selezione-CERVIGNI-D`ANTONI2009

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selezione-CERVIGNI-D`ANTONI2009
Guido Cervigni
Massimo D’Antoni
Monopolio naturale,
concorrenza,
regolamentazione
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2.2. Tariffazione in presenza di sussidi al monopolista
Indice
95
2.2.1. Tariffazione al costo marginale / 2.2.2. Finanziamento del sussidio mediante imposte distorsive
2.3. Tariffazione e capacità produttiva con domanda variabile
100
2.3.1. Il caso di domanda incerta
2.4. Tariffazione con vincolo di copertura dei costi: tariffe
lineari
113
2.4.1. La ripartizione dei costi fissi secondo il criterio dei costi pienamente distribuiti / 2.4.2. I prezzi alla Ramsey / 2.4.3. Tariffe lineari ed
obiettivi redistributivi
2.5. Tariffazione con vincolo di copertura dei costi: tariffe
non lineari
126
2.5.1. Tariffe in due parti / 2.5.2. Tariffe multiparte / 2.5.3. Tariffe non
lineari ottimali
Prefazione di Bruno Bosco
11
Nota introduttiva
31
Monopolio naturale e concorrenza
39
2.6. Conclusioni: tariffe efficienti, tariffe uniformi ed obiettivi
redistributivi
137
Appendice. Derivazione della tariffa non lineare ottimale 141
3.
1.
Informazione e incentivi
147
3.1. L’estrazione della rendita informativa del monopolista
1.1. Il costo sociale del monopolio
1.2. La nozione di monopolio naturale
41
48
3.2. Incentivi e inefficienza produttiva
1.2.1. Definizione / 1.2.2. Subadditività ed economie di scala nel caso monoprodotto / 1.2.3. Subadditività ed economie di scala nel caso
multiprodotto
1.3. Sostenibilità del monopolio naturale
55
3.3. La regolamentazione per comparazione
3.4. Efficienza produttiva e avversione al rischio
78
2.
89
75
3.5. Incentivi in un contesto multiperiodale
Appendice. Schemi tariffari ottimali in presenza di
asimmetria informativa
189
4.
199
Relazioni verticali tra competitori
4.1. Separazione verticale e incentivi all’integrazione
7
174
177
3.4.1. Regolamentazione per comparazione e azzardo morale
1.4. Concorrenza per il mercato attraverso un’asta
1.5. Apertura alla concorrenza di settori precedentemente
monopolistici
2.1. Efficienza, redistribuzione e analisi di benessere in
equilibrio parziale
158
3.2.1. Efficienza produttiva ed estrazione della rendita quando il costo
è osservabile / 3.2.2. Efficienza e osservabilità del costo in assenza di
sussidi
1.3.1. Sostenibilità: definizioni e proprietà / 1.3.2. Sussidi incrociati
e “scrematura” / 1.3.3. Alcuni casi di non esistenza di una configurazione sostenibile / 1.3.4. L’esistenza di configurazioni sostenibili:
condizioni sufficienti / 1.3.5. La teoria dei mercati contendibili
Tariffazione ottimale
149
3.1.1. Il modello di Baron e Myerson (1982)
90
4.1.1. Infrastrutture necessarie / 4.1.2. Prezzi d’accesso ottimali / 4.1.3.
Incentivi all’integrazione verticale
8
183
200
INDICE
4.2. Accesso alle reti da parte di concorrenti nella fornitura
dei servizi finali
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
7.
4.2.1. Prodotti finali omogenei, bypass impossibile, entrante competitivo / 4.2.2. Il caso con bypass / 4.2.3. Prodotti differenziati / 4.2.4.
Prezzi ottimali degli input ceduti ai competitori e determinazione del
prezzo del bene finale
4.3. Imperfezioni del sistema regolatorio e regolamentazione
dell’accesso
4.4. Osservazioni conclusive
Appendice. Prezzi nodali e diritti di trasmissione
325
Il settore delle telecomunicazioni
333
208
7.1. Tecnologia e servizi di telecomunicazione
7.2. L’organizzazione del settore
221
223
Regolamentazione del tasso di rendimento, tetti ai
prezzi e altri meccanismi dinamici
5.1. Controllo del tasso di rendimento e tetti ai prezzi
227
Bibliografia
383
245
Elenco delle figure
395
Indice degli autori
397
255
5.4.1. Il meccanismo di Vogelsang e Finsinger / 5.4.2. Sussidi pari al
surplus incrementale
5.5. Osservazioni conclusive
269
6.
273
Il settore elettrico
6.1. Tecnologia ed economia della fornitura del servizio
elettrico
6.2. Regimi organizzativi della generazione di energia
elettrica
274
278
6.2.1. Borsa dell’energia elettrica all’ingrosso / 6.2.2. Contratti bilaterali diretti / 6.2.3. Acquirente unico / 6.2.4. Modelli ibridi
6.3. Generazione e vincoli di trasmissione
297
6.3.1. Flussi dell’energia elettrica sulle reti / 6.3.2. Prezzi nodali e
diritti di trasmissione / 6.3.3. Diritti di trasmissione
6.4. Trasporto e vendita dell’energia elettrica
6.5. Il settore elettrico in Italia
305
309
6.5.1. Caratteristiche / 6.5.2. La nuova organizzazione del settore /
6.5.3. La regolamentazione nel nuovo assetto
9
373
235
5.3.1. Efficienza allocativa / 5.3.2. Discriminazione di prezzo / 5.3.3.
Le revisioni periodiche
5.4. Altri meccanismi dinamici
7.4. Il settore delle telecomunicazioni in Italia
7.4.1. Caratteristiche / 7.4.2. La liberalizzazione / 7.4.3. La regolamentazione dei prezzi
5.2.1. Inefficienza tecnica e allocativa / 5.2.2. Mercati regolati e mercati concorrenziali
5.3. Proprietà della regolamentazione mediante tetti ai prezzi
354
7.3.1. Evoluzione della struttura del settore fino al 1996 / 7.3.2. La
regolamentazione tariffaria / 7.3.3. La nuova organizzazione
228
5.1.1. Definizioni / 5.1.2. Valore del capitale, ripartizione dei rischi e
stranded costs
5.2. Proprietà della regolamentazione del tasso di rendimento
341
7.2.1. Fallimenti del mercato nel settore delle telecomunicazioni /
7.2.2. L’intervento pubblico / 7.2.3. Istituzioni regolatorie
7.3. Il caso degli Stati Uniti
5.
335
7.1.1. Reti di telecomunicazione / 7.1.2. Servizi di telecomunicazione
10
1
Monopolio naturale e concorrenza
La teoria economica ha individuato le ragioni della regolamentazione
nella presenza di uno o più dei seguenti “fallimenti del mercato”, che
allontanano un certo mercato dalle condizioni di concorrenza perfetta:
1. l’esistenza di asimmetrie informative tra gli agenti operanti sul mercato;
2. il manifestarsi di esternalità;
3. la presenza di agenti economici (generalmente produttori) con potere
di mercato.
Questo volume si concentrerà prevalentemente sul terzo di questi motivi,
e in particolare sui casi in cui il potere di mercato di un’impresa deriva
da specifiche caratteristiche tecnologiche del processo produttivo, tali
da giustificare per il settore studiato l’uso dell’espressione monopolio
naturale.
È un risultato di base dell’economia del benessere che in presenza
di potere di mercato, ovvero quando l’impresa non prende il prezzo di
vendita come dato, l’allocazione delle risorse si discosta da quella desiderabile. Il caso più rilevante di potere di mercato è quello di un’impresa
che opera in condizioni di monopolio, cioè in assenza di competitori sul
mercato del prodotto: in questo caso, riducendo la quantità prodotta ed
aumentando il prezzo al di sopra del costo marginale, il monopolista
è in grado di aumentare i propri profitti riducendo al tempo stesso il
benessere dei consumatori; visto che il maggior profitto per il monopolista è inferiore alla perdita di benessere per i consumatori, il prezzo che
massimizza il profitto conduce inoltre alla produzione di un livello del
bene in questione inferiore a quello efficiente, cioè comporta inefficienza
allocativa.
L’inefficienza allocativa non è il solo motivo di preoccupazione per
la presenza di imprese che operano in condizioni di monopolio. È infatti
opinione comune che l’assenza di competizione diminuisca per le im39
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
prese l’incentivo a produrre in modo efficiente, e determini quindi costi
di produzione maggiori di quelli che vi sarebbero in condizioni concorrenziali; il monopolio porterebbe cioè anche altre forme di inefficienza
non strettamente riducibili a quella allocativa.
Un’analisi più precisa dei costi del monopolio sarà oggetto specifico del primo paragrafo di questo capitolo. È necessario chiarire però
innanzitutto il significato dell’aggettivo “naturale” applicato al termine
monopolio: la distinzione tradizionale a questo proposito è quella tra
monopolio legale e (appunto) monopolio naturale. Il primo vi sarebbe quando la presenza di competitori è esclusa per legge (prendiamo
questo termine in senso lato), mentre il secondo rimanda a ragioni strutturali che hanno a che vedere con la tecnologia produttiva, che rende
in qualche modo inevitabile il fatto che su quel mercato operi un unico
produttore.
Possono esservi ragioni diverse per l’istituzione di un monopolio
legale, ma l’opinione prevalente è che solo nel caso di un monopolio
naturale esiste una giustificazione forte per un intervento pubblico dal
quale risulti, in un modo o nell’altro, la concentrazione dell’offerta in
capo ad un solo soggetto. Il caso “di scuola” di monopolio naturale è
quello in cui la tecnologia manifesta rendimenti crescenti di scala: in
questo caso, se vi fosse inizialmente la presenza di una pluralità di produttori, uno di essi avrebbe la possibilità di ridurre i costi espandendo
il livello di produzione, e diminuendo i prezzi potrebbe estromettere i
competitori; a quel punto, rimasto solo, potrebbe ottenere profitti fissando un prezzo monopolistico 1. Peraltro, in presenza di rendimenti di
scala crescenti, anche se fosse possibile, la presenza di una pluralità di
produttori non sarebbe efficiente, in quanto non consentirebbe di sfruttare adeguatamente le economie di scala presenti e produrre al minimo
costo.
Obiettivo di questo capitolo è quello di fornire gli elementi teorici introduttivi all’analisi dei mercati in condizioni di monopolio naturale. A tale scopo, dopo una breve rassegna dei costi connessi alla presenza di un monopolio, cui è dedicato il par. 1.1, volgeremo la
nostra attenzione alle condizioni che definiscono il monopolio naturale (par. 1.2) e all’importante nozione di sostenibilità di un monopolio
naturale (par. 1.3).
Il par. 1.4 prende in considerazione la possibilità, già suggerita da
Demsetz (1968), di sostituire o quantomeno affiancare all’attività regolatoria il potere disciplinante della concorrenza, attraverso l’istituzione
di un’asta per il diritto a operare nel mercato monopolistico. L’intento è
anche quello di sottolineare quanto la teorizzazione a partire dagli anni
settanta abbia reso ben più articolata la rappresentazione del rapporto
tra monopolio naturale e regolamentazione, rispetto ad una precedente visione che faceva corrispondere in modo forse troppo automatico
alla presenza di condizioni strutturali di monopolio (quali ad esempio
i rendimenti di scala crescenti) la necessità di sottoporre il settore in
questione alla tutela della regolamentazione.
L’ultimo paragrafo di questo capitolo si sofferma infine su alcuni
dei problemi posti dalla liberalizzazione di segmenti di mercato precedentemente organizzati in modo verticalmente integrato con l’impresa
monopolistica.
1.1
Il costo sociale del monopolio
1. Non è questo l’unico possibile esito del processo di entrata e competizione; rilevano infatti altri aspetti del contesto strategico in cui si muovono l’impresa operante e
il (potenziale) competitore. Qui ci basti dire che sotto condizioni ragionevoli la prospettiva di essere estromessi dal mercato induce le imprese a non entrare in un mercato
caratterizzato da rendimenti crescenti di scala, per cui il monopolista può godere di
extraprofitti senza indurre l’entrata di nuovi competitori.
L’avversione alla presenza di un monopolio è antica quanto la stessa disciplina economica. Essa dipende dal fatto che in un mercato monopolistico i consumatori sono esposti al potere di mercato del monopolista,
che può sfruttare la propria condizione di unico fornitore del bene per
alzare i prezzi in modo da ottenere a spese dei consumatori ricavi ben
superiori ai costi.
La fissazione di un prezzo elevato ha innanzi tutto un ovvio effetto di ordine redistributivo. Tuttavia gli economisti si sono per lo più
concentrati sulle conseguenze della presenza di un monopolio in termini di inefficienza allocativa, sul fatto cioè che il monopolio, al fine di
aumentare i profitti, produce una quantità subottimale del bene.
Riportiamo nella figura 1.1 l’equilibrio di mercato quando sul lato dell’offerta opera un monopolista; stiamo ipotizzando la presenza di
costi marginali costanti e costi fissi positivi, per cui i costi medi sono
decrescenti. Il monopolista fisserà il prezzo in modo da massimizzare i
profitti, cioè ad un livello pm tale da eguagliare costi e ricavi marginali.
A certe condizioni, che verranno discusse nel prossimo capitolo, i
40
41
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1.1
L’inefficienza del monopolio
FIGURA
pm
C/q
C0
pc
qm
R0
qc
D
q
guadagni e la perdita di benessere per i consumatori conseguente alla variazione di un prezzo ammettono una rappresentazione analitica e
grafica particolamente conveniente, in termini di surplus del consumatore. La variazione nel surplus aggregato dei consumatori, rappresentata
graficamente dall’area a sinistra della curva di domanda e compresa tra
il prezzo iniziale e il nuovo prezzo, costituisce una misura monetaria
della variazione di benessere aggregato corrispondente alla variazione
nei prezzi.
È dunque possibile confrontare guadagni e perdite del monopolista
e dei consumatori a seguito di una riduzione del prezzo dal suo livello di
monopolio pm ad un prezzo pc pari al costo marginale 2. Il monopolista
vedrà ridursi i suoi profitti di un ammontare pari all’area del rettangolo
tratteggiato in figura 3; l’incremento di surplus aggregato dei consumatori eccede la perdita di profitti per il monopolista, e dunque l’abbassamento del prezzo e il conseguente aumento della quantità scambiata determinano un saldo di benessere positivo. Il guadagno netto di benessere
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
è rappresentato dall’area del triangolo ombreggiato nella figura 4. Tale
area, indicata anche come perdita secca di benessere, viene presa come
misura dell’inefficienza del monopolio dal punto di vista allocativo.
È però opinione consolidata tra gli economisti che, pur prescindendo
da considerazioni di ordine redistributivo, la perdita di benessere non
sia semplicemente data dall’area del triangolo che rappresenta la perdita
secca di benessere, cioè quella derivante dal fatto che il bene è prodotto
in una quantità subottimale. Limitarsi all’aspetto allocativo comporta
infatti che si trascurino due ordini di questioni:
– il fatto che la forma di mercato può influire sugli incentivi al perseguimento dell’efficienza “interna” dell’impresa, per cui l’assenza di
concorrenza potrebbe fornire al management stimoli insufficienti alla
minimizzazione dei costi di produzione;
– il fatto che l’acquisizione e il mantenimento della posizione di monopolio possono comportare per l’impresa il sostenimento di costi
aggiuntivi, puramente finalizzati a garantire il conseguimento della
rendita connessa alla posizione monopolistica (attività rent seeking o,
con un’altra terminologia, attività “di influenza”) che, non traducendosi se non in parte in creazione di valore per l’economia, configurano
uno spreco di risorse.
Dal primo punto di vista, è opinione comune che la condizione di
monopolista abbia l’effetto di allentare la pressione al contenimento
dei costi. Per dirla con le parole di J. Hicks (1935), «the best of all
monopoly profits is quiet life». L’assenza di competitori che possano
minacciare la sopravvivenza dell’impresa rende meno pressante per il
management la necessità di produrre la quantità offerta al minimo costo. L’impresa presenterà in questo caso un certo grado di inefficienza “tecnica” e/o di inefficienza “manageriale”, sarà cioè spinta a utilizzare una quantità eccessiva di fattori produttivi, o ad utilizzare tali
fattori in una combinazione non efficiente. In entrambi i casi, i costi
realizzati saranno superiori a quelli minimi, e il profitto non sarà massimizzato: il fatto che non vi sia massimizzazione del profitto richiede
2. Come è noto, che il prezzo sia pari al costo marginale è condizione per il raggiungimento dell’efficienza allocativa, di un’allocazione cioè che non consente ulteriori
miglioramenti dal punto di vista paretiano. È naturale dunque prendere tale allocazione
come punto di riferimento per una valutazione della perdita di efficienza del monopolio.
3. Ipotizzando una funzione di costo “affine” C = cq + F con costi marginali costanti
c e costi fissi F, la riduzione nei profitti è pari a (pm − pc )q.
4. In alternativa, potremmo attribuire un “peso” differente a queste due variazioni,
per tenere conto di considerazioni di ordine redistributivo sulla diversa meritorietà di
una variazione di benessere dei percettori di profitto e dei consumatori. Sarà questa
la soluzione (peraltro comune nella teoria della regolamentazione) che adotteremo a
partire dal prossimo capitolo. È chiaro che, attribuendo ai profitti un peso α < 1, anche
una quota 1−α dell’area del rettangolo tratteggiato in figura è da considerare una perdita
dal punto di vista sociale.
42
43
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
naturalmente che si abbandoni una rappresentazione ingenua del comportamento dell’impresa, per cui si assume che questa sia assimilabile
ad un imprenditore/manager che prende tutte le decisioni e percepisce
il profitto da esse derivante, e si tenga conto della complessità interna dell’organizzazione-impresa, e in particolare della separazione della
proprietà (e quindi percezione degli utili) dal controllo sulle decisioni.
L’ipotesi di separazione tra proprietà e controllo sembra particolarmente plausibile nel caso dei monopoli nei settori di pubblica utilità, dove
spesso la proprietà è diffusa tra una miriade di piccoli azionisti (quando
si tratta di un monopolio privato, magari organizzato nella forma della
public company), o dove essa è pubblica.
Nella trattazione che segue non affronteremo il tema, pure di enorme importanza, del rapporto tra forma di mercato ed efficienza interna
dell’impresa. Tale argomento richiederebbe una descrizione esplicita
dei rapporti di agenzia esistenti all’interno dell’impresa monopolista,
e di come la pressione concorrenziale possa modificare la natura del
rapporto tra principali (gli azionisti) e agenti (i manager). Una spiegazione a nostro avviso convincente della relazione positiva tra grado
di concorrenzialità ed efficienza interna è quella per cui la presenza di
competitori, in quanto questi forniscono un termine di paragone per la
performance dell’impresa, rende più agevole per la proprietà una valutazione dell’operato del proprio management (Hart, 1983). Si tratta
di un argomento analogo a quello che verrà introdotto nel capitolo 3,
quando prenderemo in considerazione soltanto la questione degli effetti della forma del “contratto regolatorio” sugli incentivi interni all’efficienza e tratteremo della cosiddetta regolamentazione per comparazione
(yardstick competition) 5.
La rilevanza delle attività rent seeking è oggetto di ampio dibattito
tra gli economisti. E’ innegabile che i vantaggi in termini di profitto
derivanti dalla posizione di monopolio possono incentivare comportamenti che vanno dallo sviluppo di brevetti capaci di garantire un diritto
5. Un’altra questione, questa rilevante anche laddove si consideri il solo caso di mercati operanti in condizioni di monopolio, è quella del diverso grado di efficienza interna
riscontrabile nei monopoli pubblici rispetto a quelli privati, che a sua volta è un capitolo del più vasto tema delle relazioni tra assetto proprietario ed efficienza. La scelta di
non trattare questo argomento in modo esplicito nella presente versione del volume è
meno giustificabile e costituisce in qualche modo un’incompletezza. Valga come giustificazione la considerazione che a nostro parere sul versante dell’efficienza interna le
analogie tra monopolio privato soggetto a regolamentazione e monopolio pubblico sono
di gran lunga più rilevanti delle differenze.
esclusivo alla produzione di un certo bene, al sostenimento delle spese legali per difendersi dagli interventi dell’autorità antitrust, all’avvio
di campagne pubblicitarie tese ad influenzare l’opinione pubblica, fino al finanziamento di attività di lobbying presso il governo o il Parlamento, se ciò contribuisce al mantenimento o all’acquisizione di potere
monopolistico.
Quale valutazione dare di queste attività da un punto di vista sociale?
Una prospettiva in qualche modo estrema è quella di Posner (1975), che
afferma che nello svolgimento delle attività rent-seeking l’intero profitto
del monopolista viene dissipato, e quindi tale profitto va considerato a
tutti gli effetti come un costo dal punto di vista sociale, al pari della
perdita secca di benessere dovuta all’inefficienza allocativa.
Tale conclusione poggia su due assunzioni. La prima è che l’ammontare delle spese sostenute dall’impresa per acquisire la posizione di
monopolio eguagli in valore atteso il profitto che essa otterrà una volta raggiunta tale posizione: ciò che Posner ha in mente è qualcosa di
simile ad un meccanismo d’asta, in cui chi offre di più in termini di
attività rent-seeking si aggiudica la rendita derivante dalla posizione di
monopolista; se i concorrenti a tale posizione partono da una situazione
simmetrica, si aggiudicherà la rendita quello che è disposto a spendere
un ammontare di risorse pari al premio atteso dalla competizione.
In secondo luogo, nella prospettiva di Posner, la somma spesa per
ottenere la posizione di monopolio deve essere considerata per intero
uno spreco dal punto di vista sociale; sarebbe questo il caso se tale spesa non comportasse per alcuno degli agenti presenti nell’economia un
aumento del benessere, e si risolvesse in pura dissipazione, “combustione” di risorse produttive. Il caso opposto, in cui la spesa non configurerebbe uno spreco, si avrebbe se effettivamente il governo mettesse
all’asta il diritto ad operare come monopolista, visto che in questo caso il pagamento effettuato dal monopolista si configurerebbe come un
trasferimento dal monopolista al governo, e renderebbe quelle risorse
interamente disponibili per usi produttivi di valore.
È probabile che la realtà sia una via di mezzo tra i due estremi, e che
le attività rent-seeking costituiscano solo in misura parziale una dissipazione di risorse (Tirole, 1988, sez. 1.3). Sebbene resti un esercizio piuttosto arduo determinare in quale misura ciò avvenga, è comunque importante sottolineare che vi sono buone ragioni per ritenere che, almeno
in parte, il profitto del monopolista debba essere considerato per effetto
delle attività rent-seeking come un costo dal punto di vista sociale.
44
45
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
Accanto ai vari tipi di costo evidenziati, che fanno riferimento tutti a forme di inefficienza statica, va almeno menzionato l’aspetto della
cosiddetta efficienza dinamica, ovvero degli effetti che la forma di mercato esercita sull’incentivo ad innovare. Da questo punto di vista, le
posizioni sono per la verità articolate.
Un punto di vista celebre è quello di Schumpeter, secondo cui l’innovazione verrebbe favorita da assetti di mercato caratterizzati da maggiore concentrazione (Schumpeter, 1967[1943]). Tale tesi è stata interpretata come l’identificazione di un nesso positivo ora tra dimensione
delle imprese e innovazione, ora tra potere di mercato dell’impresa e
innovazione.
Dal primo punto di vista, si può sostenere che almeno certe innovazioni tecnologiche che richiedono cospicui investimenti in ricerca e
sviluppo sono solitamente realizzate all’interno di laboratori e centri di
ricerca che solo imprese di grosse dimensioni possono permettersi di
mantenere (ciò a causa della presenza di rendimenti di scala crescenti
nell’attività di ricerca e sviluppo e dell’elevata incertezza sui risultati,
meglio fronteggiata da chi può permettersi una diversificazione del rischio). È pur vero che non tutte le innovazioni che hanno effetti rilevanti
in termini di risparmio dei costi o introduzione di nuovi prodotti richiedono tali strutture dedicate alla ricerca, ma è innegabile che le grosse
imprese abbiano storicamente svolto un ruolo di traino dello sviluppo
tecnologico in campi quali ad esempio le telecomunicazioni.
Dal punto di vista della relazione tra potere di mercato e incentivo
all’innovazione, l’idea è che solo in presenza di un certo potere di mercato l’innovatore sarà in grado di sfruttare il vantaggio di costo ottenuto
a seguito di un’innovazione, e percepire dunque un guadagno sufficiente
a compensarlo per lo sforzo sostenuto. L’impresa operante in un mercato concorrenziale vedrà infatti scomparire rapidamente la rendita acquisita a seguito dell’imitazione dei concorrenti, e dunque gli incentivi ad
innovare sono minimi.
A questa tesi si sono opposti diversi studiosi. In primo luogo Arrow
(1962) ha esaminato la relazione tra struttura di mercato e innovazione
confrontando in un modello formale il livello di investimento finalizzato
all’innovazione in un assetto monopolistico e in un assetto concorrenziale, con quello, socialmente ottimale, che sarebbe scelto da un pianificatore benevolente. La sua conclusione è che, sebbene sia concorrenza
che monopolio finiscano per indurre un livello socialmente subottimale
di investimento in innovazione (ciò accade in quanto di parte dei bene-
fici dell’innovazione si appropriano i consumatori, e quindi tali benefici
sono considerati “esterni” dalle imprese), il livello che dobbiamo aspettarci in un mercato monopolistico è inferiore a quello di un mercato
concorrenziale: il motivo è che l’innovazione presenta un valore maggiore per l’impresa operante in condizioni di concorrenza, dal momento
che, come viene dimostrato, l’incremento nei profitti ad essa conseguente è maggiore se il punto di partenza è una condizione di profitti nulli
rispetto al caso in cui l’impresa, in quanto monopolista, già percepiva
un profitto positivo 6.
Che l’incentivo ad innovare non sia inferiore nel caso concorrenziale
rispetto a quello del monopolio è del resto la conclusione raggiunta anche da Dasgupta e Stiglitz (1980a, 1980b). Altri studi teorici hanno per
la verità rivelato una notevole dipendenza delle conclusioni raggiunte
dalle ipotesi assunte alla base dei modelli di interazione strategica adottati per analizzare il problema (Loury, 1979; Lee e Wilde, 1980; Gilbert
e Newbery, 1982), e sebbene la tesi schumpeteriana non sembri trovare
molti sostenitori, non si può dire che gli economisti siano concordi sulla relazione tra struttura di mercato e innovazione. Neanche le ricerche
empiriche danno conclusioni inequivocabili, per quanto diversi studi siano concordi nell’evidenziare l’esistenza di una relazione a U rovesciata,
già ipotizzata da Mansfield et al. (1977), tra grado di concentrazione
industriale e progresso tecnico (Levin e Reiss, 1988).
L’aspetto del rapporto tra inefficienza dinamica e struttura di mercato non sarà ulteriormente approfondito nel corso di questo volume.
Nei capitoli successivi, quando si evidenzieranno le proprietà dal punto di vista normativo di diverse soluzioni regolatorie, avremo presente
soprattutto le dimensioni dell’efficienza allocativa e dell’efficienza interna, nonché quella degli effetti redistributivi delle politiche adottate.
Si tratta di una limitazione del campo di analisi giustificata almeno in
parte dal fatto che buona parte della modellistica di cui ci occuperemo
prende per data la struttura monopolistica del settore, e peraltro coerente
con quello che è stato l’orientamento prevalente della ricerca economica
in tema di regolamentazione.
Dovrebbe però risultare chiaro da quanto detto che un’analisi dei
costi e benefici della regolamentazione non può ritenersi completa se
non prende considerazione aspetti quali quello dell’efficienza dinamica
46
47
6. Il modello è presentato in una forma semplificata ma efficace in Tirole (1988,
sez. 10.1)
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
e della vulnerabilità (o viceversa la robustezza) che i diversi meccanismi presentano di fronte alle attività rent-seeking intraprese dai diversi
gruppi di interesse colpiti o avvantaggiati dal processo regolatorio.
Osserviamo che la condizione di subadditività può essere verificata
per un certo valore q e non esserlo in corrispondenza di un altro valore q0 . Un’industria si dice monopolio naturale se la funzione di costo
risulta essere subadditiva sull’intero intervallo rilevante di valori dell’output. Dunque, la presenza di un monopolio naturale dipende da caratteristiche della tecnologia, ma anche la dimensione della domanda
conta, in quanto definisce l’intervallo rilevante dei valori dell’output.
È utile chiarire innanzitutto il rapporto esistente tra subadditività
della funzione di costo ed economie di scala. Distingueremo a questo
proposito tra impresa monoprodotto e multiprodotto.
1.2
La nozione di monopolio naturale
1.2.1. Definizione
Si parla di monopolio naturale in quei casi in cui, per effetto di ragioni
“strutturali” (quali le caratteristiche tecnologiche in relazione alla dimensione del mercato), è possibile concludere che il numero ottimale di
imprese sul mercato è uno, e dunque la condizione di monopolio non è
puramente effetto di un vincolo di tipo legale.
Tradizionalmente, la presenza di un monopolio naturale è stata associata alla presenza di economie di scala (o rendimenti crescenti di
scala). Il concetto di economie di scala mal si presta però ad un’analisi
del caso, la cui rilevanza è andata aumentando nel tempo, delle imprese
multiprodotto, che rende necessaria la considerazione degli effetti sui
costi di produzione non solo di una variazione nella scala produttiva,
ma anche del mix di beni o servizi offerti. Inoltre, come vedremo, anche nel caso monoprodotto, la presenza di economie di scala non esaurisce i casi in cui il costo complessivo per l’industria viene minimizzato
concentrando la produzione in capo ad una singola impresa.
La definizione di monopolio naturale fa riferimento alla subadditività della funzione di costo.
Una funzione di costo C(q) relativa alla produzione di un vettore di
quantità di output q = (q1 , . . . , qn ) è strettamente subadditiva in q se
K
[1.1]
C(q) <
∑ C(qk )
k=1
1.2.2. Subadditività ed economie di scala nel caso monoprodotto
Nel caso monoprodotto, la presenza di rendimenti crescenti di scala è
condizione sufficiente ma non necessaria perché la funzione di costo sia
subadditiva per ogni valore di q.
Infatti, la presenza di rendimenti di scala crescenti implica costi
medi decrescenti 7, cioè
[1.2]
C(q0 )/q0 < C(q00 )/q00
quando q0 > q00 .
Dunque, presa una qualsiasi K-pla di vettori di quantità (q1 , . . . , qK ) tale
che ∑k qk = q con qk < q per ogni k, abbiamo
[1.3]
C(qk )/qk > C(q)/q
per ogni k
7. La tecnologia presenta rendimenti crescenti se la funzione di produzione soddisfa
f (ax) > a f (x) per ogni a > 1, dove x è il vettore degli input; presi q = f (x) e q0 > q,
sia x̂ il vettore di input che realizza il minimo costo per produrre q, cioè quel vettore
tale che C(q) = x̂w, dove w è il vettore dei prezzi degli input; sia inoltre a quel valore
tale che ax̂ sia in grado di produrre q0 , cioè q0 = f (ax̂). La condizione sulla funzione di
produzione mi assicura che q0 > aq, cioè a < q0 /q; sarà perciò
per ogni possibile K-upla (K > 1) di vettori n-dimensionali (q1 , . . . , qK )
tali che ∑Kk=1 qk = q. Cioè, il costo di produrre in un’unica impresa il
vettore q è inferiore al costo di produzione complessivo che si avrebbe
considerando una qualsiasi suddivisione del vettore stesso tra un numero K di imprese distinte. Si noti che nella formula [1.1] si assume
implicitamente che la funzione di costo sia la stessa per tutte le imprese
operanti nel settore.
da cui deriviamo che C(q0 )/q0 < C(q)/q. Mentre la presenza di economie di scala
implica sempre costi decrescenti, si noti che non è sempre verificata la relazione inversa:
perché costi decrescenti implichino rendimenti crescenti di scala è infatti necessario che
la funzione di produzione sia crescente nei fattori produttivi e che gli isoquanti siano
convessi (due condizioni che peraltro si suppongono normalmente soddisfatte).
