introduzione generale

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introduzione generale
INTRODUZIONE GENERALE
L’Esercito di terracotta del Primo Imperatore dei Qin – Qin Shi Huangdi – ha affascinato l’Occidente,
divenendo, insieme alla Grande Muraglia, uno dei simboli più noti della Cina antica. La sua spettacolarità e
l’enorme suggestione di potenza generata dalle migliaia di fanti, arcieri, cavalieri, carri da combattimento
schierati in assetto da battaglia accanto all’ultima dimora del loro Sovrano corrispondono pienamente alla
grandiosità dell’impresa da lui compiuta. Appare quindi logico porre il suo regno al centro di un percorso
storico teso a valorizzare tanto le epoche precedenti quanto gli sviluppi successivi che dal Primo Impero
ricevettero un’impronta indelebile. La sconfinata messe di testimonianze archeologiche rende del tutto
impossibile immaginare di illustrare tutto lo sviluppo della civiltà cinese dalla preistoria ai giorni nostri.
L’esposizione delle Scuderie del Quirinale offre ai suoi visitatori reperti che risalgono a un periodo che va
dall’ultima dinastia pre-imperiale dei Zhou (1045 a.C. – 221 a.C., anno di fondazione dell’impero) al 23
d.C., quando ebbe termine la seconda dinastia imperiale degli Han Occidentali, alla quale viene riconosciuto
il merito di aver consolidato e perfezionato l’assetto politico e sociale stabilito dal Primo Imperatore. Oltre
mille anni di storia di un territorio immenso sul quale, fin dal Neolitico, era stata intessuta una rete di scambi
e interazioni tale da dar vita a una civiltà composita e al tempo stesso caratterizzata da forti elementi di
omogeneità.
La scelta espositiva è stata quella di condurre il visitatore a ritroso nel tempo; la ricchezza delle prime sale –
le più prestigiose del complesso museale delle Scuderie – induce infatti a uno stupore che forse andrebbe
perduto se il percorso partisse dai reperti più antichi. Del resto si può immaginare l’ammirazione degli stessi
archeologi di fronte al rinvenimento di corredi funebri di ricchezza straordinaria: centinaia, a volte migliaia
di manufatti, statue grandi e piccole di terracotta dipinta, bronzi rituali, lacche raffinate, giade preziosamente
lavorate. Quindi, se nelle mostre e nei musei è del tutto logico trovarsi di fronte a collezioni di reperti, nel
nostro caso si è voluto attirare l’attenzione del visitatore sulla ricchezza originaria delle tombe
dell’aristocrazia e delle imponenti fosse di accompagnamento ai mausolei imperiali, a tutt’oggi non ancora
aperti dagli archeologi.
2429
AIRONE
Questo uccello di bronzo fu rinvenuto pochi anni fa insieme ad altri 45 in una delle fosse di
accompagnamento del complesso sepolcrale del Primo Imperatore. Nonostante molti fossero in frammenti, si
riuscì a distinguere subito che si trattava di uccelli acquatici: alcuni, come quello qui esposto, erano
raffigurati come se stessero beccando dal terreno, altri sembravano nuotare o in posizione di riposo, il che
lascia intendere che furono realizzati separatamente, ciascuno in una diversa matrice. Colpisce il gusto per la
resa veristica di ciascun animale, disposto nel gruppo secondo un ben congegnato progetto scenico ispirato
dalla volontà di ricreare un ambiente naturale quanto più possibile vicino al mondo reale. Gli uccelli infatti
sono stati trovati accanto a una canaletta dove con ogni probabilità scorreva dell’acqua, il che lascia
immaginare che si sia voluto ricostruire un ambiente palustre o un corso d’acqua, evidentemente a imitazione
di un luogo reale caro all’imperatore.
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INTRODUZIONE HAN OCCIDENTALE
Nelle cinque sale del primo piano sono rappresentate le dinastie imperiali dei Qin (sale 4 e 5) e degli Han
Occidentali (sale 1, 2 e 3). Qui ci troviamo nella prima sala, e da qui ha inizio il nostro percorso a ritroso nel
tempo.
Con la dinastia Han Occidentale – dal 206 a.C. al 23 d.C. – si era ormai compiuto il processo di formazione
della civiltà cinese. Adottando l’assetto politico, amministrativo e sociale imposto dalla breve, quanto
incisiva, dinastia Qin del Primo Imperatore – dal 221 al 206 a.C. – i sovrani Han stabilirono definitivamente
un modello di organizzazione imperiale destinato a sopravvivere per oltre duemila anni e crearono i
presupposti di una coscienza nazionale tuttora fortemente radicata in Cina.
I reperti presentati nelle sale di questo piano, provenienti da tombe nobiliari e dalle fosse di
accompagnamento dei mausolei imperiali, sono stati recuperati nel corso di campagne di scavo condotte
negli ultimi decenni principalmente nell’area dell’odierna provincia dello Shaanxi. Alle testimonianze
dell’eccezionale sviluppo dell’arte funeraria si contrappone la rarità di reperti che documentino direttamente
la vita quotidiana e le strutture architettoniche di abitazioni e palazzi: la grandiosità delle capitali e il lusso
delle dimore aristocratiche sono stati cancellati dal tempo perché, essendo il materiale impiegato per le
costruzioni prevalentemente il legno, ben poco rimane degli edifici se non le tracce delle fondamenta. I
sontuosi corredi funerari testimoniano della perizia raggiunta dagli artigiani dell’epoca e della raffinatezza e
della complessità spirituale e religiosa del ceto aristocratico.
