Mercanti in Fiera

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Mercanti in Fiera
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,70
SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/
BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158
ANNO XLI . N. 121 . DOMENICA 22 MAGGIO 2011
EURO 1,30
STANDARD&POOR’S FA INFURIARE TREMONTI
DEMOCRAZIA
«Prospettiva negativa»,
ferma l’Italia del Cavaliere
OBAMA/NETANYAHU
Medio Oriente,
Israele ormai
è dentro
un vicolo cieco
Zvi Schuldiner
Il premier israeliano Benjamin
Netaniahu ha chiarito che il suo
governo non andrà a una pace
vera nel prossimo futuro. Lo ha
chiarito a Washington, incontrando il presidente Barack Obama
che solo il giorno prima aveva
cercato di rispolverare la sua dote
di grande oratore. La retorica del
Cairo di due anni fa, quella del
presidente premio Nobel per la
pace, è ormai un po’ ossidata, ma
il discorso di Obama avrà dato un
forte contributo a quanti vogliono
impedire che in settembre l’Onu
riconosca uno stato palestinese.
Quanto a Netaniahu, due anni fa
si era rivenduto un vago riconoscimento della formula dei «due stati» - ma da allora si è scordato
cosa siano dei veri negoziati.
CONTINUA |PAGINA 8
L’
agenzia di rating Standard&Poor’s taglia
l’outlook dell’Italia berlusconiana: la prospettiva diventa negativa, a causa di una crescita economica troppo debole e dello stallo politico, con rischi di un declassamento del paese entro
due anni, come già avvenuto per Grecia, Portogallo,
Irlanda e Spagna. Il pessimo voto in economia e in
condotta fa infuriare il ministro dell’economia Giulio Tremonti. Che in una nota ribadisce seccamente
che «il governo rispetterà gli impegni» e che la «paralisi politica è da escludere». Ma alla vigilia dell’assai
incerto voto milanese (e non solo) e dei suoi effetti
sull’esecutivo, il giudizio di Standard&Poor’s è un’altra batosta per il governo. SERVIZIO |A PAGINA 7
Poscritto sul golpe
Votare tutti,
votare bene
Alberto Asor Rosa
I
INTERVISTA
L’economista Pierluigi Ciocca:
«Dal 1992 l’Italia non cresce.
Il paese soffre un blocco
fondamentale della produttività»
Valentino Parlato |PAGINA 6
Mercanti in Fiera
PISAPIA-MANIA
La rivoluzione
della gentilezza
scuote Milano
SPAGNA
Diana Santini
Disillusi
ma combattivi,
l’urlo di rivolta
degli indignati
MILANO
B
Paolo Gerbaudo, Madrid
«Los nuestros suenos no caben
en las urnas»: i nostri sogni nell’urna non ci entrano. Uno slogan
tra le centinaia che campeggiano
sui lampioni, sulle tende, sui tavoli del campeggio di protesta
degli «indignati» a Puerta del Sol,
nel centro di Madrid. Parole che
condensano la rabbia di una
generazione in un incubo che,
alla vigilia delle elezioni locali, ha
disturbato i sonni dei politici spagnoli. E in particolare quelli di
José Luis Zapatero, primo ministro di un paese con la disoccupazione giovanile a quota 43,6
per cento.
CONTINUA |PAGINA 9
LETIZIA MORATTI AL MERCATO, DOVE È STATA CONTESTATA/FOTO PAOLO SALMOIRAGO
È gara a chi la spara più grossa. Bossi e Berlusconi promettono
ministeri a Milano e il taglio delle tasse. Moratti annuncia
la moratoria delle multe. Il centrodestra vede nero PAGINA 5
VOI SIETE QUI
Il bandito Giuliano
V
a bene quando la realtà supera la
fantasia, ma quando le dà tre giri
di pista c’è da festeggiare a champagne. La notizia di ieri è che Giuliano
Pisapia, il prossimo sindaco di Milano,
ha sventato un furto d’auto, consentendo alle forze dell’ordine di fermare il
malvivente, già autore di uno scippo. Vedere un noto ladro d’auto bloccare un
collega in azione fa sempre un certo effetto, è come se Renzo Bossi insegnasse la
sintassi a Calderoli.
Ora che il miracolo della legalità è
compiuto, non resta che mandare un caro pensiero ai sallustiani del settimo
giorno. Gente che ha investito energie,
tempo e soldi per descrivere il futuro sindaco di Milano come Landrù. Giuliano
Alessandro Robecchi
Pisapia, quello che trasformerà Milano
in una Mecca per gay (titolo su Libero),
in un paradiso dei drogati, nella Stalingrado d’Italia (copyright un anziano signore bollito a reti unificate), sventa un
furto, la miglior mossa pensabile per
tranquillizzare l’elettorato milanese che
la destra si sforza di spaventare. Ora si
attende con ansia la risposta dell’unico
supereroe in città, quel tale Batman, il figliolo della signora Moratti, buono per
gli abusi edilizi e le risse in discoteca.
La faccenda si complica anche in termini di marketing. Quante apparizioni
televisive dovrà ordinare il piazzista di
Arcore per convincere i milanesi che Pi-
sapia è un incrocio tra un black block,
un punkabbestia e un rom tossicomane? Comparirà anche nelle previsioni
del tempo? Nel segnale orario? E la signora Moratti, saputo che c’è un nuovo supereroe in città, con quale spirito penserà ai suoi amici speculatori, ai cantieri
eterni, agli affarucci dell’Expo? Ma soprattutto, essendo sparite le cabine del telefono, dove diavolo si sarà appartato
Giuliano per indossare il costume da Superman?
Non disperiamo: qualcosa si inventeranno per tenere bassi i toni e recuperare il loro aplomb di moderati. Suggeriamo al Giornale questo titolo: «Pisapia cattura un ladro, era di una gang
rivale».
uongiorno, buonasera. Dopo
la sbornia elettorale dello scorso weekend, Milano s’è svegliata di ottimo umore. Nonostante l’opera sia, per così dire, incompiuta, nella
città che tutti seguitano (i milanesi lo
sanno benissimo) a considerare la più
antipatica d’Europa, la rivoluzione
della gentilezza sembra essere già iniziata: automobili che si fermano per
lasciare passare i ciclisti, capannelli di
persone ferme a chiacchierare sui
marciapiedi, addirittura qualche abbraccio. Insomma, cose dell’altro
mondo.
In corso Buenos Aires, lunedì sera,
la banda suonava in mezzo alla strada. Intorno, migliaia di facce ancora
incredule per il miracolo. Nell’aria si
respirava una gioia quasi calcistica,
con tanto di caroselli di auto strombazzanti e sventolio di bandiere. Ci sono in giro perfino certi inguaribili romantici che vanno dicendo che quando, e se, Giuliano Pisapia vincerà per
davvero non sarà comunque un’emozione paragonabile a quella.
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l voto del 15-16 maggio, pur restando connotato più di quanto
forse non si dica dalle sue peculiarità amministrative, ha senza dubbio
inferto un colpo al sistema: ora si tratta di compiere l’opera.
L’analisi delle componenti politiche, psicologiche e personali che ci
hanno portato a questo risultato è prematura: ci sarà il tempo per farla dopo, quale che sia il risultato che ci
aspetta (forse soltanto una cosa si
può dire fin d’ora: in tutti i casi contemplati le primarie, quando si sono
svolte regolarmente, hanno innegabilmente giovato). La convergenza assoluta sui candidati prevalenti del centro-sinistra, - in primis Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli, ma anche
Zedda a Cagliari - è la prima condizione da realizzare. Poi ci sono altri fronti da tener presenti.
Colpisce la renitenza a scegliere di
due forze organizzate come il Terzo
Polo e i grillini, uscite con risultati difformi dalle urne, ma comunque ben
in grado d’influenzare con le loro scelte il voto finale. Si tratta, com’è ovvio,
di situazioni diverse, ma con un tratto
comune: non si sentono coinvolte dallo scontro attuale fra centro-destra e
(un sia pur variegato a talvolta anomalo) centro-sinistra. Mi pare che sia per
tutti costoro un grave errore, anche
parecchio autolesionistico.
