Lectio Divina - Zona Pastorale

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Lectio Divina - Zona Pastorale
Lectio Divina
venerdì 1 luglio 2016 – Cereglio – casa di Ughetta Trippa
INTRODUZIONE SUL LIBRO DI TOBIA
Note storiche e letterarie.
Il Libro di Tobia nel canone biblico cristiano è all’interno dei libri storici, ma
probabilmente il suo genere lo preferirebbe tra i testi sapienziali: si tratta di una storia
a carattere morale ed edificante, una storia verosimile, ma fittizia.
Probabilmente il libro è stato composto originariamente in aramaico (poi tradotto
in ebraico e più recentemente in greco) attorno al III secolo a.C. durante il dominio
greco da un giudeo osservante, molto religioso e profondamente legato alle proprie
tradizioni, che però non viveva più in Palestina, forse in Mesopotamia. Il libro nasce
in un’epoca nella quale era già stata composta una buona parte della bibbia ebraica.
L’autore certamente attinge anche a fonti extrabibliche, quali storie mesopotamiche
Il libro non è riconosciuto sacro né dall’ebraismo, né – di conseguenza – dalle
comunità della Riforma. Alcune parti del libro sono state, però, scoperte a Qumran,
segno della diffusione del testo anche in ambienti religiosi del I sec. d.C. La Chiesa
cattolica ne riconosce la canonicità sulla scia di S. Agostino, canonicità confermata
una volta per sempre nel Concilio di Trento.
Trama.
Il libro si presenta come l’intreccio di due storie avvenute tra l’VIII e il VII secolo
a.C al tempo del re Assiro Sennacherib. Si racconda della vicenda di Tobi, di sua
moglie Anna e del figlio Tobia, deportati a Ninive in Assiria (nell’attuale Siria); e
della vicenda di Sara, figlia di Raguel ed Edna, che abitava a Ecbatana (nell’attuale
Iran), città molto distante da Ninive. Il protagonista è l’arcangelo Raffaele, che
assume le sembianze di Azaria, amico di Tobi e che accompagna Tobia nel lungo
viaggio in oriente a recuperare del denaro di suo padre presso un suo amico, che,
guarda caso, abita vicino a Ecbatana. Come avviene in tutte le famiglie, sia in casa di
Tobi che in casa di Sara si dovranno affrontare delle prove molto pesanti, che
indurranno i protagonisti addirittura di chiedere a Dio di morire. La storia si
concluderà con un lieto fine.
Genere letterario e chiavi di lettura.
Una storia del genere conserva tutto il suo valore per la fede, è una parola che Dio
ci offre, ma che richiede di essere ben compresa. Il libro ha lo scopo di aiutare a
riflettere sul rapporto tra fede e vita; nella storia di Tobia e Sara ognuno può ritrovare
in parte la propria storia e imparare a cambiare la sua vita. Un altro scopo è il
mostrare come si può rimanere fedeli a Dio anche al di fuori della propria patria e
all’interno di una cultura molto differente dalla propria.
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Dal Libro di Tobia (1,1-22)
[1]Libro della storia di Tobi, figlio di Tòbiel, figlio di Anàniel, figlio di Aduel, figlio di
Gàbael, della discendenza di Asiel, della tribù di Nèftali.
[2]Al tempo di Salmanàssar, re degli Assiri, egli fu condotto prigioniero da Tisbe, che
sta a sud di Kades di Nèftali, nell'alta Galilea, sopra Casor, verso occidente, a nord di
Sefet.
[3]Io, Tobi, passavo i giorni della mia vita seguendo le vie della verità e della giustizia.
Ai miei fratelli e ai miei compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a
Ninive, nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine. [4]Mi trovavo ancora al mio
paese, la terra d'Israele, ed ero ancora giovane, quando la tribù del mio antenato Nèftali
abbandonò la casa di Davide e si staccò da Gerusalemme, la sola città fra tutte le tribù
d'Israele scelta per i sacrifici. In essa era stato edificato il tempio, dove abita Dio, ed era
stato consacrato per tutte le generazioni future. [5]Tutti i miei fratelli e quelli della tribù
del mio antenato Nèftali facevano sacrifici sui monti della Galilea al vitello che
Geroboàmo re d'Israele aveva fabbricato in Dan. [6]Io ero il solo che spesso mi recavo a
Gerusalemme nelle feste, per obbedienza ad una legge perenne prescritta a tutto Israele.
