IL RESTAURO STATICO DELL`ABACO DELLA COLONNA DI

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IL RESTAURO STATICO DELL`ABACO DELLA COLONNA DI
IL RESTAURO STATICO DELL’ABACO DELLA COLONNA DI MARCO AURELIO
Renato Masiani, Cesare Tocci
a Antonino Giuffrè
INTRODUZIONE
A metà del XVI secolo la Colonna di Marco Aurelio si presentava in condizioni tali da far scrivere a Domenico Fontana, incaricato del suo restauro da Papa Sisto V, che essa “stava per ruinare”1. Le ingiurie del
tempo e degli uomini non avevano risparmiato le due colonne centenarie di Roma erette, in onore di Traiano
e di Marco Aurelio, a distanza di meno di un secolo l’una dall’altra. Ma mentre la prima era pressoché intatta, la seconda presentava un pauroso panorama di fratture, ben rappresentato nei disegni del XVI secolo2: un
profondo squarcio, verso il terzo quarto superiore del fusto, scorrimenti tra i rocchi visibili anche da terra,
lesioni verticali passanti su tutta l’altezza, un intero angolo dell’abaco del capitello, quello verso il Pantheon,
rotto3 (fig. 1)4.
Fig. 1 – La Colonna di Marco Aurelio nel disegno di Giovanni Dosio (1569).
1
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO (ASV), Archivum Arcis Armario B3, Libro di tutta la spesa fatta da N.S. Papa Sisto V
alla Colonna Antonina e Traiana, trascrizione a cura di O. Sforza e M. V. Zaccheo per la Soprintendenza Archeologica
di Roma, aprile 1984. f. 6 r.
2
CH. HÜLSEN, Das ‘Speculum romanae magnificentiae’ des Antonio Lafreri, Munich 1921, pp. 120-170.
3
La “colonna Antonina, … in molti luoghi stava aperta, e crepata, e in molti luoghi vi mancavano pezzi di marmo
grandissimi, a tale che spaventava chi la rimirava …”. D. FONTANA, Della trasportatione dell’obelisco vaticano e delle
fabbriche di Nostro Signore Papa Sisto V, Roma 1590, p. 99.
4
CH. HÜLSEN, op. cit. alla nota 2, cat. III, 3.
Non sono chiare le ragioni di questa disastrosa situazione: forse i fulmini, che su strutture simili – obelischi, campanili, ciminiere – producono fratture verticali analoghe agli squarci visibili sulla colonna nelle
stampe cinquecentesche; sicuramente i terremoti, soprattutto quello particolarmente violento del 13495, che
forse non sarebbero stati sufficienti, da soli, a provocare dissesti così gravi rispetto alle lievi sbeccature e alle
rade lesioni che si osservano sulla Colonna di Traiano, ma avrebbero assai più facilmente sconnesso l’assetto
complessivo della colonna se questa fosse già stata colpita, e indebolita, da un fulmine6.
In ogni caso quando, nel 1589, il Fontana iniziò i lavori di consolidamento, le condizioni statiche della
colonna erano allarmanti e, nel suo intervento, egli si dovette occupare del monumento nella sua globalità,
mettendo mano ad ogni sua parte. Rimodellò lo stilobate di base che dall’anno della sua erezione, prima del
193 d.C., aveva subito un interramento di circa sei metri, ricavando una nuova apertura di accesso alla coclea
interna. Risarcì con tasselli in marmo e legò con grappe metalliche le lacune e le lesioni del fusto. Reinserì, a
mezzo di leve ed argani, le porzioni di marmo sporgenti e, in alcuni casi, le fece riscalpellare. Infine, con un
complesso intervento, ricostruì l’angolo mancante dell’abaco utilizzando gli antichi marmi ricavati dal Septizonium severiano che Sisto V aveva fatto smantellare nel 1586.
Grazie al tempestivo intervento di Domenico Fontana la Colonna di Marco Aurelio è potuta giungere integra sino a noi, insieme a quella di Traiano, senza subire la sorte infausta toccata alle Colonne di Teodosio e
di Arcadio a Costantinopoli7. Tuttavia, i quattro secoli trascorsi da quando, alla conclusione dei lavori nel
1590, fu eretta sull’attico la statua di San Paolo, non sono passati invano. Nuovi danni si sono aggiunti e gli
antichi sono, in parte, tornati a mostrarsi tanto da indurre, all'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, la
Soprintendenza Archeologica di Roma a intraprendere sul monumento una vasta opera di studio prima e di
restauro poi8. Facendo riferimento ai soli danni strutturali, alcuni dei pesanti rocchi di marmo, svuotati e indeboliti all’interno per la presenza della coclea della scala, risultavano spaccati e parzialmente ruotati; le
grappe metalliche messe in opera nel XVI secolo erano ossidate e avevano prodotto gravi danni; infine, i
grandi blocchi di marmo inseriti dal Fontana per reintegrare l’abaco risultavano interessati da un grave ed esteso stato fessurativo. Questo saggio riassume i risultati degli studi condotti sulla stabilità della parte sommitale della Colonna di Marco Aurelio grazie ai quali, a partire dalla ricostruzione del restauro cinquecentesco voluto da Sisto V, è stato possibile progettare un nuovo intervento di consolidamento dell’abaco rispetto-
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A. GIUFFRÈ, I terremoti di Roma, in ID., Monumenti e Terremoti: aspetti statici del restauro, Roma 1988, pp. 47-54.
Una discussione di questi problemi si trova in ID., Una proposta di restauro per la colonna di Marco Aurelio, in «Palladio», Roma, luglio-dicembre 1994, pp. 251-262.