48
49
C(q0 ) ≤ ax̂w = aC(q) <
q0
C(q)
q
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1.2
Subadditività e costi decrescenti
FIGURA
D1
D2
CM
q
2
q
CM [2]
q
q̂
da cui, moltiplicando entrambi i membri di ciascuna disequazione per
qk e sommando otteniamo la condizione di subadditività
[1.4]
∑ C(qk ) > ∑(qk /q)C(q) = C(q).
k
k
Ci si può rendere conto facilmente del fatto che la subadditività non implichi necessariamente costi decrescenti per ogni valore di q dal grafico
della figura 1.2.
Poniamo che la tecnologia presenti elevati costi fissi e costi marginali crescenti, in modo che la funzione di costo totale sia convessa e
il costo marginale abbia la classica forma ad U. Quando la funzione di
costo è convessa in q, il minimo costo per produrre una certa quantità
di output in un’industria in cui operano 2 imprese con identica struttura
dei costi si ha quando l’output è suddiviso in parti uguali tra le imprese 8,
cioè quando ciascuna produce una quantità q/2. Detto C[2] (q) il minimo
costo complessivamente sostenuto da due imprese per produrre la quantità q, sarà C[2] (q) = 2 ·C(q/2): le due curve di costo medio, quella della
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
singola impresa (CM) e quella per l’industria con due imprese (CM [2] ),
avranno dunque un andamento come quello riportato nel grafico.
Ne deriva che la funzione di costo C(q) è subadditiva solo per valori
di q inferiori a q̂, mentre per valori superiori il costo è inferiore quando
l’output è prodotto da due imprese 9. Il punto importante è che la funzione è subadditiva anche in una parte del tratto crescente della funzione
di costo.
Notiamo ancora che, sebbene la subadditività della funzione di costo in corrispondenza di un certo q abbia a che vedere esclusivamente
con le condizioni tecnologiche, l’esistenza di un monopolio naturale dipende anche dalla dimensione del mercato, e dunque dalla domanda:
sempre con riferimento alla figura 1.2, quando la domanda è rappresentata dalla curva D1 siamo di fronte ad un monopolio naturale, visto che
i valori “rilevanti” di q sono tutti ricompresi nel tratto in cui la funzione
di costo è subadditiva; ma ciò cesserebbe di essere vero se la domanda
aumentasse fino a D2 .
1.2.3. Subadditività ed economie di scala nel caso multiprodotto
Nel caso multiprodotto, la presenza di economia di scala non è condizione né necessaria né sufficiente per la subadditività, e quindi per
l’esistenza di un monopolio naturale.
Va chiarito preliminarmente che, se nel caso monoprodotto non c’è
alcuna ambiguità nel definire le economie di scala con riferimento al
rapporto tra aumento proporzionale della quantità degli input e aumento
della quantità di output, nel caso multiprodotto l’aumento della quantità di output può avvenire in molti modi, a seconda di come varia la
proporzione tra le componenti del vettore q.
Nel contesto di un’impresa multiprodotto, la nozione di economie
di scala considera un aumento nella stessa proporzione delle quantità di
output dell’impresa. Tale nozione è inoltre comunemente definita con riferimento alla funzione di costo piuttosto che alla tecnologia produttiva.
Si definisce elasticità di scala la quantità
[1.5]
σ (q) = C(q)/ ∑ qi
i
∂C
∂qi
8. Infatti, se q0 < q00 sono le quantità prodotte dalle due imprese, dalla convessità di
C(q) segue che 2C( 12 q0 + 12 q00 ) < C(q0 ) +C(q00 ); conviene cioè che la produzione totale
sia ripartita equamente tra le imprese; la conclusione è facilmente estendibile al caso di
k imprese.
9. La subadditività richiede che la produzione mediante una sola impresa comporti
costi inferiori rispetto alla produzione con n imprese, n ≥ 2; è chiaro però che, nel
contesto esaminato, ciò che vale per due imprese vale a fortiori pre tre o più imprese.
50
51
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
che rappresenta l’inverso dell’elasticità del costo totale rispetto ad una
variazione dell’output che lasci invariate le proporzioni dei beni prodotti 10. Diremo che la tecnologia esibisce rendimenti crescenti di scala in q
se σ (q) > 1, cioè se, a fronte di un aumento proporzionale delle quantità
prodotte, il costo totale varia meno che proporzionalmente rispetto a tale
aumento. Nel caso monoprodotto l’elasticità di scala si riduce a C/qC0 ,
grandezza che è maggiore di 1 se e solo se il costo marginale è inferiore
al costo medio, cioè se in q la curva di costo medio è decrescente.
Al fine di mostrare che la presenza di economie di scala non è condizione sufficiente per garantire la subadditività, consideriamo la seguente
funzione di costo relativa alla produzione congiunta di due output:
Il fatto che in presenza di produzione congiunta le economie di scala
non siano sufficienti per garantire la subadditività non ci sorprende se
consideriamo che quest’ultima nozione ricomprende, oltre agli effetti in
termini di variazioni di costo di aumenti della scala produttiva, quelli
derivanti dalla diversificazione della produzione, dovuti alla presenza di
complementarità nel processo produttivo di beni o servizi distinti.
Ricorrendo ad una rappresentazione grafica, si consideri lo spazio
dei beni prodotti (nel caso di due soli beni) nella figura 1.3. La presenza
di economie di scala ha a che vedere con l’andamento della funzione di
costo in q a seguito di un movimento nella direzione del raggio uscente
dall’origine. Essa ci assicura che la produzione separata dei vettori qA
e qB , caratterizzati dallo stesso rapporto tra le quantità prodotte dei diversi beni, comporta un costo superiore a quello che si ha producendo
congiuntamente il vettore somma q; ciò non toglie che i costi potrebbero essere inferiori se i due beni fossero prodotti separatamente, se cioè
avessimo due imprese che producono rispettivamente qC e qD , tali che
qC + qD = q.
La nozione rilevante a questo proposito è quella di economie di diversificazione (o di varietà, in inglese economies of scope). Nel caso di
due soli beni, si hanno economie di diversificazione in (q1 , q2 ) se vale 11
[1.6]
C(q1 , q2 ) = qa1 + qa2 + (q1 q2 )b
0<a<1
1
0<b< .
2
Il valore assunto da σ (q), visto che qi ∂C/∂qi = aqai + b(q1 q2 )b , sarà
[1.7]
qa + qa2 + (q1 q2 )b
C(q1 , q2 )
= a1
q1 ∂C/∂q1 + q2 ∂C/∂q2 aq1 + aqa2 + 2b(q1 q2 )b
che è superiore a 1 stanti le ipotesi fatte sui valori di a e b: dunque i
rendimenti sono crescenti per qualsiasi valore di q.
Osserviamo però che la funzione di costo non è subadditiva: consideriamo infatti il caso in cui vi siano due imprese che si specializzano
nella produzione dei due beni; il costo complessivo risulta essere
[1.8]
C(q1 , 0) +C(0, q2 ) = qa1 + qa2 < C(q1 , q2 ).
La funzione di costo è tale da comportare maggiori costi nel caso in
cui la produzione tra i due beni abbia luogo congiuntamente: possiamo
pensare ad un’esternalità negativa tra le due linee di produzione nel caso
di produzione congiunta.
[1.9]
C(q1 , 0) +C(0, q2 ) > C(q1 , q2 ).
È chiaro perciò che il problema con il controesempio rappresentato dalla
[1.6] è che in quel caso la funzione di costo, pur presentando economie
di scala (costi decrescenti), esibiva diseconomie di diversificazione.
11. Nel caso generale di produzione congiunta di n beni, si dice che una funzione
di costo presenta economie di diversificazione in q se, data una qualsiasi partizione
{T1 , . . . , Ts } dell’insieme degli indici N ≡ (1, 2, . . . , n) tale che s > 1, Ti 6= ? per ogni i,
si ha
s
∑ C(qT ) > C(q)
i
10. L’elasticità di costo rappresenta l’elasticità di C(tq) rispetto a t (dove t è uno scalare) calcolata in t = 1; essa misura cioè l’entità (in termini di variazione proporzionale)
dell’aumento del costo totale a seguito di una variazione nella stessa proporzione delle
quantità di output. Abbiamo
¯
∂C
d logC(tq) ¯¯
= ∑ qi
/C(q).
¯
dt
∂qi
t=1
i
.
52
i=1
dove qTi è un vettore che ha componente j-esima uguale alla corrispondente componente di q se j ∈ Ti , e uguale a zero altrimenti (si verifichi che nel caso particolare in
cui n = 2 la definizione si riduce alla [1.9]). In presenza di economie di diversificazione, concentrare la produzione del vettore di output q in una singola impresa ha un costo
inferiore rispetto ad ogni suddivisione ortogonale del vettore stesso tra più imprese, laddove con la subadditività il costo deve essere inferiore rispetto a qualsiasi suddivisione
di tale vettore.
53
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1.3
Economie di scala e di diversificazione
FIGURA
q2
qC
q
qA
qB
qD
q1
Detto questo, un risultato in qualche modo sorprendente è che la presenza contemporanea di economie di scala ed economie di diversificazione non è ancora sufficiente a garantire la subadditività della funzione di costo 12. Per avere una condizione sufficiente per la subadditività è necessario che una di queste due proprietà sia opportunamente
rafforzata.
Introduciamo a tal fine la nozione di costo incrementale: il costo
incrementale per il prodotto 1 è il costo aggiuntivo che il monopolista
deve sostenere per produrre la quantità q1 quando già produce la quantità
q2 del bene 2, ovvero
[1.10]
IC1 (q1 , q2 ) = C(q1 , q2 ) −C(0, q2 ).
Se il costo incrementale per il prodotto 1 decresce al crescere di q2 , per
cui la produzione di 1 è meno onerosa se già il monopolista è impegnato
nella produzione di 2, diremo che la tecnologia presenta complementarità di costo tra i due beni.
Il costo medio incrementale è pari a IC1 (q1 , q2 )/q1 . Il fatto che il
costo medio incrementale per il prodotto 1 sia decrescente rispetto a q1
indica la presenza di economie di scala specifiche a quel prodotto, e
costituisce una condizione più forte rispetto alla semplice presenza di
economie di scala. Continuando a far riferimento alla figura 1.3, stiamo in questo caso valutando l’andamento della funzione di costo in q
quando ci si muove parallelamente all’asse q1 .
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
È possibile dimostrare che 13: costi medi incrementali decrescenti per valori inferiori o uguali a q e per ogni prodotto i ed economie di diversificazione in q costituiscono condizione sufficiente per la
subadditività della funzione di costo in q.
Se la presenza di costi medi incrementali decrescenti comporta infatti che la produzione del bene i sia effettuata nell’ambito di una singola
impresa, le economie di diversificazione garantiscono che vi sia convenienza a produrre congiuntamente i diversi prodotti che compongono il
vettore q.
In conclusione, possiamo affermare che l’ampliamento dell’analisi
al caso multiprodotto rende parziale e insufficiente il tradizionale riferimento alla nozione di rendimenti di scala, e rende necessaria la considerazione complessiva dei rapporti di complementarità nella produzione
dell’intera gamma di beni e servizi offerti dal monopolista.
1.3
Sostenibilità del monopolio naturale
Quando un monopolio è soggetto a regolamentazione perde parzialmente o totalmente il controllo sui prezzi applicati, che sono decisi dal regolamentatore. A questa perdita di autonomia si accompagna normalmente la “protezione” del monopolista dalla concorrenza: viene infatti
solitamente imposta una qualche forma di barriera legale all’entrata nel
mercato servito dal monopolista regolamentato. È giustificabile una tale
“protezione”?
È evidente che controllo dei prezzi e regolamentazione dell’entrata
sono aspetti tra loro strettamente connessi: la fissazione di prezzi generosamente altipotrebbe rendere profittevole l’entrata di competitori sul
mercato (o su un sottoinsieme dei mercati serviti dal monopolista).
Il fatto che l’industria sia un monopolio naturale, che cioè un’impresa che produce in condizioni di monopolio sia in grado di servire la
domanda minimizzando i costi a livello di industria, sembrerebbe però
sufficiente a garantire che vi sia sempre la possibilità di trovare un vettore di prezzi abbastanza bassi da scoraggiare l’entrata. Infatti, un entrante
non sarebbe mai in grado di produrre a costi inferiori a quelli sostenu-
12. Un controesempio che illustra questo punto si può trovare in Panzar (1989, p. 26).
13. La dimostrazione si trova in Baumol, Panzar e Willig (1982, pp. 176-7). Per una
versione semplificata relativa al caso di due soli beni si veda Panzar (1989, p. 28). La
condizione sufficiente richiede in realtà soltanto economie deboli di diversificazione;
basta cioè che la [1.9] sia soddisfatta con il segno ≥.
54
55
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
ti dal monopolista, e dunque di offrire prezzi più vantaggiosi e lucrare
profitti positivi.
Se questo è vero, il fatto che vi sia convenienza ad entrare può significare o che il monopolio non è la forma di mercato più efficiente (non
siamo cioè in presenza di un monopolio naturale), o che i prezzi sono
stati fissati ad un livello troppo elevato. In un mercato caratterizzato
da condizioni di monopolio naturale, non si giustificherebbe cioè l’imposizione di alcuna barriera legale. Su questa linea di argomentazione,
citiamo ad esempio la posizione espressa da Kahn (1971, trad. nostra):
«Se un monopolio naturale produce e fissa il prezzo in modo efficiente,
non c’è alcun bisogno di impedire l’entrata di nuovi competitori: questa
è economicamente non necessaria e non avrà comunque luogo».
Ma potremmo andare anche oltre: il rischio di entrata sul mercato,
lungi dal minacciare l’efficienza, costituirebbe un elemento disciplinante per il monopolista, tale da rendere superflua o quantomeno meno utile
anche l’attività di controllo dei prezzi esercitata del regolamentatore. La
cosiddetta “concorrenza potenziale” potrebbe avere, nel caso del monopolio, un effetto analogo a quello esercitato dalla concorrenza di mercato
in termini di spinta al contenimento del prezzo.
Un esame completo del problema dell’entrata è in realtà alquanto
complesso, in quanto diventano cruciali la descrizione della reazione
del monopolista all’entrata del competitore, le aspettative di questi, e
dunque l’intero contesto strategico (in termini di strategie disponibili,
capacità di rendere credibile la minaccia di una reazione ostile ecc.) in
cui operano monopolista ed entrante. A questo proposito, l’analisi è
certamente semplificata dall’ipotesi che la capacità di reazione del monopolista all’entrata del competitore sia limitata al punto che il primo
non è in grado di reagire prontamente variando i prezzi, e che quindi sia
fondata l’aspettativa che i prezzi praticati in precedenza dal monopolista restino in vigore anche successivamente all’entrata. Tale ipotesi, se è
certamente estrema e poco realistica in un regime di libera fissazione dei
prezzi da parte delle imprese, non è priva di valore descrittivo quando
analizziamo il caso di un monopolista soggetto a regolamentazione dei
prezzi, e quindi fortemente vincolato nella scelta dei prezzi da applicare.
Una configurazione di prezzi in grado di rendere non profittevole
l’entrata anche nel caso in cui, qualora l’entrata avesse effettivamente
luogo, i prezzi restassero invariati è detta configurazione sostenibile. In
questo paragrafo ci proponiamo di studiare le condizioni che una configurazione di prezzi deve soddisfare per essere sostenibile. Come vedre-
mo, il caso più rilevante in cui una configurazione di prezzi applicati da
un monopolista potrebbe non essere sostenibile è quello in cui vincoli
esterni, di tipo equitativo o politico, giustificano l’imposizione di sussidi incrociati tra diversi mercati serviti da un monopolista. Il messaggio
principale che possiamo trarre dall’analisi che segue è che la necessità
di imporre barriere legali all’entrata dipende in modo cruciale dal fatto
che la configurazione dei prezzi desiderabile dal punto di vista sociale
nella valutazione del regolatore sia anche sostenibile.
Un risultato rilevante, almeno sul piano teorico, è che vi sono casi
in cui la struttura dei costi e la domanda sono tali da non ammettere
alcuna configurazione di prezzo sostenibile. In queste circostanze, semplicemente, un pieno sfruttamento dei vantaggi di costo derivanti dalla
produzione in condizioni di monopolio non è compatibile con la libertà
di entrata. La posizione di Kahn, per quanto a prima vista possa sembrare persuasiva, risulta dunque non avere portata generale: il fatto che
l’industria sia un monopolio naturale non basta a garantire l’esistenza di
un vettore di prezzi in grado di rendere superflua una regolamentazione
dell’entrata.
Il paragrafo si conclude con un riferimento alla teoria dei mercati
contendibili, che individua un insieme di condizioni stanti le quali una
configurazione sostenibile può emergere spontaneamente come equilibrio di mercato anche in assenza di una regolamentazione dei prezzi del
monopolista.
Conviene definire innanzitutto la nozione di configurazione di mercato
fattibile. Considerato un insieme di n mercati, una configurazione industriale di m imprese che producono su tali mercati utilizzando la stessa
tecnologia, e quindi fronteggiando gli stessi costi, è descritta dai vettori q1 , . . . , qm delle quantità di output prodotti da ciascuna impresa e dal
vettore dei prezzi p (dove ciascun qi e p sono vettori n-dimensionali)
a cui tali output sono forniti. Chiaramente, tale definizione comprende
anche il caso di monopolio, in cui m = 1. Una configurazione industriale è detta fattibile se c’è equilibrio tra domanda e offerta, cioè se
i
∑m
i=1 q = Q(p), dove Q(p) è il vettore delle quantità domandate dei beni ai prezzi p, e se per ogni impresa i il profitto è non negativo, cioè
∑nk=1 pk qik −C(qi ) ≥ 0. Un equilibrio di mercato, in cui si ha equilibrio
tra domanda e offerta e in cui le imprese non vanno incontro a perdite,
non può che essere una configurazione industriale fattibile.
56
57
1.3.1. Sostenibilità: definizioni e proprietà
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
Si dice che una configurazione industriale fattibile è anche sostenibile se, presi un qualsiasi vettore di prezzi p̂ tale che p̂ ≤ p e un vettore
di quantità q̂ tale che q̂ ≤ Q( p̂), si ha ∑nk=1 p̂k q̂k − C(q̂) ≤ 0. In altre
parole, non c’è vettore di prezzi inferiori a quelli vigenti a cui un’impresa potrebbe offrire un output su quel mercato e ottenere profitti non
negativi.
Se una configurazione industriale è sostenibile, anche nell’ipotesi in
cui le imprese operanti lasciassero invariato il prezzo a seguito dell’entrata di una nuova impresa, non vi sarebbe alcun incentivo ad entrare
nel mercato da parte di un’impresa con la stessa tecnologia di quelle
operanti.
Riportiamo di seguito alcune condizioni necessarie per la sostenibilità. Si tratta di condizioni relative al vantaggio in termini di costi di cui un monopolista deve godere, nonché a comportamenti che
il monopolista deve adottare, perché i prezzi applicati possano essere
sostenibili.
Innanzitutto: (1) una configurazione sostenibile in un mercato monopolistico esiste solo se questo è un monopolio naturale. Strettamente collegata, ma più esplicita nell’evidenziare i vantaggi derivanti dall’adozione di una configurazione sostenibile, è la condizione seguente:
(2) in corrispondenza di una configurazione sostenibile l’output deve
essere prodotto al minimo costo complessivo per l’industria. La condizione che segue evidenzia l’incompatibilità tra sostenibilità e sfruttamento del potere di mercato da parte del monopolista: (3) se la configurazione è sostenibile, i profitti del monopolista sono pari a zero.
(3) Se il monopolista ottenesse in corrispondenza di pm profitti positivi, cioè se
pm qm −C(qm ) > 0, vi sarebbe un vettore p < pm tale che pqm −C(qm ) > 0.
Dimostrazione. (1) Una configurazione sostenibile in un’industria monopolistica
è tale che pm qm ≥ C(ym ). Se l’industria non fosse un monopolio naturale, cioè se
la funzione di costo non fosse subadditiva, allora vi sarebbe un insieme di vettori
di output qi tali che ∑i qi = qm e ∑i C(qi ) < C(qm ). Ma in questo caso avremmo
[1.11]
∑i pm qi = pm qm ≥ C(qm ) > ∑i C(qi )
Il fatto che in una configurazione sostenibile il costo di produzione debba essere il minimo possibile a livello di industria, e che contemporaneamente il monopolista non possa trarre alcun vantaggio in termini di
profitto dal fatto di essere l’unico produttore, suggerisce che l’adozione di tale configurazione possa essere particolarmente conveniente per
i consumatori. L’obiettivo di limitare il potere del monopolista e quello di rendere non attraente l’entrata di competitori in un mercato in cui
il numero efficiente di imprese è uno, lungi dall’essere tra loro contraddittori, sembrano dunque essere del tutto compatibili, posto che il
regolamentatore imponga al monopolista una configurazione di prezzi
sostenibile.
Un ulteriore requisito di una configurazione sostenibile è che il prezzo di ciascun bene non può essere inferiore al relativo costo marginale.
Se il prezzo fosse inferiore al costo marginale, la fornitura dell’unità
marginale del bene sarebbe un’operazione in perdita per il monopolista,
perdita che potrebbe essere evitata da un eventuale competitore 14. Si
noti che tale ragionamento relativo all’unità marginale del bene potrebbe essere esteso, nel caso multiprodotto, alla considerazione di un’intera
linea produttiva: in una configurazione sostenibile, il fatto di servire l’nesimo mercato per un monopolista che serve gli altri n − 1 mercati non
deve costituire un’operazione in perdita. Questa osservazione ci porta a
considerare la nozione di sussidio incrociato; ad essa rivolgiamo dunque
la nostra attenzione.
1.3.2. Sussidi incrociati e “scrematura”
Nel caso multiprodotto, la non sostenibilità di una configurazione di
prezzi è strettamente collegata alla presenza di sussidi incrociati tra diversi beni o servizi offerti dal monopolista. Il monopolista, per sussidiare la fornitura di un bene, deve infatti ottenere dalla fornitura di
qualche altro bene ricavi in eccesso sui costi; ma in questo caso, vi sarà
e dunque ∑i (pm qi −C(qi )) > 0, per cui pm qk > C(qk ) per almeno un k; dunque,
un’impresa potrebbe entrare sul mercato, offrire la quantità qk ad un prezzo non
superiore a pm , e ottenere cosı̀ profitti positivi.
(2) Sia CI (q) la funzione che esprime il minimo costo per l’industria. Dunque
CI (qm ) rappresenta il minimo costo che è necessario sostenere per produrre qm .
Se il costo sostenuto dal monopolio per produrre qm non coincide con il minimo
costo, deve essere pm qm − CI (qm ) > 0, dal momento che pm qm − C(qm ) ≥ 0
e CI (qm ) ≤ C(qm ). Dunque, esisterà un prezzo p < pm in grado di garantire
profitti positivi ad un’impresa che decidesse di entrare sul mercato servito dal
monopolista.
14. Se un monopolista ottenesse profitti nulli applicando un prezzo per il bene i minore del costo marginale, allora un entrante potrebbe replicare esattamente le scelte del
monopolista relativamente ai prezzi e alle quantità q j con j 6= i, e produrre una quantità leggermente inferiore del bene i. In questo modo, otterrebbe profitti strettamente
positivi.
58
59
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
un sottoinsieme dei mercati serviti (quelli per cui i ricavi eccedono i costi) in cui un competitore potrebbe trovare attraente l’entrata, avendo la
possibilità di sottrarre consumatori al monopolista e conseguire profitti
positivi.
Si consideri il seguente esempio. Si deve organizzare un servizio di
trasporto che colleghi tre citta 15. Indichiamo i tre “mercati” individuati
dai possibili collegamenti tra le tre città con le sigle a b e c. Ipotizzando
che la domanda di trasporto relativa a ciascuna di queste linee sia rigida,
per cui la quantità fornita è fissa e normalizzata a 1, indichiamo con C(a)
il costo che un’impresa deve sopportare per soddisfare la domanda sulla
linea a, C(ab) il costo di garantire insieme il servizio sulle linee a e b, e
cosı̀ via per quanto riguarda ogni possibile combinazione delle tre linee;
C(abc) sarà il costo sostenuto da un’impresa che fornisce il servizio su
tutte e tre i collegamenti. Si consideri ora la seguente struttura di costi:
Non sarebbe invece sostenibile una struttura tariffaria che fissasse un
prezzo troppo basso per i servizi forniti su uno dei tre mercati, finanziandone la fornitura con una tariffa più elevata negli altri due mercati;
non sarebbe ad esempio possibile fissare pa < 6, dal momento che per
pareggiare il bilancio dovremmo avere pb + pc > 18, in violazione della condizione [1.13]. In questo caso, il monopolista effettuerebbe un
sussidio incrociato a vantaggio degli utenti sul mercato a.
Al fine di arrivare ad una definizione di sussidio incrociato, conviene
riformulare il nostro esempio in termini più generali 16.
Continuando a riferirci al caso di domanda completamente inelastica, indichiamo con S un sottoinsieme dell’insieme N dei mercati serviti dal monopolista. Sia C(S) il minimo costo che l’impresa sostiene per servire tale sottoinsieme; tale costo è denominato stand-alone
cost, in quanto rappresenta il costo che è necessario sostenere per servire
separatamente il sottoinsieme S.
Diremo che le tariffe applicate dal monopolista sono immuni da
sussidi incrociati (subsidy-free) se è rispettata la condizione
[1.12]
C(a) = C(b) = C(c) = 10
C(ab) = C(bc) = C(ac) = 18
C(abc) = 24.
La funzione di costo è chiaramente subadditiva, in quanto il modo meno
costoso per servire i tre mercati è tramite un unico produttore, con un
costo complessivo pari a 24; si tratta dunque di un monopolio naturale.
Un insieme di tariffe sostenibili pa , pb e pc da applicare ai tre mercati deve coprire i costi, e nello stesso tempo non deve rendere conveniente
l’entrata di altri produttori che, fornendo il servizio su uno o più mercati
ad un prezzo inferiore, riescano a realizzare profitti positivi.
Le tariffe devono dunque soddisfare le seguenti condizioni:
[1.13]
pa ≤ 10
pb ≤ 10
pc ≤ 10
pa + pb ≤ 18
pa + pc ≤ 18
pb + pc ≤ 18
pa + pb + pc = 24.
Allo stesso tempo, i prezzi devono risultare accettabili per gli utenti;
detta cioè Vi la disponibilità a pagare complessiva per gli utenti del mercato i-esimo, deve essere pi ≤ Vi per ciascun i. Ipotizzando che sia ad
esempio Va = Vb = Vc = 11, una configurazione di prezzi sostenibile è
[1.14]
pa = pb = pc = 8.
15. L’esempio che segue è tratto da Berg e Tschirhart (1988, cap. 7)
60
[1.15]
∑ pi ≤ C(S)
i∈S
per ogni S ⊆ N, cioè se su nessun sottoinsieme dei mercati i ricavi
eccedono il costo stand-alone, e se vale
[1.16]
∑ pi = C(N)
i∈N
cioè se i prezzi sono tali da garantire il pareggio di bilancio al monopolista che serve l’intero insieme N di mercati 17. La [1.15] garantisce
infatti che su nessun sottoinsieme di mercati i consumatori siano chiamati a pagare un prezzo complessivo superiore a quanto dovrebbero pagare se un’impresa offrisse separatamente a quel sottoinsieme i servizi
domandati 18.
16. Quanto segue si ispira alla trattazione di Brown e Sibley (1986, par. 3.4).
17. Si noti che ∑i∈N pi coincide con i ricavi a patto che per ciascun consumatore il prezzo sia inferiore alla disponibilità a pagare, e dunque stiamo assumendo implicitamente
che anche questa condizione sia soddisfatta.
18. I primi studi sistematici sul problema dei sussidi incrociati risalgono ai primi anni
settanta, e furono effettuati da parte di economisti che lavoravano per i Bell Laboratories, legati alla AT&T. Tra i contributi pionieristici sull’argomento è d’obbligo citare il
lavoro di Faulhaber (1975).
61
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
Denominato con N/S l’insieme dei mercati in N che non sono parte
dell’insieme S, abbiamo
vettore dei prezzi p, pur garantendo ∑i∈N pi = C(N), non soddisferebbe la [1.15] (o equivalentemente la [1.18]) per un sottoinsieme S ⊂ N;
avremmo perciò
[1.17]
∑ pi = ∑
i∈N
i∈N/S
pi + ∑ pi = C(N),
i∈S
[1.19]
∑ pi > C(S).
i∈S
per cui la condizione [1.15] relativa al sottinsieme N/S è equivalente a
[1.18]
∑ pi ≥ C(N) −C(N/S);
i∈S
il membro di destra della disequazione rappresenta il costo incrementale
che deve essere sostenuto per servire il sottoinsieme di mercati S quando il monopolista già serve il sottoinsieme N/S. Dunque, si ha assenza
di sussidi incrociati quando su nessun sottoinsieme di mercati i consumatori pagano per il bene un prezzo inferiore al costo incrementale
relativo allo stesso sottoinsieme, ovvero quando per nessun sottoinsieme dei mercati i ricavi siano inferiori ai costi incrementali. Nel caso
di un monopolista che rispetta il proprio vincolo di bilancio, la definizione in termini di costo stand-alone [1.15] e quella in termini di costo
incrementale [1.18] sono del tutto equivalenti.
Se vale la condizione di assenza di sussidi incrociati, non sarà possibile servire separatamente alcun sottoinsieme di mercati S senza andare incontro a perdite. L’insieme dei prezzi p1 , p2 , . . . , pN che soddisfano [1.15] e [1.16], nonché la condizione aggiuntiva che il beneficio che ciascun consumatore trae dal consumo del bene ecceda il prezzo da lui pagato costituiscono in questo contesto anche l’insieme delle
configurazioni di prezzo sostenibili 19.
In generale, l’assenza di sussidi incrociati è condizione necessaria per la sostenibilità 20. Infatti, in presenza di sussidi incrociati, il
Quindi, un’impresa che entrasse sul mercato offrendo di soddisfare soltanto la domanda per il sottoinsieme S di servizi potrebbe fissare un
vettore di prezzi che le garantisce profitti strettamente positivi. L’assenza di sussidi incrociati è un’ulteriore proprietà da aggiungere a quelle
elencate nel par. 1.3.1.
La presenza di sussidi incrociati fornisce un incentivo all’entrata di
nuove imprese. Il nuovo entrante sarà in grado di “scremare” il mercato,
concentrando la propria attività nei settori in cui il monopolista applica
un prezzo che eccede lo stand-alone cost 21. Gli esempi anche in questo
senso abbondano: si pensi ad una compagnia aerea nazionale che applica tariffe uniformi o correlate alla distanza; in generale, tale compagnia
userà i ricavi sulle tratte più affollate e remunerative (es. Milano-Roma)
per finanziare il costo delle tratte periferiche, che vengono servite in
perdita dato lo scarso numero di passeggeri. La necessità di fissare sulle
tratte a maggior traffico una tariffa più elevata rende appetibile l’entrata di nuovi competitori che concentrino la propria offerta soltanto su di
esse. La compagnia nazionale perderà in questo modo quote di mercato
sulle tratte più remunerative, continuando a dover servire le tratte periferiche. Un ulteriore esempio è quello del settore della telefonia fissa: per
lungo tempo il servizio telefonico locale è stato sussidiato attraverso le
tariffe applicate sulle comunicazioni a lunga distanza; o ancora, si pensi
all’erogazione di energia elettrica in zone di montagna.