Nella competizione in atto - ripeto
- giocano molto i fattori amministrativi. La fallimentare (e persino un po’
oscura) conduzione del comune di
Milano da parte di Letizia Moratti ha
certo a che fare con il consenso ricevuto da Giuliano Pisapia. Allargo il discorso: va segnalato che il centro-destra si è reso responsabile di alcuni
dei casi più clamorosi di cattiva amministrazione locale in Italia nel corso
degli ultimi decenni: se si votasse oggi
a Roma, con un buon candidato da
opporle, la giunta di Gianni Alemanno verrebbe clamorosamente rovesciata.
Questo terreno non va certo abbandonato. E però è inutile negare che il
discorso è andato al di là - e di molto del dato puramente amministrativo.
Se non ce ne fossero state le condizioni generali, - e c’erano, - l’avrebbero
comunque voluto loro. Sembrava che
lì per lì, dopo il primo voto, ne avessero fatto ammenda. Invece i toni - quelli del referendum e della crociata, della calunnia e dell’insulto, della menzogna e della panzana - non sono cambiati, anzi, si sono perfino accentuati.
Come mai? La risposta è semplice:
perché ormai non sono più capaci di
altro; non gli resta che fare appello
agli istinti bestiali del "popolo animale" (come loro sperano che sia e come
giorno dopo giorno se lo allevano).
Ho sentito il ministro La Russa dichiarare che i milanesi non devono votare
Pisapia se non vogliono una moschea
per ogni quartiere e un accampamento rom di fronte ad ogni scuola ... E
quel che Bossi ha detto di Pisapia sta
scritto su tutti i giornali ... E’, tutto
sommato, un segnale di rabbiosa debolezza, che va utilizzato.
Allora quel che è in gioco oggi, - oltre al dato amministrativo, il quale peraltro per molti versi fa corpo con essa – è la possibilità di riportare il paese a un gioco democratico "normale"
e alla purificazione della politica dal
groviglio ammorbante degli interessi
personali e di gruppo.
Dichiararsi equidistanti o, peggio,
indifferenti rispetto a questa posta
non ha senso. Fa sorgere anzi il sospetto che alcune rendite di posizione in tali campi pensino di continuare a giovarsi proprio della perpetuazione di quello stato di anormalità e
di degrado.
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il manifesto
Da Nord a
Sud, lotte
migranti
la giornata
Fausto Della Porta
UN MCDONALD’S A PECHINO
Washington e Pechino,
la coppia non scoppia
Angela Pascucci
D
opo l’ultimo round a
Washington della partita
Usa-Cina si può ben dire
che le due prime economie del
mondo sembrano i partner di una
vecchia coppia che non si sopportano più ma poiché l’una è ancora necessaria all’altra, sono costrette a
trovare il modo di convivere senza
massacrarsi a vicenda, come il cambiamento di pelle del mondo potrebbe spingerle a fare. Per la relazione più strategica e decisiva del
secolo ora è la fase del business as
usual. Il terzo incontro annuale del
Dialogo economico e strategico tra
Washington e Pechino, tenutosi il 9
e il 10 maggio, è infatti filato liscio.
Le denunce di prammatica sui diritti umani infranti dai cinesi, soprattutto con l’ultima violenta ondata
repressiva seguita alle rivolte arabe,
sono arrivate puntuali, proferite dal
segretario di stato Hillary Clinton e
dal vice presidente Joe Biden, non
hanno impedito che al tavolo del
confronto le delegazioni, composte
ciascuna da decine di
politici, burocrati, uomini d’affari, e per la prima volta anche da militari, raggiungessero accordi su alcuni punti di
frizione.
Risultati concreti ma
modesti. Del cambiamento radicale di rotta
auspicato all’esplosione della crisi finanziaria
non c’è più traccia ma
tant’è. Entrambe le potenze si trovano in un momento cruciale della
propria storia. Gli Usa di Obama annaspano in un’economia che non
decolla, nella quale la disoccupazione resta al 9% e il debito cresce,
mentre si avvicina inesorabilmente
la scadenza elettorale del 2012. La
«vittoria» su Osama bin Laden potrebbe sbiadire, fino ad allora. La
Repubblica popolare (Rpc), che in
teoria dovrebbe essere sulla cresta
dell’onda con i suoi ritmi di crescita
mai rallentati, affronterà anch’essa
nel 2012 un cambio della guardia
che, per quanto non affidato all’alea delle urne ma ai riti del Partito, rappresenta un passaggio critico. Tanto più che molti nodi del
suo sviluppo, economico e sociale,
«insostenibile e squilibrato» (parole
del premier Wen Jiabao), stanno venendo al pettine. La brutale ondata
repressiva in corso rivela la criticità
del momento.
più è stata data. Le altre questioni,
geopolitiche e militari, chiedono altri patti e altri tempi, e bisognerà vedere. Ma l’impegno a continuare il
confronto è già un risultato.
Di fatto il vero confronto Usa-Cina avviene ogni ora di ogni giorno
su tutto lo scacchiere planetario,
nel quale il cosiddetto G2 è stato interrato prima ancora di nascere e
dove va oggi in scena una rappresentazione certo animata dalla Cina ma che probabilmente nessun
G può rappresentare.
La situazione è ben descritta nel
rapporto The Evolving Role of China in International Institutions presentato nel marzo scorso alla UsChina Economic and Security Review Commission del Congresso.
Nella relazione (che si può leggere
per intero sul sito www.uscc.gov.),
gli autori, Stephen Olson e Clyde
Prestowitz dell’Economic Strategy
Institute, osservano che Pechino,
entrata in tutte le istituzioni del governo internazionale «le usa con
grande competenza ed efficacia per
difendere i propri interessi naziona-
pri punti di vista e a difendere i propri interessi nazionali, senza necessariamente cadere nell’adesione a
formule semplificate, siano esse il
Washington Consensus o il Beijing
Consensus» . L’effetto Cina, insomma, «ha generato uno scenario politico, più complicato e multidimensionale» con cui tutti dovranno confrontarsi. Pechino compresa, va aggiunto. La stessa Rpc infatti non
può dare per scontato nulla in questo nuovo sistema di relazioni, dovendo fronteggiare il proliferare di
reazioni negative all’impatto ambientale, sociale ed economico generato dai suoi interventi.
Il vero confronto Usa-Cina
avviene ogni giorno nel mondo,
quando il G2 è stato seppellito
prima di nascere e non c’è più
un «G» capace di rappresentarlo
Altri patti e altri tempi
Un quadro che ha aiutato a smorzare i toni del confronto a Washington. Al dunque quello che entrambi i paesi vogliono ottenere rapidamente è accedere più liberamente
al mercato dell’altro, cosa per nulla
scontata in questo momento, e
qualche rassicurazione verbale in
li e ottenere ciò che le serve». Nel
progredire di questa azione, il ruolo
e l’influenza cinesi sono oggi al centro di un’importante evoluzione,
«che avrà un impatto profondo nel
modo in cui gli Usa perseguono i loro interessi economici e strategici
internazionali». Al dunque, avvertono i due relatori, sarà sempre più
difficile per Washington ottenere
Us solutions. La crisi finanziaria che
ha indebolito l’Occidente, e gli Usa
in particolare, ha agito da acceleratore e approfondito un andamento
che vede la Rpc sfruttare in pieno
sullo scenario internazionale, con finanziamenti, aiuti e investimenti,
gli ingenti mezzi che la forza economica le fornisce, accrescendo così il
proprio ascendente. Inevitabile
che, dopo aver abilmente usato le
regole del gioco, la Cina sfrutterà la
propria influenza per cambiarle. Come notano ironicamente Olson e
Prestowitz, «mentre l’Occidente cerca di far posto alla Cina ridisponendo le sdraio in coperta, i cinesi stanno costruendo una nuova nave».
Uno degli effetti collaterali più rilevanti di questa azione è tuttavia
che «un vasto numero di altri paesi
economicamente e strategicamente importanti (incoraggiati dall’esempio cinese) si sentono sempre più autorizzati a sostenere i pro-
Daniela Preziosi
DOMENICA 22 MAGGIO 2011
I corpi
contro
il nucleare
Guglielmo Ragozzino
RIFUGIATI
REFERENDUM
NO-NUKE
Santa Maria Capua
Vetere contro il Cie
«Noi abbiamo le idee
chiare». Ora
Catene umane
ieri e oggi
Hanno sfilato in centinaia a
Santa Maria Capua Vetere fino
al Centro di identificazione ed
espulsione (Cie) della ex caserma Andolfato, dove sono rinchiusi dal 18 aprile 102 cittadini tunisini. La manifestazione,
la terza organizzata in un mese dalla rete Antirazzista, rivendica il diritto alla libertà dei
profughi provenienti dalla Tunisia e la chiusura immediata
del campo, trasformato con un
decreto il 21 aprile scorso da
centro di accoglienza a centro
di espulsione (in modo teoricamete temporaneo e al massimo fino al 31 dicembre 2011).
