è di per sé più ridotta, traslata verso l’alto, erosa dai pascoli di
quota e limitata ai terrazzi dove la minor pendenza, paludi o macereti favoriscono lo sviluppo
del mirtillo nero (Mattedi 2001). I lariceti in esposizione calda costituiscono inoltre aree di
svernamento preferenziali del cervo, subendo così una fortissima brucatura dello strato
arbustivo-suffruticoso e la conseguente scomparsa di ericacee e ginepro.
Gli effetti delle elevate densità di cervo sulle aree di svernamento sono visibili, non solo sulla
rinnovazione della foresta ma anche sulle specie arbustive e suffruticose, con particolare
evidenza sul ginepro e sulle ericacee. Pur in assenza di ricerche scientifiche che ne dimostrino
il legame di causa-effetto, è constatabile una sensibile riduzione degli elementi trofici
fondamentali per i Tetraonidi (Angeli e Brugnoli 2005). Nel caso del gallo cedrone, l’ipotesi di
impatto negativo da parte del cervo si basa sugli effetti esercitati nelle zone di svernamento. In
tali aree la componente del sottobosco risulta pesantemente brucata fino a ridursi sensibilmente
e trasformarsi progressivamente da rodoro-vaccinieto a strato erbaceo con abbondante
presenza di Calmagrostis villosa. La diminuzione della disponibilità dello strarto arbustivo (in
particolare del mirtillo nero unanimemente riconosciuto come elemento essenziale per la
specie), fonte di riparo e alimentazione della prole (maggiore ricchezza di entomofauna),
porterebbe ad una diminuizione dell’idoneità ambientale per il cedrone.
Nel Parco Nazionale dello Stelvio, il fenomeno è ancor più accentuato. L’andamento dei
censimenti sulle aree campione del Parco sembra avere un trend negativo, al contrario di
quanto rilevato nella restante Val di Sole (Figura 4.104).
200
25
Parco dello Stelvio
Val di Sole
CEDRONI CONTATTATI
20
15
10
5
0
1997
1999
2001
2003
2005
2007
2009
Figura 4.104 – Trend dell’evoluzione della popolazione di gallo cedrone nelle aree esterne (in blu) ed
interne (in rosso) al Parco nell’UG.
Nell’area campione Marassina, in particolare, lo strato arbustivo del lariceto ha visto una
rapida trasformazione da mirtillo/rododendro a Calamagrostis villosa (Figura 4.105); pur non
potendo determinarne le cause in modo univoco, il processo è sicuramente accelerato dalla
brucatura del cervo che qui sverna, malgrado esposizioni non favorevoli. La corrispondente
dinamica del cedrone è fortemente negativa.
Il ruolo del cervo nel declino del cedrone, a causa della brucatura dello strato arbustivo, è già
stato ipotizzato da De Franceschi (1996), in riferimento alle foreste di Paneveggio (TN) e
Tarvisio (UD), da Landmann (1985) relativamente ai Vosgi, da Storch (1993a) in Baviera e da
Mollet e Marti (2001) in Svizzera. Per maggiori approfondimenti sullo status e sulla
conservazione del gallo cedrone nell’UG Val di Sole si veda Angeli e Pedrotti (2007a e 2007b).
Figura 4.105 – Degrado dell’habitat nell’area campione “Marassina” nel Parco Nazionale dello Stelvio.
201
4.3.6.4.
Interazione con il gipeto
Come già descritto, la situazione attuale vede la popolazione di cervo del Parco caratterizzata
da elevate densità e da conseguenti elevate mortalità a causa dei meccanismi di
autoregolazione innescatisi. Tali episodi di elevata mortalità vengo spesso visti dagli occhi
umani come uno spreco di risorse. Spesso il punto di vista si limita agli aspetti connessi alle
attività e interessi umani, trascurando i legami e le interrelazioni di carattere ecosistemico.
Le elevate densità e mortalità (di Ungulati) presenti nel Parco favoriscono i livelli trofici
superiori. Il gipeto già beneficia di questa situazione e in futuro potrebbero beneficiarne anche
lince e lupo, attualmente assenti dal territorio del Parco, ma in fase di dinamica (e spesso
problematica) espansione sull’arco alpino occidentale e orientale.
Il gipeto, incluso nell’allegato II della Convenzione di Berna e nell’allegato I della Direttiva
Uccelli, è specie particolarmente protetta dalla Legge quadro 157/92 per la protezione della
fauna selvatica omeoterma. È l’avvoltoio nidificante di maggiori dimensioni presente sulle Alpi
italiane con un’apertura alare che sfiora i tre metri. Si nutre essenzialmente di animali morti di
cui è in grado di assimilare con efficienza anche le ossa. La sua alimentazione si basa sui resti
degli Ungulati morti e la presenza di aree in cui esistono alte densità di questi animali è un
fattore fondamentale per la sua sopravvivenza e riproduzione. Estinto all’inizio del XX secolo
per persecuzione diretta dell’uomo, è stato oggetto di un progetto di reintroduzione
internazionale iniziato negli anni ‘80 che ha visto il coinvolgimento diretto di tutte le nazioni
alpine. Dal 1986 al 2007 sono stati rilasciati quasi 150 individui ed attualmente si stima una
popolazione complessiva tra i 97 e i 116 individui, si riproduce autonomamente in natura dal
1996. Il successo dell’operazione è testimoniato dalle attuali 17 coppie territoriali che si sono
formate, dalle 13 coppie riproduttive e dai 43 giovani involati in natura dal 1996 al 2006, al ritmo
attuale di 6-7 ogni anno. Questo fa ritenere ormai non più necessaria la prosecuzione dei rilasci
di giovani individui provenienti dagli zoo, a favore di un maggior impegno del programma verso
azioni volte al monitoraggio della popolazione naturale, a favorire la sua conservazione ed
espansione e all’individuazione e mitigazione dei principali fattori di disturbo e di mortalità
verificati in questi anni.
L’importanza del territorio del Parco Nazionale dello Stelvio per il gipeto è legato, come già
accennato, all’elevata densità di potenziali prede (cervo, camoscio, stambecco), all’elevata
percentuale di territorio posto al di sopra della vegetazione forestale e, quindi, facilmente
ispezionabile, e dalla notevole disponibilità di siti di nidificazione sulle pareti calcaree del
Settore lombardo del Parco. L’importanza del sito è facilmente dimostrabile se si prendono in
considerazioni i dati seguenti:
• nell’area sono presenti 4 coppie riproduttive sulle 13 presenti su tutto l’arco alpino
(l’ultima formata occupa un territorio a cavallo dell’area protetta e del territorio svizzero
(Figura 4.106);
202
•
tra il 1997 e il 2007, quasi il 50% di tutti i giovani gipeti nati in natura (21 su 43) si è
involato dal territorio del Parco dello Stelvio e aree limitrofe (Figura 4.107);
•
dal 1989 al 2005 sono state raccolte oltre 2600 osservazioni relative ad oltre 40 individui
differenti.
Figura 4.106 – Osservazioni e ipotesi di distribuzione delle tre coppie riproduttive di gipeto nel Parco
Nazionale dello Stelvio. Una quarta coppia si è recentemente formata e riprodotto a cavallo tra territorio
italiano e svizzero.
L’area è inoltre frequentata da numerosi altri individui e dai nuovi giovani involati. Come si
nota dalla Figura 4.106, le coppie attualmente presenti hanno progressivamente occupato la
porzione più settentrionale dell’area. Negli ultimi anni, le osservazioni nella porzione più
meridionale si sono fatte più frequenti, a testimonianza della futura possibile formazione di altre
coppie riproduttive.
203
25
PAIRS
FLEDGED YOUNGS (cumulative)
20
15
10
5
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Figura 4.107 – Nel PNS sono presenti 4 coppie riproduttive di gipeto. Tra il 1998 e il 2007 oltre la metà
dei nuovi giovani nati in natura su tutto l’arco alpino si sono involati nell’area protetta.
Un contributo importante all’idoneità dell’area per la specie è sicuramente legata alla elevata
densità di cervo, oltre che, naturalmente, di camoscio e di stambecco (nella parte lombarda del
Parco). Attualmente le coppie territoriali e riproduttive sono tutte presenti nel Settore lombardo
del Parco. La situazione è in continua evoluzione e di anno in anno nuove aree limitrofe
cominciano ad essere frequentate dai nuovi individui involati e nuove coppie territoriali
continueranno probabilmente a formarsi. Le indagini genetiche effettuate sulle penne
recuperate recuperate nei pressi di nidi e posatoi abituali, hanno lo scopo di verificare l’identità
dei vari soggetti (soggetti rilasciati, giovani nati in natura e adulti) ed hanno mostrato come già
esista un turnover nei componenti delle coppie del Parco i cui individui storici e ormai vecchi
sono stati in alcuni casi sostituiti da soggetti reintrodotti più recentemente o nati in natura. Nel
Settore trentino e nell’UG di riferimento non esistono al momento coppie territoriali, ma la
frequentazione del territorio è pressoché continua durante i mesi invernali (a fini alimentari e di
perlustrazione) e sempre più frequente durante i mesi estivi (Figura 4.108). Il trend degli
avvistamenti occasionali registrati su apposite schede tra il 1996 e il 2007 dal personale
forestale è in aumento.
La popolazione di Gipeto nel Parco Nazionale dello Stelvio sembra destinata a una lenta ma
graduale espansione anche nei territori circostanti. Tuttavia esistono ancora numerosi fattori
che, in futuro, possono metterne a rischio la conservazione, compromettendo la buona riuscita
del progetto di reintroduzione e di una sua prossima espansione nei territori al di fuori del
Parco, già attualmente frequentati per fini trofici.
Tra questi fattori, potrebbe rivestire un ruolo particolare l’inquinamento indiretto da piombo, in
relazione all’ingestione di carcasse o resti di ungulati abbattuti a caccia e nei quali siano
presenti frammenti di piombo. L’avvelenamento da piombo, infatti, non riguarda la sola avifauna
acquatica: recenti pubblicazioni hanno dimostrato che numerose specie di rapaci possono
rimanere vittime del saturnismo qualora si nutrano di soggetti morti o debilitati a causa
dell’intossicazione da piombo o del ferimento con armi da fuoco (avvelenamento secondario).
204
Figura 4.108 – Distribuzione degli avvistamenti di gipeto nell’ultimo decennio. Nel Settore trentino del
Parco non sono attualmente presenti coppie riproduttive, ma la frequenza degli avvistamenti si fa ogni
anno maggiore (46 avvistamenti registrati nel 2007.
Sono ormai disponibili numerose evidenze che dimostrano come modeste tracce di piombo,
ingerite da rapaci e necrofagi quali il gipeto e l’aquila reale, possano condurre gli individui a
intossicazione, inedia cronica fino a morte certa. Sulle Alpi sono noti diversi casi di animali morti
e in difficoltà di entrambe le specie (Kenntner et al., 2006; Garcia-Fernandez et al., 2005;
Kenntner et al., 2001; Hunt et al., 2006), ma la reale portata del problema non è ancora del tutto
nota. Nel 2006 Knollseisen et al. riportano il primo caso di intossicazione da Piombo registrato
sulle Alpi nell’individuo Doraja, BG 465.
Tale rischio potrebbe essere particolarmente elevato nelle aree circostanti il Parco dove viene
praticata la caccia a tre specie di ungulati (capriolo, camoscio e cervo), e dove il gipeto può
facilmente imbattersi in carcasse di ungulato ferito a morte da colpo d’arma da fuoco e non più
recuperato, o in parti di ungulato lasciate sul posto dai cacciatori (visceri in particolare), ma
anche nel territorio del Parco stesso, nel momento in cui dovesse essere attivato il controllo
numerico delle popolazioni.
Una recente ricerca condotta in Austria ha evidenziato in modo dettagliato che il proiettile
nella maggior parte dei casi rilascia frammenti di piombo nel corpo dell’ungulato colpito la cui
consistenza e numerosità varia a seconda della tipologia della palla e del punto in cui l’animale
viene colpito (Hecht; 2000; Figura 4.109).
205
Figura 4.109 - Modalità di frammentazione dei proiettili di piombo nel corpo di un ungulato colpito. Pochi
frammenti ingeriti da un rapace possono condurlo a inedia cronica fino a morte certa. (Radiografia, da
Hecht, 2000).
La ricerca ha dimostrato che alcuni tipi di palla di piombo perdono, a seguito dell’impatto con
l’ungulato, percentuali comprese tra il 24.3% e il 40% del proprio peso iniziale che si disperde
nella carcassa.
In Canada e negli USA si calcola che il 10% della mortalità post involo dell’Aquila reale sia
dovuta a questa causa. Il saturnismo ha svolto un ruolo non secondario in altre aree europee
per diversi rapaci diurni quali l’astore, il pellegrino, l’aquila di mare e lo sparviere (Thomas 1980;
Storch 1994; Pain 1990; Kenntner et al. 2001; Hunt et al. 2006, Brant et al. 2003).
Il gipeto è un avvoltoio solitario e territoriale che si nutre principalmente di ossa. La sua dieta
si basa soprattutto su ungulati, sia selvatici, sia domestici, di media taglia (Brown e Plug 1990).
Il comportamento alimentare è tuttavia abbastanza opportunistico e la specie sembra
mostrare un’ampia diversità trofica (piccoli mammiferi, micro-mammmiferi e uccelli possono
costituire il 20% della dieta; Margalida et al., 2005). Tuttavia, gli Ungulati selvatici (come il
camoscio e il cervo) costituiscono una parte importante della sua dieta nelle aree montuose e
alpine (Tabella 4.73; Margalida et al., 2007).
L’utilizzo delle ossa è una forma di alimentazione abbastanza inusuale. Le parti piccole
vengono ingoiate intere, mentre quelle più grosse sono fatte ripetutamente cadere sulle rocce in
modo da romperle in pezzi di minori dimensioni (Brown, 1988). Studi più recenti hanno
confermato che le ossa sono l’alimento più frequente e rappresentano il 70-90% dell’intera dieta
(Brown e Plug, 1990). Gli stessi autori hanno verificato che, di fronte a una possibile scelta, il
gipeto seleziona le ossa rispetto alla carne fresca e le ossa vecchie ed essiccate, rispetto a
quelle fresche.Le ossa dei mammiferi hanno un contenuto energetico superiore a quello del
tessuto muscolare (6.7 e 5.8 KJ/g rispettivamente; Brown, 1988), in parte per il loro alto
contenuto in grasso. Una dieta “media” da gipeto disponibile in natura (70% ossa, 25% tessuto
muscolare e 5% pelle) fornisce 674 KJ di energia per 100 g, rispetto ai 586 KJ di energia per un
equivalente peso di tessuto muscolare (Brown e Plug 1990). Tenendo conto anche delle
differenti efficienze e tempi di digestione delle ossa rispetto ai muscoli, una dieta basata sulle
prime è comunque ugualmente efficiente (Houston e Copsey, 1994). Tuttavia alimentarsi di
206
ossa ha un altro vantaggio perché queste non si decompongono e possono essere ritrovate ed
utilizzate a distanza di mesi.
Tabella 4.73– Percentuale di differenti tipologie di preda di otto coppie di gipeto nei Pirenei, in relazione a
due diversi metodi di analisi della dieta (da Margalida et al., 2007).
Tipo di preda
Portata al nido
Presente nel nido
Medi
66.9
72.5
Grandi
4.0
5.1
Sus spp.
8.0
10.7
Piccoli
11.8
6.9
Micro
4.5
0.6
Uccelli
4.0
3.8
Rettili
0.8
0.4
Mammiferi
I mammiferi di taglia media includono pecora, capra, camoscio e cervo; i grandi includono cavallo e
vacca; i piccoli includono coniglio, lepre e volpe; i micro includono principalmente topo selvatico e talpa
comune.
La presenza di consistenti popolazioni di ungulati selvatici rappresenta quindi una condizione
fondamentale per garantire la conservazione e il futuro sviluppo della popolazione alpina di
gipeto e per svincolare il più possibile la sua futura crescita ed espansione dalla disponibilità di
carcasse di ungulati domestici (pecore soprattutto) e dalla predisposizione di punti di
alimentazione artificiali appositamente predisposti (carnai; Piper, 2006).
Per questo può essere opportuno provare a valutare l’attuale “biomassa” disponibile per la
specie nell’area del Parco Nazionale dello Stelvio e delle aree limitrofe delle UG e le variazioni
della stessa qualora si dovesse dare avvio al piano di controllo numerico e raggiungere le
nuove consistenze obiettivo fissate nel piano. E’ opportuno infatti valutare se l’eventuale
(parziale) riduzione delle consistenze delle differenti popolazioni di cervo che gravitano attorno
al Parco Nazionale dello Stelvio possa avere un effetto limitante sulla conservazione e sul
futuro sviluppo della neoformata popolazione di gipeto, per una conseguente riduzione della
disponibilità alimentare in termini di carcasse.
La stima quantitativa di un simile effetto richiede la conoscenza di un elevato numero di fattori
tra loro interagenti in modo complesso. Per tutte le quantificazioni seguenti sono stati usati dati
desunti dalla bibliografia, tranne le stime di consistenza delle popolazioni di Ungulati che
provengono dalle attività di censimento già ampiamente trattate. Applicando il principio di
massima precauzione a garanzia della conservazione del gipeto, la stima si basa sulle seguenti
assunzioni:
•
la dieta del gipeto è costituita per l’80% da carcasse di ungulati selvatici e domestici e
da un restante 20% da altre categorie (Margalida et al., 2007); nella presente stima è
stata presa in considerazione la sola componente degli ungulati selvatici per la
copertura degli intero fabbisogno energetico, senza tenere in conto l’eventuale
potenziale presenza anche di carcasse di domestici;
•
per la quantificazione della disponibilità di carcasse sono stati applicati tassi di mortalità
medi per le differenti specie di ungulati selvatici desunti da letteratura, senza
considerare i possibili effetti delle elevate densità sui tassi di mortalità stessi;
•
per ciascuna carcassa non è stato considerata disponibile l’intera biomassa, ma solo
una percentuale varabile tra il 7 e il 10% in modo che venga tenuto in conto il fatto che:
207
a) non tutte le carcasse possono essere trovate; b) altre specie si nutrono di carogne; c)
il gipeto spesso predilige e ricerca solo le parti dei tessuti ossei.
Al fine di calcolare la disponibilità di biomassa sono stati definiti dei tassi di mortalità minimi
per le diverse specie di ungulati. La mortalità del cervo è stata stimata nel 3% annuo per gli
adulti e nel 20% annuo per i piccoli (la mortalità naturale media stimata nell’UG Val di Sole tra il
1992 e il 2007, in base ai soli cervi ritrovati, è dell’8.5% per i piccoli e del 4.6% negli adulti. La
mortalità del camoscio è stata stimata nel 3% annuo per gli adulti e nel 20% annuo per i piccoli
(Schoder (1971) e Trimalle (1985) riportano mortalità del 30-50% nei capretti e inferiori al 10%
negli adulti). La mortalità dello stambecco è stata stimata nel 3% annuo per gli adulti e nel 20%
annuo per i piccoli (Ratti e Habermehl (1977) riportano mortalità del 5-10% annue, a fronte di
reclutamenti annuali medi del 18% e incrementi utili annui media dell’11%). La quantità di
biomassa disponibile per ciascuna carcassa è stata stimata pari a 7 kg per un cervo adulto, 3.5
kg per un cervo piccolo, 3.5 kg per un camoscio adulto, 1.5 kg per un camoscio piccolo, 5 kg
per una stambecco adulto e 2 kg per uno stambecco piccolo.
La biomassa di carcasse effettivamente disponibile per il gipeto è stata calcolata nel modo
seguente:
Biomassa(kg ) = ∑ Nad i ∗ TMad i ∗ Kg _ ad i + Npici ∗ TMpici ∗ Kg _ pici
con i = specie (cervo, camoscio, capriolo);
N = consistenza della popolazione (adulti e piccoli);
TM = tasso di mortalità (adulti e piccoli);
Kg = biomassa effettivamente disponibile per ciascuna carcassa
Assumendo quindi un tasso medio di mortalità stimato del 3% annuo per gli adulti delle tre
specie di ungulati e del 20% per i piccoli nel loro primo anno di vita e tenendo in considerazione
quanto riportato da Margalida et al. (1997) che considerano necessari 341 kg di biomassa per i
fabbisogni annui di una coppia di gipeti (di cui 223 kg durante il periodo riproduttivo), è possibile
stimare la quantità di alimento teorico minimo disponibile per coprire i fabbisogni energetici della
popolazione di gipeto.
La stima fa riferimento all’area vasta di indagine che comprende le sette unità di gestione per
il cervo che sono state individuate nel capitolo 2, le quali racchiudono l’intero territorio del Parco
Nazionale dello Stelvio e parti delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Trento per un totale
di circa 2.980 km2. In base alle attuali stime di consistenza delle popolazioni di ungulati selvatici
ed alle considerazioni sinora effettuate, è possibile stimare (in modo prudenziale) che in tale
area sia presente una disponibilità alimentare di biomassa per il gipeto pari a circa 4.130 kg
che, in base a quanto riportato da Margalida et al. (1997), dovrebbe essere sufficiente alla
riproduzione ed alla sopravvivenza di 12 coppie di gipeto (Tabella 4.74).
208
Tabella 4.74 – Stima della biomassa disponibile per il gipeto nell’area vasta comprendente le sette unità
2
di gestione del cervo incentrate attorno al Parco Nazionale dello Stelvio (2980 km ). La stima della
biomassa disponibile tiene prudenzialmente conto solo degli Ungulati selvatici; per ulteriori spiegazioni si
veda il testo.
N
UG
N
N
Cervi
morti
cervo camoscio stambecco adulti piccoli
Lombardia
3600
1900
Bolzano
3750
Trento
2900
1100
Camosci
morti
Stambecchi
morti
Biomassa
adulti
piccoli
adulti
piccoli
disponibile (Kg)
28
33
1581
86
144
47
68
1800
90
150
44
65
1407
1800
70
116
44
65
1145
TOTALE
4134
Numero di potenziali coppie di gipeto
12.1
Questa stima si basa solamente su considerazioni di carattere energetico e di disponibilità di
prede e non prende i considerazione gli aspetti connessi alle esigenze ecologiche della specie
in termini di habitat e disturbo, non ritenuti pertinenti per lo scopo della presente valutazione
volta essenzialmente a valutare l’eventuale incidenza della diminuzione di carcasse disponibili,
a seguito della riduzione della densità delle popolazioni di cervo, sullo stato di conservazione
del gipeto (Margalida et al., 2007). Dati i valori prudenziali applicati nella stima, sembra
possibile affermare che nell’area considerata ci sia una quantità di cibo disponile per la
potenziale presenza di 12 coppie di gipeto. Per effettuare una valutazione della possibile
incidenza del progetto di gestione del cervo le stime sono state ricalcolate, sostituendo i valori
di consistenza delle popolazioni di cervo delle sette UG, con i valori di consistenza obiettivo
individuati dai differenti piani di gestione già approvati o in fase di approvazione (UG “Media
Venosta – Martello”; UG “Gomagoi-Tubre”; UG “Val di Sole”; UG “Valfurva – Sondalo”; Tabella
4.75).
Tabella 4.75 – Stima della biomassa disponibile per il gipeto nell’area vasta comprendente le sette unità
2
di gestione del cervo incentrate attorno al Parco Nazionale dello Stelvio (2980 km ), nel caso in cui le
consistenze delle popolazioni di cervo fossero ridotte secondo quanto previsto dai piani di gestione. La
stima della biomassa disponibile tiene prudenzialmente conto solo degli Ungulati selvatici; per ulteriori
spiegazioni si veda il testo.
N
UG
N
N
Cervi
morti
cervo camoscio stambecco adulti piccoli
Lombardia
3400
1900
Bolzano
3250
Trento
2400
1100
Camosci
morti
Stambecchi
morti
Biomassa
adulti
piccoli
adulti
piccoli
disponibile (Kg)
28
33
1520
82
136
47
68
1800
78
130
44
65
1253
1800
58
96
44
65
991
TOTALE
3764
Numero di potenziali coppie di gipeto
11.0
La biomassa disponibile diminuisce da 4.134 kg a 3.764 kg, garantendo comunque la
presenza potenziale di 11 coppie di gipeto. In base ai dati sinora disponibili l’incidenza del piano
sulla conservazione della popolazione di gipeto appare non significativa. La presenza di elevate
consistenze di camoscio e stambecco garantisce comunque la disponibilità di un numero
209
significativo di carcasse. Inoltre, i piani di gestione delle popolazioni di cervo hanno come
obiettivo una significativa riduzione delle densità solo in ambito locale, che si traduce in una
riduzione più leggera della consistenza complessiva nell’intera area vasta di indagine (riduzione
del 12%).
Per avere un quadro complessivo e di maggiore dettaglio sullo status delle conoscenze sul
gipeto nel Parco si fa riferimento al rapporto di Bassi (2007).
4.3.6.5.
Interazioni con i grandi predatori
I grandi predatori danno vita nell’immaginario collettivo a un’insieme di emozioni spesso
contrastanti, di rispetto e disprezzo, fascino e paura, sentimenti che li hanno visti protagonisti
della storia dell’uomo e nel contempo vittime di numerosi episodi di estinzione.
I grandi carnivori in grado di effettuare una attività di predazione significativa sul cervo in
ambito alpino sono il lupo e la lince. Il primo ha recentemente riconquistato per colonizzazione
naturale le Alpi occidentali italiane e francesi, ma è attualmente ancora assente (con branchi
riproduttivi) dalle Alpi centrali (Figura 4.110). Se il processo di ricolonizzazione manterrà i ritmi
attuali, è tuttavia lecito aspettarsi un suo ritorno entro i prossimi anni.
Figura 4.110 - Diffusione attuale del lupo in Europa (Kora, 2005).
La popolazione appenninica di lupo, come è stato ampiamente dimostrato dalle analisi
genetiche, si è naturalmente espansa e dispersa attraverso l’Appennino tosco/emiliano e
ligure/piemontese verso le Alpi occidentali. Dalle prime segnalazioni sporadiche dell’inizio degli
210
anni ’90, si può ormai considerare la popolazione insediata, a settant’anni dalla scomparsa, in
forma stabile sino alla Regione Valle d’Aosta.
La distribuzione attuale interessa l’arco alpino compreso tra Italia, Francia e Svizzera (in modo
ancora irregolare). I dati evidenziano un trend positivo della popolazione, caratterizzato da una
crescita inferiore rispetto ad altre popolazioni in fase di ricolonizzazione. Le buone capacità
riproduttive e l’elevato turn-over annuale degli individui all’interno dei branchi monitorati
indicano che i fenomeni di mortalità e/o dispersione hanno un ruolo fondamentale in tale
processo. La mortalità dovuta a bracconaggio sembra avere un ruolo nella dinamica di
popolazione anche se di difficile quantificazione.
L’area di distribuzione della specie è ancora discontinuo (Figura 4.111) e caratterizzata dalla
presenza di due nuclei principali (Alpi Liguri-Marittime, Val di Susa). Questa distribuzione può
essere legata alla disponibilità di prede, al “disturbo” dell’uomo e alla frammentazione degli
habitat. I giovani individui in dispersione sono in grado di effettuare spostamenti di centinaia di
chilometri e rendere possibile in tempi brevi la colonizzazione delle Alpi centrali già provata a
più riprese negli ultimi otto anni (Kora, 2005). Attualmente tra Piemonte e Valle d’Aosta è
stimata la presenza di 30-40 lupi suddivisi in 7-9 branchi (circa 18 branchi se si considerano
anche le Alpi francesi).
Le grandi capacità di dispersione tipiche della specie, unite alla ripresa delle popolazioni di
Ungulati selvatici sono il motivo principale del ritorno del lupo sulle Alpi; un ritorno che attesta
da un lato la loro riqualificazione ecologica e che dall’altro ha importanti implicazioni di carattere
sociale, economico e culturale. Il futuro del lupo, e in generale dei grandi carnivori, sulle Alpi
necessita di un grande lavoro di informazione e di gestione per risolvere i conflitti che si
vengono a creare con l’uomo e rendere possibile e stabile il processo di colonizzazione in atto.
211
Figura 4.111 – Il lupo sulle Alpi; (a) Localizzazione dei branchi di lupo e dimensioni minime dei territori
occupati in Piemonte (Marucco, 2008); (b) Localizzazione dei branchi di lupo e dimensioni minime dei
territori occupati in Francia (Duchamp, 2008); (c) Presenza confermata di esemplari di lupo in Svizzera
nel 2006 (Weber, 2008).
Durante gli anni ’70 del secolo scorso la lince è tornata a far parte della fauna alpina grazie
alle reintroduzioni effettuate nelle Alpi svizzere e in Slovenia, con esemplari provenienti dai
Carpazi. Le zone occupate si sono dapprima rapidamente estese fino alle Alpi svizzere centrali
ed occidentali, poi è sopravvenuta una fase di stasi, un nuovo incremento negli anni ’90, legato
anche a nuove reintroduzioni e una successiva stasi nell’ultimo quinquennio. Attualmente sulle
Alpi è stimata la presenza di circa 120 individui, suddivisi in due popolazioni tra loro ben
distinte. A ovest, in Francia e tra il Vallese, il Bernese e il Canton S.Gallo svizzero, una
popolazione di un centinaio di individui (Figura 4.112). A est, tra Slovenia, Austria e Alpi
orientali italiane, una ventina di soggetti in continuità con la popolazione dinarica (altri 130
soggetti tra Slovenia, Croazia e Bosnia). Attualmente meno del 10% del territorio idoneo sulle
Alpi è stato ricolonizzato e in futuro sarà fondamentale riuscire a creare un ponte di contatto tra
le due popolazioni alpine che al momento sono tra loro completamente isolate.
Figura 4.112 - Segnalazioni di linci confermate nelle Alpi dal 1995 al 1999, con esclusione delle
popolazioni di linci limitrofe (KORA, 2005 ).
212
Figura 4.113 – Distribuzione dei segni di presenza di lince sulle Alpi italiane nel periodo 2000-2004. (a)
dati di categoria 1: foto, fatte confermate; (b) dati di categoria 2: tracce, Ungulati selvatici e domestici
uccisi; (c) dati di categoria 3: tracce e prede non confermate, avvistamenti e vocalizzazioni (Molinari et
al., 2006).
In Italia la lince è presente in modo stabile solo nel settore più orientale del Friuli (Figura
4.113), mentre individui in dispersione sono sporadicamente e a più riprese segnalati lungo
tutte le aree di confine, dalle Alpi occidentali sino al Trentino-Alto Adige (Kora, 2005).
213
Gli esperti considerano la popolazione alpina ancora in pericolo per la sua limitata
distribuzione e per le intrinseche limitate capacità di dispersione della specie, legate anche
all’attuale frammentazione degli habitat che contraddistingue i fondovalle alpini. La
conservazione della lince è anche resa particolarmente difficile dalle basse densità che la
specie raggiunge anche in condizioni ambientali favorevoli (0.9-2.1 individui/100 km2), e dagli
enormi requisiti spaziali, che rendono inefficace ogni politica di conservazione ristretta alle sole
aree protette (Spagnesi e De Marinis, 2002). Per questo le future azioni per la conservazione
della specie dovranno mirare all’ampliamento dell’attuale areale distributivo per favorire il
progressivo congiungimento dei due nuclei attualmente esistenti (Kora, 2005).
La scomparsa dei grandi predatori sull’arco alpino è legata principalmente alla persecuzione
diretta da parte dell’uomo che ha sempre visto nel lupo, nell’orso e nella lince dei competitori
diretti. Verso la fine del XIX secolo, a seguito della caccia incontrollata e dei massicci
disboscamenti, le popolazioni di Ungulati, principale preda di queste specie, sono state distrutte
o drasticamente ridotte; ciò ha fortemente influenzato le abitudini alimentari dei grandi predatori
che hanno dovuto ripiegare sul bestiame domestico, entrando così in conflitto con l’uomo.
I grandi predatori giocano un ruolo fondamentale per gli ecosistemi naturali e la loro
conservazione comporta un beneficio per tutte le altre componenti ad esse legate. Queste
specie infatti necessitano di spazi ampi, la cui conservazione può garantire in ricaduta benefici
per molte altre specie: la loro conservazione perciò è un importante contributo al mantenimento
della biodiversità.
Il lupo è il principale predatore di mammiferi di grandi dimensioni nell’emisfero settentrionale e
ci si aspetta quindi che possa esercitare una forte influenza su di essi (Mech, 1966). La
principale fonte di cibo della lince sulle Alpi sono gli Ungulati e in particolar modo il capriolo e il
camoscio (Breitenmoser et Haller, 1993 in Okarma et al., 1997).
Secondo Mech (1970) gli effetti diretti della predazione dei grandi carnivori possono essere
suddivisi in tre tipologie:
• l’effetto sanitario che mantiene in buona salute la popolazione preda, eliminando gli
individui vecchi, malati o inferiori alla media;
•
il controllo numerico totale o parziale sulla consistenza della popolazione preda;
•
la stimolazione della produttività nella popolazione preda e la disponibilità di alimento
per le specie che si nutrono di carcasse.
Un quarto effetto indiretto è connesso a possibili cambiamenti comportamentali della
popolazione preda (cambiamento dei territori più frequentemente utilizzati, con conseguente
migliore distribuzione spaziale e di utilizzo del foraggio, aumento del comportamento di
vigilanza e variazione della numerosità dei branchi).