Una conseguenza diretta di quanto detto è che un regolamentatore che decidesse di imporre al monopolista l’applicazione di prezzi che
comportano un sussidio incrociato tra i diversi mercati forniti deve anche preoccuparsi di proteggere il monopolista dalla concorrenza, erigendo una barriera legale all’entrata nei mercati in questione.
19. Il problema è analizzabile entro il quadro concettuale della teoria dei giochi cooperativi: l’insieme dei consumatori che acquistano servizi da una stessa impresa, in
quanto essi traggono mutuo vantaggio dal consumo per la presenza di costi medi decrescenti, può essere descritto come una coalizione; sono coalizioni l’insieme N (se tale
coalizione si realizza, il mercato è servito da un’unica impresa) e tutti i suoi sottoinsiemi. In quest’ottica, il rispetto delle condizioni evidenziate individua il core del gioco,
ovvero quella ripartizione dei guadagni derivanti dalla cooperazione che garantisce per
ogni sottoinsieme S degli individui coinvolti l’assenza di incentivi ad abbandonare la
coalizione N, e dunque la stabilità della configurazione di prezzi.
20. Le relazioni esistenti tra la condizione di assenza di sussidi incrociati, quella di
sostenibilità e alcune condizioni tra queste “intermedie”, quali quella di equità anonima
(anonymous equity), sono discusse in modo ampio da Faulhaber e Levinson (1981).
21. Il fenomeno della scrematura (cream skimming) è quasi equivalente a quello, trattato nel paragrafo precedente in un contesto monoprodotto, di bypass di un monopolista
da parte di un grosso acquirente. La differenza è che nel caso del bypass è l’acquirente
che prende l’iniziativa e provvede in proprio a rifornirsi del bene o servizio desiderato
(effettua cioè una integrazione verticale all’indietro). Il termine scrematura mette in
evidenza il fatto che nei casi descritti viene sottratta al monopolista la componente più
remunerativa del mercato, la “crema” appunto.
62
63
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
Riprendiamo l’esempio numerico dei collegamenti tra le tre città, e
supponiamo che, a causa del limitato numero di utenti sul collegamento
c, sia Vc = 5 (potrebbe trattarsi di collegamenti con una zona scarsamente popolata). In questo caso, una configurazione tariffaria in grado
di garantire il servizio su tutti e tre i collegamenti nonché il pareggio di
bilancio sarebbe la seguente:
[1.20]
pa = pb = 9, 5
pc = 5;
tale configurazione non sarebbe però sostenibile, in quanto richiederebbe che il collegamento c sia sussidiato a spese dei collegamenti a e b, i
cui utenti pagherebbero un prezzo che eccede lo stand-alone cost.
Si noti che, nell’esempio proposto, la fornitura del servizio sulle linee a e b non è remunerativa, e può essere messa in discussione sul piano
del benessere sociale, dal momento che il beneficio netto misurato come
differenza tra disponibilità complessiva a pagare e costi sostenuti è pari
a Va +Vb +Vc −C(abc) = 3 se tutte e tre i collegamenti sono effettuati,
mentre è Va +Vb −C(ab) = 4 se si rinuncia al collegamento c. Dunque,
la fornitura di c deve giustificarsi in base a ragioni redistributive o di
ordine politico, ma comunque diverse dallo stretto calcolo di benefici e
costi; una tipica motivazione è la volontà di fornire il servizio in questione in modo uniforme sul territorio. Se l’imposizione di sussidi incrociati
sia o meno uno strumento adeguato di redistribuzione è questione piuttosto controversa, che rimanda al ruolo degli obiettivi equitativi nella
scelta dell’ottima struttura tariffaria e alla scelta dell’ottima combinazioni di strumenti redistributivi; riprenderemo la questione nel corso del
capitolo 2.
1.3.3. Alcuni casi di non esistenza di una configurazione sostenibile
Se la presenza di sussidi incrociati è in molti casi il risultato di una scelta
imposta dal regolamentatore, vi sono circostanze in cui, data una certa
struttura di costi, ogni configurazione di prezzi che garantisce il pareggio
di bilancio del monopolista richiede la presenza di sussidi incrociati, e
dunque non esiste una configurazione di prezzi sostenibile.
Il punto può essere illustrato modificando ulteriormente l’esempio
numerico visto in precedenza, relativo alle tre linee di trasporto. Si
64
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
considerino i seguenti valori della funzione di costo:
[1.21]
C(a) = C(b) = 10
C(c) = 11
C(ab) = 17
C(bc) = C(ac) = 18
C(abc) = 27.
Possiamo calcolare il costo incrementale di ciascuna linea per un monopolista che serva tutte e tre le linee. Posto che IC(a) = C(abc)−C(bc) =
9, e analogamente IC(b) = 9 e IC(c) = 10, vediamo che la fissazione di
prezzi pari al costo incrementale comporta profitti positivi per il monopolista. La presenza di profitti positivi, in assenza di barriere all’entrata,
potrebbe spingere all’entrata nel mercato da parte di un competitore; in
altre parole, la soluzione che consiste nel fissare pa = pb = 9 e pc = 10
non è sostenibile, e non può quindi costituire un equilibrio in un mercato
contendibile.
Per scongiurare la minaccia di entrata, il monopolista potrebbe fissare i prezzi al livello pa = pb = pc = 9, in modo da annullare i profitti.
Neppure tale configurazione risulta essere però sostenibile: il nuovo entrante potrebbe infatti limitarsi a fornire il servizio sulle linee a e b; cosı̀
facendo sosterrebbe un costo complessivo pari a 17, e potrebbe dunque
fissare prezzi inferiori a 9 a ciascuna delle linee servite. Analogamente,
se il monopolista che serve tutte e tre le linee fissasse pa = pb = 8, 5 e
pc = 10, si esporrebbe alla concorrenza di un entrante che servisse congiuntamente i mercati a e c oppure b e c. Sembra non esserci dunque
via d’uscita; in effetti, nel caso considerato, pur essendo la funzione di
costo subadditiva, ed essendo perciò efficiente che l’insieme delle linee
sia servito da un’unica impresa, non c’è alcuna configurazione di prezzi
che sia sostenibile. Almeno per una delle linee il prezzo deve risultare
inferiore al costo incrementale.
Il caso considerato evidenzia che la subadditività della funzione di
costo, pur essendo condizione necessaria perché i prezzi applicati da
un monopolista possano costituire una configurazione sostenibile, non è
sufficiente a garantire che tale configurazione esista.
L’impossibilità di determinare una configurazione sostenibile può
manifestarsi anche nel caso monoprodotto: infatti, se la presenza di
economie di scala non è, come abbiamo visto, condizione necessaria
perché la funzione di costo sia subadditiva, la decrescenza dei costi medi su tutto l’intervallo di output rilevante è però condizione necessaria
per la sostenibilità.
65
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
FIGURA 1.4
Un caso di monopolio naturale non sostenibile
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
FIGURA 1.5
Un caso di bypass
d2
d
C/q
d3
d1
C/q
p2
p̄
p1
p̄
qm
q̄
q2
q1
q̄
Si consideri a questo proposito il caso illustrato nella figura 1.4, in cui
la funzione di costo è subadditiva in q̄. Nella circostanza illustrata, il
prezzo che minimizza i costi complessivi sotto il vincolo del pareggio
di bilancio è fissato al livello p̄, in corrispondenza del quale la curva
di costo medio incrocia la curva di domanda. Dato tale prezzo, però,
un’impresa concorrente potrebbe entrare sul mercato e soddisfare una
parte della domanda ad un prezzo inferiore ma pur sempre maggiore
del costo medio, lucrando in questo modo profitti positivi; alla prima
impresa, al prezzo originale p̄, non resterebbe che soddisfare la quota
residuale di domanda, producendo in perdita. La soluzione alternativa
che consiste nel fissare un prezzo in grado di scoraggiare l’entrata, quale ad esempio il prezzo che coincide con il livello minimo della curva
di costo medio, porterebbe d’altra parte all’impossibilità di soddisfare
l’intera domanda di mercato a quel prezzo, con conseguente necessità
di razionamento.
La situazione non è dissimile da quella vista nell’esempio precedente relativo al caso multiprodotto: la differenza è che qui l’entrante sottrae al monopolista parte del mercato, mentre in quel caso gli sottraeva
l’intera produzione su alcuni dei mercati serviti.
La questione dell’esistenza di una configurazione sostenibile assume evidentemente una grande importanza dal punto di vista del regolamentatore: vi sono casi in cui il monopolio naturale, pur essendo la
configurazione più efficiente per l’industria, non è in grado di sostenersi
senza una qualche forma di protezione. Può trovare perciò giustificazione l’istituzione di una barriera legale che garantisca al monopolista
il diritto ad operare in esclusiva sul mercato in questione. Si noti che
la limitazione dell’accesso all’entrata dovrebbe ricomprendere anche il
caso in cui qualcuno degli acquirenti provveda autonomamente alla produzione del servizio, “evitando” il monopolista (bypass). Gli esempi in
questo senso abbondano: una grande impresa può aggirare la rete telefonica locale stipulando un contratto direttamente con un fornitore di telecomunicazioni a lunga distanza; oppure può evitare di acquistare energia
elettrica dal monopolista provvedendo direttamente alla generazione del
proprio fabbisogno energetico.
Si prenda in considerazione il caso di un mercato in cui sul lato
domanda opera un consumatore di grandi dimensioni (es. un’impresa
industriale che domanda energia elettrica) assieme ad una pluralità di
piccoli consumatori. Nella figura 1.5 la domanda di energia dell’impresa
sia descritta dalla curva d1 , mentre la domanda aggregata degli utenti più
piccoli sia d2 . La domanda complessiva sul mercato sarà d3 .
Sul mercato opera un unico fornitore, che in corrispondenza di p̄
realizza profitti nulli e minimizza il costo di produzione per l’industria.
Se l’impresa industriale ha accesso alla stessa tecnologia del monopolista, e se può acquistare gli input necessari agli stessi prezzi (se le è
possibile in altre parole produrre energia agli stessi costi sostenuti dal
monopolista), essa può evidentemente risparmiare provvedendo diretta-
66
67
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
mente al proprio fabbisogno. L’impresa industriale potrà infatti ottenere
la quantità desiderata ad un costo p1 , inferiore al prezzo p̄ che pagava
al monopolista. Dovendo soddisfare solo il proprio fabbisogno, essa è
in grado di sfruttare appieno le economie di scala nella produzione di
energia.
Nel caso descritto, la possibilità di evitare il monopolista dà luogo
ad un incremento dei costi di produzione complessivi sostenuti a livello
di industria, e dunque è un esito non desiderabile. Coloro che risultano
svantaggiati sono i consumatori di minore dimensione, che continuano
ad acquistare il servizio dal monopolista e devono ora pagare un prezzo
p2 > p̄.
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
FIGURA 1.6
Esistenza di configurazioni di prezzo sostenibili
(a)
p2
A
A
C
[1.22]
−C(Q1 (p1 , p2 ), Q2 (p1 , p2 ))
π1 (p1 , p2 ) = p1 Q1 (p1 , p2 ) −C(Q1 (p1 , p2 ), 0)
π2 (p1 , p2 ) = p2 Q2 (p1 , p2 ) −C(0, Q2 (p1 , p2 )).
π2 ≥ 0
C
D
B
B
1.3.4. L’esistenza di configurazioni sostenibili: condizioni sufficienti
π12 (p1 , p2 ) = p1 Q1 (p1 , p2 ) + p2 Q2 (p1 , p2 ) +
π1 ≥ 0
π2 ≥ 0
D
La rilevanza empirica di situazioni come quelle descritte, in cui la struttura dei costi è tale da rendere impossibile l’esistenza di configurazioni
di prezzo sostenibili, è oggetto di discussione. Si può ritenere che non
siano molti i casi in cui ciò accade; e tuttavia le circostanze descritte restano del tutto plausibili. Diventa importante dunque una comprensione
più generale delle caratteristiche della funzione di costo e di domanda
da cui dipende l’esistenza di una configurazione sostenibile.
È utile a questo proposito il ricorso ad una rappresentazione diagrammatica. Si considerino una funzione di costo C(q1 , q2 ) e le funzioni di domanda Q1 (p1 , p2 ) e Q2 (p1 , p2 ) relative ai due beni; si noti che
ciascuna domanda dipende da entrambi i prezzi: si tiene cioè conto della possibilità che le domande siano interdipendenti. Possiamo calcolare
le funzioni di profitto (in funzione dei prezzi) nel caso di un’impresa
che produca entrambi i beni, e di due imprese che si specializzino nella
produzione del bene 1 o del bene 2. Abbiamo:
(b)
p2
π1 ≥ 0
p1
p1
(c)
p2
π1 ≥ 0
A
π2 ≥ 0
B
p1
Per evidenziare il ruolo giocato dalla presenza di effetti di complementarità e sostituibilità nella domanda, lo si confronti con il caso rappresentato dalla figura 1.6b, in cui le domande dei due beni siano tra loro
indipendenti, per cui π1 è indipendente da p2 e π2 è indipendente da p1 .
Le aree evidenziate vanno messe in rapporto con le coppie di prezzi
che garantiscono un profitto nullo ad un monopolista che serva entrambi
i mercati, cioè che soddisfano π12 (p1 , p2 ) = 0, e il cui luogo geometrico
è l’ovale al centro della figura. La curva AB rappresenta la porzione in
basso a sinistra dell’insieme di tali coppie 22. Lungo AB, solo i prez-
Se tracciamo sullo spazio dei prezzi le aree corrispondenti alle coppie
di prezzi che garantiscono la non negatività di ciascuna delle due funzioni π1 e π2 , otterremo qualcosa di simile al grafico della figura 1.6a.
22. Le altre combinazioni di prezzo che soddisfano la condizione di profitti nulli non
sono prese in considerazione in quanto, trovandosi a destra e in alto rispetto ai punti
68
69
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
zi rappresentati dai punti nell’intervallo CD costituiscono combinazioni
sostenibili, dal momento che, oltre a garantire profitti nulli al monopolista, non possono essere dominate da coppie di prezzi praticabili da
imprese che operino disgiuntamente sui due mercati.
Al contrario, i punti che si trovano ad esempio sull’intervallo AC
non corrispondono a combinazioni sostenibili, dal momento che se il
monopolista scegliesse una di queste combinazioni, un’impresa potrebbe entrare sul mercato offrendo il bene 2 ad un prezzo p2 inferiore a
quello praticato dal monopolista e lucrare profitti non negativi; in altre
parole, i punti su AC sono dominati da combinazioni di prezzo che si
trovano nell’area ombreggiata in cui π2 ≥ 0. La figura 1.6c descrive una
situazione in cui non esistono configurazioni di prezzo sostenibili.
Panzar e Willig (1977) hanno individuato una condizione sufficiente
per l’esistenza di una configurazione di prezzi sostenibile, applicabile al
caso di un monopolista che produca due beni. Risulterà in questo caso
sostenibile una coppia di prezzi p1 e p2 che, oltre a essere immune da
sussidi incrociati, soddisfi
·
¸
∂Q2 ∂C(q1 , q2 ) ∂C(0, q2 )
[1.23]
−
+
∂p2
∂q2
∂q2
·
¸
∂Q1 ∂C(q1 , q2 ) C(q1 , q2 ) −C(0, q2 )
+
−
≥0
∂p2
∂q1
q1
nonché la condizione speculare alla 1.23 in cui gli indici 1 e 2 sono invertiti. Tale condizione ci permette di evidenziare quali caratteristiche della tecnologia rendano più o meno probabile l’esistenza di
configurazioni sostenibili.
Il primo termine nella [1.23] rappresenta il prodotto tra l’effetto sulla
domanda di una variazione del prezzo del bene 2 (effetto generalmente
negativo) e la variazione nel costo incrementale relativo alla produzione
di q1 indotta da un aumento della produzione di q2 ; questa variazione, se
di segno negativo, indica la presenza di complementarità di costo nella
produzione dei due beni: un aumento della produzione di q2 determina
cioè una riduzione nel costo incrementale che l’impresa deve sostenere
per produrre anche q1 . Il secondo termine è invece il prodotto tra l’effetto di prezzo incrociato (positivo se q1 e q2 sono sostituti) e il tasso di
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
FIGURA 1.7
Protezione del monopolista dalla concorrenza potenziale
sı̀
Esiste una configurazione
sostenibile?
no
Si vogliono imporre sussidi
incrociati?
sı̀
no
La fissazione di prezzi
sostenibili rende superflua la
protezione del monopolista
dalla concorrenza
Si deve regolamentare e
proteggere il monopolista dalla
concorrenza
variazione del costo medio incrementale di q1 (negativo se la produzione
del bene q1 presenta rendimenti di scala) 23.
L’espressione [1.23] è interpretabile come l’effetto di una riduzione
di p2 sul vantaggio derivante dalla produzione congiunta dei due beni;
essa dunque misura la capacità del monopolista di fronteggiare l’entrata
di un’impresa che offra il solo bene 2. Una riduzione di p2 comporta un
aumento della quantità del bene q2 e (se i beni sono sostituti) una riduzione della quantità del bene q1 . Per il monopolista multiprodotto, che
produce anche q1 , abbiamo dunque due effetti di segno contrapposto: il
primo è l’effetto (positivo) derivante da un maggiore sfruttamento delle
complementarità di costo; il secondo è l’effetto (negativo) derivante dal
minore sfruttamento dei rendimenti di scala (misurato dalla variazione
nel costo medio incrementale). Se prevale il primo effetto, il fatto che i
due beni siano prodotti congiuntamente si rivela un vantaggio.
Nel caso di domande indipendenti, si ha ∂Q1 /∂p2 = 0, il secondo
termine si annulla, e l’unica condizione rilevante è quella relativa alla
presenza di complementarità di costo tra i due beni. Basta cioè che
sulla curva AB, sono “dominate” da combinazioni di prezzo che garantiscono profitti
strettamente positivi al monopolista, e dunque non potrebbero costituire combinazioni
sostenibili.
23. Ricordando che il costo medio incrementale è AIC(q1 ) = C(q1 , q2 ) −C(0, q2 )/q1 ,
il termine tra parentesi quadre coincide con la derivata di AIC(λ q1 ) rispetto a λ quando
λ = 1. Siamo cioè in presenza di economie di scala specifiche alla produzione del bene
1 (cfr. pagina 54).
70
71
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
un aumento della produzione di q2 determini una riduzione del costo
incrementale di q1 per garantirci l’esistenza di una configurazione di
prezzi sostenibile.
La teoria dei mercati contendibili è stata sviluppata alla fine degli anni
settanta ed è esposta nel celebre contributo di Baumol, Panzar e Willig
del 1982.
La nozione di mercato contendibile costituisce un punto di riferimento ideale, un caso limite in cui l’entrata potenziale di nuovi concorrenti impedisce a chi opera nel mercato di esercitare potere di mercato.
Il mercato in concorrenza perfetta, che prevede la presenza sul mercato di un numero elevato di imprese price taking, è un caso di mercato
contendibile, ma introducendo la nozione di contendibilità l’intenzione dichiarata è quella di disporre di un concetto più ampio, che può
applicarsi anche a mercati che sono monopoli naturali.
Una definizione di mercato contendibile si ottiene immediatamente a partire da quella di sostenibilità: è contendibile un mercato in cui
condizione necessaria perché una configurazione sia in equilibrio è che
essa sia sostenibile. In un mercato contendibile, una configurazione
non sostenibile non può essere un equilibrio; o ancora, configurazioni
non sostenibili possono essere equilibri di mercato solo in mercati non
contendibili. Al contrario, non sarà contendibile un mercato in cui la
presenza di barriere all’entrata rende possibile alle imprese operanti la
fissazione di prezzi che non coincidono con i minimi prezzi compatibili
con l’assenza di perdite.
Dunque, un mercato è contendibile solo quando le imprese operanti
non possono opporre ai concorrenti potenziali alcuna barriera strategica
o legale o di altro tipo, e l’unico modo di impedire l’entrata di questi è
quella di renderla non attraente fissando prezzi sostenibili. Un mercato
contendibile è un mercato in cui la forza della concorrenza potenziale
impedisce a chi vi opera l’esercizio del potere di mercato.
La conclusione che vi sono mercati che, indipendentemente dal numero di imprese che vi operano, soddisfano la definizione di contendibilità ci porterebbe ad estendere ben oltre quanto tradizionalmente accettato le conclusioni normalmente riservate ai soli mercati caratterizzati
da concorrenza perfetta in senso tradizionale, cioè da un numero elevato di imprese con comportamento atomistico; vale la pena di rimandare
in questa sede alle proprietà di una configurazione sostenibile esaminate nel par. 1.3.1, proprietà che diventano in un mercato contendibile
altrettanti attributi dell’equilibrio di mercato. Un mercato contendibile
è dunque un mercato che non ha bisogno di essere regolamentato, in
quanto è in grado di limitare spontaneamente il potere di mercato di chi
vi opera, di selezionare il numero ottimale di imprese ecc.
È essenziale però chiarire a quali condizioni possa essere garantita
la contendibilità di un mercato, anche al fine di comprendere la portata
pratica di tale teoria. Ebbene, le condizioni di contendibilità possono essere ricondotte a quelle che consentono ai potenziali entranti l’esercizio
di una concorrenza del tipo hit & run, ovvero la possibilità di entrare sul
mercato applicando un prezzo inferiore a quello applicato dall’impresa operante, ed uscirne prima che l’operante possa mettere in atto una
reazione che comporterebbe per l’entrante delle perdite; solo in questo caso essi avranno una reale convenienza ad entrare ogniqualvolta il
prezzo applicato dalle imprese operanti ecceda quello sostenibile.
La concorrenza hit & run richiede a sua volta le seguenti condizioni.
(a) I consumatori devono reagire instantaneamente alle variazioni di
prezzo, cosicché un nuovo entrante che propone un prezzo inferiore a quello vigente sia in grado di attrarre tutta la domanda che
desidera soddisfare.
(b) L’impresa entrante non deve sopportare costi non recuperabili (sunk
costs) per il fatto di entrare sul mercato; si hanno costi non recuperabili quando l’entrata nel settore in questione richiede l’effettuazione
di investimenti irreversibili, investimenti cioè che in caso di uscita
dal mercato andrebbero perduti. L’assenza di costi irrecuperabili
implica che non siano costose né l’entrata sul mercato né l’uscita
da esso; se l’uscita fosse costosa, la minaccia di entrata risulterebbe
chiaramente poco credibile.
(c) Deve essere credibile la congettura (detta à la Bertrand) che, almeno per un certo lasso di tempo, le imprese operanti non possano
72
73
In conclusione di questa analisi, possiamo affermare che la questione relativa alla necessità di “proteggere” un monopolio naturale regolamentato dalla concorrenza potenziale appare ben più articolata sia rispetto all’asserzione di Kahn riportata a pagina 56, sia rispetto alla pratica “tradizionale” di proteggere comunque e in ogni caso un monopolio
naturale dalla concorrenza. A questo proposito, nella figura 1.7 riportiamo in forma schematica alcune conclusioni che discendono da quanto
detto in questo paragrafo.
1.3.5. La teoria dei mercati contendibili
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
reagire all’entrata della nuova impresa abbassando il prezzo al di
sotto di quello da questa proposto.
Si noti che le condizioni (b) e (c) sono tra loro strettamente collegate, nel senso che il fatto che un investimento sia o meno recuperabile dipende dal periodo che ho a disposizione per ammortizzarne il
costo sostenuto; e questo a sua volta dipende dal tempo di reazione delle
imprese operanti, e quindi dal periodo in cui l’entrante può pensare di
lucrare profitti positivi.
Quanto sono plausibili queste condizioni? L’aspetto più dubbio riguarda l’ipotesi relativa al comportamento delle imprese operanti, dal
momento che si suppone che esse non possano rispondere prontamente
all’entrata di un nuovo concorrente con una riduzione del prezzo. E,
d’altra parte, in assenza di tale condizione non è più certo che un’impresa che eserciti il proprio potere di mercato sia minacciata dall’eventuale entrata di un competitore: se le imprese operanti reagiscono “velocemente” alla presenza del nuovo concorrente (dove “velocemente” va
inteso in senso relativo al tempo necessario a rendere recuperabile l’investimento dell’entrante), l’entrata porta con sé il costo di una guerra di
prezzo tra entrante e imprese operanti, in un mercato che non è sufficientemente ampio per consentire a tutti quanti di ottenere profitti non
negativi.
Di fatto, i casi in cui questa teoria è rilevante sembrano essere piuttosto limitati. Tra di essi, è sempre citato quello del settore del trasporto aereo civile: in questo caso infatti, se identifichiamo il mercato con
il servizio di trasporto tra due città, l’entrata di una nuova linea aerea
comporta costi irrecuperabili molto limitati, dal momento che è piuttosto agevole spostare un aereo in servizio su una certa tratta ad una tratta
diversa, cioè ad un diverso mercato (sono invece costi irrecuperabili i
servizi a terra). C’è un certo consenso tra gli economisti sul fatto che
l’importanza della teoria non sia da ricercare tanto nella sua applicabilità
a casi concreti, quanto nella sua capacità di fornirci un punto di riferimento astratto, un insieme di circostanze ideali che dovrebbero essere
soddisfatte perché la concorrenza potenziale possa esplicare in maniera perfetta il proprio effetto disciplinante sulle imprese operanti in un
mercato.
74
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
1.4
Concorrenza per il mercato attraverso un’asta
Il messaggio di fondo della teoria dei mercati contendibili è che il solo
fatto che la dimensione ottima del mercato lasci spazio all’operare di
una sola impresa non implica di per sé che tale impresa abbia la possibilità di esercitare il proprio potere di mercato. Il motivo è che, anche in
assenza di concorrenza nel mercato, può esercitare un effetto disciplinante la concorrenza dei competitori potenziali. Abbiamo visto che la
contendibilità, in quanto richiede condizioni molto forti per verificarsi,
costituisce in realtà un caso piuttosto raro. Normalmente, la concorrenza potenziale non è in grado di garantire “spontaneamente” che il
monopolista non eserciti il proprio potere di mercato.
Tuttavia, che la concorrenza “per” il mercato potesse costituire un
sostituto della concorrenza “nel” mercato, e che quindi il nesso esistente
tra monopolio naturale e regolamentazione fosse ben più complesso di
quanto presupposto dalla visione tradizionale, che individuava nella presenza di economie di scala una ragione sufficiente per un intervento regolatorio, era già stato sostenuto da Demsetz qualche anno prima (Demsetz, 1968). L’economista americano aveva sostenuto che dal semplice
fatto che economie di scala nella produzione comportino costi unitari
decrescenti in corrispondenza di quantità offerte crescenti non possa desumersi alcuna ovvia conclusione su quanto i prezzi pattuiti differiscano dai prezzi di concorrenza perfetta. Se un offerente potesse produrre
a costi minori rispetto a quelli di due o più concorrenti, esso potrebbe
aggiudicarsi l’intero mercato, ma per conquistare e mantenere tale posizione di monopolio dovrebbe offrire un prezzo inferiore a quello praticabile dai potenziali concorrenti, e dunque non sarebbe in condizioni di
sfruttare a proprio vantaggio la propria posizione di monopolio.
La teoria di Baumol, Panzar e Willig può essere vista come una risposta al problema posto da Demsetz, in quanto chiarisce che a certe
condizioni non c’è alcun nesso tra numero di imprese operanti e potere
di mercato. Ma l’articolo di Demsetz è importante anche perché suggerisce una possibile alternativa alla regolamentazione, applicabile anche
al caso in cui non valgano le condizioni per l’esistenza di un mercato contendibile. Tale soluzione è l’assegnazione del diritto ad operare su un mercato in condizioni di monopolio attraverso un appropriato
meccanismo d’asta.
Attraverso l’asta, il governo può rendere operativa la concorrenza tra
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MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
potenziali offerenti di un servizio la cui produzione presenta rendimenti
crescenti e quindi non lascia spazio a più di un produttore per volta.
Il governo dovrebbe assegnare il diritto a produrre un certo bene o
servizio all’impresa che si impegna a soddisfare interamente la domanda di mercato al prezzo più basso. Se vi sono almeno due concorrenti
tra loro simmetrici e se vi è assenza di collusione, si aggiudicherà l’asta
l’impresa che offre il minimo prezzo compatibile con profitti non negativi, il profitto per il vincitore sarà nullo e il bene sarà prodotto al minimo
costo medio compatibile con l’assenza di perdite per l’impresa (un esito analogo a quello che abbiamo visto caratterizzare una configurazione
industriale sostenibile nel caso di subadditività dei costi).
La proposta è certo interessante. Bisogna però tenere presente che
solo a certe condizioni una procedura d’asta può funzionare correttamente e garantire la minimizzazione dei costi. Procedendo in modo
schematico, individuiamo i seguenti ostacoli che potrebbero precludere
il raggiungimento dell’esito desiderato.
1. Asimmetria tra concorrenti all’asta. Se le imprese hanno una diversa struttura di costi, il meccanismo d’asta fa prevalere l’impresa con
costi inferiori; tale impresa si aggiudicherà però la concessione ad
un prezzo pari al minimo costo di produzione della seconda impresa
più efficiente, visto che a tale prezzo non avrà più concorrenti. Ciò
significa che l’impresa vincitrice otterrà profitti positivi e tanto maggiori quanto più grande è la differenza nei costi rispetto all’impresa
concorrente esclusa.
La simmetria può inoltre riguardare l’informazione disponibile: se le
imprese hanno informazioni diverse sulle condizioni di produzione, il
meccanismo d’asta può dare esiti non ottimali.
Inoltre, in presenza di incertezza sui costi o sulla domanda, l’asimmetria può riguardare il grado di tolleranza al rischio dei diversi concorrenti, per cui è disposta ad offrire un prezzo più basso non l’impresa
più efficiente, ma quella con minore avversione al rischio.
2. Collusione. La collusione ha per le aste lo stesso effetto che l’oligopolio collusivo ha per il mercato: le imprese concorrenti si accordano ed
evitano di farsi concorrenza, cosicché chi si aggiudica la concessione
riesce a farlo offrendo un prezzo più alto del minimo costo medio.
3. Investimenti non recuperabili. Anche in questo caso, come in quello
dei mercati contendibili, assume rilievo la presenza di investimenti
in beni capitali che non sono utilizzabili in settori diversi da quello
oggetto dell’asta.
Consideriamo infatti la circostanza in cui, l’impresa A, precedentemente concessionaria per la produzione del servizio, perde l’asta per
il rinnovo della concessione a vantaggio dell’impresa B. Che ne è
dei beni capitali finora utilizzati da A? Se essi non hanno un impiego
alternativo al di fuori del mercato, è ottimale che passino a B. Il problema diventa allora quello di attribuire un prezzo per tali beni, che
A dovrà ricevere da B; si tratta di un problema non banale, visto che
non esiste un valore di mercato per i beni in questione.
Se si lascia la determinazione del valore dei beni alla contrattazione tra A e B, i relativi costi di negoziazione potrebbero anche essere
molto elevati per entrambe le parti. Le imprese terranno conto della
prospettiva di sostenere questi costi nel formulare le loro offerte, e
potrebbe verificarsi il caso che B, benché più efficiente di A, formuli
al fine di coprire i costi di contrattazione un’offerta meno vantaggiosa
di A, cosicché la concessione resta all’impresa meno efficiente.
Una possibilità alternativa è quella di fissare d’autorità un prezzo predeterminato che l’impresa A ha diritto a ricevere per i propri beni
capitali; ma in questo caso, l’impresa A, stante la possibilità di essere
rimpiazzata da B, vedrebbe diminuire l’incentivo ad effettuare un investimento adeguato o ad effettuare la manutenzione necessaria agli
impianti.