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La Colonna di Teodosio fu demolita nel XVI secolo. I resti pericolanti della Colonna di Arcadio furono fatti demolire
nel 1717 dal sultano Ahmet I: oggi resta visibile nel cortile interno di una bottega il basamento alto circa 4 metri con la
porta di accesso e l'inizio della coclea interna.
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Il restauro della Colonna di Marco Aurelio è stato eseguito, insieme a quello della Colonna di Traiano, in attuazione
della legge 93/1981 “Provvedimenti urgenti per la protezione del patrimonio archeologico di Roma”, sotto la direzione
dell'architetto G. Martines della Soprintendenza Archeologica di Roma. Il gruppo di lavoro sui problemi statici delle
colonne, coordinato da A. Giuffré, era composto da: C. Baggio, R. Masiani, R. Marnetto e F. Ortolani.
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so non solo delle ragioni statiche e costruttive della colonna ma anche della lezione metodologica alla base
della straordinaria operazione attuata da Domenico Fontana9.
LO STUDIO PRELIMINARE
Già dai primi sopralluoghi fu evidente che l’angolo di abaco reintegrato nel corso dei restauri sistini era la
parte del monumento che destava le maggiori preoccupazioni. Appena sotto la patina nerastra prodotta
dall’inquinamento, erano ben visibili, nel marmo prelevato dal Septizonium, alcune profonde lesioni ancora
in evoluzione. Altre interessavano le parti originali dell’abaco; qualche lesione evidentemente antica, già risarcita dal Fontana con grappe in ferro che, spesso ossidate e gonfie, avevano poi provocato ulteriori danni;
altre lesioni di natura e datazione più incerta.
Fig. 2 – La struttura provvisoria di sostegno per la rimozione delle lastre di copertura dell’abaco e del
riempimento sottostante: disegno di progetto e immagine del cantiere.
Prima di progettare l'intervento fu necessario chiarire nel dettaglio la situazione statica del restauro cinquecentesco, situazione nota solo parzialmente al momento dell’inizio dei lavori. Da un rilievo esterno del
monumento era infatti possibile individuare i grandi blocchi della reintegrazione sistina, che apparivano parzialmente incassati nelle parti antiche, ma il quadro esatto della loro forma e disposizione si ebbe solo dopo
l’asportazione delle lastre di marmo del piano di calpestio dell’abaco e del sottostante riempimento in massetto leggero. Questa operazione, che consentiva di portare allo scoperto i blocchi della reintegrazione e che
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Un rapporto preliminare sugli studi qui presentati si trova in: A. GIUFFRÈ, G. MARTINES, Impiego del titanio nel consolidamento del capitello della Colonna Antonina, in I materiali metallici negli interventi di restauro e recupero edilizio, a cura di M. G. Gimma, ANIASPER, Associazione Nazionale fra Ingegneri e Architetti Specialisti per lo studio e il
Restauro dei monumenti, Roma 1989, pp. 45-50.
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richiedeva anche la rimozione di alcune staffe metalliche (quella d’angolo e una grande staffa obliqua10), avrebbe potuto comportare qualche rischio e, fu intrapresa solo dopo la realizzazione di una struttura provvisoria di sostegno in acciaio (fig. 2).
L’angolo dell’abaco fu sostenuto all’intradosso, mediante martinetti a vite, da una traversa appesa, tramite
tiranti, a due triangoli articolati verticali. Questi, appoggiati alla fascia inferiore dell’attico, riportavano tutto
il peso ad un anello ottagonale serrato alla base del piedistallo della statua di San Paolo. Caratteristiche della
struttura provvisoria erano la facilità di montaggio e, soprattutto, la sua totale indipendenza dal ponteggio
che circondava la colonna e che, per la sua flessibilità, non poteva in alcun modo costituire un sostegno adeguato11.
La statica del restauro di Domenico Fontana
La configurazione dell’abaco prima del restauro di Domenico Fontana è descritta nel disegno di Giovanni
Antonio Dosio. Al pari dell’assetto generale della colonna, non è certo quali siano stati i motivi che avevano
condotto a quella configurazione. Ma, con ogni probabilità, il crollo dell’angolo sud-ovest dell’abaco era stato determinato – in occasione di un terremoto? – dalla caduta del secondo blocco dell’attico e della sovrastante statua di bronzo dell’imperatore che aveva trascinato con sé la parte aggettante del terrazzino, scheggiando anche gli ovoli dell’echino.
In ogni caso, il restauro della colonna comportava la necessità di reintegrare la fascia degli ovoli e
l’angolo dell’abaco nella zona di maggiore aggetto.
Dai documenti di archivio si apprende che il Fontana aveva fatto scalpellare e porre in opera tre grandi
blocchi di marmo prelevato dai ruderi del Septizonium. Grazie al rilievo di dettaglio (figg. 3, 4) consentito
dalla rimozione del piano di calpestio dell’abaco e del sottostante riempimento, i tre blocchi – più un quarto
di minori dimensioni – sono stati puntualmente individuati e le loro condizioni di conservazione studiate
(figg. 5, 6).
Il primo dei tre grandi blocchi è posto alla quota della fascia degli ovoli dell’echino. È un grande cuneo
tronco, del peso di circa una tonnellata e mezzo, inserito in un incasso a tutto spessore praticato nel fusto della colonna sino alla coclea interna (un “pezzo di marmo grande che fa l’ovolo del capitello di detta colonna
qual piglia tutta la grossezza della sponda della colonna e passa da una banda all’altra”12). Le due superfici
orizzontali sono piane e parallele. Il lato minore è visibile sulla parete interna della coclea ed ha la sua stessa
concavità; sul lato maggiore, quello esterno visibile, è stato riprodotto il motivo ornamentale per una larghezza di tre ovoli; la parte aggettante funge da mensola di sostegno per i due blocchi sovrastanti.
