Attuali conoscenze sulla variabilità genetica del citomegalovirus

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Attuali conoscenze sulla variabilità genetica del citomegalovirus
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Attualità
Recenti Prog Med 2011; 102: 5-10
Attuali conoscenze sulla variabilità genetica del citomegalovirus umano
e sua correlazione con il potenziale patogeno del virus:
implicazioni diagnostico-terapeutiche
Sara Pignatelli
Riassunto. Il citomegalovirus umano (CMV) è un β-herpesvirus ad elevata prevalenza nella popolazione mondiale, solitamente associato ad infezioni persistenti asintomatiche,
ma in grado di causare patologie severe nei pazienti immunocompromessi (es. pazienti AIDS e soggetti trapiantati d’organo o di midollo) e nei neonati infettati in utero. Gli isolati
clinici circolanti di CMV presentano un elevato grado di polimorfismo in varie regioni del genoma e si suppone che tali polimorfismi siano implicati nel determinare l’immunopatogenesi CMV-indotta, la virulenza, il tropismo, lo spread e,
in ultima analisi, l’ampio spettro di manifestazioni cliniche
associate alla malattia da CMV nelle diverse categorie di pazienti. La letteratura presenta attualmente numerosi studi
relativi ai principali polimorfismi genici di CMV (UL55-gB,
UL144, UL73-gN, UL74-gO) ed alle loro potenziali implicazioni cliniche, diagnostiche e terapeutiche studiate in diversi soggetti affetti da infezioni acute da CMV. Questo articolo
si propone di passare in rassegna i principali risultati di questi studi, analizzarne le principali criticità e valutare il potenziale impatto diagnostico-terapeutico e le eventuali ricadute cliniche dell’impiego di tali polimorfismi genici virali come
eventuali marker prognostici.
Parole chiave. Ceppi wild-type, citomegalovirus umano,
genotipi virali, infezioni congenite, isolati clinici, polimorfismi genici come marker prognostici.
Summary. Recent knowledges on the linkage of strain
specific genotypes with clinical manifestations of human
citomegalovirus disease.
Human citomegalovirus (CMV) is a β-herpesvirus able to establish lifelong persistent infections which usually remain
asymptomatic. However, severe diseases may develop in
immunocompromised subjects (e.g. AIDS patients and
transplant recipients) and if acquired in utero. Circulating
CMV clinical strains display genetic polymorphisms in multiple genes, which may be implicated in CMV-induced immunopathogenesis, as well as strain-specific tissue-tropism,
viral spread in the host cells and virulence, finally determining the wide spectrum of clinical manifestations of CMV
disease. Current literature report a number of studies regarding the main CMV polymorphic genes (UL55-gB,
UL144, UL73-gN, UL74-gO), their diagnostic and therapeutic impact, their potential clinical relevance as prognostic
markers. This paper aims to critically analyse the results of
these studies and evaluate the linkage of strain-specific
genotypes with clinical manifestations of CMV disease and
their perspective implications.
Key words. Clinical isolates, congenital infection, gene
polymorphisms, human cytomegalovirus, viral genotypes
as prognostic markers, wild-type strains.
Introduzione
Il citomegalovirus umano (CMV) è un β-herpesvirus molto diffuso in grado di instaurare infezioni persistenti nell’ospite, infezioni che tendenzialmente rimangono asintomatiche o paucisintomatiche. La trasmissione orizzontale avviene per contatto interumano e le fonti di infezione sono costituite da svariati tipi di fluidi organici (secrezioni
orofaringee, vaginali, cervicali; sperma; sangue;
latte materno; lacrime; feci; urine)1,2.
L’infezione può tradursi in malattia nel caso avvenga durante la vita intrauterina per passaggio
trans-placentare del virus al feto, oppure in soggetti con difese immunitarie deficienti, per cause
naturali (gravidanza), iatrogene (trapiantati) o acquisite (infezione da HIV)1.
In queste particolari categorie di pazienti immunocompromessi l’infezione da CMV può originare patologie anche severe caratterizzate da un ampio spettro di manifestazioni cliniche, quali ad es. epatosplenomegalia, ittero, microcefalia, corioretinite, ritardo
mentale, sordità ed altri disturbi neurosensoriali e
psicomotori solo per citare le principali patologie
CMV-associate in neonati con infezione congenita3.
I meccanismi che determinano la durata e la severità di tali manifestazioni cliniche pur essendo
tuttora oggetto di intenso studio, restano poco compresi e si suppone che coinvolgano sia fattori immunologici dell’ospite, sia determinanti prettamente virali.
Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Ematologia e Scienze Oncologiche L. e A. Seragnoli,Ospedale Sant’Orsola Malpighi,
Bologna.
Pervenuto il 18 ottobre 2010.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (1), gennaio 2011
Il virus ha, infatti, proprietà che gli consentono
di infettare numerosi tipi cellulari, di replicarsi con
efficienza diversa, di stabilire infezioni persistenti
o latenti, di interagire a diversi livelli con il sistema immunitario dell’ospite e senza dubbio queste
caratteristiche possono essere imputate alla eterogeneità che si riscontra tra i ceppi circolanti di citomegalovirus umano.
Un fattore da sempre ritenuto determinante
per la virulenza degli isolati clinici di CMV è la
specificità genotipica e fenotipica del ceppo virale
infettante. Innanzitutto, una delle prime evidenze
di variazione inter-ceppo è stata la dimostrazione
di una eterogeneità antigenica4 ed una risposta anticorpale ceppo-specifica può sicuramente svolgere
un ruolo chiave nell’evoluzione delle manifestazioni cliniche, tanto da determinare la scarsa efficacia
protettiva di alcune tipologie di vaccini a subunità
messi a punto fino ad oggi.
Un’ulteriore differenza “comportamentale” tra
gli stipiti di citomegalovirus, con evidenti risvolti
per quanto riguarda gli aspetti profilattico-terapeutici dell’infezione, risiede nella suscettibilità a
farmaci antivirali. La sensibilità ai farmaci è stata correlata direttamente a variazioni genomiche
in seguito alla dimostrazione che mutazioni a carico delle ORFs UL54 (DNA polimerasi) e UL97
(fosfotransferasi virale) possono conferire resistenza agli antivirali5-7.
Proviamo in questa sede a fare il punto della situazione attuale per quanto riguarda lo studio, le
implicazioni cliniche e terapeutiche e le prospettive relative alla variabilità genomica dei ceppi circolanti di citomegalovirus umano.
I principali polimorfismi genici
di citomegalovirus umano
È noto che CMV ha un genoma piuttosto esteso e
complesso, composto da circa 200 Open Reading Frames (ORFs), codificanti per proteine strutturali o regolatorie. All’interno del genoma virale sono state
identificate numerose regioni che presentano un elevato grado di polimorfismo, non distribuito casualmente all’interno delle sequenze nucleotidiche; tale
variabilità genetica garantisce l’esistenza di varianti genomiche ben definite denominate “genotipi”8.
Numerose ORFs polimorfiche sono state caratterizzate fino ad oggi, ma la maggioranza degli studi si concentra sui loci riportati di seguito, a causa
della loro essenzialità per quanto riguarda il compimento del ciclo replicativo virale all’interno della cellula ospite.
Sicuramente il gene maggiormente studiato relativamente ai polimorfismi tra ceppi di CMV è
l’ORF UL55. Codifica la glicoproteina dell’envelope gB, per la quale si ipotizza un ruolo determinante nella penetrazione del virus nella cellula
ospite e nella trasmissione intercellulare9 e per la
quale sono stati identificati 4 genotipi dominanti
(gB-1, gB-2, gB-3 e gB-4), con alcune rare varianti
alternative (gB-5, gB-6, gB-7)10,11.
L’ORF UL144 codifica per un omologo del mediatore dell’ingresso in herpes simplex, membro
della superfamiglia dei recettori del tumor necrosis
factor α (TNF-α-like receptor)12,13. Per tale ORF è
stata dimostrata l’esistenza di 5 varianti genomiche, raggruppabili in 3 cluster (gruppi 1, 2, 3, con
il gruppo 1 che presenta 3 sottovarianti A, B e
C)12,14.
La glicoproteina gO, codificata dall’ORF UL74,
componente del complesso dell’envelope gCIII assieme a gL e gH, coinvolto nella fusione cellulare
virus-mediata15, risulta ipervariabile (46%) tanto
che ne sono stati individuati 7 sottogruppi (gO-1a,
gO-1b, gO-1c, gO-2a, gO-2b, gO-3 e gO-4)16.
La glicoproteina dell’envelope gN, codificata
dall’ORF essenziale UL73, è probabilmente coinvolta nelle prime fasi del ciclo replicativo virale e
verso essa sono diretti anticorpi neutralizzanti l’infettività virale17-20. L’ORF UL73 presenta un elevato grado di polimorfismo (variabilità totale:
50%), che ha portato al raggruppamento dei polimorfismi in sette genotipi, diffusi in tutto il mondo, denominati gN-1, gN-2, gN-3a, gN-3b, gN-4a,
gN-4b e gN-4c21,22.