La percentuale di prede uccise dal lupo è significativamente elevata per le classi giovani e
immature. Nel caso del wapiti americano è dimostrata una selezione dei piccoli (Vignon, 1997).
In genere, gli animali adulti uccisi dal lupo sono feriti, malati o in scarsa condizione. Uno studio
effettuato nell’Idaho ha dimostrato che i cervi prelevati dall’uomo in caccia avevano condizioni
fisiche migliori di quelli uccisi dal lupo (Power, 2001). Di conseguenza il lupo potrebbe
migliorare la qualità media di una popolazione (Switalski et al., 2002).
Alla luce delle conoscenze disponibili, l’impatto della predazione di lupo non può essere
semplificato poiché i sistemi preda-predatore sono estremamente complessi e caratterizzati da
una moltitudine di fattori di difficile valutazione e misurazione. Alcune generalizzazioni nel caso
del lupo si possono comunque trarre:
• le interazioni variano secondo uno spettro di casistiche ai cui estremi si rilevano, da una
parte, situazioni in cui l’impatto sulle popolazioni preda appare trascurabile, dall'altra,
situazioni in cui le popolazioni preda sono regolate dal lupo e mantenute a basse
densità;
214
•
le specie preda differiscono nelle loro capacità di sostenere la predazione. Ungulati
altamente produttivi e poco affetti da altri fattori limitanti (come il cervo) possono
mantenere, in presenza del lupo, densità maggiori rispetto a specie meno produttive;
•
in assenza di predazione, gli Ungulati selvatici vengono comunque regolati da fattori
densità-dipendenti;
•
le specie di Ungulati che nella loro storia evolutiva si sono coevolute con i predatori,
possono mantenere densità elevate anche in presenza degli stessi.
L’attuale fase di ricolonizzazione del lupo che sta avvenendo sia negli Stati Uniti che nell’arco
alpino permette di capire le funzioni ecologiche della specie e i suoi effetti sugli ecosistemi. Il
lupo deve essere considerato un predatore che sta ai vertici delle catene alimentari e la cui
presenza è un buon indicatore dell’integrità degli ecosistemi (Switalski, 2002). La letteratura
disponibile sembra suggerire che la ricomparsa del lupo avrà probabilmente piccoli effetti sulla
dinamica di popolazione degli Ungulati. Tuttavia potrà avere un grande effetto nel modificare il
comportamento delle specie preda con effetti a cascata sugli ecosistemi. Il lupo è stato
reintrodotto da una decina d’anni nel Parco Nazionale di Yellowstone e benché non siano
ancora disponibili dati a lungo termine, sembra che la presenza del lupo abbia effetti significativi
sugli ecosistemi (Ripple e Betscha, 2004).
Tuttavia il grado a cui il lupo può regolare o limitare le popolazioni preda rimane controverso
(Gese e Knowlton, 2001). Di norma il lupo non sembra ridurre le popolazioni preda (Van
Ballenberghe, 1985; Fuller, 1990), ma sembra ridurne le fluttuazioni numeriche (Leopold, [1933]
1986; Pimlott, 1967; Carbyn, 1983). Il motivo è legato al fatto che i lupi selezionano le prede più
vulnerabili (giovani, vecchi, malati e feriti; (Murie, 1944; Fuller and Keith, 1980; Kunkel and
Pletscher, 1999). L’età media delle cerve uccise a Yellowstone dai lupi è di 14 anni, mentre
quella delle cerve uccise in caccia è di 6 anni (D. Smith, 2001; B. Smith and Berger, 2001).
Inoltre il lupo può migliorare la salute di una popolazione eliminando gli animali malati o in
cattive condizioni (Mech, 1966; Carbyn et al., 1993).
La predazione può agire sulla mortalità in termini compensatori (se l’aumento della
predazione causa la riduzione di altri fattori di mortalità) o additivi (se aumenta i tassi di
mortalità compessivi) (Bartmann et al., 1992). Studi condotti in Alaska suggeriscono che la
predazione del lupo può limitare la popolazione preda solo in combinazione con altri predatori
(Kay, 1996; Kunkel and Pletscher, 1999). Tuttavia la limitazione si verifica nei casi in cui la
preda viene ridotta da altri fattori concomitanti che possono includere la caccia, l’impoverimento
degli habitat, condizioni climatiche limitanti (Ballard et al., 2001; Mech and Nelson, 2000). Ad
esempio gli inverni severi sono comunque il primo fattore limitante per le popolazioni di Ungulati
a Yellowstone. Il cervo è la preda principale del lupo nell’area (>90%), tuttavia la popolazione è
rimasta complessivamente stabile nel periodo del ritorno del predatore (ed è cresciuta dopo
crash legati a inverni severi) perché probabilmente la predazione è stata di tipo compensativo
(D. Smith, 2000). Secondo il Piano di gestione del lupo del Minnesota, il lupo è cresciuto negli
ultimi 20 anni e, nonostante la presenza di inverni particolarmente duri, si è registrato anche un
progressivo aumento delle popolazioni di cervidi testimoniato dall’aumento degli abbattimenti in
caccia (wildlife.utah.gov/wolf/pdf/mn-wolf-plan-01.pdf, 2001).
Per le foreste temperate dell’Europa settentrionale (foresta di Bieloweza, Polonia), Okarma et
al. (1997) e Jedrzejewsky et al (2002) hanno messo in evidenza che il lupo può
sostanzialmente limitare le popolazioni di cervo in relazione alla particolare situazione climatica
e trofica del area. Gli autori hanno evidenziato che il cervo è la specie preda di elezione del lupo
(Jedrzejewsky et al, 2002) e i cerbiatti rappresentano la classe più ricercata (Jedrzejewsky et al,
2000). L’effetto limitate della predazione dipende dalla produttività degli habitat e dal clima: solo
in condizioni favorevoli il cervo riesce a compensare le perdite dovute alla predazione. Gli effetti
della predazione sulle densità di Ungulati sono più forti nei periodi a clima più freddo, mentre
nei periodi a maggiore produttività degli ecosistemi le popolazioni preda riescono a compensare
meglio (Selva et al., 2005). Inoltre la predazione del lupo è risultata essere parzialmente
additiva rispetto ai prelievi venatori.
215
L’esperienza effettuata in Alta Val Susa relativamente all’analisi della dieta del lupo, mostra
come la specie prediliga un’alimentazione basata sugli Ungulati selvatici, ed in particolar modo
su cervo e capriolo. In particolare i lupi dell’Alta Val Susa mostrano una preferenza alimentare
verso i piccoli di cervo, accentuata nel periodo invernale, momento in cui la specie tende
solitamente a concentrarsi in territori di minore estensione. Inoltre gli studi condotti mostrano
come il lupo tenda a selezionare tra la porzione di popolazione di cervo disponibile, gli individui
debilitati e come alla preferenza del lupo nei confronti del cervo si associa una stretta relazione
spaziale tra le due specie (Gazzola et al., 2007).
Questi studi, peraltro al momento confermati dagli studi relativi all’ambiente appenninico e
alpino (Gazzola, 2005; Apollonio e Mattioli, 2006), suggeriscono che la ricolonizzazione del
lupo non dovrebbe avere effetti significativi sulla consistenza delle popolazioni di Ungulati in
ambienti simili a quello alpino. Ad esempio, le stime dei tassi di predazione ottenuti dagli studi
effettuati a Yellowstone (Phillips and Smith, 1997; D. Smith, 1998; D. Smith et al., 1999b), in
Idaho (Husseman and Power, 1999) e nella regione dei grandi laghi (WWAC, 1999) che
variano da 12.4-18 Ungulati uccisi per lupo all’anno, indicano che una popolazione di circa 200
lupi presente nello Utah non dovrebbe uccidere più di 3.600 Ungulati selvatici all’anno. Per
rendere meglio l’idea, lo Utah ha una superficie di circa 220.000 km2, circa 35 volte quella
dell’intera provincia di Trento.
A Bialoweza un branco di lupi uccide in media un ungulato ogni due giorni (Jedrzejewsky et
al., 2002) e annualmente ogni lupo uccide in media 42 ungulati (27 cervi, 12 cinghiali e 2
caprioli). Le densità della specie sono comunque molto basse in quanto ciascun branco ha
bisogno di estensioni di territorio molto vaste per continuare a cacciare con efficienza. I quattro
branchi studiati hanno mostrato un home range annuale medio, calcolato con il minimo poligono
convesso al 95%, di 201 km2 (min-max 116-310 km2; Jedrzejewsky et al, 2007).
Nel caso dei branchi di lupo presenti sulle Alpi occidentali italiane e monitorati in questi ultimi
anni, l’estensione minima del territorio annuale dei singoli branchi corrisponde a una media di
149.9 km2 con un minimo di 50.6 km2 ed un massimo di 236.9 km2. La dimensione media dei
branchi nel periodo 1999-2005 è stata di 4.2 (± 1.8) lupi (Progetto Lupo Piemonte, 2005).
Basandosi su tali informazioni ci si può aspettare che all’interno del PNS potrebbe essere
presente al massimo un branco di lupi e nell’intera UG circa 3 branchi
La presenza del lupo può comunque avere un effetto non trascurabile sul comportamento
delle specie preda. Berger (1998) ha ipotizzato che nel caso in cui un predatore sia assente per
generazioni, le prede possono perdere la loro capacità nel riconoscerlo ed evitarlo. Se questo
fosse vero, nelle prime fasi della ricolonizzazione il lupo potrebbe avere vita più facile. Di norma
le prede sono in grado di modificare il loro comportamento in tempi relativamente rapidi con
effetti sulle dimensioni dei gruppi, sul tempo di vigilanza e sugli habitat utilizzati. Recentemente
Berger et al. (2001) hanno verificato che le femmine di alce a Yellowstone hanno sviluppato un
ipersensibilità verso gli ululati, mentre il cervo del National Elk Refuge del Wyoming ha
aumentato il proprio tempo dedicato alla vigilanza e formato gruppi più piccoli (B. Smith and
Berger, 2001). In casi simili le popolazioni di Ungulati hanno modificato il loro comportamento
nel giro di una sola generazione.
Ancora a Yellowstone, la popolazione di cervo è rimasta sostanzialmente stabile nelle sue
consistenze in tutto il periodo di comparsa del lupo; tuttavia essa ha modificato la propria
occupazione dello spazio e utilizzo degli habitat, abbandonando le aree riparali di fondovalle
(prima molto utilizzate durante l’inverno), assiduamente frequentate dai branchi di lupo. Dopo la
reintroduzione del lupo, vaste aree di salice ripariale hanno cominciato a recuperare e ad
estendersi, mentre prima soffrivano un pesante sovra-brucamento causato dal cervo (Figura
4.114; Ripple e Beschta, 2004). Il ritorno del lupo, in chiave ecosistemica ha anche aiutato il
ristabilirsi dei boschi di pioppo (Chadde and Kay, 1988). Ripple and Larson (2000) ipotizzano
che i lupi siano responsabili del recupero del pioppo negli anni recenti per aver influenzato gli
spostamenti e i pattern spaziali di alimentazione del cervo.
216
Figura 4.114 – Parco Nazionale di Yellowstone. Salici lungo il fiume nella primavera del 1996 (sinistra) e
nell’estate del 2002 (destra). Dopo un periodo di 70 anni in cui il lupo non era più presente, la pesante
brucatura di salici e conifere è evidente nella foto. Dopo 7 anni dal ritorno del lupo i salici mostrano
evidenti segni di ripresa dall’impatto causato dalla brucatura (Ripple e Beschta, 2004)
Nel caso della lince, le situazioni in cui il predatore risulta in grado di “regolare” l’evoluzione
numerica del cervo sono ancora più rare, in quanto il felide si è evoluto su specie preda target
di dimensioni inferiori. Non è comunque possibile escludere che l’eventuale presenza della lince
possa influire sulla distribuzione spaziale delle popolazioni di cervo, limitando le “eccessive”
concentrazioni invernali (Perco et al, 2001).
Nel caso della lince, l’influenza della predazione su una comunità di Ungulati dipende dalla
struttura della comunità e dalla consistenza e struttura sociale della popolazione di lince e dalle
altre cause di mortalità (malattie o caccia). Tale impatto può cambiare considerevolmente nel
tempo (Molinari-Jobin et al., 2001). In ogni caso i tassi di predazione sul cervo sono molto
spesso estremamente bassi. Studi recenti hanno mostrato che la mortalità del capriolo causata
dalla lince può essere molto bassa (2%) e arrivare, su scala locale, fino al 41% (Filonov 1980,
Breitenmoser e Haller 1987, Okarma et al. 1997, Molinari-Jobin et al., 2001). Tuttavia in
generale lo sviluppo delle popolazioni di lince non ha impedito un aumento considerevole delle
popolazioni di capriolo (Stahl et al., 2001 in Molinari-Jobin et al, 2001).
Okarma et al. (1997) hanno mostrato che, nella foresta di Bialoweza, la lince contribuisce in
media al 40% della mortalità naturale del capriolo e a circa il 10% della mortalità del cervo,
concludendo che la predazione della lince, nelle foreste temperate dell’Europa settentrionale,
rappresenta un fattore limitante importante delle popolazioni di capriolo, ma non di cervo, per il
quale, analogamente, la stessa importanza è giocata da fattori quali la predazione del lupo e la
caccia (Jedrzejewska e Jedrzejewsky, 1998; Jedrzejewsky et al., 2002). Anche nel caso della
lince è possibile ipotizzare degli impatti comportamentali sulle specie preda che portano a
cambiamenti nella loro dispersione e organizzazione sociale. L’influenza sui meccanismi
217
comportamentali può portare a riduzioni indirette della capacità di carico per le prede per
aumento della competizione intraspecifica (Perret, 2003). Non sono al momento disponibili studi
specifici sulla lince che permettano di fare considerazioni quantitative su questi aspetti
(Molinari-Jobin et al., 2001).
Anche la lince ha necessità di spazi molto vasti. Le dimensioni del territorio variano molto, in
funzione della disponibilità di cibo e dello stato della popolazione, ma sono comunque molto
grandi per poter disporre di un numero di prede sufficienti. E’ anche importante che le stesse
prede non vengano allertate troppo frequentemente, affinché non si abituino e diventino
“troppo” abili ad evitare la predazione. I territori (difesi dai conspecifici) dei maschi hanno
estensioni che variano tra i 90 e i 760 km2 (più dell’intera Val di Sole!), quelli delle femmine tra i
60 e i 480 km2 (Breitenmoser-Würsten, 2001; Breitenmoser e Haller, 1993; Herfindal et al.,
2004).
In base all’attuale quadro relativo allo status delle popolazioni alpine di lupo e di lince e delle
loro possibili interazioni con il cervo, è naturale pensare che in risposta alle elevate densità di
Ungulati che occupano il territorio del Parco, la reintroduzione di predatori quale il lupo o la
lince, potrebbe essere una risposta al problema come suggeriscono alcuni autori (Nilsen et al,
2004) che vedono l’attività del lupo come una valida alternativa al controllo numerico in zone
dove la caccia è poco praticata e non riesce a compensare il fenomeno dell’aumento degli
ungulati.
Tuttavia, le considerazioni sotto riportate fanno ritenere la conservazione dei grandi predatori
un obiettivo prioritario per il Parco Nazionale dello Stelvio, ma comunque svincolato da
eventuali operazioni di immissione, che nell’attuale situazione generale e locale, vengono
ritenute non opportune o non sensate al livello di scala geografica del solo Parco Nazionale
dello Stelvio.
A. Le esigenze spaziali di specie come la lince e il lupo rendono necessario affrontare le
problematiche di conservazione e gestione di tali specie a livello globale di scala. Nel
caso specifico il livello di scala adeguato è l’intero arco alpino o una sua consistente
porzione. L’esperienza della reintroduzione dell’orso bruno appare in tal senso
paradigmatica (Genovesi et al., 1999). Tempi di realizzazione e scala geografica
appaiono attualmente non consistenti con le problematiche legate al cervo.
B. Il successo di operazioni di reintroduzione di grandi predatori è molto basso. Il primo
fattore da prendere in considerazione per valutare l’opportunità di simili operazioni è la
dimensione umana. Attualmente le Alpi sono un ottimo ambiente per i grandi predatori
da un punto di vista ecologico. Sono i conflitti tra predatore e uomo il principale fattore
di crisi che crea gli attuali problemi di conservazione delle popolazioni.
C. Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio riveste, per le elevate densità di ungulati e
per il fatto di essere una vasta area dove è vietata la caccia, un ruolo fondamentale per
la conservazione dei grandi predatori che stanno tentando di ricolonizzare l’arco alpino.
Il Parco dovrà mettere in atto tutte la azioni ritenute opportune per favorire il ritorno
spontaneo di lince e lupo e cooperare con gli enti che si stanno occupando della loro
conservazione su vasta scala.
D. Il processo di colonizzazione spontanea della popolazione appenninica di lupo che
nell’arco di meno di un ventennio ha occupato tutte le Alpi occidentali e che continua
tuttora in modo deciso verso le Alpi centrali, rende di fatto inutile pensare ad altri
interventi diretti ad opera dell’uomo. Visto l’attuale scenario di crisi legato all’estrema
conflittualità nei rapporti tra uomo e lupo, le eventuali azioni dovranno essere rivolte a
mitigare tali conflitti per favorire un processo già in atto.
218
E. In particolar modo per quanto riguarda la lince, caratterizzata da maggiore lentezza
nella colonizzazione di nuovi territori, le Alpi centrali e il PNS assumono una notevole
importanza poiché situate in posizione equidistante dalle due attuali aree di presenza
dell’arco alpino. In questo caso un eventuale programma per la creazione di un nuovo
nucleo, se opportunamente preparato e pianificato su scala trans-nazionale, potrebbe
essere ritenuto utile e opportuno. Si rimanda comunque a quanto detto al punto 1, per
quanto riguarda i rapporti con la gestione del cervo.
In questo quadro si inserisce la recente notizia della comparsa, il 22 marzo 2008, di un
giovane maschio di lince in dispersione in Trentino nord-occidentale. Questo fatto testimonia il
verificarsi di fenomeni di dispersione naturale dalla Svizzera verso est, a colmare le attuali
lacune distributive. La lince era stata catturata il 22 febbraio scorso nel Parco Nazionale
Svizzero e dotata di un radiocollare con tecnologia GPS. Le analisi genetiche hanno rivelato
che si tratta dell’animale B132 (Molinari-Jobin, 2008), nato nel 2006 nella Svizzera nordorientale da genitori rilasciati nell’ambito del progetto di reintroduzione realizzato nel Cantone S.
Gallo (Ryer et al., 2006).
Dopo aver trascorso gran parte dell’inverno tra la Svizzera e il Parco dello Stelvio lombardo
(Figura 4.115), la lince ha attraversato le montagne del Gavia, a quote di poco superiori ai
3.000 m, e si è portata in Provincia di Trento in Val di Sole dove ha proseguito la sua notevole
marcia verso est, sino a stabilizzarsi, per ora nel massiccio del Brenta. Da quando è partito dal
territorio del Parco Nazionale Svizzero a quando è arrivato in Trentino, in circa 18 giorni, ha
compiuto uno spostamento di oltre 100 km, mentre 200 sono i chilometri di distanza dal luogo di
nascita! Da quando il soggetto è stato catturato e dotato di radiocollare, è possibile seguirne gli
spostamenti e rinvenire gli animali predati. La specie maggiormente predata risulta sinora il
capriolo, con l’eccezione del periodo trascorso dalla lince nel Parco Nazionale Svizzero in cui
ha predato soprattutto camosci e piccoli di cervo, in relazione alla disponibilità (Haller, ex
verbis).
Figura 4.115 – Il movimento di dispersione di B132, un giovane maschio di lince nato nel 2006 nel
Cantone S. Gallo (CH). In rosso e in blu gli home range dei genitori, NEMA e TURO, individuati mediante
l’analisi del DNA. La stessa rossa rappresenta il sito di cattura nel Parco Nazionale Svizzero e i punti blu
le localizzazioni del movimento di dispersione in territorio italiano (Molinari-Jobin, 2008).
219
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Gli elevati raggruppamenti di cervi nelle zone di svernamento, che si concentrano
principalmente nei versanti esposti a sud, esercitano, come già analizzato, una notevole azione
di brucamento invernale sulla rinnovazione forestale e sugli strati arbustivi del sottobosco
(mirtillo nero e rosso, ginepro e, in alcune situazioni limite, anche rododendro).
Tale azione permette il mantenimento delle aree di pascolo secondarie. La fase di
ricolonizzazione delle aree aperte da parte delle essenze arbustive (in particolare ginepro,
rododendro ed altre ericacee), non più efficacemente controllate dal pascolo dei domestici, è
notevolmente rallentata dalla presenza del cervo. Manca tuttavia ancora una conoscenza
specifica sull’entità temporale del rallentamento del recupero del bosco e degli arbusteti nelle
praterie secondarie causato dal cervo.
Anche in Val di Sole l’abbandono della montagna ha portato alla diminuzione del pascolo,
permettendo un rapido recupero della foresta ma causando anche la progressiva
colonizzazione delle superfici pascolive e delle aree aperte all’interno del bosco. All’inizio degli
anni ’90 si è pertanto definita, nell’ambito dei piani di assestamento, una strategia di intervento
mirata a conservare sia una parte delle radure in bosco, sia il pascolo vero e proprio (Zanin,
2001). Negli ultimi 15 anni, in Val di Sole, si sono recuperati pascoli, ex pascoli e radure in
bosco, per circa 60 ha/anno, con una spesa, su fondi provinciali e mediante l’applicazione del
Piano di Sviluppo Rurale, di circa 150.000 €/anno.
Nelle aree in cui il cervo non contribuisce a rallentare tale fenomeno, il mantenimento delle
aree di pascolo secondarie viene in alcune situazioni aiutato da interventi dell’uomo. Ad
esempio, l’effettuazione di lavori di manutenzione lungo le piste da sci hanno un costo medio di
circa 2.000 €/ha ogni 20 anni.
A titolo di esempio si riportano due fotografie relative alla Val di Rabbi. La prima è stata
scattata all’interno del Parco nei pressi della malga Terzolasa, la seconda, a soli 2 km di
distanza ma all’esterno del Parco, scattata nei pressi della malga Caldesa Alta. La differenza
nello sviluppo degli arbusti di ginepro nei pascoli è notevole.
Sebbene manchino conoscenze specifiche sull’entità temporale del rallentamento del bosco e
degli arbusteti nelle praterie secondarie, è comunque facilmente osservabile la significativa
differenza che l’impatto delle alte densità è in grado di provocare, rallentando le fasi di
colonizzazione degli arbusteti nei pressi di malghe o radure.
Uno studio sul foraggiamento selettivo realizzato nel Parco Nazionale Svizzero ha descritto il
cervo come un pascolatore di tipo intermedio (Märki et al., 2000). Il cervo si alimenta su tutte le
specie disponibili, ma con diversi gradi di intensità. Non è stato tuttavia possibile evidenziare
220
correlazioni significative tra il bruciamento selettivo e lo sviluppo della vegetazione a lungo
termine. Il cervo sembra tuttavia rappresentare un fattore non trascurabile nella trasformazione
della vegetazione, per lo spostamento dei nutrienti (che rientrano in circolo con le feci) e per la
pressione di brucatura che esercita in modo differenziato (a seconda della resistenze di
ciascuna specie). Nei pascoli monitorati è stata infatti evidenziata una tendenza alla prevalenza
di specie indicatrici di terreni oligotrofici, resistenti alla brucatura o non appetite. Sempre
all’interno del Parco Svizzero, mediante l’utilizzo di plots permanenti monitorati a partire dal
1915, è stato possibile verificare un aumento della ricchezza in specie (fanerogame) nelle
praterie subalpine sottoposte a pascolo intensivo da parte dei cervi e una volta utilizzate per il
pascolo del bestiame domestico (Schütz et l., 2000).
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La popolazione di cervo che occupa il territorio del Parco è ormai caratterizzata da un’elevata
contattabilità (soprattutto nella fase estiva ed autunnale) che con il passare del tempo diventa
sempre più evidente ed accentuata. L’assenza dell’attività venatoria senza dubbio favorisce
questo fenomeno ed ha spinto i cervi a recuperare le loro originarie abitudini di animali diurni e
legati agli ambienti aperti di prateria. In una simile situazione la fruibilità della specie anche a fini
turistici diventa senza dubbio più efficace e di maggiore soddisfazione.
Le alte densità presenti durante l’estate e durante il giorno anche nelle aree al di sopra del
bosco favoriscono la contattabilità e la visibilità dei cervi anche da parte di turisti e persone non
esperte. Il fenomeno si fa ancora più evidente e marcato durante il periodo riproduttivo in cui è
relativamente facile ascoltare i bramiti dei maschi ed osservarne i comportamenti di
corteggiamento e sfida.
Il cervo è un animale che indubbiamente suscita forte interesse e coinvolgimento. L’alta
contattabilità all’interno del Parco, se opportunamente veicolata e promossa, potrebbe
contribuire al turismo nel periodo estivo-autunnale, sull’esempio di quanto già accade nel Parco
Nazionale Svizzero, nel quale la sentieristica per i turisti e l’obbligo a non abbandonare i sentieri
indicati, riduce ulteriormente l’attività di disturbo sulla specie, aumentando la sua confidenza nei
confronti dell’uomo. L’area protetta gode oggi di un vero e proprio turismo basato su tale
peculiarità che si intensifica ulteriormente durante la stagione dei bramiti.
A tale proposito è importante sottolineare che non solo l’attività venatoria può causare
disturbo, avere impatto e plasmare in modo significativo il comportamento di una specie
sensibile e adattabile come il cervo. Qualsiasi tipo di disturbo, se prevedibile e regolare nello
spazio e nel tempo, porta ad una sorta di abitudine (abituazione) e non diventa più tale. La
regolare frequentazione dei sentieri può essere tranquillamente tollerata dalla popolazione,
tanto da far diminuire progressivamente le distanze di fuga. Tutto questo purché non si continui
ad uscire dai sentieri stessi, rendendo così imprevedibile la fonte di disturbo. Inoltre, i disturbi
non prevedibili che causano continuamente reazioni di fuga da parte dei cervi portano ad un
continuo dispendio supplementare di energie preziose per la sopravvivenza. Se ad esempio il
disturbo viene arrecato in modo continuo (e imprevedibile) durante la seconda fase dell’inverno,
si possono verificare condizioni di rischio, in quanto gli animali sono costretti a consumare
troppe energie nel periodo di minore “disponibilità energetica”. E’ questo il caso del disturbo
arrecato dai cercatori di palchi che frequentano la montagna nei mesi di marzo e aprile. Se non
opportunamente regolamentata, tale attività in anni particolari può essere dannosa per i tassi di
sopravvivenza. Ridurre le distanza di fuga degli animali con regolamentazioni e comportamenti
adeguati non può che portare un doppio beneficio, sia alla popolazione che ai fruitori turistici.
221
Inoltre, una popolazione di cervo come quella del PNS, caratterizzata da elevate densità, da
una contattabilità sempre crescente e da una dinamica denso-dipendente che al momento la
auto-regola in modo naturale, rappresenta una preziosa fonte di studio per approfondire le
conoscenze specifiche sui meccanismi naturali di crescita e regolazione della popolazioni di
fauna selvatica e sugli aspetti della loro ecologia.
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La presenza di una vasta area protetta, rappresenta un grande bacino di tranquillità per la
specie e favorisce la creazione di core areas di riferimento per la struttura portante della
popolazione. Ciò favorisce secondariamente anche l’attività venatoria realizzata all’esterno e in
prossimità del Parco in quanto quest’ultimo funge da serbatoio (di conservazione) che
progressivamente rilascia all’esterno i soggetti in migrazione e dispersione, garantendo un
contingente in parte svincolato dalla programmazione venatoria in base alle consistenze della
popolazione all’esterno del Parco. E’ noto come la presenza di aree di tranquillità sia
fondamentale garanzia per lo sviluppo e il mantenimento di un una popolazione di cervo in un
territorio. La realizzazione del controllo numerico all’interno del Parco senza che,
contestualmente, venga prevista la realizzazione di una rete di (piccole) zone di tranquillità
all’esterno del Parco (in Val di Sole) rischia di scompaginare l’assetto dell’intera popolazione e
causarne una pesante destrutturazione.
Analisi della mortalità indotta dal prelievo venatorio
La Figura 4.116 indica l'andamento numerico degli abbattimenti effettuati durante la stagione
venatoria sulla popolazione di cervo dell'UG. I prelievi hanno continuato a crescere sino al
2000, e successivamente non sono riusciti a mantenere il trend di crescita, ma, al contrario,
hanno evidenziato un brusco trend significativo di diminuzione tra il 2000 e il 2007, legato alla
progressiva concentrazione della popolazione all'interno del Parco e ad una significativa
diminuzione delle migrazioni stagionali all'esterno dell'area protetta (anche in relazione agli
andamenti meteo-climatici favorevoli). I piani di prelievo, come visto precedentemente, sono
risultati sovradimensionati, rispetto alla consistenza “utile” della popolazione, sino al 2006 e
sono nel 2007 si sono probabimente rialineati alla attuale disponibilità di popolazione
“prelevabile” presente all’esterno del Parco.
I prelievi erano 45 nel 1980, 66 nel 1985, 107 nel 1990, 266 nel 1995 e 642 nel 2000, picco
massimo di abbattimento, a testimoniare la sostenibilità dei prelievi sino a questo periodo e la
continua crescita della popolazione. Il trend annuo medio di crescita tra il 1980 e il 1990 è stato
del 9%, mentre quello tra il 1990 e il 2000 è stato del 18%. In sette anni, dal 2000 al 2007 i
prelievi si sono quasi dimezzati (da 642 a 374) con un tasso annuo di decremento dell'8%.
222
700
600
Num cervi
500
400
300
200
100
20
07
20
05
20
03
20
01
19
99
19
97
19
95
19
93
19
91
19
89
19
87
19
85
19
83
19
81
19
79
19
77
19
75
19
73
0
Figura 4.116 – Serie storica degli abbattimenti di cervo nel Distretto Val di Sole dall'inizio dell'attività
venatoria al 2007.
Figura 4.117 – Numerosità dei prelievi di cervo nelle riserve del Distretto Val di Sole in anni differenti. Il
gradiente di colore dal bianco al nero indica 5 classi di numerosità crescenti. Con il passare degli anni i
prelievi si concentrano sempre più nelle riserve di Peio e Rabbi, a ridosso del Parco Nazionale dello
Stelvio.
Lungo l'ultimo trentennio è inoltre possibile mettere in evidenza un netto trend geografico
relativo alla consistenza/densità dei prelievi (Figura 4.117). Nel corso degli anni i prelievi di
maggiore consistenza si sono spostati dall'asse centrale della Val di Sole sempre più verso le
riserve confinanti con il Parco.
223
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Nell’arco dell’ultimo secolo, i temi della gestione delle popolazioni di Cervidi sono passati dalla
necessità di fare aumentare le consistenze, regolamentare la caccia e realizzare il controllo dei
predatori al chiedersi quale sia la migliore soluzione per limitare le densità e i conseguenti
impatti sulla funzionalità degli ecosistemi e sulle attività umane (Garrot et al., 1993).
Come già accennato nell’introduzione, il considerare una popolazione “sovrabbondante”
(overabundant) significa attribuirle un valore e dare un giudizio di merito che assume un chiaro
significato solo se posto all’interno di uno specifico contesto e scenario umano (McShea et al.,
1997). Caughley (1981) ha proposto una serie di definizioni per sintetizzare i valori ecologici e
non ecologici su cui solitamente si basa la diagnosi di overabundance. Una popolazione di
cervi può essere considerata sovrabbondante nel caso in cui:
- minacci la salute o il benessere dell’uomo;
- sia troppo numerosa per il suo stesso benessere (in termini di parametri demografici e di
costituzione);
- abbia un impatto significativo su altre specie importanti da un punto di vista economico o
estetico;
- causi disfunzione negli ecosistemi.
I primi studi sistematici sull’overabundance dei Cervidi nacquero contestualmente alla nascita
dell’ecologia della fauna selvatica tra gli anni ’40 e gli anni ’50 negli Stati Uniti (Leopold ,1933,
Leopold et al., 1947). Ampia considerazione è stata data all’argomento nel 1994, in una
conferenza organizzata dallo Smithsonian Institution (McShea et al., 1977) e nel 1997 in un
numero monografico del Wildlife Society Bullettin (Vol. 25, n. 2). Review simili, con particolare
riferimento agli effetti sulle foreste in Europa sono state pubblicate su Forestry (2001, Vol. 74, n.
3) e su Forest Ecology and Management (2003, Vol. 181, n. 2-3)
Il sovrasfruttamento delle popolazioni culminato nella seconda metà del XIX secolo portò
verso un declino generalizzato, sia nelle consistenze che negli areali di distribuzione, di
numerose specie di Cervidi. La successiva protezione e regolamentazione della caccia favorì il
progressivo e rapido incremento delle popolazioni in Europa e Nord America (Jedrzejewska et
a., 1997; Mysterud et al., 2000). In questo processo l’Italia paga un ritardo di almeno 15-20 anni
rispetto al mondo mitteleuropeo. Dagli anni ’60 e ’70 gli incrementi si fecero rapidi in risposta ai
cambiamenti ambientali (abbandono dell’agricoltura come base primaria) e alla
razionalizzazione della pressione venatoria. Densità superiori ai 10 capi/km2 sono
frequentemente verificate nelle zone temperate (Fuller e Gill, 2001; Russel et al., 2001).
