una battuta d`arresto per l`europa - Riviste

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una battuta d`arresto per l`europa - Riviste
UNA BATTUTA D’ARRESTO PER L’EUROPA
All’indomani del voto negativo dei cittadini in Francia
e Olanda sulla Costituzione europea
L’esito negativo dei due referendum per la ratifica della
“Costituzione europea” in Francia e in Olanda, le ripercussioni che si stanno creando anche in altri Paesi, la “bocciatura” dello stesso Bilancio comunitario rappresentano indubbiamente una battuta d’arresto sul percorso dell’unità
dell’Europa, ed in particolare dell’Europa politica.
Il presidente della Commissione Barroso, giustamente, ha
più volte ribadito in queste settimane che la Ue ha già incontrato altre difficoltà in passato; da qui il suo richiamo a
non drammatizzare eccessivamente gli eventi recenti, e a
sforzarsi semmai di superarli con nuove proposte concrete,
nuove iniziative. Tuttavia, è fuor di dubbio che se in due
paesi così “centrali” per il progetto europeista la maggioranza dei cittadini ha imposto ai propri governi uno stop,
una riflessione sulle cause va fatta.
Mi pare che una prima constatazione accomuni un po’ tutte le opinioni con le quali ho avuto modo di confrontarmi
nei giorni immediatamente successivi ai due referendum:
ovvero che il no alla Costituzione europea ha ragioni diverse e non può essere ricondotto ad un unico comune denominatore. Questo è evidente fin dalla matrice politica del
voto, che ha visto schierarsi dalla stessa parte partiti sia della destra sia della sinistra. I primi hanno addotto motivazioni legate al timore della perdita dell’identità nazionale, e
degli effetti dei nuovi flussi migratori che si genereranno
anche per effetto del previsto ingresso nella Ue della Turchia, oltre che degli altri Paesi dell’Europa centrale e orientale. I secondi hanno posto l’accento soprattutto sui pericoli della globalizzazione, che l’Europa unita non avrebbe contrastato a sufficienza o che, anzi, avrebbe contribuito a generare.
Ci sono poi altre spiegazioni che attraversano trasversalmente
il corpo elettorale: la debolezza di quella che solo impropriamente è stata chiamata “Costituzione europea”, e che
di fatto si configura come un documento composito e per
certi versi poco incisivo, la disaffezione nei confronti
dell’euro, l’ostilità verso la cosiddetta euroburocrazia e le
sue regole giudicate a volte assurde o penalizzanti, la diffidenza verso l’“Europa dei banchieri”, l’indifferenza verso
un soggetto che politicamente rimane una somma di Stati
spesso in conflitto tra loro. Infine, la crisi scoppiata sul Bilancio ha evidenziato una divergenza di vedute profonda in
merito all’impiego delle risorse: per il sostegno al settore
agricolo, a cui va oggi oltre il 40 per cento del budget complessivo della Ue (impiego tenacemente difeso dalla Francia), o in favore dell’innovazione e dell’implementazione
dell’“agenda di Lisbona” (come richiesto dal premier inglese Blair).
mente conciliabili, paure fantasmatiche e posizioni
pregiudiziali. Ma anche alcuni dati di realtà, con cui è bene
che tutti – anche i piccoli territori come il nostro – facciano
sentire la propria opinione.
Guardando all’Europa dalla prospettiva di una terra come il
Trentino – una terra cioè al tempo stesso consapevole del
ruolo e dell’importanza dell’Unione e gelosa delle proprie
prerogative autonomistiche – credo si debba ribadire
innanzitutto che il processo avviato oltre sessant’anni fa da
statisti come il “nostro” Alcide De Gasperi è un processo straordinario. Le generazioni nate nel secondo dopoguerra – a
cui anch’io appartengo – a volte faticano a ricordare qual è
stata la storia del continente nel XX secolo: ebbene, si tratta
di una storia contrassegnata da due guerre mondiali, dalla
competizione armata per mettere le mani sulle colonie, dal
trionfo delle ideologie nazionaliste e nazifasciste, da accordi
internazionali come quello di Yalta, che sancivano il destino
di nazioni piccole e grandi senza alcuna considerazione per le
aspirazioni e i diritti dei popoli. Essere riusciti a costruire
questo edificio straordinario che è la casa comune europea,
una casa senza muri dove si parlano tante lingue ma le decisioni si prendono assieme, una casa dove vigono per tutti le
regole della democrazia, del dialogo, del libero confronto,
rappresenta un risultato di enorme importanza.