Studi recenti hanno dimostrato che spesso loci
polimorfici adiacenti sul genoma virale sono strettamente legati e probabilmente determinano il fenotipo virale in cooperazione, come si suppone succeda per UL73-gN e UL74-gO23,24,25 .
Potenziali ricadute cliniche
dei polimorfismi genici
di citomegalovirus umano:
lo stato dell’arte
Il polimorfismo più studiato è quello relativo
all’ORF UL55 (gB). Ad ogni modo, i risultati ottenuti dalle correlazioni tra genotipi gB e tropismo
virale, manifestazioni cliniche, esito della malattia, epidemiologia del virus, sono spesso controversi ed in taluni casi contraddittori26,27, essenzialmente a causa del ridotto grado di polimorfismo manifestato dal gene (9,5%) e dalla frequente ricombinazione intragenica che complica la valutazione del reale impatto clinico dei polimorfismi stessi28.
Studi clinici promettenti riguardano altre ORFs
come UL73-gN e UL144, che mostrano una maggior variabilità rispetto a gB (50% e 30% rispettivamente) e pertanto possono essere migliori discriminanti di reali differenze fenotipiche tra gli
stipiti circolanti di CMV, nonostante il locus UL144
risulti comunque soggetto a presenza di chimere
(genotipi misti), come UL55-gB, essenzialmente
imputabili a ricombinazione intragenica.
PAZIENTI AFFETTI DA AIDS
I polimorfismi della glicoproteina gB sono stati
ampiamente studiati in affetti da AIDS, con malattia sintomatica o asintomatica da CMV.
S. Pignatelli: Variabilità genetica e sua correlazione con il potenziale patogeno del CMV
Tre differenti studi29-31 hanno evidenziato una
maggior prevalenza del genotipo gB-2 in questi pazienti, indipendentemente dai sintomi di malattia
da CMV (come le retiniti), nonostante uno studio
asserisca che il gB-2 sia associato ad una maggiore incidenza di retinite nei soggetti HIV positivi32.
Nessun genotipo gB sembra costituire un fattore
di rischio per una maggior virulenza del patogeno
in questa popolazione, mentre risultano estremamente comuni le infezioni miste33.
Studi sui polimorfismi di UL14412,14 mostrano
una simile distribuzione genotipica dei ceppi infettanti in ospiti immunocompetenti e immunocompromessi; pertanto l’outcome dell’infezione da
CMV sembra essere dipendente solo dalla capacità di risposta immune del singolo soggetto.
Studi sui polimorfismi di UL7334 in pazienti immunocompetenti e immunocompromessi riportano
una maggior prevalenza del genotipo gN-1 nei pazienti affetti da HIV. Si suppone che pertanto lo stato di grave compromissione della risposta immunitaria consenta la propagazione, in questi soggetti,
dei ceppi ritenuti meno virulenti (gB-2 e gN-1).
PAZIENTI TRAPIANTATI D’ORGANO SOLIDO O DI MIDOLLO OSSEO
Diversi studi hanno analizzato la distribuzione
dei genotipi gB nei soggetti sottoposti a trapianto
di organo solido26,35-37. I risultati non riportano nessuna correlazione definitiva tra i genotipi gB e
l’outcome clinico di infezione o il rigetto dell’organo in questa popolazione di pazienti. Recentemente38 è stata, altresì, evidenziata una associazione
tra gB-1 ed il rischio di sviluppare una malattia invasiva d’organo nei trapiantati renali.
Altri studi sono stati condotti su soggetti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche:
la variante gB-1 mostra un esito più favorevole in
seguito all’infezione39,40, mentre i genotipi gB-2 e
gB-3 sembrano associati ad esito fatale. La variante che mostra maggior prevalenza in soggetti trapiantati di midollo osseo con malattia da CMV è
gB-2 secondo Woo et al.41, mentre, in studi più recenti, gB-3 sembra associato a polmonite da CMV42.
Studi relativi alle varianti di gN43 in soggetti
trapiantati, riportano un’associazione tra il genotipo gN-1 e bassi livelli di antigenemia. Contrariamente, le varianti gN-4 (in particolar modo gN-4b)
risultano predittive di alti livelli di antigenemia ed
associate a frequenti ricadute.