I manifestanti contro il lager
hanno lanciato all’interno scale di corda e palloni con dei
messaggi. I reclusi - che vivono in tende sotto il sole, con
tre bagni chimici e due docce
e dormono su materassi sbattuti a terra - hanno risposto chiedendo maggiore libertà e la
fine di questo regime di detenzione. «La situazione all'interno è insostenibile - dice Cristian Valle, uno degli avvocati
dei migranti - nelle tende il caldo è ormai asfissiante, le condizioni igieniche sono al limite e
queste persone, incarcerate
ingiustamente, vivono un sentimento di costante tortura psicologica». «Le istituzioni facciano qualcosa rapidamente, - ha
concluso Valle - ma questo
campo deve essere chiuso: è
Mercoledì scorso il segretario Pd
Bersani ha annunciato l’impegno
del suo partito sui referendum:
«Da domani faremo una campagna a tappeto». Così sembra proprio stia andando. Le affissioni
sono iniziate, la macchinina della
propaganda del partito ha ingranato. Ieri sull’ultima pagina dell’Unità campeggiava un bel volantino, primo di tre - giustizia, acqua, nucleare - con lo script «Noi
abbiamo le idee chiare. Vota sì».
Oggi il Pd ha le idee chiare, l’evento va salutato con soddisfazione.
Un anno fa, durante la raccolta
firme, molti suoi dirigenti esprimevano perplessità quando non
dissenso sul metodo e sul merito
dei quesiti. Quanto all’acqua, per
esempio, alle Camere è depositata una proposta Pd ben diversa
dal testo che disegnano i quesiti.
All’epoca un intraprendente democratico abruzzese ha persino
fondato il comitato per il no. Bersani, in tv, spiegò di essere «amichevole» con i referendari, ma di
non voler firmare perché «negli
ultimi vent’anni non si è mai vinto e per questo l’obiettivo mancato rischia di diventare un boomerang». Franceschini e Marino invece li firmarono.
Era solo un anno fa, ma erano
altri tempi. Ora le amministrative
consegnano un centrosinistra finalmente rianimato e intenzionato a fare l’en plein ai ballottaggi. E
finalmente le perplessità di ieri
sgombrano il campo a favore delle «idee chiare» di oggi.
C’è da augurarsi che il cambio di
marcia non sia solo una scelta
tattica e strumentale. Cavalcare la
battaglia dei quesiti, nell’immediato, significa infatti pescare nell’area ampia della cittadinanza
responsabile che ha votato per
Grillo, o che al primo turno non
ha votato Pd, o persino non ha
votato affatto. «L’attivazione dei
cittadini potrà essere di grande
aiuto anche per vincere ai ballottaggi», ragiona Ermete Realacci,
responsabile green economy Pd.
Contiamo su quell’«anche». C’è
da augurarsi che dopo aver raccolto il benefico influsso sui ballottaggi della mobilitazione referendaria (in questo week end manifestazioni in molte città, lunedì e
martedì davanti a Montecitorio
contro il decreto omnibus in cui è
contenuta la finta sospensiva al
nucleare in Italia) il Pd prosegua
la battaglia referendaria fino al 12
e 13 giugno, e non si faccia impressionare dall’idea di una battaglia ad alto rischio.
«Facciamo assaggiare ai nuclearisti un anticipo del referendum». Questo è l’invito di Greenpeace alle persone preoccupate per un eventuale ritorno delle
centrali atomiche in Italia e convinte della necessità di fare qualcosa per ostacolarlo. Nel corso
del fine settimana si attivano
dieci catene umane con il proposito di circondare le vecchie centrali e i luoghi destinati ad attività legate alla filiera nucleare, o
previsti per le centrali future.
Saluggia (Vercelli - Piemonte),
Caorso (Piacenza - Emilia Romagna), Chioggia (Venezia - Veneto), Montalto di Castro (Viterbo
- Lazio), Termoli (Campobasso Molise), Nardò (Lecce - Puglia),
Scanzano Jonico (Matera -Basilicata), Palma di Montechiaro
(Agrigento - Sicilia), Monfalcone
(Gorizia - Friuli Venezia Giulia),
Foce del Sele (Salerno - Campania) sono le località nelle quali
gli ambientalisti hanno chiamato la popolazione a riunirsi, per
saperne di più e per parteciparer a un’iniziativa di massa, a
una grandiosa scuola quadri all’aperto, per tutti..
letteralmente un lager».
Vuoto di leadership globale
È questo il mondo complesso
che il Dialogo strategico bilaterale
ha tenuto accuratamente fuori. Ma
la questione resta e preme. Quanto
incerta e tesa sia l’attuale fase storica lo hanno sottolineato Ian Bremmer e Nouriel Roubini su Foreign
Affairs (marzo/aprile 2011) in un articolo dal significativo titolo A G-Zero World. La crisi globale, argomentano i due economisti,
ha prodotto un vuoto
di leadership globale e
fatto a pezzi tutte le formule di coordinamento internazionale. Dal G
20, l’ultima formazione
chiamata in campo a orchestrare il salvataggio
globale, si alza oggi
«una cacofonia di voci
in competizione» mentre sarebbe necessario
porre mano alle questioni cruciali
aperte dal dissesto, come la riforma
del sistema finanziario, economico
e valutario internazionale. Ma nell’analisi dei due economisti «è più
probabile che questa era del G-Zero produca conflitti prolungati piuttosto che una nuova Bretton Woods». Mentre Obama arriva in questi
giorni in Europa dove, in Normandia, si svolgerà giovedì 26 e venerdì
27 un ennesimo vertice dei G8.
È in questo scenario che hanno
fatto irruzione le rivolte piene di
speranza del mondo arabo, elemento di capovolgimento che nessuno
aveva previsto, ma che fa parte integrante del terremoto delineato. A
drammatica conferma delle previsioni di Bremmer e Roubini, la comunità internazionale non ha dato
risposte all’altezza delle questioni
poste dalle insurrezioni. Si è piuttosto assistito a un riflesso condizionato del vecchio ordine che, dopo
aver protetto e usato i despoti, per
non mollare la presa e governare
senza che nulla cambi continua oggi con la logica delle vecchie guerre,
iniziandone un’altra e proiettandone di nuove sul futuro. Quel futuro
che per essere davvero tale chiede
invece «solo» regole diverse e modi
più giusti di governare il mondo.
Niente di più e niente di meno.
Pd e quesiti
vi prendiamo
in parola
Brescia, al duomo
il presidio della gru
Il vescovo di Brescia Luciano
Monari ha dato il suo consenso ad un sit-in di una delegazione di immigrati che, da ieri,
si sono sistemati sul sagrato
del Duomo, in piazza Paolo VI
per sollecitare attenzione sulle
questioni delle sanatorie. I migranti sostengono di voler rimanere a oltranza sulla Piazza. L’occupazione è seguita a
un incontro in prefettura in
cui gli immigrati avevano sollecitato il prefetto a rispettare la
sentenza del Consiglio di stato
che dice di dover fornire loro i
permessi di soggiorno. Ricevuta risposta negativa, hanno deciso di procedere con l’occupazione. Il vescovo li ha ascoltati
intorno a mezzogiorno e ha
appoggiato la loro iniziativa.
Nel marzo scorso, il Consiglio
di Stato ha di fatto "sospeso"
le norme della sanatoria 2009
che impedivano di regolarizzare le persone migranti che non
avevano ottemperato a un decreto di espulsione comminato prima della sanatoria. Aveva così dato ragione alla dimostrazione dei 9 immigrati che
nel 2010 erano saliti su una
gru e vi avevano passato diversi giorni per chiedere che si
cancellassero le norme della
«sanatoria truffa» del 2009. Per
la stessa ragioni si stanno tenendo varie manifestazioni in
tutta Italia. Ieri sono scesi in
piazza a Massa decine di migranti che dal 1˚ maggio occupano il Duomo della città toscana.