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Vedi infra, La statica del restauro di Domenico Fontana.
Il ponteggio era stato progettato per sostenere solo il peso del personale addetto al cantiere. In previsione di una durata in servizio di alcuni anni, fu sottoposto anche a una verifica di rischio sismico controllando che, sotto l'azione del
massimo terremoto atteso a Roma, non vi fosse pericolo di martellamento contro la colonna. Vedi: A. GIUFFRÈ, R.
MASIANI, Verifica sismica del traliccio di servizio della colonna Traiana, pubblicazione n. 182 dell’Istituto di Scienza e
Tecnica delle Costruzioni, Università di Roma “La Sapienza”, Roma 1982.
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ASV, op. cit. alla nota 1, f. 10 v.
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Fig. 3 – Rilievo strutturale dell’abaco: piante dell’estradosso (a sinistra) e dell’intradosso (a destra)
(dis. di M. Pelletti).
Fig. 4 – Rilievo strutturale dell’abaco: prospetti (dis. di M. Pelletti).
Fig. 5 – I blocchi della reintegrazione sistina portati allo scoperto: i diversi elementi sono facilmente riconoscibili confrontando le immagini con la ricostruzione proposta nella successiva fig. 6.
5
I due blocchi superiori hanno una forma più complessa e articolata, quasi simmetrica rispetto alla diagonale dell’abaco (“2 pezzi de marmi messi intorno al cantone verso la ritonda del capitello detto longhi insieme palmi 12 1⁄4 larghi palmi 10 3⁄4 in tutto alti palmi 3 1⁄6”13). Sono accostati tra loro su un piano verticale lungo questa diagonale e ricostituiscono la parte mancante dal bordo esterno sino al filo dell’attico. Poggiano,
oltre che sulla mensola sottostante in aggetto, su due seggiole scavate nel marmo antico, fin “dentro la cupoletta che regie il S. Paulo”14, per una profondità pari a metà dello spessore originale e una lunghezza che
giunge sino all’incirca alle linee mediane del quadrato dell'abaco. Tale conformazione fa sì che i due blocchi
maggiori della reintegrazione dell’abaco possano essere in parte incastrati al di sotto dei rocchi dell’attico.
Il blocco che ricompone il lato ovest dell’abaco è quello di dimensioni maggiori, pesa circa due tonnellate
e mezzo, ed è inserito a misura tra la seggiola scavata nel marmo antico e la superficie inferiore del primo
rocchio dell’attico. Il blocco che ricompone il lato sud, considerevolmente più piccolo (circa una tonnellata e
mezzo), è semplicemente appoggiato sulla seggiola dell’abaco ed è contrastato con il rocchio dell’attico mediante due piccoli elementi di marmo. Entrambi i blocchi sono scavati nella parte a sbalzo oltre le rispettive
seggiole di appoggio per una profondità pari ai quattro quinti dell’altezza dell’abaco, cosicché la parte aggettante è molto più leggera di quella appoggiata sulle seggiole essendo costituita solo dalle sottili sponde laterali dei due blocchi e dalla lastra che ne realizza il piano inferiore.
Fig. 6 – Forma e disposizione dei grandi blocchi della reintegrazione di Domenico Fontana.
Nell’immagine di sinistra, su ciascuna delle due seggiole di appoggio è indicata la proiezione del
baricentro dei due blocchi angolari maggiori.
Che questo lavoro di scavo fosse motivato non tanto dalla generica necessità di alleggerire i blocchi, che
dovevano essere sollevati a cento piedi di altezza, ma piuttosto da una chiara intuizione strutturale, lo dimo-
13
14
Ibidem, f. 11 r.
Ibidem.
6
stra il criterio con cui lo scavo fu eseguito. Fu, infatti, alleggerita in profondità la parte aggettante, la cui
massa avrebbe avuto un evidente effetto ribaltante, lasciando invece piena la parte che, gravando sulla seggiola ricavata nel marmo antico, ha un positivo effetto stabilizzante (il marmo nuovo fu “scarnato fuora per
aligerirlo acciò desse manco peso alla cantonata”15). Lo scavo di alleggerimento fu poi colmato da un riempimento leggero e ricoperto da sottili lastre di marmo per ripristinare il piano di calpestio. Analoga considerazione vale per il quarto più piccolo elemento della reintegrazione sistina (del peso di circa mezza tonnellata), conformato in modo tale da avere la parte che grava sull’aggetto più sottile e leggera di quella che grava
sulla seggiola.
Domenico Fontana scelse dunque consapevolmente la forma dei grandi blocchi in modo tale che, usando
il linguaggio della moderna meccanica delle strutture, la proiezione verticale del loro baricentro cadesse
all’interno della seggiola scavata nel marmo antico. In questo modo i due grandi elementi sono in grado di
sostenersi stabilmente da soli senza altri ausili che il loro stesso peso16. Le lunghe staffe metalliche, poste in
opera parallelamente ai lati del quadrato sull’estradosso dell’abaco, e che ad un esame esterno sembravano
sostenere i due blocchi maggiori17, sono in realtà una semplice riserva di sicurezza aggiuntiva18, destinate ad
essere chiamate in causa solo nel caso di eventi eccezionali (come il terremoto).
Le fasi temporali dell’intervento sono abbastanza evidenti. Inizialmente si provvide a regolarizzare le superfici di rottura, ricavando nel marmo dell’abaco le due seggiole di appoggio, e a rimuovere la parte dissestata dell’echino, realizzando l’incasso nella fascia degli ovoli.