INFEZIONI CONGENITE
Pochi studi hanno analizzato la distribuzione
dei genotipi gB nelle infezioni congenite e la relazione tra i genotipi e gli outcome pediatrici. Tutti i
genotipi gB possono essere trasmessi verticalmente dalla madre al feto e nessuna delle quattro varianti risulta preferenzialmente associata con l’infezione in utero da CMV11,27,44. Woo et al.41 e Lukacsi et al.45 hanno evidenziato una maggior pre-
valenza del genotipo gB-1 nei bambini con infezione congenita, ma questa evidenza non è predittiva
di manifestazioni cliniche. Yan et al.24 hanno riscontrato una predominanza di gB-3 nei neonati
infettati congenitamente e che avevano sviluppato
varie forme di ipoacusia. Tutti gli studi non mostrano alcuna correlazione definitiva ed inequivocabile tra varianti gB ed esito dell’infezione intrauterina da CMV, sviluppo di sintomatologia alla nascita e severità dei sintomi.
In altri studi è stata valutata la possibile associazione tra UL144, che codifica per un tumor necrosis factor-like receptor, e gli esiti dell’infezione
congenita da CMV. Tutte le varianti genotipiche (A,
B, C, A/B e A/C) possono essere trasmesse dalla madre al feto e determinare la patologia congenita, con
o senza sequele avverse. I risultati di studi di AravBoger13,46 e Waters47 sembrano evidenziare un’associazione tra le varianti genotipiche più rare (A e C)
ed outcome severo dell’infezione congenita, anche a
lungo termine, o terminazione precoce della gravidanza, contrariamente alla variante più comune B
che sembra avere un effetto opposto. Questi dati
contraddicono l’esito di altri studi14,48,49,24,50 in cui
non è riportata alcuna correlazione tra il genotipo
di UL144 e l’esito dell’infezione intrauterina. In definitiva, occorrono altri studi per convalidare questi
risultati al fine dell’applicazione clinica.
Anche per quanto riguarda gN, tutti i genotipi
possono essere trasmessi dalla madre al feto51. Comunque, nella popolazione dei neonati infettati in
utero, e seguiti durante un follow-up fino all’età
scolare, a conferma di quanto già riscontrato nei
trapiantati d’organo solido si ipotizza una maggiore virulenza del ceppo a variante gN-4, in quanto
associato a sintomatologia alla nascita, anomalie
ecografiche, sequelae tardive in maniera significativamente più elevata rispetto ai genotipi ritenuti
meno virulenti gN-1 e gN-3a52.
In conclusione, gli studi clinici sulla distribuzione dei genotipi tra le differenti popolazioni di
pazienti, hanno dimostrato una diversa distribuzione delle varianti genomiche a seconda della popolazione considerata. Queste differenze spesso sono risultate statisticamente non significative, oppure esse non tengono in considerazione altri parametri, che possono influenzare le frequenze genotipiche, come l’origine geografica degli isolati,
l’origine etnica degli ospiti esaminati e lo stato immunitario del soggetto, il numero limitato dei campioni esaminati o la loro non-randomizzazione, il
tipo (primaria o ricorrente) d’infezione, bias nel reclutamento dei soggetti e informazioni cliniche incomplete negli studi retrospettivi.
Nel caso di gB, sulla base di numerosi dati, si
deduce che tale ORF non può essere considerata
un marker prognostico attendibile. Presenta, infatti, una bassa variabilità genetica (9,5%), ed inoltre, nel caso specifico delle infezioni congenite, tutte le varianti possono essere con la stessa probabilità associate sia ad infezioni congenite gravemente sintomatiche che non.
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Associazioni potenzialmente significative sono
invece state riscontrate per ORFs UL73-gN, talvolta analizzata in associazione con UL74-gO, e
UL144 in varie popolazioni di pazienti e pertanto
annoverabili attualmente tra i migliori candidati
come potenziali marker prognostici di severità ed
esiti dell’infezione da CMV.
Conseguenze clinico-terapeutiche
dei polimorfismi genici
del citomegalovirus umano
La difficoltà incontrata nello stabilire la prognosi nei feti infettati dal virus, soprattutto in caso di assenza di anomalie riscontrate con esami
strumentali quali l’ecografia e la risonanza magnetica per immagini, o nelle popolazioni ad alto
rischio (trapiantati d’organo solido o di midollo) di
sperimentare una nuova infezione o una riattivazione del CMV, è principalmente dovuta alla mancanza di fattori biologici da utilizzare come marker prognostici per una corretta gestione della situazione di rischio.
Pertanto la ricerca di parametri virologici attendibili, come ad esempio la viral load nei fluidi
biologici, ma soprattutto la “genotipizzazione” del
ceppo specifico di CMV infettante e del suo potere
virulento, può essere utile per definire la prognosi
e completare il quadro diagnostico.