Quanto detto contribuisce a spiegare perché in molti casi la soluzione preferita sia quella di lasciare al regolatore la proprietà cosı̀ come ogni decisione relativa agli investimenti necessari ad effettuare la
produzione, mettendo all’asta soltanto il diritto ad operare utilizzando
quelle attività.
4. Complessità del “contratto”. L’asta dovrebbe prevedere, oltre al prezzo di fornitura del bene, anche una descrizione quanto più possibile
precisa delle caratteristiche dello stesso. Altrimenti, una volta aggiudicatasi la concessione, l’impresa potrebbe produrre al prezzo pattuito ma tagliare sulla qualità. La definizione delle caratteristiche
qualitative del bene oggetto della concessione può essere in molti casi molto complessa, ed esporre la collettività all’opportunismo
postcontrattuale dell’impresa (Williamson, 1976).
Il problema è tanto più rilevante quanto più la concessione riguarda
un periodo lungo, in cui possono insorgere contingenze non previste
nel “contratto” iniziale (mutamenti delle condizioni produttive, delle
caratteristiche della domanda ecc.).
5. Mercato multiprodotto. Se nel caso monoprodotto è ovvio il criterio
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MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
di assegnazione della concessione (il vincitore dell’asta sarà l’impresa
che offre il prezzo più basso), ciò non è più vero quando abbiamo una
pluralità di beni, dal momento che un’impresa potrebbe offrire un
prezzo più alto di un’altra in un bene ma più basso per un altro bene.
In questo caso, è necessario stabilire una serie di pesi per i diversi
beni, in modo da rendere confrontabili offerte multidimensionali; ciò
può essere tutt’altro che semplice.
Specie alla luce di quanto detto a proposito del punto 4, ci sembra
più appropriato pensare al meccanismo d’asta come ad uno strumento complementare piuttosto che alternativo all’attività regolamentatoria.
L’asta può cioè essere il primo momento dell’attività di regolamentazione, quello in cui si assegna ad un privato la concessione ad operare su
un certo mercato; ciò non esclude che più il là, specie se il rinnovo della
concessione è distante nel tempo, possa aver luogo un’attività regolamentativa nei confronti del monopolista, che consenta di “governare”
il contratto fissato al momento della concessione in presenza di mutate
circostanze.
In conclusione, c’è un altro punto da sottolineare: l’esito dell’asta,
cosı̀ come della contendibilità di un mercato, è l’assenza di potere di
mercato e la fissazione di un prezzo che annulla i profitti del monopolista
costringendolo a fissare un prezzo pari al costo medio. Come risulterà
chiaro nel prossimo capitolo, in presenza di elevati costi fissi tale prezzo
non corrisponde ad una situazione di first best, ma solo ad un ottimo di
livello inferiore (second best) perché soggetto al vincolo del pareggio di
bilancio.
Il passato recente ha visto l’avvio di processi di liberalizzazione e apertura al mercato di settori precedentemente organizzati in forma di monopolio. Come avremo modo di osservare, ci si è progressivamente resi
conto che in molti casi non tutte le fasi del processo di produzione, tradizionalmente contradddistinto da un’accentuata integrazione verticale e
orizzontale, erano caratterizzate da condizioni di subadditività dei costi;
c’era cioè lo spazio per operare una disintegrazione verticale di quelle fasi della filiera produttiva in cui i costi fissi erano meno rilevanti, e
aprire tali fasi alla concorrenza.
A meno di radicali operazioni di smembramento dell’ex monopolista, tali processi hanno dato luogo, almeno inizialmente, ad assetti fortemente asimmetrici, in cui l’impresa preesistente ha una quota di mercato assai elevata e gode rispetto agli entranti di considerevoli vantaggi,
collegati al suo status precedente di fornitore unico.
Se da un lato l’avvio della liberalizzazione comporta una progressiva
riduzione dei compiti più tradizionali dell’autorità di regolamentazione,
quali ad esempio la fissazione diretta dei prezzi praticati dal monopolista, dall’altro richiede un aumento dell’impegno finalizzato a creare le
condizioni per una effettiva concorrenza. La complessità del compito
richiesto all’autorità ne risulta in molti casi accresciuta.
Ai fini della limitazione delle attività anticompetitive nel nuovo assetto concorrenziale, si pone un problema di scelta tra un approccio di
tipo “regolatorio”, orientato alla supervisione costante del settore e alla prevenzione di comportamenti anticompetitivi mediante restrizioni di
vario tipo alle strategie delle imprese operanti, e uno di tipo “antitrust”, in cui il coinvolgimento dell’operatore pubblico nel settore è meno
diretto e la deterrenza di comportamenti anticompetitivi è basata sulla
minaccia delle sanzioni (multe, risarcimento dei danneggiati ecc.) applicate qualora questi siano individuati. Il limite principale della logica
della prevenzione è la riduzione della discrezionalità dell’impresa regolata, che spesso si traduce in minore efficienza interna della stessa, mentre affidarsi alla legislazione antitrust ha come contropartita il rischio
di inadeguatezza, in termini di tempestività e competenza dell’autorità
preposta, del procedimento giurisdizionale.
I meriti relativi dei due approcci dipendono, oltre che dall’efficacia relativa delle istituzioni che ad essi corrispondono, dalla situazione del settore in termini di effettivo sviluppo della concorrenza. Nella
transizione da un regime monopolistico ad uno competitivo, l’approccio regolatorio appare più efficace, al prezzo di una maggiore intrusione
dell’autorità pubblica nei meccanismi del settore; quello antitrust si prospetta come superiore qualora si siano stabilite condizioni di simmetria
tra le imprese operanti nel settore.
Al fine di fornire una rapida rassegna degli interventi che potrebbero
di volta in volta essere richiesti al regolatore in relazione alla creazione
di condizioni di concorrenzialità, è utile richiamare alcune delle più comuni pratiche anticompetitive messe in atto in mercati monopolistici o
oligopolistici al fine di escludere l’entrata di concorrenti, incoraggiarne
l’uscita o limitarne in generale la crescita.
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1.5
Apertura alla concorrenza
di settori precedentemente monopolistici
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
Diremo che nel mercato considerato sussistono barriere all’entrata
se le imprese presenti nel mercato possono realizzare persistentemente profitti positivi senza provocare l’entrata di altre imprese nel settore
(Bain, 1956) 24. Barriere all’entrata possono essere create dall’autorità
di governo, tramite la previsione di restrizioni all’accesso su un mercato; possono dipendere da vantaggi assoluti di costo da parte delle imprese operanti, ovvero dalla presenza di costi che devono essere sostenuti
dagli entranti ma non dagli operanti; possono infine essere l’effetto di
comportamenti strategici messi in atto dalle imprese già operanti nel
settore. Si parla di comportamenti strategici nel caso di azioni che sono
intraprese non in quanto vantaggiose in sé, ma perché in grado di prevenire l’entrata nel mercato di competitori (si parla anche in questo caso
di vantaggio di “prima mossa”). È stato più volte messo in rilievo come
spesso sia difficile distinguere tra vantaggi assoluti di costo e vantaggi di
tipo strategico, dal momento che l’impresa esistente può mettere in atto
comportamenti (es. politiche di investimento o scelte tecnologiche) che
daranno luogo a condizioni strutturali favorevoli nei periodi successivi.
La distinzione acquista rilevanza dal momento che, nel caso di vantaggi derivanti da comportamenti anticompetitivi da parte dell’impresa
preesistente, l’eliminazione dell’asimmetria tra le imprese è senz’altro
vantaggiosa dal punto di vista sociale; il problema è semmai l’individuazione e l’eliminazione tempestiva di tali comportamenti. Quando invece
il vantaggio dell’impresa operante riflette differenze oggettive di costo
oppure le preferenze dei consumatori, la loro eliminazione comporta un
costo, in termini ad esempio di rinuncia a sfruttare economie di scala
o di apprendimento: in un mercato caratterizzato da condizioni di subadditività dei costi, indurre l’entrata sarebbe socialmente inefficiente.
Affinché l’eliminazione delle asimmetrie in questione sia desiderabile
occorre che la conseguente entrata dia luogo ad effetti desiderabili di
altra natura: un’argomentazione spesso addotta a sostegno dell’introduzione di concorrenza è che essa avrebbe effetti benefici sugli incentivi
all’efficienza interna, all’introduzione di nuovi servizi, e allo sviluppo
della qualità dei servizi esistenti, per cui l’eventuale duplicazione dei
costi fissi rispetto ad una situzione di monopolio sarebbe più che compensata dalla riduzione di altre componenti di costo o dall’aumento della
soddisfazione dei consumatori.
Strategie anticompetitive e ruolo del regolamentatore
Non è questa la sede per fornire una trattazione esaustiva sul tema delle
barriere all’entrata o in generale sulle strategie anticompetitive; di tali fenomeni ci interessa, come abbiamo detto, la rilevanza per l’attività
del regolamentatore nel contesto dell’apertura al mercato di settori precedentemente monopolistici, e a tale scopo ci limitiamo ad una rapida
rassegna 25.
Accesso ad input scarsi. Barriere all’entrata possono essere determinate da fattori strutturali, come l’accesso privilegiato per l’impresa preesistente a fattori produttivi scarsi. Un esempio, che fa riferimento al settore delle telecomunicazioni, è quello dallo spettro delle radiofrequenze
utilizzato nelle trasmissioni via etere. Il ruolo della regolamentazione è
in questo caso la ripartizione tra le imprese concorrenti dell’input scarso, in maniera compatibile con la struttura del settore desiderata, e il
controllo sull’eventuale successiva riallocazione di esso tra le imprese
presenti sul mercato, affinché il suo possesso non diventi uno strumento per esercitare potere di mercato 26. Il caso forse più interessante e
quantitativamente rilevante di assegnazione di un input scarso è stata
certamente l’assegnazione delle frequenze di telecomunicazione realizzata negli USA attorno alla metà degli anni novanta, che ha visto l’organizzazione di un’asta per l’assegnazione contestuale di più di 2.000
licenze 27. Nel settore elettrico un problema analogo sussiste rispetto ai
siti in cui è consentita la costruzione di impianti di generazione; nel caso
delle compagnie aeree, la risorsa scarsa è la disponibilità di slots negli
aeroporti.
Accesso ad infrastrutture condivise. Simile, ma forse ancora più complesso, è il ruolo del regolamentatore rispetto al problema della condivi-
24. È immediato constatare che in un mercato contendibile (cfr. par. 1.3.5) non si hanno
barriere all’entrate.
25. Rimandiamo, per una presentaazione più completa dell’argomento, alle ottime
trattazioni di Tirole (1988, cap. 8) e Gilbert (1989).
26. Un ulteriore obiettivo è l’assegnazione dell’input scarso alle imprese che ne
facciano l’uso migliore, ed eventualmente l’estrazione del surplus che ne viene
generato.
27. All’organizzazione dell’asta hanno collaborato attivamente, in qualità di consulenti
dell’autorità di regolamentazione e delle imprese concorrenti, un buon numero di studiosi della teoria dei giochi, e un sottoprodotto dell’asta stessa è stata la pubblicazione
di parecchi contributi teorici in tema di teoria delle aste. Per una rassegna introduttiva
dell’asta sulle frequenze dal punto di vista di due studiosi di teoria delle aste, si veda
McAfee e McMillan (1996)
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MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
sione da parte di nuovi operatori di impianti realizzati dal monopolista
preesistente. Tali impianti hanno per gli operatori le caratteristiche di
un bene pubblico. È questo il caso dei segmenti di rete locale specifici ai singoli utenti (local loop); delle condotte attraverso cui scorrono
i cavi (qualora la fornitura di servizi locali nella stessa area geografica
sia consentita a più imprese concorrenti); in alcuni casi, delle centrali
di commutazione di livello superiore, per il collegamento alla rete locale di più fornitori di servizi di lunga distanza 28. La determinazione
dei termini della condivisione attraverso trattative tra le parti interessate può risultare impossibile, o dar luogo ad esiti altamente inefficienti,
nella misura in cui l’impresa proprietaria degli impianti: (a) negando la
condivisione conserva una posizione di monopolio nella fornitura agli
utenti finali; (b) sfrutta la propria posizione di monopolista nella fornitura di accesso agli impianti condivisi, e imponendo prezzi elevati ad
un competitore più efficiente riesce ad appropriarsi dei profitti da questo
realizzati e/o a proteggere la propria quota sul mercato del bene finale (Salop e Sheffman, 1983, 1987). Le strategie anticompetitive basate
sull’innalzamento dei costi per i competitori hanno, rispetto a quelle
basate su guerre di prezzo, il vantaggio di non presentare problemi di
credibilità, in quanto sono profittevoli per l’impresa che le attua anche
se non inducono i competitori ad uscire dal mercato. Peraltro, l’incentivo a comportamenti di questo tipo, e dunque l’entità del corrispondente
problema regolatorio, dipende dalla struttura del settore: la simmetria in
termini di potere contrattuale nella negoziazione delle condizioni della
condivisione potrebbe essere garantita se ciascuna delle imprese fosse
proprietaria di una quota comparabile degli impianti da condividere.
Spesso, gli impianti la cui condivisione diventa efficiente a seguito
dell’introduzione della competizione sono stati progettati in contesti in
cui l’assetto monopolistico non era in discussione. Un loro utilizzo comune da parte di più imprese richiede quindi costi di adattamento che
dovranno essere sostenuti dagli entranti. Se il regolamentatore non è in
grado di sterilizzare completamente il vantaggio derivante a chi godeva
di una posizione di monopolio dal fatto di avere la proprietà della rete
fisica, la realizzazione di nuove reti o il potenziamento di quelle esistenti può essere l’occasione per attuare strategie di deterrenza dell’entrata.
In questo caso, un ulteriore ruolo del regolatore è quello di controllare che non siano (o non siano state) selezionale tecnologie che rendono
artificialmente costosa l’interconnessione da parte di competitori.
La necessità di condividere le infrastrutture, anche quando la loro duplicazione non è inefficiente, deriva dai tempi di realizzazione di
proprie infrastrutture da parte degli entranti, combinata alla necessità di
raggiungere un livello critico di copertura del territorio per operare sul
mercato. Si consideri ad esempio il caso di un grande utente di servizi di
telecomunicazione con filiali in varie città che decida di affidare ad un
fornitore diverso dall’impresa preesistente tutto il proprio traffico telefonico. Se la rete del nuovo fornitore non raggiunge una filiale, in assenza
di un accordo tra tale fornitore e quello preesistente, il traffico originato
da quella filiale dovrà essere “fornito” dall’impresa preesistente, a condizioni che l’utente dovrà negoziare con questa. Ciò preclude al nuovo
competitore la posizione di fornitore integrato di servizi di telecomunicazione, e consente all’impresa preesistente un maggiore esercizio di
potere di mercato. Fino a quando una sua propria rete non è adeguatamente sviluppata, l’entrante può espandere la propria quota di mercato
rivendendo capacità produttiva affittata dall’impresa preesistente (tale
pratica è detta resale). Nella regolamentazione del rapporto tra i due
fornitori, c’è inoltre il rischio che il controllo del potere di mercato del
proprietario della rete possa tradursi, qualora i prezzi di cessione della capacità fossero troppo bassi, nella concessione di rendite eccessive
agli entranti (la realizzazione di rendite attraverso la rivendita può infatti
disincentivare lo sviluppo di reti proprie da parte dei nuovi entrati).
28. Il termine bene pubblico non è del tutto proprio per il caso del local loop, che non
viene per la verità condiviso dai fornitori locali in competizione, ma viene utilizzato
da uno solo di essi per volta, e “trasferito” ad un altro se l’utente decide di cambiare
fornitore. Il termine è invece del tutto appropriato per le condotte, attraverso cui possono
passare cavi di più imprese, e per gli edifici, che possono ospitare attrezzature di più
imprese.
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Prezzi anticompetitivi. Una prima strategia anticompetitiva è basata
sull’applicazione di prezzi inferiori ai costi di fornitura con l’obiettivo di scoraggiare l’entrata o di indurre un competitore già operante ad
uscire dal mercato (si parla in questo caso più propriamente di prezzi
predatori) 29; le perdite iniziali dell’impresa che pratica tali prezzi saranno compensati dai profitti ottenuti successivamente, una volta che si
sia imposto un regime di monopolio e sia stata esclusa la minaccia di
entrata di nuovi competitori.
29. Si definisce correntemente “predatoria” una strategia attuata non perché profittevole
in sé, ma per i suoi effetti in termini di incentivo all’uscita dal mercato dei concorrenti.
Per un’analisi approfondita si vedano Tirole (1988, cap. 9) e Ordover e Saloner (1989).
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MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
Dal punto di vista teorico, è stato messo in dubbio che una tale strategia potesse risultare una minaccia credibile in grado di scoraggiare
effettivamente l’entrata; la teoria dei giochi ha però mostrato come l’attuazione di strategie, quali appunto l’applicazione di prezzi predatori,
miranti a consolidare una reputazione di “aggressività” da parte dell’impresa operante, possa risultare un meccanismo di deterrenza efficace in
un contesto strategico caratterizzato da informazione asimmetrica tra i
concorrenti (Milgrom e Roberts, 1982; Kreps e Wilson, 1982).
Alcuni strumenti regolatori utilizzati o proposti per prevenire le pratiche anticompetitive sono innanzitutto l’imposizione di livelli minimi
di prezzo (price floor) e la fissazione di durate di un periodo minimo di
validità delle riduzioni di prezzo.
Apprendimento ed inerzia. Un vantaggio relativo all’impresa preesistente può derivare anche dalla presenza di economie cosı̀ dette “di apprendimento” (learning by doing). L’idea è che ceteris paribus i costi
dell’impresa in ogni periodo dipendano negativamente dalla quantità totale prodotta nei periodi precedenti (almeno fino ad una certa soglia).
Questa ipotesi è alla base dell’argomento cosiddetto della infant industry, cioè della richiesta di una protezione almeno iniziale dell’entrante.
Dal lato della domanda, un’asimmetria in favore dell’impresa preesistente è dato dall’inerzia dei consumatori. Essa può derivare sia dall’abitudine alla fornitura da parte del fornitore preesistente, sia da costi
che gli utenti devono sostenere per cambiare fornitore, come ad esempio
il cambiamento del numero di telefono, critico sopra tutto per le utenze
d’affari.
Nel caso in cui l’impresa preesistente fornisca in condizioni di monopolio alcuni servizi, costi di cambiamento del fornitore possono essere indotti attraverso la creazione di complementarità tra il bene oggetto
di concorrenza e un bene fornito dalla stessa impresa in condizioni di
monopolio (bundling). L’autorità di regolamentazione può limitare questo tipo di pratiche introducendo restrizioni sui tipi di servizi che possono essere forniti dalla stessa impresa e limitazioni alla possibilità di
forzare l’acquisto congiunto di diversi servizi. Anche la fissazione dei
criteri di allocazione dei costi comuni può a questo proposito risultare
importante.
Investimenti irreversibili. La necessità di realizzare rilevanti investimenti irreversibili non costituisce di per sé una barriera all’entrata; essa può anzi disincentivare reazioni aggressive dell’impresa preesistente
nei confronti del nuovo entrato, in quanto rende credibile l’intenzione di
questi di non uscire dal mercato. Simmetricamente, tuttavia, l’irreversibilità degli investimenti dell’impresa presente nel mercato può rendere
credibile il suo impegno a reagire più aggressivamente in caso di entrata. Se ad esempio all’entrata seguisse competizione à la Cournot, e
l’investimento dell’impresa già presente nel mercato fosse reversibile,
il costo-opportunità del capitale sarebbe incluso nella funzione di costo marginale, e per ogni livello di produzione dell’entrante dovremmo
aspettarci un livello di produzione inferiore da parte dell’impresa preesistente rispetto al caso di costi non reversibili; in altre parole, un investimento irreversibile rende la competizione ex post più intensa, e quindi
l’entrata meno attraente (Dixit, 1980) 30. Effetti di questo tipo non sono specifici dei settori di pubblica utilità, e non sembrano prestarsi ad
essere controllati attraverso i consueti strumenti regolatori. Tuttavia,
se un elemento della strategia di deterrenza dell’entrata è costituito dal
mantenimento di un eccesso di capacità produttiva, la determinazione
da parte del regolamentatore delle condizioni per una cessione di (parte
di) tale capacità agli entranti può costituire un intervento socialmente
auspicabile 31.
Una volta stabilito che l’entrata nel mercato comporta dei benefici netti per la collettività (perché ad esempio gli effetti di incentivo dovuti alla concorrenza più che compensano il mancato sfruttamento delle
economie di scala), una possibilità per il regolamentatore, aggiuntiva
rispetto alla censura di pratiche anticompetitive da parte dell’impresa
operante, è quella di sostenere attivamente l’entrata di nuovi operatori
sul mercato 32.
Gli strumenti per il sostegno dell’entrata sono molteplici. In primo luogo, i sussidi monetari diretti agli entranti, che in pratica tutta-
30. Si veda anche l’esposizione di del cosiddetto modello di Stackelberg-Spence-Dixit
nel testo di Tirole (1988, par. 8.2).
31. Tuttavia, in assenza regolamentazione, la vendita di capacità dall’impresa preesistente all’entrante può sostenere accordi collusivi, se la riduzione della capacità produt-
tiva dell’impresa che la cede rende credibile il suo impegno a bassi livelli di produzione
(Krishnan e Roller, 1993).
32. Si consideri anche il già citato argomento della infant industry, per cui il nuovo
entrante avrebbe bisogno di protezione per superare la fase di apprendimento iniziale.
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Sostegno all’entrata
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
1. MONOPOLIO NATURALE E CONCORRENZA
via il regolatore non ha generalmente l’autorità di attuare (la possibilità
di erogare sussidi renderebbe il regolamentatore più esposto al rischio
di attività rent-seeking e potrebbe distorcere gli incentivi all’efficienza
interna dell’impresa beneficiata). In secondo luogo, la distorsione in
favore degli entranti dei prezzi praticati dall’impresa preesistente; alti
prezzi dei servizi finali, e bassi prezzi degli input ceduti dall’impresa
preesistente o condivisi con i competitori incentivano l’entrata 33. In terzo luogo, obblighi imposti esclusivamente all’impresa preesistente in
relazione alla funzione di servizio pubblico possono incentivare l’entrata. Tali obblighi, come quella di fornire il servizio a chiunque ne faccia
richiesta a prezzi che non necessariamente coprono i costi, si traducono in costi per l’impresa preesistente che non devono essere sostenuti
dagli entranti, se questi sono esentati da analoghi vincoli. Inoltre, alla
distorsione nel livello medio dei prezzi necessaria per la copertura dei
costi corrispondenti agli obblighi di servizio pubblico, si accompagnano distorsioni nella struttura dei prezzi, tipicamente per il perseguimento
dell’uniformità tariffaria, che rendono conveniente la “scrematura” degli utenti più profittevoli da parte degli entranti. Il fatto che gli obblighi
di servizio pubblico possano incentivare l’entrata non implica tuttavia
che essi costituiscano uno strumento efficiente a questo scopo: l’aspetto
più rilevante al riguardo è anzi che l’entrata può rendere impossibili i
sussidi incrociati tra categorie di utenti (vedi par. 1.3.2), e quindi il perseguimento delle finalità di servizio pubblico, per cui la liberalizzazione
deve essere accompagnata dall’introduzione di un opportuno schema di
tasse e sussidi.
La protezione dell’entrante può avvenire inoltre attraverso la creazione di barriere all’entrata di ulteriori competitori. Questa strategia è
stata utilizzata nel settore delle telecomunicazioni nel Regno Unito dall’avvio della liberalizzazione e per circa un decennio. Essa presenta due
limiti principali: impedisce che la concorrenza selezioni il fornitore più
efficiente tra i potenziali entranti; favorisce la collusione tra il fornitore
preesistente e quello entrante.
Infine, il regolatore può ridurre significativamente i vantaggi dell’impresa preesistente dal lato della domanda. Si consideri l’ingresso di
nuovi operatori nel settore della telefonia fissa: il regolamentatore può
imporre l’adozione di tecnologie che consentano il mantenimento dello
stesso numero telefonico in caso di cambiamento del fornitore (portability) e in questo modo eliminare o ridurre le distorsioni del sistema di
allocazione dei numeri telefonici in favore dell’impresa esistente. Inoltre, la pubblicità da parte del regolatore del nuovo regime competitivo,
contribuendo ad educare gli utenti da sempre abituati ad essere serviti
da un unico fornitore a trarre vantaggio dalla competizione, può rendere
assai meno costosa e più veloce l’affermazione degli entranti.
Più in generale i termini del problema del sostegno dell’entrata e,
da un diverso punto di vista, del livello ottimale di entrata, dipendono
crucialmente dall’assetto del settore che il processo di liberalizzazione è
finalizzato ad ottenere. Semplificando molto, una possibilità è che esso
sia caratterizzato da una impresa dominante, pesantemente regolata, e
da una frangia più o meno competitiva di piccoli fornitori la cui attività
è basata in alcuni casi eminentemente sulla rivendita di capacità affittata
dalla prima, e i cui profitti derivano dall’occupazione di nicchie e dallo
sfruttamento di smagliature nella struttura tariffaria dell’impresa dominante. In alternativa, la liberalizzazione può avere come obiettivo un
assetto altamente deintegrato, in cui il ruolo della regolamentazione è
limitato al mantenimento delle conzioni necessarie alla competizione, e
la concorrenza è il meccanismo su cui si basa la disciplina delle imprese.
Tra i due scenari vi è una radicale discontinuità nei modi di funzionamento nel settore, come anche nella logica dell’intervento regolatorio; e
tale discontinuità si riflette sul valore relativo dell’entrata nei due casi.
33. Il problema della fissazione dei prezzi per l’accesso a strutture condivise o input
forniti dalle imprese già operanti è affrontato in modo più ampio nel capitolo 4.
86
87
2
Tariffazione ottimale
In questo capitolo ci poniamo il problema di stabilire a quale livello
debba essere fissato il prezzo (o tariffa, i due termini verranno utilizzati
di seguito come sinonimi) dei beni prodotti dal monopolista soggetto a
regolamentazione. Ciò che distingue il presente capitolo da quello successivo è l’ipotesi che la funzione di costo del monopolista sia nota al
regolatore, e che quindi questi agisca in condizioni di perfetta informazione. Benché l’ipotesi di informazione perfetta sia irrealistica, i risultati che otterremo sono utili come punto di partenza e riferimento ideale
per un’analisi della regolamentazione dal punto di vista normativo. Il
punto di vista è quello di un regolamentatore che voglia massimizzare il
benessere sociale della collettività e abbia il massimo controllo sull’operato del monopolista; l’analisi che svolgeremo, assumendo la piena
informazione del regolamentatore, può applicarsi sia al caso in cui la
produzione sia effettuata da un’impresa privata soggetta a regolamentazione, che al caso di un monopolio pubblico sotto il diretto controllo di
un ministero o di un’agenzia specifica del governo.
Nel prossimo capitolo vedremo che la considerazione di una situazione di informazione asimmetrica tra regolamentatore e regolamentato
introduce nell’analisi nuove dimensioni rilevanti, quali il problema dell’estrazione della rendita informativa del monopolista e il disegno di un
adeguato schema di incentivazione che spinga il monopolista a produrre
al minimo costo.
Oltre al ruolo delle assunzioni sull’informazione, è il caso di sottolineare il peso delle ipotesi relative alla redistribuzione. Buona parte delle
soluzioni proposte presuppone infatti la possibilità di separare le considerazioni di equità da quelle di efficienza. Tale operazione concettuale,
se è utile come primo approccio al problema della regolamentazione ottimale, non è in generale corretta quando si voglia fornire una guida
all’azione nel mondo reale, e in questo senso va tenuto presente che le
89
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
soluzioni individuate sono da considerarsi “ottimali” in un senso molto
ristretto.
Il capitolo è organizzato come segue 1. Nel par. 2.1 verrà introdotta e discussa la nozione di seguito utilizzata di efficienza e benessere
sociale, evidenziando i limiti e il grado di generalità di un’analisi condotta in termini di equilibrio parziale. Successivamente (par. 2.2) sarà
caratterizzata la soluzione ottimale nelle condizioni più favorevoli per
il regolamentatore, cioè assenza di vincoli informativi e sulla possibilità di rimborsare l’impresa dei costi sostenuti; come sarà evidenziato,
tale soluzione, che consiste nella fissazione di un prezzo pari al costo
marginale, corrisponde al first best solo a condizione che si possa ipotizzare che il governo sia dotato di strumenti di prelievo impositivo non
distorsivi. Una trattazione a parte merita il caso in cui la scelta della tariffa (e congiuntamente quella dell’ottimo livello di capacità produttiva)
debba essere effettuata in presenza di domanda variabile (par. 2.3). Ci
occuperemo quindi del caso in cui, essendo esclusa la possibilità di sussidi, la scelta tariffaria è vincolata dalla necessità che i prezzi applicati
ai consumatori garantiscano la piena copertura dei costi sostenuti dal
monopolista; vedremo che la preclusione dei sussidi costringe il regolamentatore a ripiegare su una soluzione inferiore in termini di efficienza
(si parla in questo caso di soluzione ottimale di second best). Distingueremo a questo proposito tra il caso di tariffe lineari, trattato nel par. 2.4,
e quello in cui è possibile applicare prezzi non lineari, cui sarà dedicato
il par. 2.5.
2.1
Efficienza, redistribuzione e analisi di benessere
in equilibrio parziale
I problemi che seguono sono tutti formalmente problemi di determinazione di una soluzione di ottimo vincolato. In un’ottica normativa,
si assume che la funzione obiettivo del regolamentatore corrisponda
ad una qualche specificazione del benessere sociale, che deve essere
massimizzato sotto il vincolo che il monopolista non subisca perdite.
Ragionando in un’ottica di equilibrio parziale faremo riferimento,
come misura della ricchezza creata sul mercato considerato, al surplus
netto dei consumatori e ai profitti del monopolista.
1. Un’analisi efficace e sintetica dei temi affrontati in questo capitolo si trova in
Braeutigam (1989). Per un’analisi più approfondita si veda Brown e Sibley (1986).
90
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
FIGURA 2.1
Il surplus aggregato del consumatore
(a)
(b)
p2
S( p̄)
p̄
p1
q(p)
q(p)
q
q(p2 ) q(p1 )
q( p̄)
q
Il surplus (netto) aggregato dei consumatori è rappresentato graficamente nella figura 2.1a dall’area a sinistra della curva di domanda aggregata.
In termini formali, tale area corrisponde a
[2.1]
S(p) ≡
Z ∞
q( p̃)d p̃;
p
sotto precise condizioni sulla funzione di utilità dei consumatori e sulla
distribuzione del reddito, le variazioni nel surplus aggregato misurano,
in termini di equivalente monetario, l’effetto di una variazione dei prezzi
sul benessere dei consumatori (nella figura 2.1b l’area evidenziata corrisponde alla diminuzione nel benessere dei consumatori derivante da un
aumento del prezzo da p1 a p2 ).
La rappresentazione del surplus mediante la [2.1] presuppone che i
consumatori paghino un prezzo lineare, cioè proporzionale alla quantità
acquistata, per il consumo del bene. In generale, indicando con T (q) il
prezzo complessivo pagato per una quantità q, il surplus netto sarà pari
a V (q) − T (q) dove V (q) rappresenta il surplus lordo in funzione della
quantità consumata;
[2.2]
V (q) ≡
Z q
p(q̂)d q̂
0
91
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
che corrisponde all’area sottostante la curva che rappresenta la funzione
inversa di domanda p(q). Quando il prezzo è lineare, cioè T (q) = pq,
il surplus netto coincide con quello espresso dalla [2.1]. Visto che la
[2.1] esprime il surplus direttamente in funzione del prezzo marginale,
variabile sotto il controllo del regolamentatore, utilizzeremo per lo più
tale rappresentazione. Ciononostante, vi saranno casi in cui l’utilizzo
della [2.2] risulterà essere una soluzione più conveniente.