Correvo a Gerusalemme con le primizie dei frutti e degli animali, con le decime del
bestiame e con la prima lana che tosavo alle mie pecore. [7]Consegnavo tutto ai
sacerdoti, figli di Aronne, per l'altare. Davo anche ai leviti che allora erano in funzione a
Gerusalemme le decime del grano, del vino, dell'olio, delle melagrane, dei fichi e degli
altri frutti. Per sei anni consecutivi convertivo in danaro la seconda decima e la
spendevo ogni anno a Gerusalemme. [8]La terza decima poi era per gli orfani, le
vedove e i forestieri che si trovavano con gli Israeliti. La portavo loro ogni tre anni e la
si consumava insieme, come vuole la legge di Mosè e secondo le raccomandazioni di
Debora moglie di Anàniel, la madre di nostro padre, poiché mio padre, morendo, mi
aveva lasciato orfano. [9]Quando divenni adulto, sposai Anna, una donna della mia
parentela, e da essa ebbi un figlio che chiamai Tobia.
[10]Dopo la deportazione in Assiria, quando fui condotto prigioniero e arrivai a Ninive,
tutti i miei fratelli e quelli della mia gente mangiavano i cibi dei pagani;[11]ma io mi
guardai bene dal farlo. [12]Poiché restai fedele a Dio con tutto il cuore, [13]l'Altissimo
mi fece trovare il favore di Salmanàssar, del quale presi a trattare gli affari. [14]Venni
così nella Media, dove, finché egli visse, conclusi affari per conto suo. Fu allora che a
Rage di Media, presso Gabael, un mio parente figlio di Gabri, depositai in sacchetti la
somma di dieci talenti d'argento. [15]Quando Salmanàssar morì, gli successe il figlio
Sennàcherib. Allora le strade della Media divennero impraticabili e non potei più
tornarvi. [16]Al tempo di Salmanàssar facevo spesso l'elemosina a quelli della mia
gente; [17]donavo il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno dei
miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo.
[18]Seppellii anche quelli che aveva uccisi Sennàcherib, quando tornò fuggendo dalla
Giudea, al tempo del castigo mandato dal re del cielo sui bestemmiatori. Nella sua
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collera egli ne uccise molti; io sottraevo i loro corpi per la sepoltura e Sennàcherib
invano li cercava. [19]Ma un cittadino di Ninive andò ad informare il re che io li
seppellivo di nascosto. Quando seppi che il re conosceva il fatto e che mi si cercava per
essere messo a morte, colto da paura, mi diedi alla fuga. [20]I miei beni furono
confiscati e passarono tutti al tesoro del re. Mi restò solo la moglie Anna con il figlio
Tobia.
[21]Neanche quaranta giorni dopo, il re fu ucciso da due suoi figli, i quali poi fuggirono
sui monti dell'Ararat. Gli successe allora il figlio Assarhaddon. Egli nominò Achikar,
figlio di mio fratello Anael, incaricato della contabilità del regno ed ebbe la direzione
generale degli affari. [22]Allora Achikar prese a cuore la mia causa e potei così ritornare
a Ninive. poiché Achikar anche sotto Sennàcherib, re d'Assiria, era stato gran coppiere, custode
del sigillo, primo ministro e direttore dei conti, e Assarhaddon l'aveva confermato in carica: era
mio nipote.
PAROLA DI DIO
RENDIAMO GRAZIE A DIO
AIUTO ALLA LETTURA
1,1. Chi è Tobia. Tobia è il figlio di Tobi. Galileo della tribù di Neftali, una delle tribù meno
importanti, ma sempre israelita. Tutti i nomi contengono la desinenza –el, cioè il nome ebraico di
Dio, segno che i protagonisti sono posti sotto la protezione divina. Tobi non è un uomo senza radici:
ha un passato che lo definisce.
1,2. Prigioniero degli Assiri in Galilea. Il tempo di Salmanassar si colloca tra il 727 a.C. e il 722
a.C.: durante il suo regno ci fu la deportazione del regno del Nord, cioè di Israele. Tobi patisce
l’amarezza del primo esilio patito dal popolo di Israele. La questione è: se tutti i protagonisti della
storia sono sotto la protezione di Dio, com’è possibile che Dio abbandoni il suo popolo all’esilio e
alla deportazione? Si può ulteriormente approfondire: com’è possibile che Dio permetta la
sofferenza dei giusti?