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SALA 1 PRIMO PIANO
S1
Catt. 94, 95, 96,97:
I gruppi di statuette qui esposti provengono da Yangling, nello Shaanxi, dalle fosse annesse alle tombe del
quarto imperatore Han, morto nel 141 a.C., e della sua consorte, morta nel 126 a.C. Delle 24 fosse
individuate (a cui ne corrispondono altre 24 collocate a nord), ne sono state scavate solo una quindicina, 5
delle quali in modo parziale. In esse sono stati rinvenuti oltre trentamila reperti, essenzialmente manichini di
terracotta, raffiguranti esseri umani. Questi si presentano nudi, privi di braccia, solitamente stanti, talvolta
con le gambe o arcuate per adattarsi al dorso dei cavalli o una di fronte all’altra per accennare un passo. Ciò
che colpisce maggiormente è la loro nudità e la puntuale segnalazione del sesso. Originariamente vestivano
abiti di stoffa, dissoltisi. Degli arti superiori non vi è traccia, forse erano anch’essi di materiali deperibili
(legno, paglia, stoffa). Pur essendo realizzate a stampo, presentano numerose differenze, sui volti e sui corpi.
Per rendere il colore della carnagione, la terracotta era coperta con uno strato di ingobbio e altri colori erano
aggiunti per i dettagli del volto, quali occhi, bocca, eventuali baffi e barba.
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V1
Cat. 112:
Questo vaso in bronzo dorato è munito di un sistema di chiusura talmente efficace da aver consentito la
conservazione per oltre 2000 anni della bevanda alcolica in esso contenuta.
Sul coperchio troneggia un elegante uccello a tuttotondo con una cresta regale, collo lungo e flessuoso, ali
chiuse, coda maestosa e lunghe gambe; nel becco semiaperto regge una perla, simbolo di saggezza, che lo
identifica come l’uccello vermiglio, simbolo del sud. Forse per dare maggiore risalto al volatile o per
sottolineare la doratura, la decorazione sul recipiente è estremamente sobria: si traduce infatti in strette fasce
orizzontali leggermente sollevate che ripartiscono la superficie in ampi registri levigati, il quarto dei quali
include anche il piede. I manici ad anello sono attaccati alle spalle del vaso tramite la maschera animale nota
in cinese come pushou.
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SALA 2 PRIMO PIANO
V2
Nella vetrina di sinistra si possono ammirare tre splendidi esempi di bronzi di epoca Han: due specchi e una
statuina raffigurante un Immortale.
Catt. 117, 118:
Questi specchi non erano solo oggetti da toeletta, ma anche strumenti rituali, in virtù proprio del loro potere
riflettente. Privi di manico, sono dotati di una piccola presa centrale attraverso la quale veniva fatto passare
un nastro di seta che consentiva di appendere lo specchio o di tenerlo in mano. L’esemplare con decoro
dipinto a freddo, costituito da quattro fiori rossi collegati da volute blu su sfondo verde, è eccezionale non
solo per la sua rarità, ma anche per il soggetto ornamentale, che si sviluppa come un racconto suddiviso in
quattro momenti distinti, segnalati da volute uncinate simmetriche e separati dalla presenza di alberi.
Cat. 116:
Viso ovoidale e naso appuntito, lunghe orecchie - inequivocabile segno di saggezza -, zigomi prominenti,
pelle liscia simile al ghiaccio, questo essere divino inspira il vento e si nutre di rugiada, si muove in groppa a
fantastici draghi alati o grazie alle sue stesse ali che scendono lungo le spalle quasi fosse la naturale
appendice della tunica che indossa, decorata con motivi che evocano le piume: rappresentazione simbolica
del volo estatico dell’uomo verso l’empireo degli Immortali, questa statuina in bronzo ageminato in oro è
una delle più eleganti e rare sculture rinvenute sino ad oggi in Cina.
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Catt. 119, 120, 121, ?
Nella vetrina di destra si possono ammirare quattro splendidi manufatti di giada, preziosa “essenza delle
montagne”, considerata simbolo di virtù e, frantumata, utilizzata dagli alchimisti per fabbricare gli elisir di
lunga vita. Resta avvolta nel mistero la funzione degli oggetti a forma discoidale, evocante forse il cielo
(all’epoca immaginato di forma sferica o semisferica), e caratterizzati da un foro centrale (simbolica via
d’uscita dell’anima corporea), denominati bi, che qui vediamo in tre esemplari: uno, splendidamente
intagliato, fa parte di un pettorale costituito di undici unità (presumibilmente cucite su un tessuto o unite
tramite un sistema di fili), gli altri due sono invece indipendenti e decorati con fasce di linee circolari,
all’interno delle quali si sviluppa un tappeto di piccole bugne in rilievo, motivo ricorrente anche nel
bicchiere. La fascia esterna che orna il disco più grande riprende un motivo iconografico tipico della
bronzistica di epoca precedente, caratterizzato da un susseguirsi concatenato di maschere animali le cui corna
si sviluppano in draghi stilizzati. Particolarmente pregevole nel disco più piccolo sono le variegate sfumature
di colore create dalle venature della pietra, di grande effetto estetico proprio in virtù della sua naturalezza.