Posto in opera il mensolone inferiore, incastrato a tutto spessore nel fusto, la sequenza di montaggio per i
due blocchi superiori è fissata dalla loro differente altezza oltre che dalla presenza di una grande staffa metallica inclinata. Questa unisce, pressoché radialmente, i due grandi pezzi tra loro. Ha il punto di fissaggio superiore, che affiora dal piano di calpestio, sull’elemento ovest per poi annegare subito nella malta del riempimento e agganciare l’elemento sud sulla faccia esterna, a circa metà altezza, in corrispondenza della scanalatura orizzontale della grande lettera “P” fatta scalpellare da Sisto V sul prospetto.
Il primo dei due blocchi ad essere posto in opera è quello del lato ovest. Questo doveva essere incastrato
tra la seggiola ricavata nel marmo antico e la superficie inferiore del primo rocchio dell’attico e aveva perciò
necessità di uno spazio di manovra adeguato. Il blocco del lato sud viene montato dopo. Esso ha un’altezza
inferiore a quella dell’abaco sia per agevolare il suo posizionamento al di sotto dell’attico, sul quale è contrastato mediante l’ausilio di due elementi più piccoli, sia per consentire la posa in opera della grande staffa obliqua, la cui presenza sembra suggerire una gerarchia non solo temporale ma anche statica tra i due grossi
blocchi della reintegrazione. La dimensione finale dell’abaco sul lato sud viene ottenuta sovrapponendo al
terzo blocco il quarto elemento lungo e sottile che funge da sponda all’abaco stesso. Un indizio eloquente di
15
Ibidem.
Tra l'altro, si evita la necessità di opere provvisionali di sostegno nella delicata fase di montaggio.
17
In aperta contraddizione, peraltro, con l’affermazione del Fontana stesso secondo la quale “è sempre cosa vergognosa, per servirci di un motto arguto dell’immortale Barozio da Vignola, che una fabbrica abbia a reggersi con le stringhe”
(N. CAVALIERI SAN BERTOLO, Istituzioni di Architettura, Statica e Idraulica, Firenze 1832, vol. I, p. 241).
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questa successione di montaggio è il grossolano allettamento di tegolozzo e malta interposto tra il blocco a
sud e la mensola sottostante, imposto con tutta evidenza dalla necessità di farlo collimare con i pezzi già posti in opera.
Domenico Fontana risolve dunque con uno stesso, sintetico, gesto progettuale – semplicemente fondato
sulla scelta della forma da assegnare ai nuovi inserti marmorei e alla loro sede nel corpo antico della colonna
– il problema architettonico della reintegrazione dell’immagine, il problema statico della stabilità dell’abaco,
il problema tecnico della materiale esecuzione dell’intervento.
Per restaurare la fascia danneggiata degli ovoli non ricorre a una reintegrazione superficiale ma decide di
rimuovere completamente la zona dissestata dell’echino e di sostituirla con un inserto lavorato a tutto spessore che può anche assolvere la funzione di appoggio per i blocchi sovrastanti. E la forma che assegna a questi
e alle loro sedi – svuotati i primi oltre le seggiole di appoggio per spostarne il baricentro, scavate le seconde
fin sotto il primo rocchio dell’attico in modo da consentire un parziale incastro dei nuovi elementi – assicura
non solo la stabilità della reintegrazione ma anche la sicurezza e la semplicità delle operazioni di cantiere.
Per verificare l’equilibrio del suo complesso assemblaggio di blocchi Fontana può ricorrere all’analogia
della leva, schema meccanico antichissimo ma utilizzato ancora per tutto il XVIII secolo nella verifica, ad
esempio, delle strutture ad arco19. La soluzione del problema data da Archimede era nota, Leon Battista Alberti l’aveva riportata nel suo Trattato, e Fontana era sicuramente in grado di applicarla alla verifica di stabilità dell’abaco. Ma, anche qui, non è difficile immaginare come il problema teorico dell’equilibrio si intrecci
con le concrete operazioni del cantiere20, e la padronanza di queste ultime si riveli imprescindibile per poter
attuare praticamente l’idea progettuale o, più semplicemente, per poterla calibrare.
Lo stato di fatto prima dell’intervento moderno
All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso la situazione della parte sommitale del monumento appariva in rapido deterioramento e due fattori destavano particolare preoccupazione: un esteso ed articolato quadro fessurativo e il cattivo stato di alcuni degli inserti metallici di rinforzo, in particolare quelli sui prospetti,
esposti agli agenti atmosferici.
L’angolo sud-ovest dell’abaco. Le lunghe staffe che all’estradosso dell’abaco sostenevano i blocchi d’angolo
erano corrose e in condizioni di dubbia funzionalità. Gravi danni, ben visibili sul prospetto sud, aveva pro18
Così come la conformazione a coda di rondine dei giunti verticali delle seggiole tra i grandi blocchi e le parti antiche,
o le numerose grappe metalliche tra gli inserti marmorei.
19
Cfr. ad esempio L. MASCHERONI, Nuove ricerche sull'equilibrio delle volte, Bergamo 1785. Per una trattazione in
chiave moderna: A. GIUFFRÈ, La meccanica nell'architettura. La statica, NIS, Roma 1986.
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È il sollevamento stesso dei blocchi, ad esempio, che si presta a fornire un semplice sistema per la determinazione
della posizione del loro baricentro e per la conseguente calibrazione dell’entità dello scavo di alleggerimento. Se, infatti,
si vuole che il baricentro del blocco sia collocato lungo un allineamento assegnato, è sufficiente controllare che il sollevamento del blocco lungo questo allineamento non ne produca la rotazione. Un sistema alternativo potrebbe consistere
nel determinare le trazioni che occorre applicare a due estremità opposte del blocco per sollevarlo e risalire, dal loro
rapporto, alle distanze dei loro punti di applicazione dal baricentro.