224
Il fattore principale che ha contribuito alla rapida espansione delle popolazioni di Cervidi è
stato l’aumento del foraggio disponibile. Le diffuse attività agricole e selvicolturali hanno
costantemente migliorato gli habitat lungo tutto il XX secolo (Alverson et al., 1988). Le prime
successioni degli ambiti forestali successive ai tagli forniscono cibo abbondante e di alta qualità
che aumenta in modo significativo la carrying capacity degli habitat (Bobek et al., 1984). A
questo si deve aggiungere la progressiva riduzione dei predatori e il miglioramento delle
pratiche venatorie. A metà del XX secolo il lupo è scomparso dalle Alpi e solo da un decennio
ha rifatto la sua comparsa sulle Alpi occidentali. In assenza di predatori le popolazioni di
Ungulati crescono più rapidamente e, in alcuni casi, superano la capacità portante determinata
dalla quantità di alimento disponibile (McCullough, 1997; Saether et al., 1996). Si è visto che i
climi più moderati, come quelli delle Alpi meridionali e degli Appennini, possono contribuire
all’overabundance delle popolazioni (Forchhammer at al., 1998). Gli inverni miti favoriscono un
aumento della massa corporea (Mysterud et al., 2001) e diminuiscono i tassi di mortalità
(Loison et al., 1999), favorendo la crescita della popolazione.
Analogamente, con la nuova fase di espansione del lupo negli Appennini settentrionali e sulle
Alpi, si sta verificando come la presenza stabile del predatore non sia al momento un fattore
limitante per la crescita delle popolazioni di Ungulati selvatici.
Impatti sulle attività umane
Il cervo è in grado di generare impatti economici positivi o negativi e generalmente quelli
negativi aumentano quando la popolazione si fa sovrabbondante (Conover, 1997). La
brucatura della rinnovazione forestale riduce il valore economico della foresta, la sua diversità
specifica e la stabilità ecologica. Inoltre il rallentamento della crescita degli alberi può diminuire
la protezione che la foresta assicura nel contrastare l’erosione (Reimoser, 2003). Tuttavia è
tuttora difficile stimare i costi dei danni da cervo per l’industria forestale. La perdita delle giovani
piante causa una perdita economica sul lungo termine solo se crea un danno sulla
composizione e la qualità dei lotti delle piante da sfruttare. Nonostante l’apparente severità dei
danni, il loro significato economico è considerato piccolo o trascurabile in Gran Bretagna
(Putman, 1986; Putman e Moore, 1998). In contrasto i danni sono considerati un grosso
problema negli Stati Uniti e in Austria dove il loro impatto annuale è stimato rispettivamente in
750 milioni di $ (Conover, 1997) e 220 milioni di € (Reimoser, 2003). Lo scortecciamento può
uccidere le piante, ma più spesso ne diminuisce la qualità rallentandone la crescita ed
aumentando il rischio di infezioni fungine (Gill, 1992).
Reimoser (2003) suggerisce che l’entità del danno dipenda anche dal grado di “attrattività”
della foresta oltre che dalla densità delle popolazioni. Le piante diventano più suscettibili al
danno nel caso di (a) bassa densità di cibo alternativo, (b) bassa densità di pianticelle, (c)
elevate concentrazioni di azoto nel suolo, (d) ricca copertura di sottobosco per nascondersi, (e)
elevati indici di ecotono. Su scala più ampia, inoltre, gli impatti sulla vegetazione sono maggiori
in ambienti molto frammentati (Reimoser, 2003) o a bassa produttività (Danell et al., 1991).
Uno dei costi primari per la società è legato agli incidenti stradali che cominciano ad essere un
problema serio in Europa e negli Stati Uniti. Le collisioni aumentano con le densità e con
l’aumento del traffico. Groot Bruinderink e Hazebroek (1996) hanno stimato che ogni anno in
Europa (Russia esclusa) si verificano 507.000 collisioni tra ungulati e veicoli che “costano” 300
morti, 30.000 feriti e 1 miliardo di dollari in danni materiali.
In genere alte densità favoriscono la trasmissione di agenti infettivi (Davidson e Doster, 1997).
E’ allo studio l’ipotesi che alte densità di Cervidi favoriscano l’aumento della trasmissione di
zoonosi mediate dalle zecche aumentando l’abbondanza di queste (Ostfeld et a., 1996; Wilson
e Childs, 1997). Non è però il caso del PNS che si trova a livelli altitudinali elevati.
225
Conseguenze ecologiche della sovrabbondanza dei cervi
I cervi influenzano la crescita, la riproduzione e la sopravvivenza delle piante consumandone
foglie, apici, fiori e frutti. Le piante a loro volta si difendono dagli erbivori in vari modi e questo
determina quali piante saranno brucate maggiormente, come esse risponderanno agli attacchi,
come i singoli cervi e la popolazione aggireranno le difese e, infine, come in generale gli erbivori
influenzeranno la produttività degli ecosistemi e il ricircolo dei nutrienti. In generale le piante
dalla crescita lenta tollerano meno l’impatto della brucatura, particolarmente se questo è
ripetuto. Per questo le piante tipiche del sottobosco, gli arbusti sciafili e i giovani semenzali
possono essere particolarmente vulnerabili al brucamento. La presenza di alberi maturi può
garantire il ripopolamento di un’area con la produzione di nuovi semenzali e alberelli se
l’impatto della brucatura diminuisce per un congruo intervallo di tempo. E questo intervallo può
essere lungo circa 70 anni come nel caso della Tsuga che ha un accrescimento lento
(Anderson e Katz, 1993). Le foreste di conifere possono essere particolarmente intolleranti alla
brucatura in quanto le piante investono molto nelle foglie, le cambiano lentamente e non fanno
circolare i nutrienti verso le radici velocemente come le latifoglie decidue (Ammer, 1996).
Inoltre, solitamente il cervo esercita il suo impatto sulle conifere durante l’inverno, quando le
risorse alternative diventano scarse.
I cervi si cibano in modo selettivo e questo influenza le relazioni di competizione tra le specie
vegetali. Questi effetti possono, a seconda delle situazioni locali, aumentare o diminuire la
copertura o la diversità specifica. Il risultato dipende spesso dal fatto che i cervi si alimentino
soprattutto su specie vegetali dominanti oppure no. Una alimentazione selettiva del cervo su
piante dominanti di altezza maggiore, in praterie alpine, ha favorito ad esempio le specie di
dimensioni minori ed ha causato un aumento della ricchezza in specie (Schütz et al., 2003).
Solitamente la diminuzione della copertura e della ricchezza specifica si manifesta nel caso in
cui una specie resistente o tollerante alla brucatura diviene dominante. Sono riportati numerosi
casi in cui l’elevata densità di cervi ha portato ad una diminuzione della diversità specifica degli
alberi (Gill e Beardall, 2001; Horsley et al., 2003; Kuiters e Slim, 2002).
Influenzando le interazioni di competizione tra le piante e alterando le traiettorie delle
successioni ecologiche della vegetazione, i cervi sono in grado di alterare i processi ecologici
che includono i trasferimenti di energia, lo sviluppo del suolo e i cicli dell’acqua e dei nutrienti
(Hobbs, 1996; Paine, 2000). Le deiezioni di animali in grado di compiere spostamenti notevoli
possono in questo caso accelerare il ciclo dell’azoto e modificare la sua distribuzione sul
territorio (Bargett e Wardle, 2003).
In caso di alte densità, la biomassa consumata dai cervi diventa notevole se confrontata con
la biomassa presente in ambienti con bassa produttività come il sottobosco di foreste mature
(Brathen e Oksanen, 2001). Per questo ci si attende che negli ecosistemi forestali i cervi
riducano la produttività e rallentino il ciclo dei nutrienti.
Conseguenze sulle specie animali
I cervi possono esercitare effetti a cascata su altre specie animali per competizione diretta
per le risorse o indirettamente modificando la composizione e la struttura fisica degli habitat
(Fuller, 2001; Stewart, 2001; Van Wieren, 1998). Ad esempio la brucatura del cervo può
esercitare un effetto sulla composizione delle comunità di invertebrati, Uccelli e piccoli
mammiferi (Tabella 4.76). Solitamente la massima diversità si presenta con livelli moderati di
brucatura (DeCalesta e Stout, 1997). Livelli più forti riducono la copertura e la complessità del
sottobosco che spesso forniscono numerosi habitat per gli animali più piccoli. Le comunità di
invertebrati e Uccelli sono particolarmente sensibili ai cambiamenti nel sottobosco e, in
particolare nella densità fogliare (McShea e Rappole, 1997). DeCalesta (1994) ha dimostrato
attraverso un esperimento controllato l’esistenza di una relazione negativa e non lineare tra la
diversità specifica degli Uccelli e l’abbondanza di una popolazione di cervo coda bianca.
226
Tabella 4.76 – Alcuni esempi di studi che verificano gli effetti delle elevate densità di cervo sulla struttura
di comunità di invertebrati, Uccelli e piccoli mammiferi forestali.
Fonte
Tipo di foresta
Specie
Risultati
Bailey e Whitham, 2002
Prateria con pioppi
Cervus elaphus
Aumento del 30% della ricchezza in specie di artropodi e del
40% dell’abbondanza dopo l’esclusione della brucatura;
declino del 69% della ricchezza e del 72% dell’abbondanza
dopo una pesante brucatura.
Baines et al., 1994
Foresta di conifere
Cervus elaphus
Abbondanza più elevata di Lepidotteri nei siti non brucati.
DeCalesta, 1994
Foresta di aceri e faggi
Odocoileus
virginianus
Declino del 25% della ricchezza in specie di Uccelli nidificanti
in foresta e del 37% dell’abbondanza tra le densità basse e
alte di cervo. Nessun effetto sugli Uccelli nidificanti a terra e
sull’apice delle chiome. Densità soglia di cervo tra 8 e 15 capi
/ km2.
Moser e Witmer, 2000
Foresta di conifere
Cervus elaphus
Nessuna differenza in ricchezza in specie e abbondanza di
Uccelli nelle aree brucate e non brucate.
Moser e Witmer, 2000
Foresta di conifere
Cervus elaphus
Maggiore ricchezza in specie e abbondanza di piccoli
Mammiferi nelle aree non brucate rispetto a quelle brucate.
Interazione con i predatori
Il ruolo dei predatori nel controllo delle popolazioni di Ungulati rimane tuttora non chiaro e
variabile in funzione delle condizioni locali. Esistono esempi particolari in cui l’introduzione di un
predatore non è servita a controllare l’evoluzione numerica della popolazione (Peterson, 1999).
Ricerche più recenti suggeriscono tuttavia che i grandi predatori (lupo e lince su tutti, in Europa)
hanno un importante ruolo ecologico. Per un’analisi di tali aspetti si rimanda a quanto riportato
al paragrafo 4.3.6.5.
Nella prosecuzione del capitolo vengono riassunte e presentate in modo sintetico le
considerazioni specifiche sinora effettuate sullo status della popolazione di cervo e sulle
problematiche e valenze che il suo status attuale esercita nel contesto ambientale, gestionale e
socio-economico dell’UG.
.#5+67#<+10'0'.2#4%10#<+10#.'&'..156'.8+1
Con una popolazione estiva che negli ultimi sei anni oscilla tra i 2.800 e i 3.600 cervi, con un
prelievo compreso tra i 400 e i 500 abbattimenti all’anno e con una densità media stimata
intorno ai 5 cervi ogni 100 ha, che sale sino a 8 cervi ogni 100 ha se si considera solo la
superficie effettivamente occupata, il cervo della Val di Sole rappresenta una delle realtà
faunistiche più importanti - e a volte ingombranti - di tutto l’arco alpino, ed un patrimonio da
conservare scrupolosamente e da gestire con oculatezza.
Attualmente si stima che i cervi presenti nel Distretto faunistico della Val di Sole rappresentino
il 34% della popolazione provinciale, pur occupando il 14% del complessivo areale del Trentino.
Nello stesso distretto viene annualmente prelevato il 25% del complessivo piano provinciale.
227
Questi numeri sono il risultato finale di una escalation progressiva, prima lenta e inavvertita, e
negli ultimi decenni esplosiva e sotto gli occhi di tutti. Una simile crescita, veloce e continua, ha
portato ad un sensibile aumento degli impatti sulla rinnovazione del bosco e al probabile
innescarsi di fenomeni di competizione con altre specie faunistiche.
Nel Parco è stimata la presenza primaverile di circa 1.900 cervi (1.641, 2.015 e 1.882 sono i
cervi stimati negli ultimi tre anni) che corrispondono, rispetto all’area occupata, a densità di circa
23 cervi per km2. Tali densità sono tra le più alte note per l’arco alpino. Le elevate consistenze
hanno innescato fenomeni di dipendenza dalla densità che hanno progressivamente diminuito i
tassi di natalità ed incrementato i tassi di mortalità in funzione della densità stessa e della
nevosità invernale. L’elevata mortalità invernale, in occasione di inverni particolarmente nevosi,
pare attualmente il principale fattore in grado di regolare la dinamica della popolazione
all’interno del Parco. Tale mortalità non è legata a fenomeni epidemici, ma a scarsità di cibo in
relazione alle elevate densità (starvation). Gli accrescimenti della popolazione all’interno
dell’area protetta sono quindi attualmente guidati dai meccanismi naturali di autoregolazione
della specie. Questa situazione tuttavia non può essere considerata “naturale”, in quanto la
concentrazione della popolazione nel territorio del Parco è dovuta alla risposta estremamente
adattabile del cervo in rapporto alle attività umane, all’assetto del territorio in Val di Sole e alle
strategie gestionali adottate.
La popolazione ormai da parecchi anni tede a rimanere all’interno dell’area protetta lungo tutto
l’arco dell’anno e a concentrarsi nelle poche aree di svernamento disponibili, raggiungendo
densità locali superiori ai 40 cervi per km2. Una simile situazione con elevate densità di cervo
comporta problemi e costi ambientali, sociali ed economici.
1. L’impatto da brucamento sulla rinnovazione forestale è notevole e rallenta la crescita
del bosco e ingenera danni economici su vaste superfici in cui ASUC (Associazioni per
gli usi civici, presenti soprattutto in Val di Peio) e Consorelle (sorta di cooperative
create per la gestione comune di proprietà private indivise, presenti soprattutto in Val
di Rabbi) effettuano una gestione anche economica del bosco. Se non si può
affermare che il brucamento incida in modo significativo nelle zone di estivazione,
nelle aree in cui il cervo si concentra durante i mesi invernali la rinnovazione forestale
è letteralmente ridotta a zero, non lasciando dubbi sull’evoluzione a medio termine del
bosco.
2. Il brucamento del cervo è selettivo. Esistono essenze arboree brucate in misura di
quanto sono disponibili (l’abete rosso) ed altre che vengono attivamente ricercate e
selezionate per le loro caratteristiche pabulari. E’ il caso dell’abete bianco e delle
latifoglie (ormai potenzialmente) presenti (sorbi, aceri, faggio). Il brucamento selettivo
prolungato su alcune specie può creare un impatto di tipo ecologico portando ad un
cambiamento specifico nella composizione del bosco e alla riduzione della presenza
delle specie più appetite. Ciò è in contrasto anche con le attuali linee di conservazione
e gestione delle foreste della Provincia di Trento.
3. Soprattutto durante la fase primaverile di aprile e maggio, i cervi spostano la loro
attività notturna di alimentazione sui prati di fondovalle che, nel momento più difficile e
limitante dell’anno, per primi garantiscono la ricrescita della nuova erba. In questo
periodo durante la notte si contano oltre 1.000 cervi distribuiti lungo i prati a sfalcio
posti all’interno del Parco. Il cervo è un efficiente selezionatore e soprattutto in questa
fase dell’anno, se può scegliere, ricerca attivamente i prati con l’erba di migliore
qualità. Migliore qualità significa minore contenuto in fibra grezza e maggior contenuto
in proteine e tali caratteristiche le si ritrovano nei prati ancora attivamente gestiti e
sottoposti a regolare sfalcio. Il brucamento sistematico di tali prati causa una
significativa diminuzione delle produzioni. Le stime effettuate quantificano l’ammanco
nel 20-30% della produzione, per un ammontare economico che può variare dai
20.000 ai 40.000 euro. Il problema, tra l’altro, non è solamente economico perché i
228
soggetti maggiormente colpiti sono quelli che contribuiscono attivamente al
mantenimento delle attività tradizionali e dei paesaggi culturali. Esiste il rischio di
aggiungere un ulteriore fattore critico ad una situazione che già necessita di aiuti e
incentivi per sopravvivere e la cui importanza per il mantenimento degli ecosistemi
legate ai paesaggi modellati dall’uomo è fuori discussione.
4. Il brucamento comincia ad essere significativo anche sui pascoli secondari delle
malghe, causando una sensibile riduzione del primo foraggio disponibile per la
monticazione dei domestici. Il fenomeno non è generalizzato, ma localizzato nelle aree
di maggiore densità e in cui è più basso il rapporto pascolo disponibile/aree boscate.
In tali situazioni l’ammanco può superare il 50%.
5. Nelle zone di margine dei centri abitati, per i motivi sopra ricordati, elevati sono i rischi
di danno ai piccoli appezzamenti orticoli ad uso familiare, dovuti ad alimentazione e
calpestio. Danni simili hanno uno scarso peso da un punto di vista strettamente
economico, ma contribuiscono in modo forte a formare e modificare l’opinione che i
locali hanno nei confronti del cervo.
6. L’elevata frequentazione dei fondovalle, soprattutto durante la prima fase dell’inverno
e la primavera, è causa di un elevato numero di collisioni con autoveicoli. In media
nell’ultimo decennio di verificano 21 incidenti all’anno. Si è visto come, a parità di altri
fattori, il numero di incidenti sia proporzionale al numero di cervi presenti, e come la
distribuzione delle collisioni si concentri in pochi punti caldi preferiti per gli
spostamenti. Le problematiche legate alle collisioni sono di due ordini, i danni
economici legati alla rottura delle autovetture e rischi per l’incolumità personale.
7. Le consistenze elevate della popolazione sembrano avere innescato fenomeni di
competizione con specie che condividono in parte la stessa nicchia trofica e spaziale
come il capriolo. Il trend dei censimenti di capriolo in aree campione all’interno del
Parco mostra un costante decremento, che ha portato all’attuale dimezzamento dei
caprioli che vengono avvistati rispetto a dieci anni fa ed ha un andamento
decisamente opposto a quello della popolazione di cervo rilevato mediante i
censimenti notturni. I recenti monitoraggi per la stima della densità mediante pellet
group count riportano valori di densità del cervo dieci volte superiori a quelli del
capriolo (32 cervi/km2 contro 3 caprioli/km2). Tale forma di competizione non porta alla
scomparsa del capriolo, ma ne limita l’incremento e, soprattutto, lo spinge verso
l’utilizzo delle aree sub-ottimali, in relazione alle esigenze ecologiche della specie. La
situazione appena descritta porta probabilmente ad un decremento delle consistenze
del capriolo, ad una diminuzione delle “condizioni medie” degli individui e a un minor
grado di percettibilità. Il calo di percettibilità riduce in modo considerevole la fruibilità
della specie, anche a fini turistici.
8. Negli ultimi anni si assistite ad un progressivo spostamento estivo della popolazione di
cervo verso quote sempre più alte, nettamente al di sopra del limite della vegetazione
arborea. Questo crea un’alta sovrapposizione spaziale tra il cervo e il camoscio e fa
nascere l’ipotesi di una possibile competizione trofica tra le due specie con effetti sul
raggiungimento delle condizioni minime necessarie per sopravvivere all’inverno per il
camoscio. La dinamica di popolazione del camoscio nel Parco, dopo la grossa
diminuzione a causa dell’inverno 2000-2001, particolarmente duro e nevoso, sembra
entrata in una nuova fase di equilibrio, assestandosi su livelli di densità inferiori a quelli
degli anni ’90 (circa il 35-40% in meno), a fronte di una continua crescita del cervo. E’
possibile mettere in evidenza come la densità del cervo influisca sull’accrescimento
del camoscio sulla base dell’ipotesi di una competizione trofica e spaziale durante la
fase estiva di alimentazione.
229
9. Il pesante effetto di riduzione del sottobosco nelle aree di massima concentrazione
invernale può essere la causa indiretta della verificata diminuzione della presenza e
della dinamica negativa di gallo cedrone e gallo forcello nel Parco, specie che già
hanno problemi di conservazione. Nel caso del gallo cedrone, l’ipotesi di impatto
negativo da parte del cervo si basa sugli effetti esercitati nelle zone di svernamento. In
tali aree la componente del sottobosco risulta pesantemente brucata fino a ridursi
sensibilmente e trasformarsi. La diminuzione della disponibilità dello strarto arbustivo,
fonte di riparo e alimentazione della prole (maggiore ricchezza di entomofauna),
porterebbe ad una diminuizione dell’idoneità ambientale per il cedrone.
Una simile situazione con densità elevate comporta ugualmente altrettanti benefici da un
punto di vista ambientale, sociale ed economico.
10. La presenza di una popolazione animale in grado di auto regolarsi rappresenta
un’importante componente della biodiversità negli ecosistemi forestali. Una elevata
(ma non eccessiva…) densità di popolazione contribuisce alla conservazione di
habitat importanti. La progressiva chiusura dei pascoli secondari da parte di arbusti e
alberi viene rallentata dal brucamento esercitato dal cervo. Tuttavia i meccanismi di
autoregolazione della popolazione si innescano a causa di un generale scadimento
della condizione e della costituzione della popolazione.
11. Gli elevati tassi di mortalità annuale della popolazione, legati alle alte densità,
contribuiscono a meglio garantire la sopravvivenza dei livelli trofici superiori. Nel Parco
dello Stelvio sono attualmente presenti 22-24 coppie territoriali di Aquila reale e 4
coppie nidificanti di Gipeto barbuto. Quest’ultimo si nutre esclusivamente di carogne e
animali morti che trova grazie alla vista acuta, sorvolando vaste aree di territorio. La
sua alimentazione si basa sulla disponibilità di carcasse e ossa di Ungulati selvatici e
domestici. Non è probabilmente un caso che le quattro coppie si siano stabilite nel
Parco e nelle aree limitrofe dove trovano una facile e abbondante fonte di cibo.
12. Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio riveste, per le elevate densità di Ungulati,
un ruolo fondamentale per la conservazione di specie, quali i grandi predatori, che
stanno lentamente ricolonizzando l’arco alpino. Il cervo assume un ruolo chiave per il
futuro ritorno del lupo, in quanto sua specie preda d’elezione. Il ritorno del lupo non è
evento lontano nel tempo e improbabile. I nuclei riproduttivi più vicini sono in Val
d’Aosta (in parte nel Parco del Gran Paradiso) e gia più di un individuo in dispersione
è arrivato a occupare la Valtellina e le Alpi Orobie. Per quanto riguarda la lince, le Alpi
centro orientali e la zona dello Stelvio assumono una notevole importanza e un ruolo
strategico poiché potrebbero avere una funzione di area “ponte” per favorire nel tempo
la connessione tra le due popolazioni esistenti (presenti in Svizzera - Francia e in
Slovenia - Croazia - Austria - Italia) e tuttora considerate a rischio di estinzione.
13. La presenza di un’area riproduttiva così importante e ricca di animali come il Parco,
indubbiamente fornisce ulteriori opportunità di sfruttamento della stessa risorsa
all’esterno del Parco e rende l’attività venatoria particolarmente ricca e di maggiore
soddisfazione.
14. Le alte densità di cervo presenti durante l’estate e durante il giorno anche nelle aree
al di sopra del bosco favoriscono la contattabilità e la visibilità dei cervi anche da parte
di turisti e persone non esperte. Il fenomeno si fa ancora più evidente e marcato
durante il periodo riproduttivo in cui è relativamente facile ascoltare i bramiti dei
maschi ed osservarne i comportamenti di corteggiamento e sfida. Il cervo è un
230
animale che indubbiamente suscita forte interesse e coinvolgimento. L’alta
contattabilità all’interno del Parco, se opportunamente veicolata e promossa, potrebbe
contribuire al turismo nel periodo estivo-autunnale
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Con una popolazione estiva che negli ultimi sei anni oscilla tra i 2.800 e i 3.600 cervi, con un
prelievo compreso tra i 400 e i 500 abbattimenti all’anno e con una densità media stimata
intorno ai 5 cervi ogni 100 ha, che sale sino a 8 cervi ogni 100 ha se si considera solo la
superficie effettivamente occupata, il cervo della Val di Sole rappresenta una delle realtà
faunistiche più importanti - e a volte ingombranti - di tutto l’arco alpino, ed un patrimonio da
conservare
Attualmente nell’Unità di Gestione della Val di Sole è stimata una presenza estiva di circa
3.500 – 3.600 cervi, di cui circa il 60-70% sembra essere concentrato all’interno del Parco
Nazionale dello Stelvio. La densità complessiva sull’habitat occupato è di circa 7-8 cervi/km2,
con enormi differenze tra le densità medie nei territori esterni all’area protetta (3.4 cervi/km2) e
quelle presenti nel Parco (23.1 cervi/km2). Entrambi sono comunque valori tra i più alti registrati
per l’arco alpino.
Da 10 anni la consistenza complessiva della popolazione può essere definita costante, pur
con fluttuazioni numeriche in relazione agli andamenti meteo-climatici dell’inverno, che hanno
fatto oscillare la popolazione da minimi di 2.100 a massimi di 2.900 cervi durante il periodo
primaverile. Tuttavia, in base ai censimenti e all’andamento dei prelievi venatori, la frazione di
popolazione presente all’esterno del Parco appare in costante diminuzione dal 2001, a fronte di
una corrispondente crescita dei cervi presenti nel Parco. Il trend verificato deve essere messo
in relazione agli elevati piani di prelievo applicati, che avevano come l’obiettivo di stabilizzare la
crescita dell’intera popolazione. La strategia applicata si basava sull’assunto che i cervi presenti
nel Parco, durante l’inverno uscissero in percentuale elevata e che quindi l’aumento dei prelievi
avesse un effetto significativo anche sulla parte di popolazione presente d’estate in area
protetta.
La realizzazione di piani di prelievo consistenti e commisurati alla consistenza dell’intera Unità
di Gestione ha al contrario progressivamente modificato il comportamento della popolazione,
creando, in una specie eclettica e adattabile come il cervo, una sempre maggiore
concentrazione di animali all’interno del Parco. E questo nonostante il Parco ospitasse una
esigua frazione delle potenziali aree di svernamento presenti nell’Unità di Gestione (circa il
15%). Ciò è peraltro confermato anche dal trend dei censimenti dell’ultimo decennio che
mostrano la progressiva e costante concentrazione della popolazione all’interno del Parco, a
fronte di una sostanziale stabilità della popolazione complessiva.
I prelievi hanno toccato il loro massimo nel 2000 con l’abbattimento di 642 cervi.
Successivamente, nonostante per altri tre anni i piani di prelievi fossero rimasti ugualmente alti,
i prelievi sono drasticamente diminuiti al ritmo del 8% all’anno per giungere al minimo di 374
cervi abbattuti nel 2007.
In base all’esame dei capi prelevati e ai risultati della cohort analysis, la popolazione sembra
ancora ben strutturata e con buone età medie, ma il 65% di tale popolazione vive mediamente
all’interno dell’area protetta. La struttura per sessi e classi di età dei soggetti prelevati rispetta in
modo soddisfacente quanto previsto in sede di pianificazione e testimonia la presenza di una
popolazione ben strutturata e con una buona percentuale di soggetti adulti. In base all’esame
dei capi prelevati e ai risultati della cohort analysis è possibile effettuare proiezioni sulla
struttura di popolazione, che necessiteranno delle opportune future verifiche, per l’ultimo
231
triennio: rapporto tra i sessi 1 maschio : 1,2 femmine; femmine di 4 o più anni, 46%, maschi di 5
o più anni, 29%.
Le aree all’esterno del Parco sono progressivamente meno utilizzate e, in controtendenza con
le apparenti necessità, a partire dal 2007 è stato deciso di sospendere la validità delle aree di
bramito (zone di tranquillità), create nel 2001.
I risultati relativi allo studio sulle migrazioni stagionali e sulla dispersione portano a
considerare l’intera superficie di indagine come un’unica unità di gestione in cui in futuro sarà
probabilmente utile discriminare sub-popolazioni femminili parzialmente distinte. Tuttavia, il fatto
che i piani di prelievo vengano predisposti e tarati tenendo in considerazione l’intera
popolazione e vengano successivamente realizzati solo nel territorio aperto alla caccia, ha
portato ad una apparentemente netta differenziazione delle densità presenti all’interno e
all’esterno dell’area protetta. L’apparente stabilità numerica della popolazione sembra quindi
essere la risultante di un’ulteriore aumento della parte di popolazione che di norma occupa il
Parco, che maschera la progressiva diminuzione della parte di popolazione che è sottoposta a
prelievo venatorio.
Per questo motivo e in base alle conoscenze acquisite negli ultimi anni, è importante
riconsiderare in modo critico le attuali modalità di gestione della popolazione al fine di rendere
più omogenea la distribuzione della specie sull’intero territorio, ottimizzare la gestione venatoria,
diminuire i danni al bosco e garantire la conservazione della popolazione nel lungo termine.
% cervi che si muove all'esterno del Parco in inverno
0.400
0.350
0.300
0.250
0.200
0.150
0.100
0.050
0.000
2500
7500
12500
17500
22500
Altezza e persistenza della neve
Figura 4.118 – La percentuale di cervi che durante l’inverno sceglie di uscire dal territorio del Parco
2
dipende dalla quantità e dalla persistenza della neve caduta (F = 16.4, p < 0.01 R = 0.56).
In base a quanto sinora verificato mediante radio-tracking, gli spostamenti dei maschi adulti
verso l’interno del Parco durante la stagione riproduttiva sono quantitativamente importanti,
ribadiscono come, soprattutto per il segmento maschile, sia necessario considerare una
popolazione unica in tutta la Val di Sole e testimoniano come la disponibilità di aree di
tranquillità sia un elemento critico e fondamentale per lo sviluppo di popolazioni consistenti e
ben strutturate. La situazione è differente per le femmine, struttura portante della popolazione
che sempre più percepiscono il Parco come core area in cui incentrare le proprie attività.
La strategia finora perseguita (mantenimento di prelievi elevati per compensare gli
accrescimenti della popolazione) ha portato ad un effetto indesiderato legato alla progressiva
232
modifica del comportamento spaziale e migratorio della popolazione. Le consistenze di
popolazione all’esterno dell’area protetta sono diminuite e le differenze di densità tra l’interno e
l’esterno dell’area protetta si sono fatte ancora più elevate.
Attualmente gli elevati piani di prelievo possono essere completati solo in caso di stagioni
particolarmente nevose a partire dalla prima parte dell’inverno. Le percentuale di individui che
stagionalmente si sposta all’esterno del Parco per lo svernamento è infatti correlata
all’andamento meteo-climatico e non può perciò essere prevista a priori al momento della
predisposizione dei piani di prelievo (Figura 4.118). Una futura e costante prosecuzione dei
prelievi sugli attuali livelli rischia di fare diminuire eccessivamente la porzione di popolazione
stagionalmente presente nelle riserve di caccia e minare l’obiettivo di avere una popolazione di
cervi equilibrata e il più possibile omogeneamente distribuita sull’intero territorio.
8'45170#8+5+10'2'4+.071812+#01&+%105'48#<+10'')'56+10'&'.%'481
Se alcune specie traggono beneficio dalla presenza di popolazioni sovrabbondanti, dall’altra
alte densità di cervo possono eliminare altri taxa e modificare la composizione delle comunità e
le proprietà degli ecosistemi (DeCalesa e Stout, 1997). Tra questi due estremi c’è tuttavia
ancora molta incertezza ed è compito degli ecologi provare ad identificare dei livelli di densità
soglia che garantiscano l’integrità ecologica e delle strategie per limitare l’impatto dei cervi. Per
integrità ecologica si intende la capacità di un ecosistema di conservare tutte le sue componenti
e le relazioni funzionali tra di esse a seguito di una perturbazione esterna (De Leo e Levin,
1997).
Quali specie sono influenzate dal cervo e a che livelli di densità?; In che tempi le piante, le
foreste e i processi ecosistemici sono in grado di recuperare?; A che livello le popolazioni di
cervo che creano impatti sono limitate dalle risorse di cibo, dai predatori o dalla caccia? Tutte
queste incertezze rendono scomoda la posizione di chi prova a dare raccomandazioni su come
gestire i cervi. La gestione del cervo deve mutare l’attuale approccio basato sulla popolazione
e adottare una visione che prenda in considerazione gli effetti su tutto l’ecosistema (McShea et
al., 1997). Anche gli aspetti legati alla gestione venatoria dovrebbero essere opportunamente
documentati. E’ ancora difficile attualmente prevedere come l’abbattimento delle femmine
filopatriche influenzi a livello locale le densità della popolazione (Coté et al., 2004, McNulty et
al., 1997, Oyer e Porter, 2004).
In questa situazione, la gestione adattativa cerca di combinare gestione e ricerca usando le
attività di gestione come casi di manipolazione sperimentale e incorporando i risultati delle
ricerche più recenti nelle nuove pratiche gestionali (Walters, 1986). La “gestione a livello
ecosistemico” può essere considerata un’estensione della gestione sensu strictu che da
particolare risalto all’evoluzione della densità della popolazione in rapporto alla dinamica degli
ecosistemi a varie scale (Christensen et al., 1996). Un simile approccio sottolinea l’importanza
di affrontare la gestione del cervo come parte di un sistema più complesso.