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SALA 3 PRIMO PIANO
P2
Cat. 122:
Sin dal Neolitico alla giada erano riconosciuti poteri sovrannaturali e un elevato valore simbolico-rituale. Nel
primo periodo imperiale, con il diffondersi di nuove credenze religiose, divenne simbolo di immortalità:
preservare il corpo del defunto era ormai un’esigenza primaria, la giada sembrava soddisfare questa necessità
in virtù delle proprietà che la caratterizzano, la sua durevolezza, l’incorruttibilità, la particolare bellezza, con
le sue tonalità cromatiche sempre diverse e le venature che generano disegni naturali e imprevedibili.
Dall’antica pratica di accompagnare la salma con oggetti di giada, si passò così all’idea di confezionare un
vero e propri abito con cui vestire il defunto: dapprima si concepì una veste di tessuto sulla quale cucire
frammenti di giada perforati, oppure singoli accessori, come ad esempio la maschera che copriva il volto o i
calzari, in seguito si passò a vesti integrali costituite da migliaia di piccole tessere cucite insieme con del filo
di seta o d’oro, d’argento o di rame a seconda dello status del suo destinatario.
La veste di giada bianca qui esposta è costituita da oltre 4.000 tessere di forma variabile (quadrata,
rettangolare, triangolare e falcata), forate ai quattro angoli e cucite insieme con filo d’oro, prerogativa
dell’imperatore e dei nobili di rango più elevato. In questo caso, il defunto era un re, morto tra il 175 e il 154
a.C. Per facilitare la vestizione della salma, l’abito si componeva di dodici parti distinte: una per la faccia,
una per la testa, due per il torace, una ciascuna per le braccia, le mani, le gambe e i piedi. Le varie
componenti sono bordate con un tessuto di seta rossa che esalta ancora di più il colore tenue della giada.
Sulla sommità della nuca, le tessere sono cucite intorno a un disco di giada bi, il cui tipico foro centrale
sembra servisse per l’uscita dell’anima. In corrispondenza degli occhi sono state inserite due tessere
circolari.
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Catt. 107, 108:
Durante la dinastia Han si diffuse la consuetudine di foderare le pareti delle tombe più importanti di mattoni
di argilla cotta, cavi all’interno, con impresse decorazioni con soggetti iconografici variabili. Nel nostro caso
sono raffigurati i quattro animali che simboleggiano le quattro direzioni (il drago l’est, la tigre l’ovest, la
fenice il sud e la tartaruga il nord), noti anche come sishen, “quattro spiriti” o “quattro divinità astrali”,
essendo ognuna di esse associata anche a una delle quattro regioni, o palazzi, in cui si riteneva fosse diviso lo
spazio celeste.
Particolare è l’immagine della tartaruga, qui accompagnata da un serpente: nell’antica Cina si riteneva che
non esistessero tartarughe maschi, per cui le femmine dovevano unirsi ai serpenti, mentre un’altra leggenda
narra che questi due animali uscirono dalle viscere dell’Orsa Maggiore, per cui quando simboleggia il nord,
la tartaruga è ritratta fra le spire di un serpente.
Nell’arte funeraria questi quattro animali indicavano all’anima del defunto la via da intraprendere nel suo
ultimo viaggio, mentre nell’architettura religiosa e civile ricordavano ai vivi le coordinate celesti che
consentono di mantenere l’armonia con il cosmo.
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INTRODUZIONE DINASTIA QIN
Yin Zheng divenuto re di Qin, uno dei sette stati più potenti del periodo pre-imperiale, all’età di appena
tredici anni, rivelò un eccezionale talento politico e militare, riuscendo a sconfiggere ogni rivale e a unificare
sotto la propria egemonia tutti i territori cinesi. Nel 221 a.C. fondò il primo impero della storia cinese,
assumendo il titolo di Qin Shi Huangdi, Primo Augusto Imperatore dei Qin. Perfezionò l’opera di conquista
applicando tutta una serie di provvedimenti volti alla centralizzazione del potere: esautorò l’aristocrazia
feudale, affidando l’amministrazione locale a un apparato di funzionari, introdusse provvidenti volti a
uniformare usi e costumi, unificò pesi e misure, gli stili calligrafici, il sistema valutario; smantellò le
fortificazioni che tenevano separati gli stati e diede continuità invece alla Grande Muraglia, la barriera
difensiva che proteggeva dagli attacchi dei barbari del nord-ovest, intraprese imponenti opere di ingegneria
civile per rafforzare gli argini dei fiumi, causa di frequenti inondazioni, creando un’efficace rete di
irrigazione e nuove vie di comunicazione.