Prima di procedere, è opportuno precisare il significato dell’uso del
surplus dei consumatori quale misura aggregata del loro benessere. Se è
vero che ciò consente di semplificare l’analisi e di fornire un’immediata
rappresentazione grafica dei risultati, va chiarito infatti che non si tratta
di una semplificazione innocua e sempre ammissibile.
L’analisi in termini di surplus aggregato richiede, da un lato, che
il surplus individuale fornisca una misura corretta delle variazioni di
benessere per l’individuo, e dall’altro che possiamo misurare la variazione del benessere collettivo come somma algebrica delle variazioni di
benessere individuali.
Il problema è generalmente risolto facendo (esplicitamente o implicitamente) le seguenti ipotesi:
1) i consumatori hanno funzioni di utilità quasi-lineari;
2) è possibile redistribuire senza costi la ricchezza tra gli individui, oppure l’aspetto redistributivo è irrilevante dal punto di vista sociale.
Con riferimento alla prima ipotesi, l’utilità del consumatore h è
quasi-lineare se è rappresentabile nella forma Rh + Sh (p), dove la separabilità additiva tra l’effetto del reddito individuale Rh e l’effetto di
una variazione del prezzo comporta che l’effetto di reddito sulle decisioni di consumo del bene in oggetto sia nullo; l’assenza di effetto di
reddito è un’approssimazione accettabile della realtà solo se la quota
spesa nel bene è contenuta rispetto al reddito complessivo, cosicché gli
effetti diretti o indiretti di una variazione del prezzo non modificano in
modo significativo il reddito individuale 2.
La seconda ipotesi, quella relativa alla distribuzione, ha a che vedere con il significato normativo che possiamo assegnare alla domanda
aggregata e all’area alla sua sinistra, cioè il surplus aggregato. Con fun-
zioni di utilità quasi-lineari 3, una variazione del surplus aggregato rappresenta la somma algebrica (non ponderata) delle variazioni equivalenti o compensative individuali corrispondenti ad una certa variazione dei
prezzi, cioè
h
i
S(p2 ) − S(p1 ) = ∑ Sh (p2 ) − Sh (p1 ) .
[2.3]
h
È tale somma una misura adeguata della variazione del benessere dei
consumatori? Il ricorso a un tale criterio normativo presuppone che diamo lo stesso peso al valore monetario attribuito ad una certa variazione
dei prezzi da parte di ciascun individuo; presuppone cioè non solo l’invarianza dell’utilità marginale del reddito per un individuo al variare del
prezzo del bene, ma anche l’invarianza, dal punto di vista sociale, di uno
stesso incremento del reddito per i diversi individui.
Ciò è coerente con due sole circostanze: che la distribuzione del reddito corrente sia socialmente ottimale, per cui un trasferimento di una
lira dall’individuo A all’individuo B non modifica il benessere sociale
perché comporta un costo marginale sociale pari al beneficio marginale
sociale; oppure che tale distribuzione sia socialmente del tutto indifferente, per cui trasferire una lira da A a B non modifica il benessere
sociale perché non mi interessa come la ricchezza è distribuita, ma solo
il suo ammontare complessivo.
Spesso, l’analisi dell’ottima regolamentazione in termini di surplus
aggregato viene giustificata distinguendo tra il piano dell’efficienza e
quello dell’equità. Alla regolamentazione spetterebbe l’ottenimento dell’efficienza, valutabile a prescindere da considerazioni redistributive, e
quindi con riferimento ad un criterio da questo punto di vista neutrale, come è il surplus aggregato. Pur non potendosi ipotizzare che la
2. La quasi-linearità dell’utilità implica che la variazione equivalente del reddito a
fronte di una variazione del prezzo da p1 a p2 coincida con la variazione compensativa, ed entrambe siano pari alla variazione nel surplus individuale Sh (p2 ) − Sh (p1 ), e
dunque giustifica l’utilizzo del surplus del consumatore come misura (monetaria) della
variazione individuale di benessere.
3. Un ulteriore vantaggio dell’ipotesi di quasi-linearità delle funzioni di utilità è che
sotto tale ipotesi la domanda aggregata è indipendente dalla distribuzione del reddito
aggregato tra gli individui. Ciò vale più in generale per le funzioni di utilità rappresentabili nella forma di Gorman, cioè tali che V h (M h , p) = ah (p) + b(p)M h , quando b(p) è
lo stesso per ogni h; la forma quasi-lineare è un caso particolare della forma di Gorman,
quello in cui b(p) ≡ 1. L’indipendenza della domanda aggregata dalla distribuzione del
reddito non è in generale garantita: quando gli effetti di reddito non sono nulli, una variazione nella distribuzione a parità di reddito aggregato potrebbe ad esempio favorire
gli individui con una maggiore elasticità della domanda di quel bene rispetto al reddito,
e portare ad un aumento della quantità complessiva domandata; in questo caso, la domanda aggregata non sarebbe nemmeno rappresentabile come una funzione del reddito
aggregato e dei prezzi.
92
93
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
distribuzione sia ottimale o irrilevante, essa sarebbe lasciata, in questa
prospettiva, ad un momento logicamente distinto, e affidata a strumenti
diversi dalla regolamentazione stessa, propri della politica fiscale.
Il problema è che questa logica di separazione tra equità ed efficienza, in cui l’efficienza ha a che vedere con la dimensione della ricchezza
creata e non con la sua distribuzione tra gli individui, è giustificabile
soltanto se la redistribuzione è attuabile in modo non distorsivo, cioè in
modo da non interferire con l’efficienza stessa. Se viceversa la redistribuzione comporta dei costi, non è più scontato che un aumento della
ricchezza complessiva (o del surplus aggregato) si possa tradurre in un
aumento del benessere sociale. Dietro alla crescita della somma dei
surplus individuali potrebbe infatti nascondersi il peggioramento della
situazione di alcuni individui, peggioramento che non potrebbe essere compensato da un’opportuna redistribuzione delle risorse senza una
riduzione del surplus stesso 4.
Nonostante le limitazioni evidenziate, l’analisi normativa di equilibrio parziale mediante il surplus del consumatore conserva un notevole
interesse, e resta il modo più efficace per introdurre, in “prima approssimazione”, i problemi connessi all’ottima determinazione delle tariffe sotto il profilo dell’efficienza. Tale analisi andrà tuttavia abbandonata qualora si volesse tenere esplicitamente conto delle implicazioni
redistributive della regolamentazione, o nel caso si volesse effettuare
un’analisi empirica degli effetti della regolamentazione stessa, per cui
l’astrattezza dell’ipotesi di irrilevanza della redistribuzione risulterebbe
del tutto inaccettabile 5.
Per valutare gli effetti complessivi dell’attività di regolamentazione
sul benessere sociale, è necessario tenere conto anche delle variazioni
che questa comporta sul profitto dell’impresa. Comunemente, ciò viene
fatto specificando il benessere sociale come somma algebrica tra surplus
e profitto: S + π . Si potrebbe infatti affermare che i profitti, essendo distribuiti ai membri della collettività sotto forma di dividendi, devono
entrare nella funzione di benessere sociale al pari di ogni altra componente di reddito percepita dagli individui che sono parte della colletti-
vità, e quindi di per sé un trasferimento dai consumatori al monopolista
non modifica la ricchezza collettiva e il benessere sociale.
Questa ipotesi non riflette però in modo soddisfacente quello che è
l’orientamento che comunemente si riscontra da parte delle autorità di
regolamentazione, e non rispecchia il fatto che nella realtà si attribuisce
un peso diverso al surplus dei consumatori e ai profitti. Vi sono varie
possibilità di giustificare questo atteggiamento: i percettori dei profitti
possono essere almeno in parte esterni alla collettività di riferimento del
regolamentatore; oppure, essi sono ritenuti meno “meritevoli” dal punto
di vista sociale perché in media più ricchi dei consumatori. Nella letteratura sulla regolamentazione è diventato perciò frequente rappresentare
la funzione obiettivo del regolamentatore come una somma ponderata di
surplus dei consumatori e profitti, che assegna un peso inferiore ai secondi rispetto al primo 6. L’introduzione della ponderazione può essere
considerata come una sorta di soluzione di compromesso, che cerca di
reintrodurre considerazioni di ordine redistributivo in un contesto, quello dell’analisi di equilibrio parziale, che come abbiamo visto terrebbe
conto del solo aspetto dell’efficienza.
La forma generale della funzione obiettivo da noi utilizzata sarà
dunque la seguente:
4. Per una discussione più ampia sulla necessità di adeguare i criteri normativi dell’analisi economica alla presenza di vincoli alla capacità di intervento del governo, si
rimanda a Guesnerie (1995).
5. Per una discussione sui criteri di valutazione alternativi al surplus e utilizzabili per
l’analisi empirica, nonché in generale una presentazione delle problematiche connesse
alla misurazione del benessere, si veda Slesnick (1998).
6. Come sottolineano Caillaud et al. (1988), tale formalizzazione degli obiettivi del
regolamentatore in termini di somma ponderata non è del tutto soddisfacente, in quanto
manca di una rigorosa giustificazione in termini di equilibrio generale. Una possibile interpretazione è che l’economia sia composta di un unico e ricco produttore che produce
utilizzando fattori di sua proprietà e percepisce il profitto, e una pluralità di consumatori
relativamente più poveri, e che gli strumenti redistributivi disponibili siano distorsivi.
94
95
[2.4]
S(p) + απ
0 ≤ α ≤ 1;
tale specificazione ricomprende come casi particolari sia quello della
somma non ponderata (con α = 1 escludiamo che il regolamentatore
persegua obiettivi di redistribuzione dal monopolista ai consumatori),
che quello (con α = 0) in cui il regolamentatore è un agente dei soli
consumatori, e del profitto dell’impresa tiene conto solo come vincolo.
2.2
Tariffazione in presenza di sussidi al monopolista
Ciò che differenzia il presente paragrafo rispetto ai paragrafi dal 2.4 in
poi, è l’ipotesi che il monopolista possa ricevere dal governo un sus-
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
sidio monetario, che costituisce un’entrata aggiuntiva rispetto ai ricavi
ottenuti dalla vendita dei servizi ai consumatori al prezzo fissato.
Vedremo che il risultato è diverso a seconda che il finanziamento di
tale sussidio possa essere effettuato mediante strumenti non distorsivi
oppure mediante imposte che introducono una distorsione nelle scelte
dei contribuenti.
La prima ipotesi è senz’altro irrealistica, ma costituisce comunque
un caso interessante in quanto ci consente di individuare un punto di
riferimento ideale: in quanto assume che i sussidi possano essere effettuati e siano finanziati con imposte non distorsive, e che il regolamentatore sia pienamente informato sui costi del monopolista (vedi invece
l’ipotesi di asimmetria informativa del capitolo successivo), caratterizza
la soluzione di eguaglianza tra prezzo e costo marginale come soluzione
di first best.
Il caso di imposte distorsive di seguito esaminato, cosı̀ come le soluzioni ai problemi di ottima tariffazione che vedremo successivamente
(problemi caratterizzati ora dall’esclusione di sussidi diretti, ora dalla
presenza di limitazioni sulle informazioni disponibili al regolamentatore), individuano altrettanti allontamenti da questa soluzione ideale, in
direzione di un qualche second best ad essa inferiore.
2.2.1. Tariffazione al costo marginale
Nel caso monoprodotto, il profitto del monopolista è pari a
π ≡ pq −C(q) + T
[2.5]
dove C(q) è la funzione di costo, q rappresenta la quantità prodotta,
e T è un sussidio che il governo può decidere di concedere al monopolista. Tenendo conto insieme dell’effetto dei prezzi e delle imposte
necessarie a finanziare l’eventuale sussidio al monopolista, il problema
di ottimizzazione del regolamentatore può essere pertanto cosı̀ espresso
[2.6]
max S(p) − T + απ
{p,T }
s.v. π = T + pq −C(q) ≥ 0.
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
seguente formulazione del problema del regolamentatore 7:
max S(p) + pq −C(q).
[2.7]
p
Il prezzo ottimale è dunque quello che massimizza la somma non ponderata di surplus e profitto; il fatto che sia α < 1, e quindi la presenza
di considerazioni redistributive, non è rilevante per la determinazione
dell’ottima tariffa quando è possibile sussidiare il monopolista 8.
La condizione del primo ordine è
[2.8]
S0 (p) + q(p) + pq0 (p) −C0 (q)q0 (p) = 0
il che implica, tenendo conto che S0 (p) = −q(p), che l’ottimo si abbia quando p = C0 (q): il prezzo del bene prodotto dal monopolista dovrebbe essere pari al costo marginale. L’eguaglianza tra prezzo e costo
marginale individua la soluzione di first best.
È possibile fornire una rappresentazione grafica della condizione di
ottimo: si tratta del prezzo che massimizza l’area compresa tra la funzione di domanda e quella di costo, evidenziata in figura 2.2a. S(p) + pq
rappresenta l’area sottesa alla curva di domanda aggregata (in grigio
chiaro nella figura), mentre C(q) è pari ai costi fissi più l’area sottesa
alla curva di costo marginale (l’area tratteggiata nella figura); si noti
che per ottenere il surplus derivante dalla produzione del bene, alla differenza tra le due aree dobbiamo sottrarre i costi fissi. La figura 2.2b
evidenzia la perdita secca di benessere (deadweight loss) che vi sarebbe
fissando un prezzo superiore al costo marginale.
Possiamo estendere agevolmente il risultato al caso multiprodotto.
In questo caso la funzione da massimizzare non è altro che la [2.7],
7. Il passaggio da [2.6] a [2.7] è immediatamente evidente se consideriamo che la
[2.6] è equivalente a
max S(p) + pq −C(q) − (1 − α )π
{p,π }
s.v.
π ≥0
Se T può essere fissato liberamente, il suo valore ottimale per α < 1
è quello che rende pari a zero il profitto del monopolista. Esplicitando
T nel vincolo e sostituendolo nella funzione obiettivo, arriviamo alla
(si noti il cambiamento di variabile rispetto a cui effettuiamo la massimizzazione); visto
che la funzione obiettivo dipende negativamente da π (α < 1), sarà π = 0, e il problema
si riduce alla massimizzazione non vincolata [2.7].
8. Si noti che l’equivalenza tra i problemi [2.6] e [2.7] è banalmente verificata con
α = 1.
96
97
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
In assenza di imposte non distorsive, quali sono soltanto le imposte
in somma fissa, l’ottenimento di una lira da parte del governo comporta
un costo per la società pari a (1 + λ ) > 1 lire, a causa dell’eccesso di
pressione dell’imposta stessa (λ è tanto più elevato quanto minore è il
grado di efficienza del sistema impositivo).
Tenendo conto dell’effetto distorsivo prodotto dal finanziamento del
sussidio, la somma non ponderata (α = 1) di surplus del consumatore e
profitto del monopolista risulta essere:
FIGURA 2.2
Massimizzazione del surplus e perdita secca di benessere
(a)
p = C0 (q)
(b)
p
p > C0 (q)
p
C0
p̄
p̄
C0
C/q
C/q
q
q
[2.11]
S(p) − (1 + λ )T + π =
= S(p) − (1 + λ )T + (pq(p) + T −C(q(p))
= S(p) + pq(p) −C(q(p)) − λ T
dove λ ≥ 0. L’espressione, ricorrendo alla rappresentazione del surplus
lordo in funzione della quantità, può anche essere scritta come
V (q) −C(q) − λ T.
[2.12]
adattata al fatto che p e q sono ora dei vettori n-dimensionali:
n
[2.9]
max
{p1 ,...,pn ,T }
S(p1 , . . . , pn ) + ∑ p j q j −C(q1 , . . . qn )
j=1
dove qi è la domanda aggregata del bene i. Le condizioni del primo
ordine, ottenute derivando rispetto a pi , sono
¶
n µ
∂S
∂C ∂q j
[2.10]
+ qi + ∑ p j −
=0
i = 1, . . . n.
∂pi
∂q j ∂pi
j=1
Visto che ∂S/∂pi = −qi , i primi due termini si elidono e una condizione
necessaria per il raggiungimento dell’ottimo è pi = ∂C/∂qi per ogni i.
2.2.2. Finanziamento del sussidio mediante imposte distorsive
I risultati presentati nel paragrafo precedente si basano sull’ipotesi che
sia possibile sussidiare l’impresa e che l’erogazione del sussidio comporti per la collettività un costo che, misurato in termini monetari, è pari
all’ammontare del sussidio stesso. Se consideriamo però che, per ottenere le risorse finanziarie necessarie a finanziare il sussidio, il governo
è costretto ad applicare imposte distorsive, questa seconda ipotesi non è
accettabile.
98
Si tratta ancora una volta di un modo per introdurre nello schema di
equilibrio parziale considerazioni proprie di un’analisi più complessiva
degli effetti della regolamentazione, che tenga in qualche modo conto
dei problemi connessi alla redistribuzione.
La rappresentazione della funzione obiettivo del monopolista mediante la [2.11] o la [2.12] è spesso utilizzata nella teoria economica
della regolamentazione in alternativa alla specificazione in termini di
somma ponderata S(p) + απ , cui ci atterremo nel presente lavoro 9.
Nel presente contesto, la considerazione dell’effetto distorsivo delle imposte porta ad una diversa conclusione sul livello ottimale della
tariffa. Risolvendo
[2.13]
max S(p) − (1 + λ )T + [T + pq −C(q)]
{p,T }
s.v. T + pq −C(q) ≥ 0.
Come già per la [2.6], anche in questo caso il valore ottimale di T è
quello minimo compatibile con il rispetto del vincolo, tale da annullare
9. Va precisato che nella quasi totalità dei casi i risultati ottenibili con le due formulazioni alternative sono qualitativamente gli stessi, e dunque l’una o l’altra avrebbero potuto essere utilizzate indistintamente. Si veda, per una discussione delle diverse
specificazioni dell’obiettivo del regolamentatore, Caillaud et al. (1988).
99
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
i profitti; sostituendo T = C(q) − pq nella funzione obiettivo abbiamo il
problema di massimizzazione non vincolata
delle telecomunicazioni (determinazione della capacità di carico massima della rete), o dell’erogazione di energia elettrica (determinazione
della potenza massima erogabile).
Il problema che si pone al regolatore è quello di determinare l’ottimo
livello di capacità produttiva e insieme la struttura tariffaria ottimale per
il servizio in questione.
Il periodo di produzione considerato (il giorno, la settimana ecc.) è
suddiviso in un certo numero di sottoperiodi m = 1, 2 . . . m̄, in ciascuno
dei quali è fornita una quantità qm del servizio.
Un caso relativamente semplice da trattare è quello in cui la tecnologia esibisce coefficienti costanti (tecnologia alla Leontief), e dunque
non esiste sostituibilità tra i fattori, che vengono utilizzati in proporzioni
fisse; nel caso di due fattori la funzione di produzione è
[2.14]
max S(p) + (1 + λ )[pq −C(q)]
p
da cui la condizione del primo ordine
[2.15]
λ q(p) + (1 + λ )(p −C0 (q))q0 (p) = 0
che può essere opportunamente espressa come
[2.16]
p −C0 (p)
λ 1
=−
p
1+λ ε
dove ε = q(p)/pq0 (p) < 0 è l’elasticità della domanda rispetto al prezzo.
Dunque, la tariffa ottimale eccede in questo caso il costo marginale di un
ammontare che è tanto maggiore quanto maggiore è λ e quanto minore
è ε .
Il fatto è che, se il finanziamento dei fondi pubblici è costoso, esiste
un trade-off tra ricorso ai sussidi e distorsione della domanda. La distorsione della domanda a seguito di un incremento del prezzo, e quindi
la perdita secca di benessere, è tanto maggiore quanto maggiore è l’elasticità della domanda al prezzo. In corrispondenza dell’ottimo, una
lira aggiuntiva di ricavi ottenuta mediante un incremento di prezzo deve comportare lo stesso costo sociale di una lira aggiuntiva di ricavi
ottenuta mediante un aumento dei sussidi e quindi delle imposte.
[2.17]
qm = min{aLm , K}
dove la quantità del fattore K, che interpretiamo come la capacità produttiva dell’impianto, è fissata inizialmente e una volta per tutte, e pone
quindi un limite massimo alla quantità di output producibile in ciascuno dei sottoperiodi, mentre la quantità dell’altro fattore Lm può essere liberamente variata nel tempo in relazione al volume dell’output del
sottoperiodo m 10.
Se c è il costo di 1/a unità di Lm e β il costo di un’unità di K, allora
la funzione di costo è data da 11
[2.18] C(q1 , . . . , qm̄ , K) = c ∑ qm + β K
con qm ≤ K per ogni m.
m
Consideriamo ora il caso in cui la domanda del servizio fornito sia variabile nel tempo, presentando orari “di punta” alternati ad orari di limitato
utilizzo. Trattandosi di un servizio, che in quanto tale non è stoccabile, la quantità massima erogabile è limitata dalla capacità produttiva
(vale a dire, oltre un certo limite il costo marginale diventa crescente,
al limite infinito). Soddisfare la domanda nelle ore di punta richiede
una dimensione adeguata della capacità produttiva, capacità che resterà
però sottoutilizzata negli altri orari. È questa la situazione tipica dei trasporti (determinazione del numero di automezzi di una linea urbana),
10. Si consideri ad esempio il caso di un servizio di trasporto su strada: per trasportare
qm passeggeri nella fascia oraria m è necessaria la disponibilità di un numero di posti
sugli automezzi pari almeno a qm e personale (autisti) in una certa proporzione rispetto ai passeggeri trasportati; data dunque la capacità totale di posti K disponibili sugli
automezzi (in presenza di coefficienti di produzione fissi, la capacità produttiva può essere per comodità misurata direttamente in unità di output) e il numero di autisti Lm
in servizio nella fascia oraria m, il (massimo) numero di passeggeri trasportabili in tale
fascia oraria è dato dal minimo tra K e aLm , dove a rappresenta la quantità di personale
necessario per passeggero. La differenza tra i due fattori è che, mentre la disponibilità
di personale può entro certi limiti essere resa flessibile in relazione all’orario concentrando la presenza in servizio degli autisti nelle ore di punta, il numero di automezzi
(e quindi K), una volta fissato, è lo stesso per tutti i periodi, e comporta la presenza di
capacità inutilizzata in certe fasce orarie.
11. Per produrre qm unità nel periodo m è necessario impiegare qm /a unità del fattore
variabile (sostenendo dunque un costo pari a cqm ) e la capacità produttiva deve essere
non inferiore a qm stesso; sommando per tutti gli m si ottiene la [2.18].
100
101
2.3
Tariffazione e capacità produttiva con domanda variabile
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
FIGURA 2.3
Tariffazione peak-load
FIGURA 2.4
Soluzioni non efficienti in presenza di domanda variabile
(b) q1 = q2
(a) q1 < q2
(a)
K
K0
K
d2
c
c+β
p1
p1
c
c
max
{p1 ,...,pm̄ ,K}
S(p1 , . . . , pm̄ ) +
s. v. qm ≤ K
m̄
∑ (pm − c)qm − β K
m=1
per m = 1, . . . , m̄.
Visto che sarebbe subottimale lasciare che vi fosse capacità inutilizzata,
deve esserci almeno un qm che in equilibrio eguaglia K (tale capacità
deve cioè essere integralmente utilizzata in almeno uno dei periodi).
Limitandoci al caso di m̄ = 2, vi sono quindi due possibilità:
Caso 1. In corrispondenza dell’ottimo le quantità prodotte nei due
periodi sono differenti; avremo in questo caso q1 (p1 ) < q2 (p2 ) = K, e
12. La soluzione generale del problema [2.19] con m̄ ≥ 2 si ottiene dalle condizioni
necessarie di Kuhn-Tucker:
pm = c + λm
λm (qm − K) = 0
β = ∑ λm .
λm ≥ 0
m = 1, . . . , m̄
d2
c
q1
q02
q01
q2
q1
q2
q02
la lagrangiana sarà
[2.20]
S(p1 , p2 ) + (p1 − c)q1 + (p2 − c)q2 − β K − λ2 (q2 − K);
derivando rispetto a p1 , p2 e K, e ricordando che dS/d pm = −qm , ricaviamo le seguenti condizioni del primo ordine
[2.21]
p1 − c = 0
p2 − c − λ2 = 0
λ2 = β .
Risulta perciò p2 = c + β , e dunque l’intero costo della capacità produttiva ricade sugli utenti “di punta” mentre gli altri utenti si limitano a
pagare il costo marginale variabile del servizio. Il caso è illustrato nella
figura 2.3a. Nella figura 2.4a, l’area ombreggiata rappresenta la perdita
di benessere che vi sarebbe se il prezzo per gli utenti “di punta” fosse
posto ad un livello superiore a β +c, e fosse conseguentemente scelto un
livello di capacità produttiva K 0 inferiore al livello K ottimale. Il grafico
della figura 2.4b illustra invece la perdita di benessere che vi sarebbe rispetto alla situazione ottimale se fosse adottata una tariffa uniforme per
tutti gli utenti, cioè se p1 = p2 = 0.
Caso 2. Se invece le quantità prodotte nei due periodi sono uguali,
per cui q1 (p1 ) = q2 (p2 ) = K, la lagrangiana diventa
[2.22] S(p1 , p2 ) + (p1 − c)q1 + (p2 − c)q2 +
− β K − λ1 (q1 − K) − λ2 (q2 − K)
m
102
d2
d1
d1
q1 = q2
q2
c+β
p
Mettendo da parte considerazioni di ordine distributivo, possiamo affrontare il problema in un’ottica di equilibrio parziale. L’ottimo si ottiene dalla soluzione del seguente problema di programmazione non
lineare 12, che è il corrispettivo del problema [2.7]
[2.19]
p2
c+β
d1
q1
p1 = p2 = p
K
d1
d2
(b)
K
p2
c+β
p2
p1
p2 > β + c
d3
103
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
da cui otteniamo
[2.23]
p 1 − c − λ1 = 0
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
sto della capacità produttiva ricada ora anche sull’altro gruppo di utenti
(cfr. Approfondimento) 13.
p2 − c − λ2 = 0
λ1 + λ2 = β .
La situazione è quella illustrata nella figura 2.3b: rispetto al caso precedente qui il costo β è più elevato e/o le curve di domanda tra i diversi periodi sono più ravvicinate; se si fissasse p1 = c, si otterrebbe una
domanda da parte degli utenti non di punta che eccede la capacità produttiva. In questo caso, denominato nella terminologia inglese shifting
peak, il costo β viene dunque suddiviso tra i due gruppi di utenti, sebbene continui a ricadere in misura maggiore sugli utenti con domanda
più elevata (la misura in cui il costo della capacità produttiva ricade sul
gruppo di consumatori m è espressa da λm ). Tornando al grafico della figura 2.3b: visto che ora un aumento di K torna a vantaggio di entrambi i
gruppi di utenti, il punto di ottimo si trova in corrispondenza dell’incontro tra il costo marginale β e la somma verticale delle due curve inverse
di domanda calcolate al netto dei costi variabili, rappresentate.
Si noti che, in entrambi i casi, nell’ottimo (p1 − c) + (p2 − c) = β ,
cioè la somma delle disponibilità a pagare per un incremento marginale
della produzione al netto dei costi variabili deve eguagliare il costo di
un aumento marginale della capacità produttiva. Questo risultato non
ci deve sorprendere: la capacità produttiva ha infatti per i due gruppi
di utenti le caratteristiche di un bene pubblico; una volta che è stata installata, non vi è rivalità per il suo utilizzo nella produzione dei beni
destinati all’uno o all’altro gruppo di utenti. Le condizioni di ottima
produzione richiamano quindi le condizioni di Samuelson di eguaglianza tra il costo e la somma delle disponibilità a pagare dei beneficiari per
un aumento marginale della quantità del bene pubblico, mentre i prezzi
imposti ai vari utenti sono pari alle rispettive disponibilità a pagare.
Alcuni dei risultati trovati dipendono dalle ipotesi fatte sulla tecnologia; in particolare, il primo dei due casi considerati, in cui l’intero
costo della capacità produttiva ricade sugli utenti “di punta”, è una conseguenza dell’ipotesi che la sostituibilità tra i fattori sia nulla, e quindi
un aumento della capacità produttiva si riflette sui costi solo in corrispondenza del livello massimo di produzione. In alternativa avremmo
potuto ipotizzare una tecnologia neoclassica con sostituibilità tra fattori; anche in questo caso, analizzato da Panzar (1976), il prezzo ottimale
risulta essere più elevato nelle ore di punta, benché una parte del co104
Approfondimento. Si riconsideri il problema della determinazione della tariffa
ottimale con domanda variabile nel caso in cui la tecnologia permette di variare
la combinazione dei fattori produttivi (funzione di produzione neoclassica). A
differenza del caso di tecnologia alla Leontief, in questo caso la capacità produttiva non pone un limite assoluto alla quantità prodotta, ma influenza il costo di
produzione in ogni periodo. Come si modificheranno le conclusioni raggiunte?
Nel caso neoclassico, la funzione di costo nel probelma [2.18] può essere rappresentata nella forma
C(q1 , . . . , qm̄ , K) = ∑m H(qm , K) + β K
dove H è una funzione tale che ∂H/∂qm > 0, ∂2 H/∂q2m < 0 e ∂H/∂K < 0 per
m = 1, 2, . . . , m̄.
Si lascia al lettore la determinazione della soluzione efficiente in questo caso
(Panzar, 1976).
In ogni caso, sembra dunque giustificata l’adozione di tariffe differenziate in relazione all’orario o in generale al periodo di utilizzo. Quella
della differenziazione è del resto una pratica assai diffusa nel caso dell’erogazione di elettricità o dei trasporti in certi paesi (in UK è diffusa
la pratica di differenziare i prezzi dei biglietti ferroviari per fasce orarie). Con tariffe differenziate, viene incentivato l’utilizzo fuori dalle
ore di punta (quando il costo del servizio è minore perché non richiede
aumenti della capacità produttiva), e disincentivato quello nelle ore di
punta.
Il problema è stato formulato nell’ipotesi di indipendenza tra le domande nei due periodi. Questa è chiaramente una semplificazione, visto
che nella realtà è rilevante anche l’effetto incrociato delle variazioni di
prezzo sulla domanda nei due periodi; in generale, i beni consumati nei
due periodi sono dei sostituti, e l’effetto dell’introduzione di una tariffa
differenziata è la migrazione di una parte della domanda da una fascia
oraria all’altra, tipicamente, in risposta all’introduzione di una differenziazione tariffaria, dalla fascia di punta alla fascia non di punta. La previsione di domande interdipendenti, benché renda un po’ più complessa
13. Un’ipotesi “intermedia” tra quella di coefficienti fissi e quella neoclassica è che
sia possibile scegliere l’intensità di capitale (nel caso da noi considerato tale intensità
è invece data) ma che questa, una volta scelta, resti fissa, e debba essere la stessa per
tutti gli orari di utilizzo (nel caso neoclassico, l’intensità dei fattori può invece variare
liberamente al variare dell’utilizzo). Il caso è stato analizzato da Waverman (1975) e le
conclusioni sono per molti versi analoghe a quelle del modello a coefficienti fissi e dati.
105
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
la formulazione del problema rispetto al caso presentato, non comporta però modifiche di rilievo nelle conclusioni qualitative raggiunte. In
particolare, la sostituibilità tra le domande nei diversi periodi tenderà ad
avvicinare i prezzi nei diversi periodi 14.
