magic in the moonlight

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magic in the moonlight
MAGIC IN THE MOONLIGHT
di Woody Allen con Colin Firth, Emma Stone
(USA, 2014, 98')
Trama Riviera francese, 1920. Il cinese Wei Ling Soo è il più celebre prestigiatore del suo tempo, ma pochi sanno
che in realtà, dietro ai suoi panni, si cela Stanley Crawford, un inglese scorbutico e arrogante con una accesa
avversione nei confronti di coloro che si professano veri 'spiritisti'. Su indicazione dell'amico Howard Burkan, Stanley
decide di recarsi in Costa Azzurra presso la famiglia Catledge per smascherare Sophie Baker, una giovane medium.
Grace Catledge, il figlio Brice e la figlia Caroline, infatti, hanno invitato Sophie e sua madre perché vogliono mettersi
in contatto con il defunto signor Catledge. Stanley si presenta come un uomo d'affari di nome Stanley Taplinger ed è
immediatamente convinto di trovarsi di fronte a una frode facilmente smascherabile. Con sua grande sorpresa e
disagio, però, Sophie dimostra sorprendenti capacità parapsicologiche e compie una serie di atti soprannaturali che
sfidano ogni spiegazione razionale, lasciando interdetto il rigido e scettico Stanley che chiederà aiuto all'adorata zia
Vanessa...
Critica "In un'arte dove la maggior parte degli artisti, anche i più grandi, ha smesso d'inventare prima dei
sessant'anni, siamo abituati a considerare Woody Allen l'eccezione più clamorosa. Superati i settanta, ormai sono
79, il grande Woody ha saputo far vibrare al massimo le molte corde dei propri talenti, regalandoci alcuni capolavori
del decennio. Dalle tragedie perfette di 'Match Point' e 'Blue Jasmine', alla più esilarante commedia di 'Scoop',
passando per il divertimento filosofico di 'Basta che funzioni', la sensualità travolgente di 'Vicki Cristina Barcellona',
l'incanto metafisico di 'Midnight in Paris'. Con l'ultimo film (...) 'Magic in the moonlight', il numero 44 della
monumentale filmografia e forse anche il più inutile, si scopre che anche il genio di Woody Allen ogni tanto
s'addormenta.(... ) Il tutto s'intende, confezionato con la magnifica fotografia di Darius Khondji e impreziosito da
qualche cammeo di classe, come la recitazione di Eileen Atkins, nella parte della zia di Stanley. Ma basta?
Aspettiamo, come per certi vini di grande prestigio, un'annata migliore." (Curzio Maltese, 'La Repubblica)
"Non è più impellente rincorrerlo, stenderlo sul tavolo operatorio e sottoporlo a un'accanita operazione critica. La
prima ragione è quella che un film di Woody Allen non prevede controindicazioni e anche senza possedere la tessera
da critico andranno (quasi) tutti a vederlo senza remore. La seconda è che la commedia umana alleniana ormai
assomiglia a quella di Balzac e va vista, goduta, correlata, interpretata come se si trattasse di un romanzo finora
suddiviso in quarantaquattro capitoli, per di più cadenzati su altrettante fasi della nostra vita non solo di spettatori.(..)
Il raccontino inizia con il cinquantenne solitario, disilluso e scettico Stanley, interpretato dal come sempre superbo
Colin Firth, che si esibisce trionfalmente a Berlino travestito da mago cinese col nome artistico di Wei Ling. (...) Non è
la prima volta, del resto, che l'autore si dedica al personaggio démodé del mago, forse perché gli permette di
metaforizzare senza pesantezze l'eterna diatriba tra fede e agnosticismo, verità e menzogna, ragione e metafisica,
amore e psiche. E a voler essere notarili, neanche delle atmosfere intonate al crepuscolo della jazz age alla Scott
Fitzgerald si può dire che rappresentino un'inedita portata del menu; eppure 'Magic in the Moonlight' riesce a
valorizzare al massimo gli aspetti positivi e a rendere al riaccendersi delle luci gli spettatori soddisfatti o almeno un
po' felici: il cast, innanzitutto, come abbiamo premesso; la fotografia di Darius Khondji; i lievi inserti comici che
assicurano alle schermaglie del dialogo il tempo garantito dalla casa. Lontano da New York, l'amato scenario ormai
refrattario a qualsiasi illusionismo onirico, viene facile e fluido recuperare la soave malinconia e l'esotismo da
cartolina ricorrenti nelle incursioni europee ('Vicky Cristina Barcelona', 'Midnight in Paris'). Non siamo, insomma, di
fronte al suo film migliore, ma certamente a uno dei più sottilmente malinconici in cui il mago che non crede più nei
suoi poteri è - evidentemente, ma a torto - proprio lo stesso Woody." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 4 dicembre 2014)
"(...) È tornato Woody Allen, ed è in uno stato di forma più che discreto, ci prende per mano e ci accompagna tra
schermaglie amorose, scenari mozzafiato e costumi (di Sonia Grande) stupendi. Si stava meglio quando si stava
meglio, insomma, e pendere dalle labbra vezzose di Emma Stone, ammirare l'eleganza amara di Colin Firth sono
opportunità fascinose. L'unico neo? II palese imbarazzo di Firth nelle scene affettuose: l'attore inglese ha 54 anni, la
Stone 26, forse i 28 di differenza pesano? Non per Woody..." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano')
"(...) Piacerà agli alleniani da sempre, naturalmente. Troveranno tutto o quasi tutto il repertorio di Woody. La
nostalgia degli anni 20 e il romanzo 'Dicembre-Maggio'. Le reminiscenze letterarie (i personaggi secondari tradiscono
volutamente echi fitzgeraldiani). E la componente turistica che ormai sembra inevitabile nell'opera del Woody (la
'Côte' è messa in pellicola con un amore che solo un regista americano può esprimere). E naturalmente, il tema fisso
da almeno otto lustri: l'inganno, la fantasia, sempre e comunque preferibili all'arida realtà. Certo gli alleniani a
corrente alternata (quelli che vorrebbero ogni anno un 'Blue Jasmine' o un 'Match Point') non è il caso che coltivino
grandi illusioni. Questo è un Woody di ordinaria amministrazione, che se a volte s'accende inaspettatamente è per
merito di Emma Stone, che ha l'aria di reclamare un posto d'onore tra le muse allenane." (Giorgio Carbone, 'Libero')
"Woody Allen torna in Francia (qui nel Sud), sperando di ripetere il successo del suo irresistibile 'Midnight in Paris' e
lo fa con il solito sguardo nostalgico verso il passato, confezionando, non a caso, una commedia romantica che
sembra uscita da una cineteca degli Anni Trenta. Niente di clamoroso, purtroppo, e non certo all'altezza del
precedente 'Blue Jasmine'. Qui, si limita a trasmettere qualche divagazione su magia e illusionismo, ragione e
trascendenza, fede e ateismo, Nietzsche e Hobbes, mediocrità e rassegnazione; nulla di nuovo per chi frequenta la
sua filmografia e con un sapore di rimasticato e rielaborato. (...) Singolarmente, i due protagonisti sono bravi, ma tra
di loro non si percepisce alchimia.." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale' )