Wang Fengjun - Mondo Mostre

Transcript

Wang Fengjun - Mondo Mostre
Cina. Nascita di un impero
Scuderie del Quirinale, Roma
22 settembre 2006 – 28 gennaio 2007
Wang Fengjun *
L’Età del Bronzo in Cina
Le più antiche evidenze archeologiche relative all’uso del metallo in Cina provengono da contesti
riferibili all’Età Neolitica; in particolare si tratta di un frammento semicircolare di metallo e di un
piccolo cilindro in lamina metallica rinvenuti (rispettivamente nel terzo strato della trincea di
saggio 259 e sul pavimento della capanna F29) nel sito di Jiangzhai, nei pressi di Xi’an (Shaanxi)
in livelli databili al V millennio a.C. Le analisi metallografiche effettuate sui due reperti hanno
dimostrato che si tratta di lega di rame e zinco (66,54% Cu, 25,56% Zn, 5,92% Pb, il primo; 69%
Cu, 32% Zn, 0,5-0,6% S, il secondo); anche a Sanlihe, un distretto di Jiaoxian (Shandong), sito
riferibile alla cultura Longshan (ca. 3000-2000 a.C.), sono stati rinvenuti due punteruoli che dalle
analisi effettuate risultano costituiti da una lega di rame e zinco (fig. 1), una sorta di ottone,
dunque, ma non intenzionale. Nei giacimenti cupriferi della Cina settentrionale, infatti, rame e
zinco spesso coesistono nella stessa roccia metallifera; queste rocce sottoposte a ripetuti
riscaldamenti potrebbero aver dato luogo a una qualche forma di primitiva fusione; è quindi
possibile ipotizzare che nel periodo più antico il rame impuro risultasse naturalmente alligato ad
altri metalli. In un sito della cultura Majiayao (3300-2050), a Linjia, un distretto di Dongxiang
(Gansu), gli archeologi del Museo Provinciale del Gansu hanno rinvenuto sotto il muro nord della
capanna F20 (databile a ca. 3000 a.C.) una lama metallica di coltello (12,6 cm) che analisi
elementali ad attivazione neutronica condotte dall’Istituto di Archeologia dell’Accademia Cinese
di Scienze Sociali hanno rivelato essere costituita da rame (Cu 36,5%), zinco (Zn 6,47%), piombo
(Pb 3,49%) e ferro (Fe 0,41%); ancora una volta, però, questa lega sembra essere il risultato della
combinazione accidentale di risorse minerali locali e non una lega deliberatamente prodotta
dall’uomo (fig. 2). Altri ritrovamenti di manufatti di rame/bronzo sono avvenuti in diversi siti
della Cina nord-occidentale in contesti culturali databili tra la fine del III e l’inizio del II
millennio a.C.: gli oltre sessanta manufatti (ornamenti e piccoli attrezzi) da siti della cultura Qijia
sono prevalentemente di rame (purezza 95%) e solo alcuni in lega ternaria (rame, stagno e
piombo), mentre gli oltre duecento utensili rinvenuti a Huoshaogou (Cultura Siba) sono per metà
in rame e per metà in bronzo.
In ogni caso, però, si tratta di oggetti di piccole dimensioni e a corpo pieno, gettati con ogni
probabilità in semplici matrici aperte o composte da due valve. Il rame puro, sebbene
naturalmente duttile e malleabile, non si adatta alla realizzazione per gettata diretta entro matrice
di oggetti a corpo cavo o di grandi dimensioni, a causa della sua alta viscosità allo stato fuso. Per
la realizzazione di tali oggetti fu quindi necessario fluidificare il rame alligandolo con stagno,
creando così una lega meno soggetta a ossidazione rispetto al rame e dall’aspetto brillante che
conferiva maggior pregio al manufatto.
L’Età del Bronzo ebbe inizio in Cina agli inizi del II millennio a.C., interessando le Tre
Dinastie pre-imperiali Xia (II millennio-XVI sec. a.C. circa), Shang (circa XVI sec.- 1045 a.C.) e
Zhou (1045-221 a.C.). La lavorazione di questo metallo giunse all’apice del suo sviluppo durante
la seconda fase della dinastia Shang (Periodo Shang di Yin, 1300-1045 a.C.) e i primi secoli della
dinastia Zhou, dando vita alla più raffinata e complessa arte fusoria di tutta l’Asia Orientale.