Ma a Terracina
e Sora ancora no
A proposito della linea delle «idee
chiare», la nuova parola d’ordine
del Pd non dev’essere ancora arrivata «giù per li rami» a tutto il
partito. Nel Lazio per esempio il
capogruppo alla regione Esterino
Montino (l’uomo di voti e di polso che ha preso il timone della
Pisana dopo il terremoto Marrazzo) ha dato la surreale indicazione di votare le liste sostenute da
Renata Polverini dove sono arrivate ai ballottaggi contro quelle del
Pdl. Per contribuire a «disarticolare» il centrodestra, ha spiegato. E
così a Terracina e Sora il Pd si
trova a sostenere lo stesso candidato di Alemanno.
Un volantino,
tanti volantini
Un volantino tipo, diffuso per
esempio in Sardegna, porta lo
slogan sul voto sì al referendum
e sul retro sviluppa un ragionamento in quattro punti che vengono confutati uno dopo l’altro:
nucleare sicuro, indispensabile,
conveniente, con disastri irripetibili. La sicurezza contrasta con
le statistiche: un bimbo che abita a 5 chilometri dalla centrale
rischia 2,2 volte di più di ammalarsi di di leucemia. E poi le scorie dove le mettiamo? E’ davvero indispensabile il nucleare? Il
fabbisogno mondiale di elettricità era coperto nel 1999 per il
17% con il nucleare e invece per
il 13,5% nel 2008. Inoltre, dopo
il disastro di Fukushima la Germania sta programmando l’uscita dal nucleare e così altri paesi.
In Italia, il risparmio energetico,
le rinnovabili (e non inquinanti)
del sole e del vento hanno sostituito la produzione di tre centrali. Previsioni accurate mostrano
come nel 2020 l’elettricità nucleare costerà il 75% più di quella
da gas e il 27% più della eolica.
In 4 anni il costo di una centrale
nucleare è cresciuto del 70% e
Fukushima renderà necessari
ulteriori costi per aumentare la
sicurezza degli impianti. Inoltre
i volantini notano che in Germania lavorano trentamila persone
nel nucleare e 340 mila nelle rinnovabili. Infine Fukushima. La
devastazione seguita a terremoto e tsunami mostra, al di là di
ogni ragionevole dubbio, che
una reazione nucleare può essere incontrollabile. Il reattore Epr
di cui era prevista, prima della
decisione di rimandare, l’installazione in Italia è stato bocciato
per motivi di sicurezza dalle
agenzie nazionali di Francia,
Finlandia, Gran Bretagna. «E tu
gli credi? – conclude il volantino
– Non lasciare che scelgano al
posto tuo». Così in tutta Italia.
Infine, non ti accontentare del
rinvio che il furbo governo ha
attuato, tanto per confondere.
DOMENICA 22 MAGGIO 2011
Terra futura
è il bene
comune
A Calcutta
Deng
ha perso
Tunisia-Egitto
laboratori
neocoloniali
Giro d’Italia
se habla
castillano
Wojtyla?
Non è mica
un santino
Riccardo Chiari
Marina Forti
Manlio Dinucci
Silvana Silvestri
Arianna Di Genova
FIRENZE
L’edizione
numero otto
La crisi del settimo anno non
c’era stata, anzi era successo esattamente il contrario. Ora che Terra Futura è arrivata all’edizione
numero otto con il consueto,
gran successo di critica e soprattutto di pubblico (perlopiù under
40), l’immagine più calzante per
la fiera delle utopie concrete in
corso a Firenze è la Delorean di
Ritorno al futuro. Proprio l’auto
di Christopher «Doc» Lloyd, quella che nella trilogia fantastica di
Robert Zemeckis correva nel tempo. E che alla Fortezza da Basso è
in mostra in versione più modesta. Però reale. Tutta elettrica, e
marciante. Quindi utile, oltre che
splendida icona della kermesse
messa in piedi dalla Fondazione
culturale Responsabilità etica.
Cioè il braccio operativo di quella
Banca Popolare Etica al cui attuale presidente, Ugo Biggeri, va
ascritta la nascita e lo sviluppo di
Terra Futura. Bene bravo 7+, visto
che perfino il concretissimo presidente regionale toscano Enrico
Rossi, nonostante le ristrettezze
legate a crisi economica e tagli
tremontiani, assicura: «Continueremo per quanto possibile a sostenere Terra Futura, perché apre
squarci interessanti sul futuro, e
mette in luce esperienze che nascono da una volontà, un bisogno, un’idea, e che producono
aziende, rapporti, prodotti. Esperienze in cui la finanza non è fine
a se stessa ma è al servizio del lavoro e del prodotto. Tutto il contrario di quanto accade oggi e che
è all’origine della crisi. Mentre
qui c’è una idea di sviluppo socialmente, economicamente e ambientalmente compatibile».
Fra le mille iniziative della tre giorni che si chiuderà oggi pomeriggio (ore 18) con il concerto del
rapper della rivoluzione tunisina
El Général, quest’anno uno spazio particolare è andato appunto
alla primavera nordafricana, grazie a testimonianze dirette, film,
libri e incontri che hanno visto
intervenire lo scrittore Tahar Ben
Jelloun, il blogger Asmaa Ali, Fausto Bertinotti e l’economista Vandana Shiva, ormai di casa qui al
pari di Susan George e Wolfgang
Sachs. In parallelo questa edizione di Terra Futura è dedicata
espressamente ai beni comuni, di
cui proprio Sachs scrive nel suo
ultimo libro, presentato anch’esso alla Fortezza da Basso. Beni
comuni, in primis l’acqua su cui
sono intervenuti fra gli altri Paolo
Ferrero e lo stesso Rossi, che è del
Pd ma voterà quattro «Sì» ai referendum. Poi la terra da difendere
e preservare (sos da Legambiente
e da Vandana Shiva sulla perdita
sempre più accelerata della biodiversità), la giustizia alimentare
rivendicata da Mani Tese, il nonaffare del nucleare evidenziato
numeri alla mano da Ermete Realacci. Infine da segnalare la ricerca in progress di Banda Etica e
della sua Fondazione sulle infiltrazioni della criminalità organizzata
nel settore delle energie rinnovabili. Con casi già conclamati – gli
impianti eolici nel trapanese – e
un focus sul solare in Puglia, dove
non ci sono state infiltrazioni ma
si è innescata una corsa speculativa. «Questo a causa di leggi che,
sicuramente a fin di bene, semplificavano le procedure – spiega
Mauro Meggiolaro - ma il risultato è che ora i cittadini sono contrari agli impianti solari perché ne
sono stati invasi».
BENGALA OCCIDENTALE
MEDIO ORIENTE
VERSO LA MAGLIA ROSA
La sfida perduta
del «Deng indiano»
Il «piano» economico
di Barack Obama
I velocisti volano via
Un passaggio storico. Dopo 34
anni al potere, il Partito comunista indiano-marxista (Cpi-m) e
l’intera coalizione del Fronte delle
sinistre ha perso le elezioni in
Bengala Occidentale, lo stato indiano con capitale Kolkata (Calcutta). Al mondo nessun altro governo comunista democraticamente eletto era rimasto al potere
così a lungo - e sempre attraverso
il voto dei suoi cittadini, 7 mandati consecutivi. Ora, più che una
sconfitta è una disfatta: il Cpi-m,
anima e guida della coalizione, è
passato da 176 seggi (nel 2006) a
soli 40 oggi. L’intero Left Front è
ridotto a 62 seggi contro i 227 della coalizione sfidante, dominata
dal Trinamool Congress (partito
locale la cui leader, Mamata Banerjee, è anche la prima donna che
diviene chief minister, capo del
governo in questo stato).
Non è stato rieletto neppure il
chief minister uscente, Bhuddadeb Bhattacharjee, quello che l’intera stampa qui definiva «il Deng
Xiaoping indiano». L’Economist
l’aveva chiamato il «comunista
capitalista»: l’uomo che ha voluto
accelerare l’industrializzazione
del Bengala occidentale e mettere
Kolkata sulla mappa dell’economia globale.