(Come) possono essere mitigati gli impatti dei cervi?
I forestali impiegano numerose tecniche per controllare l’impatto dei cervi a livello locale.
Mantenere elevate densità di alberelli giovani ed aumentare la pressione di abbattimento può
riuscire a garantire lo sviluppo di una sufficiente rinnovazione (Martin e Balzinger, 2002;
Reimoser, 2003). Protezioni di plastica e recinzioni individuali sono efficaci ma costose (Coté et
al., 2004). Le recinzioni elettriche sono meno costose ma anche meno efficaci e di complessa
manutenzione (Hygnstrom e crafen, 1988). Anche i repellenti possono funzionare, ma hanno un
durata breve che richiede frequenti somministrazioni (Nolte, 1998; Swihart et a., 1991). Un
simile accorgimento è utilizzato per ridurre il rischio di collisioni lungo le strade (Groot
Bruinderink e Hazebroek, 1996). Catarifrangenti e allarmi acustici come gas esplosivi sembrano
233
poco efficaci sul lungo termine a meno che non siano accoppiati a sensori di movimento (Belant
et al., 1996).
Il prelievo (mediante abbattimento o cattura e successivi rilasci) è uno dei metodi per
effettuare un razionale controllo numerico delle popolazioni di cervo. La maggior parte dei
wildlife managers considera il prelievo mediante abbattimento come il metodo più efficace ed
efficiente in termini di rapporto costi-benefici (Brown et al., 2000). Il prelievo mediante catture
può avere un impatto di molto superiore in termini di costi-benefici e si pone il problema di
trovare luoghi idonei al nuovo rilascio dei cervi catturati. Il prelievo mediante abbattimenti si
deve avvalere di personale esperto o appositamente addestrato e deve essere programmato,
organizzato in modo rigoroso e in modo tale da minimizzare i rischi e gli effetti negativi sulla
popolazione. Chi effettua i prelievi in forma di controllo deve focalizzare gli abbattimenti sul
segmento più giovane della popolazione ed effettuarli nei periodi dell’anno più indicati. I
programmi di “Quality Deer Management” (QMD) rappresentano una proposta in relative
controtendenza alle pratiche attualmente più accettate.
QDM (https://www.qdma.com) è una pratica di gestione che unisce gestori, proprietari terrieri,
agricoltori e cacciatori nell’obiettivo comune di produrre e mantenere popolazioni di cervi in
equilibrio tra aspetti biologici e sociali e nel rispetto degli attuali vincoli ambientali, sociali e
normativi. Questo approccio enfatizza i prelievi di femmine e animali giovani per ridurre le
densità, in modo da favorire la crescita di individui maschi di buona qualità (Miller e Marchinton,
1995).
Nel prossimo futuro la necessità di attivare azioni di controllo numerico delle popolazioni
(culling) continuerà ad aumentare in modo generalizzato (McIntosh et al., 1995; McLean, 1999).
Abbattimenti maggiormente orientati nei confronti delle femmine facilitano la riduzione delle
consistenze e delle densità su scala locale perché sono i gruppi sociali di femmine ad avere un
comportamento maggiormente filopatrico (Kilpatrick et al., 2001; McNulty et al., 1997; Sage et
al., 2003). Tale comportamento rallenta e/o previene la rapida ricolonizzazione delle aree in cui
viene effettuato un controllo intensivo (Oyer e Porter, 2004).
In alcune particolari situazioni suburbane, il controllo viene esercitato da personale
specializzato che effettua i prelievi di notte con carabine dotate di visori notturni e silenziatori. In
altri casi sono stati sperimentati metodi di controllo delle nascite per prevenire e rallentare
crescite indesiderate. Varie tecniche di controllo della fertilità e immunocontraccettive possono
limitare la riproduzione nel cervo (McShea et al., 1997a; Turner et al., 1992; Waddell et al.,
2001). Tuttavia questi metodi richiedono azioni complesse (e spesso non realizzabili in
situazioni naturali) e sconvolgono il normale comportamento riproduttivo (Nettles, 1997),
rendendo la loro applicazione costosa e difficile da realizzare su grande scala (McCullough et
al., 1997; McShea et al.,1997a).
Spesso gli sforzi per il controllo delle popolazioni di Cervidi si sono basati sull’attività
venatoria, sulla realizzazione di prelievi in forma specifica e sulla protezione specifica di piccole
aree considerate di grande valore. E spesso gli sforzi si sono rivelati inadeguati per prevenire
fenomeni di overabundance su vasta scala. Cacciatori ed ecologi della selvaggina contestano il
fatto che spesso il problema sia ridotto all’eccessiva densità di cervi senza valutarne gli effetti
sulle restanti componenti. Altri sostengono che i problemi siano solo di carattere locale o
temporaneo. Anche quando si arriva ad un accordo generale sul fatto che le densità di
popolazione creano problemi non tollerabili e che è necessario il controllo numerico, spesso
non si trova alcun consenso su come raggiungere l’obiettivo. Né sembra emergere in modo
chiaro tra i cacciatori un nuovo approccio etico che sottolinei il loro possibile ruolo ecologico nel
limitare le popolazioni e gli impatti connessi.
In ogni caso, nella situazione attuale, i prelievi mediante abbattimenti potrebbero aiutare in
modo concreto ed efficace la necessità di riduzione delle densità a livello locale e in questo
caso i cacciatori locali potrebbero rappresentare un valido aiuto (Brown et al., 2000; Coté et al.,
2004; Martin e Baltzinger, 2002). Tuttavia, poiché raramente i cacciatori comprendono appieno
gli effetti che il cervo esercita sugli ecosistemi e le motivazioni di simili interventi diretti
(Diefenbach et al., 1997), i responsabili di questo tipo di pianificazione devono fornire ad essi ed
234
alla società specifici obiettivi, strategie ed azioni per raggiungere gli scopi dichiarati e
conservare al meglio gli ecosistemi.
In termini generali la situazione descritta nel Settore trentino del Parco dello Stelvio e nel
Distretto Faunistico della Val di Sole vede il cervo come una risorsa comune che necessita di
un adeguato controllo per conservare altri aspetti di carattere ecologico, sociale ed economico.
Lo scopo di una “visione” a lungo termine (nel senso dato, dagli anglosassoni al termine
“vision”) di obiettivo, di elemento informatore delle azioni a lungo termine, è quello di fornire un
quadro conciso cui tendere nei prossimi anni. In tal senso la “visione” possibile sotto riportata è
composta da una breve serie di principi guida e, per avere buone probabilità di successo, dovrà
essere supportata da tutte le categorie interessate e da un’ampia gamma di persone ed
organizzazioni con diversi interessi e priorità. In termini generali la “visione” vuole integrare
verso obiettivi comuni aree con (anche) differenti finalità e ottenere una riduzione relativa delle
consistenze della popolazione per migliorare gli equilibri ecologici legati alle interazioni con il
bosco ed altre componenti faunistiche e beneficiare anche gli interessi forestali.
Gli obiettivi della visione:
1. Una popolazione di cervo stabile, ben strutturata e distribuita è presente nell’UG.
2. La gestione del cervo è integrata con gli obiettivi locali di uso del territorio.
3. Gli squilibri ecologici all’interno del Parco vengono minimizzati.
4. La contattabilità e osservabilità del cervo nel Parco è ancora alta.
5. La gestione venatoria del cervo all’esterno del Parco si basa su considerazioni
ecologiche; le Riserve di caccia si associano e si impegnano in una gestione comune
su alti standard.
6. La popolazione di capriolo ricomincia a crescere.
7. Il cervo viene percepito come un valore in sé, che produce benefici economici, sociali
ed ambientali sia a livello locale che nel pubblico interesse.
Sarà quindi compito del Parco valutare tutti gli elementi e gli aspetti in gioco e stabilire
l’eventuale opportunità di intervento all’interno dell’area protetta mediante controllo numerico, al
fin e di ridurre gli impatti negativi ritenuti più importanti.
37#&41014/#6+81&+4+('4+/'061
La norma di riferimento per le aree naturali protette nazionali è la Legge 6 dicembre 1991, n.
394 - Legge quadro sulle aree protette, successivamente modificata dalla Legge 9 dicembre
1998, n. 426, che all’art. 11, comma 4, indica che all’interno del regolamento del parco, in
deroga al divieto di cattura, uccisione, danneggiamento e disturbo delle specie animali, siano
previsti “[…] eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre
squilibri ecologici accertati dall’Ente parco. Prelievi ed abbattimenti devono avvenire per
iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’Ente parco ed essere attuati
dall’Ente parco o da persone all’uopo autorizzate dall’Ente parco stesso”. Il comma 6 sancisce
che “il regolamento del parco è approvato dal Ministero dell’ambiente, previo parere degli enti
locali interessati […] e comunque d’intesa con le regioni e le province autonome interessate
[…]”.
235
Dell’attività di controllo numerico “nelle zone vietate alla caccia” parla anche il dettato della
Legge 11 febbraio 1992, n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e
per il prelievo venatorio, prevedendo per tale attività “l’utilizzo di mezzi ecologici su parere
dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica” (art. 19, comma 2). Tali aree tuttavia non
corrispondono a quelle ricadenti nell’ambito di applicazione della già citata L. 394/1991 ma
bensì a quelle istituite ai sensi della L. 157/1992, art. 8, comma 9, ovvero le Oasi di protezione
e le Zone di ripopolamento e cattura. Tale dettato normativo pertanto è da considerarsi
applicabile unicamente alle succitate tipologie di istituto ove vige il divieto di caccia.
Deroghe al regime di protezione della fauna sono previste anche dal Decreto del Presidente
della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 – Regolamento recante attuazione della Direttiva
92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e
della fauna selvatiche, successivamente modificato dal DMA 20 gennaio 1999 e dal DPR 12
marzo 2003 n. 120. Nell’art. 11, comma 1 del Decreto è previsto che, relativamente alle specie
contenute nell’allegato D, lettera a, “Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentiti
per quanto di competenza il Ministero per le politiche agricole e l’Istituto Nazionale per la Fauna
Selvatica, può autorizzare le deroghe […] a condizione che non esista un’altra soluzione valida
e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente,
delle popolazioni della specie interessata della sua area di distribuzione naturale […]”. Sempre
nelle stesso comma sono illustrate poi le finalità delle deroghe, tra le quali viene citata la
necessità di “ proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali” e di
“prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio
ittico”. Il comma 2 poi specifica che nei casi di cattura, prelievo o uccisione in deroga delle
suddette specie “sono comunque vietati tutti i mezzi non selettivi, suscettibili di provocarne
localmente la scomparsa o di perturbarne gravemente la tranquillità”.
Un ulteriore riferimento normativo nazionale al fine della scelta degli strumenti da utilizzare
nell’ambito di operazioni di controllo numerico è la Legge 20 luglio 2004, n. 189 - Disposizioni
concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in
combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
La disciplina del controllo numerico è inoltre prevista a livello sovranazionale nell’art. 9, commi
1 e 2 della Convenzione di Berna del 1979 (“Convenzione relativa alla conservazione della vita
selvatica e dell’ambiente naturale in Europa”), nell’art. 9, commi 1-4 della Direttiva (CEE)
79/409 (“Conservazione degli uccelli selvatici”) e nell’art. 16, comma 1 della Direttiva (CEE)
92/43 (“Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche”).
In sintesi, nel caso delle necessità di controllo delle popolazioni nel Settore trentino del Parco
Nazionale dello Stelvio si può riportare quanto segue:
1. La caccia e il prelievo di fauna (mediante abbattimenti) nei Parchi e nelle Aree protette
sono vietati. L’articolo 11, comma 3, lett. a) della legge quadro sulle aree protette (L
394/91) vieta la cattura, l'uccisione, il danneggiamento e il disturbo delle specie
animali.
2. Tuttavia è’ possibile effettuare prelievi di fauna in forma di controllo numerico, purché il
controllo sia adeguatamente motivato. L’attivazione del controllo necessita del
Regolamento del Parco. Il Regolamento del Parco può stabilire deroghe a tale divieto
e prevedere eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari
per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'Ente parco (Art. 11, comma 4, L
394/91). Successivamente all’iter di adozione del Piano per il Parco, è stata avviata la
predisposizione dell’annesso Regolamento la cui approvazione si configura quale
elemento base, da un punto di vista normativo, per poter avviare l’iter relativo alla
236
formulazione, approvazione e applicazione del piano di gestione e controllo del Cervo
nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
3. In caso di assenza di Regolamento, il piano di gestione e controllo stesso deve/può
essere approvato dal Parco come regolamento stralcio con le stesse procedure del
regolamento. In questo caso il regolamento stralcio contenente anche del specifiche
del Piano di gestione e controllo deve essere sottoposto ad approvazione da parte del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Una procedura
analoga è stata recentemente attivata dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti
della Laga per dare prosecuzione alle attività di controllo numerico delle popolazioni di
cinghiale all’interno dell’area protetta (regolamento per la cattura e l’abbattimento
selettivo e per la definizione dei protocolli sanitari relativi).
4. L’attivazione del controllo necessita dell’autorizzazione della Provincia Autonoma di
Trento (Articolo 12 della legge provinciale 9 dicembre 1991 n. 24). Nel caso della
Provincia Autonoma di Trento, l’eventuale attivazione del controllo della popolazione di
cervo dell’area protetta necessita anche dell’autorizzazione provinciale per le deleghe
legate all’autonomia. Nel 2001 il Comitato Faunistico Provinciale, deputato a rilasciare
tali autorizzazioni, ha preferito soprassedere al rilascio dell’autorizzazione ravvedendo
nell’attuale mancanza del Regolamento del Parco, un vizio di forma che rende il
procedimento non ammissibile.
5. Il piano di gestione e controllo deve essere sottoposto a valutazione di incidenza
perché all’interno del Settore trentino del Parco in cui si applica il piano di controllo
sono presenti tre SIC e tre ZPS (Figura 4.119). Il DPR 8 settembre 1997 n. 357
(integrato dal DPR 12 marzo 2003 n. 120) recepisce la Direttiva Europea Habitat
92/43/CEE sulla conservazione di habitat, flora e fauna e ne rappresenta il
regolamento di attuazione. L’articolo 5 del decreto afferma che nella pianificazione e
programmazione territoriale si deve tenere conto della valenza naturalisticoambientale dei dei siti di importanza comunitaria (SIC) e delle zone di protezione
speciale (ZPS). I proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, predispongono,
secondo i contenuti di cui all'allegato G del decreto, uno studio per individuare e
valutare gli effetti che il piano può avere sui sito, tenuto conto degli obiettivi di
conservazione del medesimo. Gli atti di pianificazione territoriale da sottoporre alla
valutazione di incidenza sono presentati, nel caso di piani di rilevanza nazionale, al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e, nel caso di piani di rilevanza
regionale e interregionale, alle regioni e alle province autonome competenti. Il Parco,
in quanto autorità competente al rilascio dell'approvazione definitiva del piano
acquisisce preventivamente la valutazione di incidenza.
6. La programmazione l’organizzazione e la realizzazione delle attività di controllo sono
effettuate sotto la diretta responsabilità del Parco. Tutte le attività previste per il
controllo diretto del cervo dovranno essere quindi approvate con determinazioni del
Direttore.
7. Il controllo è realizzato da personale di istituto che può essere coadiuvato da
personale appositamente formato dal Parco (selecontrollori). Deve essere quindi
previsto che il personale di vigilanza del Parco e il personale tecnico coinvolto nel
progetto debba occuparsi direttamente degli aspetti connessi all’organizzazione delle
eventali attività di controllo. Attualmente le attività di vigilanza e di monitoraggio delle
risorse naturali nel Parco sono in carico al Corpo Forestale della Provincia Autonoma
di Trento le cui stazioni forestali di Peio e Rabbi sono comandate presso il Comitato di
237
Gestione per la PAT del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio. Gli agenti
forestali presenti sono in numero limitato per poter pensare di ridirigere i loro sforzi
esclusivamente verso le attività di controllo del cervo. Per questo deve essere previsto
il coinvolgimento di personale esterno appositamente formato dal Parco. In ragione
della attività di controllo che dovrà essere svolta, appare naturale il coinvolgimento di
persone già dotate di porto d’arma lunga e in grado di effettuare in modo efficace gli
abbattimenti con carabina. Tuttavia il personale prescelto dovrà essere appositamente
formato mediante la partecipazione ad un corso pratico-teorico direttamente
organizzato dal Parco e ne dovrà essere verificata la preparazione e l’idoneità a
svolgere tale compito. Gli agenti forestali avranno un ruolo di organizzazione, in parte
di realizzazione, e di controllo delle attività.
8. L’applicazione del Piano e la sua condivisione con gli Enti territorialmente competenti
negli ambiti limitrofi può incidere sulla pianificazione dell’attività venatoria nelle aree
esterne al Parco (aree contigue) in relazione al fatto che diventa fondamentale agire
su una intera popolazione, garantendone la conservazione e il benessere. I Commi 1
e 2 dell’Articolo 32 della Legge 394/91 prevedono che le regioni, d'intesa con gli
organismi di gestione delle aree naturali protette e con gli enti locali interessati,
stabiliscano piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, relativi
alle aree contigue alle aree protette, ove occorra intervenire per assicurare la
conservazione dei valori delle aree protette stesse. I confini delle aree contigue di cui
al comma 1 sono determinati dalle regioni sul cui territorio si trova l'area naturale
protetta, d'intesa con l'organismo di gestione dell'area protetta.
Figura 4.119 – Localizzazione delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) e dei Siti di Importanza
Comunitaria (SIC) presenti nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio. ZPS: A) Alta Val del
Monte; B) Alta Val La Mare; C) Alta Val di Rabbi. SIC: A) Alta Val del Monte; B) Alta Val La Mare; C) Alta
Val di Rabbi.
238
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In base a quanto si è verificato negli ultimi sei anni, una strategia di riduzione della
consistenza della popolazione di cervo che si limiti agli interventi effettuati all’esterno dell’area
protetta non si è rivelata efficace per gli obiettivi complessivi di conservazione.
D’altronde la consistenza all’interno del Parco sembra ormai essersi stabilizzata e oscillare
attorno ai valori di capacità portante. Tale situazione genera episodi di elevate e non regolari
mortalità invernali in funzione dell’andamento meteo-climatico e i già citati problemi di ordine
ecologico, sociale ed economico.
Il Parco ritiene necessario ridurre le densità di popolazione all’interno del suo territorio e
ammette e pianifica le azioni di controllo numerico in relazione ai problemi di carattere
ecologico, sociale ed economico già evidenziati.
PIANO
SOLE
DI
CONSERVAZIONE
E
GESTIONE
DELLA POPOLAZIONE DI CERVO DELL'UG
VAL
DI
Il presente piano definisce un obiettivo generale volto alla risoluzione delle problematiche
connesse alle elevate densità della popolazione di cervo all'interno del Parco, garantendo, nel
contempo, la conservazione ed il benessere a lungo termine della popolazione stessa.
Dall'obiettivo generale derivano differenti obiettivi specifici che dettagliano e dichiarano in
modo esplicito gli intenti e i traguardi di medio-lungo termine che il piano si pone. In merito alle
problematiche connesse alle elevate densità di cervo, gli obiettivi specifici vengono raggruppati
per aree tematiche che riguardano la popolazione di cervo stessa, i risvolti economici connessi,
gli aspetti di carattere sociale e le implicazioni di carattere ecologico che possono riguardare gli
effetti sulle altre componenti dell'ecosistema.
A seguire vengono schematicamente delineate tutte le azioni che il piano ritiene necessarie
per il conseguimento degli obiettivi dichiarati. Anche le azioni vengono per chiarezza
239
raggruppate in ragione della loro natura in tre categorie differenti. Nei “monitoraggi” sono
indicate tutte le azioni che riguardano l'acquisizione di dati e informazioni (sia a carattere di
monitoraggio routinario e standardizzato, che a carattere straordinario e finito nel tempo). In
“analisi e procedure” sono indicate tutte le azioni che riguardano la predisposizione di rapporti di
valutazione delle informazioni raccolte, la stesura di regolamenti di attuazione e disciplina, la
predisposizione di piani e di strategie di azione. Nelle “attività” sono comprese tutte le azioni
che riguardano attività concrete e specifiche, volte all'implementazione di piani e strategie sopra
riportati e alla creazione delle strutture necessarie all'implementazione del piano.
La durata del piano è di cinque anni a partire dal primo anno di realizzazione
1$+'66+81)'0'4#.'
Ottenere nel medio termine, nell’intera Unità di Gestione, una popolazione di cervo ben
strutturata per sessi ed età, con un buon grado di condizione, caratterizzata da densità medie o
medio-alte nelle core areas e che sia in buon equilibrio con le restanti componenti ambientali
(ecologiche) e le attività umane sostenibili (riduzione dei danni e delle problematiche connesse).
1$+'66+8+52'%+(+%+
La visione complessiva di un piano di gestione e conservazione di una popolazione di fauna
selvatica deve prendere in opportuna considerazione tutti gli aspetti connessi alla specie in
oggetto ed alle sue possibili relazioni con le tematiche analizzate ed argomentate. Il piano
individua 15 obiettivi specifici, suddivisi secondo le aree tematiche individuate nel corso delle
analisi del capitolo 4.3.
Cervo
L’obiettivo specifico fa riferimento alla consistenza e densità relativa della popolazione di
cervo che si vuole raggiungere e mantenere e, soprattutto, alla distribuzione della popolazione
nelle diverse porzioni dell’intera UG. L’auspicato aumento delle consistenze nell'area esterna al
Parco, con particolare riferimento all'asse principale della Val di Sole, rafforzerebbe un
importante nucleo di espansione del cervo verso il medio e basso Trentino e renderebbe più
omogenea la distribuzione della popolazione nell'UG. L'obiettivo fa riferimento anche alla
struttura, per sessi ed età, che dovrebbe caratterizzare in futuro la popolazione. Si ritiene
necessario ipotizzare tale aspetto tenuto conto del fatto che spesso le popolazioni cacciate
presentano squilibri in relazione al rapporto sessi e alla rappresentatività della porzione di
maschi adulti presenti.
1. Raggiungere e mantenere una popolazione (primaverile) complessiva di circa 2.400
cervi (in Val di Sole), di cui il 60% è presente all’esterno del Parco, con un RS di
almeno 1 maschio : 1,5 femmine ed una percentuale di maschi di 5 o più anni di
almeno il 20-25%.
2. mantenere del comportamento confidente e diurno del cervo nelle sue aree di
estivazione e durante la stagione riproduttiva all’interno del Parco.
240
Aspetti economici
I quattro obiettivi specifici hanno la finalità di consentire e facilitare il perdurare delle attività
agricole tradizionali ancora presenti sul territorio. Tali attività, caratterizzate da notevoli difficoltà
in relazione alla crisi economica e alla scarsa competitività delle attività montane sul mercato
agricolo e zootecnico attuale, per quanto possibile non devono essere oggetto di ulteriori
aggravi legati alla elevata presenza di fauna selvatica nelle aree che il Piano per il Parco
definisce come “aree di protezione”. In tali aree i paesaggi antropici tradizionali sono conservati
attraverso il mantenimento e lo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali e di artigianato
compatibili con le finalità del Parco, nonché della fruizione turistica sviluppatasi secondo principi
di sostenibilità. Particolare attenzione va posta inoltre agli aspetti della rinnovazione del bosco.
Nelle zone di massima concentrazione invernale la rinnovazione è prossima allo zero e tale
situazione deve essere invertita.
3. Ridurre l’entità e la frequenza dei danni alle attività di interesse economico e legate al
mantenimento dei paesaggi culturali, mediante prevenzione e indennizzo.
4. Mettere in campo opere per garantire una sufficiente rinnovazione del bosco dove
questo è ritenuto necessario
5. Ottenere nel medio termine una riduzione della percentuale di ammanco per
brucamento della produzione dei prati a sfalcio.
6. Verificare nel lungo termine una riduzione dell’impatto sulla rinnovazione forestale.
Aspetti sociali
I tre obiettivi mirano a modificare nel medio periodo la attuale percezione che, soprattutto i
residenti e le popolazioni locali, hanno nei confronti della specie ed ottenere una diversa
consapevolezza che faccia da fondamento alla strategia di conservazione complessiva.
Attualmente vengono maggiormente percepiti gli aggravi e gli aspetti negativi legati alla
presenza del cervo, mentre bassa è ancora la consapevolezza del possibile utilizzo a fini
turistici di una popolazione altamente percettibile.
7. Ridurre il conflitto sociale predisponendo la prevenzione e l’indennizzo dei danni alle
attività di interesse economico e legate al mantenimento dei paesaggi culturali (una
riduzione dell’atteggiamento e delle opinioni negative delle popolazioni locali nei
confronti del cervo in relazione ai supposti danni e problemi creati dalla specie).
8. Aumentare e razionalizzare il turismo escursionistico legato alla presenza del cervo.
9. Sostenere azioni dirette per favorire una modifica degli attuali criteri di gestione
venatoria e per la realizzazione di adeguate aree di rispetto all’esterno del Parco.
Aspetti ecologici
All'interno di un ecosistema ciascun elemento è intimamente legato ed interconnesso in una
sorta di rete a tutte le altre componenti, a formare una sorta di equilibrio dinamico in continua
evluzione. Ogni cambiamento può portare conseguenze in cascata sulle altre componenti. Tali
aspetti e i possibili o gia verificati effetti connessi alle elevate densità di cervo sono già stati
analizzati nel Capitolo 4.3. La presenza del cervo crea effetti sulla dinamica di altre specie
faunistiche quali il capriolo o i Tetraonidi ed anche sulle dinamiche evolutive del bosco.
Analogamente un adeguata numerosità e distribuzione della popolazione è necessaria al fine di
241
creare e mantenere una rete trofica adeguata a favorire l’espansione delle aree di presenza dei
grandi predatori e dei consumatori secondari. Inoltre, in ambiente alpino, la presenza umana e
le sue interrelazioni con l'ambiente naturale non possono essere trascurate in quanto
indissolubilmente legate in un equilibrio complessivo.
Le scelte del piano devono mediare e trovare un giusto equilibrio tra necessità dell'uomo, e
conservazione degli ecosistemi in tutte le loro componenti.
10. Verificare un aumento della consistenza delle popolazioni di capriolo.
11. Verificare una modifica del trend negativo dei censimenti in area campione del gallo
cedrone all’interno del Parco.
12. Un aumento del trend di avvistamenti di gipeto nel Settore trentino del Parco.
13. Verificare nel lungo termine una diminuzione della prevalenza della popolazione di
cervo alla paratubercolosi.
14. Attivazione di azioni volte a favorire il ritorno spontaneo dei grandi predatori attraverso
la divulgazione e la discussione delle problematiche connesse.
15. Impostazione di ricerche specifiche per valutare gli effetti di elevate densità di cervo
sulle popolazioni di capriolo e gallo cedrone e sulla vegetazione naturale.
#<+10+2412156'
Di seguito vengono schematicamente elencate le 34 azioni previste per il raggiungimento
degli obiettivi prefissati.
Per una trattazione di maggiore dettaglio, in allegato è predisposta una scheda descrittiva
completa per ogni azione, che ne definisce compiutamente l'attività, l’area di riferimento, la
tempistica dell’intervento, la modalità di realizzazione, il personale da utilizzare, i materiali
necessari, le problematiche connesse all’efficacia, i costi, gli indicatori da utilizzare per giudicare
l’esito dell’azione e i risultati attesi al termine dell’azione.
A. Monitoraggi
1. Prosecuzione delle attività di monitoraggio standardizzato per le valutazioni
quantitative mediante censimenti notturni primaverili.
2. Prosecuzione delle attività di monitoraggio standardizzato per le valutazioni
quantitative mediante tecniche di mark-resight.
3. Attivazione annuale di tirocini per la valutazione numerica della popolazione mediante
PGCDS.
4. Prosecuzione dei monitoraggi standardizzati sui soggetti abbattuti (all’esterno del
Parco) e rinvenuti morti.
5. Campionamenti biometrici e sanitari sugli abbattuti in controllo (entro Parco).
6. Prosecuzione del monitoraggio sanitario.
- Monitoraggio campionario sui rinvenuti morti per la paratubercolosi
- Monitoraggio campionario sui soggetti abbattuti in controllo per la paratubercolosi
- Valutazione dei carichi sulle feci
242
7. Attivazione annuale di campagne di cattura per il marcaggio di soggetti a fini di
monitoraggio (20 all’anno).
8. Radiomarcaggio di soggetti con collari GPS per valutare l’effetto del controllo sul
comportamento spaziale dei cervi.
9. Attivazione annuale di tirocini per la valutazione dell’eventuale diminuzione del
comportamento confidente dei cervi durante il periodo estivo.
10. Monitoraggio sul lungo termine degli effetti del brucamento sui pascoli delle malghe.
11. Prosecuzione dei monitoraggi sugli impatti sui prati a sfalcio.
12. Monitoraggio sul lungo termine degli effetti del brucamento sullo sviluppo del bosco
(monitoraggio sul lungo termine degli effetti delle alte densità di cervo sulle altre
componenti ecologiche).
- Creazione e monitoraggio regolare di recinti di esclusione per valutare l’effetto della
brucatura sulla rinnovazione forestale
- Realizzazione di transetti campione sistematici per valutare entità e distribuzione del
danno da morso
13. Prosecuzione delle azioni di monitoraggio del gipeto e della azioni per favorire la sua
presenza nel territorio del Parco (monitoraggio sul lungo termine degli effetti delle alte
densità di cervo sulle altre componenti ecologiche).
14. Censimenti del gallo cedrone in aree campione (monitoraggio sul lungo termine degli
effetti delle alte densità di cervo sulle altre componenti ecologiche).
15. Censimenti di camoscio mediante block-count (monitoraggio sul lungo termine degli
effetti delle alte densità di cervo sulle altre componenti ecologiche).
16. Censimenti di capriolo in aree campione (monitoraggio sul lungo termine degli effetti
delle alte densità di cervo sulle altre componenti ecologiche).
17. Attivazione di tirocini per la valutazione della densità di capriolo mediante PGCDS
(monitoraggio sul lungo termine degli effetti delle alte densità di cervo sulle altre
componenti ecologiche).
B. Analisi e procedure
18. Analisi dello status e della dinamica della popolazione di cervo.
19. Definizione di un regolamento per l’indennizzo dei danni.
20. Definizione di una strategia per la protezione e la garanzia della rinnovazione del
bosco nelle aree di svernamento del cervo e per l’indennizzo dei danni economici ai
boschi privati.
21. Definizione di una strategia per l’organizzazione delle attività turistiche ai fini di una
riduzione del disturbo sulla popolazione di cervo nei momenti stagionali maggiormente
delicati. Questa dovrà contenere la definizione delle aree dedicate allo sci-alpinismo e
loro regolamentazione; l’individuazione delle aree di bramito e la regolamentazione del
loro accesso durante l’attività riproduttiva (regolamentazione degli accessi nelle zone
di tranquillità all’interno del Parco in cui da gennaio a metà maggio e durante il periodo
riproduttivo è interdetto l’accesso tranne sulla viabilità segnalata); la regolamentazione
della raccolta dei palchi.
243
22. Piano per un razionale ed efficiente utilizzo a fini turistici e di educazione ambientale
della popolazione di cervo del Parco.
23. Definizione e stesura di un piano numerico di controllo.
Il Piano viene dettagliato nell’ultima parte del presente capitolo, secondo i contenuti principali
di seguito esposti.
- Definizione di azioni volte a favorire la diminuzione della concentrazione dei cervi nel
Parco a favore delle aree esterne (modifiche dei criteri di gestione venatoria).
- Definizione, per la gestione anche venatoria del cervo, di una zonizzazione delle aree di
caccia del Distretto faunistico, su base sovra-riservistica, cui fare riferimento in fase di
definizione dei piani di prelievo e della loro distribuzione geografica.
- Definizione di aree di particolare rilevanza per l’ecologia del cervo – scelta e creazione
delle zone di rispetto (di bramito) all’esterno del Parco (vengono definite aree specifiche
in cui la caccia al cervo è interdetta per periodi quinquennali rinnovabili).
- Adattamento dei piani di prelievo al piano di gestione complessivo (il piano deve tenere
conto in termini complementari dei cervi abbattuti in caccia e in controllo).
- Definizione di pratiche venatorie (e di controllo) in relazione alla biologia del cervo
(tempi, modi).
C. Attività
24. Attivazione annuale di campagne di cattura per il marcaggio di soggetti a fini di
cessione ad altri enti.
25. Predisposizione di idonee strutture per lo stoccaggio e per lo smaltimento dei cervi
rinvenuti morti e per i monitoraggi.
26. Attivazione degli indennizzi sulle attività agricole (prati a sfalcio, recinzioni, pascoli,
coltivazioni).
27. Attivazione delle azioni per la protezione e la garanzia della rinnovazione del bosco
nelle aree di svernamento del cervo.
28. Creazione, in collaborazione con tour operator, di pacchetti inerenti l’offerta turistica
naturalistica di qualità del Parco.
29. Partecipazione, in collaborazione con Trentino S.p.A. e ApT Val di Sole, al progetto
“Parchi da vivere” con un pacchetto settimanale nel mese di settembre in cui si dia
spazio agli aspetti legati al bramito del cervo.