La quantità di oggetti di bronzo prodotti in Cina è immensa: soltanto nella provincia dello
Shaanxi, nell’arco di un trentennio, dal 1949 al 1979, sono stati riportati alla luce oltre tremila
manufatti databili all’epoca delle dinastie Shang e Zhou. In nessun’altra cultura antica si è avuta
una produzione così imponente, si pensi che nella sola tomba di Fu Hao (circa 1200 a.C.), una
delle mogli del potente re Wuding (circa 1250-1189 a.C.), si sono rinvenuti 466 manufatti di
bronzo per complessivi 1600 kg, mentre in una sepoltura del V secolo a.C., la tomba del
Marchese Yi di Zeng (catt. 48-52), ne sono stati ritrovati quasi dieci tonnellate. Nel dicembre del
1976 a Zhuangbai, un distretto di Fufeng (Shaanxi), è stato rinvenuto un intero ripostiglio di
bronzi cerimoniali appartenuti al potente clan Wei: ben 103 raffinatissimi ed eleganti recipienti di
bronzo, 74 dei quali recanti iscrizioni dedicatorie, grazie alle quali è stato possibile ricostruire la
genealogia e la storia di almeno cinque generazioni della famiglia Wei (si veda il saggio di A.
Andreini in questo catalogo). Ritrovamenti simili sono molto frequenti anche in siti più tardi: ad
esempio, dei bronzi rinvenuti sino ad oggi, solo quelli recanti iscrizioni – in numero esiguo
rispetto a quelli che ne sono privi – sono ben oltre dodicimila.
Oltre che per il gran numero, i manufatti di bronzo sono degni di nota per la varietà dei tipi e
la specializzazione delle funzioni: basti ricordare, ad esempio, i recipienti per i cibi, per l’acqua e
le bevande alcoliche, gli strumenti musicali, le armi, gli utensili per l’agricoltura e l’artigianato, i
finimenti per cavalli e per carro, gli oggetti d’uso domestico, le monete e i sigilli, solo per citare
le categorie più frequenti. Dei soli vasi per bevande alcoliche si conoscono più di venti tipi
principali (fig. 3), di cui in mostra figurano, oltre al singolare contenitore a forma di figura
femminile ignuda (cat. 1), tre vasi da vino jue (cat. 19), un’elegante coppa libatoria gu (cat. 21),
recipienti denominati zun (cat. 23), hu (catt. 11, 12, 34, 40, 43, 49, 90), fanghu (catt. 3, 29, 85), la
caraffa he con beccuccio a forma di uccello e manico a forma di quadrupede (cat. 24), la coppia
di secchielli you (cat. 25) e il bellissimo gong zoomorfo (cat. 7). Forme, accessori e decorazioni
cambiarono nel tempo, persino nel corso della medesima epoca, mentre stili e motivi decorativi
rivelano spesso diversità regionali: una continua evoluzione e una eccezionale diversificazione
che conferiscono a ogni singolo oggetto grande valore e pregio.
I vasi rituali di bronzo rappresentano concretamente la sfera religiosa dell’aristocrazia Shang e
Zhou; i vasi e le decorazioni che li ornano erano in altre parole il veicolo di preghiere, aspirazioni
e credenze, vale a dire di comunicazione con il mondo degli spiriti. Di tali decorazioni a carattere
religioso, le più ricorrenti nelle epoche Shang e Zhou erano la maschera zoomorfa nota come
Taotie (rappresentata in diversi recipienti in mostra, catt. 24, 41, 182, 225, 809, 287 e fig. 4) e
esseri fantastici dal corpo composito tradizionalmente chiamati Kui e che si è soliti tradurre come
“draghi” (cat. 24 e fig. 5). Nella visone frontale, il Taotie appare come una sorta di muso ferino
privo di mandibola (da qui l’uso di definirlo “maschera”) formato da due metà speculari; ciascuna
metà, a sua volta, non è altro che un animale fantastico raffigurato di profilo: i grandi occhi
sporgenti, il corpo sdoppiato specularmene lungo entrambi i lati della testa, le zampe e gli artigli
paralleli al corpo, la coda arricciata, suggeriscono l’immagine di una creatura dall’aspetto
terrifico, che, se forse incuteva timore e riverenza all’osservatore, sicuramente costituiva il
tramite simbolico con il mondo degli spiriti, con l’Aldilà.