Segno dei tempi. Quando le sinistre hanno vinto le elezioni nel
Bengala Occidentale per la prima
volta, nel 1977, Calcutta era percorsa da lotte sindacali, dall’eco
delle lotte contadine per la terra,
dall’attivismo sociale dei rifugiati
giunti dal Bengala orientale (che
nel ’71 era diventato Bangladesh
con una guerra di secessione dal
Pakistan). C’era una scena culturale effervescente, l’opinione progressista era egemone. Il nuovo
Il presidente Obama, nel discorso
sul Medio Oriente e Nordafrica,
annuncia un grande piano economico di «sostegno alla democrazia», a partire da Egitto e Tunisia.
Su richiesta di Washington, la
Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale presenteranno, al summit G-8 del 26-27 maggio in Francia, un piano per «stabilizzare e modernizzare le economie egiziana e tunisina». Gli Stati
uniti, dice Obama, non vogliono
che un Egitto democratico sia appesantito dal debito del passato:
rilevano quindi 1 miliardo di dollari del debito estero egiziano.
Non dice però che, se l’Egitto si è
indebitato per oltre 30 miliardi di
dollari pur essendo un grosso
esportatore di petrolio e gas natu-
governo comunista ha cominciato a risanare gli slum urbani e attuare la riforma agraria (l’80% della popolazione del Bengala occidentale resta rurale). La sinistra
«ha insegnato il linguaggio della
protesta. Ha detto a poveri ed
emarginati che sono la maggioranza della nazione e non possono essere ignorati», ci diceva tempo fa Ashok Mitra, ministro di
quel primo governo comunista.
Trent’anni dopo, il governo del
Cpi-m è quello che manda la polizia a sparare sui contadini che
protestano nel distretto rurale di
Nandigram (è successo nel 2007),
o a Singur, non lontano da Kolkata, dove altri contadini - divenuti
piccoli proprietari proprio grazie
alla riforma agraria - non vogliono rinunciare alla terra a favore di
uno stabilimento automobilistico
della Tata. Il punto è questo.
L’apertura a investimenti privati
risale agli anni ’90, ma nel 2001 il
nuovo chief minister Bhattacharjee ha dato una svolta spettacolare. E’ andato a cercare investitori all’estero, ha progettato «zone economiche speciali» con incentivi per le imprese, ha limitato
il diritto di sciopero per i lavoratori. Ha guardato alla Cina o al Vietnam. Ma di fronte al conflitto sociale non ha cercato terreno di
mediazione democratica. Così ha
perso la tradizionale base comunista nelle campagne, il voto delle
minoranze, quello dell’intellettualità progressista di Kolkata. La
nuova leader, Mamata, è una figura controversa che ha saputo cavalcare le proteste, ma il punto
non è questo: è che l’ipotesi «denghista» ha perso.
Ultima settimana al Giro e saranno tutte tappe di montagna, dallo Zoncolan, la salita più dura
d’Europa al «tappone» dolomitico di oggi alla crono di Nevegal e
poi Tonale, Aprica, Macugnaga,
Sestrère fino alla crono di Milano
domenica 29. Sarà per questo
che i velocisti hanno salutato e
hanno abbandonato la competizione, lasciando perplessi i tifosi
e i vecchi campioni come Adorni
e Merckx (un tempo non si usava
fare così). Cavendish e Petacchi
hanno orgogliosamente afferrato
le loro vittorie in volata e hanno
preferito non sentir neanche parlare di Zoncolan o di Dolomiti.
Farrar il Giro lo aveva già lasciato
con la squadra dopo la morte
per la caduta nella discesa di
Mezzanego del suo amico velocista Weilandt, incidente che ha
funestato sin dall’inizio la competizione dell’Unità. Unico coraggioso velocista rimasto è Roberto
Ferrari, casse ’83, buona forma
con tre vittorie in stagione.
Sempre Contador
rale e anche di prodotti finiti, ciò è
dovuto al fatto che la sua economia è dominata dalle multinazionali statunitensi ed europee, cui
Mubarak aveva spalancato le porte. Tale dominio si rafforzerà, poiché la quota del debito egiziano
rilevata da Washington permetterà alle multinazionali statunitensi
di ottenere quote di aziende e concessioni petrolifere per un valore
di un miliardo di dollari, senza
sborsare un dollaro. Sempre per
«rafforzare la crescita e l’imprenditorialità» in Egitto, gli Usa garantiranno anche un prestito di 1 miliardo di dollari, stringendo così
ancora di più il cappio del debito.
Scopi analoghi persegue Washington in Tunisia.
Inoltre, annuncia Obama, gli Stati
uniti stanno creando «fondi d’impresa da investire in Egitto e Tunisia, sul modello di quelli che hanno sostenuto la transizione nell’Europa orientale», ossia il suo assoggettamento alle potenze occidentali. È una iniziativa bipartisan, del
senatore democratico John Kerry e
del repubblicano John McCain.
Scopo di tali investimenti in Egitto
e in Tunisia, è «promuovere il settore privato e joint-venture con
imprese statunitensi» e «la creazione di una classe media». Gli Usa
mirano a conquistare anche le piccole e medie imprese: in Egitto
sono 160mila, cui si aggiungono
2,4 milioni di microimprese. Ecco
il regolamento del Fondo d’impresa Usa-Egitto: sarà governato da
un consiglio direttivo di 4 cittadini
privati statunitensi e 3 egiziani e
anche questi ultimi saranno «nominati dal presidente degli Stati uniti».
Crollati i regimi di Mubarak e Ben
Ali, Washington tenta così di creare una nuova base sociale che garantisca i suoi interessi in Egitto e
Tunisia. Che saranno il laboratorio
in cui si metterà a punto il piano,
che prevede lo stanziamento di 2
miliardi di dollari per «sostenere
gli investimenti privati nella regione» e lanciare una «iniziativa complessiva di partnership di commercio e investimenti in Medio Oriente e Nordafrica». Al piano, dice
Obama, partecipa la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, pronta a «fornire alla transizione democratica e alla modernizzazione economica in Medio Oriente e Nord Africa lo stesso appoggio
dato per l’Europa dell’est». Infine
Obama annuncia che «aiuteremo
i nuovi governi democratici a recuperare i beni rubati». Un riferimento anche ai fondi sovrani libici oltre 150 miliardi di dollari - «congelati» soprattutto da Stati uniti,
Gran Bretagna e Francia. Quando
saranno «scongelati», saranno trasformati in «fondi d’impresa» per
impadronirsi dell’economia libica.
Per rendere meno pericoloso il
Giro è stato anche cancellato il
Crostis, una imponente salita e
una discesa strettoia che da mesi
mille volontari avevano contribuito a mettere in sicurezza. Il ciclismo è diventato uno sport per
signorine? Non solo pulito ma anche ordinato e sicuro. L’associazione dei ciclisti professionisti dice di
non avere fatto nessuna richiesta
in proposito, sono stati alcuni direttori di squadra a chiedere all’Uci la soppressione della cima
perché le macchine delle squadre
non avrebbero potuto accedere in
corsa per portare soccorso tecnico
(art. 1 «regolarità sportiva non garantita»). A Contador il Crostis
non era piaciuto fin dall’inizio proprio per questo motivo, lui che fa
regolarmente il cambio bici ed è
già il vincitore annunciato del Giro. O perché Nibali avrebbe fatto
quella discesa in maniera imprevedibile? È giunta l’ora di Contador matador o cannibale dipende dai
giorni, con maglia rosa, verde e
rossa ma non bianca perché over
25 - il momento di stringere gli
scarpini e continuare la sua danza
su ruote quest’anno sottolineata
dai commentatori non avendo di
meglio da raccontare. Sembra più
interessante la testardaggine di
Scarponi scalatore di cuore e Nibali regolare passista a non lasciare
che la classifica resti in pugno allo
spagnolo. O del venezuelano José
Rujano risorto a nuova vita sportiva con l’aiuto del direttore sportivo Savio, o Joaquim Rodriguez. La
salita è dura, bisogna procedere
con intelligenza per non piantarsi: poi si vede il traguardo.
Foto
finish
G8, vattene
da Deauville
FRANCIA NO-GLOBAL
IN MIGLIAIA hanno
invaso ieri Le Havre,
Francia, per protestare
contro il summit G8 in
programma a Deauville
il 26 e 27 maggio.