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dotto la grande staffa d’angolo. Sul blocco ovest una profonda lesione aveva prodotto il distacco quasi completo di un frammento triangolare di notevoli dimensioni21. La lesione appariva recente e passante per il punto di ancoraggio della grande staffa d’angolo che, attestata nella zona fratturata, non esercitava più alcuna
funzione statica e rischiava di cadere. La parte estrema dell’elemento sud risultava fratturata in quattro pezzi
di medie dimensioni nella zona di attacco delle due grandi staffe, quella d’angolo e quella obliqua.
Dal rilievo dei danni si nota che la rottura della pietra si è innescata quasi sempre in corrispondenza dei
punti di ancoraggio delle grappe metalliche e si evince che è stata causata da fenomeni di dilatazione termica
e di rigonfiamento per ossidazione del metallo. È evidente che le originali sigillature in piombo colato non
sono state in grado, nel corso dei secoli, di preservare le sedi di ancoraggio dall’umidità e di assorbire completamente le deformazioni del ferro prodotte dalle escursioni termiche. Problemi di questo tipo interessavano anche altre parti del monumento: ad esempio, per restare sul capitello, le sedi delle barre verticali tonde
che sostenevano ai quattro angoli la ringhiera.
La parte antica dell’abaco. La valutazione della sicurezza della parte più antica dell'abaco si presentava problematica a causa della incerta stratificazione dei fenomeni fessurativi e degli interventi locali di risarcitura
che ne rendevano difficile la lettura. Il rilievo strutturale rappresentato nelle figg. 3, 4 consente alcune osservazioni.
In primo luogo si possono individuare due lesioni diametralmente opposte nella zona centrale dei lati est e
ovest. Quella sul lato ovest raggiunge i 25 mm di apertura e interessa tutta l'altezza dell'abaco, compresa la
fascia degli ovoli. È ricucita da cinque grappe metalliche: due sul piano di calpestio, due sul prospetto esterno e una sul prospetto interno alla coclea. Lo stato di conservazione di queste grappe era buono ed esse potevano essere considerate ancora efficienti. La lesione sul lato est interessa anche l'attico. È attraversata sul
prospetto da cinque chiodature in ottone, probabilmente da attribuirsi al restauro del 1958; altre analoghe
chiodature interessano la sottostante fascia degli ovoli. Sul piano di calpestio è in opera una grappa di medie
dimensioni che si presenta leggermente convessa ma senza problemi di ossidazione. Un'altra staffa è posta
sul prospetto interno della chiocciola. Le due lesioni diametrali potrebbero essersi prodotte contemporaneamente: quando ciò sia avvenuto è difficile dirlo, ma con buona probabilità esse potrebbero essere antecedenti
al 1589. Si potrebbe ritenere che siano state prodotte dallo stesso evento che ha spezzato l'angolo sud-ovest
poi ricostruito dal Fontana. Questa idea è avvalorata da alcune considerazioni: in primo luogo l'importanza e
l'estensione delle lesioni tali da doversi ascrivere ad un evento sicuramente rilevante. In secondo luogo il fatto che la lesione sia risarcita ad ovest da due barre che compaiono nel libro della spesa del cantiere del 1589.
Meno probabile è l'ipotesi che la rottura sia posteriore al 1600, anche se le grappe a ovest appaiono disposte
senza l'ordine che contraddistingue gli interventi del Fontana e quella in prospetto, in particolare, appare incassata in un vano malamente sbozzato. Considerando, a favore di sicurezza, la peggiore delle ipotesi, quella
di danno relativamente recente, è necessario immaginare che la situazione statica dell'angolo sud-ovest sia
oggi più precaria che non in origine.
21
Approssimativamente cm 150x50x15.
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Altri danni sono presenti sul piano di calpestio verso il lato nord. Si tratta però di lesioni superficiali, anche se ampie, che non interessano il prospetto e appaiono causate da effetti termici e dal dilavamento del
marmo in corrispondenza dei più teneri piani di sedimentazione della pietra. Delle tre staffe poste in opera
dal Fontana, la più utile è quella verso l'angolo che consolida una lesione più profonda delle altre.
La ringhiera metallica dell'abaco. Particolarmente delicato appariva lo stato delle barre tonde verticali infisse agli angoli dell'abaco per sostenere la ringhiera. Le barre, ossidate e rigonfie, avevano prodotto gravi danni alla pietra, anche per effetto delle dilatazioni conseguenti alle variazioni termiche. In più, con l'attuale
schema di sostegno, l'intero peso della ringhiera (circa una tonnellata) gravava solo sui quattro angoli, le parti più aggettanti dell'abaco. Ormai inutili e anzi dannosi apparivano i quattro ferri piatti, molto ossidati, che
collegavano le quattro barre d'angolo. Infine, l'anello metallico a cerchiatura della base del peduccio sull'attico era spezzato.
IL PROGETTO DI RESTAURO STATICO
La situazione statica della sommità della Colonna di Marco Aurelio nel 1987 può riassumersi in questi
termini. La parte antica dell’abaco presentava una serie di problemi locali di non grave entità: distacchi di
grandi frammenti di marmo, frantumazione di alcune sedi di ancoraggio delle barre, rottura della cerchiatura
dell’attico e danni gravi alla ringhiera. La fascia degli ovoli era stata consolidata, con diligenza forse eccessiva, nel 1958, con perni di ottone e resine. L’unica situazione di potenziale pericolo globale, che cioè avesse
interesse per il monumento nella sua interezza, era l’angolo sud-ovest dell’abaco, l’oggetto del restauro sistino.