Come si vede, insomma, nel voto di maggio in Francia e
Olanda, ma anche nelle inquietudini che serpeggiano all’interno di altri Paesi della Ue, Italia compresa, si possono
ritrovare spinte contraddittorie, richieste tra loro difficil-
Parigi, l’Arco di Trionfo
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Un deficit politico
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Ma l’Europa fa anche paura. E se non riusciamo a sgomberare il campo dalla paura, difficilmente riusciremo a fare
dei passi in avanti.
Prendiamo la globalizzazione. La precarietà del lavoro, i
processi di delocalizzazione e di privatizzazione, la perdita
di competitività di alcuni settori dell’apparato industriale
continentale sono fenomeni reali, che vanno compresi e
affrontati nella giusta maniera. L’Europa nel 2000 si era
posta un obiettivo ambizioso: diventare l’economica basata sulla conoscenza più competitiva del pianeta. La direzione è quella giusta: sembra evidente che l’Europa può
competere con i mercati emergenti solo sul piano dell’innovazione, della qualità, delle risorse umane. È la strada
che stiamo seguendo anche in Trentino, ad esempio accrescendo gli stanziamenti per la ricerca scientifica e dell’Università.
Ma la formulazione di questo concetto – lo ripeto, in sé giustissimo – da parte della Ue forse non è stata delle più felici;
troppo ottimistica, e finanche un po’ troppo vaga. Essa non
ha davvero fatto breccia nel cuore dei cittadini dell’Europa. E
soprattutto, ad essa non sono corrisposti traguardi tangibili,
anche sul breve e medio periodo, in un’Unione che nel frattempo di allargava, aprendo nuovi orizzonti e nuovi scenari
dove alle opportunità si mescolano i rischi, alle sfide il venir
meno delle sicurezze del passato.
Così, le pur necessarie riforme dei sistemi nazionali di protezione e assistenza sociale: non sempre comprese, non sempre correttamente interpretate, hanno generato insicurezza
e disagio, laddove avrebbero dovuto offrire nuove certezze.
Anche sul versante della burocrazia a volte l’Europa ha fatto
fatica a spiegare in maniera efficace le proprie posizioni; ad
alcuni è parsa troppo “invadente” sulle cose piccole, sulle
minuzie, e troppo assente rispetto a quelle di portata più
vasta portata.
Ma soprattutto direi che a mancare è stata la percezione di
un’Europa politica forte e coesa, ad un tempo vicina alla
gente, ai popoli che compongono il grande mosaico europeo, e capace di rapportarsi in maniera autorevole al resto
del mondo. E questo nonostante il lavoro instancabile di
alcune personalità di indubbio rilievo, come lo stesso Romano Prodi. Se l’Europa unita non è capace di suscitare
grandi passioni negli europei, questi ultimi torneranno automaticamente a “filtrare” tutte le questioni di carattere
europeo in un’ottica meramente nazionale. Con esiti imprevedibili: non a caso molti osservatori concordano col dire
che il voto francese e olandese è stato, almeno in parte, più
un voto contro le rispettive maggioranze che un voto contro l’Europa.
Infine l’euro: ingiustamente incolpata, in Italia, di avere
favorito una crescita del costo della vita, quando invece
andrebbe riconosciuto che senza di esso il nostro paese
oggi sarebbe debolissimo, alla mercé delle fluttuazioni e
delle speculazioni dei mercati finanziari internazionali.