Parole d’ordine «Non
lasciamo gli affari del
mondo agli uomini
d’affari» e «Prima la
gente poi la finanza». La
scelta di Le Havre deriva
dal fatto che Deauville è
già blindatissima dalla
polizia. (foto Reuters)
il manifesto
pagina 3
Di acqua siamo...
Una cosmogonia
dalle Ande all’Italia
Eduardo Galeano
N
POLEMICHE ARTE
La statua del papa
è da buttare?
La prima vera domanda, in realtà, è un’altra: dopo la velocissima beatificazione di Giovanni
Paolo II e il tripudio del mondo
ecclesiastico «sparato» in mondovisione, c’era proprio bisogno di
una conseguente velocissima
realizzazione di una scultura a
uso e consumo dei posteri, soprattutto regalata alla città capitolina dalla Fondazione Angelucci? Forse no. Però il referendum
che vuole fare il sindaco Alemanno, dopo le polemiche dei giorni
scorsi che hanno investito l’opera di Oliviero Rainaldi (il Vaticano si è inalberato non poco) non
la mette proprio così. E sposta
l’oggetto del contendere: è troppo brutta la rappresentazione di
quel corpo ormai divino che,
spogliato di carnalità, diventa
una caverna buia, un «ventre
contenitore» e che molti già preannunciano come un futuro orinatoio per i senza tetto?
Certo, la statua di Rainaldi non è
per nulla agiografica né un santino. Ricalca - piuttosto goffamente - la posizione meravigliosa
della Madonna del Parto di Piero della Francesca e guarda al
gesto di accoglienza universale
del mantello che si apre. L’artista dice di essersi ispirato a
un’immagine dove Wojtyla abbracciava un bambino «inglobandolo» dentro di sé. Se c’è un
merito che si può riconoscere
allo scultore è che la sua opera
sulla sacralità barcolla alquanto
e, in fondo, è quasi brutale nella
sua secchezza, pure con tentazioni laiche. Ma la cosa più divertente (che comunque non fa ridere la Chiesa) è che dà adito a
commenti poco lusinghieri sul
pontefice, risvegliando in una
popolazione addormentata (come quella romana) la sua propensione alle pasquinate, anche
involontarie: dal sagace commento «ma che è un ritratto di
Massimo Boldi?» ai giudizi degli
ingenui «forse la statua va finita»
(chissà se viene detto anche di
fronte ai Prigioni di Michelangelo che cercano di liberarsi della
materia uscendone sconfitti...).
Adesso, è tempo di sondaggio, lo
ha detto pure il sindaco. Gli ultras-papaboys sono già pronti
con le ruspe.
el 2000, la privatizzazione dell’acqua in
Bolivia offrì uno spettacolo degno del
Guinness dei primati. Nella regione boliviana di Cochabamba l’acqua fu privatizzata,
compresa l’acqua della pioggia.
Ci fu allora un’insurrezione popolare, e la
sommossa cacciò dal paese l’impresa californiana che aveva avuto l’acqua in regalo, con pioggia e tutto, e aveva portato le tariffe alle stelle.
A Cochabamba scorse il sangue, però la dignità popolare recuperò, con la lotta, il più indipensabile dei beni di questo mondo.
Quello fu un segnale d’allarme per tutti e dappertutto. Per questa strada, dove andremo a finire? Cosa pretenderanno, adesso, i padroni del
potere universale? Vorrano imporci la privatizzazione dell’aria? Ci sarà da pagare per avere il
diritto di respirare? Quali limiti toccherà l’assurdo del sistema dominante?
Quattro anni dopo la sommossa popolare di
Cochabamba, nel 2004, in Uruguay si tenne un
referendum sull’acqua: affare di pochi o diritto
di tutti? Noi cittadini che appoggiammo il referendum fummo, al principio, molto pochi, voci
di scarsa eco. L’opinione pubblica uruguayana
subì un bombardamento di ricatti, minacce e
menzogne. I grandi mezzi di comunicazione dicevano e ripetevano che votando contro la privatizzazione dell’acqua, ci saremmo ritrovati in castigo e in solitudine, e ci saremmo condannati a
un futuro di pozzi neri e pozzanghere maleodoranti.
Alla fine vincemmo, contro venti e maree, con
più del settanta per cento dei voti. E così riuscimmo a far annullare le privatizzazioni dell’acqua
che erano state concesse, e fu scritto nella Costituzione il principio che afferma: «L’acqua è una
risorsa naturale essenziale per la vita. L’accesso
all’acqua potabile e a condizioni minime di salubrità costituiscono diritti umani fondamentali».
Questo fu il primo referendum sull’acqua che
si tenne nel mondo, e il risultato fu una vittoria
contro la paura. La gente votò per confermare
che l’acqua, risorsa naturale e peritura, deve essere un diritto di tutti e non un privilegio di chi
se lo può pagare. E la gente confermò, anche, di
non essere tonta e di sapere che di qui a poco, in
un mondo assetato, le riserve di acqua saranno
ambite quanto o più delle riserve di petrolio.
Non varrebbe la pena che altri paesi sottoponessero il tema dell’acqua al voto popolare? In
una democrazia, quando è autentica, chi deve
decidere? La Banca Mondiale o i cittadini di ciascun paese? I diritti democratici esistono davvero o sono le ciliegine che ornano una torta avvelenata?
Non sarebbe democratico mettere al voto le
privatizzazioni, dell’acqua e tutto il resto, visto
che toccano il destino di molte generazioni?
Scrivo queste parole qualche giorno prima
del referendum sull’acqua in Italia. Speriamo
che vinca il senso comune. Il senso comune c’insegna che l’acqua, come l’aria, non appartiene a
chi la può compare: l’acqua è di chi ha sete.
Però nel mondo di oggi, il senso comune è il
meno comune dei sensi, e può succedere di tutto. Chissà.
Quale che sia il risultato, continueremo a credere che la difesa dell’acqua è un dovere di legittima difesa del genere umano.
Perché di acqua siamo, e quando lo neghiamo stiamo tradendo la più antica memoria dell’umanità.
(Introduzione al volume «La visione dell’acqua», a
cura di Yaku, Nova Delphi editore, in libreria da oggi.
Traduzione di Maurizio Matteuzzi)
pagina 4
il manifesto
DOMENICA 22 MAGGIO 2011
POLITICA
NAPOLI · Democratici arresi a De Magistris, D’Alema «il nostro è un sì a prescindere». Apertura anche dal Terzo polo
Pd e Sel con il pm senza contropartita
DALLA PRIMA
Alberto Asor Rosa
Votare bene,
poscritto sul golpe
Invece, solo quando il libero gioco democratico sarà
restituito al paese, tutti potranno far valere le loro ragioni fuori del ricatto sistematico che tutti ci
sovrasta.
In questo quadro complessivo alcuni silenzi ci colpiscono ancora di
più.
Quella di una forza come Futuro
e Libertà, ad esempio: nata per ridar fiato ad una destra legalitaria e
moderna, come può non rendersi
conto che la rinuncia alla scelta in
un momento come questo la condanna a una lenta estinzione e all’assorbimento nel grigio pantano
moderato?
E quello dei grillini, per fare un altro esempio: nati per dar vita a una
critica radicale delle forme, dei temi e del personale politico attuali,
spesso fondata e giustificata, come
non si rendono conto che solo una
decisa spallata al sistema berlusconiano di potere potrà aprire le porte eventualmente ad altri processi
e altre sentenze?
Insomma, le ragioni per una raccolta di tutte le forze, che prescinda in questa fase ... ripeto, che prescinda in questa fase anche dagli
schieramenti passati e persino da
quelli futuri, ci sono tutte. Diamoci
tutti da fare perché l’appello arrivi
lontano ... anzi, arrivi dappertutto.
P.S. In un suo recente intervento
sul Corriere della Sera (18 maggio),
Pierluigi Battista prende spunto dal
recente risultato elettorale per tornare a rinfacciarmi il mio famigerato articolo «Non c’è più tempo»
uscito il 13 aprile sul manifesto: «E
dunque Alberto Asor Rosa dovrà riporre nel cassetto le sue pur recenti fantasie di golpe democratico,
unico rimedio, era parso di capire,
per arginare quello antidemocratico incarnato da Berlusconi»; perché, - questo poi in sostanza è il
senso complessivo del ragionamento di Battista, - «l’Italia resta una democrazia normale», dove il voto decide, non il golpe.