L’opera di Domenico Fontana, eccellente sotto tutti i punti di vista, aveva un solo punto debole, legato alla tecnologia dell’epoca e, in parte, anche all’incuria dei posteri: le grappe in ferro, inserite come elemento
esterno nel corpo del monumento, avevano spesso prodotto più danni di quanti non ne avessero riparati, in
particolare nelle zone esposte agli agenti atmosferici. Gli effetti erano stati diversi, e tra i più gravi la frantumazione dei due grandi blocchi d’angolo nelle parti più sottili e la perdita di efficacia delle lunghe staffe sul
piano di calpestio dell’abaco. In tale condizione le ipotesi poste a fondamento del restauro sistino rischiavano
di venir meno e i criteri progettuali che ne discendevano di essere violati: non si poteva più contare
sull’originale integrità della pietra, condizione necessaria a garantire la stabilità di ogni singolo pezzo e
quindi di tutto l’angolo dell’abaco.
Lo scopo principale del nuovo intervento di restauro statico doveva essere pertanto quello di arrestare i
fenomeni di degrado e sostenere le parti precarie ripristinando, per la stabilità dell’abaco, un livello di sicurezza almeno pari a quello ottenuto dal Fontana nel XVI secolo.
Nello spirito dell’intervento sistino si è esclusa in partenza la soluzione di ripristinare la continuità dei
blocchi della reintegrazione cinquecentesca con il marmo antico dell’abaco mediante incollaggi o impernia-
10
ture. E, così come Domenico Fontana aveva fatto affidamento, per garantire la stabilità di un assemblaggio
discreto di blocchi, essenzialmente sulla sagomatura dei singoli elementi e sul loro reciproco contrasto, nel
restauro moderno si è deciso di assumere come dato ineludibile la frammentarietà dell’insieme cercando solo
di impedirne le possibilità di movimento. I singoli blocchi restano separati, così come lo erano
nell’intervento cinquecentesco, e così come semplicemente sovrapposti erano i rocchi della colonna originaria, ma vengono potenziati i vincoli che il degrado aveva indebolito e nuovi vincoli vengono introdotti laddove il progredire delle lesioni e la conseguente, definitiva, perdita di adesione dei frammenti potrebbero
mettere in crisi l’equilibrio del sistema.
Le seggiole di appoggio in marmo predisposte da Fontana sono ritenute ancora affidabili22, ma le spranghe di ferro vengono o esautorate23 o sostituite con barre di titanio. Le porzioni potenzialmente instabili dei
grandi blocchi della reintegrazione cinquecentesca vengono invece sostenute da una grossa mensola,
anch’essa in titanio, che fuoriuscendo a sbalzo lungo la diagonale dell’abaco, tra i blocchi stessi, consente di
introdurre degli appoggi per le loro estremità aggettanti. La scelta del titanio per la realizzazione della mensola, così come per la sostituzione delle parti in ferro dell’antico restauro, è stata motivata dalle particolari
caratteristiche del materiale: l’inalterabilità e, soprattutto, la possibilità di evitare sollecitazioni dovute a dilatazioni differenziali grazie a un coefficiente di dilatazione termica molto vicino a quello del marmo24.
L’uso del titanio nel restauro strutturale di monumenti antichi, pur non molto diffuso in quegli anni, non
era in ogni modo una novità. Il precedente più illustre di cui si sia a conoscenza riguarda il Partenone e
l’Eretteo. Elementi in titanio hanno sostituito le vecchie travi in ferro usate da Balanos (1898-1939) per ricostruire gli architravi in marmo. Anche in quella situazione la salsedine e l’inquinamento atmosferico di Atene
avevano rapidamente e profondamente corroso (dopo meno di mezzo secolo) gli inserti metallici provocando
rotture nei blocchi di marmo e gravi danni strutturali25.
Il consolidamento dell’angolo del Fontana
La grande mensola in titanio è alloggiata, come una protesi, nello spazio verticale vuoto scavato dal Fontana nei due grandi blocchi di marmo26 (fig. 7). Disposta lungo la bisettrice dell’angolo, è appoggiata in basso
al di sopra della fascia degli ovoli e sostenuta in alto da un tirante ancorato ad un capochiave interno alla coclea della scala. È dimensionata per sostenere totalmente il peso dell’angolo, valutato in circa quattro tonnellate, mediante quattro pendoli le cui estremità fuoriescono all’intradosso dalla fessura tra i due blocchi. Ai
pendoli sono imbullonate tre piastre esterne di riscontro che premono sul marmo, con l’interposizione di la22
Tuttavia, l’intervento realizzato ha ridotto anche lo sforzo sulle seggiole.
Alcune staffe, le maggiori, non furono sostituite ma lasciate staticamente inattive in situ in quanto facenti parte ormai
da quattro secoli dell’iconografia del monumento.
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I coefficienti di dilatazione termica sono: α=7,00⋅10-6 °C-1 per il marmo e α=8,64⋅10-6 °C-1 per il titanio. L’acciaio inossidabile, anch’esso inalterabile, ha un coefficiente di dilatazione termica diverso.
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The Acropolis at Athens. Conservation, restoration and research 1975-1983. Athens, National Gallery-Museum Alexandros Soutzos, September-October 1983. Ministry of Culture, Committee for the Preservation of the Acropolis
Monuments, Platsis-Kotsetas.
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stre di piombo per evitare concentrazioni di sforzi dovute alla irregolarità delle superfici. Queste tre piastre e
i quattro dadi tondi sono le uniche parti visibili dell’intero intervento27.
Fig. 7 – Progetto della struttura definitiva di sostegno (dis. di L. Fosci e M. Pelletti).
Nel dettaglio, la struttura di sostegno risulta costituita da tre elementi principali, tutti in titanio28. Il primo
è la mensola, lunga 1580 mm, spessa 20 mm e di altezza variabile tra 200 mm e 500 mm, ricavata da una lastra 2000x1000x20 mm. La forma è rastremata sia per necessità strutturali sia per adattarsi allo spazio disponibile.