Quando morì nel 210 a.C., non era ancora terminato l’immenso mausoleo, iniziato trentasei anni prima, al
momento dell’ascesa al trono. La sua dinastia era destinata a cadere rapidamente, minata da complotti di
corte e minacciata da sommosse e rivolte, mentre il suo complesso tombale è rimasto inviolato per più di
duemila anni. Dal 1974, quando venne fortuitamente scoperta la prima statua dell’Esercito di terracotta, sono
stati portati alla luce migliaia di reperti appartenenti alla vastissima area sepolcrale, mentre l’immenso
mausoleo conserva ancora intatti i suoi segreti.
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SALA 4 PRIMO PIANO
S4
Migliaia di statue, alte talvolta più di un metro e novanta centimetri - almeno 7.000 si è calcolato raffiguranti soldati, ufficiali, fanti, arcieri, balestrieri, cavalieri, aurighi, attendenti vari, un centinaio e passa
di carri da battaglia, leggeri e pesanti, di cui purtroppo restano solo le impronte fossili sul terreno essendo gli
originali di legno, più di seicento cavalli, in parte sellati, in parte al tiro dei carri: questa la consistenza
stimata dagli archeologi cinesi di un esercito imponente, ordinatamente suddiviso in brigate e battaglioni,
schierato in completo assetto da combattimento, pronto a marciare contro il nemico o a difendere il proprio
sovrano per l’eternità, armato con armi autentiche.
Rinvenute in tre fosse di accompagnamento al mausoleo del Primo Imperatore, a tutt’oggi ancora inesplorato
dagli archeologi, le statue sono sostanzialmente diverse una dall’altra, di dimensioni leggermente eccedenti
quelle reali, un espediente certamente pensato per rendere immediatamente manifesto il senso di potenza
dell’armata imperiale e del suo potente condottiero e incutere così maggior paura al nemico.
Osservando i guerrieri esposti su questa pedana salta subito all’occhio la differenza delle dimensioni, degli
abiti e delle armature, delle acconciature, dei volti, dello sguardo: è questa una delle caratteristiche che più
colpisce l’osservatore, pare proprio che non vi siano due statue eguali, ma che siano una diversa dall’altra.
Su alcune, ad esempio sul balestriere inginocchiato, si noteranno residui di pigmenti policromi, indicazione
palese del fatto che in origine le statue erano dipinte.
Si distinguono un cavaliere, in piedi accanto al suo destriero bardato che tiene per la briglia, un arciere
anch’egli ritto in piedi ma di tre quarti, in posizione avanzata di mezzo passo, pronto a tendere l’arco, un
balestriere, inginocchiato, che tra le mani si intuisce doveva tenere la balestra, un fante munito di pesante
corazza con spallacci, la cui acconciatura (l’alta crocchia inclinata) è tipica delle genti di Qin, un ufficiale di
fanteria di rango elevato, rinvenuto alla testa di uno squadrone di una cinquantina di fanti corazzati, schierati
al seguito dei carri pesanti.
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S5
Le statue di questa pedana sono state rinvenute in tre nuove fosse, scoperte tra il 1999 e il 2003.
In una, la K9901, sono stati trovati, frantumati in centinaia di pezzi seminati su un’area ristretta di appena tre
metri quadrati, 11 statue raffiguranti uomini dai corpi atletici vestiti di un corto gonnellino decorato: secondo
alcuni si tratterebbe di militari impegnati in esercizi ginnici, secondo altri di acrobati. Qui ne sono esposti 2,
uno privo della testa e di parte degli arti superiori, l’altro privo invece di parte degli arti.
In un’altra Fossa, la K0006, sono state trovate, anche queste ridotte in centinaia di frammenti, 12 statue, 4
delle quali sembrerebbero raffigurare degli aurighi, le rimanenti 8 dei funzionari civili. Qui è esposta una
coppia di funzionari civili, come si evince dal loro abbigliamento e dal fatto che alla cinta portano appesi i
“ferri del mestiere” in dotazione agli scriba dell’epoca: un coltellino e lo strumento per affilarne la lama. Il
piccolo coltello serviva per lisciare le tavolette di legno o bambù (i principali supporti scrittori prima
dell’introduzione della carta) sulle quali con pennello e inchiostro venivano redatti i documenti.
Infine, nella Fossa K0007, costituita da più ambienti, all’interno di uno dei quali sono stati rinvenuti 46
uccelli di bronzo (uno dei quali è esposto all’entrata della mostra), sono state trovate delle statue, anch’esse
ridotte in frantumi, di tipo completamente sconosciuto, inginocchiate o sedute, in pose non semplici da
interpretare. L’ipotesi più accreditata al momento è che si tratti di musici e che l’intera fossa possa
rappresentare uno dei giardini di delizie dell’imperatore.
La statua che raffigura un uomo seduto sui talloni è stata scoperta nel 1976, e fa parte di un gruppo di piccole
fosse che rappresentavano le stalle imperiali. In ognuna di esse è stata trovata una statua simile a quella qui
esposta assisa accanto allo scheletro di un cavallo e a una giara contenente grani di miglio e di avena.