Da alcuni decenni Battista e io
colloquiamo, trovandoci sempre
su posizioni diverse, anche se non
sempre le stesse, ma sempre, mi pare di poter dire, molto civilmente.
Nel caso specifico, come in svariate
altre occasioni in precedenza, Battista dimentica, anzi, appunto, torna
ancora una volta a dimenticare che
le questioni dell’«emergenza democratica», da me poste, erano piuttosto altre, e cioè:
1) E’ vero o non è vero che la permanenza di Silvio Berlusconi al potere, con tutto ciò che lui rappresenta, - il conflitto d’interessi, le leggi ad personam, lo scontro devastante con la magistratura, l’insofferenza, anzi l’ignoranza della separazione dei poteri, le continue polemiche con la presidenza della Repubblica e le minacce nei confronti
della Corte costituzionale, la pretesa riforma della giustizia, la compravendita plateale di parlamentari, le tentazioni di riforme della Costituzione, - costituisce un rischio,
- un rischio voluto, calcolato, perseguito, - d’involuzione populisticoautoritaria della nostra democrazia? 2) Che si fa quando la democrazia è messa a rischio da una maggioranza parlamentare democraticamente eletta?
Potrei limitarmi a osservare che
l’allarme sollevato da questi dubbi,
onestamente da me come da altri
esplicitati, forse è confluito nel risultato positivo del voto di domenica scorsa (positivo? Perché positivo? Ma ovviamente positivo soltanto se si pensa come me che il voto
di domenica scorsa sia stato positivo).
Io intendo tornare su questi argomenti. Mi auguro che anche Battista sia disponibile a rispondere ora
a quelle due domande, di cui il voto, certo, non ha comunque depotenziato la rilevanza strategica.
Francesca Pilla
L’ANALISI
La sinistra vince
quand’è unitaria
e non isolazionista
NAPOLI
Alberto Burgio
L
e divisioni e le polemiche di febbraio dopo il pasticcio delle primarie
napoletane sono acqua passata, il
centrosinistra si ricompatta di fronte l’evidenza del successo alle urne di Luigi De
Magistris, che con il suo 28 per cento e il
distacco dalle liste ormai detta la linea. Ieri l’appoggio all’ex pm che corre contro
Gianni Lettieri per il Pdl è arrivato unanime da tutte le aree che fino a questo momento si erano rintuzzate a vicenda. In
una conferenza stampa Pd, Sel e Verdi,
per la prima volta in questa campagna
elettorale, si sono ritrovati intorno a una
scrivania con Idv e Fds per ribadire quanto dichiarato da Massimo D’Alema in
un’intervista al quotidiano Il mattino: «Il
Pd voterà de Magistris a prescindere». Democratici e vendoliani non hanno scelta
e così, pur in assenza di un apparentamento formale che in consiglio avrebbe
regalato almeno il doppio delle poltrone
al Pd, e il triplo a Sel, hanno confermato
il loro appoggio esterno.
«Conta far cadere Berlusconi, non eleggere qualche consigliere comunale in
più», ha ribadito il commissario provinciale Pd Andrea Orlando che in questi ultimi
giorni ha parlato a quattr’occhi con il candidato sindaco considerato fino alla scorsa settimana un «estremista». Ma non è
più il tempo delle accuse, è quello degli accordi e anche il segretario cittadino di Sel,
Peppe De Cristofaro, è pronto a consegnare il contributo del suo partito annunciando l’arrivo di Vendola a Napoli per venerdì
prossimo. Il presidente della Puglia due
mesi fa all’appello di De Magistris aveva
preferito la consultazione degli iscritti che
avevano poi scelto di andare con i democratici e il prefetto Mario Morcone.
Ma la vera novità della giornata è la posizione del candidato del Terzo polo Raimondo Pasquino, che con il suo 10 per
cento e 44 mila voti intascati potrebbe fare
la differenza. Ieri ha detto di avere affinità
con il programma di De Magistris ed è già
abbastanza per fare intendere ai propri
elettori da che parte orientarsi. Il Terzo polo infatti si è dichiarato a più riprese equidistante da entrambi i candidati. Il rettore
dell’università di Salerno però ha preso al
volo le parole di Gianfranco Fini, che venerdì ha definito impossibile un appoggio
a Lettieri, l’uomo proposto da Cosentino.
E pur senza fornire indicazioni ha chiesto
a chi l’ha votato di prendere «una decisione autonoma, ma legata agli impegni che
noi stessi abbiamo preso con loro».
A questo punto la strada di Lettieri si fa
sempre più impervia, innervosendo an-
Susanna Marietti
«G
li Stati di oggi, in Europa
come al di là dell’oceano, vivono di un paradosso. Sono loro stessi a creare quella marginalità alla quale rispondono
con il carcere». Il sociologo francese
Loïc Wacquant - l’allievo di Pierre
Bourdieu che in libri tradotti in decine di lingue ci ha raccontato la globalizzazione del nuovo senso comune punitivo - ci spiega l’utilizzo del
sistema penale nelle nostre democrazie.
Venerdì ha aperto lui i lavori della
seconda giornata del convegno che
Antigone ha organizzato in occasione dei propri venti anni di vita. Nella Sala del Refettorio della camera
dei – «non ho mai parlato in una sala così bella», ci dice mentre scatta
fotografie tutto intorno – gli chiediamo perché nelle ultime decadi gli
Stati Uniti d’America, dove Wacquant insegna alla University of California di Berkeley, abbiano visto
un’esplosione che pare inarrestabile del numero dei detenuti.
«Quel che è certo è che tutto ciò
c’entra assai poco con il controllo
del crimine. Il sistema penale è d’altra parte uno strumento ben poco efficiente in questa direzione. Negli
Stati Uniti, ma certo non solo, meno
della metà dei reati gravi arriva alle
orecchie delle forze di polizia, e quelli che ottengono una sentenza sono
tanti meno ancora. Penalmente non
si riesce a rispondere a più del 2 o 3
per cento dei crimini seri».
E allora tutta questa espansione
dell’uso delle carceri, che anche
in Europa sperimentiamo, non produce risultati?
Eccome se ne produce. Ma non
nella lotta alla criminalità. Sono al-
M
LUIGI DE MAGISTRIS A NAPOLI /FOTO SALVATORE LA PORTA, CONTROLUCE
COSTITUENTE ECOLOGISTA
Né rossi né neri: Verdi
Lista civica nazionale
Termina oggi al Teatro Ambra Jovinelli di
Roma la prima convention della Costituente ecologista. Il trampolino - spiega il presidente dei Verdi Angelo Bonelli (foto) - per
una lista nazionale civica ed ecologista che
sarà varata a novembre. Assieme al Sole
che ride la co-presidente dei Verdi europei
Monica Frassoni, Vittorio Cogliati Dezza di
Legambiente, Stefano Leoni del Wwf, Roberto Burdese di Slow Food Italia, Pippo
Onufri di Greenpeace, l’imprenditore Nino De Masi, il ricercatore Mario
Tozzi, Dacia Maraini, Giobbe Covatta. Tra gli ospiti stranieri il leader indigenista Sydney Possuelo e Satoko Watanabe, dirigente dei Verdi anti-nuclearisti giapponesi. Sostenibilità, riconversione ecologica dell’economia, amministrazione virtuosa del territorio le parole chiave per un ambientalismo pragmatico e di governo, simile a quello che va forte nel
resto d’Europa. Fin dalla sua elezione a presidente dei Verdi, Angelo
Bonelli ha scelto di uscire da Sel per portare la federazione ecologista
oltre il tradizionale bacino di sinistra. Più Cohn Bendit e meno Vendola.
La futura rete civica e ambientalista, infatti, dovrebbe puntare esclusivamente agli obiettivi del movimento, senza sconti per il colore politico
locale o nazionale. La sfida è ancora lunga. Sono almeno tre anni che
la Costituente ecologista è in preparazione. Alle prossime elezioni, forse,
si vedranno i frutti. (r. pol.)
che il sottosegretario Carlo Giovanardi
che per trascinare dalla sua i terzopolisti
lancia l’anatema conto l’ex-magistrato:
«Se vincesse favorirebbe femminelli e
gay». Pronta la risposta dell’Arcigay che
bolla le parole dell’alfiere berlusconiano
come «oltraggiose».