1,3-9. Tobi ebreo fedele a Dio: dati biografici. Dalla prigionia in alta Galilea Tobia è condotto a
Ninive. Tobi è un ebreo fedele e osservante, come mostrano le sue molte elemosine per i fratelli più
poveri; al primo posto della vita di Tobi c’è la Legge del Signore con tre priorità: la carità, il culto, i
valori familiari. Tobi racconta anche l’abbandono della fede dei padri da parte della tribù di Neftali;
nel contesto di apostasìa e idolatria, Tobi si mantiene fedele e fa i sacrifici con molto zelo
(«correvo») al tempio di Gerusalemme e non al vitello d’oro di Geroboamo; ma è il solo che vive
l’obbedienza alla legge perenne prescritta a tutto Israele da Dio. Tobi è molto preciso anche
nell’osservare le prescrizioni a riguardo delle decime dei propri beni (tre decime, cioè il 30% dei
propri beni). Anche il suo matrimonio con Anna è una sottolineatura della sua fedeltà religiosa:
sposa una donna della sua parentela, come avevano fatto i grandi patriarchi di Israele. Il nome dato
a suo figlio esprime una lode a Dio: Tobia vuol dire «Il Signore è il mio bene».
1,10-17. Fedeltà a Dio anche nella deportazione. Dopo aver ricordato il suo passato, Tobi racconta
il suo presente di deportato. Con un certo orgoglio sottolinea di non aver voluto il cibo dei pagani,
rimanendo fedele alla Legge del Signore. La fedeltà religiosa non impedisce a Tobi di fare carriere,
conquistando addirittura il favore del re Salmanassar fino a diventare un suo uomo di fiducia.
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L’essere un pio israelita non è di ostacolo ad una vita pienamente integrata all’interno di una
nazione straniera. Si trasferisce così nella Media (Iran) e lì consegna a Gabael una somma
considerevole: 350-400 kg. di argento, probabilmente guadagnati con il suo lavoro di funzionario
regale.
Al v. 15 c’è un’imprecisione storica: in realtà a Salmanassar succedette Sargon II (722 -705
a.C.); a questi subentrò Sennacherib (705 – 681 a.C.). La situazione politica è mutata, ma non muta
l’atteggiamento di Tobi, caratterizzato soprattutto dalle opere di misericordia. Emerge in particolare
un nuovo aspetto della sua pietà: seppellire i morti, specialmente quelli abbandonati da tutti.
1,18-20. Crisi con Sennacherib. Il Secondo Libro dei Re (2Re 18-19) racconta in due capitoli il
fallimento dell’assedio di Sennacherib contro Gerusalemme al tempo del profeta Isaia. Di ritorno
dalla campagna militare, il re per vendetta scatena una persecuzione contro gli ebrei deportati nel
suo regno in passato. Tobi definisce Sennacherib «bestemmiatore», perché adora idoli del
paganesimo anziché l’unico Dio di Israele; interpreta il fallimento militare del re come un castigo
divino. Sarà proprio la pietà molto coraggiosa di Tobi e una delazione di un cittadino di Ninive a
provocargli la rovina della sua carriera, la condanna a morte e la perdita di tutti i suoi beni: Tobi
fugge, conservando le due più grandi ricchezze, la vita e la sua famiglia. Nonostante la sua fedeltà a
Dio e alla sua Legge, Tobi conosce un pericoloso tempo di prova e sventura.
1,21-22: Rapida risoluzione. La crisi dura poco e non è tutto perduto: il re malvagio viene ucciso
addirittura dai suoi figli (mentre Tobi in seguito verrà aiutato da suo figlio a riacquistare la salute) e
ritorna a Ninive grazie ad un parente diventato contabile del regno.
In questo passo l’autore del Libro di Tobia utilizza la popolare e diffusa storia mesopotamica di
Achikar, rendendo questo personaggio persino parente di Tobi; non fa problema all’autore sacro
ebreo riportare una storia di taglio sapienziale all’interno di una vicenda strettamente ebraica: la
maturità critica dell’autore non prova disagio nel vedere nella sapienza degli altri popoli un aiuto
per la propria storia religiosa.
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