2020
SALA 5 PRIMO PIANO
In questa sala è stato ricomposto uno dei 64 carri leggeri da battaglia disposti all’interno della Fossa n. 2.
Purtroppo i carri originari, di legno, si sono decomposti nei secoli e sono andati tutti perduti, resta visibile
solo l’impronta fossile sul terreno, per lo più delle ruote.
Nell’antica Cina esistevano due tipi di carri da battaglia, i carri pesanti, in genere seguiti da un drappello di
fanti, e i carri leggeri, privi di seguito. Nella Fossa n. 2 sono stati trovati sia carri pesanti con al seguito
drappelli costituiti da un numero variabile di fanti, da 8 a 32, sia carri leggeri. Questi ultimi venivano disposti
fuori della formazione compatta del battaglione, lungo il suo lato destro il che consentiva loro di avere la
massima libertà d’azione possibile, non avendo nessuno né davanti né dietro che ne condizionasse i
movimenti. In battaglia erano i primi ad attaccare, essendo la loro funzione quella di scompigliare la
formazione avversaria, consentendo così un impatto più efficace alle proprie truppe.
La squadra sul carro è costituita da tre soldati, un auriga, ben protetto dalla corazza fornita da lunghe
maniche che arrivano a coprire i polsi e le mani, socchiuse nell’atto di stringere le briglie dei quattro cavalli
aggiogati al carro, e due soldati, uno per lato, addetti alla sua difesa, che in origine con una mano, la sinistra,
impugnavano una lancia o un’alabarda, mentre con l’altra si tenevano a un basso corrimano. Dal fazzoletto
vistosamente annodato al collo e dal tipo di copricapo, che in parte copre la crocchia annodata su un lato, si
capisce che l’auriga è un ufficiale di medio livello.
Tutti i carri dell’Esercito del Primo Imperatore erano tirati da quattro cavalli: i due cavalli più interni erano
aggiogati alla stanga, con funzione principalmente trainante, mentre i due esterni, in trazione libera, erano
collegati al carro con collare e pettorale, in modo da essere più facilmente governati nelle manovre.
1948
INTRODUZIONE ZHOU ORIENTALE
Nelle cinque sale del secondo piano è rappresentata l’ultima delle Tre Dinastie pre-imperiali, quella dei
Zhou, che va dal 1045 al 221 a.C., tradizionalmente suddivisa in due periodi: Zhou Occidentale – dal 1045 al
771 a.C. – e Zhou Orientale – dal 770 al 221 a.C. Proseguendo il percorso a ritroso nel tempo iniziato al
primo piano, nelle prime tre sale è dunque rappresentato il periodo Zhou Orientale.
I Zhou erano originari della fertile vallata del fiume Wei, nella provincia dello Shaanxi. Regnarono su
territori sterminati, abitati da popolazioni differenti per etnia e costumi, diffondendo un modello di stato
unitario ed efficiente e un sistema di scrittura unificato che facilitava enormemente le comunicazioni.
Nel periodo Zhou Orientale i vincoli tra il re e i suoi vassalli, fulcro dell’assetto politico e religioso del
periodo precedente, si erano fatti sempre più tenui, favorendo le aspirazioni di indipendenza dei principi
locali. Ben presto si giunse alla disgregazione del sistema politico-istituzionale e il territorio si trovò diviso
in una moltitudine di stati e staterelli, in perpetua lotta tra loro. La mancanza di un potere centrale e
l’indipendenza degli stati vassalli non comportarono tuttavia effetti negativi sulla produzione artistica che, al
contrario, visse un periodo di grande fioritura.
Per evidenziare la presenza di credenze e stili diversi, la mostra contrappone oggetti rinvenuti nei siti dello
stato di Qin ad altri provenienti dall’area culturale di Chu, potente stato meridionale sviluppatosi in un’area
compresa tra lo Hubei, lo Henan meridionale, lo Hunan e l’Anhui settentrionale.
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SALA 1 SECONDO PIANO
S7
Cat. 45:
Questo recipiente per alcolici di bronzo con gemina d’oro e argento e intarsi di pietre dure e pasta vitrea
risale al IV-III secolo a.C., quando ormai i vasi di bronzo avevano perduto la loro funzione cerimoniale ed
erano considerati oggetti di lusso, simboli della ricchezza e dello status sociale del loro proprietario.
La decorazione si rifà ancora ai motivi iconografici mitologici dell’antichità, riconoscibili nei draghi ritratti
di profilo, caratterizzati da un grande occhio, originariamente realizzato incastonando una pietra colorata, da
corpi lunghi e sottili che si snodano flessuosi in un continuum che forma un intreccio sull’intera superficie
del recipiente. Rispecchia la tradizione anche il manico ad arco, le cui estremità sono decorate con teste di
drago dalla cui bocca fuoriescono gli elementi concatenati che vanno a raccordarsi agli anelli delle maschere
saldate sulle spalle del vaso. Solo il bordo della bocca e il registro intorno al piede sono riempiti con motivi
ornamentali geometrici.