Nel periodo di massima fioritura dell’arte del bronzo, fra il tardo periodo Shang e l’inizio della
dinastia Zhou, queste figure rese in altorilievo si armonizzavano sullo sfondo decorato da motivi
“a nuvola” (yunwen, fig. 6) e “a fulmine” (leiwen, fig. 7), canonicamente disposte su tre fasce
orizzontali (fig. 8). Le linee vigorose, fuse o incise in forte rilievo, evocavano primitivi e arcani
2
sentimenti religiosi. Inoltre, l’organizzazione dei motivi decorativi in tre fasce si sposava
perfettamente con la struttura pesante e imponente dei vasi. Nelle decorazioni dei manufatti di
bronzo delle epoche Shang e Zhou Occidentali (1045-770 a.C.) prevalgono gli esseri zoomorfi
dall’aspetto terrifico e feroce, mentre la rappresentazione della figura umana è piuttosto rara (fig.
9) e, quando presente, non ha alcuna preminenza, si confonde anzi con i motivi zoomorfi o è
preda di bestie feroci e mostruose.
In Cina, i recipienti rituali destinati alle cerimonie religiose e ai corredi funerari
dell’aristocrazia sembrano essere l’elemento caratterizzante, rispetto alla pur ricca tipologia delle
armi e degli utensili. Senza dubbio la complessità delle fogge, e dei raffinati motivi decorativi del
vasellame rituale fu possibile grazie a tecniche di fusione evolute e sofisticate, ben diverse dalle
tecniche fusorie adottate nelle coeve culture asiatiche produttrici di bronzo (nelle regioni delle
steppe lungo i confini settentrionali e occidentali della Cina, ad esempio, il bronzo fu
principalmente usato per produzione di utensili, di armi e di monili, quali placche da cintura,
bracciali e cavigliere).
La tecnologia del bronzo in Cina vanta una tradizione esclusiva nei procedimenti di fusione,
con gettata diretta entro “matrici composite”. Questa lavorazione, più complessa e dispendiosa, fu
possibile grazie all’abbondanza dei minerali metalliferi, alla piena padronanza della
pirotecnologia - grazie alla lunga esperienza acquisita, durante i millenni dell’Età Neolitica, nel
controllo delle elevate temperature raggiunte dalle fornaci per la cottura della ceramica (si veda il
saggio di S. Rastelli in questo catalogo) - e alla disponibilità e organizzazione della forza lavoro.
Il complesso procedimento consisteva nel plasmare un modello di argilla del vaso da fondere,
attorno ad esso veniva applicato uno spesso strato di argilla depurata che prendeva la forma del
modello; questo strato esterno era quindi tagliato in varie sezioni (il numero variava a seconda del
tipo di vaso) che venivano separate dal modello. Il modello iniziale di argilla era trasformato nel
nucleo dello stampo eliminando uno strato d’argilla corrispondente allo spessore desiderato; su
questo nucleo era montata la matrice esterna costituita dalle varie sezioni. La giunzione tra le
singole parti della matrice esterna era assicurata da incastri ricavati lungo i bordi di ogni sezione,
dove erano anche praticati degli sfiatatoi per la fuoriuscita dei gas prodotti dal metallo fuso
durante la colata. Dei piccoli frammenti di bronzo (scarti di fornace, di solito), detti distanziatori,
al momento del montaggio delle diverse componenti della matrice, erano posti in diversi punti tra
il nucleo e la matrice esterna, assicurando un’intercapedine costante e omogenea; nello spazio
vuoto così creato veniva direttamente gettato il bronzo fuso che, una volta raffreddato, veniva
liberato dall’involucro esterno e dal nucleo (fig. 10). Inizialmente i motivi decorativi erano incisi
sulla parete concava delle sezioni della matrice esterna, successivamente furono invece eseguiti in
rilievo sul modello, in modo da trasferire il decoro direttamente sulle matrici. Questo
procedimento, diversamente dalle matrici aperte o a due valve, consentiva di usare una matrice
una sola volta per un solo oggetto, ed è per questo che i vasi di bronzo sono uno diverso
dall’altro, e trovarne due identici è pressoché impossibile.