Il secondo elemento è il lungo tirante superiore, ottenuto per tornitura da un unico tondo di titanio del diametro di 57 mm. Ad una estremità è realizzata una forcella che si aggancia con un perno alla mensola.
L’altra estremità è filettata e fissata con un dado esagonale in titanio alla piastra di contrasto. Quest’ultima è
un grande capochiave posto in opera sulla parete interna della coclea della scala: è stata realizzata con una
lastra di spessore 10 mm, lunghezza 965 mm e altezza 400 mm, irrigidita da nervature saldate e con la stessa
curvatura della coclea. Completano la struttura alcuni elementi secondari, tutti realizzati in titanio: quattro
pendoli di sostegno di lunghezza variabile completi di perno, dado e piastra di contrasto, e due piccole piastre29 quadrate che, montate a squadra, sono interposte a seggiola tra il marmo e la mensola nel punto di appoggio inferiore.
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L'instabilità laterale è impedita dal contrasto con i blocchi di marmo.
Sono visibili dalla base della colonna, all'intradosso dell'angolo sud-ovest.
28
Si dovettero superare notevoli difficoltà, sia per il reperimento del materiale in grandi dimensioni, sia per la mancanza
di esperienza nella sua lavorazione, in particolare nella saldatura. Il titanio utilizzato è del tipo "Commercially pure,
Grade 2".
29
Di spessore 10 mm.
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12
Il montaggio della struttura di sostegno definitiva è iniziato con la posa in opera del tirante. È stato necessario praticare un foro orizzontale del diametro di 80 mm nel marmo antico – unico elemento irreversibile
dell’intero intervento di restauro – in un punto già profondamente scavato dal Fontana. Sistemata la seggiola
di appoggio inferiore, sono stati posizionati, nell’ordine, il tirante, la mensola, il capochiave, i quattro pendoli e le piastre di sostegno inferiori fissate da dadi tondi. A ciascuno dei quattro pendoli è stato imposto un
precarico allo scopo di recuperare le deformazioni dovute agli assestamenti iniziali. Il loro stato di sforzo è
stato controllato mediante quattro misuratori elettrici di deformazione30, che sono stati lasciati in opera collegati ad una centralina posta sul capochiave interno, allo scopo di consentire il monitoraggio e la regolazione31
delle sollecitazioni nella struttura di sostegno.
Fig. 8 – Il cantiere dell’intervento di restauro: consolidamento dei frammenti dei grandi blocchi angolari.
Fig. 9 – Il cantiere dell’intervento di restauro: collegamento dei frammenti consolidati alla mensola
in titanio.
Fig. 10 – L’abaco restaurato: la grande staffa angolare cinquecentesca lasciata in opera.
Fig. 11 – L’abaco restaurato: le piastre di contrasto
dei pendoli ancorati alla mensola in titanio.
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Ogni punto di misura è costituito da un ponte completo di quattro estensimetri resistivi, in modo tale da annullare gli
effetti termici. La sensibilità degli strumenti è 1⋅10-6 volte il valore di fondo scala.
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Dopo la posa in opera della struttura di sostegno si è provveduto a consolidare i frammenti distaccati dai
prospetti d’angolo (fig. 8). Sono stati incollati con resine e sostenuti da un sistema di barre in titanio imbullonate, sotto le lastre di calpestio, al bordo superiore della mensola (fig. 9). La grande staffa angolare cinquecentesca in ferro è ancora in opera ma senza funzioni statiche, in quanto priva dei ganci terminali e sostenuta
passivamente dalla mensola (fig. 10).
Tutte le superfici di pressione tra marmo e titanio sono state protette con lastre di piombo, interponendo
tra i due metalli un foglio di teflon per evitare l’insorgere di fenomeni di corrosione dovuta al diverso potenziale elettrico.
Terminato il montaggio di tutte le parti, è stata eliminata la struttura provvisoria. Si è provveduto a riempire lo scavo di alleggerimento con una malta leggera di lapilli vulcanici, isolando la lastra di titanio in una
camera d’aria ricavata nel getto, e a sigillare il tutto con una lastra di marmo che ripristina il piano di calpestio. Le uniche parti nuove rimaste all’esterno sono le tre piastre di sostegno inferiori, praticamente invisibili
a più di cento piedi da terra, e le sottili bande di contenimento dei pezzi dell’angolo (fig. 11). L’intervento è
caratterizzato da un quasi totale grado di reversibilità. Se si eccettua il foro per il tirante nel fusto della colonna, né il marmo antico né le parti poste in opera nel Cinquecento hanno subito alcun danno, avendosi avuto cura, a tal fine, di evitare la rimozione dei blocchi maggiori dalla loro posizione originaria.
Gli altri interventi
Gli altri interventi di natura statica effettuati sulla sommità della colonna hanno riguardato principalmente
la ringhiera e l’attico. Per quanto riguarda quest’ultimo, il grande anello in ferro, arrugginito e rigonfio, che
cerchiava la parte superiore,è stato sostituito da un elemento in acciaio inossidabile delle stesse dimensioni.
Un intervento più articolato ha interessato i sostegni metallici della ringhiera del capitello. Questi sostegni
erano tutti in pessime condizioni; le estremità immerse nel marmo delle quattro barre d’angolo, in particolare, erano degradate e rigonfie, con pericolo di espulsione dei quattro spigoli32. Le ringhiere, in ferro forgiato,
erano invece in migliore stato di conservazione.