1014
V3
Cat. 43:
Nella decorazione di questo vaso rituale di bronzo per cottura del IV secolo a.C. sono scomparsi i richiami a
creature fantastiche o mitologiche, per lasciare posto a un’ornamentazione più astratta e flessuosa,
impreziosita dall’agemina in oro e argento: un susseguirsi di volute spiraliformi che si dispiegano
morbidamente lungo stretti registri orizzontali interrotti, nella parte inferiore, da disegni di tipo geometrico. I
decori curvilinei sono ripresi sulle zampe e sui manici, mentre la sommità del coperchio è ornata con un
grande elemento floreale.
558
Cat. 44:
Sfortunatamente manca gran parte dell’ageminatura in oro e argento di questa magnifica tazza in bronzo, ma
le tracce della decorazione consentono di immaginare il prezioso disegno originato dal contrasto cromatico
tra i metalli. Il recipiente risale all’arte del IV e III secolo a.C. e ne rispecchia lo stile e la raffinata tecnica di
ornamentazione che procede con motivi fluidi e curvilinei. Tipico del periodo è l’andamento diagonale delle
linee terminanti in varie volute, il motivo viene ripetuto specularmene sul registro successivo, superando i
confini delle bande. In origine la tazza era munita di coperchio, purtroppo andato perduto.
643
SALA 2 SECONDO PIANO
P4
Cat. 41:
Questo braciere per sostanze aromatiche è uno squisito esempio dell’arte del bronzo del V-IV secolo a.C. È
riccamente decorato con motivi a traforo che raffigurano uomini armati e animali fantastici sul piedistallo e
un intreccio di serpenti sul braciere. Il coperchio è coronato da un volatile a tuttotondo con le ali spiegate e
un anello pendente dal becco adunco, mentre sulla parete del recipiente compaiono quattro teste di uccello,
ritratte frontalmente e anch’esse recanti un anello.
491
Cat. 33:
La campana qui esposta, di una tipologia priva di battaglio, è un capolavoro dell’arte del bronzo dell’inizio
del VII secolo a.C., nonostante l’aspetto arcaico di forma e decorazione. L’ornamentazione si risolve nella
rappresentazione di draghi col corpo di serpente che si attorciglia intorno alla testa generando un motivo
ripetuto quattro volte su ciascuno dei quattro segmenti in cui è suddivisa la superficie. Lo stesso intreccio di
draghi è riprodotto sulle quattro creste, superbamente lavorate a traforo, che si sviluppano lungo le pareti e si
incontrano sulla sommità. La parte inferiore della campana è impreziosita da un’importante iscrizione.
657
V3
Cat. 60:
In origine questa fascia di legno laccato ricopriva il bordo di una scatola interamente laccata proveniente dal
corredo funerario di un funzionario di alto rango dello stato di Chu, morto nel 316 a.C. Si tratta del più antico
esempio di narrazione pittorica finora scoperto, che descrive diverse scene in sequenza, che vanno lette
procedendo da destra verso sinistra. La storia descrive l’incontro tra due gentiluomini, gli episodi sono
intervallati da alberi contorti e piegati per poter essere compresi all’interno dello spazio della fascia. Molto
innovativa dal punto di vista tecnico è la resa nello spazio della sequenza temporale degli eventi.
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Cat. 62:
Questa bottiglia di legno laccato a corpo schiacciato rinvenuta in una tomba, risalente alla fine del periodo
Zhou Orientale o all’inizio del periodo imperiale, è un raro esempio di un’arte tradizionalmente appartenuta
alle culture meridionali che gli artigiani Qin erano riusciti a padroneggiare dopo la conquista, avvenuta nel
278 a.C., dello stato di Chu, il principale produttore di manufatti di lacca durante tutto il periodo Zhou
Orientale. È insolito il motivo della decorazione, diverso nelle due pareti della bottiglia.
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Cat. 57:
Lo stile monumentale e ridondante coniugato con il gusto per la decorazione raffinata caratterizza questa
splendida coppa in lacca a base circolare che ben rappresenta la produzione artistica delle culture
meridionali, illustrata anche nella sala successiva. I manici imponenti e il medaglione centrale del coperchio,
intagliati in altorilievo, ritraggono dei draghi nell’attimo in cui inghiottono altre creature (coperchio) o
azzannano con forza il bordo del recipiente con le loro fauci potenti (manici). L’equilibrio nelle forme è
ottenuto grazie alla superficie semplice e levigata del corpo centrale, dai motivi curvilinei o angolari,
tradizionalmente dipinti di rosso su sfondo nero, per quanto fosse possibile anche la combinazione contraria.
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SALA 3 SECONDO PIANO
Come alcune delle lacche presenti nella sala precedente, gli oggetti qui esposti provengono dall’area
culturale di Chu, dalla tomba del marchese Yi di Zeng, morto nel 433 a.C. La tomba è stata una delle
scoperte archeologiche più importanti avvenute in Cina negli ultimi decenni, non solo per la ricchezza del
corredo (oltre 15.000 reperti), l’ottimo stato di conservazione dei manufatti di eccezionale valore, ma anche
per la possibilità di ricostruire la vita dell’epoca. Infatti la tomba riproduceva la residenza del defunto,
rivelando mutamenti sostanziali nel credo religioso che avevano comportato un nuovo concetto di sepoltura.