Va ricordato però che l’analisi condotta considera soltanto l’aspetto dell’efficienza; utilizza cioè come criterio il surplus aggregato senza
tenere conto di come tale surplus sia distribuito tra i diversi utenti. La
scelta di una certa struttura tariffaria può invece avere notevoli ripercussioni sul piano redistributivo: ad esempio, si consideri che nelle ore di
punta potrebbero utilizzare i mezzi di trasporto individui a basso reddito
che si recano al lavoro; in questo e in altri casi un aumento della tariffa
in questi orari potrebbe essere considerato non desiderabile dal punto di
vista sociale.
14. Ciò è intuitivo se consideriamo che, anche in presenza di domande molto differenziate in presenza di un prezzo uniforme, la fissazione di un differenziale troppo elevato
comporterebbe una migrazione della domanda dal periodo di punta all’altro periodo, e
dunque un avvicinamento delle curve di domanda, rendendo relativamente più probabile
un esito simile a quello del caso 2 della trattazione che precede.
re conto come abbiamo visto dell’ora o del periodo “di punta”, ma non
è generalmente ammessa la possibilità di un loro aggiustamento ex post
in base all’andamento della domanda.
In presenza di rigidità dei prezzi applicati, uno squilibrio tra domanda e offerta comporta la necessità di razionare la domanda. Una parte
della domanda resterà allora non servita. Il rischio di essere razionati,
cioè di non ricevere il servizio per cui si è disposti a pagare il prezzo pattuito, costituisce per gli utenti una dimensione rilevante della qualità del
servizio stesso. E d’altra parte, se il razionamento della domanda non
è effettuato mediante il sistema dei prezzi, possono avere luogo inefficienze; ad esempio, potrebbero restare esclusi dal consumo coloro per i
quali il servizio ha più valore. Si tratta di dimensioni del problema che
complicano il quadro delineato nel paragrafo precedente, e di cui si deve tenere conto nel decidere il livello di capacità produttiva e lo schema
tariffario.
Si pone evidentemente un trade-off : aumentando la capacità produttiva e/o il prezzo, l’eventualità del ricorso al razionamento diminuisce, ma la maggiore affidabilità del servizio comporta la necessità di
sostenere il costo di un livello elevato di capacità in eccesso.
Al fine di affrontare la questione in termini formali, manteniamo le
ipotesi del paragrafo precedente relative alla tecnologia e continuiamo
ad ipotizzare due possibili andamenti della curva di domanda, qa (p) e
qb (p), con qa (p) > qb (p) per ogni p; assumiamo ora che in ciascuno
dei due periodi la domanda possa assumere con probabilità positiva per
ciascun periodo un valore alto o basso. I due periodi si differenziano per
il fatto che la probabilità di domanda elevata è maggiore nel periodo 2;
indicando dunque con xm la probabilità che la domanda sia elevata nel
periodo m, ipotizziamo x2 > x1 .
Indichiamo con Sa (p) e Sb (p) rispettivamente il surplus netto quando la domanda è alta o bassa (ipotizziamo che le curve di domanda siano
indipendenti). Il regolamentatore dovrà scegliere p1 e p2 nonché il livello di capacità produttiva K in modo da massimizzare il valore atteso
della somma di tali surplus.
Un punto centrale di qualsiasi modello che prevede la possibilità
di razionamento della domanda riguarda l’identificazione di coloro che,
tra i consumatori che ne fanno richiesta, non riceveranno il servizio. Il
“razionamento” effettuato attraverso il meccanismo dei prezzi ha il vantaggio di fornire una chiara indicazione in tal senso: riceveranno il bene
coloro tra i consumatori che hanno la massima disponibilità marginale a
106
107
2.3.1. Il caso di domanda incerta
Nel precedente paragrafo si adottava l’ipotesi, non molto realistica, che
la quantità domandata in ciascun periodo fosse variabile nel tempo ma
prevedibile con certezza; ci chiediamo ora come le conclusioni trovate
debbano essere modificate nel caso in cui si voglia tenere conto che la
domanda è soggetta a variazioni aleatorie non prevedibili ex ante. Possiamo pensare ad un servizio di fornitura di energia elettrica, e all’eventualità di un sovraccarico nell’utilizzo; o ad un evento eccezionale che
attrae in una certa località un numero particolarmente elevato di turisti, con conseguente aumento della domanda di servizi di trasporto. Un
certo grado di imprevedibilità della domanda è fenomeno che riguarda
pressoché tutti i servizi di pubblica utilità.
Ciò significa che, fissando un certo livello di capacità produttiva e
quindi un determinato livello di offerta, il prezzo in grado di garantire
l’equilibrio tra domanda e offerta sarà anch’esso variabile. Esigenze di
prevedibilità della tariffa applicata rendono in molti casi impraticabile la
soluzione che consiste nel lasciare fluttuare il prezzo in risposta a squilibri tra domanda e offerta. Nella generalità dei casi, le tariffe applicate
dai servizi di pubblica utilità sono fissate in anticipo; esse possono tene-
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
FIGURA 2.5
Il surplus netto dei consumatori con razionamento efficiente
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
FIGURA 2.6
Tariffazione con domanda variabile
p
q−1
a (K)
p2
p1
c
c
q−1 (K)
d1
K
pagare; l’esito è l’efficienza paretiana, seppure non necessariamente anche la massimizzazione del benessere sociale. Nel caso di razionamento
non di prezzo (cioè razionamento in senso proprio), ciò non è più vero necessariamente. In quanto segue, manterremo tuttavia l’ipotesi che
anche il razionamento effettuato senza l’ausilio dei prezzi conduca alla
selezione dei consumatori con maggiore disponibilità a pagare.
Tale assunzione si traduce nel fatto che, posta pari a K la capacità,
il surplus dei consumatori si suppone pari all’area sottostante la curva di domanda nell’intervallo di quantità tra zero e K (cfr. figura 2.5).
Esprimendosi in termini di surplus netto, tale area è pari a
[2.24]
S(q−1 (K)) + (q−1 (K) − p)K
dove q−1 (K) è il valore assunto dalla funzione inversa di domanda in
corrispondenza della quantità K.
Terremo invece conto del fatto che il razionamento della domanda conduce ad una perdita di efficienza in una maniera un po’ ad hoc,
introducendo un esplicito costo di razionamento per unità di servizio
razionato.
Anche in questo caso, come nel paragrafo precedente, il vincolo della capacità produttiva può risultare o no stringente in entrambi o in uno
solo dei periodi. È però qui possibile un numero maggiore di casi, dal
momento che in corrispondenza dell’ottimo una sola o tutte e quattro
108
qb (p1 )
q(p)
d2
K qa (p1 )
le quantità domandate qa (p1 ), qa (p2 ), qb (p1 ) e qb (p2 ) possono risultare superiori o uguali alla capacità produttiva (ancora una volta, non
è ottimale che sia q < K in ogni circostanza; che vi sia cioè in ogni
circostanza capacità non utilizzata).
Ci limitiamo di seguito a considerare il solo caso in cui
qa (p1 ) = qa (p2 ) = K
[2.25]
qb (p1 ) < K
qb (p2 ) < K,
per cui solo nell’ipotesi di domanda elevata la capacità è pienamente
utilizzata, lasciando al lettore la soluzione negli altri casi. Si tratta della
situazione illustrata nella figura 2.6.
La funzione obiettivo può essere scritta come:
∑
[2.26]
(1 − xm ) [Sb (pm ) + (pm − c)qb (pm )] +
m=1,2
+
∑
£
¤
−1
xm Sa (q−1
a (K)) + (qa (K) − c)K − φ (qa (pm ) − K) − β K.
m=1,2
dove q−1
a (K) (inversa della funzione di domanda) è il prezzo che indurrebbe un livello di domanda pari a K nell’ipotesi di domanda elevata, ovvero la disponibilità marginale a pagare in corrispondenza di
una quantità K. Il termine φ (qa (pm ) − K) rappresenta il costo del razionamento, che supponiamo proporzionale alla quantità di domanda in
109
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
eccesso; ipotizziamo cioè che per ogni unità razionata vi sia un costo
sociale pari a φ .
Otteniamo le seguenti condizioni del primo ordine 15:
[2.27]
[2.28]
dqb (pm )
dqa (pm )
= xm φ
d pm
d pm
−1
(x1 + x2 )(qa (K) − c − φ ) = β .
(1 − xm )(pm − c)
m = 1, 2
Dalla [2.28] vediamo che la capacità ottimale è decisa con riferimento
alla somma delle disponibilità marginali a pagare per un incremento della capacità produttiva, al netto del costo del razionamento φ e ponderate
con le rispettive probabilità che la domanda sia elevata nei due periodi (dal momento che abbiamo ipotizzato che la capacità sia pienamente
utilizzata solo quando la domanda è elevata, il riferimento è soltanto a
tale eventualità).
Quanto alla prima delle due condizioni, ipotizzando per comodità
che sia qa (p) ≡ θ qb (p), con θ > 1, questa può essere scritta come:
[2.29]
pm − c =
xm
φθ.
1 − xm
Se φ > 0, il prezzo dovrà essere fissato in ciascun periodo ad un livello
che eccede il costo variabile c, tanto più quanto maggiore è l’incremento
di domanda nel periodo “di punta” (θ elevato) e maggiore è la probabilità che la domanda sia elevata (xm elevato). Il prezzo sarà poi maggiore
nel periodo in cui la domanda ha maggiore probabilità di risultare elevata, e in questo trova conferma il risultato generale trovato nel caso di
certezza.
È interessante confrontare la soluzione trovata con quella che si
avrebbe se fosse φ = 0, se cioè il razionamento fosse efficiente e senza costi. In questo caso, avremmo pm = c per m = 1, 2: ciò significa che, nel contesto in cui la domanda è incerta, un prezzo in eccesso
sul costo variabile si giustifica soltanto come strumento di allocazione della capacità produttiva disponibile al fine di limitare i costi del
razionamento.
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
All’aumentare del costo del razionamento φ , è socialmente ottimale ridurre la dimensione del razionamento, e questo si può realizzare in
due modi: alzando il prezzo oppure aumentando la capacità. Entrambe
le misure comportano un costo: nel primo caso si produce una distorsione della quantità consumata, che viene ridotta da un prezzo in eccesso
sul costo variabile; nel secondo caso dovrà essere sostenuto il costo di
installazione di una maggiore capacità produttiva.
Un altro aspetto rilevante è che, se il costo del razionamento φ e le
probabilità x1 e x2 non assumono valori particolarmente elevati, si avrà
un certo livello di razionamento sul mercato. Non è infatti ottimale in
questo caso aumentare la capacità e/o il prezzo fino ad escludere del
tutto la possibilità che la domanda risulti razionata.
L’approccio delineato ha lo svantaggio che nella pratica non è semplice identificare e misurare il costo del razionamento φ . Più frequente è
il caso che il regolamentatore decida di imporre al monopolista un vincolo di affidabilità del servizio fornito. Si stabilisce cioè che la domanda
non dovrà superare la capacità produttiva (e dunque non dovrà esserci razionamento) con una probabilità che eccede un valore prefissato,
ovvero si impone:
[2.30]
Prob{q(p) > K} ≤ ε .
15. Si noti infatti che Sa0 (q−1
a (K)) = K. Può essere d’aiuto richiamare la regola
per la derivazione della funzione inversa: posto x = f −1 (y) abbiamo d f −1 (y)/dy =
[d f (x)/dx]−1 .
Al fine di dare qualche indicazione sulla natura del problema in questa
nuova versione, modifichiamo leggermente la formalizzazione precedente, ipotizzando che sia θm q(p) la domanda nel periodo m, dove la
variabile θm , che introduce l’incertezza, varia tra 1 e θ̄m , con θ̄m > 1;
evidentemente, periodi in cui la domanda è in media più elevata sono
caratterizzati da valori più elevati di θ̄m .
Ipotizziamo che θm sia distribuita uniformemente su [1, θ̄m ], per cui
la curva di domanda assume uniformemente tutte le posizioni comprese
tra un minimo d1 e un massimo d2 (si veda la figura 2.7). La probabilità
di razionamento nel periodo m per dato prezzo pm e data quantità K è
data allora dal rapporto tra il massimo eccesso di domanda e la differenza tra domanda massima e domanda minima, calcolate entrambe in
corrispondenza del prezzo dato. Ancora con riferimento alla figura 2.7,
ipotizzando un prezzo pari a c, si tratta del rapporto tra i segmenti AK e
AB.
La figura illustra chiaramente come all’obiettivo di ridurre la probabilità di razionamento al di sotto di una certa soglia ci si può avvicinare
aumentando la capacità produttiva K. La figura illustra che l’effetto
110
111
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
FIGURA 2.7
Fissazione di un livello minimo di affidabilità
pm
d1
d2
c
B0 B
K K 0 A0
A
congiunto dell’aumento di K e dell’innalzamento di pm riduce la probabilità da AK/AB ad A0 K 0 /A0 B0 . Per ciascun valore di K, esisterà dunque
in ciascun periodo m un prezzo pm che garantisce il livello desiderato di affidabilità, tanto più alto quanto minore è K. L’ottimo trade-off
tra aumento del prezzo e aumento della capacità dipende dall’entità dei
“costi” relativi di un aumento della capacità e di un aumento del prezzo
al di sopra del costo marginale.
Al livello in cui abbiamo condotto l’analisi, molte dimensioni importanti del problema sono state tralasciate. Visto che una trattazione
completa e rigorosa di tali dimensioni andrebbe oltre gli obiettivi del
presente volume, ci limitiamo a citare alcune possibili estensioni:
– Il grado di affidabilità del servizio, tanto maggiore quanto minore è
la probabilità che la capacità si riveli insufficiente a soddisfare la domanda, a sua volta è tra le determinanti della domanda stessa. I consumatori saranno tanto più propensi a domandare un servizio quanto minore è l’eventualità di risultare “razionati” in periodi di elevata
domanda. Il modello del vincolo di affidabilità andrebbe dunque modificato, per tenere conto che un aumento della capacità o del prezzo, in quanto induce una maggiore affidabilità, aumenta la domanda
del servizio, in parte contrastando l’effetto positivo sull’affidabilità
stessa.
– Nell’analisi presentata, come già detto, si è fatta l’ipotesi che i consumatori che restano razionati siano coloro che al servizio attribuiscono
il minor valore, per cui data la capacità disponibile si raggiunge il
112
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
massimo surplus (razionamento efficiente). Questa ipotesi è chiaramente ottimistica: dal momento che il razionamento non viene effettuato attraverso un prezzo, nulla ci assicura che accederanno al servizio coloro che manifestano una maggiore disponibilità a pagare. In
effetti, l’individuazione di un sistema di razionamento che minimizzi
la perdita sociale è uno dei problemi principali che i regolamentatori
si trovano a dover affrontare nell’eventualità che si verifichi un eccesso di domanda. Il sistema più frequente è la predeterminazione
di un ordinamento dei consumatori in varie classi caratterizzate da
livelli diversi di precedenza nel consumo (es. utenti residenziali, imprese private, pubbliche amministrazioni, strutture sanitarie); in caso
si debba procedere al razionamento, il black-out sarà imposto innanzitutto a coloro che hanno il minimo grado di precedenza (tipicamente
utenti che dispongono di fonti di approvvigionamento alternative). È
chiaro però che il costo del razionamento, e quindi il livello ottimale
di capacità e di prezzo, dipendono in modo cruciale dal modo in cui
il sistema di precedenze è disegnato.
– Un sistema di razionamento alternativo è quello che fa ricorso all’uso
di fusibili (il caso dell’erogazione di energia elettrica è il tipico esempio, ma il concetto potrebbe in astratto estendersi ad altri casi). I consumatori scelgono contratti di fornitura caratterizzati da un consumo
massimo per periodo, consumo controllato da un fusibile, che “salta”
se la domanda eccede il tetto consentito; il prezzo pagato sarà naturalmente tanto maggiore quanto maggiore è la capacità del fusibile.
In questo modo il rischio legato all’eccesso di capacità è parzialmente spostato sul consumatore, che ha la possibilità di partecipare alla
decisione relativa all’ottimo trade-off tra prezzo e affidabilità.
Per ulteriori approfondimenti su questi e su altri temi relativi al problema della scelta dell’ottima struttura tariffaria e l’ottimo livello di capacità, rimandiamo all’ottima trattazione di Berg e Tschirhart (1988,
cap. 6).
2.4
Tariffazione con vincolo di copertura dei costi: tariffe lineari
Situazione tipica del monopolio naturale è quella in cui i costi medi
hanno un andamento decrescente (è questa come abbiamo visto nel capitolo precedente una condizione sufficiente ma non necessaria per la
subadditività della funzione di costo). In questo caso, la condizione di
113
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
eguaglianza tra costo marginale e prezzo implica che i ricavi del monopolista risultino inferiori ai costi, dal momento che con costi decrescenti
la curva del costo marginale risulta sempre al di sotto di quella del costo
medio.
Nell’analisi del par. 2.2.1 non ci siamo preoccupati del fatto che i
prezzi applicati fossero sufficienti a coprire i costi sostenuti dal monopolista. In effetti, come abbiamo visto, il fatto che i ricavi siano inferiori
ai costi non pone alcun problema se il governo è disposto a sussidiare
il monopolista ed è in grado di finanziare il sussidio mediante imposte
non distorsive (e quindi non costose in senso allocativo). Proprio per
la piena libertà di fissare un sussidio T a copertura di eventuali squilibri tra ricavi e costi, il vincolo di bilancio del monopolista non gioca
nei fatti alcun ruolo nel problema di determinazione delle tariffe ottimali, problema che si riduce in questo caso ad una massimizzazione della
somma dei surplus del consumatore e del produttore. Le conclusioni sono diverse se invece escludiamo la possibilità di un sussidio (imponiamo
cioè T = 0), e vogliamo che il monopolista offra i suoi beni o servizi ad
un prezzo in grado di garantire il pareggio di bilancio.
L’imposizione di un vincolo di questo tipo è frequente nel caso di
monopolisti privati sottoposti a regolamentazione (mentre è meno ricorrente nel caso in cui la proprietà dell’impresa monopolistica sia pubblica). Uno dei motivi addotti per giustificare l’esclusione della possibilità di erogare sussidi è che in questo modo il governo è in grado
di impegnarsi in modo più credibile a non sussidiare un monopolista
inefficiente. Rispetto al caso in cui i sussidi sono in linea di principio
ammessi, tale soluzione sembrerebbe in grado di rendere più rigido il
vincolo di bilancio cosı̀ come è percepito dal monopolista, e aumentare
gli incentivi di questi al contenimento dei costi 16.
Un altro argomento a favore del pareggio di bilancio, avanzato da
Coase (1945, 1946a), riguarda il fatto che, se il prezzo viene posto pari
al costo marginale e l’impresa produce in perdita, potrebbe verificarsi
che i consumatori acquistino il bene anche se il beneficio complessivo
che ne ricavano è inferiore al costo complessivo sostenuto per produzione del bene stesso. Il fatto che vi sia domanda positiva, che cioè sia
S(p) ≥ 0, non basta a garantire che il surplus lordo S(p) + pq eccede il
costo complessivo F + cq: potrebbe accadere infatti che 0 ≤ S(c) < F.
E questo perché la decisione di acquistare da parte dei consumatori non
è in grado di rivelare che i benefici complessivi eccedono i costi complessivi, ma solo che il beneficio marginale eccede il costo marginale.
Se il sussistere di una domanda per il bene non è sufficiente a giustificare la produzione dello stesso, una decisione in proposito potrebbe
essere demandata al regolamentatore; ma questi, come osserva Coase,
potrebbe non disporre dell’informazione necessaria (ad es. perché non
conosce l’andamento della curva di domanda in corrispondenza di ogni
valore del prezzo, ma soltanto in prossimità di un prezzo pari al costo
medio e marginale). L’imposizione di un vincolo di pareggio di bilancio
potrebbe a quel punto costituire una soluzione: fissando il prezzo p pari
al costo medio, cioè in modo che sia pq = F + cq, la domanda è infatti
positiva (S(p) ≥ 0) se e solo se S(p) + pq ≥ F + cq.
Qualunque sia la spiegazione che consideriamo rilevante, assumeremo nel resto di questo capitolo che non sia possibile o desiderabile sussidiare il monopolista. Il problema diventa allora quello di individuare
un insieme di tariffe ottimali sotto il vincolo che queste coprano i costi
del monopolista. Chiaramente, l’introduzione di un vincolo aggiuntivo
al problema di ottimizzazione condurrà ad un esito che in generale è
subottimale rispetto alla soluzione efficiente individuata in precedenza:
siamo di fronte ad un tipico problema di individuazione del second best.
Come vedremo, il grado di efficienza raggiungibile in questo contesto
dipende dalla capacità del monopolista di realizzare una qualche discriminazione di prezzo nei confronti degli utenti. A questo proposito, il
risultato cambia a seconda che egli possa applicare o meno prezzi non
lineari, e che possa trattare in maniera differenziata diverse categorie di
utenti. Quanto segue richiama in maniera molto stretta la letteratura sul-
16. L’analisi del problema degli incentivi del monopolista verrà affrontata nel dettaglio
nel capitolo 3. Si consideri il caso di un monopolista che avrebbe la possibilità di ridurre i propri costi fissi ma, per un problema di azzardo morale, preferisce non farlo se non
è opportunamente incentivato. Adottando una regola di fissazione del prezzo al costo
marginale e rimborso dei costi fissi, la riduzione dei costi fissi non comporterebbe una
variazione dei prezzi, ma si tradurrebbe interamente in una diminuzione del rimborso,
e dunque gli incentivi alla riduzione sarebbero minimi; alternativamente, prevedendo
il pareggio di bilancio, la riduzione dei costi fissi si tradurrebbe in una riduzione dei
prezzi. Se l’utilità del monopolista è positivamente correlata con la quantità venduta,
la regola del pareggio di bilancio si rivela dunque più incentivante rispetto al caso di
concessione di un sussidio. Inoltre, è verosimile che i consumatori siano, rispetto al
comportamento del monopolista, guardiani più attenti rispetto alla generalità dei contri-
114
buenti; dunque, accollare il costo fisso ai primi (trasferendolo sui prezzi) piuttosto che ai
secondi (erogando un sussidio) potrebbe rivelarsi un modo più efficace per monitorare
l’efficienza del monopolista e l’efficacia dell’attività del regolamentatore.
115
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
la discriminazione di prezzo del monopolista non regolamentato: vedremo però che a differenza di quella situazione nel caso da noi considerato
la discriminazione, invece di generare un poco auspicabile trasferimento
di benessere dai consumatori al monopolista, consente di aumentare il
benessere complessivo riducendo la distorsione nei prezzi necessaria a
garantire il rispetto del vincolo di bilancio.
Consideriamo come primo caso quello in cui il monopolista può discriminare tra diverse categorie di utenti, ma può applicare solo tariffe
lineari: si dice lineare una tariffa per cui l’esborso unitario rimane costante al crescere della quantità acquistata; ciò accade quando l’esborso
totale in funzione della quantità è E(q) = ∑i pi qi . Si noti che in questo caso il problema cambia solo marginalmente se ipotizziamo che nei
diversi mercati in cui opera il monopolista venda uno stesso prodotto
o prodotti distinti; per il problema che stiamo considerando, in assenza di arbitraggio tra diverse categorie di consumatori 17, fa cioè poca
differenza se i mercati sono distinti in base a certe caratteristiche del
consumatore (es. utenza residenziale o d’affari) o in base alla natura del
bene fornito. Dunque, possiamo fare riferimento sia ad un monopolista
che vende uno stesso bene a diverse categorie di utenti (un classico problema di discriminazione di prezzo), sia alla scelta dell’ottimo schema
tariffario da parte di un monopolista multiprodotto. In entrambi i casi il
vincolo è che vi sia pareggio di bilancio per il monopolista.
Applicando prezzi pari ai costi marginali, il monopolista va incontro
a perdite se
nei due mercati applicando al costo marginale un mark-up positivo; ma
ciò equivale a stabilire come debbano essere ripartiti i costi fissi tra le
diverse categorie di utenti, una decisione di grande importanza sia dal
punto di vista allocativo che distributivo.
[2.31]
∂C
∑ pi qi −C(q) = ∑ ∂qi qi −C(q) < 0
i
cioè se l’elasticità di scala (definita dalla [1.5]) è maggiore di 1 e la
funzione di costo esibisce rendimenti crescenti di scala.
Nel caso più semplice di due beni e tecnologia affine
[2.32]
C = F + ∑ ci qi = F + c1 q1 + c2 q2
i
dove F sono i costi fissi e c1 e c2 i costi marginali di produzione dei
due beni, al fine di evitare perdite il monopolista dovrà fissare i prezzi
2.4.1. La ripartizione dei costi fissi secondo il criterio
dei costi pienamente distribuiti
Un procedimento che storicamente ha avuto una notevole rilevanza, visto che è stato adottato per molto tempo da molti enti regolatori, tra
cui ad esempio la Federal Communication Commission statunitense, è
quello noto come fully distributed costs (FDC): il regolatore fissa in primo luogo la quota del costo fisso che si vuole far ricadere su ciascuno
dei servizi forniti; detta fi la quota relativa al servizio i, deve valere
∑i fi = 1, e si fisserà pi in modo che sia pi qi = fi F + ci qi ovvero
[2.33]
pi = ci +
fi F
qi
Chiaramente, sono possibili i criteri più svariati per fissare le quote fi , e
una debolezza di questo sistema è proprio la sua arbitrarietà.
Soluzioni comuni sono quelle che prevedono la fissazione delle quote in proporzione: (a) ai ricavi in ciascun mercato, per cui fi / f j =
pi qi /p j q j ; (b) alle quantità fisiche vendute 18, e dunque fi / f j = qi /q j , o
infine (c) ai rispettivi “costi attribuibili”, per cui fi / f j = ci qi /c j q j . Esse
implicano rispettivamente le seguenti condizioni sul mark-up applicato 19:
(a) (pi − ci )/pi = (p j − c j )/p j
(b) pi − ci = p j − c j
(c) (pi − ci )/ci = (p j − c j )/c j
Tali soluzioni, sebbene non manchino di una certa attrattiva in quanto
rispondenti a criteri di ripartizione dei costi chiaramente identificabili
17. Non è in altre parole possibile per alcun consumatore conseguire un vantaggio certo
acquistando il bene alle condizioni previste per la sua categoria e rivendendolo ad un
consumatore appartenente ad una categoria diversa.
18. In questo caso deve essere naturalmente disponibile una unità “fisica” di misura
comune ai vari beni considerati, come ad esempio il numero di passeggeri nel caso di
un servizio di trasporto.
19. È facile mostrare che lo schema (a) e lo schema (c) sono in effetti equivalenti
quando i profitti del monopolista sono nulli, cioè quando ∑i pi qi = ∑ p ci qi + F.
116
117
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
perdita di benessere che deriva dalla fissazione di un prezzo che eccede
il costo marginale.
FIGURA 2.8
Perdita di benessere ed elasticità della domanda
(a)
2.4.2. I prezzi alla Ramsey
p1
p2
c
c
q1
q2
(b)
A questo punto possiamo chiederci quale sia la combinazione di prezzi
che realizza il massimo benessere sociale, sempre sotto il vincolo che il
monopolista riesca a coprire i costi complessivi con i suoi ricavi. Si noti
che il problema è del tutto analogo a quello di fissare, con un vincolo di
gettito, il livello ottimale di un sistema di imposte indirette. Per questa
analogia con il problema di tassazione ottimale risolto per la prima volta
da Ramsey nel 1927, i prezzi ottimali sotto vincolo di piena copertura
dei costi sono detti comunemente prezzi alla Ramsey 21.
In termini analitici, il problema è
p1
[2.34]
p2
c
c
q1
q2
e in qualche modo “naturali” 20, hanno però lo svantaggio di essere in
generale economicamente inefficienti.
Per illustrare questo punto, si consideri la figura 2.8, in cui consideriamo nel grafico superiore il caso di due beni e di applicazione del
criterio (b) per cui è uguale sui due mercati il mark-up applicato.
I triangoli ombreggiati in grigio scuro rappresentano la perdita secca di benessere nei due mercati, mentre la somma delle aree in grigio
più chiaro (pari ai ricavi meno i costi variabili) eguaglia i costi fissi del
monopolista. È evidente dal confronto con i due grafici della figura
2.8 che si otterrebbe un incremento di benessere (una riduzione della
deadweight loss) abbassando il prezzo sul secondo mercato e alzando
il prezzo sul primo mercato in modo da lasciare invariati i profitti (la
somma delle aree ombreggiate deve restare invariata). Questo perché
la domanda sul secondo mercato è più elastica, e quindi è maggiore la
max S(p1 , . . . , pn ) + α
p1 ,...,pn
s.v.
£
¤
∑ pi qi −C(q1 , . . . , qn )
i
∑ pi qi −C(q1 , . . . , qn ) ≥ 0
i
Rispetto al problema [2.9], la presenza del vincolo aggiuntivo T = 0
configura quello presente come un problema di second best, la cui soluzione sarà in generale inferiore in termini di efficienza 22.
Se la tecnologia esibisce rendimenti crescenti di scala, in corrispondenza dell’ottimo il vincolo sul profitto deve essere stringente e il monopolista ottiene profitti nulli 23, il problema del regolamentatore può
20. Non è tuttavia del tutto chiaro ad un’analisi più rigorosa in che senso tali tariffe
possano essere ritenute “eque” o “giuste”.
21. La prima formulazione del problema con riferimento esplicito al problema della
tariffazione del monopolio è stata elaborata da Boiteux (1956).
22. Si osservi che il problema sarebbe del tutto analogo se invece di imporre il pareggio
di bilancio fissassimo i profitti ad un livello qualsiasi π̄ . Ciò che è rilevante non è in
sé la necessità di sussidiare le perdite del monopolista, quanto il fatto che si attribuisce
ora ai prezzi una funzione aggiuntiva e in parte confliggente con quella di garantire una
corretta allocazione delle risorse.
23. Di questa conclusione ci si può convincere facilmente considerando che, se esistesse una soluzione ottimale tale che π > 0, allora le condizioni del primo ordine del
problema di ottimizzazione non vincolata max p S(p) + απ dovrebbero individuare una
soluzione compatibile con profitti positivi. Si può verificare che ciò non è possibile, in
quanto da dette condizioni del primo ordine troveremmo, con α ≤ 1, prezzi inferiori ai
costi marginali, e dunque, in presenza di rendimenti crescenti di scala, ricavi inferiori
ai costi.
118
119
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
essere riformulato come
[2.35]
max S(p1 , . . . , pn )
p1 ,...,pn
s.v.
∑ pi qi −C(q1 , . . . , qn ) = 0
i
e le condizioni del primo ordine rispetto ai prezzi sono
#
"
¶
µ
∂S
∂C ∂q j
[2.36]
+ λ qi + ∑ p j −
=0
i = 1, . . . , n
∂pi
∂q j ∂pi
j
Se adottiamo l’ipotesi aggiuntiva che le domande dei diversi beni siano
tra loro indipendenti, per cui le derivate incrociate sono nulle (∂q j /∂pi =
0 per i 6= j), abbiamo, ricordando che ∂S/∂pi = −qi
µ
¶
∂C ∂qi
[2.37]
(1 − λ )qi = λ pi −
i = 1, . . . , n
∂qi ∂pi
condizione che può essere utilmente riespressa come
[2.38]
pi − ∂C/∂qi 1 − λ qi /pi
1−λ 1
=
=
pi
λ ∂qi/∂pi
λ εi
i = 1, . . . , n
dove εi rappresenta l’elasticità della domanda del bene i rispetto al prezzo; essa ha segno negativo e valore assoluto tanto maggiore quanto più
“piatta” è la curva di domanda. In presenza di rendimenti di scala crescenti, si ha 24 λ > 1, per cui il prezzo ottimale eccede il costo marginale.