30. Organizzazione di un censimento autunnale al bramito con finalità di coinvolgimento a
fini turstici.
31. Azioni volte a favorire il ritorno dei grandi predatori.
- Azioni di comunicazione volte ad una maggiore conoscenza dei grandi carnivori realizzazione di giornate di comunicazione e di istruzione per target differenti sui grandi
predatori.
- Realizzazione di uno studio sulla dimensione umana legato alle problematiche create dal
cervo nell’area protetta ed alla possibile futura presenza dei grandi carnivori.
- Realizzazione di un’area faunistica dedicata alla lince.
32. Attivazione dei corsi per la formazione dei selecontrollori.
33. Addestramento degli agenti forestali.
244
34. Realizzazione dei piani di controllo.
Ciascuna azione, o gruppo di azioni, viene dettagliata nelle schede presenti in Allegato 1
secondo il seguente schema:
• obiettivi dell’azione;
•
area cui fa riferimento l’azione;
•
frequenza con cui deve essere realizzata l’azione;
•
tempistica di realizzazione dell’intervento;
•
modalità per la realizzazione dell’intervento;
•
personale da utilizzare per l’azione;
•
materiali necessari per l’azione;
•
problematiche connesse all’efficace realizzazione dell’azione;
•
costi – budget plan per l’azione;
•
indicatori di valutazione da utilizzare per giudicare l’esito di quanto fatto;
•
risultati attesi al termine dell’azione;
245
2+#01&+%10641..1&'..#2121.#<+10'&+%'481
1$+'66+8+&'.2+#01&+%10641..1
L’Unità di Gestione (UG) cui fa riferimento il piano corrisponde al Distretto Faunistico Val di
Sole, così come definito dal “Progetto triennale cervo (Cervus elaphus hippelaphus, L. 1758)”,
approvato con deliberazione della Consulta Distrettuale della Val di Sole in data 2 maggio 2006
e approvato dalla Giunta esecutiva dell’Associazione Cacciatori Trentini in data 7 giugno 2006
(a seguito della Determinazione del Dirigente del Servizio Foreste e Fauna della Provincia
Autonoma di Trento n. 649 del 29 dicembre 2006) e dal Settore trentino del Parco Nazionale
dello Stelvio.
Tabella 5.1 – Unità di Gestione “Val di Sole”. Superficie complessiva e superficie delle aree utilizzate
dalla popolazione di cervo durante l’inverno e durante l’estate.
AREA
Sup. totale
Cervo area inv
Cervo area est
Parco
17.579
4.439
8.148
Esterno al Parco
44.890
7.170
29.787
Totale
62.469
11.609
37.935
Tabella 5.2 – Distribuzione percentuale tra il territorio del Parco Nazionale e quello delle riserve di caccia
delle superfici riportate nella tabella precedente.
AREA
Sup. totale
Cervo area inv
Cervo area est
Parco
28%
38%
21%
Esterno al Parco
72%
62%
79%
Di seguito sono definiti e quantificati due possibili differenti obiettivi per la popolazione di cervo
che il piano può perseguire nel medio termine:
OBIETTIVO A
L’obiettivo del piano è la riduzione della consistenza della popolazione a circa 2.400 cervi in
tutta l’UG (per una densità media di circa 6-7 cervi/km2), in modo che la popolazione stessa sia
progressivamente più omogeneamente distribuita sull’intero territorio, secondo quanto di
seguito riportato:
- Il 60% circa della popolazione dovrà essere distribuito all’esterno del Parco - circa 1400
cervi al netto dei piccoli - densità media 5-6 cervi/km2
246
- Il 40% circa della popolazione dovrà essere distribuito all’interno del Parco - circa 960
cervi al netto dei piccoli - densità media 9-10 cervi/km2
OBIETTIVO B
L’obiettivo del piano è la riduzione della consistenza della popolazione a circa 2.200 cervi in
tutta l’UG (per una densità media di circa 5.8 cervi/km2), in modo che la popolazione stessa sia
progressivamente più omogeneamente distribuita sull’intero territorio, secondo quanto di
seguito riportato:
- Il 50% circa della popolazione dovrà essere distribuito all’esterno del Parco - circa 1100
cervi al netto dei piccoli - densità media 3.7 cervi/km2
- Il 50% circa della popolazione dovrà essere distribuito all’interno del Parco - circa 1100
cervi al netto dei piccoli - densità media 13.5 cervi/km2
ATTUALMENTE (i dati riportati si riferiscono ai censimenti effettuati nella primavera del 2008)
si stima una presenza primaverile di 2908 cervi di cui:
- Il 35% è distribuito all’esterno del Parco circa 1025 cervi per una densità media di
3.4 cervi/km2
- Il 65% è distribuito all’interno del Parco circa 1880 cervi per una densità media di
23.1 cervi/km2
Nel 2007 e per i due anni successivi, il programma approvato ha definito di applicare un piano
di prelievo costante pari a 457 cervi così suddivisi per classi di sesso ed età:
- 160 Maschi (35%);
- 160 Femmine (35%);
- 137 Piccoli (30%);
/1&#.+6&+4+&7<+10'&'..#2121.#<+10'#..+06'401&'.2#4%1
La riduzione delle consistenze della popolazione nel Parco avverrà mediante prelievi effettuati
con abbattimenti e con catture ed eventuali traslocazioni (qualora sarà possibile in base agli
aspetti sanitari).
Il sistema più semplice e apparentemente il più consigliabile è l’abbattimento degli animali
mediante armi da fuoco di precisione (con ottiche montate), preceduto da una scelta
(identificazione) del soggetto da prelevare, distinto in classi di sesso, età ed eventualmente
qualità. La qualità è tuttavia, attualmente, un parametro molto discusso e messo in dubbio nel
suo fondamento stesso, in quanto vi sono studi che hanno dimostrato come l’esasperazione
dell’abbattimento per qualità possa portare ad un impoverimento della variabilità genetica. A
parte l’abbattimento qualitativo, questa prassi è - nell’attività venatoria - null’altro che la caccia
di selezione e, sempre apparentemente, non vi sarebbero profonde differenze fra il controllo
selettivo e la prima, se non forse nella circostanza di chi materialmente andrebbe ad esercitare
il prelievo stesso.
Accantonando per il momento questo problema per nulla affatto secondario, soprattutto alla
luce del dispositivi di legge in precedenza citati (art. 11 della LN 394/91), va detto che gli
abbattimenti possono innescare fenomeni di sospettosità da parte delle popolazioni trattate.
Questo rischio è particolarmente evidente nel caso di Ungulati sociali non solo perché
l’abbattimento di un soggetto può provocare fughe precipitose o persino spostamenti. In questo
caso infatti, decisiva è l’accortezza dell’operatore che, almeno in teoria, può condurre un
abbattimento pulito senza traumi sociali per gli altri soggetti. Tuttavia è certo che gli Ungulati,
dopo un certo periodo, imparano a collegare determinati fenomeni, dalla presenza umana al
247
rumore dell’autoveicolo e persino al colpo, quando il recupero della spoglia avviene in un lasso
di tempo ridotto. Gli effetti negativi dell’abbattimento sono comunque riducibili grazie alla
prudenza, alla ristrettezza del periodo (dopo un certo tempo gli animali possono dimenticare...)
alle cautele di carattere generale. E‘ ovvio pertanto che l’operatore non può essere una persona
qualsiasi e anzi, lo spirito venatorio è spesso in questo caso di ostacolo ad un’operazione che
non deve provocare stress psicologici negli animali sopravvissuti.
In tal senso non vi sarebbe nulla di meglio del personale d’istituto, opportunamente preparato
ed addestrato anche alla raccolta dei reperti. Questi sono infatti comunque sempre necessari
anche in un abbattimento di controllo e, sempre, indispensabili ai fini di monitoraggio.
D’altra parte il personale a disposizione è in genere ridotto e il distoglierlo da altri compiti
rappresenta pur sempre un costo. Molti parchi europei hanno pertanto adottato il sistema (con
diverse varianti) di avvalersi della collaborazione dei cacciatori, confidando anche nelle buone
ricadute (sociali) che tale operazione, quando ben gestita, può avere.
Nel caso del PNS, il prelievo mediante abbattimenti è ormai adottato come forma di gestione
in due delle 3 UG del Settore sudtirolese del Parco .
L’operazione, denominata “selecontrollo” (controllo selettivo), ha dovuto forzatamente basarsi
sulla collaborazione di personale esterno, dotato di porto d’armi e di capacità specifiche e quindi
di fatto di un certo numero di cacciatori, denominati all’uopo “selecontrollori”. Questi sono stati
istruiti e abilitati mediante un corso che si è concluso con una prova scritta, pratica, ottica e di
sparo.
L’esercizio del selecontrollo deve essere utilizzato dal Parco quale strumento di
comunicazione, non soltanto quale utilizzo pratico di volontari in operazioni necessarie. Ciò è
sicuramente possibile ma richiede anche un costante approfondimento dei compiti e delle
eventuali gratificazioni, circostanza che è comune in tutte le operazioni che coinvolgono un
volontariato che si vuole mantenere sempre ricco di motivazioni. Ovviamente il selecontrollo
presenta alcuni problemi, in particolare la sua ripetizione in tempi ravvicinanti (per esempio
annuali) circostanza che lo avvicinerebbe nella prassi e nella percezione all’attività venatoria.
Deve comunque essere sottolineato che il selecontrollo non è infatti, e non deve essere, un
sistema autorizzativo, esercitato per metter a tacere alcuni scontenti e guadagnare un po’ di
respiro. Pensare al selecontrollo come un allentamento dei poteri del Parco (cioè come una
serie di concessioni) rappresenta non soltanto un errore (le informazioni e la gestione del
procedimento saranno in tal caso molto più difficili) ma un grave rischio strategico.
Alcune considerazioni quantitative sull’efficacia ed efficienza del prelievo mediante catture
possono essere effettuate analizzando i dati relativi alle prime catture effettuate nel Settore
sudtirolese del Parco negli anni 1999-2000. L’obiettivo delle campagne intensive è stato il
marcaggio dei cervi per la valutazione delle capacità di spostamento e la stima delle
consistenze e dei tassi di sopravvivenza
Analizzando i dati relativi ai soggetti catturati nei due inverni di attività e allo sforzo impiegato
per le catture stesse, è stato possibile effettuare alcune considerazioni preliminari sull’efficienza
del sistema di cattura e sull’impiego di tale metodo per il prelievo dei cervi con finalità di
controllo numerico delle popolazioni.
L’attività si è concentrata nell’Unità di Gestione “Media Val Venosta”, dove sono stati
predisposti 6 recinti di cattura. Tale UG ha un’estensione di 32.670 ha di cui 17.170 ha sono
considerati idonei alla presenza del cervo.
Le catture sono strettamente dipendenti dall’andamento meteorologico annuale, in quanto
l’altezza e la permanenza del manto nevoso invernale condizionano positivamente la
frequentazione delle mangiatoie e quindi delle trappole in relazione alla diminuzione dell’offerta
alimentare disponibile. Nel 1999 sono stati attivate 4 trappole tra febbraio e marzo e nel 2000
ne sono state attivate 6 tra dicembre e marzo.
248
In questi periodi le trappole venivano controllate ogni mattina da 2 operatori e, in caso di
cattura, 2 guardiaparco e un veterinario si occupavano della narcotizzazione e del marcaggio
dei soggetti. Durante il primo inverno sono stati catturati 27 cervi in 25 notti utili di cattura (67
giorni in cui le trappole sono risultate innescate), mentre nel secondo ne sono stati catturati 23
in 15 notti utili (69 giorni in cui le trappole sono risultate innescate).
In base a queste informazioni è stato possibile quantificare l’efficienza del sistema di cattura
registrata nei due inverni nell’UG “Media Val Venosta”. Con una densità di 1 recinto ogni 4.300
ha di bosco nel 1999 e ogni 2.860 ha di bosco nel 2000, sono stati catturati 6,8 e 3,8 cervi per
trappola.
Mediamente sono stati catturati 25 cervi ogni anno, pari al 3,5% della consistenza censita e al
2% di quella stimata presente; questi valori sono di gran lunga inferiori ai tassi medi di
incremento annuo tipici di una popolazione di cervo in ambiente alpino (dal 15% al 25-30%).
Calcolando i valori medi per le due annate, sono stati catturati 0,26 cervi per ogni trappola e
per ogni giornata utile di cattura e 0,07 cervi per ogni trappola e per ogni giorno di innesco
effettivo; quest’ultimo dato può essere considerato quale migliore stima disponibile
dell’efficienza media di cattura e utilizzato per valutare lo sforzo necessario per effettuare un
prelievo che limiti l’accrescimento numerico della popolazione.
In base alla stima di consistenza della popolazione di cervo nel Settore trentino del Parco di
circa 1.800, ne deriva che un prelievo minimo, in grado perlomeno di arrestare l’accrescimento
della popolazione, deve essere pari al 15-20% della consistenza (270-360 cervi).
Applicando le stime di efficienza di cattura sinora ottenute, ne deriva che una trappola è in
grado di catturare mediamente 6-7 cervi ogni anno (in inverno). Se ipotizziamo, in termini molto
ottimistici di riuscire a triplicare tale efficienza di cattura, per raggiungere il livello di prelievo
fissato sarebbe quindi necessario poter disporre di circa 13-17 recinti di cattura, per una densità
media di 1 trappola ogni 220-290 ha di bosco. Tale sforzo appare, in questo primo approccio,
decisamente eccessivo, in relazione ai costi per la predisposizione dei recinti, alle necessità di
personale e all’impatto esercitato dalla presenza di un’elevata densità di trappole nel territorio
del Parco.
Per quanto riguarda i costi, in base alle informazioni fornite dal dott. Zöschg, allora Direttore
dell’Ufficio Periferico di Glorenza, è stato possibile stimare l’impegno del personale impiegato e
derivare i costi complessivi dell’operazione. Senza tenere conto dei costi legati ai materiali e alla
costruzione delle trappole (ogni recinto può costare mediamente 2-3.000 €) sono stati catturati
0.29 cervi per ogni giornata-uomo. Il costo complessivo di ogni cervo catturato è risultato pari a
400 € (nel 1999).
Questi primi risultati sembrano indicare come il solo prelievo mediante recinti di cattura non
sia al momento in grado di contenere l’incremento delle popolazioni. E’ tuttavia importante
sottolineare come l’efficienza di cattura sia fortemente dipendente dall’esperienza acquisita e
dalle condizioni locali e annuali di innevamento. Soprattutto questo secondo fattore non esclude
un futuro aumento nell’efficienza di cattura, ma lo rende comunque estremamente aleatorio.
Queste considerazioni non portano all’esclusione di tale metodo, ma ad un suo utilizzo
complementare rispetto ai prelievi mediante abbattimento.
Metodi alternativi
E’ difficile ipotizzare sistemi sostanzialmente diversi dal prelievo e che siano, nel contempo,
decentemente praticabili ai fini del controllo.
Il più naturale, quindi il più raccomandabile, resta senza dubbio il ritorno dei grandi predatori
(lince e lupo nel caso del PNS). Come detto in precedenza, si ritiene che le influenze dei due
249
Carnivori possano essere nel caso del cervo difficili da prevedere ma comunque non risolutive,
se si eccettua - per il lupo - un effetto di miglior distribuzione dei cervi sul territorio. Si omettono
naturalmente gli ulteriori problemi innescabili da una reintroduzione, con le possibili (anche se,
con un po’ di attenzione, evitabili...) ripercussioni sociali.
I miglioramenti ambientali (per esempio la derecinzione di alcune aree prative) non sono
mezzi per risolvere il problema del controllo, per due motivi essenziali. In primo luogo essi sono
per loro natura provvisori, e cioè possono alleviare momentaneamente la pressione del cervo
sull’ecosistema montano ma sono destinati persino a rendere possibile un ulteriore aumento
della consistenza. E non è questo ad essere voluto, quanto un equilibrio accettabile. Se non
fosse così paradossale sarebbe invece da prendere in considerazione l’idea di peggiorare la
ricettività ambientale ma senza rendere ancora più pesante il problema dell’impatto
sull’ecosistema. E’ evidente che si tratta dunque di un problema posto scorrettamente, in
quanto le specie si modellano sull’ambiente in cui esse vivono. Il secondo motivo che qualifica
quale poco interessante il miglioramento ambientale è che esso dovrebbe intervenire dopo
un’azione decisa di controllo e non prima o durante, pena l’assoluta inutilità. Del resto, un
miglioramento ambientale quale quello suggerito, avrebbe un notevole significato perché le
recinzioni sono state apposte proprio per risolvere il problema dei danni, meglio sopportabili con
una consistenza inferiore.
Altri sistemi di controllo non sono che evoluzioni o varianti più o meno complesse della cattura
o degli abbattimenti. I recinti di svernamento, ampie zone recintate anche di 100 ettari, dove i
cervi vengono attratti e mantenuti durante l’inverno per essere poi liberati in tarda primavera,
possono essere una semplice variante dei prelievi (i cervi vengono trasferiti o abbattuti). A parte
il problema del costo, l’iniziativa (“normale” in alcuni parchi della Germania) appare assai poco
dotata di requisiti estetici e naturali, con un evidente abbassamento dell’idea della selvaticità
dell’animale. E si deve ricordare che il cervo è un animale simbolo e ridurlo a ornamento
zootecnico è un processo che non qualifica un’area protetta.
Da ultimo, per dovere di completezza si può citare la castrazione ovvero la sterilizzazione di
un numero significativo di soggetti. Il sistema è stato sperimentato la prima volta sul cervo mulo
in alcuni impianti militari recintati negli Stati Uniti. Questa scelta non appare raccomandabile
non soltanto per i costi e l’impegno (cfr. le già ben note difficoltà della cattura) e soprattutto
l’efficacia ma anche per l’eccesso di manipolazione, si vuol sostenere quasi “umiliante”, che
anche in questo caso si verrebbe ad infliggere la specie.
In un discorso di tipo animalista, quindi non tecnico, ma non per questo da non discutere
assolutamente, si potrebbe affermare ... “meglio prigionieri o sterilizzati che morti” .....
In altre situazioni (parchi urbani, aree faunistiche, recinti privati), queste affermazioni
potrebbero essere anche considerate ma, nel caso del PNS, è necessario rifarsi alle sue finalità
generali (naturalità, equilibrio naturale) che non ammettono deviazioni così pesanti.
Oltre a ciò anche considerazioni di carattere tecnico confermano che allo stato attuale il
controllo della fertilità non è un opzione efficace per il cervo in quanto troppo costosa e
impraticabile su popolazioni selvatiche numerose. I contraccettivi orali possono essere mischiati
al cibo ma hanno il difetto di non essere selettivi ed agire anche sulle altre specie. L’immunocontraccezione è una tecnica relativamente nuova. Si basa sulla somministrazione mediante
fucili ad aria compressa, di proiettili compressi di cellulosa contenenti una proteina del sistema
riproduttivo del maiale (PZP, Porcine Zona Pellucida) che causa il rigetto dell’uovo fecondato da
parte dell’utero. Nel caso del trattamento di animali selvatici gli inconvenienti sono (The Wildlife
Society, 2008):
- i cervi devono essere immunizzati due volte prima dell’estro il primo anno e poi una volta
all’anno;
- è necessario marcare le femmine già trattate;
- se trattata, una femmina continua ad andare in estro (Il PZP previene la fertilizzazione
ma non l’ovulazione) stimolando i maschi ad accoppiarsi nuovamente per mesi e
alterando il loro comportamento riproduttivo.
250
Uno studio effettuato mediante simulazioni per i dintorni suburbani di Minnetonka
(Minneapolis) ha dimostrato che per ridurre la popolazione sarebbe necessario trattare
(rendendo non fertili) tutte le femmine per tre anni con un costo approssimativo di 110.000
dollari all’anno (files.dnr.state.mn.us/publications/fwt/1995/Deercont.pdf). Il problema non è solo
di costi ma è anche legato alla necessità di riconoscere individualmente le femmine già trattate.
2412156#&+2+#0124'.+'81
Considerando le difficoltà tecniche e logistiche che la realizzazione della riduzione della
popolazioni in tempi minori comporterebbe, la riduzione della popolazione alla consistenza
soglia appare attuabile mediante prelievi condotti in un arco di tempo di 3 anni.
La proposta di piano prevede uno/due anni di prelievo sperimentale, di entità numerica
limitata, volto alla valutazione dell’efficienza e fattibilità dei metodi proposti, e una seconda fase
di prelievi a regime, volti ad una effettiva riduzione numerica della popolazione all’interno del
Parco.
Per evitare qualsiasi rischio, durante il triennio dovranno essere costantemente effettuate le
operazioni di monitoraggio sulla popolazione e, qualora dopo il primo periodo di interventi la
consistenza riscontrata (censimenti) non si discostasse significativamente dal valore soglia, il
programma dovrà essere riequilibrato.
•
I Fase sperimentale di prelievo di controllo - 2009 - 2010
Prelievo di 180 cervi all’anno all’interno del Parco
•
II Fase a regime di prelievo di controllo per la riduzione – 2011 - 2013
Prelievo di 400 cervi all’anno all’interno del Parco
I Fase sperimentale (2009 - 2010)
Nella prima fase sperimentale:
• Il prelievo di controllo di 180 cervi all’interno del Parco viene suddiviso per il 60% in Val
di Peio (108 cervi) e per il 40% in Val di Rabbi (72 cervi), in funzione delle diverse
consistenze di popolazione presenti nelle due Stazioni forestali;
•
I capi da prelevare in controllo in Val di Peio vengono suddivisi percentualmente tra i
selecontrollori delle riserve di Peio e Pellizzano in ragione dei capi assegnati a ciascuna
riserva nel piano di prelievo triennale 2007-2009;
•
I capi da prelevare in controllo in Val di Rabbi vengono suddivisi percentualmente tra i
selecontrollori delle riserve di Rabbi, Malé e Terzolas, in ragione dei capi assegnati a
ciascuna riserva nel piano di prelievo triennale 2007-2009;
•
La struttura per sessi e classi d’età del controllo è: 25% maschi, 30% piccoli e 45%
femmine; nella classe maschile viene prelevato il 50% di soggetti di 1 anno e il 50% di
soggetti di 2-6 anni con palco con numero di punte inferiore a 9;
251
•
In conseguenza all’avvio del piano di controllo numerico all’interno del Parco, il numero
di capi da prelevare durante l’attività venatoria (all’esterno del Parco) nelle riserve di
Malé, Peio, Pellizzano, Rabbi e Terzolas è pari alla differenza tra il piano previsto nel
programma triennale e il numero di capi prelevati in controllo all’interno del Parco. Nella
pratica il numero di capi che vengono prelevati all’interno del Parco vengono detratti dal
piano di prelievo della Riserva di caccia. Inoltre, in fase sperimentale, in ciascuna delle
cinque riserve, il numero di cervi da prelevare in forma di caccia è aumentato di una
quota pari alla metà della percentuale di cervi assegnati come piano di controllo; ad
esempio, nel caso della Riserva di Rabbi, questa ha attualmente un piano di 108 cervi.
Poiché ne abbatterebbe 58 in controllo all’interno del Parco, il piano di prelievo sarebbe
quindi di 50 capi. A questi tuttavia ne vanno aggiunti altri 16 che rappresentano la metà
dei cervi assegnati percentualmente in controllo alla Riserva di Rabbi sul totale dei cervi
da abbattere in controllo (32 su 100). I cervi nel piano di abbattimento venatorio
risultano quindi 66 (50 + 16).
•
La struttura per sessi e classi d’età dei cervi prelevati in forma di caccia da ciascuna
Riserva è pari al 35% maschi, 35% femmine e 30% piccoli; nella classe maschile viene
prelevato il 50% di soggetti di 1 anno, il 30% di soggetti di 2-6 anni e il 20% di soggetti di
7 o più anni.
2009-10 (sperimentale)
AREA
Peio PNS
Abbattimenti
totali
MM
FF
PP
108
27
49
32
Rabbi PNS
72
18
32
22
TOT PNS
180
45
81
54
Riserve del DF Val Sole
320
113
112
96
Totale
500
158
193
150
La Tabella 5.3 esemplifica l’ipotetica suddivisione dei prelievi venatori e dei prelievi di controllo
nel’UG Va di Sole per il biennio sperimentale 2009 – 2010.
252
Ossana
60
175
216
60
451
Vermiglio
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
TOTALE
108
18
Pellizzano
Peio
24
30
Mezzana
16
9
20
Commezzadura
Dimaro
Monclassico
6
108
Rabbi
Croviana
18
8
26
TOT
Malè
Terzolas
Caldes-Cavizzana
Riserve
501
60
256
185
60
132
18
36
24
16
9
20
6
124
21
9
26
TOT
PIANO PIANO
2007-09 2009
4
2
3
8
11
8
5
6
16
21
321 112
21
3
6
60
1
3
55
11
19
25
4
7
39
1
2
52
11
23
113
1
2
2
4
4
35
6
12
17
6
5
2
2
2
2
1
2
1
7
1
1
3
MM
1
2-6
9
T
148
60
47
18
13
24
16
9
20
6
66
11
5
26
TOT
22
4
8
10
4
3
1
1
2
1
1
1
0
5
1
2
7+
FUORI PARCO
18
34
45
18
14
6
4
7
5
3
6
2
20
3
1
8
PP
112 97
21
40
51
21
17
6
4
9
5
3
7
2
23
4
2
9
FF
180
143
37
85
23
58
10
4
TOT
0.79
0.21
0.47
0.13
0.32
0.05
0.02
%
1
2
45
36
9
21
6
15
T
1
3
8
1
24
19
5
11
1
MM
21
17
4
10
3
7
1
0
2-6
NEL PARCO
0
7+
81
64
17
38
10
26
5
2
MM
FF
PP
MM
FF
PP
struttura
controllo
FF
PP
struttura totale
MM
0.33 0.38 0.29
0.38 0.31 0.31
0.33 0.33 0.33
0.35 0.35 0.30
0.33 0.33 0.33
0.33 0.33 0.33
0.35 0.35 0.30
0.29 0.41 0.30
0.33 0.37 0.30
0.35 0.35 0.30
54 0.35 0.35 0.30 0.25 0.45 0.30 0.31 0.39 0.30
0.35 0.35 0.30
43 0.34 0.35 0.30
11 0.35 0.34 0.30
0.35 0.35 0.30
26 0.34 0.36 0.30 0.25 0.45 0.31 0.28 0.42 0.30
0.33 0.33 0.33
7 0.38 0.31 0.31 0.26 0.43 0.30 0.30 0.38 0.30
0.33 0.38 0.29
0.38 0.31 0.31
0.33 0.33 0.33
0.35 0.35 0.30
0.33 0.33 0.33
17 0.35 0.35 0.30 0.26 0.45 0.29 0.31 0.39 0.30
3 0.36 0.36 0.27 0.21 0.52 0.31 0.29 0.44 0.29
1 0.41 0.41 0.20 0.23 0.47 0.23 0.33 0.44 0.22
FF PP
struttura caccia
Tabella 5.3 - I Fase sperimentale (2009 - 2010) - Prelievo in controllo di 180 cervi all’anno all’interno del Parco (108 SF Peio, 72 SF Rabbi).
253
II Fase a regime per la riduzione (2011-13)
In relazione al numero di cervi attualmente presenti lungo l’intero corso dell’anno all’interno
del Parco Nazionale dello Stelvio (circa 1900 capi al netto dei piccoli), negli anni successivi
dovrà essere prevista una fase perlomeno triennale di prelievo di controllo con finalità di
riduzione della popolazione di almeno 400 cervi all’anno all’interno dell’area protetta.
La II Fase a regime prevede due ipotesi di realizzazione a seconda che vengano coinvolti
nelle attività di controllo solo i selecontrollori abilitati appartenenti alle riserve di diritto che
hanno partecipato alla I fase sperimentale, oppure tutti i selecontrollori abilitati appartenenti alle
riserve di diritto del Distretto Faunistico della Val di Sole.
2011-13 (riduzione)
AREA
Abbattimenti
totali
MM
FF
PP
Peio PNS
240
48
108
84
Rabbi PNS
160
32
72
56
TOT PNS
400
80
18056
140
Riserve del DF Val Sole
250-350
150-186
50-82
50-82
Totale
650-750
230-266
230-262
190-222
Nella seconda fase a regime:
• il prelievo di controllo di 400 cervi all’interno del Parco viene suddiviso per il 60% nella
Stazione Forestale di Peio (240 cervi) e per il 40% nella Stazione Forestale di Rabbi
(160 cervi) a seconda delle diverse consistenze;
•
la struttura per sessi e classi d’età del controllo è: 25% maschi, 30% piccoli e 45%
femmine; nella classe maschile viene prelevato il 50% di soggetti di 1 anno e il 50% di
soggetti di 2-6 anni con palco con numero di punte inferiore a 9.
IPOTESI A – Controllo per le Riserve di Malé, Peio, Pellizzano, Rabbi e Terzolas
1. I capi da prelevare in controllo in Val di Peio vengono suddivisi percentualmente tra i
selecontrollori delle Riserve di Peio e Pellizzano in ragione dei capi assegnati a
ciascuna riserva nel piano di prelievo triennale 2007-2009;
2. I capi da prelevare in controllo in Val di Rabbi vengono suddivisi percentualmente tra i
selecontrollori delle riserve di Rabbi, Malé e Terzolas, in ragione dei capi assegnati a
ciascuna riserva nel piano di prelievo triennale 2007-2009;
3. Il numero di capi da prelevare (all’esterno del Parco) nelle riserve di Malé, Peio,
Pellizzano, Rabbi e Terzolas è pari alla differenza tra il piano previsto nel programma
triennale e il numero di capi prelevati in controllo all’interno del Parco. Inoltre in fase
sperimentale, in ciascuna delle cinque riserve, il numero di cervi da prelevare in forma
di caccia è aumentato di una quota pari alla metà della percentuale di cervi assegnati
come piano di controllo; il numero di capi complessivo da prelevare in caccia nelle
cinque riserve non può comunque essere inferiore al 40% del piano previsto per il
2007.
254
IPOTESI B – Controllo per le Riserve del Distretto Faunistico Val di Sole
1. I capi da prelevare in controllo vengono suddivisi percentualmente tra i selecontrollori
delle Riserve del Distretto Faunistico della Val di Sole in ragione dei capi assegnati a
ciascuna riserva nel piano di prelievo triennale 2007-2009;
2. Il numero di capi da prelevare durante l’attività venatoria (all’esterno del Parco) nelle
riserve del Distretto Faunistico della Val di Sole è pari alla differenza tra il piano
previsto nel programma triennale e il numero di capi prelevati in controllo all’interno del
Parco. Inoltre in fase sperimentale, in ciascuna Riserva, il numero di cervi da prelevare
in forma di caccia è aumentato di una quota pari alla metà della percentuale di cervi
assegnati come piano di controllo; il numero di capi complessivo da prelevare in
caccia nelle riserve non può comunque essere inferiore al 40% del piano previsto per
il 2007.
3. La struttura per sessi e classi d’età dei cervi prelevati in forma di caccia da ciascuna
riserva è pari al 35% maschi, 35% femmine e 30% piccoli; nella classe maschile viene
prelevato il 50% di soggetti di 1 anno, il 30% di soggetti di 2-6 anni e il 20% di soggetti
di 7 o più anni.
Al fine del completamento del piano di controllo, ha maggiore importanza, nella prima fase del
controllo, l’aspetto quantitativo di quello qualitativo.
La Tabella 5.4 esemplifica l’ipotetica suddivisione dei prelievi venatori e dei prelievi di controllo
nel’UG Va di Sole per il triennio di riduzione 2011 – 2013, secondo l’ipotesi A. La Tabella 5.5
esemplifica l’ipotetica suddivisione dei prelievi venatori e dei prelievi di controllo nel’UG Va di
Sole per il triennio di riduzione 2011 – 2013, secondo l’ipotesi B.
La scelta per il secondo triennio del piano tra ipotesi A e ipotesi B dovrà essere valutata di
concerto con le Riserve che parteciperanno alla realizzazione della fase sperimentale e con la
Consulta della Val di Sole.