Il sistema di fissaggio dell’intera ringhiera è stato modificato (fig. 12). Le quattro barre tonde d’angolo
sono state tagliate alla base e lasciate in opera come cerniere di connessione tra i quattro lati. Il peso non indifferente della ringhiera è stato fatto gravare su otto appoggi posti al terzo medio di ogni lato, realizzando in
acciaio inossidabile dei veri e propri appoggi scorrevoli in direzione radiale. In questo modo la ringhiera risulta stabile ma libera di deformarsi per effetto delle dilatazioni termiche senza trasferire sforzi al capitello.
Anche quest’intervento è completamente reversibile, in quanto gli apparecchi di fissaggio sono semplicemente appoggiati sull’abaco e mantenuti in sede da un risvolto visibile in prospetto. Nessun foro è stato praticato nel marmo.
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Agendo sui dadi all'intradosso dell'abaco.
Nella Colonna di Traiano gli analoghi montanti avevano staccato ed espulso i quattro angoli del capitello.
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Fig. 12 – Dettagli della nuova struttura di appoggio della ringhiera.
CONCLUSIONI
Ponendo mano, sul finire del XVI secolo, al restauro statico della Colonna di Marco Aurelio Domenico
Fontana disponeva di un bagaglio scientifico e tecnico comparabile con quello di chi la colonna aveva eretto
alle soglie del III secolo d.C. Egli agiva cioè in perfetta continuità culturale con il contesto costruttivo originario e ciò garantiva, entro i limiti fissati dalla competenza dell’architetto, l’omogeneità dell’intervento di
rinforzo con il carattere meccanico dell’opera da rinforzare.
Questa doppia continuità, culturale e tecnica, appare oggi drammaticamente interrotta. E chi si accosta alle antiche fabbriche cercando di sviscerarne i modi del funzionamento statico e di comprendere le tecniche
messe in atto per la loro erezione, con l’obiettivo di porre mano in maniera consapevole al loro consolidamento, non può non ripensare alle parole di Edoardo Benvenuto: “… diciamo la verità, non v’è nessun strutturista al mondo che sappia dire qualcosa di sensato su una struttura in muratura”33.
È la stessa difficoltà che Antonino Giuffrè rileva a proposito degli studi avviati, proprio in quegli anni,
sulla Colonna di Marco Aurelio e su una parte dei quali si è riferito in questo saggio: “Oggi non contiamo
sulla nostra conoscenza del costruire come faceva Domenico Fontana, ma sulla risposta dei modelli meccanici con cui schematizziamo la struttura. E dove mancano i modelli meccanici e gli algoritmi corrispondenti
…, il nostro approccio è inerme”34.
All’interno dello scenario culturale delineato da queste affermazioni, e in un momento storico nel quale è
sempre più pressante l’esigenza di un approccio razionale e filologico all’intervento sull’esistente, in grado
di recuperare la cultura tecnica delle opere che si vogliono restaurare, la rilettura delle grandi fabbriche del
passato e dei consolidamenti storici su di esse attuati si rivela illuminante.
33
E. BENVENUTO, La conoscenza e il progetto, in Restauro architettonico: il tema strutturale. Dialoghi di restauro, a
cura di N. Pirazzoli, Ravenna 1994.
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Il restauro dell’abaco della Colonna di Marco Aurelio, discusso in questo saggio, è da questo punto di vista emblematico.
La padronanza con cui il Fontana maneggia la tecnica costruttiva, compreso il complesso capitolo delle
macchine di cantiere, la chiarezza delle sue conoscenze meccaniche, la disinvolta sensibilità con la quale governa gli aspetti formali dell’intervento statico, costituiscono, nella globalità dell’approccio all’architettura
che esse sottendono, un monito per la cultura odierna sempre più frammentaria e dispersa in mille rivoli specialistici.
Il restauro statico realizzato negli anni Ottanta del secolo scorso, ad onta della distanza apparentemente
incolmabile che lo separa dall’intervento sistino, si caratterizza per la volontà di recuperare di
quell’intervento la lezione metodologica.
L’invenzione strutturale di Domenico Fontana è rispettata dal moderno restauro così come la logica del
funzionamento originario della Colonna era rispettata dal restauro cinquecentesco. Il principio statico alla
base di entrambi gli interventi è lo stesso, quello elementare e fondante della leva, che garantisce la stabilità
dell’abaco reintegrato, indipendentemente dagli elementi metallici aggiuntivi – antiche spranghe di ferro o
moderne lastre di titanio – introdotti come vincoli ulteriori, diremmo sovrabbondanti, per fronteggiare sollecitazioni non previste che potrebbero ridurre la sicurezza dell’assemblaggio.
Forte di strumenti di calcolo impensabili per l’architetto cinquecentesco, il restauratore moderno li accantona, nella consapevolezza che la valutazione della sicurezza implicitamente contenuta nell’antica arte del
costruire è non meno affidabile di quella che consegue dalle procedure analitiche della moderna scienza delle
costruzioni. E seppure non esita a ricorrere a materiali, lavorazioni e tecniche di monitoraggio sconosciuti a
Domenico Fontana, l’uso che ne fa è costantemente subordinato al rispetto delle ragioni statiche, costruttive
e architettoniche della Colonna, e del restauro su di essa effettuato da coloro che, nel Cinquecento, a distanza
di più di un millennio, appartenevano ancora allo stesso orizzonte culturale dell’architetto di Marco Aurelio.
RINGRAZIAMENTI
I disegni del progetto di restauro della Colonna di Marco Aurelio sono stati gentilmente concessi dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e di Ostia Antica che ne ha permesso la riproduzione. Un ringraziamento particolare va alla dottoressa Cinzia Conti, della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e di
Ostia Antica, e all’architetto Giangiacomo Martines, del Segretariato Generale del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali.
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A. GIUFFRÈ, op. cit. alla nota 6.
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