Dalla [2.38] segue inoltre che il margine da applicare ai diversi beni è inversamente proporzionale all’elasticità della domanda: beni a domanda
più elastica avranno prezzi più vicini al costo marginale, mentre converrà aumentare il prezzo nel caso di beni a domanda rigida. Lo stesso
risultato è espresso dalla condizione:
εj
(pi − ∂C/∂qi )/pi
=
(p j − ∂C/∂q j )/p j
εi
[2.39]
24. Il vincolo di bilancio richiede infatti che sia
∑ pi qi −C(q) = ∑(pi −
∂C
)qi +
∂qi
∀ i, j
·
¸
∂C
q
−C(q)
≥ 0;
∑ ∂qi i
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
per cui il rapporto tra i mark-up tra due beni qualunque i e j è inversamente proporzionale al rapporto tra le rispettive elasticità. Tale
condizione è nota come regola delle elasticità inverse.
È il caso di rilevare che l’adozione di tale regola comporta una potenziale tensione tra il criterio di efficienza implicito in questa soluzione e quello di equità: normalmente infatti i beni ad elasticità inferiore,
quelli che secondo la soluzione di Ramsey dovrebbero essere “tassati”
più pesantemente, sono quelli necessari, mentre sono i beni di lusso o
quelli facilmente sostituibili ad avere elasticità più alta. Prima di trattare
in modo esplicito la questione dell’equità, ci soffermiamo su alcuni casi
in cui l’applicazione dei prezzi alla Ramsey è ottenuta in modo per cosı̀
dire “indiretto” da parte del regolamentatore.
A proposito dell’ipotesi di indipendenza tra le domande dei diversi
beni, osserviamo che essa è legittima se i mercati che stiamo considerando corrispondono a diverse categorie di utenti (es. consumo di energia per usi residenziali o per usi commerciali) che hanno accesso ad un
solo mercato, ma non è adeguata nel caso in cui si tratti di beni il cui
consumo comporta rapporti di complementarità o sostituibilità, come
ad esempio diverse forme di energia o diversi servizi di trasporto forniti
da uno stesso monopolista (si consideri ad esempio il problema di una
società di trasporti che collega due città mediante una linea ferroviaria e
un servizio di autobus).
Se rimuoviamo l’ipotesi di indipendenza tra le funzioni di domanda, otteniamo una formulazione più generale del risultato di Ramsey.
Tornando alla [2.36], e limitandoci al caso di due soli beni, abbiamo 25
[2.40]
(p1 − ∂C/∂q1 )/p1 ε2 − ε12
=
(p2 − ∂C/∂q2 )/p2 ε1 − ε21
dove εi j rappresenta l’elasticità incrociata della domanda del bene i rispetto al prezzo del bene j; essa è maggiore di zero se i beni sono sostituti, per cui un aumento del prezzo del bene j conduce ad un aumento
della domanda del bene i; è minore di zero se i beni sono complementari. L’espressione [2.40] tiene conto degli effetti della variazione di un
sostituendo pi − ∂C/∂qi dalla [2.38], e considerando che in presenza di rendimenti di
scala crescenti il termine tra parentesi quadre è negativo, abbiamo il risultato cercato.
25. Per ottenere questo risultato è necessario ricordare che, in assenza di effetti di reddito, ∂qi/∂p j = ∂q j/∂pi . L’ipotesi di assenza di effetti di reddito, implicita in quella di
quasi linearità delle funzioni di utilità, semplifica notevolmente l’analisi: senza questa
ipotesi, avremmo un risultato analogo, ma espresso in termini di elasticità delle curve
compensate di domanda.
120
121
i
i
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
certo prezzo sulla domanda di tutti i beni. Chiaramente, torniamo alla
regola delle elasticità inverse se le elasticità incrociate sono nulle.
Un’ulteriore elaborazione della regola di Ramsey, valida nel caso di
funzioni di domanda lineari, ci porta alla seguente condizione:
Ne segue che le curve sono convesse verso l’origine (muovendoci lungo
la curva per valori crescenti di p1 l’inclineazione decresce); si noti che,
contrariamente a quanto accade per le consuete curve di indifferenza,
curve più esterne corrispondono a livelli inferiori del surplus, in quanto
il surplus diminuisce all’aumentare dei prezzi. Si consideri a questo
proposito la figura 2.9, dove abbiamo riportato una mappa di curve di
livello.
A tali curve contrapponiamo il vincolo di non negatività dei profitti, che in questo contesto è descritto dall’area ombreggiata. La soluzione alla Ramsey si ha evidentemente in corrispondenza del punto di
tangenza tra tale area e la più bassa curva di livello, cioè nel punto A.
L’inclinazione della frontiera dell’area in cui i profitti sono non negativi è pari a
[2.41]
∆qi ∆q j
=
qi
qj
∀ i, j;
dove ∆qi è la differenza tra la domanda del bene al prezzo applicato
e quella che si avrebbe quando il prezzo è pari al costo marginale. La
nuova condizione si ottiene facilmente nel caso di domande indipendenti
a partire dalla [2.38], considerando che, quando le funzioni di domanda
sono lineari, l’inclinazione della curva di domanda è costante e dunque
si ha ∂qi/∂pi = ∆qi /(pi − ∂C/∂qi ). Quando le funzioni di domanda non
sono lineari, la condizione vale solo in termini approssimati.
La [2.41] afferma che l’ottimo è raggiunto quando la contrazione
relativa della domanda è la stessa per tutti i beni (e questo avviene naturalmente quando applichiamo prezzi più elevati a beni a domanda più
elastica). Detta condizione è valida anche nel caso generale di domande
non indipendenti (sebbene in questo caso la sua derivazione sia un po’
più complessa).
Approfondimento. Si faccia l’ipotesi, già discussa nel par. 2.2.2 nel caso monoprodotto, che il governo abbia la possibilità di sussidiare l’impresa, ma l’erogazione del sussidio è costosa in quanto il suo finanziamento avviene tramite imposizione distorsiva. In questo caso, il problema del regolamentatore sarà quello di
massimizzare (senza vincoli)
S(p1 , . . . , pn ) + (1 + λ )(∑i pi qi −C(q1 , . . . , qn )),
funzione che costituisce la versione multiprodotto della [2.14]. Si lasciano al
lettore la soluzione del problema e quindi la determinazione della regola di prezzo
ottimale in questo caso, nonché la considerazione della relazione esistente tra tale
regola e la soluzione alla Ramsey.
Nel caso di due soli beni, possiamo rappresentare graficamente il problema di determinazione dei prezzi ottimali come la scelta di un punto
nel piano (p1 , p2 ). Su tale piano tracciamo le curve di livello corrispondenti a livelli costanti del surplus aggregato dei consumatori S(p1 , p2 );
in ciascun punto l’inclinazione della curva di livello sarà pari a
[2.42]
[2.43]
µ
¶
dq1
∂C
∂π
q1 +
p1 −
d p2
d p1
∂q1
∂p
µ
¶
=− 1 =−
∂π
dq2
∂C
d p1
q2 +
p2 −
∂p2
d p2
∂q2
µ
¶
p1 − ∂C/∂q1
1 + ε1
q1
p1
¶
=− ·µ
p2 − ∂C/∂q2
q2
1 + ε1
p2
e dunque in corrispondenza del punto di tangenza A la [2.43] e la [2.42]
dovranno coincidere, il che si verifica quando è soddisfatta la condizione
[2.39] sulle elasticità inverse.
Osserviamo infine che il coefficiente angolare della retta BC tangente al vincolo di profitti non negativi e alla curva di livello passante per A
è −q1 ( p̄1 )/q2 ( p̄2 ) dove p̄1 e p̄2 sono i prezzi alla Ramsey.
2.4.3. Tariffe lineari ed obiettivi redistributivi
∂S ∂S
q1 (p1 )
d p2
=−
/
=−
.
d p1
∂p1 ∂p2
q2 (p2 )
Vogliamo ora vedere come le condizioni di Ramsey risultano modificate
qualora si consideri esplicitamente la presenza di obiettivi redistributivi nell’attività di regolamentazione. Abbiamo già sottolineato come, in
presenza di strumenti redistributivi non efficienti, sia impossibile una se-
122
123
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
niamo come condizioni del primo ordine:
#
"
¶
µ
H
∂W ∂Sh
∂C ∂q j
[2.45]
∑ h + λ qi + ∑ p j − ∂q j ∂pi = 0
j
h=1 ∂S ∂pi
FIGURA 2.9
La soluzione alla Ramsey nello spazio p1 -p2
p2
B
p̄2
per i = 1, . . . , n. Nell’ipotesi di domande indipendenti (∂q j /∂pi = 0 per
i 6= j) e chiamando qhi la quantità del bene i domandata dall’individuo h
(per cui ∂Sh /∂pi = −qhi ) abbiamo
¶
µ
H
∂C ∂qi
h h
[2.46]
i = 1, . . . , n
β
q
−
λ
q
=
λ
p
−
i
i
∑ i
∂qi ∂pi
h=1
π ≥0
A
p̄1
S(p1 , p2 ) = S0
p1
C
parazione tra efficienza ed equità, e quindi non sia socialmente ottimale
una determinazione delle tariffe ottime che guardi solo all’efficienza 26.
Nel caso di agenti eterogenei e presenza di finalità redistributive, l’analisi deve fare ricorso ad una rappresentazione degli obiettivi di equità
mediante una funzione di benessere sociale W (U 1 , . . . ,U H ), che associa
un indice di benessere ad ogni combinazione delle utilità degli H individui. Se continuiamo ad ipotizzare per semplicità che le funzioni di utilità
individuale siano quasi-lineari, l’utilità U h del consumatore h (espressa
in funzione dei prezzi) risulta essere pari al surplus individuale, Sh (p).
La funzione obiettivo del consumatore diventa 27
[2.44]
max W (S1 (p), . . . , SH (p))
p1 ,...,pn
n
s.v.
∑ pi qi −C(q1 , . . . , qi ).
i=1
Costruendo la lagrangiana e derivando rispetto a ciascun prezzo pi otte26. A rigore, nel caso di agenti eterogenei e di limitazione negli strumenti redistributivi,
non è neppure legittimo identificare le condizioni viste in precedenza come condizioni
di efficienza, in quanto come abbiamo già detto esse individuano soltanto un ottimo
paretiano potenziale.
27. Tralasciamo per semplicità la considerazione del profitto nella funzione obiettivo;
l’inclusione del profitto non modificherebbe comunque la determinazione dell’ottimo in
quanto, come nel caso dei prezzi à la Ramsey, anche in questo caso in corrispondenza
dell’ottimo avremmo un profitto nullo.
124
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
dove β h = ∂W /∂Sh è la valutazione marginale che il decisore sociale attribuisce al reddito dell’individuo h (indica cioè quanto “pesa” dal punto
di vista del decisore sociale un aumento unitario della ricchezza di h; il
peso sarà tanto maggiore quanto più egli è considerato meritevole come
beneficiario dell’attività redistributiva). Definendo q̄i la quantità media
del bene i domandata da ciascun individuo (q̄i = ∑h qhi /H), la condizione
può essere riscritta nella seguente forma:
"
#
H
pi − ∂C/∂qi
β h qhi 1
[2.47]
= − 1− ∑
i = 1, . . . , n
pi
h=1 λ q̄i εi
che ci consente un confronto diretto con la condizione [2.38] per i prezzi à la Ramsey, valida in assenza di obiettivi redistributivi. Osserviamo
che la condizione per cui il margine applicato è inversamente proporzionale alle elasticità risulta in questo caso “corretta” per tenere conto
di tali obiettivi: la sommatoria nella parentesi quadra sarà infatti tanto maggiore quanto maggiore è rispetto alla media la quantità del bene
i consumato da parte di individui con peso β h maggiore. Il fatto che
un bene sia consumato da individui con β h più alto (ad es. perché più
poveri) comporta dunque una riduzione del mark-up rispetto a quanto prescritto dalla regola di Ramsey. Ecco dunque una giustificazione
del perché possa essere socialmente ottimale la fissazione di un prezzo
basso anche per un bene con domanda rigida 28.
28. Le tariffe ottimali in presenza di obiettivi redistributivi vengono spesso indicate come “prezzi à la Feldstein”, dal momento che una condizione analoga alla [2.47] è stata
identificata per la prima volta da Feldstein (1972). Si veda anche, per una trattazione più
generale con riferimento al problema del tutto analogo dell’ottima tassazione su merci,
Atkinson e Stiglitz (1980, par. 12.5).
125
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
È immediato verificare che le tariffe coincidono con quelle di Ramsey: (a) quando il peso sociale β h è lo stesso per tutti gli individui 29, e
quindi la redistribuzione non ha motivo di esserci; (b) quando tutti gli
individui consumano la stessa proporzione di tutti i beni, per cui qhi /q̄i
è lo stesso per ciascun h. Nel secondo caso, pur essendo auspicabile la realizzazione di un obiettivo redistributivo, questo non può essere
perseguito mediante la regolamentazione tariffaria in quanto variazioni
nelle tariffe dei diversi beni incidono in modo indiscriminato su tutti i
consumatori.
2.5.1. Tariffe in due parti
2.5
Tariffazione con vincolo di copertura dei costi: tariffe non lineari
Come si è già evidenziato, se ipotizziamo che i diversi mercati siano caratterizzati non per il fatto che si vendono beni diversi, ma per la diversa
identità degli acquirenti, i risultati trovati nei paragrafi precedenti possono essere reinterpretati come se riferiti ad un caso di discriminazione
di prezzo tra categorie diverse di utenti; in questa ipotesi, naturalmente,
dobbiamo assumere che il monopolista sia in grado di separare le diverse tipologie di consumatori, impedendo forme di arbitraggio tra i diversi
mercati (da questo punto di vista fa differenza il fatto che si tratti della
produzione di servizi piuttosto che di beni trasferibili da un consumatore
all’altro).
Finora, si è però implicitamente ipotizzato che il monopolista fosse
vincolato ad applicare un prezzo lineare, ovvero un prezzo uniforme per
tutte le unità del bene offerto a ciascun consumatore. Vedremo in questo paragrafo che la rimozione di questo vincolo, e quindi la possibilità
di applicare prezzi diversi per unità successive dello stesso bene consumate da uno stesso individuo (premi o sconti in relazione alla quantità
acquistata), consente di avvicinarci maggiormente al risultato di first
best. Deve essere tenuto ben presente però che tale forma di discriminazione di prezzo presuppone che sia possibile individuare da parte del
monopolista il destinatario ultimo di ogni singola unità prodotta; deve
cioè essere esclusa la rivendita del bene o servizio fornito tra i singoli
consumatori.
La forma più semplice di prezzo non lineare è la tariffa in due parti. Nel
caso di un solo bene:
[2.48]
E(q) = E + pq;
al consumatore viene richiesto, oltre alla corresponsione di un prezzo
per ogni unità consumata, il pagamento di un canone fisso, periodico o
coincidente con l’attivazione del servizio. In questo caso l’esborso medio è pari a E/q + p; esso è dunque decrescente e tende asintoticamente
all’esborso marginale p.
La possibilità di applicare una tariffa in due parti consente di diminuire la perdita di benessere, in quanto permette di finanziare parte
del costo fisso tramite il canone, avvicinando cosı̀ la parte variabile del
prezzo al costo marginale.
In particolare, si ipotizzi che i costi siano espressi dalla funzione
C(q) = F + cq; se H è il numero dei consumatori, applicando a ciascuno un canone pari a E = F/H, è possibile fissare la componente
variabile della tariffa (l’esborso marginale) p pari al costo marginale c
(Coase, 1946a). Questa soluzione coincide con il first best a patto che
l’applicazione del canone non induca qualche consumatore ad abbandonare il mercato, nel qual caso essa diminuisce la domanda complessiva
del bene e risulta perciò distorsiva 30. In presenza di un canone, un consumatore per il quale il beneficio marginale derivante dal consumo del
bene eccede il costo marginale potrebbe essere indotto ad astenersi dal
consumo se il surplus complessivo che egli ricava quando il prezzo è
pari al costo marginale, ovvero Sh (p), è inferiore all’ammontare del canone stesso. Se vi sono dei consumatori per i quali Sh (p) < E quando
p = c, emerge un trade-off tra riduzione del canone e riduzione della
componente variabile del prezzo: aumentando il canone, se da un lato
possiamo garantire il pareggio di bilancio con un prezzo variabile più
29. I β h dei diversi individui saranno tanto più simili quanto maggiore è l’efficacia
degli strumenti redistributivi non distorsivi presenti nell’economia; nell’ottimo sociale
(di first best), il valore sociale di una lira di reddito è lo stesso per tutti gli individui.
30. La conclusione che, a certe condizioni, una tariffa in due parti sia in grado di garantire l’ottimo sociale (di first best) non ci stupisce affatto: il canone è infatti in un certo
modo assimilabile ad un’imposta in somma fissa. Imposta in somma fissa uniforme e
canone differiscono per il fatto che l’imposta si applica all’intera collettività, mentre il
canone ricade solo sugli utilizzatori del servizio, e dunque ad esso è possibile sottrarsi
decidendo di consumare una quantità nulla del bene; da qui l’importanza dell’ipotesi
che l’introduzione del canone non spinga alcuni consumatori ad uscire dal mercato.
126
127
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
basso, e quindi aumentiamo la domanda e il surplus di ciascun consumatore, dall’altro scontiamo una riduzione della domanda e del surplus
aggregati per il fatto che stiamo escludendo individui a bassa surplus dal
consumo del bene.
In effetti, possiamo interpretare il problema come se il monopolista
fornisse due beni distinti (seppure tra loro interdipendenti) ai consumatori: l’accesso al servizio e la quantità di servizio da consumare, i cui
prezzi sono dati rispettivamente dal canone di accesso E e dall’esborso marginale p. La tariffa ottimale in due parti in questo caso non è
altro che un caso di prezzo alla Ramsey: maggiore è l’elasticità della
domanda di accesso al mercato rispetto al canone, minore dovrà essere
il canone, e maggiore quindi il markup applicato alla componente variabile della tariffa. In conformità alla regola di Ramsey, la soluzione in
cui p = c è ottimale solo nel caso in cui la domanda di accesso al servizio è completamente rigida rispetto al canone applicato; in questo caso
l’intero costo fisso è finanziato attraverso il canone, e si realizza la soluzione di first best suggerita da Coase. Ma in generale, con un’elasticità
non nulla dell’accesso al mercato, cioè quando finanziare interamente il
costo fisso con il canone spingerebbe qualcuno all’uscita, il livello ottimale dell’esborso marginale p eccede il costo marginale; questo perché,
almeno finché p resta di poco superiore a c, l’effetto distorsivo di un
incremento di p è prossimo a zero, per cui il finanziamento dei costi
fissi attraverso la componente variabile del prezzo domina in termini di
efficienza il finanziamento tramite il canone.
Si noti che il trade-off tra aumento di p e aumento di E sarebbe
superabile se il monopolista avesse la possibilità di distinguere i consumatori in relazione al rispettivo surplus e differenziare in modo corrispondente il canone, chiedendo un canone inferiore ai consumatori “a
bassa domanda”. Un caso in cui ciò è possibile è quando la disponibilità
ad acquistare il bene è correlata con caratteristiche osservabili del consumatore quali il sesso, l’età, il fatto di essere un utente commerciale
ecc.; in molti casi, però, tali caratteristiche potrebbero non essere osservabili (o in alternativa la legge potrebbe impedire una discriminazione
sulla base di queste caratteristiche).
Va rilevato inoltre che, rispetto alla soluzione meno “efficiente” dell’applicazione di tariffe lineari, l’introduzione di un canone può porre
problemi di ordine equitativo, dal momento che il canone fisso E viene a gravare proporzionalmente in misura maggiore sugli utenti a basso
consumo, che potrebbero essere quelli a reddito più basso. La presenza
di un trade-off tra equità ed efficienza è un tratto comune a molte delle
soluzioni presentate in questo capitolo.
128
2.5.2. Tariffe multiparte
Vi sono forme più complesse di tariffe non lineari rispetto alla semplice
tariffa in due parti. Una tariffa multiparte (detta anche lineare a blocchi)
ha la seguente forma:
[2.49]

E1 + p1 q





E1 + (p1 − p2 )q̄1 + p2 q
E(q) = E1 + (p1 − p2 )q̄1 + (p2 − p3 )q̄2 + p3 q



...



E1 + ∑n−1
k=1 (pk − pk+1 )q̄k + pn q
per q ≤ q̄1
per q̄1 < q ≤ q̄2
per q̄2 < q ≤ q̄3
per q > q̄n
con E1 ≥ 0. Solitamente vale p1 < p2 < · · · < pn , cioè il prezzo diminuisce all’aumentare della quantità consumata, per cui l’esborso in funzione della quantità è rappresentabile come una spezzata con inclinazione
decrescente al crescere della quantità consumata.
Si noti che imporre ai consumatori una tariffa come la [2.49] con
pk+1 > pk equivale ad offrire loro la scelta tra n tariffe in due parti Ek +
pk q (k = 1, . . . , n) tali che per k ≥ 2 vale
k−1
[2.50]
Ek = E1 + ∑ (p j − p j+1 )q̄ j ;
j=1
le tariffe in due parti cosı̀ costruite sono tali che E1 < E2 < · · · < En ,
cioè ad un esborso marginale più basso corrisponde un canone più alto.
Per il consumatore, che sceglierà in corrispondenza di ogni q la tariffa
che gli garantisce il prezzo complessivo inferiore, ciò che rileva è l’inviluppo inferiore dell’insieme delle tariffe in due parti, che coincide con
la [2.49]. Il punto è illustrato nella figura 2.10.
Un risultato molto importante, che dobbiamo a Willig (1978), consente di stabilire la superiorità dal punto di vista paretiano di una tariffa
multiparte rispetto all’applicazione di un prezzo lineare. Per illustrare
tale risultato, si consideri il caso di due consumatori, differenziati per
il fatto che il secondo consuma per ogni livello del prezzo una quantità
superiore del bene rispetto al primo; la proprietà per cui al variare del
129
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
FIGURA 2.10
Una tariffa multiparte come inviluppo di tariffe in due parti
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
FIGURA 2.11
Guadagno di efficienza dovuto all’adozione di una tariffa non lineare
E
E4
E3
p1
E2
c = p2
q̄1
q̄2
q̄3
q
A
q̄
prezzo l’ordinamento tra i consumatori sulla base della quantità consumata resti invariato è nota come monotonicità forte 31, e da essa dipendono molti dei risultati che ci accingiamo a presentare. È importante
precisare che le differenze nella domanda devono dipendere da caratteristiche individuali cui non è possibile (per la presenza di impedimenti di
natura informativa o legale) condizionare la tariffa, perché sarebbe altrimenti possibile per il monopolista applicare direttamente ai consumatori
tariffe personalizzate.
Poniamo che il servizio sia venduto inizialmente ad un prezzo p1
maggiore del costo marginale c (dal momento che deve coprire i costi
fissi del monopolista). Se q̄ è la quantità acquistata al prezzo p1 dal
secondo consumatore, possiamo modificare lo schema di tariffazione
prevedendo che per l’acquisto di unità in eccesso rispetto a q̄ il prezzo sia c ≤ p2 < p1 ; offriamo cioè ai consumatori la facoltà di optare
per la tariffa (p1 − p2 )q̄ + p2 q. In questo caso, l’area che rappresenta la perdita secca di benessere si riduce, visto che aumenta la quantità
domandata dal secondo individuo. Abbassando p2 fino ad eguagliarlo al costo marginale, possiamo ottenere un aumento del benessere del
q1
q̄
q2
31. La monotonicità debole è la semplice richiesta che valga Sh (p) > Sk (p) per ogni
p. Mentre la monotonicità debole è del tutto innocua, la monotonicità forte richiede
che non vi sia intersezione tra le curve di domanda (ed è per questo nota anche come
noncrossing assumption).
secondo individuo, lasciando allo stesso tempo invariati i profitti per il
monopolista e il surplus del primo individuo (la soluzione è illustrata
nella figura 2.11, dove l’incremento di benessere del secondo individuo
è rappresentato dall’area tratteggiata).
Va precisato che, se è vero in generale che una tariffa non lineare
permette di raggiungere un esito superiore rispetto ad un prezzo lineare, c’è una differenza di fondo tra quanto è ottenibile con una tariffa in
due parti uniforme e quanto è ottenibile con una tariffa multiparte: una
tariffa in due parti uniforme è superiore in quanto consente un aumento
del surplus aggregato a parità di profitti; una tariffa multiparte costruita
nel modo descritto risulta invece superiore in termini paretiani rispetto
al prezzo lineare. La differenza è di non poco conto, dal momento che
un aumento del surplus è compatibile con una redistribuzione tra diversi
consumatori (in particolare, l’adozione di una tariffa in due parti uniforme in luogo di un prezzo lineare porta normalmente ad una diminuzione
del benessere dei consumatori a bassa domanda a favore di quelli ad
alta domanda, e cioè, quando il bene è normale, degli individui più poveri a favore di quelli più ricchi) e quindi può richiedere meccanismi
di compensazione per essere politicamente accettabile. Il passaggio ad
una tariffa multiparte, invece, consente di migliorare il benessere di alcuni consumatori (e, fissando un prezzo che eccede il costo marginale,
130
131
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
di aumentare anche i profitti) senza con questo peggiorare il benessere
di alcun individuo; essa offre quindi la possibilità di effettuare modifiche tariffarie che possono trovare il consenso unanime di consumatori e
del monopolista.
Il risultato di Willig può essere agevolmente generalizzato, sia al
caso di più di due (categorie di) consumatori, sia al caso del confronto
tra una generica tariffa in n parti e una tariffa in n + 1 parti. Ragionando
in modo del tutto analogo a quanto fatto sopra con riferimento alla tesi
di Willig, è facile mostrare che se inizialmente ad H consumatori diversi
è imposta una tariffa in n parti tale che pn > c, è sempre possibile trovare
una tariffa in n + 1 parti che domina dal punto di vista paretiano la prima
tariffa, e tale che pn+1 soddisfa c ≤ pn+1 < pn . Ciò in quanto è sempre
possibile trovare una nuova opzione con c ≤ pn+1 < pn che sia in grado
di attrarre il consumatore (o la classe dei consumatori) a domanda più
elevata senza diminuire la somma che questi paga sulle unità che già
venivano acquistate con la vecchia tariffa: se q̄(pn ) è la quantità da lui
acquistata con la vecchia tariffa, basterà infatti fissare En+1 = En +(pn −
pn+1 )q̄(pn ).
efficiente fissare tali prezzi ad un livello più elevato. Man mano che ci
muoviamo su blocchi corrispondenti a quantità più elevate, la quota dei
consumatori per il quali tale quantità è “marginale” cresce rispetto al
totale di coloro che consumano tali quantità, e cosı̀ l’elasticità della domanda al prezzo relativo. Pur essendo inferiore agli altri prezzi, il prezzo pn relativo all’ultimo blocco eccederà comunque il costo marginale;
questo perché nell’ottimo l’effetto distorsivo per unità di “gettito” deve
essere lo stesso per ciascuno dei prezzi componenti la tariffa e dunque,
visto che ciascuno dei prezzi p1 , . . . , pn−1 è tale da produrre una distorsione marginale non nulla nella domanda, anche il prezzo pn deve essere
fissato ad un livello in cui la distorsione marginale è maggiore di zero;
quindi, non può essere al livello del costo marginale 32.
Visto che pn > c, da quanto visto nel paragrafo precedente sappiamo
che lo schema tariffario individuato è dominato in senso paretiano da
un’opportuna tariffa in n + 1 parti. Dato poi che la tariffa ottimale in
n + 1 parti porta ad un surplus non inferiore a quello ottenuto con ogni
altra tariffa in n + 1 parti, concludiamo che la tariffa ottimale in n + 1
parti è senz’altro superiore, in termini di surplus, alla tariffa ottimale in
n parti. Al limite, con H consumatori, risulterà ottimale adottare una
tariffa diversa per ciascun consumatore.
Possiamo dunque concludere che il benessere sarà tanto maggiore quanto più è articolata la tariffa utilizzata, cioè quanto maggiore è
la capacità del monopolista di discriminare tra i consumatori, di “personalizzare” la tariffa in relazione alle preferenze di ciascuno, purché
gravi sul monopolista l’obbligo di offire gli stessi schemi tariffari a tutti
i consumatori.
Il problema della determinazione della tariffa non lineare ottimale è in effetti un problema di ottima discriminazione con informazione
nascosta (visto che il “tipo” dei diversi consumatori non è direttamente
osservabile). A differenza della discriminazione perfetta, che richiede la
conoscenza della disponibilità a pagare di ciascun consumatore, nonché
la possibilità di imporre a ciascuno una tariffa diversa, in una situazione
di svantaggio informativo il massimo che può fare il monopolista è realizzare una discriminazione indiretta tra i consumatori, utilizzando come
2.5.3. Tariffe non lineari ottimali
Ci proponiamo ora di identificare le caratteristiche di una tariffa non
lineare ottimale, che massimizzi cioè il surplus aggregato del consumatore. Possiamo avvicinarci al problema considerando innanzitutto che
in generale, quando H è il numero di individui diversi presenti sul mercato (ciascuno caratterizzato da un diverso livello di domanda, e sotto
l’ipotesi di monotonicità forte), una tariffa ottimale in n parti con n < H
è sempre migliorabile tramite l’adozione di una tariffa in n + 1 parti.
Anche senza dimostrare questa affermazione in modo rigoroso, possiamo renderci conto che essa segue da quanto detto sopra. In generale, una tariffa ottimale in n parti sarà tale che p1 > p2 > · · · > pn > c.
Intuitivamente, ciò accade perché il contributo di ciascun “blocco” di
quantità al finanziamento dei costi fissi deve essere inversamente proporzionale alla distorsione sulla quantità consumata provocata da un innalzamento del rispettivo prezzo. Dal momento che i prezzi relativi ai
blocchi più bassi non incidono sulle scelte al margine dei consumatori
che consumano quantità superiori del bene, solo una parte dei consumatori reagirà ad una modifica dei prezzi relativi a tali blocchi; la domanda
relativa a livelli bassi di quantità è relativamente anelastica, ed è dunque
32. In realtà ciò è vero solo finché n < H, cioè finché il menu di tariffe in due parti che
è possibile proporre ai consumatori prevede un numero di opzioni inferiore al numero
di consumatori stessi, e a patto che la tariffa in n parti non raggiunga essa stessa un
esito di first best, nel qual caso, come è ovvio, non sarà possibile ottenere ulteriori
miglioramenti.
132
133
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
“segnale” delle rispettive preferenze le decisioni sulla quantità acquistata. Congegnando in modo opportuno il menu di tariffe in due parti, egli
sarà in grado di spingere consumatori diversi a scegliere contratti diversi, cioè ad autoselezionarsi in relazione al fatto che si tratti di grandi o
piccoli utilizzatori del servizio. Bisogna tenere presente che, se quando applicata da un monopolista non regolamentato la discriminazione di
prezzo consente a questi di estrarre una quota maggiore del surplus dei
consumatori e conseguire profitti più elevati rispetto al caso di assenza
di discriminazione, nel contesto da noi esaminato, in cui il monopolista
viene costretto dal regolamentatore a percepire profitti nulli, la discriminazione, in quanto consente di differenziare il prezzo in relazione alla
diversa disponibilità a pagare dei consumatori, comporta un aumento
del surplus aggregato dei consumatori 33.