Nella pratica di laboratorio, la genotipizzazione può avvenire considerando diversi loci e mediante differenti tecniche biologico-molecolari52.
Come già ampiamente esposto e discusso nel paragrafo precedente, i geni più studiati e “accreditati” come potenziali marker prognostici, con i rispettivi “pregi e difetti”, sono UL55-gB, UL73-gN,
UL74-gO, UL144-TNFR.
La scelta da operare in questo senso risulta
piuttosto ardua, soprattutto considerando che è
impensabile che un solo gene ed una unica variante genomica possano determinare la virulenza
complessiva di un microrganismo complesso come
il CMV. Risulta altresì maggiormente plausibile
che il fenotipo patogenico ceppo-specifico possa essere determinato da loci polimorfici geneticamente associati che funzionano in maniera sinergica
(es. gN/gO) e pertanto si dovrebbe incoraggiare lo
studio e l’analisi di geni che lavorano in tandem.
A complicare il quadro, si ricorda il frequente riscontro di infezioni miste, cioè con più di un ceppo virale infettante contemporaneamente, soprattutto in
pazienti molto immunocompromessi, quali i soggetti
riceventi un trapianto d’organo o affetti da AIDS.
Come sopra riportato per i principali geni polimorfici di CMV, numerosi studi clinici sono stati
condotti per cercare di correlare le varianti genomiche di tale virus con specifiche manifestazioni
cliniche o siti di infettività. Questi studi non hanno ancora stabilito associazioni definitive tra ceppi virali e malattia, pertanto un valido e affidabile
marker prognostico è tuttora assente.
Vaccini protettivi e polimorfismi
Un discorso a parte merita la questione vaccini anti-CMV e polimorfismi. Anni di dibattiti e di
sperimentazioni non hanno ancora approdato ad
un risultato definitivo per quanto riguarda la produzione di un vaccino protettivo ed efficace contro
l’ampio spettro di varianti di isolati clinici di
CMV circolanti nella popolazione umana e coinvolti in patologie a vario grado di severità nei
neonati o nei pazienti immunocompromessi, come documentato in Adler53 e Schleiss54. Tra le
cause di questo insuccesso si inserisce la difficoltà di valutare correttamente e scegliere il prodotto virale che possa presentare la massima efficacia in termini di sicurezza e protettività in
grado di sollecitare una risposta immune efficiente, sia umorale neutralizzante sia cellulomediata, e non deve essere trascurato il fatto che
la presenza di polimorfismi genici possa alterare
la copertura vaccinale verso tutti gli stipiti circolanti di questo virus.
Conclusioni
L’importanza del ceppo di CMV infettante per
l’outcome clinico è stata a lungo oggetto di speculazione, in quanto la variabilità genetica e immunologica, documentata tra i vari ceppi, può influenzare la virulenza, indipendentemente dal carico virale.
Il CMV ha evoluto forme di variabilità genetica che hanno contribuito a migliorare i seguenti aspetti della biologia virale: implementare le modalità di evasione immune (es. modificando epitopi antigenici); creare strutture virali
con maggior capacità di adattamento (per proteine strutturali); favorire un tropismo cellulare
più ampio o uno spread nell’ospite più facile; migliorare l’efficienza replicativa virale (per proteine regolatorie); modificare la suscettibilià ai
farmaci8.
L’analisi dei polimorfismi genici di CMV come
marker di virulenza e la valutazione del loro valore prognostico nei riguardi della severità dell’infezione da CMV è importante, ma queste informazioni dovrebbero essere inserite in un quadro più
ampio ed essere utilizzate, in associazione ad altri
parametri, per una migliore definizione della prognosi.
Se considerato in quest’ottica, lo studio dei polimorfismi risulta di grande utilità applicativa nel
migliorare il rapporto costi/benefici delle principali tecniche diagnostiche impiegate nell’ambito delle infezioni da citomegalovirus. Il fine ultimo potrebbe essere quello di adottare un intervento terapeutico precoce ed efficace, limitatamente al
gruppo di pazienti a più elevato rischio di sviluppare la malattia da CMV, gruppo identificato mediante la genotipizzazione del ceppo virale infettante.
S. Pignatelli: Variabilità genetica e sua correlazione con il potenziale patogeno del CMV
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Sara Pignatelli
Ospedale Sant’Orsola Malpighi
Dipartimento di Ematologia e Scienze Oncologiche L. e A. Seragnoli
Sezione di Microbiologia
Via Massarenti, 9
40138 Bologna
E-mail: [email protected]
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