255
30
18
Pellizzano
Ossana
175
216
60
451
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
TOTALE
256
60
Vermiglio
108
24
Peio
16
Mezzana
9
20
Commezzadura
Dimaro
Monclassico
6
108
Rabbi
Croviana
18
8
26
TOT
Malè
Terzolas
Caldes-Cavizzana
Riserve
PIANO
2007-09
687
60
403
224
60
231
18
64
24
16
9
20
6
172
28
13
26
TOT
PIANO
2011
1
3
4
2
3
6
8
4
30
21
60
11
16
24
288 100 51
49
86
11
4
7
21
1
2
3
8
15
8
1
3
6
1
15
4
1
29
6
8
15
6
4
2
1
2
2
1
2
1
4
1
3
MM
1
2-6
9
T
141
60
43
18
12
24
16
9
20
6
43
7
3
26
TOT
18
2
6
10
4
3
1
1
2
1
1
1
0
3
1
2
7+
FUORI PARCO
99
21
30
48
21
15
6
4
9
5
3
7
2
15
2
1
9
FF
88
18
26
44
18
13
6
4
7
5
3
6
2
13
2
1
8
PP
400
317
83
188
52
129
21
10
TOT
0.79
0.21
0.47
0.13
0.32
0.05
0.02
%
5
3
100
79
21
47
13
32
T
53
41
12
24
7
17
3
2
47
38
9
23
6
15
2
1
MM
1
2-6
NEL PARCO
143
37
85
23
58
10
4
0 180
7+
FF
FF
PP
0.35 0.35 0.31
MM
MM
FF
struttura
controllo
PP
FF
PP
struttura totale
MM
120 0.35 0.35 0.30 0.25 0.45 0.30 0.29 0.41 0.30
0.35 0.35 0.30
95 0.35 0.35 0.30
25 0.35 0.34 0.31
0.35 0.35 0.30
56 0.35 0.35 0.30 0.25 0.45 0.30 0.27 0.43 0.30
0.33 0.33 0.33
16 0.33 0.33 0.33 0.25 0.44 0.31 0.26 0.42 0.31
0.33 0.38 0.29
0.38 0.31 0.31
0.33 0.33 0.33
0.35 0.35 0.30
0.33 0.33 0.33
39 0.35 0.35 0.30 0.25 0.45 0.30 0.27 0.42 0.30
6 0.42 0.28 0.28 0.23 0.47 0.28 0.28 0.42 0.28
3 0.31 0.31 0.31 0.31 0.42 0.31 0.31 0.39 0.31
PP
struttura caccia
Tabella 5.4 - II Fase a regime per la riduzione (2011-13) - Prelievo in controllo di 400 cervi all’anno all’interno del Parco (240 SF Peio, 160 SF Rabbi). IPOTESI A
– coinvolgimento delle sole riserve di Malé, Peio, Pellizzano, Rabbi e Terzolas. Fuori Parco, i piani per l’attività venatoria sono pari al 40% di quelli del 2007.
30
18
Pellizzano
Ossana
60
175
216
60
451
Vermiglio
Val Sole
Peio-Rabbi
Vermiglio
TOTALE
108
24
Peio
16
Mezzana
9
20
Commezzadura
Dimaro
Monclassico
6
108
Rabbi
Croviana
18
8
26
TOT
Malè
Terzolas
Caldes-Cavizzana
Riserve
650
86
314
250
86
154
25
42
34
22
13
29
9
160
26
12
38
TOT
PIANO PIANO
2007-09 2011
1
1
2
3
2
3
5
6
89
12
35
250
35
42
96
43
6
21
16
6
2
4
12
1
1
2
10
20
11
1
3
4
1
2
22
2
29
4
13
12
4
7
1
2
2
1
1
1
0
6
1
1
2
MM
1
2-6
5
T
119
35
63
10
17
14
9
5
12
3
56
9
4
13
TOT
17
2
8
7
2
4
1
1
1
1
0
1
0
4
1
0
1
7+
FUORI PARCO
85
12
41
32
12
22
3
6
5
3
2
4
1
19
3
1
4
FF
76
11
36
29
11
19
3
5
4
3
1
4
1
17
3
1
4
PP
400
51
195
154
51
91
15
25
20
13
8
17
6
104
17
8
25
TOT
0.49
0.39
0.13
0.23
0.04
0.06
0.05
0.03
0.02
0.04
0.01
0.26
0.04
0.02
0.06
%
4
2
6
99
13
49
37
13
23
4
6
5
3
2
4
1
26
T
2
1
3
52
7
25
20
7
12
2
3
3
2
1
2
1
13
1
47
6
24
17
6
11
2
3
2
1
1
2
0
13
2
1
3
2-6
NEL PARCO
MM
7+
182
23
88
71
23
41
7
11
9
6
4
8
3
47
8
4
11
FF
MM
FF
PP
MM
FF
PP
struttura
controllo
FF
PP
struttura totale
MM
119 0.36 0.34 0.30 0.25 0.46 0.30 0.29 0.41 0.30
15 0.34 0.34 0.31 0.26 0.46 0.30 0.29 0.41 0.30
58 0.35 0.34 0.30 0.25 0.45 0.30 0.29 0.41 0.30
46 0.36 0.33 0.30 0.24 0.46 0.30 0.29 0.41 0.30
15 0.35 0.35 0.32 0.26 0.46 0.30 0.29 0.41 0.30
27 0.35 0.35 0.30 0.25 0.45 0.30 0.29 0.41 0.30
4 0.38 0.29 0.29 0.26 0.46 0.26 0.31 0.39 0.27
8 0.35 0.35 0.29 0.24 0.44 0.32 0.28 0.40 0.30
6 0.36 0.36 0.29 0.25 0.45 0.30 0.29 0.41 0.29
4 0.32 0.32 0.32 0.22 0.45 0.30 0.26 0.40 0.31
2 0.38 0.38 0.19 0.26 0.53 0.26 0.31 0.47 0.23
5 0.35 0.35 0.35 0.24 0.48 0.30 0.28 0.42 0.32
2 0.32 0.32 0.32 0.17 0.52 0.35 0.22 0.45 0.34
31 0.36 0.34 0.30 0.25 0.45 0.30 0.29 0.41 0.30
5 0.32 0.32 0.32 0.23 0.46 0.29 0.26 0.41 0.30
2 0.48 0.24 0.24 0.26 0.52 0.26 0.34 0.42 0.25
8 0.37 0.30 0.30 0.24 0.44 0.32 0.29 0.39 0.31
PP
struttura caccia
257
Tabella 5.5 - II Fase a regime per la riduzione (2011-13) - Prelievo in controllo di 400 cervi all’anno all’interno del Parco (240 SF Peio, 160 SF Rabbi). IPOTESI B
– coinvolgimento di tutte le riserve del Distretto Faunistico Val di Sole. Fuori Parco, i piani per l’attività venatoria sono calcolati come segue: Piano 2007 – Piano
controllo + 50% del piano controllo.
#4'#&++06'48'061
Le aree in cui verrà autorizzato ed effettuato il controllo (Aree di controllo) devono riguardare
esclusivamente parte delle aree di svernamento del cervo (Tabella 5.1), evitando comunque di
andare ad agire nelle aree utilizzate principalmente dal cervo durante l’estate per garantire la
costante disponibilità di aree caratterizzate dal la necessaria tranquillità.
La cartografia sottoriportata (Figura 5.2 e Figura 5.3) definisce due ipotesi di confini di aree di
controllo in Val di Peio e in Val di Rabbi. Le aree di controllo vengono suddivise in sottozone che
possono essere sottoposte a controllo in periodi ed anni diversi.
•
Area di controllo Val di Peio - max 1.366 ha - min 798 ha
•
Area di controllo Val di Rabbi - max 920 ha - min 578 ha
Figura 5.1 - Area di distribuzione del cervo in Val di Sole. In rosso scuro e in verde rispettivamente, le aree di
svernamento e di estivazione della popolazione.
258
Figura 5.2 – Definizione dei confini massimi delle aree in cui viene effettuata l’attività di controllo all’interno
del Parco (in nero). Per ciascuna valle (Peio e Rabbi) sono individuate quattro differenti zone che possono
essere sottoposte a controllo in periodi ed anni diversi. In rosso scuro e in verde rispettivamente, le aree di
svernamento e di estivazione della popolazione di cervo.
Figura 5.3 – Definizione dei confini minimi delle aree in cui viene effettuata l’attività di controllo all’interno del
Parco (in nero). Per ciascuna valle (Peio e Rabbi) sono individuate quattro differenti zone che possono
essere sottoposte a controllo in periodi ed anni diversi. In rosso scuro e in verde rispettivamente, le aree di
svernamento e di estivazione della popolazione di cervo.
259
6'/2+&++06'48'061
Sono sicuramente i preferibili gli abbattimenti tardo-autunnali diurni, come ha dimostrato
l’esperienza. Il periodo migliore va dal (20 ottobre) 1 novembre al 31 dicembre (o meglio più corto)
– potenzialmente 7 giorni su 7. E’ meglio, tenuto conto dell’efficienza, ridurre al minimo il periodo di
controllo per limitare il disturbo cui il cervo risulta particolarmente sensibile ed adattabile. Sono
possibili proroghe sino alla fine di gennaio in caso di non completamento del piano.
Possono essere previsti, se ritenuti necessari, abbattimenti primaverili diurni e/o notturni. Da
eseguirsi subito dopo i censimenti con l’intento di completare il piano previsto annualmente,
qualora l’intervento autunnale non fosse stato sufficiente. Questa eventuale azione sarebbe
preferibilmente da realizzarsi durante le ore notturne, con carabine con ottiche infrarosse e
silenziatori. L’obiettivo è di prelevare molti animali in poche notti senza preoccuparsi troppo della
selezione qualitativa e minimizzando in termini assoluti il disturbo e la percezione
dell’abbattimento.
L'ipotesi di abbattimenti estivi diurni non viene presa in considerazione, anche se la sua
efficienza sarebbe probabilente soddisfacente. Essi infatti andrebbero a cadere negli ambienti di
estivazione delle quote più alte, zone da tutelare rigorosamente, dove oltretutto esistono favorevoli
possibilità di osservare gli animali.
2'4510#.'
Può partecipare alle attività di controllo anche personale non d’istituto che faccia parte delle
riserve di diritto del Distretto faunistico della Val di Sole e che possieda l’abilitazione all’esercizio
venatorio ed abbia seguito il percorso formativo realizzato dal Parco ed abbia sostenuto con
successo il relativo esame finale. Il personale così formato viene definito “selecontrollore”.
I prelievi sono coordinati e realizzati dagli agenti forestali (AF) che sono coadiuvati, per la
realizzazione delle attività di prelievo, da selecontrollori appositamente scelti e formati che hanno
seguito un corso di addestramento ed hanno sostenuto un esame teorico, pratico di
riconoscimento e di tiro. I selecontrollori sono scelti tra persone abilitate all’esercizio venatorio. La
scelta dei criteri sui requisiti di ammissibilità ai corsi spetterà al Parco, di concerto con la PAT e
l’ACT.
Ogni Agente forestale è giornalmente responsabile di un gruppo di selecontrollori (massimo 10) e
ne organizza la dislocazione e le attività. A fine giornata controlla le attività svolte.
Si ritiene inoltre opportuno preparare con un corso di 15-20 ore, quindi estremamente
approfondito, un gruppo selezionato di selecontrollori, scelti soprattutto fra quelli più efficienti e
affidabili; questo gruppo andrà investito di responsabilità analoghe a quelle del personale.
Il percorso formativo per il corso per l’abilitazione all’esercizio del selecontrollo potrebbe essere
strutturato ed avere i contenuti di seguito riportati:
260
1° Sessione
- Introduzione alla problematica del controllo della fauna nelle aree protette e della necessità
e ruolo dei selecontrollori in queste attività.
- La storia del cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio.
- Gli aspetti legislativi.
- I contenuti del piano di gestione e controllo.
- Biologia ed ecologia del cervo in funzione degli obiettivi di gestione (gli aspetti dell’ecologia
della specie cui bisogna prestare maggiore attenzione nell’applicazione delle pratiche di
gestione).
2° Sessione
- Criteri di riconoscimento della specie e delle sue classi di sesso ed età.
- Spiegazioni sui criteri di riconoscimenti in campo e sul capo abbattuto.
- Proiezione di immagini e filmati da analizzare da debita distanza.
- Esame di mandibole e trofei (questa seconda parte viene realizzata suddividendo i
partecipanti in gruppi).
3° Sessione
- Organizzazione e regolamentazione delle attività di controllo numerico della popolazione
(aree di intervento, regolamentazione uscite, punti fissi di sparo ecc.).
- La figura del selecontrollore.
- Armi e tiro (norme di comportamento e pratiche di comportamento in funzione
dell’operatività).
- Organizzazione delle attività di abbattimento in controllo.
- Realizzazione dell’abbattimento.
- Reazione al colpo e recupero dei soggetti feriti.
- Trattamento della spoglia e destino delle spoglie.
- Valutazioni biometriche.
Nella prima fase di controllo sperimentale partecipano alle attività gli AF coadiuvati dai soli
selecontrollori appartenenti alle riserve di caccia con diritti all’interno delle Zone di Controllo (Peio,
Pellizzano, Tezolas, Rabbi, Malé).
Nella seconda fase di regime, a seguito di un adeguamento del piano e solo a seguito di nuovi
accordi tra le riserve, definiti in sede di Consulta, potranno partecipare alle attività di controllo
anche i selecontrollori appartenenti alle restanti riserve di caccia del Distretto Faunistico della Val
di Sole.
Nel caso in cui i piani di controllo non vengano completati nei tempi previsti, è prevista la
possibilità che i piani stessi vengano direttamente completati dagli agenti forestali in una seconda
ulteriore fase. I prelievi in questa seconda fase potranno anche essere realizzati durante la fase
primaverile dagli agenti forestali, durante le ore notturne, con carabine con ottiche IR e silenziatori.
Agli eventuali abbattimenti della seconda fattispecie dovrà essere ammesso solamente il
personale di istituto.
261
/1&#.+6&++06'48'061
Dovranno essere quelle di uso corrente. Per eventuali abbattimenti notturni sarà necessario l’uso
di fonti luminose e il silenziatore. Oltre all’aspetto e la cerca, non sono da scartare metodologie più
sofisticate ed efficienti, come per esempio la girata/bewegungjagd (spostamento cauto e lento
degli animali innescato da disturbi percettibili, come transito a piedi e/o con cane da traccia al
guinzaglio lungo). Sono da escludere le battute oppure l’uso di cani da seguita.
Particolare attenzione dovrà essere posta nella sperimentazione di tecniche di prelievo che
minimizzino il disturbo e non modifichino l’attuale comportamento del cervo all’interno del Parco; a
tale proposito si suggerisce di effettuare interventi repentini e massicci in un lasso di tempo
estremamente breve, in modo da minimizzare le possibilità di condizionamento negativo dei cervi,
in aree che attualmente rappresentano il fulcro dello svernamento nel Parco.
Di seguito vengono specificate le modalità secondo cui organizzare e disciplinare le attività di
controllo.
1. Gli abbattimenti vengono effettuati mediante carabina con ottica di precisione, secondo i
calibri consentiti dalla legislazione sul prelievo venatorio. Il calibro minimo consentito è il
7mm, comprensivo del 270W.
2. Ogni selecontrollore coinvolto deve sempre essere accompagnato o coordinato da un
agente forestale. Ogni Agente forestale è giornalmente responsabile di un gruppo di
selecontrollori e ne organizza la dislocazione e le attività. A fine giornata controlla le
attività svolte.
3. In caso di assenza sul campo di un agente forestale i selecontrollori devono agire sempre
in coppia.
4. La distanza di tiro non deve superare i 200 m per non aumentare eccessivamente la
distanza di fuga della popolazione e rendere via via più difficoltosa l’attività di controllo
(tiri da postazioni fisse?).
5. In caso di femmina con piccolo, deve tassativamente essere abbattuto prima il piccolo.
6. E’ previsto l’abbattimento solo di maschi di età inferiore ai 7 anni suddivisi per il 50% in
fusoni e per il restante 50% in palcuti. Non è consentito l’abbattimento di palcuti con
numero di punte superiore a 9.
7. Il selecontrollore che contravviene alle regole di base per due volte viene sospeso
dall’attività di controllo per 2 mesi, dopo 3 sospensioni il selecontrollore viene cancellato
dall’albo degli abilitati.
8. Tutti i capi prelevati devono passare da un centro di controllo fisso (uno sito in Val di Peio
ed uno in Val di Rabbi) dove vengono effettuati i controlli, i campionamenti biometricosanitari e le misurazioni biometriche.
9. Il capo è di proprietà del Parco e il selecontrollore che effettua l’abbattimento nelle regole
acquisisce il diritto del ritiro della spoglia, a rimorso spese per l’attività svolta.
10. Il trofeo dei maschi abbattuti rimane di proprietà del Parco.
241$.'/#6+%*'%100'55'#..#4'#.+<<#<+10'&'.2+#01&+%10641..1
L’attività di controllo è finalizzata alla riduzione della consistenza della popolazione di cervo
all’interno del Parco. Se, contestualmente all’avvio del piano, verranno mantenuti i programmi
2007-2009 relativi all’attività venatoria (450-460 cervi da prelevare in ciascun anno, senza la
presenza sul territorio di alcuna Zona di Rispetto), si rischia una pesante riduzione e
destrutturazione della popolazione nel suo complesso.
262
Pertanto, per una reale efficacia della strategia di gestione proposta e per non creare ricadute
negative sulla conservazione della complessiva popolazione di cervo, si ritiene fondamentale ed
estremamente importante che, contestualmente all’avvio del piano di controllo, si sostengano tutte
le possibili azioni volte a favorire la diminuzione della concentrazione dei cervi nel Parco a favore
delle aree esterne, anche attraverso alcune modifiche degli attuali criteri di gestione venatoria e si
verifichino le seguenti condizioni:
•
Adattamento dei piani di prelievo al piano di gestione complessivo (il piano deve tenere
conto in termini complementari dei cervi abbattuti in caccia e in controllo), secondo la
proposta quantitativa e qualitativa sopra riportata.
•
Definizione, per la gestione anche venatoria del cervo, di una zonizzazione su base sovrariservistica, cui fare riferimento in fase di definizione dei piani di prelievo e della loro
distribuzione geografica.
•
Definizione di aree di particolare rilevanza per l’ecologia e la conservazione del cervo
attraverso la creazione di Zone di rispetto (di bramito) all’esterno del Parco in cui la caccia
al cervo è interdetta per periodi quinquennali rinnovabili (Figura 5.4 e Figura 5.5). La
definzione delle zone di rispetto è compito dei rettori delle Riserve all’interno della Consulta
e la loro creazione e mantenimento è un atto proprio della Consulta. Nel caso in cui
l’attività di controllo all’interno del Parco sia limitata ai selecontrollori delle Riserve di Malé,
Peio, Pellizzano, Rabbi e Terzolas, in tali aree la presenza di Zone di rispetto appare di
particolare rilevanza.
Figura 5.4 – Ipotesi di definizione delle zone di rispetto in cui sospendere l’attività venatoria nel Distretto
Faunistico Val di Sole (in verde). La situazione prospettata in carta ricalca la già utilizzata struttura di “aree di
bramito” utilizzata per la sperimentazione effettuata tra il 1999 e il 2005. In rosa le zone di controllo
all’interno del Parco.
263
•
Definizione di pratiche venatorie (e di controllo) che tengano in debito conto della biologia e
delle esigenze ecologiche del cervo (tempi, modi, zone di rispetto) [stagione corta e
spezzata, prelievo di femmina e piccolo]
Figura 5.5 – Nuove Zone di Rispetto in cui sospendere l’attività venatoria nel Distretto Faunistico Val di Sole
(in rosso).
A titolo di esempio la Figura 5.6 mostra l’attuale zonizzazione per la caccia agli ungulati, attuata
nel Cantone Grigioni (CH). Le aree a diversi colori rappresentano la rete di aree a vario titolo
protette che garantiscono una distribuzione più omogenea delle popolazioni cacciate sull’intero
territorio. Si può notare come esistano zone protette anche limitrofe al Parco Nazionale Svizzero.
A proposito dell’efficienza delle zone di protezione è esplicativo quanto riportato nella relazione
annuale fatta dall’Ufficio per la caccia e la pesca dei Grigioni (Brösi e Jenny, 2008) che
testualmente per l’anno 2007 riporta “Durante la caccia alta il 40-60% degli abbattimenti di cervo (a
dipendenza della regione) sono avvenuti all’interno di un perimetro d’influsso delle zone di
protezione della selvaggina. In altre parole le zone di protezione della selvaggina giocano un ruolo
determinante durante la caccia alta.”
264
Figura 5.6 – Cantone Grigioni; zonizzazione e presenza delle aree a diverso regime di protezione.
Inquinamento da piombo
Tra i fattori che potrebbero influire negativamente sulla conservazione dei rapaci necrofagi ed in
particolare sul gipeto, rivestire un ruolo particolare l’inquinamento indiretto da piombo, in relazione
all’ingestione di carcasse o resti di ungulati abbattuti in controllo e nei quali siano presenti
frammenti di piombo. Sono ormai disponibili numerose evidenze che dimostrano come modeste
tracce di piombo, ingerite da rapaci e necrofagi quali il Gipeto e l’Aquila reale, possano condurre gli
individui a intossicazione, inedia cronica fino a morte certa. Tale rischio potrebbe essere
particolarmente elevato nel momento in cui venisse attivato il controllo numerico delle popolazioni.
Al fine di ridurre drasticamente questa minaccia, sarebbe opportuno, contestualmente all’avvio
della fase di controllo numerico, intraprendere alcune azioni di valenza e utilità più generale:
- una sperimentazione mirata ad approfondire le conoscenze sulla problematica;
- il recupero dell’intera carcassa e dei visceri degli animali abbattuti, senza lasciare alcun
materiale biologico sul territorio;
- la sostituzione della palla di piombo con munizioni costituite da materiali non tossici per le
eventuali attività di controllo.
Per quanto attiene il primo punto, l’obiettivo principale è definire, con buona sicurezza, la quantità
di piombo presente nei visceri degli ungulati abbattuti, poiché questi vengono lasciati dal
cacciatore sul sito dell’abbattimento nella quasi totalità dei casi e costituiscono quindi la prima
causa potenziale di intossicazione.
In particolare, il Gipeto è una delle specie di uccelli più fortemente esposta ai rischi di
contaminazione da piombo che rappresenta una delle più importanti cause di mortalità non
naturale; negli ultimi 7 anni (2000-2007) infatti, sono già stati recuperati 3 Gipeti intossicati da
piombo sulle Alpi e numerose aquile reali (in Baviera il 40% delle aquile recuperate morte presenta
sintomi da inquinamento da piombo). Per quanto riguarda il nostro Paese, nessuno studio
specifico è stato condotto su questa problematica e pertanto, data la peculiarità dello Stelvio, unica
area italiana che ospita una popolazione vitale di Gipeto, si ritiene fondamentale intraprendere in
Valtellina questo tipo di analisi.
265
Si ritiene dunque urgente agire, anche in considerazione del fatto che il Gipeto è ancora
vulnerabile al rischio di estinzione. A complemento di ciò, questo fenomeno non è assolutamente
conosciuto dall’opinione pubblica né tanto meno dalle associazioni venatorie, e la pratica di
abbandonare i visceri dei capi regolarmente abbattuti è ancora ampiamente attuata.
Sul lungo termine, tuttavia, la soluzione risolutiva e più semplice sarà quella di eliminare l’utilizzo
delle palle di piombo. Si prevede pertanto di attivare la sperimentazione di utilizzo di proiettili che
non contengano piombo.
Di proiettili per arma rigata senza piombo ne esistono molti, sono prodotti e commercializzati
ormai da tutte le case più note e sono perlopiù monolitici. Si definiscono proiettili monolitici quelli
che, invece che essere composti da un nucleo di piombo rivestito da una camiciatura più o meno
complessa, sono formati da un singolo pezzo del medesimo materiale, quasi sempre rame.
L’utilizzo di palle monolitiche nel munizionamento da caccia non è una novità e non si è
sviluppato per rispondere ad esigenze di carattere ambientale, ma più prosaicamente per ottenere
migliori effetti in determinate situazioni di caccia. Una palla composta da un unico compatto blocco
di metallo può garantire una maggior penetrazione, assenza di frammentazione o quasi e quindi,
conservando pressoché tutta la sua massa, maggiore efficacia lesiva. I proiettili monolitici, con
qualche anno di ritardo, hanno fatto ingresso nella caccia agli Ungulati di dimensioni mediopiccole. Attualmente sul mercato ne esistono numerose varianti. In ogni caso si tratta di proiettili
realizzati da un blocco di lega di rame, con percentuali più o meno importanti di zinco o nichel.
L’incognita di questi proiettili, soprattutto nella prima fase del loro sviluppo, è stata che, avendo il
rame un peso specifico ben inferiore a quello del piombo, a parità di calibro e di peso essi risultano
significativamente più lunghi dell’equivalente palla camiciata tradizionale. Questo aspetto può
creare problemi di compatibilità col passo di rigatura delle carabine più comunemente utilizzate. Le
case produttrici di munizionamento hanno aggirato l’ostacolo proponendo pesi inferiori. Il concetto
(semplificato) è che la minore massa verrà compensata dalla maggiore velocità.
In base alle sperimentazioni effettuate in campo negli ultimi anni sembra possibile affermare che
il potere di arresto e la precisione dei proiettili monolitici in rame sia equivalente, se non superiore
a quelli in piombo (Zanon, in verbis). I recenti sviluppi di questo tipo di munizionamento hanno
spinto numerose case produttrici europee a proporre ogive monolitiche, anche in virtù degli aspetti
ambientalisti dell’assenza di piombo. Ancora più recentemente alcune case produttrici hanno
abbandonando di fatto la concezione strettamente “monolitica”: il vecchio nucleo ritorna, non in
piombo, ma in tungsteno che ha un peso specifico ancora maggiore senza avere, per quanto se ne
sappia, i problemi di tossicità del piombo.
Ponendo particolare attenzione agli effetti sull’ambiente, ma senza nel contempo trascurare le
esigenze di sviluppo tecnologico dei proiettili da caccia, sembra concretamente fattibile che in
futuro si usino sempre meno proiettili contenenti piombo. Negli USA, più precisamente in
California, qualche “farmer” illuminato ha già reso obbligatorio l’uso di proiettili “lead-free” nella
propria azienda venatoria. È il caso del famoso “Tejon Ranch” che si è attivato per tutelare la
locale popolazione di condor californiano (Gymnogyps californianus), una specie a rischio di
estinzione. La scelta ha giovato anche all’immagine dei promotori.
In Europa la questione è sul tavolo di diverse istituzioni localmente competenti in materia di
gestione faunistica. Alcuni paesi alpini quali l’Austria e la Germania sono in procinto di adottare
misure rigorose che mettano al bando anche l’utilizzo del piombo nelle munizioni impiegate per la
caccia agli ungulati, al fine di evitare che rimangano nei visceri degli animali colpiti frammenti del
proiettile di piombo capaci di provocare, a loro volta, il decesso dei rapaci necrofagi. E anche sul
versante italiano delle Alpi alcune amministrazioni stanno considerando l’opportunità di un
passaggio graduale alle munizioni senza piombo.
266
Recupero degli animali feriti
Per stabilire l’eventuale ferimento di un animale, è in ogni caso fatto sempre obbligo di verifica
del colpo sparato sul luogo in cui si trovava l’animale al momento dello sparo, indipendentemente
dall’esito accertato del colpo stesso.
Nel caso in cui si presentino le evidenze per le quali sia ipotizzabile anche la minima possibilità di
ferimento del cervo, è fatto obbligo al selecontrollore di provvedere ad una scrupolosa ricerca del
selvatico.
Per le operazioni di ricerca il selecontrollore deve avvalersi di cani del personale di vigilanza
dell’Associazione Cacciatori Trentini, ovvero esclusivamente di binomi cane – conduttore
riconosciuti idonei a tale scopo da parte dell'ACT stessa e inseriti negli albi del Gruppo Conduttori
Cani da Recupero PAT e della Società Amatori Cani da Traccia (in riferimento a quanto previsto
dall’art. 11 delle Prescrizioni tecniche 2008/2009 per l’esercizio della caccia in Provincia di Trento,
approvate con Delibera n. 527 del 15 aprile 2008 dal Comitato faunistico provinciale).
Il ferimento deve essere segnalato nel più breve tempo possibile e comunque entro la fine della
giornata agli Agenti Forestali delle Stazioni di Peio e Rabbi.
Le uscite di verifica dell’eventuale ferimento, per la ricerca e per il recupero di cervi feriti, anche
con l’uso del fucile, devono sempre essere fatte in presenza di uno degli Agenti Forestali del Corpo
Forestale Provinciale delle Stazioni di Peio o Rabbi, ovvero, in caso di impedimento, delle Stazioni
Forestali di Dimaro, Malé e Ossana, secondo le modalità previste in un apposito regolamento che
disciplina l’attività di controllo.
Qualora il cervo ferito si porti all’esterno del territorio del Parco, in una riserva di caccia
confinante, il recupero deve essere preceduto dalla segnalazione del fatto al rettore della riserva
interessata e agli agenti di vigilanza dell’ACT.
Il conduttore di cani da traccia riconosciuto idoneo ed in possesso dell'apposito tesserino
rilasciato dall'ACT, nello svolgimento dell'attività di recupero può portare il suo fucile a canna
rigata, previa segnalazione agli Agenti Forestali delle Stazioni di Peio e Rabbi.
%156+
I costi specifici legati all'azione di realizzazione del piano di controllo possono essere così di
seguito riassunti.
- costi del personale impegnato nell’organizzazione delle attività di controllo (riunioni con la
Provincia Autonoma di Trento e con l’Associazione Cacciatori trentini per la definizione del
Piano di Prelievo complementare, predisposizione del Programma delle uscite dei
selecontrollori);
- costi degli automezzi per i necessari spostamenti;
- costi di personale tecnico e veterinario per la partecipazione al controllo dei capi prelevati;
- costi per le analisi sanitarie previste (paratubercolosi in particolare);
- costi per il materiale necessario all’avvio del piano e al successivo controllo dei capi
prelevati. Tra questi l’acquisto delle fascette da apporre ai cervi prelevati e dei mezzi
necessari al trattamento della spoglia oltre che di tutto il materiale di consumo utile ai vari
campionamenti (schede, sacchetti, contenitori ecc);
- costi per l’adeguamento dell’attuale punto di controllo a disposizione del Parco o la
predisposizione di un nuovo centro di controllo adeguato al numero di soggetti che
dovranno essere controllati;
267
- costi per le attività di gestione e controllo svolte dal personale forestale (materiali e
prestazioni straordinarie).
La predisposizione di un nuovo centro di controllo potrà comportare una spesa elevata. Tuttavia
si ritiene che, durante gli anni in cui verranno realizzati i prelievi di riduzione, la struttura
attualmente utilizzata per il controllo degli animali rinvenuti morti non sia adeguata. Il nuovo centro
di controllo dovrà essere dotato di una cella di dimensioni maggiori di quella attuale e di binario di
entrata per il trasporto degli animali con relativo verricello sollevatore per la pesatura e la
preparazione delle carcasse oltre che di vasca di raccolta residui organici svuotabile regolarmente.
Una siffatta organizzazione necessita di un luogo (macello) apposito in cui effettuare tutte le
operazioni di valutazione, misurazione, prelievo di materiale sui cervi abbattuti e in cui stoccare le
carcasse in attesa del ritiro da parte dei selecontrollori o delle macellerie. La vendita e
commercializzazione delle carni rende obbligatorie le verifiche sanitarie del caso. Per questo sarà
imprescindibile l’utilizzo di un macello a norma e tutti i capi dovranno essere sottoposti a controllo
sanitario. In riferimento agli obblighi di ordine igienico sanitario si precisa che a partire dai nuovi
regolamenti comunitari del 2006 sono stati introdotti o modificati i seguenti obblighi:
268
•
Le carni di selvaggina di grossa taglia possono essere immesse sul mercato soltanto se la
carcassa è trasportata a un centro di lavorazione riconosciuto; i locali ove effettuare le
operazioni di eviscerazione, deposito ed eventuale sezionamento, dovranno essere
riconosciuti ai sensi del Reg. CE 853-2004 art. 4 con i requisiti di cui alla Sezione 1,
allegato I punto 1.18, ovvero dotati dei requisiti strutturali specifici che dovranno
preventivamente essere autorizzati dall’ASL e sommariamente costituiti da una serie di
locali per il ricevimento, lavorazione, deposito in celle frigorifere e spedizione delle carni,
oltre al rispetto del sistema di autocontrollo basati sul sistema HACCP che dovrà essere
attivato e gestito durante il periodo di apertura del centro di raccolta.
•
Gli animali abbattuti dovranno subire una visita sanitaria post-mortem da parte del
veterinario ufficiale dell’ASL come previsto dal Reg. Ce 854-04.
•
Le carni dovranno essere commercializzate con documentazione commerciale (DDT) che
comprovi:
•
il possesso di Riconoscimento sanitario del centro di raccolta e lavorazione della
selvaggina (BOLLO CE) come previsto dal Reg. CE 853-04 e 854-04;
•
i dati relativi alla provenienza dell’animale (zona di caccia) come previsto dal Reg. CE 17802;
•
i dati relativi alla rintracciabilità delle carni n. di lotto sia da parte del centro di raccolta, sia
da parte poi dell’acquirente nei confronti di un’ulteriore scambio commerciale (cessione a
negozi o ristoranti).
•
Le persone che cacciano fauna selvatica al fine di commercializzarla (ovvero se abbattono
o acquistano più di n. 2 capi dovranno:
•
aver effettuato un corsi di formazione con esame finale su materie di igiene e sanità
veterinaria, inerenti le patologie della selvaggina e sulle modalità di trattamento della
selvaggina e delle carni dopo l’abbattimento, come previsto al capitolo I Sezione IV
dell’allegato I
•
aver effettuato presso l’ASL di residenza la registrazione di commercio di carni di
selvaggina uccisa a caccia come previsto dal Reg. CE 852-04, oltre a trasmettere al
venditore al dettaglio o di somministrazione (Macellerie o Ristoranti) i dati relativi alla
tracciabilità e provenienza delle carni commercializzate
Sarebbe opportuno limitare l’attività di commercio al territorio provinciale che sottosta alla stessa
circolare di applicazione delle normative comunitarie citate. (per questo punto risulta conveniente
informare preventivamente le ASL delle Provincie che potrebbero essere interessate).