Anche qui andava fatto qualcosa di più, sia sul versante
dei controlli sia su quello della comunicazione. Invece,
un risultato che avrebbe dovuto riempirci d’orgoglio è
stato sottovalutato, esposto a critiche inconsistenti, sciupato.
Rilanciare le conquiste dell’Unione
Con tutto ciò, rimane il fatto l’Europa unita rappresenta
una grande opportunità di crescita e di sviluppo per tutti. A
partire proprio da territori come il nostro, che non solo ha
potuto beneficiare di programmi come “Obiettivo 2”, che
vanno a vantaggio delle aree più deboli, ma che più in generale in questi anni ha imparato a uscire un po’ dal suo
guscio, a confrontarsi con altre realtà regionali, a tessere alleanze, a promuovere interscambi.
La casa comune europea ci ha permesso di sviluppare sinergie
di vario genere, che hanno coinvolto amministrazioni locali, imprese, l’università e i centri di ricerca. Abbiamo dato
vita a realtà come l’Arge Alp o l’Euroregione Trentino-Alto
Adige-Tirol, a volte vincendo la diffidenza dei governi nazionali. Abbiamo ospitato funzionari, tecnici, rappresentanti
politici provenienti dai paesi fondatori e da quelli che solo
recentemente sono entrati a far parte dell’Unione; abbiamo
mandato all’estero tanti nostri studenti e altrettanti ne abbiamo accolti. Abbiamo varato iniziative importanti nel
campo della cooperazione fra i popoli e della solidarietà internazionale, aprendoci anche a scenari extraeuropei. Grazie a speciali progetti europei abbiamo anche approfondito
la conoscenza di noi stessi, del nostro passato, delle nostre
radici: il che dimostra che non è vero che l’Europa ruba
“l’anima” ai territori, alle popolazioni che li abitano, alle
minoranze. Al contrario, mette a disposizione una cornice
più vasta e più ricca, in grado di valorizzarli compiutamente.
Su questa rivista, dedicata in gran parte ai rapporti fra la Ue e il
Trentino, non abbiamo mai presentato un’immagine oleografica
o acritica dell’Europa. Abbiamo al contrario sempre rilevato,
accanto ai suoi meriti, ai suoi punti di forza, anche le sue zone
d’ombra, le sue debolezze. Più volte abbiamo sottolineato ad
esempio che Bruxelles deve tenere in sempre maggior conto le
aspettative delle realtà regionali, perché è lì che nasce il consenso nei confronti delle istituzioni comunitarie, è lì che matura,
in prima battuta, il sentire europeista.
Ma in questo momento delicato per il futuro dell’Unione,
non possiamo che sostenere con convinzione la necessità di
rilanciare le conquiste dell’Europa, su tutti i fronti: politico, economico, sociale, culturale. Senza l’Europa saremmo
tutti più deboli. Lo saremmo come singole nazioni e lo saremmo anche come singoli territori, perché regioni, province, Länder, per quanto floridi, per quanto dotati di ampi
poteri di autogoverno, come appunto la Provincia autonoma di Trento, da soli non riuscirebbero a reggere l’impatto
dei processi di internazionalizzazione che si vanno delineando. Fare assieme, oggi, è più che mai necessario. Fare
“massa critica”, come dicono gli economisti, è la condizione irrinunciabile sia per difendere il modello di società europeo – un modello capace di coniugare libertà individuali
e diritti collettivi, sviluppo e senso del limite, competitività
e solidarietà – sia per cogliere le tante opportunità di crescita, di trasformazione, di progresso e che il mondo moderno
ci offre, pur con tutti i suoi squilibri e le sue contraddizioni.
Pertanto, dopo i due referendum di maggio, dobbiamo dire
due volte sì all’Europa e ai suoi valori.
Lorenzo Dellai
Presidente della Provincia autonoma di Trento