Intorno al sec. VII-VI a.C., assieme a innovazioni nella fabbricazione e struttura delle matrici,
comparvero nuove tecniche decorative, come ad esempio l’agemina in rame, tecnica che si
diffuse ampiamente nei secoli successivi. Come testimoniato dai frammenti di stampi per matrice
messi in luce nella grande fonderia di Houma (Shanxi), datata tra il 585 e il 380 a.C. circa, il
disegno del motivo decorativo era inciso profondamente sul modello che impresso sulla matrice
produceva una replica in rilievo del disegno desiderato. Questo disegno in rilievo sulla matrice si
sarebbe a sua volta trasferito, con la fusione, in forma di solco sull’oggetto di bronzo; i solchi,
quindi, erano riempiti con lamine di rame battute a freddo e successivamente levigate. Solo in un
3
secondo momento vennero introdotte le tecniche della battitura a caldo e del riempimento dei
solchi con metallo in fusione, utilizzando per l’agemina anche l’oro e l’argento (come ad esempio
nel tripode ding, cat. 46). Una variante semplificata dell’agemina su bronzo con battitura a caldo,
era usata per manufatti di spessore relativamente sottile; in questo caso i motivi decorativi erano
eseguiti a bulino, praticando sottili solchi o file di puntini che permettevano di realizzare
decorazioni fluenti e sinuose. Con lo sviluppo di queste nuove tecniche, gli elementi decorativi in
rilievo furono sostituiti da motivi piani, bidimensionali, ma sempre più raffinati e dettagliati.
Gradualmente lo stile severo dei più antichi motivi ornamentali si eclissò di fronte all’affermarsi
di uno stile artistico evoluto, anche grazie alla diffusione della tecnica di fusione “a cera persa”
che, intorno ai secc. V-IV a.C., si diffuse nel nord a partire dalle regioni lungo la valle dello
Yangzi. Proprio in queste regioni meridionali furono fusi “a cera persa” i vasi e gli oggetti di
bronzo, splendidi e oltremodo ricchi di ornamenti, deposti nel corredo funebre del marchese Yi di
Zeng.
Un altro elemento che caratterizza la bronzistica della Cina arcaica è la presenza delle
iscrizioni, che gli studiosi chiamano, almeno dal sec. XII d.C., jinwen (lett. “scrittura su
metallo”). Le prime iscrizioni su bronzo apparvero intorno alla metà dell’epoca della dinastia
Shang: uno o due caratteri, generalmente, che riportano il nome del clan dell’antenato cui era
dedicato il vaso. In seguito, verso la fine della dinastia, iniziò a diffondersi la pratica di riportare
su metallo testi narrativi che celebravano, ad esempio, l’occasione che aveva determinato la
realizzazione del manufatto: la più lunga iscrizione di quest’epoca a noi pervenuta è di 48
caratteri. Il periodo di maggiore fioritura delle iscrizioni su bronzo fu, però, l’epoca della dinastia
Zhou Occidentale (1045-770 a.C.), caratterizzata da testi lunghi e compositi, come l’iscrizione di
497 caratteri sul calderone tripodato del duca Mao (Maogong ding). Gradualmente i testi si fecero
più brevi e stereotipi, tanto che nel periodo degli Stati Combattenti (453-221 a.C.) si limitavano a
riportare i nomi dell’artigiano e del committente (solo raramente erano incise frasi di una certa
lunghezza). Lo stile grafico dei caratteri (incisi sulla matrice) variò più volte nel corso dei secoli,
variando da tratti forti e grossi, a sottili e vigorosi o, infine, raffinati ed eleganti (infra, A.
Andreini).
È noto che i più antichi manufatti di bronzo furono utensili d’uso quotidiano o armi, ma con
l’affermarsi della tradizione rituale e religiosa dell’aristocrazia, sin dal loro primo apparire nel
periodo di Erlitou (ca. 1900-1600 a.C.), i vasi rituali di bronzo si configurano come emblemi di
potere ed espressione di un ben preciso gusto estetico, di cui è possibile seguire l’evoluzione nelle
diverse epoche. Si considerino, ad esempio, i recipienti per cibo: nel periodo Zhou Occidentale,
secondo una tradizione che si basa su norme suntuarie riportate in testi di poco posteriori alla
dinastia Zhou Occidentale, al sovrano era concesso l’uso di nove vasi tripodati ding (di questa
tipologia sono presenti in mostra quattro esemplari di epoca Zhou, catt. 9, 26, 27, 31, e uno di
epoca Han Occidentale, cat. 93), i signori feudali (i gong o duchi) potevano usare sette ding, gli
aristocratici di livello inferiore cinque e infine i funzionari solo tre. Questi tripodi, in altre parole,
erano simboli di rango all’interno di una società organizzata da un rigoroso ordine gerarchico, e il
cui uso non poteva contravvenire a precise norme rituali garanti dell’ordine sociale. Queste norme
regolavano il possesso e l’uso anche di altre categorie di vasi, come quelli per la cottura e la
presentazione di cibi (catt. 2, 5, 16, 20, 28), o quelli per contenere, per mescere o consumare
bevande. Simboli di potere e di status, questi vasi rituali richiesero ingenti risorse materiali e
umane per la loro esecuzione: si pensi, ad esempio, al grande calderone (cat. 9), e ai tre
giganteschi esemplari rinvenuti nella sepoltura del Marchese Yi di Zeng: la monumentale coppia
di vasi per liquidi hu (cat. 49), l’imponente contenitore per bevande (cat. 50) e il prezioso ed
4
elegante uccello fantastico (cat. 51).