635
S8
Catt. 54, 52, 53, 56:
Su questa pedana si possono ammirare 4 dei 124 strumenti musicali trovati nella tomba del marchese Yi di
Zeng.
Il litofono di grandi dimensioni era costituito da 41 lastre di pietra sonora di diversa grandezza, 32 delle quali
appese a due sbarre di bronzo sorrette da una coppia di creature fantastiche, anch’esse di bronzo. Le pietre
esposte sono una riproduzione, essendo le originali seriamente danneggiate.
Dei tre porta-tamburi il primo è di bronzo ageminato in oro e intarsiato di pietre semi-preziose, a forma di
animale fantastico: il corpo di volatile e il capo munito di un palco di corna che si sviluppano a formare un
cerchio all’interno del quale si presume andasse collocato un tamburo.
Il secondo, anch’esso di bronzo è costituito da otto coppie di draghi i cui corpi serpentiformi si attorcigliano
a formare un’aggrovigliata matassa (l’asta che reggeva il tamburo andava infilata al centro della base).
Il terzo, a forma di cervo, ha il corpo costituito da due blocchi di legno dipinto e laccato e su di esso è
innestata, in modo da poter essere ruotata, la testa che reca autentiche e maestose corna di cervo, anch’esse
dipinte. Un foro quadrato sul dorso dell’animale serviva ad accogliere l’asta che sorreggeva il tamburo.
1242
S9
Catt. 49, 50:
Su questa pedana sono esposti il sarcofago di legno laccato di una delle otto concubine che accompagnarono
nel riposo eterno il marchese Yi di Zeng, e dei vasi rituali di bronzo che erano collocati nella stanza centrale
della tomba del marchese. La coppia di recipienti per liquidi ha piedestalli rettangolari, ognuno sorretto da
quattro piedi a forma di graziosi animali fantastici che sembrano inarcare la schiena e aprire le fauci per
sostenere il grande peso. Il vaso a sezione quadrata, presente con il suo attingitoio, è costituito da due
recipienti: quello interno, più sobrio nell’ornamentazione essendo destinato a rimanere nascosto, veniva
riempito con le bevande da consumarsi durante i riti estivi, quello esterno, più elaborato e riccamente
decorato, fungeva da refrigeratore, dal momento che l’intercapedine tra i due contenitori veniva riempita di
ghiaccio. Nell’insieme i due vasi pesano 340 kg.
Lo stile imponente e ridondante, basato su un’ornamentazione estremamente elaborata, è caratteristico del
gusto della cultura meridionale di Chu. I bronzi qui esposti sono unici nel loro genere e appaiono
completamente diversi da quelli prodotti nelle aree controllate dai Zhou, documentando la ricchezza e varietà
della produzione artistica in epoca pre-imperiale.
1278
Introduzione Zhou Occidentale
Nel 1045 a.C. i Zhou avevano preso il controllo delle fertili pianure lungo il corso del fiume Wei, nella
provincia dello Shaanxi, riportando una vittoria decisiva sugli Shang, la prima dinastia della quale abbiamo
ampie testimonianze storiche, che aveva mantenuto la supremazia per circa cinque secoli, dal XVI all’XI
secolo a.C.
Cruciale nella storia della dinastia Zhou, durata oltre otto secoli – dal 1045 al 221 a.C., quando fu fondato
dell’impero – fu l’anno 771 a.C.: la capitale, nei pressi dell’odierna città di Xi’an, nella provincia dello
Shaanxi, venne messa sott’assedio e saccheggiata dalle tribù semi-nomadi dei Quang Rong provenienti da
Occidente, il sovrano venne ucciso e l’aristocrazia fu costretta a fuggire, rifugiandosi nella capitale orientale,
nei pressi dell’odierna città di Luoyang, nella provincia dello Henan. Da questa vicenda deriva la distinzione
tra i periodi Zhou Occidentale e Zhou Orientale.
Durante l’epoca Zhou Occidentale i legami rituali e i vincoli di parentela garantivano il perpetuarsi di un
sistema politico e sociale basato sulla preminenza del clan reale che intratteneva stretti rapporti con i clan
aristocratici assegnatari di vasti territori. La vita di corte ruotava intorno a complesse cerimonie a valenza
politico-religiosa nel corso delle quali venivano utilizzati oggetti rituali carichi di simbologie che con la loro
raffinatezza rappresentavano al contempo l’enorme potere dei sovrani e della casta dei sacerdoti-sciamani
che prendevano parte ad ogni decisione ricorrendo a pratiche divinatorie.
La gran messe di bronzi rituali ritrovati, ben rappresentati nelle due ultime sale di questo piano, testimoniano
di una vasta diffusione delle concezioni politiche e religiose vigenti presso i Zhou.
1749
SALA 4 SECONDO PIANO
P5
Catt. 4, 20, 21:
I vasi di bronzo qui esposti erano destinati a contenere bevande alcoliche, ottenute dalla fermentazione di
cereali e consumate durante le cerimonie religiose. I riti rappresentavano il fulcro del sistema politico-sociale
del periodo Zhou Occidentale, sancendo i rapporti all’interno dei clan e garantendo la coesione tra il clan
reale e i clan aristocratici indispensabile per mantenere l’unità dei territori conquistati.