Al fine di semplificare la procedura e di rimanere nell’ambito di applicazione delle normative
vigenti, risulta consigliabile l’utilizzo di macelli presenti in zona e già abilitati ai sensi dell’attuale
normativa. Solo in alternativa si ritiene ipotizzabile l’utilizzo di una struttura idonea ex-novo, i cui
costi di realizzazione, in relazione al rispetto delle regolamentazioni sanitarie vigenti, risulterebbero
decisamente elevati.
+0&+%#614+&+8#.76#<+10'
- Stesura e approvazione, in accordo con la Provincia Autonoma di Trento e della Consulta
del DF Val di Sole del Piano di conservazione e gestione del cervo per le aree del Parco
dello Stelvio, che tenga conto in termini complementari dei cervi abbattuti in caccia nel DF
Val di Sole e in controllo nel Parco.
- Definizione e approvazione delle zone di rispetto da parte della Consulta della Val di Sole.
- Stesura di un documento finale annuale che relazioni sull’esito degli abbattimenti di
controllo. Questo dovrà contenere oltre alle informazioni numeriche in merito alla quantità
dei capi abbattuti, la loro definizione in termini di sesso ed età. Dovrà essere anche
quantificato lo sforzo resosi necessario e la relativa frequentazione e successo di prelievo a
livello di sottozona. Per l’esecuzione dell’ultimo punto sarà necessaria un accurata analisi
dei libretti di uscita dei selecontrollori.
4+57.6#6+#66'5+
-
Stabilità della popolazione complessiva di cervo;
Riduzione delle densità estive di cervo all'interno del Parco;
Aumento delle densità di cervo nel Distretto faunistico Val di Sole;
Riduzione dei danni sui prati a sfalcio all'interno del Parco;
Aumento della rinnovazione forestale all'interno del Parco;
Crescita della popolazione di capriolo all’interno del Parco.
269
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280
ALLEGATI
ALLEGATO 1: SCHEDE AZIONI
ALLEGATO 2: REGOLAMENTO PER LA CONCESSIONE DI INDENNIZZI PER DANNI
ARRECATI DAGLI UNGULATI SELVATICI
ALLEGATO 3: SCHEDA DI RILEVAMENTO BIOMETRICO
ALLEGATO 1: SCHEDE AZIONI
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.1
Prosecuzione delle attività di monitoraggio standardizzato per le valutazioni quantitative
mediante censimenti notturni primaverili
Obiettivi
Realizzazione di un conteggio annuale standardizzato per ottenere una stima affidabile
della consistenza della popolazione, attraverso il contatto del maggior numero di individui
presenti, mantenendo un buon compromesso tra lo sforzo effettuato e quantità/qualità dei
dati ottenuti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio. Coordinamento con il Distretto Faunistico
Val di Sole.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
In primavera 5/6 notti, 3 delle quali in concomitanza con le riserve della Val di Sole.
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede il ripetersi negli anni degli stessi percorsi, da compiersi mediante
automezzi dotati di faro, al fine di aumentare la contattabilità degli animali. Gli animali
avvistati vengono conteggiati ed annotati su apposita scheda, distinti quando è possibile in
sesso e classi di età. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.2.1.
Personale
A bordo di ogni automezzo (due a Rabbi e due a Peio) deve essere presente un autista, un
addetto all’utilizzo del faro e un addetto al conteggio ed annotazione su apposita scheda
degli individui avvistati. Un dipendente dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle
attività e la raccolta dei dati.
Materiali
4 automezzi, 4 fari, 12 binocoli, schede di campo.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali la pioggia che limita la visibilità, e la presenza di neve sulle
strade forestali che impedisce il completamento dei percorsi stabiliti.
Costi
Manutenzione dei fari e delle apparecchiature ottiche, spese ordinarie degli automezzi e ore
lavorative del personale.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Uscite di censimento. Relazione annuale sugli esiti dei censimenti. Paragone con l’esito
dell’attività di mark-resight e Distance Sampling applicato al Pellet Group Count. I dati
ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Stima di densità, consistenza e dinamica della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.2
Prosecuzione delle attività di monitoraggio standardizzato per le valutazioni quantitative
mediante tecniche di mark-resight
Obiettivi
Valutazione della sottostima dei censimenti notturni con faro mediante l’applicazione della
tecnica del mark-resight. Avvistamento degli individui marcati e/o muniti di collare
catarifrangente, mantenendo un buon compromesso tra lo sforzo effettuato e
quantità/qualità dei dati ottenuti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo di riduzione e per i 5 anni ad esso
successivi.
Tempistica
In primavera 5/6 notti, 3 delle quali in concomitanza con le riserve della Val di Sole.
Modalità
realizzazione
di Contemporaneamente ai censimenti notturni primaverili al faro, vengono segnalati anche i
soggetti muniti di collare catarifrangente, riconosciuti individualmente, al fine di calcolare
con maggiore precisione la sottostima. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.2.1.
Personale
A bordo di ogni automezzo (due a Rabbi e due a Peio) deve essere presente un autista, un
addetto all’utilizzo del faro e un addetto al conteggio ed annotazione su apposita scheda
degli individui avvistati. Un dipendente dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle
attività e la raccolta dei dati.
Materiali
4 automezzi, 4 fari, 12 binocoli, schede di campo.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali la pioggia che limita la visibilità, e la presenza di neve sulle
strade forestali che impedisce il completamento dei percorsi stabiliti.
Costi
Manutenzione dei fari, spese ordinarie degli automezzi e ore lavorative del personale.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Uscite di censimento. Relazione annuale sugli esiti dei censimenti. Paragone con l’esito
dell’attività di Distance Sampling applicato al Pellet Group Count e dei censimenti
primaverili al faro. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Stima della percentuale di sottostima dei censimenti primaverili da applicare come
coefficiente di correzione. Stima di densità della popolazione all’interno del Parco.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.3
Attivazione di tirocini per la valutazione numerica della popolazione mediante Distance
Sampling applicato al Pellet Group Count.
Obiettivi
Stima della densità della popolazione di cervo all’interno del Parco durante il periodo
invernale (ed eventualmente estiva) mediante il conteggio dei gruppi di fatte, mantenendo
un buon compromesso tra lo sforzo effettuato e quantità/qualità dei dati ottenuti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio ed aree ad esso limitrofe.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo di riduzione e per i 5 anni ad esso
successivi. Ad anni alterni
Tempistica
Per la valutazione della densità invernale: dal 20 aprile al 30 maggio.
Per la valutazione della densità estiva: dal 1 settembre al 10 ottobre.
Modalità
realizzazione
di Viene percorso un numero predeterminato di transetti di 100 m di lunghezza, distribuiti in
modo casuale all’interno dell’area di studio, e conteggiati i gruppi di fatte di cervo osservati
e la loro distanza dal transetto. L’applicazione della tecnica del distance sampling permette
di stimare la densità della popolazione. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.2.1.
Personale
2/4 tirocinanti per l’attività di campo, un dipendente dell’ufficio faunistico per il
coordinamento delle attività e la raccolta e analisi dei dati.
Materiali
Spago da 50 m, schede di campo, GPS, barra metrica.
Problematiche
Eccessiva altezza del manto erboso durante la stagione estiva e precoci nevicate durante il
periodo autunnale, riducono la contattabilità delle fatte.
Costi
Ore lavorative del personale e costi di utilizzo dell’autovettura.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Tesi di tirocinio dei tirocinanti coinvolti. Confronti con le stime di densità proveninenti
dall’attività di conteggio mediante mark-resight. I dati ottenuti vengono raccolti in un
apposito database.
Stima di densità della popolazione all’interno del Parco. Stima di occupazione relativa
stagionale dello spazio all’interno del Parco.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.4
Prosecuzione dei monitoraggi standardizzati sui soggetti abbattuti (all’esterno del Parco)
e rinvenuti morti.
Obiettivi
Raccolta dei dati per la caratterizzazione della demografia, della condizione e costituzione
dei cervi presenti all’esterno e all’interno del Parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e Distretto Faunistico Val di Sole.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Durante tutto l’anno. Inserimento dei dati in database a scadenza quadrimestrale.
Modalità
realizzazione
di Per ogni soggetto abbattuto o rinvenuto morto vengono rilevati oltre al sesso e all’età i dati
biometrici, secondo la scheda presente in Allegato 3. Per approfondimenti si rimanda al
capitolo 3.4.
Personale
Tutti gli agenti delle stazioni forestali comprese nel Parco dello Stelvio e nel Distretto
Faunistico Val di Sole; un dipendente dell’ufficio faunistico per la raccolta e l’inserimento dei
dati.
Materiali
Metro rigido, metro flessibile, pesola, calibro digitale, schede di raccolta dati. Un freezer ed
un frigorifero.
Problematiche
Il rinvenimento tardivo dei soggetti può causare l’impossibilità di rilevare alcuni parametri,
poiché la carcassa può essere in avanzato stato di decomposizione o consumata da
animali necrofagi.
Costi
Ore lavorative del personale. Acquisto di materiale per le misurazioni e lo stoccaggio dei
reperti.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il rapporto tra il totale degli animali rinvenuti morti o abbattuti e quelli dei quali sono stati
ricavati i dati biometrici, non deve essere inferiore all’80%. I dati ottenuti vengono raccolti in
un apposito geodatabase. Relazione annuale sullo stato dei rinvenimenti
Stima dello stato quantitativo dei rinvenimenti e degli abbattimenti; stima dello stati
qualitativo della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.5
Campionamenti biometrici sui soggetti abbattuti in controllo (entro Parco) e rinvenuti
morti.
Obiettivi
Raccolta dei dati per la caratterizzazione della demografia, della condizione e costituzione
dei cervi presenti all’esterno e all’interno del Parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo.
Tempistica
Durante la realizzazione dei prelievi mediante abbattimento.
Modalità
realizzazione
di Per ogni soggetto abbattuto vengono rilevati oltre al sesso e all’età i dati biometrici secondo
la scheda presente in Allegato 3. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.4.
Personale
Gli agenti forestali delle stazioni di Rabbi e Peio e il personale dell’ufficio faunistico del
Parco, un dipendente dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle attività e la raccolta e
inserimento dei dati.
Materiali
Metro rigido, metro flessibile, pesola, calibro digitale, schede di raccolta dati. Un freezer ed
un frigorifero.
Problematiche
Il rinvenimento tardivo dei soggetti può causare l’impossibilità di rilevare alcuni parametri,
poiché la carcassa può essere in avanzato stato di decomposizione o consumata da
animali necrofagi.
Costi
Ore lavorative del personale, materiali per effettuare il rilievo, smaltimento degli individui
controllati.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il rapporto tra il totale degli animali rinvenuti morti o abbattuti e quelli analizzati, non deve
essere inferiore al 90%. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito geodatabase.
Stima di entità e distribuzione dei prelievi all’interno del Parco. Stima dello stato qualitativo
della popolazione all’interno del Parco.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.6
Campionamenti sanitari sui soggetti abbattuti in controllo (entro Parco) e rinvenuti morti.
Obiettivi
Raccolta dei dati relativi allo stato sanitario dei cervi presenti all’interno del Parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo.
Tempistica
Durante la realizzazione dei prelievi in controllo e durante tutto l’anno per i rinvenuti morti.
Modalità
realizzazione
di Sul 30-50% dei soggetti per i quali vengono effettuati i rilievi previsti dall’azione A.5, viene
vengono effettuati anche i campionamenti biologici di tessuti al fine di effettuare valutazioni
sanitarie relative alla prevalenza della paratubercolosi e dei carchi di micobatterio nelle feci.
Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.5.
Personale
Gli agenti forestali delle stazioni di Rabbi e Peio e il personale dell’ufficio faunistico del
Parco, un dipendente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Trento, un dipendente
dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle attività e la raccolta dei dati.
Materiali
Sala adeguatamente attrezzata per il trattamento delle spoglie e per effettuare i rilievi
biometrici e i prelievi biologici. Materiale sterile per la raccolta dei campioni. Per una
trattazione di dettaglio relativa ai requisiti della struttura per il trattamento delle spoglie
secondo le vigenti normative comunitarie si veda il capitolo 5.
Problematiche
Il rinvenimento tardivo dei soggetti può causare l’impossibilità di rilevare alcuni parametri,
poiché la carcassa può essere in avanzato stato di decomposizione o consumata da
animali necrofagi.
Costi
Ore lavorative del personale, materiali per effettuare il rilievo, circa 30.000 € per
l’allestimento dei centri di controllo a Rabbi e Peio (escluso l’acquisto o l’affitto degli edifici),
smaltimento dei rifiuti biologici provenienti dagli animali controllati.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il rapporto tra il totale degli animali rinvenuti morti o abbattuti per i quali vengono effettuati i
rilievi previsti dall’azione A.5 e quelli analizzati, non deve essere inferiore al 30-50%. I dati
ottenuti vengono raccolti in un apposito geodatabase.
Stima dello stato sanitario e della condizione - costituzione della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.7
Attivazione annuale di campagne di cattura per il marcaggio di soggetti a fini di
monitoraggio.
Obiettivi
Cattura di almeno 15 soggetti all’anno, per ill raggiungimento di 60 soggetti marcati
contemporaneamente mediante collari colorati per il riconoscimento individuale.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del selecontrollo e per i 5 anni ad esso successivi.
Tempistica
Dal 1 gennaio al 15 aprile; dal 20 settembre al 15 ottobre.
Modalità
realizzazione
di Le catture vengono effettuate mediante trappole di tipo corral durante la stagione invernale
e mediante telenarcosi in free-ranging durante il periodo riproduttivo. Per approfondimenti si
rimanda al capitolo 3.3.
Personale
Gli agenti forestali delle stazioni di Rabbi e Peio e il personale dell’ufficio faunistico del
Parco, un dipendente dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle attività e la raccolta
dei dati. Un veterinario per l’utilizzo dei narcotici e per gli aspetti del benessere degli animali
catturati.
Materiali
Collari colorati e dotati di catarifrangenti, fucile lancia siringhe, siringhe, trasmettitori VHF
per dardi, metro rigido e flessibile per le misurazioni, stringi zampe, coperta termica,
mascherine copri occhi, antenna e radio VHF, narcotici.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali pioggia che limita la visibilità e presenza di neve sulle
strade forestali che impedisce il raggiungimento delle trappole.
Costi
Ore lavorative del personale e 200 €/giorno per il veterinario, 500 €/anno materiali per fucile
lanciasiringhe.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il rapporto tra le giornate di cattura e il numero degli animali catturati non deve essere
inferiore a 1. I dati relativi ai soggetti catturati vengono raccolti in un apposito database. Il
numero di cervi marcati rimane superiore ai 50 individui a regime
Stima della densità della popolazione e della sottostima dei censimenti primaverili mediante
l’applicazione della tecnica del mark-resight . Localizzazione nel tempo degli animali
marcati.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.8
Radiomarcaggio di soggetti con collari GPS per valutare l’effetto del controllo sul
comportamento spaziale dei cervi.
Obiettivi
Cattura di almeno 5 soggetti all’anno, per un totale di 20 marcati contemporaneamente.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo.
Tempistica
Dal 1 gennaio al 15 aprile; dal 20 settembre al 15 ottobre.
Modalità
realizzazione
di Le catture vengono effettuate mediante trappole di tipo corral durante la stagione invernale
e mediante telenarcosi in free-ranging durante il periodo riproduttivo. Per approfondimenti si
rimanda al capitolo 3.3.
Personale
Gli agenti forestali delle stazioni di Rabbi e Peio e il personale dell’ufficio faunistico del
Parco, un dipendente dell’ufficio faunistico per il coordinamento delle attività e la raccolta
dei dati, un veterinario.
Materiali
Radiocollari GPS, fucile lancia siringhe, siringhe, trasmettitori VHF per dardi, metro rigido e
flessibile per le misurazioni, stringi zampe, coperta termica, mascherine copri occhi,
antenna e radio VHF, narcotici.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali pioggia che limita la visibilità e presenza di neve sulle
strade forestali che impedisce il raggiungimento delle trappole.
Costi
Ore lavorative del personale, 200 €/giorno per il veterinario, 500 €/anno per i materiali per il
fucile lanciasiringhe, 10.000 €/anno per l’acquisto di collari GPS.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il rapporto tra le giornate di cattura e il numero degli animali catturati non deve essere
inferiore a 1. I dati relativi ai soggetti catturati vengono raccolti in un apposito database. Il
numero di cervi marcati con radiocollari è superiore a 10.
Valutazione dell’effetto del controllo numerico della popolazione sugli spostamenti e sul
comportamento spaziale dei cervi marcati.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.9
Attivazione annuale di tirocini per la valutazione dell’eventuale diminuzione del
comportamento confidente dei cervi durante il periodo estivo
Obiettivi
Valutare, mediante osservazioni dirette opportunamente pianificate, eventuale modificazioni
nel comportamento diurno e nelle reazioni di fuga del cervo nelle zone di estivazione situate
nel Parco, in relazione all’avvio dei prelievi mediante abbattimenti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo a fini di riduzione e per i 5 anni ad esso
successivi.
Tempistica
Da maggio a ottobre.
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede che vengano definite sessioni standardizzate di osservazione (da punti
fissi o lungo transetti nelle zone di estivazione della popolazione), mediante i quali si ottiene
un valore relativo al numero degli animali avvistati e alla distanza di fuga, al fine di valutare
se il selecontrollo provoca una variazione del comportamento dei cervi nei confronti
dell’uomo.
Personale
Due tirocinanti all’anno e un collaboratore dell’ufficio faunistico per la pianificazione
dell’attività di campo e l’elaborazione dei dati ottenuti.
Materiali
Schede di campo, binocolo, cannocchiale e telemetro.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali pioggia che limita la visibilità e presenza di neve che
impedisce o limita la regolare percorrenza dei transetti.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco. Utilizzo dell’automezzo
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Tesi di tirocinio dei tirocinanti coinvolti. Il numero e la disposizione dei transetti percorsi
deve mantenersi costante negli anni. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito
database.
Valutazione dell’eventuale effetto del controllo numerico sul comportamento dei cervi e
verifica di un eventuale modifica delle reazioni di fuga nei confronti dell’uomo.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.10
Monitoraggio sul lungo termine degli effetti del brucamento sui pascoli delle malghe
Obiettivi
Valutare l’ammanco produttivo dei pascoli utilizzati dal bestiame domestico, causato dal
brucamento dei cervi.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del programma di selecontrollo e per i 5 anni ad esso successivi.
Tempistica
Da giugno a settembre.
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede la realizzazione di recinti di esclusione di 3x3 m, distribuiti nei pascoli
delle malghe, in modo rappresentativo a seconda delle diverse tipologie di pascolo e delle
diverse densità locali di cervo presenti nell’area. La differenza di peso tra l’erba sfalciata
ottenuta all’interno del recinto e lo sfalcio di una porzione equivalente al suo esterno,
fornisce una stima dell’ammanco produttivo dovuto all’attività di brucamento da parte dei
cervi. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.2.
Personale
1/2 persone del Parco per effettuare lo sfalcio e la pesatura.
Materiali
Una pesola, una falce. Materiale per la costruzione dei recinti
Problematiche
Mancata comunicazione dell’arrivo del bestiame sul pascolo della malga da parte del
massaro che comporta una perdita del dato produttivo relativo all’area esterna al recinto di
esclusione, prima dell’inizio dell’alimentazione da parte dei domestici.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Realizzazione di un numero opportuno di recinti, rappresentativi delle situazioni del Parco
(8-15). La quantità dei dati di pesatura ottenuti dai recinti di esclusione non deve essere
inferiore al 90% dei recinti posizionati. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito
database.
Stima dell’impatto percentuale della brucatura dei cervi sui pascoli delle malghe,
differenziato per aree geografiche.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.11
Prosecuzione dei monitoraggi sugli impatti sui prati a sfalcio
Obiettivi
Valutare l’ammanco produttivo causato dal brucamento dei cervi sui prati a sfalcio in
attualità di coltivazione.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del selecontrollo e per i 5 anni ad esso successivi.
Tempistica
Da maggio a settembre.
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede la realizzazione di recinti di esclusione di 3x3 m, distribuiti nella varie
classi di produttività. La differenza di peso tra l’erba ottenuta all’interno del recinto e lo
sfalcio di una porzione equivalente al suo esterno, fornisce l’ammanco produttivo dovuto
all’attività di brucamento da parte dei cervi. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.2.
Personale
1/2 persone per lo sfalcio e la pesata.
Materiali
Una pesola, una falce.
Problematiche
Mancata comunicazione dello sfalcio da parte del proprietario del prato che comporta una
perdita del dato produttivo relativo all’area esterna al recinto di esclusione.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di La quantità dei dati ottenuti dai recinti di esclusione non deve essere inferiore al 90%. I dati
ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Valutazione dell’impatto della brucatura dei cervi sui prati a sfalcio.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.12a
Monitoraggio sul lungo termine degli effetti del brucamento sullo sviluppo del bosco
Obiettivi
Valutazione della dinamica e della potenzialità di rinnovazione del bosco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni 3-5 anni.
Tempistica
Da luglio a settembre
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede la realizzazione di 12 recinti di esclusione di 20x15 m e il confronto con
relative aree di controllo di uguali dimensioni. I recinti devono prendere in considerazione
tre distinte classi di altezza della copertura arborea. Per approfondimenti si rimanda al
capitolo 3.6.1.2.
Personale
Due tirocinanti, un collaboratore dell’ufficio faunistico per la pianificazione dell’attività di
campo e l’elaborazione dei dati ottenuti, operai per la costruzione dei recinti.
Materiali
Carta topografica, scheda di campo, metro flessibile, bussola, corda, metro rigido.
Problematiche
Condizioni meteo avverse, carenza di tempo a disposizione poiché i rilievi coincidono con
l’inizio del periodo vegetativo, relativamente breve per l’attuazione dell’attività prevista,
poiché nevicate precoci possono impedirne il completamento.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco, 10.000 € per la realizzazione dei recinti.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Devono essere indagati tutti i recinti presi in considerazione, così come tutte le aree di
riferimento all’esterno di questi. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Valutazione dell’impatto della brucatura dei cervi sulla rinnovazione del bosco.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.12b
Monitoraggio a lungo termine sull’impatto del cervo sulla vegetazione nel territorio del
Parco
Obiettivi
Raccolta di dati relativi al diversificarsi nell’area dell’impatto del cervo sulla vegetazione
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni 5-10 anni.
Tempistica
Da luglio a settembre.
Modalità
realizzazione
di L’attività prevede il ripercorrere i transetti già monitorati alla fine degli anni ’90. Per
approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.1.3.
Personale
Due tirocinanti, un collaboratore dell’ufficio faunistico per la pianificazione dell’attività di
campo e l’elaborazione dei dati ottenuti.
Materiali
Carta topografica, scheda di campo, metro rigido, stanga metrica.
Problematiche
Condizioni meteo avverse, carenza di tempo a disposizione poiché i rilievi coincidono con
l’inizio del periodo vegetativo, relativamente breve per l’attuazione dell’attività prevista,
poiché nevicate precoci possono impedirne il completamento.
Costi
Ore lavorative di un dipendente dell’ufficio faunistico per la pianificazione dell’attività e
l’elaborazione dei dati.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Deve essere verificato il 100% dei transetti. I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito
database.
Valutazione relativa all’azione di brucamento del cervo su tutto il territorio forestale del
Parco.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.13
Prosecuzione delle azioni di monitoraggio del gipeto e delle azioni per favorire la sua
presenza nel territorio del Parco.
Obiettivi
Avvistamento dei soggetti che transitano nel territorio del Parco, mantenendo un buon
compromesso tra lo sforzo effettuato e quantità/qualità dei dati ottenuti. Valutazione
dell’opportunità e della fattibilità di realizzazione di un carnaio volto all’alimentazione del
gipeto.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Nel mese di novembre.
Modalità
realizzazione
di La contemporanea prevede la disposizione di numerose squadre entro l’area da indagare in
punti in cui l’osservabilità del cielo è massima e la comunicazione tramite radio tra le varie
squadre, al fine di segnare su carta i soggetti avvistati e il percorso che questi compiono in
volo. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.6. Esamina delle attuali normative di
carattere sanitario per una valutazione della fattibilità e dei costi di realizzazione e gestione
di un carnaio.
Personale
Tutti i collaboratori dell’ufficio faunistico del Parco e tutti gli agenti forestali a disposizione.
Materiali
Ogni squadra (20 in tutto) deve disporre di un binocolo, un cannocchiale ed una scheda da
campo.
Problematiche
Scarsa visibilità del cielo a causa delle condizioni metereologiche avverse e difficoltà nel
reperire il personale.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Tutti i punti di osservazione devono essere occupati da almeno un operatore. I dati ottenuti
vengono raccolti in un apposito database.
Quadro storico relativo alla distribuzione della specie.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.14
Censimenti del gallo cedrone in aree campione
Obiettivi
Mantenere costante lo sforzo di campionamento, indagando ogni anno le stesse aree
campione, al fine di ottenere un dato sempre paragonabile nel tempo.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Nel mese di maggio.
Modalità
realizzazione
di I censimenti primaverili sulle arene di canto, ripetuti tre volte per ogni area nell’arco
temporale di una decina di giorni, constano nell’osservazione di tutti i soggetti in
determinate zone determinabile mediante l’ascolto del canto dei maschi, al fine di valutare
l’andamento della popolazione. Tale attività, ripetuta negli anni, è svolta durante le prime
ore del giorno. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.5.
Personale
Collaboratori dell’ufficio faunistico ed agenti forestali del Parco.
Materiali
Schede di campo e binocolo.
Problematiche
Condizioni meteo avverse che causano scarsa visibilità (nebbia) o difficoltà nella
percezione del canto (pioggia).
Costi
Circa 3.200 € per acquisto di 2 binocoli 10x50, ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ogni anno deve essere garantito lo stesso sforzo di campionamento e la copertura di tutte
le aree indagate.
I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Stima dei maschi sulle arene di canto e valutazione della loro presenza nel tempo.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.15
Censimenti di camoscio mediante block-count
Obiettivi
Contattare il maggior numero di soggetti possibile, mantenendo costante lo sforzo di
campionamento.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto.
Modalità
realizzazione
di L’attività di campo consta nella suddivisione del territorio in parcelle di censimento. Ogni
squadra ha il compito di segnalare all’interno di ognuna i soggetti avvistati distinti per sesso
e classe di età, restando in contatto con le squadre limitrofe, per segnalare lo spostamento
di eventuali gruppi avvistati. Il rilievo viene effettuato durante le prime ore di luce della
giornata, momento che garantisce la massima osservabilità della specie. Per
approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.4.
Personale
Collaboratori dell’ufficio faunistico ed agenti forestali del Parco.
Materiali
Schede di campo, binocoli.
Problematiche
Condizioni meteo avverse che causano scarsa visibilità (nebbia).
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ogni anno deve essere garantito lo stesso sforzo di campionamento e la copertura di tutte
le aree indagate.
I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Stima dell’andamento demografico della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.16
Censimenti di capriolo in aree campione
Obiettivi
Contattare il maggior numero di soggetti possibile, mantenendo costante lo sforzo di
campionamento.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Nel mese di luglio.
Modalità
realizzazione
di I censimenti su aree campione, ripetuti tre volte per ogni area nell’arco temporale di una
decina di giorni, hanno lo scopo di valutare l’andamento della popolazione poiché riferiti a
territori monitorati costantemente negli anni. L’operatore ha il compito di osservare la zona
fino al sopraggiungere del tramonto, da due ore ad esso antecedenti, e segnalare su di
un’apposita scheda i soggetti avvistati, distinti per sesso e classi di età. Per
approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.3.
Personale
Collaboratori dell’ufficio faunistico ed agenti forestali del Parco.
Materiali
Schede di campo, binocoli.
Problematiche
Condizioni meteo avverse che causano scarsa visibilità.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ogni anno deve essere garantito lo stesso sforzo di campionamento e la copertura di tutte
le aree indagate.
I dati ottenuti vengono raccolti in un apposito database.
Stima dell’andamento demografico della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Monitoraggi
Azione A.17
Attivazione di tirocini per la valutazione della densità di capriolo mediante Distance
Sampling applicato al Pellet Group Count
Obiettivi
Contattare gruppi di fatte, mantenendo un buon compromesso tra lo sforzo effettuato e la
quantità dei dati ottenuti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio ed aree ad esso limitrofe.
Frequenza
Per tutta la durata del selecontrollo e per i 5 anni ad esso successivi.
Tempistica
Per la valutazione della densità invernale: dal 20 aprile al 30 maggio.
Per la valutazione della densità estiva: dal 1 settembre al 10 ottobre.
Modalità
realizzazione
di Vengono percorsi dei transetti distribuiti in modo casuale all’interno dell’area di studio, i
quali forniscono dati relativi alla densità della popolazione attraverso il conteggio dei gruppi
di fatte presenti sul territorio. Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.2.1.4.
Personale
2/4 tirocinanti per l’attività di campo, un dipendente dell’ufficio fauna per il coordinamento
delle attività.
Materiali
Spago da 50 m, schede di campo, GPS, barra metrica.
Problematiche
Condizioni meteo avverse quali pioggia che limita la visibilità e presenza di neve sulle
strade forestali che impedisce il completamento del percorso stabilito.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Paragone con l’esito dell’attività di censimento. I dati ottenuti vengono raccolti in un
apposito database.
Stima di densità e demografia della popolazione.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.18
Analisi dello status e della dinamica di popolazione di cervo
Obiettivi
Approfondire le conoscenze relative a status e dinamica di popolazione.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio ed aree ad esso limitrofe.
Frequenza
Ogni anno
Tempistica
Per tutto l’anno.
Modalità
realizzazione
di Per mezzo dei dati raccolti grazie alle azioni A.1 - A.17, è possibile ottenere un quadro
complessivo della status e della dinamica di popolazione che occupa l’intera Unità di
Gestione secondo quanto illustrato nel capitolo 4.
Personale
Personale dell’ufficio faunistico del Parco.
Materiali
-
Problematiche
Difficoltà nel reperire alcuni dati poiché forniti da altri enti o strutture.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ogni anno deve essere possibile reperire ed analizzare l’intera serie storica, che richiede il
continuo aggiornamento dei dati, i dati ottenuti vengono raccolti ed analizzati in un apposito
database.
Applicare le conoscenze acquisite nell’ambito della gestione del cervo all’interno del Parco.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.19
Definizione di un regolamento per l’indennizzo dei danni
Obiettivi
Stesura di un regolamento per la refusione dei danni provocati dal cervo all’interno del
parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per il periodo in cui restano elevate le densità di cervo all’interno del Parco.
Tempistica
Il regolamento è stato stilato e reso operativo da gennaio 2007.
Modalità
realizzazione
di I dati ricavati dalle azioni A.10 e A.11 vengono utilizzati per la stesura del regolamento.
Per approfondimenti si rimanda al capitolo 3.6.2 e all’Allegato 2.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del parco per la stesura del regolamento e la sua
modifica nel tempo.
Materiali
-
Problematiche
-
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di La nuova versione del regolamento deve essere pubblicata entro e non oltre il 31/01 di ogni
anno.
Diminuzione della percezione dell’immagine negativa del cervo, poiché animale che
provoca danni.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.20
Definizione di una strategia per l’indennizzo dei danni economici ai boschi privati.
Obiettivi
Rifondere i danni provocati al bosco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per il periodo in cui restano elevate le densità di cervo all’interno del Parco.
Tempistica
Entro il 31/01 di ogni anno deve essere stilato un regolamento valido per l’anno in corso.
Modalità
realizzazione
di Mediante l’identificazione delle maggiori aree di svernamento della specie ed il loro
paragone con i territori da questa non frequentati, è possibile valutare la mancata
rinnovazione del bosco secondo quanto previsto nel capitolo 3.6.1 e nelle azioni A.12a,
A.12b e in conseguenza quantificare l’ammanco produttivo in legname che ne deriva.
Inoltre l’attivazione di azioni volte alla protezione del bosco quali la costruzione di recinti,
favorisce la sua rinnovazione naturale.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del parco per la stesura di un apposito regolamento e la
sua successiva attuazione.
Materiali
-
Problematiche
-
Costi
Ore lavorative del personale del Parco, costi dei materiali per le recinzioni ed eventuali costi
per la rifusione dei danni.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ottenimento di un regolamento atto a rifondere i danni provocati al bosco.
Diminuzione della percezione dell’immagine negativa del cervo, poiché animale che
provoca danni.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.21
Definizione di una strategia per l’organizzazione delle attività turistiche ai fini di una
riduzione del disturbo sulla popolazione di cervo.
Obiettivi
Creazione di una regolamentazione degli accessi nelle zone di tranquillità all’interno del
Parco e delle attività turistiche connesse alle aree di sci-alpinismo, a quelle di bramito e per
la raccolta dei funghi.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Una volta.
Tempistica
Valido durante le stagioni più delicate per la biologia del cervo.
Modalità
realizzazione
di Mediante l’identificazione delle aree di maggiore importanza per la conservazione della
specie, viene stilato un regolamento che limiti e incanali lungo direttrici preferenziali l’azione
di disturbo provocata dall’uomo.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del Parco per la stesura del Regolamento e gli agenti
delle stazioni forestali di Rabbi e Peio le operazioni di vigilanza.
Materiali
-
Problematiche
Difficoltà nella percezione dei divieti da parte della popolazione poiché comportano
riduzione della libertà delle azioni svolte da sempre.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Devono essere rispettate tutte le limitazioni contenute nel regolamento.