La verità è che il Pdl sente puzza di sconfitta, anche perché l’astensione al secondo
turno e la mancanza del traino di voti per
l’elezione dei consiglieri potrebbero andare a penalizzare proprio l’ex presidente degli industriali. In serata in un faccia a faccia televisivo su un’emittente locale Lettieri ha dovuto nuovamente incassare le stoccate di De Magistris che gli ha ricordato il
procedimento in corso a Salerno dove è
imputato per falso e truffa. L’eurparlamentare dell’Idv ha poi annunciato di voler assegnare, in caso di vittoria, l’assessorato
per l’igiene urbana a Raffaele Del Giudice,
presidente di Legambiente Campania, un
nome che si aggiunge a quello dell’ex senatore di Rifondazione, Tommaso Sodano,
al professore Alberto Lucarelli, all’economista Riccardo Realfonzo. Oggi De Magistris sarà nel teatro Metropolitan al fianco
di Umberto Ranieri, il candidato del Pd alle primarie, mentre in serata è atteso insieme a Roberto Vecchioni per un concerto a
piazza Dante.
ANTIGONE · Wacquant: Carceri strapiene ma solo il 3% per reati gravi
«La democrazia nasconde
la società dietro le sbarre»
tre le funzioni che si demandano
al sistema penale.
Quali?
In questo i sociologi si dividono
tra chi segue la tradizione marxista
sostenendo che la prigione svolga
un ruolo materiale di controllo e chi
segue la tradizione che si ispira a Durkheim sostenendo che svolga invece un ruolo simbolico. Io credo che
per comprendere il sistema delle pe-
vrebbe preoccuparsi di curare.
E quanto al ruolo simbolico?
Il carcere serve per riaffermare
l’autorità dello Stato. In questo ha
una fortissima carica simbolica.
Dicono che l’opinione pubblica
chiede sicurezza. E’ per questo
che i detenuti aumentano?
Sì, certo, ma in realtà è una sicurezza sociale quella di cui c’è davvero bisogno. Le vite sono incerte per-
SOCIOLOGO A BERKELEY
Loïc Wacquant (1960), allievo di Piere
Bourdieu, è professore di sociologia all’università di California di Berkeley e ricercatore al Centre de sociologie européenne
di Parigi. Il suo ultimo libro in italiano è
«Punire i poveri. Il nuovo governo dell'insicurezza sociale» (Derive Approdi, 2006)
ne le due tradizioni vadano tenute
assieme. Il carcere oggi viene usato
sicuramente per eseguire due compiti materiali: quello di piegare la
parte reticente della classe lavoratrice, disciplinare il nuovo proletariato
alle tendenze del mercato, e quello
di togliere dalla circolazione le persone "inutili", coloro che neanche nel
mercato lavorativo del precariato potrebbero entrare: i senza casa, i malati di mente che altrimenti lo Stato do-
ché il lavoro è sempre più precario,
la povertà aumenta a causa di politiche economiche scellerate e di un
welfare ridotto all’osso. A queste
nuove forme di povertà le democrazie di oggi rispondono con le prigioni. Non è cambiato niente negli ultimi cinquecento anni.
In che senso?
La prigione aveva queste stesse
funzioni all’inizio della sua storia,
nel XVI secolo. Serviva a ripulire le
strade. L’istituzione carceraria è nata come risposta a delle forme di povertà. E oggi si risponde allo stesso
modo contro i «nuovi poveri».
Cosa dobbiamo fare per interrompere questa crescita nell’uso del
carcere? Come possiamo destituirlo dal suo ruolo simbolico e di
gestione delle marginalità e restituirgli a pieno titolo la sola lotta al
crimine?
Innanzitutto evitando di fare quello che si fa oggi, quando le politiche
penali vengono modulate momento
per momento sull’emozione causata da un singolo episodio di cronaca. Le politiche economiche non rispondono alla chiusura di una singola fabbrica. Perché il sistema penale
dovrebbe star dietro a un singolo crimine? Solo perché gli strumenti mediatici gli danno tanto spazio?
E poi?
E poi bisogna lavorare sulla lunga
distanza. Bisogna farsi carico della
marginalità. Badate che io non parlo
di inclusi e di esclusi, ma di «marginali». Nessuno sta fuori dal sistema: può
starne ai margini, ma sono tutti inclusi. È il sistema stesso che li colloca ai
margini. E allora bisogna uscire dal
paradosso di cui parlavo prima. Lo
Stato deve riaffermare la propria missione economica e sociale e diventare
un generatore di autentica sicurezza.
olto adesso dipenderà
dai ballottaggi e dai referendum. Se tutto andasse bene, sarebbe uno tsunami, come la famosa risata seppellitrice
che attendiamo da anni. Ma qualcosa - di grande - è già successo.
Il primo turno delle amministrative ha certificato la crisi organica
della destra. Il liquefarsi del carisma del Cavaliere, svanito tra le
gonne di una minorenne, è drastico. Nel giro di qualche giorno siamo passati dall’aureola all’impresentabilità. Ma la crisi è anche
strutturale. Quei 130mila voti persi dalla Lega nelle province hanno
molto a che vedere con il disfacimento del tessuto micro-imprenditoriale del nordest sullo sfondo
del declino italiano. Nessuno sa
quanto durerà l’agonia del potere
berlusconiano, ma nessuno sembra ormai in grado di impedirla.
Il voto del 15 maggio ha disvelato anche la fragilità dell’opzione
moderata del Pd. Bologna e Torino non bastano a mascherare le
falle, lì si partiva da posizioni di
vantaggio. Le piazze incerte – e decisive sul piano nazionale – erano,
e sono, Milano e Napoli. Lì la linea
dalemiana (barra fissa sul centro
del centro) è stata sconfitta. La
brusca correzione di rotta imposta dal segretario a sostegno di De
Magistris e dei referendum testimonia la portata del colpo.
Il responso delle urne chiama
in causa anche la sinistra, a cominciare dalle due formazioni (Sel e
Fds) nate dopo la disfatta del
2008. La sinistra ottiene discreti risultati. Ha conquistato un consenso determinante, a cominciare
proprio da Milano e Napoli. Per
due ragioni il risultato della sinistra ha colto tutti di sorpresa. I sondaggi martellati quotidianamente
in questi mesi avevano disegnato
una scena diversa. Sel all’8-9%, la
Fds all’1 o giù di lì. Su questa base
(fasulla), l’«informazione» aveva
cancellato la Fds.
Ma del voto è sorprendente anche la nuova apertura di credito rivolta alla sinistra. Spiegarsela non
è difficile. Il degrado del Paese è tale che riprende quota, quasi per disperazione, la domanda di cambiamento. Del resto la vittoria di
Vendola alle primarie, la montagna di firme per i referendum e la
stessa designazione di Pisapia erano già state avvisaglie. Ma non era
scontato che le cose andassero bene al punto di mettere a rischio la
tenuta del governo.
Diciamoci la verità, per la sinistra italiana non sono stati tre anni splendidi. I gruppi dirigenti hanno dato l’impressione di voler accentuare le divisioni, invece che
impegnarsi a ricomporle. Non di
rado hanno prevalso particolarismi e logiche minoritarie, come se
la frantumazione non fosse - oltre
che avvilente - la premessa per
l’inefficacia. E qui veniamo alla vera questione posta dal voto, che
non per caso premia la sinistra
quando la ricerca dell’unità al suo
interno e con le forze democratiche prevale sulle tentazioni dell’isolamento. In questo voto vive
una decisa istanza di alternativa.
Ma non vi è alternativa possibile
senza l’unione delle forze. Siamo,
nuovamente, al dunque. Al tema
dell’unità a sinistra, lasciato in sospeso dopo il disastro dell’Arcobaleno. Da qui occorre ripartire, se
non si vuole sprecare un’apertura
di credito preziosa e inaspettata.
Un primo passo nella giusta direzione è stato fatto venerdì con
l’assemblea dell’Alpheus, promossa da Essere comunisti (Prc) e partecipata dalle principali forze della sinistra. Sulla concreta possibilità di lavorare insieme si è registrato un consenso unanime, come
pure sulla necessità di mettere a
valore il comune patrimonio di
idee e di finalità. Non era scontato
e va registrato come un segnale di
ragionevolezza. Il ghiaccio è stato
rotto. Ora si tratta di andare avanti, augurandosi che siano rose destinate a fiorire.