La ricca ornamentazione sottende una complessa simbologia rispecchiata sia nelle massicce decorazioni dei
due secchielli con coperchio e manico, sia nei due vasi, uno a forma di animale fantastico, l’altro ancor più
massiccio, a base quadrata. In tutti è presente il motivo della maschera teriomorfa denominata taotie, qui
associata ad altri elementi zoomorfi e terimorfi, a tutto tondo nel caso dei vasi con manico, in rilevo negli
altri due.
La maschera taotie appare come una sorta di muso ferino privo di mandibola, formato dall’accostamento di
due profili speculari appartenenti a un animale fantastico dai i grandi occhi sporgenti (più o meno stilizzati
secondo le epoche) e dal corpo sdoppiato a entrambi i lati della testa, le zampe e gli artigli paralleli al corpo,
la coda arricciata. È l’immagine di una creatura dall’aspetto misterioso e terrifico, tramite simbolico tra il
mondo degli uomini e il mondo degli spiriti.
1353
V4
Cat. 16
Prive di battaglio, queste campane suonavano quando venivano colpite con un martelletto, forse di legno. Il
termine campana, col quale in genere vengono indicate, sembrerebbe quindi improprio, trattandosi di uno
strumento a percussione simile al gong. Strumenti musicali di questo tipo erano impiegati esclusivamente
durante le cerimonie religiose. Ogni elemento poteva essere appeso, tramite un anello posto alla base del
lungo manico cilindrico, con la bocca rivolta verso il basso, oppure fissato a un supporto a mensola con la
bocca rivolta verso l’alto.
558
SALA 5 SECONDO PIANO
V6
Cat. 1:
Questo contenitore per liquidi a forma di donna seduta sui talloni, secondo una postura diffusa in molte
culture tradizionali dell’Asia Orientale, è un pezzo eccezionale essendo la rappresentazione del corpo umano
del tutto assente nella bronzistica cinese tradizionale (esiste un’unica eccezione, relativa però a una cultura
lontana migliaia di km dalla capitale Zhou, nell’attuale provincia del Sichuan, risalente al XIII secolo a.C.).
Sulle spalle della donna si può notare una vistosa decorazione, con ogni probabilità a imitazione di un
tatuaggio.
Che l’oggetto sia un contenitore per liquidi viene suggerito dal corpo cavo con opercolo circolare sulla
sommità del capo, provvisto di orecchi a forma di anellino fisso (uno dei quali mancante), usati sia con
funzione di presa, sia per il passaggio della legatura del tappo oggi scomparso.
842
Cat. 8:
Questa coppa dall’elegante forma s’impone all’attenzione per il perfetto equilibrio di volumi tra la pesante
base decorata a rilievo e il corpo slanciato, levigato, dall’ampio orlo svasato. Essa appartiene a una tipologia
che, presente con un gran numero di pezzi nell’inventario dei vasi rituali da libagione della dinastia
precedente a quella Zhou, entrò in disuso assieme alla maggior parte dei vasi per alcolici a partire dal periodo
medio della dinastia Zhou Occidentale.
La coppa è notevole anche per la quasi totale assenza di patina, cosa dovuta a un naturale fenomeno di
protezione (cosiddetta “protezione catodica”) forse legato all’alto tenore di rame contenuto nella lega. Questa
peculiarità, riscontrata in pochissimi altri bronzi arcaici, ci permette di vedere l’originario aspetto dorato che
dovevano possedere quasi tutti i vasi rituali dell’epoca.
864
S10
Tra le espressioni artistiche della Cina antica grande rilievo ebbe la fusione di recipienti in bronzo a uso
prevalentemente rituale che testimoniano lo splendore e la raffinatezza raggiunti da questa civiltà. In
nessun’altra cultura antica se ne è avuta una produzione così imponente. Si pensi che nella sola tomba del
marchese Yi di Zeng del V secolo a.C. sono stati ritrovati bronzi per un peso complessivo di quasi dieci
tonnellate. È evidente che per sostenere una produzione così ingente era necessario disporre di ingenti risorse
materiali e umane che concorrevano a conferire un alto valore magico-sacrale agli oggetti realizzati con tanto
dispendio di energie.
La tecnologia del bronzo in Cina vanta una tradizione esclusiva nei procedimenti di fusione, con gettata
diretta entro matrici composite, un tipo di lavorazione più complessa e dispendiosa di quella a cera persa,
introdotta probabilmente da Occidente solamente a partire dal VII-VI secolo a.C. Ciò fu possibile grazie
all’abbondanza dei minerali metalliferi e alla piena padronanza della pirotecnologia, ottenuta grazie alla
grande esperienza acquisita sin dal Neolitico nel controllo delle elevate temperature raggiunte dalle fornaci
per la cottura della ceramica.
Su questa pedana è possibile ammirare solo una parte delle diverse tipologie di recipienti ad uso cerimoniale
in auge durante la dinastia Zhou Occidentale.
1390