Diminuzione dell’azione di disturbo provocata dall’uomo nei confronti del cervo con la
finalità di rendere meno problematici alcuni periodi in cui questa è particolarmente sensibile.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.22
Piano per un razionale ed efficiente utilizzo a fini turistici e di educazione ambientale
della popolazione di cervo del Parco
Obiettivi
Organizzazione di eventi per la valorizzazione turistica della presenza del cervo e
sfruttamento delle peculiarità e potenzialità del Parco per incentivare un turismo
prettamente naturalistico legato alla fruizione della specie.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Durante la stagione dei bramiti.
Modalità
realizzazione
di Organizzazione di un censimento autunnale al bramito per favorire il coinvolgimento di
potenziali turisti; creazione, in collaborazione con tour operator, di pacchetti inerenti l’offerta
turistico-naturalistica di qualità del Parco; partecipazione, in collaborazione con la Trentino
s.p.a. e A.P.T. Val di Sole al progetto “Parchi da vivere” con un pacchetto settimanale nel
mese di settembre in cui si dia spazio agli aspetti legati al bramito del cervo.
Personale
Un collaboratore dell’ufficio faunistico del Parco per la programmazione delle attività e
agenti forestali e ulteriori collaboratori dell’ufficio faunistico del Parco per le attività sul
campo.
Materiali
Attrezzature ottiche, veicoli 4x4, videoproiettori.
Problematiche
Difficoltà nell’avviare una nuova forma di turismo in una zona in cui questa non è mai stata
presa in considerazione.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Aumento delle richieste con il passare del tempo.
Instaurazione di un flusso turistico legato alla presenza del cervo nel Parco.
UG VAL DI SOLE
Analisi e
procedure
Azione B.23
Definizione e stesura di un piano numerico di controllo
Obiettivi
Produzione di un piano numerico di controllo
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni tre anni.
Tempistica
Entro il 31/05 di ogni triennio successivo, deve essere prodotto il nuovo piano di controllo.
Modalità
realizzazione
di Stesura di un apposito regolamento che stabilisca tempi e modalità per la realizzazione del
piano di controllo. Per la visione del primo piano di controllo si rimanda al capitolo 5.4.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del Parco.
Materiali
-
Problematiche
Con le riserve di caccia della Val di Sole in fase di definizione delle zone di controllo e del
numero di capi da abbattere.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Ottenimento di un piano numerico di controllo entro il 31/01 di ogni anno, che sia approvato
da tutte le figure coinvolte nella sua realizzazione.
Applicazione di ciò che è previsto dal piano di controllo.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.24
Attivazione annuale di campagne di cattura per il marcaggio di soggetti a fini di cessione
ad altri enti
Obiettivi
Catturare soggetti ai fini di cessione ad altri enti.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Durante la stagione invernale e quella autunnale dei bramiti.
Modalità
realizzazione
di Le catture vengono effettuate con le stesse modalità previste dall’azione A.7. I soggetti
catturati vengono trattenuti in apposite gabbie e trasportati a destinazione.
Personale
Dipendenti dell’ufficio faunistico del Parco, agenti forestali delle stazioni di Rabbi e Peio.
Materiali
Fucile lancia siringhe, siringhe, dardi, trasmettitori vhf per dardi, metro rigido e flessibile per
le misurazioni, stringi zampe, coperta termica, mascherine copri occhi, antenna e radio vhf,
casse per il trasporto.
Problematiche
Costi
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
Ore lavorative del personale e 200 €/giorno per il veterinario, 500 €/anno materiali per fucile
lanciasiringhe, 50 € all’ora per il trasporto degli animali.
di Il rapporto tra le spese sostenute per la cattura dei soggetti e il guadagno ottenuto dalla loro
vendita, deve risultare positivo.
Fungere da struttura alla quale gli enti interessati alla specie per reintroduzioni o
ripopolamenti, possono appoggiarsi.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.25
Predisposizione di idonee strutture per lo stoccaggio e lo smaltimento dei cervi rinvenuti
morti e per i monitoraggi.
Obiettivi
Smaltire i soggetti rinvenuti morti
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
-
Tempistica
Le strutture devono essere realizzate prima dell’inizio del selecontrollo e dei monitoraggi sui
soggetti rinvenuti morti.
Modalità
realizzazione
di L’azione prevede la realizzazione di apposite celle frigorifere all’interno dei centri di
controllo, munite di sistema di carrucole per facilitare il posizionamento degli animali al loro
interno. Queste contengono circa 7/8 animali.
Personale
-
Materiali
Due celle frigorifere aventi una temperatura inferiore ai 7°C dotate di un sistema di
carrucole.
Problematiche
Per le problematiche legate alla messa a norma dei locali rispetto alle vigenti normative si
veda il capitolo 5.4.9.
Costi
Circa 24.000 € per l’allestimento di due strutture, una sita presso il centro di controllo di
Rabbi e l’altra presso quello di Peio.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Le carcasse stoccate non devono mai superare il numero di 7 individui e il loro smaltimento
deve essere repentino al fine di assicurare spazio libero per l’arrivo di ulteriori carcasse.
Efficienza nelle operazioni di smaltimento degli animali.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.26
Attivazione degli indennizzi sulle attività agricole (prati a sfalcio, recinzioni, pascoli,
coltivazioni)
Obiettivi
Rifondere i danni provocati dalle elevate densità di cervo presenti all’interno del Parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Entro il 31/12 di ogni anno.
Modalità
realizzazione
di La sua realizzazione prevede l’esecuzione del Regolamento per l’indennizzo dei danni da
cervo illustrata nell’azione B 19.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del Parco per l’inserimento dei dati e la verifica delle
dichiarazioni effettuate dai richiedenti, un dipendente dell’ufficio contabilità per effettuare i
versamenti.
Materiali
Recinzioni metalliche e in legno per gli orti e campi dei privati.
Problematiche
False dichiarazioni.
Costi
Circa 25.000 € all’anno per la rifusione dei danni e l’acquisto del materiale per la recinzione
di orti e campi, ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di La rifusione dei danni deve essere effettuata entro e non oltre il termine stabilito
annualmente dal regolamento e la messa in opera delle recinzioni entro 1 anno dalla
fornitura del materiale.
Diminuzione della percezione dell’immagine negativa del cervo, poiché animale che
provoca danni.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.31a
Azioni volte a favorire il ritorno dei grandi predatori mediante la realizzazione di giornate
di comunicazione e di istruzione per target differenti.
Obiettivi
Aumentare le conoscenze relative alla lince della popolazione.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Per tutto l’anno.
Modalità
realizzazione
di Tramite l’istituzione dell’area faunistica dedicata alla lince prevista nell’azione A.29, è
possibile effettuare giornate informative legate all’avvistamento della specie per scuole o
gruppi, unite ad incontri aventi lo scopo di informare gli interessati sulla sua biologia e
conservazione.
Personale
Un dipendente dell’ufficio fauna o didattica del Parco.
Materiali
-
Problematiche
-
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Almeno il 30% delle visite all’area faunistica, devono essere accompagnate.
Aumento della sensibilità nei confronti della specie e delle conoscenze ad essa relative.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.31b
Realizzazione di uno studio sulla dimensione umana legato alle problematiche create dal
cervo nell’area protetta ed alla possibile futura presenza dei grandi carnivori
Obiettivi
Indagare sulle possibili interazioni tra uomo e cervo/grandi carnivori
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Prima e dopo 5 anni dall’inizio del selecontrollo.
Tempistica
-
Modalità
realizzazione
di Mediante l’interrogazione della popolazione che occupa il territorio del Parco, si ottengono
risposte, relative all’indagine effettuata, utili per interpretare la dimensione umana legata
alla figura di cervo e grandi predatori.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del Parco.
Materiali
Un questionario.
Problematiche
Scarsa collaborazione da parte delle persone interrogate.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Deve essere intervistato almeno il 20% della popolazione.
Identificarsi nella popolazione al fine di impostare determinate scelte gestionali
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.31c
Azioni volte a favorire il ritorno dei grandi predatori mediante la realizzazione di un’area
faunistica dedicata alla lince
Obiettivi
Creazione di un’area faunistica dedicata alla lince.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Tempistica
Modalità
realizzazione
L’area faunistica deve essere realizzata entro 3 anni dall’approvazione del seguente piano
di gestione.
di Costruzione di un recinto con annesse le strutture per l’eventuale ricovero degli animali,
secondo le direttive in materia relativa alla loro realizzazione.
Personale
Operai per collaborazione alla realizzazione della struttura, un dipendente del parco
adeguatamente formato per la cura degli animali la manutenzione della struttura e un
dipendente dell’ufficio fauna o didattica per l’accompagnamento dei visitatori.
Materiali
-
Problematiche
Costi elevati che possono suscitare la percezione di spreco delle risorse tra la popolazione.
Costi
Circa 500.000 € per la realizzazione dell’area faunistica.
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Il centro visitatori deve essere frequentato da almeno 10.000 visitatori all’anno.
Aumento della sensibilità nei confronti della specie e delle conoscenze ad essa relative.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.32
Attivazione dei corsi per la formazione dei selecontrollori
Obiettivi
Formare personale in grado di effettuare il selecontrollo all’interno del Parco.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio.
Frequenza
Per tutta la durata del selecontrollo.
Tempistica
I corsi vengono realizzati una volta all’anno almeno 3 mesi prima dell’inizio del
selecontrollo.
Modalità
realizzazione
di Lezioni di 4/8 ore relative alla biologia e conservazione della specie, alle modalità di caccia.
Prova di tiro al poligono per l’abilitazione al controllo.
Personale
Un dipendente dell’ufficio faunistico del Parco e docenti esterni, esperti di gestione
faunistica e tecniche di prelievo.
Materiali
Sala per proiezioni, videoproiettore, dispense.
Problematiche
Scarso coinvolgimento da parte dei cacciatori delle riserve della Val di Sole che può
provocare un numero di iscritti al corso troppo basso rispetto ai selecontrollori necessari per
attuare il piano.
Costi
Ore lavorative del personale del Parco. Costi per i docenti esterni
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Almeno il 70% dei cacciatori della Val di Sole potenzialmente abilitati a diventare
selecontrollori deve iscriversi ai corsi di formazione.
Numero di selecontrollori abilitati sufficiente per completare i piani previsti
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.33
Addestramento degli agenti forestali
Obiettivi
Formare gli agenti forestali
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e territori ad esso limitrofi.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
Almeno 1 mese prima dell’inizio delle attività di selecontrollo.
Modalità
realizzazione
di Gli agenti forestali dovranno seguire un corso di formazione relativo al selecontrollo nel
quale verranno illustrati tempi, modalità e relativi problemi dovuti all’inosservanza dello
stesso e al trattamento delle spoglie.
Personale
Tutti gli agenti forestali delle stazioni di Rabbi, Peio, Ossana e Malè. Personale del Parco,
docenti esterni, veterinari, esperti di gestione faunistica e tecniche di prelievo.
Materiali
Dispense relative al piano di controllo, videoproiettore e sala per proiezioni.
Problematiche
-
Costi
Ore lavorative degli agenti forestali. Costi per i docenti esterni
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di Non si devono verificare errori nell’attuazioni del selecontrollo dovuti a fenomeni di
bracconaggio o inosservanza del regolamento stabilito.
Autonomia da parte degli agenti forestali nelle operazioni di vigilanza relative al
selecontrollo.
UG VAL DI SOLE
Attività
Azione C.34
Realizzazione di piani di controllo
Obiettivi
Attuare quanto stabilito dal piano di controllo.
Area di riferimento
Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e territori ad esso limitrofi.
Frequenza
Ogni anno.
Tempistica
In concomitanza con la stagione venatoria nelle riserve di caccia.
Modalità
realizzazione
di All’interno di aree ben definite, viene effettuato il selecontrollo, secondo quanto stabilito nel
capitolo 5.4.
Personale
Selecontrollori abilitati al prelievo di cervi all’interno del Parco, agenti forestali per la
vigilanza, dipendenti dell’ufficio faunistico per i controlli sanitari sul capo abbattuto.
Materiali
Realizzazione dei centri di controllo.
Problematiche
Inosservanza di quanto stabilito dal piano.
Costi
Ore lavorative del personale del parco e degli agenti forestali
Indicatori
valutazione
Risultati attesi
di I piani previsti devono essere completati nella loro totalità e il 100% degli animali abbattuti
deve passare tramite il centro di controllo.
Riduzione della popolazione di cervo all’interno del parco.
ALLEGATO 2: REGOLAMENTO INDENNIZZO DANNI
REGOLAMENTO PER LA CONCESSIONE DI
INDENNIZZI PER DANNI ARRECATI DAGLI
UNGULATI SELVATICI – ANNO 2008
FISSAZIONE DELLE MODALITÀ E PROCEDURE PER LA CONCESSIONE DELL’INDENNIZZO
E DEI MATERIALI PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE DI PREVENZIONE PER DANNI
ARRECATI DAGLI UNGULATI SELVATICI ALLA PRODUZIONE AGRICOLA, AI PRATI-PASCOLI
E AGLI ORTI ALL’INTERNO DEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO
FINALITA’ E INDENNIZZO
Art. 1 - Nel territorio del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio l’indennizzo dei
danni arrecati dagli ungulati selvatici alle colture agrarie, viene effettuato dall’Ufficio periferico
del Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio del Parco
Nazionale dello Stelvio (Comitato di Gestione), ai sensi dell’art. 15 della legge 394/91. Il
presente Regolamento disciplina, ai sensi dell’art. 15, comma 4 della stessa Legge, le modalità
per la richiesta, l’accertamento, la valutazione e la liquidazione dell’indennizzo dei danni
provocati dal cervo e dalle restanti specie di ungulati selvatici all’interno del territorio del Parco.
Art. 2 - Alle spese relative agli indennizzi si fa fronte con apposito capitolo di bilancio, la cui
dotazione, adeguata al prevedibile fabbisogno, è annualmente determinata dal Comitato di
Gestione, ai sensi dell’art. 6, comma 6 del DPCM 26/11/1993. Nel caso in cui la dotazione
annuale non risulti sufficiente a garantire la copertura del fabbisogno totale, per la priorità nella
liquidazione degli indennizzi farà fede la data di presentazione della domanda. Le restanti
richieste di indennizzo saranno liquidate entro il 30 settembre dell’anno successivo alla
presentazione della domanda.
Art. 3 - L’accertamento del danno e la valutazione del suo indennizzo sono determinati sulla
base dei principi equitativi e si devono attenere a criteri uniformi per tutto il territorio del Parco.
Art. 4 - L’indennizzo non può essere erogato qualora si usufruisca di eventuali
indennizzi/risarcimenti da parte di altri Enti.
Art. 5 - Le provvidenze si riferiscono all’indennizzo dei danni causati dagli ungulati selvatici ed
alla realizzazione di opere di prevenzione secondo le fattispecie ammesse all’art. 7. L’ambito di
applicazione del presente Regolamento è il territorio ricadente all’interno del Settore trentino del
Parco Nazionale dello Stelvio. Per ungulati selvatici si intendono esemplari appartenenti alle
specie cervo, capriolo, camoscio e stambecco.
DEFINIZIONE DEL DANNO CAUSATO DAGLI UNGULATI SELVATICI ALLE ATTIVITA’
AGRICOLE
Art. 6 - Il danno insorge:
a) a carico dei prati a sfalcio in attualità di coltivazione in quanto la costante attività di
alimentazione degli ungulati selvatici diminuisce, in termini percentuali, la produttività
degli stessi;
b) a carico dei pascoli secondari e dei campivoli monticati in prossimità delle malghe in
quanto la costante attività di alimentazione degli ungulati selvatici diminuisce in termini
percentuali la produttività degli stessi;
c) a carico degli orti e dei campi, in attualità di coltivazione per fini privati e ad utilizzo
personale dei prodotti, quando l’azione degli ungulati selvatici danneggia per utilizzo o
calpestio le colture e i prodotti stessi;
d) a carico delle coltivazioni agricole, che costituisco fonte primaria di reddito, quando
l’azione degli ungulati selvatici danneggia le colture, i raccolti e/o le strutture connesse e
funzionali alle coltivazioni stesse.
Art. 7 - Le fattispecie ammesse alle procedure di indennizzo o alla fornitura di materiali per la
realizzazione di azioni di prevenzione sono le seguenti:
a)
b)
c)
d)
danni da brucamento ai prati a sfalcio;
danni da brucamento ai pascoli monticati;
danni da consumo e calpestio a orti e campi privati;
danni da consumo e calpestio a produzioni agricole di interesse economico (piccoli frutti,
ortaggi e cereali).
DANNI DA BRUCAMENTO AI PRATI A SFALCIO
Art. 8 - Per i prati a sfalcio in attualità di coltivazione è assunto un danno inteso come
percentuale media di ammanco nella produzione di fieno per ettaro, dovuto alla brucatura degli
ungulati selvatici. La stima media degli ammanchi è stata effettuata dal Comitato di Gestione ed
i risultati riassuntivi del lavoro sono forniti in allegato al presente regolamento.
Art. 9 - L’indennizzo è concesso nella misura del 70% per le classi 2 e 3 e per la classe 1 dell’
80% del valore ammesso del prodotto perduto, pari all’ammontare del valore del prodotto
mediamente sottratto dall’attività di brucatura degli ungulati selvatici, solo nel caso in cui la
produzione non venga successivamente distrutta. I prati appartenenti alla classe 3 che ricadono
nella tipologia di meccanizzazione “A” indicata dalle misure agroalimentari del Piano di
Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento sono soggetti ad un’ulteriore riduzione del
20% rispetto all’indennizzo previsto.
Art. 10 – Per i prati a sfalcio in attualità di coltivazione è previsto un indennizzo forfetario per
ettaro di prato secondo la seguente tabella:
PRATO A SFALCIO
Classe 1
Classe 2
Classe 3
Classe 3 – meccanizzazione “A”
VALORE AMMESSO DEL
PRODOTTO PERDUTO
95 € / ha
199 € / ha
216 € / ha
216 € / ha
INDENNIZZO
76 € / ha
139 € / ha
151 € / ha
121 € / ha
Art. 11 - La tipologia di classe di produttività di ciascuna particella fondiaria (pf) è riportata
nella cartografia di sintesi allegata al seguente regolamento. Le cartografie di dettaglio in scala
1:10.000 e 1:3.000 approvate dal Comitato di Gestione, sono depositate per la consultazione a
Cogolo di Peio presso la sede del Comitato stesso e a San Bernardo presso la sede del
Comune di Rabbi.
Art. 12 - Le stime dei valori di produttività dei prati, delle percentuali di ammanco dovute alla
brucatura degli ungulati selvatici e delle spese ammesse sono dettagliate in allegato al presente
regolamento.
Art. 13 - Sono beneficiari delle provvidenze tutti gli operatori agricoli (conduttori dei fondi) e i
soggetti privati che mantengono i prati in attualità di coltivazione. Per ciascuna particella
fondiaria sottoposta a sfalcio è ammesso l’indennizzo annuale ad un solo soggetto.
Art. 14 - Le domande per beneficiare degli indennizzi vanno inoltrate dagli interessati, nel
periodo compreso tra il 1 gennaio 2008 e il 15 giugno 2008, all’Ufficio periferico di Cogolo del
Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale
dello Stelvio, via Roma 65 – 38024 Cogolo di Peio (TN), agli uffici comunali e alle stazioni
forestali di Peio e Rabbi negli orari di ufficio, mediante la compilazione dell’apposito modulo.
Art. 15 - Il Comitato di Gestione potrà effettuare controlli per verificare la veridicità di quanto
dichiarato dal beneficiario in autocertificazione e provvedere alla revoca dell’indennizzo in caso
di dichiarazioni non veritiere, fatte salve le eventuali responsabilità penali.
DANNI DA BRUCAMENTO AI PASCOLI MONTICATI
Art. 16 - Per i pascoli secondari e i campivoli monticati in prossimità delle malghe è assunto
un danno inteso come ritardo temporale nell’inizio della monticazione, dovuto al rallentamento
della produzione dei pascoli per brucamento intensivo da parte degli ungulati selvatici.
La stima media dell’indennizzo è stata effettuata dal Comitato di Gestione e va riferita a
ciascun capo di bestiame bovino e ovicaprino presente in alpeggio.
Il Comitato di Gestione si riserva l’opzione di surrogare l’indennizzo con opere di
manutenzione agli alpeggi di equipollente valore.
Art. 17 - L’indennizzo è concesso per i territori e per i capi monticati sulle seguenti malghe
differenziate nelle sotto riportate classi:
CLASSE
1
2
3
MALGHE
Paludè, Pontevecchio
Borche-Levi, Covel, Cercen, Stablasolo, Stablaz
Artisè, Fratte, Monte Sole, Saline, Villar, Cespedè
Attualmente Malga Saènt è esclusa dall’elenco sopra riportato in quanto in disponibilità del
Comitato di Gestione con contratto di locazione.
Art. 18 - Per i pascoli secondari monticati e per i campivoli delle malghe attive è previsto un
indennizzo forfetario per capo bovino o ovicaprino presente all’alpeggio secondo la seguente
tabella:
CAPO
INDENNIZZO
CLASSE 1
INDENNIZZO
CLASSE 2
Vacche da latte e sopra i 24 mesi
Vacche di 6-24 mesi
Capre
Pecore
Cavalli
4.00 € / capo
2.00 € / capo
1.20 € / capo
0.70 € / capo
4.00 € / capo
6.00 € / capo
3.00 € / capo
1.20 € / capo
0.70 € / capo
6.00 € / capo
INDENNIZZO
CLASSE 3
10.00 € / capo
5.00 € / capo
1.20 € / capo
0.70 € / capo
10.00 € / capo
Art. 19 - Sono beneficiari delle provvidenze i massai delle malghe o i legali rappresentanti
delle società di alpeggio. Per ciascuna malga di cui all’art. 18 è ammesso l’indennizzo annuale
ad un solo soggetto.
Art. 20 - Le domande per beneficiare degli indennizzi vanno inoltrate dagli interessati, nel
periodo compreso tra il 1 gennaio 2008 e il 15 giugno 2008, all’Ufficio periferico di Cogolo del
Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio del Parco Nazionale
dello Stelvio, via Roma 65 – 38024 Cogolo di Peio (TN), agli uffici comunali e alle stazioni
forestali di Peio e Rabbi negli orari di ufficio, mediante la compilazione dell’apposito modulo
(Allegato 4).
Art. 21 - Il Comitato di Gestione potrà effettuare controlli per verificare la veridicità di quanto
dichiarato dal beneficiario in autocertificazione e provvedere alla revoca dell’indennizzo in caso
di dichiarazioni non veritiere, fatte salve le eventuali responsabilità penali.
DANNI DA CONSUMO E CALPESTIO A ORTI E CAMPI PRIVATI
Art. 22 - Il Comitato di Gestione favorisce le spese per la realizzazione di azioni e misure di
prevenzione, secondo le indicazioni fornite, al fine di eliminare o ridurre le condizioni
determinanti una vulnerabilità, rispetto agli ungulati selvatici, delle colture.
Art. 23 - Nell’ambito della presente attività il Comitato di Gestione può inoltre direttamente
realizzare e fornire strutture o strumenti idonei allo scopo. La realizzazione delle azioni previste
comporta la rinuncia ad ulteriori forme di indennizzo.
Art. 24 - Per gli orti e i campi coltivati ad uso familiare il Comitato di Gestione fornisce, a titolo
gratuito, a chi ne farà richiesta, il materiale per la costruzione di recinzioni a difesa delle colture,
che limitino il rischio di danno alle fattispecie individuate dall’art. 7, lettera c).
Art. 25 - Le fattispecie ammesse alla fornitura di paleria e rete per la costruzione della
recinzione sono le seguenti:
a) orti coltivati per utilizzo familiare posizionati nelle pertinenze di una struttura
permanentemente utilizzata con perimetro non superiore ai 40 metri;
b) campi coltivati per utilizzo familiare con perimetro non superiore ai 100 metri.
Art. 26 – Per metrature superiori a 40 m, il proprietario può richiedere la fornitura a pagamento
anche direttamente al Parco.
Art. 27 - Sono beneficiari delle provvidenze tutti i proprietari degli orti e/o campi che ne
facciano richiesta.
Art. 28 – Nel caso di orti o campi contigui, la recinzione fornita dal Parco potrà limitarsi al solo
perimetro esterno della somma delle particelle interessate.
Art. 29 - Le domande per beneficiare della fornitura dei materiali vanno inoltrate dagli
interessati, nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2008 e il 31 marzo 2008, all’Ufficio periferico
di Cogolo del Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio del
Parco Nazionale dello Stelvio, via Roma 65 – 38024 Cogolo di Peio (TN), agli uffici comunali e
alle stazioni forestali di Peio e di Rabbi negli orari di ufficio, mediante la compilazione
dell’apposito modulo (Allegato 6).
Art. 30 - Ogni anno il Comitato di Gestione stabilirà un importo destinato alla fornitura dei
materiali per le recinzioni. La data di presentazione delle domande farà fede per soddisfare le
richieste. Le domande relative al primo orto e/o campo, di cui ciascun proprietario richiede la
recinzione, saranno progressivamente accolte secondo la data di presentazione della domanda
stessa. In seguito verranno accolte le domande successive di ciascun proprietario sino al
termine del materiale disponibile per il corrente anno. Le domande restanti saranno soddisfatte
nell’anno successivo alla presentazione della domanda. L’accoglimento delle domande verrà
comunicato agli interessati tramite lettera, nella quale sarà specifica la quantità e la tipologia dei
materiali concessi e luogo e modalità per il ritiro degli stessi.
Art. 31 - Il Comitato di Gestione potrà effettuare controlli e sopralluoghi per verificare le
necessità e le tipologie costruttive di recinzione da utilizzare.
Art. 32 - A seguito delle domande pervenute, il Comitato di Gestione si occuperà direttamente
della preparazione degli elaborati progettuali con estratto mappa delle particelle interessate,
complete di computo metrico, stima dei lavori necessari, della dichiarazione di inizio lavori e
fornirà il materiale.
Art. 33 - La realizzazione delle recinzioni diviene obbligatoria per il beneficiario una volta che
il materiale richiesto sia stato accordato entro un anno dalla fornitura del materiale. La messa
in opera della recinzione è a carico del beneficiario. In fase successiva, per le recinzioni
fornite dal Comitato di Gestione, sono ammesse richieste di materiale per azioni di
manutenzione straordinaria, previa valutazione da parte del Comitato stesso.
Art. 34 - Il Comitato di Gestione potrà effettuare controlli e sopralluoghi per verificare la
corretta realizzazione delle opere previste e la veridicità di quanto dichiarato dal beneficiario in
autocertificazione e provvedere al ritiro dei materiali in caso di dichiarazioni non veritiere, fatte
salve le eventuali responsabilità penali.
DANNI DA CONSUMO E CALPESTIO A PRODUZIONI AGRICOLE DI INTERESSE
ECONOMICO
Art. 35 - Per le produzioni agricole di interesse economico relative a coltivazioni intensive di
piccoli frutti, cereali ed ortaggi, la causa e l’ammontare del danno devono essere accertate e
certificate dal personale dell’Ufficio periferico, il quale ha anche il compito di raccogliere
eventuali prove testimoniali.
Art. 36 - Il Comitato di Gestione, per mezzo del proprio personale tecnico dell’Ufficio
periferico, provvede a valutare l’entità del danno e a liquidarne l’indennizzo.
DENUNCIA DEL DANNO
Art. 37 - La denuncia del danno deve essere effettuata dall’interessato presso l’Ufficio
periferico di Cogolo del Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Consorzio
del Parco Nazionale dello Stelvio, via Roma 65 – 38024 Cogolo di Peio (TN), agli uffici
comunali e alle stazioni forestali di Peio e Rabbi negli orari di ufficio, mediante la compilazione
dell’apposito modulo, entro 2 giorni dall’evento.
Art. 38 - La denuncia deve essere effettuata in carta libera, impiegando l’apposto modulo in
allegato al presente regolamento, deve contenere tutti gli elementi in esso indicati e deve
essere sottoscritta dal danneggiato.
Art. 39 - In caso di danni alle colture il danneggiato deve astenersi dal procedere a qualsiasi
operazione di tipo agronomico sulla coltura danneggiata per almeno 5 giorni successivi alla
denuncia, al fine di consentire l’accertamento del danno.
ACCERTAMENTO DEL DANNO
Art. 40 - L’accertamento del danno viene disposto da parte del personale dell’Ufficio periferico
individuato con apposito atto dal Dirigente del Comitato di Gestione.
Art. 41 – Al responsabile dell’accertamento del danno dipendente dal Comitato di Gestione, è
affidato il compito di raccogliere le denunce, redigere il verbale di accertamento dell'evento
dannoso, certificarne la causa, procedere alla quantificazione del danno e trasmettere la
documentazione alla Direzione del Comitato di Gestione per le procedure di risarcimento.
L'accertamento sarà effettuato nel minor tempo possibile dalla denuncia e comunque entro il
termine minimo consentito affinché i danni siano rilevabili.
Art. 42 - Il responsabile dell’accertamento del danno redige un verbale contenente i dati della
denuncia di cui all'art. 37, l'accertamento del danno, la quantificazione e la proposta di
indennizzo con altre eventuali informazioni ed indicazioni utili a diminuire la vulnerabilità
dell'attività danneggiata.
Il verbale di accertamento, redatto su apposita modulistica predisposta dal Comitato di
Gestione, dovrà indicare:
-
il titolo di possesso e l’ubicazione catastale delle particelle fondiarie interessate;
la descrizione dello stato colturale generale (tipo di coltura, fase vegetativa,
cure colturali);
- la descrizione del danno (cause e tipo di danno);
- eventuali misure di protezione adottate o non adottate;
- la quantificazione del danno desunta;
- eventuali altri elementi utili per il procedimento estimativo quale la
documentazione fotografica.
L’accertamento deve avvenire in presenza e in contraddittorio con il richiedente.
Eventuali rilievi o eccezioni devono essere riportate nel verbale. Qualora il danneggiato
sottoscriva per accettazione il verbale, ricevendone copia, questo costituisce proposta
formale e motivata di indennizzo.
Art. 43 - Nel caso in cui l’agricoltore, in mancanza di accordo, non sottoscriva il verbale di
accertamento dei danni, dovrà essere presentata una controperizia firmata da un tecnico
abilitato entro 30 giorni dal sopralluogo. Trascorso tale termine senza che sia stata presentata
la controperizia, si provvederà alla liquidazione del danno in base alla perizia effettuata per
conto del Comitato di Gestione. Nel caso in cui venga presentata una controproposta, questa
sarà valutata dal Dirigente dell’Ufficio periferico e sottoposta per l’approvazione al Comitato di
Gestione.
VALUTAZIONE DEL DANNO
Art. 44 - La valutazione economica del danno viene effettuata dal Comitato di Gestione, per
mezzo del responsabile dell’accertamento del danno.
Art. 45 - La determinazione economica del danno viene eseguita sulla base di indagini di
mercato comparative e sulla base di valori fissati dai mercurali della Camera di Commercio
territorialmente competente.
Art. 46 - La stima definitiva, ai fini dell’indennizzo, sarà sottoscritta dal Dirigente dell’Ufficio
periferico del Comitato di Gestione, che dovrà predisporre inoltre gli atti affinché si possa
procedere alla liquidazione di quanto dovuto.
Art. 47 - Il valore dell’indennizzo per i danni di cui all’art. 34 non potrà superare il 60% della
valutazione della mancata produzione vendibile, accertata a seguito del danno o dell’eventuale
deprezzamento del prodotto.
LIQUIDAZIONE
Art. 48- Per la concessione degli indennizzi di cui agli art. 9, 17 e 46, l’importo minimo del
danno ammissibile che può essere indennizzato è pari a 30 €.
Art. 49 – Non sono indennizzabili danni da consumo e calpestio a produzioni agricole di
interesse economico di cui all’art. 7, lettera d) di importo stimato superiore ai 1.000 €, in quanto
già indennizzabili dal Servizio Strutture, Gestione e Sviluppo delle Aziende agricole, in base
all’art. 6.1, lettera a) della DGP 4 ottobre 1996 n. 12609.
Art. 50 - Il Consorzio provvede tramite l’Ufficio periferico del Comitato di Gestione alla
liquidazione degli indennizzi, di cui agli art. 9, 17 e 45, ove non sia impedito da obiettive
difficoltà di carattere amministrativo:
a) entro il 31/10/2008 relativamente alla richiesta di indennizzo per le fattispecie di cui
all’art. 7, lettere a) e b)
b) entro 60 giorni dalla denuncia del danno per le fattispecie di cui all’art. 7, lettera d).
Art. 51 - Il Consorzio provvede tramite l’Ufficio periferico del Comitato di Gestione alla fornitura
del materiale, di cui all’ art. 25, ove non sia impedito da obiettive difficoltà di carattere
amministrativo entro un anno dalla data della richiesta.
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 52 – Entro il 28 febbraio di ogni anno in cui è stata sporta denuncia, viene sottoposta
all’approvazione del Comitato di Gestione, da parte degli uffici del Consorzio, una relazione
contenente il rendiconto degli interventi effettuati nell’anno precedente, una sintesi tecnica
dell’attività svolta nell’ambito del Regolamento ed eventuali proposte per migliorarne l’efficacia.
ALLEGATO 3: SCHEDA DI RILEVAMENTO
BIOMETRICO