Queste ingenti quantità di manufatti di elevata qualità e raffinatissima foggia, ebbero ampia
circolazione e furono tramandati e custoditi di generazione in generazione nel corso delle dinastie
Shang e Zhou, ma con il declino delle pratiche cultuali dell’aristocrazia Zhou lentamente
tramontò anche l’uso rituale dei vasi di bronzo. La fine della dinastia Zhou e l’avvento dell’epoca
imperiale per opera del Primo Augusto Imperatore della dinastia Qin (221-206 a.C.) diedero
inizio a una nuova fase di splendore, che con la successiva dinastia Han vide fiorire l’arte della
fusione degli specchi di bronzo, la cui faccia non riflettente divenne il campo per la realizzazione
di decorazioni tra le più raffinate e complesse (catt. 89, 101). Un’arte fusoria che, non più legata
alle sole esigenze rituali, investì ogni aspetto della vita quotidiana delle classi più abbienti, in
grado di apprezzare e possedere oggetti d’uso eleganti e costosi, quali i pesi zoomorfi di bronzo
dorato e ageminato (cat. 86) che servivano per tenere fermi gli angoli delle stuoie, le ingegnose
lampade configurate, come quella a forma di ariete presente in mostra (cat. 88), che illuminavano
i palazzi, e le raffinate scatole, forse destinate ai belletti, come quella dorata con decorazioni
policrome dipinte all’interno del corpo e del coperchio, quest’ultimo fornito di tre zampe a forma
di fenice (cat. 99). Oggetti di lusso utilizzati nella vita quotidiana; manufatti che, sebbene fossero
talvolta destinati alla sfera della religiosità, come la misteriosa statuina raffigurante un Immortale
(cat. 87), avevano perduto ormai l’arcana sacralità dei bronzi dell’aurea età arcaica.
* Wang Fengjun, direttore dell’Istituto di Archeologia delle Shaanxi, Xi’an.
Dal catalogo a cura di Maurizio Scarpari e Lionello Lanciotti, edito da Skira
5
FIGURE
fig. 1: punteruoli (da Wen Fong, a cura di, The Bronze Age of China, p. 1)
fig. 2: pugnale (Chang Kwang-chih, The Formation of Chinese Civilization. An
Archaeological Perspective, p. 67).
fig. 3: disegno di un set di contenitori della dinastia Shang, (J. Rawson, ed., Mysteries of
Ancient China. New Discoveries from the Early Dynasties, The British Museum Press, London.
1996, p. 249). Oppure: Monumentality, pp. 46-47.
fig. 4: calco dei motivi decorativi di un vaso di bronzo, in basso l’immagine di taotie (J.
Rawson, op. cit., p. 255); calchi di quattro versioni di taotie di bronzi di epoca Shang (J. Rawson,
op. cit., p. 254); oppure
fig. 5: calchi di draghi kui da A Chinese-English Glossary and Illustrations of Antique, pp. 4950.
Fig 6: motivi decorativi “a nuvola” (yunwen), A Chinese-English Glossary, p. 26.
Fig. 7: motivi decorativi “a fulmine” (leiwen), A Chinese-English Glossary, p. 26.
Fig. 8: motivi decorativi su tre fasce orizzontali di un vaso hu, A Chinese-English Dictionary,
p. 36
Fig. 9: vaso con figura antropomorfa (M. Scarpari, Antica Cina, p. 182)
Fig. 10: tecnica a “matrici composte” (Ciarla, Shaughnessy o J. Rawson)
6