Rimandando all’appendice una trattazione del problema in termini
generali, ci limitiamo qui al caso di due soli consumatori presenti sul
mercato; con due soli individui, differenziati in base al livello di domanda (e di surplus), che supponiamo sia più alto in corrispondenza di
ciascun prezzo per l’individuo 2, sarà sufficiente offrire la scelta tra due
tariffe in due parti Ek + pk q (k = 1, 2). Visto che anche in questo caso
non è ottimale concedere al monopolista un profitto strettamente positivo, si tratta di individuare lo schema tariffario che massimizza il surplus
aggregato delle due categorie di consumatori sotto il vincolo di profitti
nulli; in termini formali:
[2.51]
(bil)
max
p1 ,p2 ,E1 ,E2
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
FIGURA 2.12
Tariffa non lineare ottimale nel caso di due individui
A
p1
c = p2
(a1)
S (p1 ) − E1 ≥ S (p2 ) − E2
(a2)
S2 (p2 ) − E2 ≥ S2 (p1 ) − E1
(p1)
S1 (p1 ) − E1 ≥ 0
(p2)
S2 (p2 ) − E2 ≥ 0.
1
1
C
q1
q2
scegliere lo schema riservato all’altra categoria; (p1) e (p2) sono invece
i vincoli di partecipazione: lo schema non deve cioè spingere nessuno
dei due agenti ad astenersi dal consumo 34.
La soluzione a tale problema, nel caso in cui non sia possibile raggiungere il first best mediante l’imposizione di una tariffa in due parti
uniforme, risulta essere:
S1 (p1 ) + S2 (p2 ) − (E1 + E2 )
s.v. E1 + E2 = F − (p1 − c)q1 − (p2 − c)q2
B
[2.53]
p2 = c
E1 = S1 (p1 )
E2 = E1 + S2 (c) − S2 (p1 )
E1 + E2 + (p1 − c)q1 = F.
Le condizioni (a1) e (a2) rappresentano i cosiddetti vincoli di autoselezione: i consumatori di una categoria non devono essere incentivati a
La soluzione ottimale, nel caso in cui l’imposizione di un canone uniforme spingerebbe alcuni consumatori ad uscire dal mercato, presenta
cioè le seguenti caratteristiche:
– l’individuo con surplus maggiore (cioè l’individuo 2) paga un canone
fisso più alto e acquista il servizio ad un prezzo unitario pari al costo
marginale, per cui il livello da lui acquistato è quello efficiente;
33. Va ricordato comunque che anche nel caso di discriminazione da parte di un monopolista non regolamentato si ha un aumento dell’“efficienza”, intesa come riduzione
della perdita secca di benessere, rispetto al caso di assenza di discriminazione, sebbene
in quel caso l’esito sia ben diverso dal punto di vista redistributivo.
34. Una spiegazione rigorosa del perché un problema con asimmetria informativa raggiunga l’ottimo quando sono rispettati i vincoli di partecipazione ed autoselezione richiede che si faccia riferimento al c.d. “principio di rivelazione”, spiegato in dettaglio
nell’appendice al cap. 3, a p. 190.
134
135
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
– l’individuo a domanda inferiore (l’individuo 1) acquista invece il bene
ad un prezzo maggiore del costo marginale, e pagherà un canone pari
all’intero suo surplus.
c, al crescere di p1 cresce la somma di tali aree e di (p1 − c)q1 (cioè
dell’area B), ma cresce anche la perdita secca di benessere rappresentata dal triangolino tratteggiato; il livello ottimale si avrà per quel p1 in
corrispondenza del quale l’area 2A + B +C eguaglia il costo fisso F.
Dimostrazione. Per risolvere il problema di programmazione non lineare [2.51],
osserviamo innanzitutto che il vincolo (p2) è superfluo in quanto sempre verificato quando lo sono gli altri vincoli. Costruiamo la lagrangiana assegnando ai
vincoli (bil), (a1), (a2), (p1) rispettivamente i moltiplicatori λ , µ1 , µ2 e µ3 .
[2.54]
S1 (p1 ) + S2 (p2 ) − (E1 + E2 ) +
+ λ [E1 + E2 − F + (p1 − c)q1 + (p2 − c)q2 ] +
2.6
Conclusioni: tariffe efficienti, tariffe uniformi
e obiettivi redistributivi
Nella figura 2.12 forniamo un’illustrazione grafica della soluzione ottimale trovata. Le quote fisse dei due individui corrispondono rispettivamente alle aree A e A + C; per valori sufficientemente prossimi a
In questo capitolo abbiamo presentato i principali risultati in tema di
determinazione delle tariffe efficienti in assenza di problemi informativi
per il regolamentatore.
A più riprese, non abbiamo mancato di sottolineare come tali conclusioni costituiscano un punto di riferimento astratto, da cui necessariamente il regolamentatore deve allontanarsi allorché voglia tenere in
considerazione finalità di ordine redistributivo ed equitativo. Lo stesso
concetto di “efficienza” adottato in questo tipo di analisi è piuttosto dubbio, dal momento che il riferimento all’equilibrio parziale e al criterio
del surplus aggregato del consumatore perde gran parte della sua forza quando vogliamo tenere conto del costo della redistribuzione e della
conseguente impossibilità di separare obiettivi di equità ed obiettivi di
efficienza.
Nondimeno, l’individuazione della tariffa ottimale ci consente di interpretare molte delle caratteristiche che osserviamo nelle tariffe realmente utilizzate: la differenziazione per fasce orarie, per categorie di
utenti caratterizzati da diversa elasticità della domanda, l’introduzione
di canoni e sconti legati alla quantità sono tutti fenomeni che abbiamo
modo di osservare nella realtà dei settori soggetti a regolamentazione, e
che trovano una giustificazione in termini di efficienza.
Quando desideriamo introdurre esplicitamente considerazioni redistributive, l’aspetto dell’elasticità viene sı̀ temperato dalla considerazione del carattere meritorio di un certo servizio fornito (si veda a questo
proposito il par. 2.4.3), ma in ogni caso la conclusione è che le tariffe devono essere differenziate tra bene e bene in relazione all’elasticità della
domanda e al costo marginale, e la struttura tariffaria ottimale è semmai
in questo caso più complessa e articolata che nel caso in cui si consideri
la sola efficienza.
Tale conclusione contrasta in modo netto almeno con un aspetto che
ha a lungo caratterizzato e in molti casi ancora caratterizza le tariffe ap-
136
137
+ µ1 [S1 (p1 ) − E1 − S1 (p2 ) + E2 ] +
+ µ2 [S2 (p2 ) − E2 − S2 (p1 ) + E1 ] + µ3 [S1 (p1 ) − E1 ].
Le condizioni necessarie di Kuhn-Tucker risultano essere:
−1 + λ − µ1 + µ2 − µ3 = 0
−1 + λ + µ1 − µ2 = 0
dq1
− (µ1 + µ3 − λ + 1)q1 (p1 ) + µ2 q2 (p1 ) = 0
d p1
dq2
− (µ2 − λ + 1)q2 (p2 ) + µ1 q1 (p2 ) = 0
λ (p2 − c)
d p2
µ1 , µ2 , µ3 ≥ 0
λ (p1 − c)
[2.55]
dove abbiamo derivato la lagrangiana rispetto a E1 , E2 , p1 e p2 rispettivamente.
Dalle prime due equazioni ricaviamo che µ3 = 2(λ − 1) e µ2 − µ1 = λ − 1. Si
può verificare allora che sono possibili solo due soluzioni:
1. Con S1 (p1 ) > E1 , abbiamo µ3 = 0, e quindi λ = 1 e µ1 = µ2 ; visto poi che
i vincoli (a1) e (a2) non possono essere soddisfatti contemporaneamente,
deve essere µ1 = µ2 = 0. Ciò significa che le condizioni si riducono alla
richiesta che sia
[2.56]
p1 = p2 = c
E1 = E2 = F/2;
è questo il caso in cui il first best è raggiungibile mediante una tariffa in
due parti uniforme, dal momento che l’imposizione di un canone pari a
F/2 non esclude nessun consumatore dal mercato.
2. La soluzione più interessante è però quella in cui S1 (p1 ) = E1 . In questo
caso, µ2 = 0 non è compatibile con la richiesta che tutti gli altri moltiplicatori siano positivi; dunque µ2 > 0 e (visto che i vincoli (a1) e (a2) non
possono essere soddisfatti contemporaneamente) µ1 = 0, da cui deriva che
µ2 = λ − 1; si ottiene infine la soluzione [2.53].
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
plicate per molti servizi di pubblica utilità: tali tariffe sono state spesso
fissate in modo da garantire l’uniformità del prezzo di accesso al servizio. Uniformità innanzitutto in relazione alla collocazione geografica
dell’utente: la fornitura di energia elettrica e di gas è stata garantita ad
uno stesso prezzo sia agli utenti residenti in città che a quelli residenti
in zone scarsamente popolate (montagna, isole ecc.), per i quali il costo
di fornitura è sensibilmente più elevato; il costo dei servizi di trasporto
è stato a lungo (ed è tuttora in molti casi) fissato con riferimento alla
distanza coperta, e non ad altre considerazioni legate al costo; e cosı̀
via. Le tariffe applicate contenevano cioè una componente rilevante di
sussidio incrociato tra diverse categorie di utenti e di beni.
L’uniformità del prezzo applicato non trova giustificazioni nel quadro dell’analisi presentata in questo capitolo. Dal punto di vista del surplus aggregato generato, un prezzo uniforme in presenza di costi (marginali) differenziati è dominato da uno schema di prezzi opportunamente
differenziati. E in effetti, una tendenza in corso degli ultimi anni è quella che vede progressivamente l’abbandono dell’uniformità a favore di
soluzioni tariffarie in cui il prezzo marginale applicato sia quanto più
vicino possibile al costo marginale.
Potremmo dunque ritenere che la soluzione tradizionale consistente nell’imposizione di tariffe uniformi sia semplicemente una soluzione
non efficiente, retaggio di un tempo in cui l’azione del regolamentatore
era guidata da considerazioni diverse, da vincoli di natura “politica”, o
semplicemente da una minore consapevolezza rispetto al problema dell’efficienza. A nostro avviso, tale risposta rischia però di risultare troppo
semplicistica, e non ci soddisfa del tutto. Senza la pretesa di affrontare in modo soddisfacente un argomento che meriterebbe una maggiore
attenzione, avanziamo qualche considerazione sulle ragioni che potrebbero giustificare l’adozione di tariffe uniformi in presenza di costi ed
elasticità di domanda differenziati.
trebbe vanificare l’effetto delle varie forme di discriminazione dei prezzi
introdotte.
La raccolta ed elaborazione di tali informazioni è costosa. Inoltre,
la previsione di tariffe differenziate per diversi servizi, nel caso in cui
comporti un menu ampio di tariffe per ciascun utente, può aumentare
considerevolmente i costi di ricerca e ingenerare incertezza sul prezzo
effettivamente applicato in una certa circostanza (si pensi ad uno schema di prezzi ferroviari in relazione alla tratta, l’orario, il tipo di mezzo
utilizzato ecc.).
Se teniamo conto di questi costi, che saranno tanto più elevati quanto maggiore è il grado di articolazione di una tariffa (e quindi la sua
vicinanza con la tariffa ottimale, che tiene conto di ogni aspetto rilevante relativo ai costi o alla domanda), esiste un punto oltre il quale
il guadagno di efficienza allocativa non giustifica ulteriori aumenti di
complessità.
Se questo è un aspetto di cui dobbiamo tenere conto, e che può in
parte spiegare la riluttanza ad abbandonare schemi tariffari semplici con
tariffe uniformi, non sembra però che l’argomento della semplicità sia
tanto forte da bastare a giustificare un prezzo uniforme.
Complessità degli schemi tariffari. L’imposizione di tariffe uniformi
ha il vantaggio della semplicità. Gli schemi tariffari considerati in questo capitolo si distinguono per una certa complessità; la determinazione della tariffa ottimale richiede, per essere determinata, una quantità
considerevole di informazioni da parte del regolamentatore (conoscenza
delle elasticità dei vari mercati, dei costi del monopolista ecc.), nonché
di informazioni da parte dei consumatori (tariffa applicata in relazione
all’orario e ad altre caratteristiche rilevanti), e infine richiede il controllo
rispetto alla possibilità di arbitraggio da parte degli acquirenti, che po-
Obiettivi redistributivi in presenza di informazione limitata. L’adozione di tariffe uniformi in presenza di costi differenziati, e quindi di sussidi incrociati, potrebbe giustificarsi sul piano dell’equità. Tale soluzione
deve però fare i conti con l’obiezione che tradizionalmente viene mossa ad ogni redistribuzione realizzata mediante un sussidio ai prezzi: a
tale sussidio è comunque preferibile un trasferimento monetario, meno
distorsivo dal momento che non include un effetto di sostituzione.
Si consideri il caso, molto comune, di un sussidio incrociato che,
applicando per le comunicazioni telefoniche una stessa tariffa su tutto
il territorio nazionale, favorisce i residenti in una zona di montagna. Il
vantaggio in termini di utilità derivante ai residenti in montagna sarebbe
ottenibile a costo inferiore mediante un sussidio monetario diretto a loro
favore, piuttosto che attraverso una distorsione nelle tariffe telefoniche,
che induce un’inefficienza di tipo allocativo. Ciascuno sarebbe “indennizzato” per il fatto di abitare in montagna ad esempio con uno sgravio
fiscale, ma dovrebbe pagare una bolletta più elevata, in cui il prezzo
è in linea con il costo effettivo sostenuto per l’utilizzo del servizio di
telefonia.
Mettiamo però che il governo desideri differenziare il sussidio in
relazione allo svantaggio che ciascuno soffre per il fatto di risiedere in
138
139
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
2. TARIFFAZIONE OTTIMALE
montagna; vorrà cioè indennizzare maggiormente coloro che, per l’attività svolta, sono costretti ad utilizzare in modo più intensivo il servizio
di telefonia. Ancora una volta potremmo applicare il ragionamento relativo alla superiorità dei trasferimenti monetari rispetto al sussidio dei
prezzi, ma dovremmo ora ipotizzare la possibilità per il regolamentatore di identificare in che misura ciascuno ha diritto al sussidio. Problemi
di natura informativa potrebbero rendere tale operazione impraticabile
o molto costosa.
Se il costo di abitare in montagna è correlato con l’utilizzo di certi
beni e servizi, differenziare il servizio in relazione all’uso dei servizi stessi potrebbe risultare una soluzione ottimale (di second best). Il
sussidio ai prezzi, benché distorsivo, potrebbe realizzare tale differenziazione, premiando maggiormente i maggiori utilizzatori del servizio
telefonico 35.
dividuo i l’obiettivo dell’azione redistributiva, bensı̀ la garanzia in sé
dell’accesso di i al bene o servizio in questione.
È chiaro che la definizione di quali beni debbano essere oggetto di
redistribuzione specifica è lasciata alla valutazione di ogni singola collettività, con un certo margine di arbitrarietà: ciò che vale per acqua ed
elettricità può non valere per telefonia e trasporti. In questo senso, la recente tendenza verso la ricerca di soluzioni più in linea con l’efficienza
andrebbe interpretata come un restringimento dell’area dei beni che si
ritiene debbano essere accessibili in modo uniforme da parte dei membri
di una collettività.
Per quanto gli argomenti presentati possano risultare in alcuni casi
convincenti, la tendenza in atto, lo ripetiamo, è quella di una sempre
maggiore articolazione delle tariffe, che è in molti casi riconducibile
alla ricerca di una maggiore efficienza allocativa.
Egualitarismo specifico e beni meritori. Gli obiettivi equitativi sono
stati in molti casi interpretati come perseguimento di quello che Tobin
(1970) ha denominato egualitarismo specifico: l’approvazione sociale
per un certo grado di diseguaglianza sarebbe cioè comunemente mitigata dalla tendenza a ritenere che alcuni particolari beni scarsi debbano
essere distribuiti agli individui in modo meno diseguale rispetto alla disponibilità a pagare degli individui stessi. Rispetto ad altre più convenzionali nozioni di egualitarismo, si sottolinea qui il fatto che l’eguaglianza vada limitata a particolari beni o categorie di beni, che corrispondono
alle necessità fondamentali dell’individuo (es. salute, istruzione ecc.).
In quest’ottica, l’imposizione di un prezzo uniforme ai beni e servizi “di pubblica utilità” dovrebbe essere direttamente collegata alla loro
natura di beni e servizi “meritori”, il cui consumo da parte di un individuo deve essere garantito indipendentemente dal reddito e, caso qui
rilevante, dalla sua collocazione geografica. Ciò è senz’altro plausibile per quanto riguarda l’erogazione di acqua, gas, elettricità all’utenza
residenziale.
Si noti che in un’ottica di egualitarismo specifico, essendo l’equità
definita direttamente in termini di consumo di particolari categorie di
beni, l’argomento a favore della superiorità del trasferimento monetario
perde di rilevanza, non essendo infatti un aumento dell’utilità dell’in-
Appendice
Derivazione della tariffa non lineare ottimale 36
Supponiamo che le differenze tra gli individui (il loro “tipo”) siano rappresentate dalla variabile θ , che assume valori nell’intervallo [θa , θb ], e
su questo intervallo è distribuita secondo una funzione di ripartizione
G(θ ), con funzione di densità g(θ ) e tale che G(θa ) = 0 e G(θb ) = 1.
Adottiamo una rappresentazione conveniente del modo in cui θ incide sulle decisioni di consumo assumendo che l’utilità del consumatore
di tipo θ in funzione della quantità consumata sia pari a θ V (q); la disponibilità marginale a pagare è crescente rispetto a θ , e cosı̀ la quantità
domandata in corrispondenza di ciascun prezzo (vale cioè la proprietà
di monotonicità forte).
Sia T (q) la tariffa fissata dal regolamentatore. Indichiamo con q(θ )
la quantità domandata dall’individuo del tipo θ in presenza di tale tariffa, sicché T (q(θ )) sarà l’esborso sostenuto. In effetti, scegliere la
tariffa equivale a scegliere quale quantità deve essere consumata da ciascun consumatore; possiamo dunque considerare q(θ ) come la variabile
di controllo oggetto di scelta da parte del regolamentatore. Nel caso in
cui il regolamentatore decida di escludere il consumatore del tipo θ , sarà
q(θ ) = T (q(θ )) = 0.
35. Il nostro ragionamento ricalca da vicino quello di Blackorby e Donaldson (1988),
relativo alla superiorità dei trasferimenti in natura rispetto a quelli monetari in un
contesto di asimmetria informativa.
36. L’argomento è sviluppato in modo ampio in Brown e Sibley (1986, Appendice
al cap. 5). Nella nostra trattazione, abbiamo adattato l’esposizione di Tirole (1988,
pp. 154 ss.) relativa all’ottima discriminazione di prezzo del monopolista.
140
141
3
Informazione e incentivi
In questo capitolo abbandoniamo l’ipotesi che il regolamentatore conosca la funzione di costo del monopolista, e vediamo come la presenza
di un’asimmetria informativa tra regolamentatore e regolamentato possa condizionare il raggiungimento degli obiettivi della regolamentazione
stessa. In presenza di asimmetria informativa, non possiamo più pensare
al monopolista come soggetto passivo delle decisioni del regolamentatore; egli avrà invece la possibilità di sfruttare strategicamente il proprio
vantaggio informativo per ottenere un profitto positivo, dipendente dal
suddetto vantaggio e perciò denominato nella letteratura economica rendita informativa. Come vedremo, parte del problema deriva dal fatto che
il tentativo del regolamentatore di ridurre tale rendita può scontrarsi con
gli obiettivi di efficienza allocativa e/o di minimizzazione dei costi di
produzione (efficienza produttiva).
L’asimmetria informativa, in presenza di avversione al rischio del
monopolista, può inoltre porre il problema dell’incentivazione alla minimizzazione dei costi anche nei termini di un trade-off tra ottima ripartizione del rischio e incentivi, trade-off che caratterizza il classico
problema del cosiddetto “azzardo morale”.
La teorizzazione economica si è concentrata, soprattutto nel corso
degli anni ottanta, sull’individuazione delle caratteristiche di uno schema regolatorio ottimale nei contesti descritti 1. Come il lettore si renderà
1. Per ripercorrere il dibattito di quegli anni, oltre ad una lettura dei contributi originali
citati in questo capitolo, e in primo luogo quelli di Baron e Myerson (1982) e di Laffont
e Tirole (1986), si consiglia la consultazione delle ottime rassegne di Caillaud et al.
(1988) e di Baron (1989). Anche una scorsa ai volumi di quegli anni del “Rand Journal
of Economics”, una rivista che è stata ed è su questi temi un riferimento di primo piano,
può risultare estremamente interessante. La trattazione sistematica più importante sulla
regolamentazione in presenza di asimmetria informativa è però senz’altro il testo di
Laffont e Tirole (1993) A theory of incentives in procurement and regulation, ove entro
147
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
presto conto, il livello della trattazione del presente capitolo, che cerca
di dar conto dei principali risultati raggiunti, ma soprattutto di costituire
un’introduzione a questo tipo di analisi, comporta un livello di complessità maggiore dei capitoli precedenti. Per converso, i risultati dell’analisi, sebbene di grande importanza sotto il profilo dello sviluppo della
teoria, possono lasciare un po’ delusi quanto a conseguenze applicative.
Volendo riassumere, possiamo individuare tre ordini di indicazioni
“pratiche” di carattere generale:
– il ricorso a menu di contratti da sottoporre alla scelta del monopolista
come meccanismo di estrazione dell’informazione privata;
– il ricorso a forme di regolamentazione “per comparazione”, nel caso in cui il regolamentatore si trovi a regolamentare più imprese in
contesti caratterizzati da condizioni ambientali “correlate”;
– l’importanza rivestita dalla possibilità per il regolamentatore di vincolarsi in modo credibile ad un certo schema regolatorio.
Il capitolo è cosı̀ organizzato: nel par. 3.1 illustriamo come la presenza di informazioni non accessibili da parte del regolamentatore consenta al monopolista di percepire una rendita, l’estrazione della quale
costituisce problema rilevante dal punto di vista sociale; il modello di
Baron e Myerson (1982) costituisce un’importante indicazione di come
tale rendita possa essere estratta in modo “ottimale” proponendo al monopolista la scelta di uno schema regolatorio entro un menu di schemi
opportunamente congegnati. Nel par. 3.2 si introduce il tema dell’efficienza produttiva, che emerge come dimensione rilevante qualora il
regolamentatore adotti schemi regolatori che prevedono una compartecipazione ai costi sostenuti dal monopolista. Il par. 3.3 è dedicato alla
cosiddetta regolamentazione per comparazione. Il par. 3.4 considera il
problema della scelta dell’ottimo livello di partecipazione ai costi del
monopolista quando questi manifesta avversione al rischio. Il par. 3.5
infine illustra, seppure ad un livello introduttivo, quali complicazioni
emergano qualora si voglia tenere conto della dinamica della regolamentazione in un contesto multiperiodale. Ad una trattazione approfondita di alcuni ben noti modelli di regolamentazione con informazione
asimmetrica è dedicata l’appendice.
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
3.1
L’estrazione della rendita informativa del monopolista
L’obiettivo relativo all’estrazione della rendita del monopolista ha a che
vedere con il fatto che un aumento del profitto da questi percepito non
viene considerato dal punto di vista sociale come un esito altrettanto
meritorio quanto un incremento del surplus dei consumatori. Come
osservano Loeb e Magat (1979), se il profitto pesasse quanto il surplus dei consumatori negli obiettivi del regolamentatore (se fosse cioè
α = 1 nella nostra funzione obiettivo), la presenza di un’asimmetria informativa non precluderebbe il raggiungimento di un livello efficiente
di produzione. Per illustrare questo punto, consideriamo il solito monopolista che deve fornire un certo bene utilizzando una tecnologia descritta dalla funzione di costo C, le cui caratteristiche non sono note al
regolamentatore.
Loeb e Magat propongono il seguente schema di remunerazione del
monopolista: in aggiunta al prezzo di vendita del bene, la cui fissazione
viene lasciata al monopolista stesso, questi riceverà dal governo un pagamento T (p) funzione del prezzo applicato e pari per ogni p al valore
monetario del surplus netto che i consumatori ricavano dal consumo del
bene. In termini formali si ha cioè T (p) ≡ S(p). Scegliendo un prezzo
p il monopolista ottiene dunque complessivamente un profitto pari a
[3.1]
pq(p) −C(q(p)) + T (p) = pq(p) − F − cq(p) + S(p)
dove abbiamo supposto che la funzione di costo del monopolista sia
C(q) = F + cq (costi marginali costanti). Questa funzione obiettivo è
la stessa che avevamo incontrato nel capitolo precedente presentando il
problema del regolamentatore in condizioni di first best. In altre parole,
il monopolista internalizza l’obiettivo sociale del regolamentatore.
Egli sceglierà dunque un prezzo tale che
[3.2]
S0 (p) + q + (p − c)
dq
=0
dp
un schema analitico unitario il lettore troverà affrontate in modo approfondito tutte le
tematiche su cui ci siamo sinteticamente soffermati nel presente capitolo.
cioè un prezzo p̂ pari al costo marginale c, che è il prezzo ottimale dal
punto di vista allocativo. Si noti che in questo modo il profitto del monopolista (la sua rendita) coincide con il surplus derivante dalla fornitura
del bene; questo è del resto il motivo per cui il monopolista sceglie la
quantità socialmente ottimale: massimizzando il surplus sociale egli non
fa altro che massimizzare il proprio profitto.
148
149
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
Naturalmente la soluzione di trasferire l’intero surplus al monopolista non può essere considerata socialmente accettabile per ragioni di tipo redistributivo. Tali ragioni sono esplicitate dall’ipotesi che sia α < 1
nella funzione obiettivo da noi adottata; in questo caso il trasferimento
di una lira di reddito dai consumatori al monopolista dà luogo ad una
perdita sociale pari a (1 − α ). Il contenimento della rendita del monopolista diventa un obiettivo del regolamentatore, al punto che (come
vedremo nel prossimo paragrafo) questi potrebbe decidere di sacrificarvi
parzialmente l’ottenimento dell’efficienza allocativa 2.
Notiamo che lo schema di Loeb e Magat ci permette di ottenere
un esito ottimale anche nel caso in cui al monopolista sia richiesto il
pagamento di un ammontare fisso M, per cui T (p) = S(p) − M. L’unica
condizione è che M sia appena inferiore al livello che non scoraggia del
tutto la partecipazione del monopolista, cioè che sia rispettato il vincolo
di profitti non negativi. Se il regolamentatore conoscesse il costo c, egli
potrebbe estrarre l’intera rendita semplicemente fissando M = S( p̂). In
condizioni di asimmetria informativa, c’è però il rischio che il costo sia
sottostimato dal regolamentatore, e la scelta di un valore di M troppo
alto spingerebbe il monopolista a non produrre del tutto, facendo cosı̀
perdere l’intero surplus. La necessità di limitare questo rischio fissando
M ad un livello prudentemente basso impedisce quindi di estrarre del
tutto la rendita del monopolista.
Il problema potrebbe trovare una soluzione se vi fosse la possibilità
di mettere all’asta il diritto a produrre, dando la concessione al monopolista che propone il massimo “sconto” M sul trasferimento T (p). Come
hanno messo in evidenza Sappington e Stiglitz (1987), se i partecipanti
all’asta hanno gli stessi costi (attesi) di produzione e sono avversi al rischio 3, il regolamentatore sarà in grado di garantire un esito di first best
anche in assenza di informazioni sulla tecnologia produttiva. Infatti,
per aggiudicarsi l’asta un’impresa dovrà offrire il massimo “sconto” M
compatibile con un profitto non negativo. L’asta opera come meccanismo ottimale di estrazione della rendita; attraverso l’asta indirettamente
i partecipanti rivelano l’informazione privata in loro possesso. Si tratta
evidentemente di una riproposizione dell’idea di Demsetz (1968), di cui
si è detto nel par. 1.4.
3.1.1. Il modello di Baron e Myerson (1982)
2. Ad analoghe conclusioni giungeremmo adottando la specificazione [2.11] del benessere sociale, che tiene conto dell’effetto distorsivo delle imposte (si rimanda a questo
proposito alla discussione svolta nelle pp. 98 ss.); in questo caso, l’avversione del regolamentatore alla concessione di una rendita positiva al monopolista è una conseguenza
del fatto che, con rendimenti di scala crescenti, tale rendita richiederebbe l’erogazione
di un sussidio. È il caso di rilevare che molti dei modelli che ci apprestiamo a presentare in questo capitolo sono stati sviluppati dai rispettivi autori con riferimento a
questa specificazione della funzione obiettivo; la scelta di una specificazione o l’altra
non modifica peraltro i risultati raggiunti.
3. I problemi posti dall’avversione al rischio saranno affrontati più avanti in questo
capitolo.
Se le condizioni per un funzionamento del meccanismo d’asta descritto non sono verificate (ad esempio perché manca un numero sufficientemente elevato di concorrenti), resta al regolamentatore il compito di
determinare il valore di M che realizzi l’ottimo trade-off tra rischio di
non partecipazione del monopolista e costo sociale della rendita informativa. Come mostreremo in questo paragrafo, il regolamentatore può
però aumentare il benessere sociale proponendo al monopolista un menu di “contratti” di regolamentazione tra cui scegliere, e spingendolo
per questa via a “rivelare” l’informazione privata in suo possesso.
Il modello che ci apprestiamo a presentare, elaborato da Baron e
Myerson (1982), è uno dei più noti all’interno di quel filone di ricerca
economica che applica al problema della regolamentazione gli schemi
analitici propri della cosiddetta “economia dell’informazione”. Nel corso degli ultimi due decenni, il problema di determinare la struttura ottimale di un “contratto” stipulato tra due parti in condizioni di asimmetria
informativa ha attratto l’attenzione di un numero consistente di economisti. Il contesto della regolamentazione si presenta a questo proposito
come un “caso” in qualche modo esemplare di questo problema.
Chiariamo innanzitutto qual è la struttura dell’interazione tra regolamentatore e monopolista ipotizzata da questo tipo di modelli: si suppone che il regolamentatore compia la prima mossa, offrendo uno schema
di regolamentazione al monopolista. L’offerta è del tipo “prendere o
lasciare”, e dunque il monopolista deve accettare il contratto proposto
dal regolamentatore cosı̀ come è, oppure deve rinunciare del tutto ad
operare. D’altra parte, si suppone che il regolamentatore sia in grado
di impegnarsi in modo credibile a rispettare tale contratto ex post, una
volta che esso è stato proposto al monopolista.
Uno schema di regolamentazione si compone in questo contesto di
un menu di possibili configurazioni di prezzo e sussidio, tra cui l’impresa è chiamata a scegliere. Il problema è quello di congegnare lo schema
150
151
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
per ciascun c0 6= c.
Limitandoci a considerare due soli possibili valori di c, che indicheremo con c1 e c2 , e tali che c1 < c2 , indichiamo con (pk , Tk ) la soluzione
prevista per il monopolista con costo ck .
Il vincolo di compatibilità negli incentivi relativo al caso in cui il
costo sia c1 è dunque
in modo che l’impresa ceda almeno in parte la propria rendita informativa; vedremo che tale obiettivo può essere raggiunto solo a scapito dell’efficienza allocativa, e dunque la soluzione ottimale deve individuare
l’ottimo trade-off tra efficienza ed estrazione della rendita.
Uno schema di regolamentazione determina un prezzo p imposto al
monopolista e un trasferimento T . I valori ottimali di p e T dipendono
dal valore assunto dal costo marginale. Ipotizziamo che la funzione di
costo sia nella forma C(q) = cq + F con costo marginale costante, e supponiamo che l’asimmetria informativa riguardi c, che è noto al monopolista prima della fissazione dello schema di regolamentazione, ma non è
noto al regolamentatore. Sia invece F osservabile; in questo caso possiamo supporre che sia rimborsato al monopolista dal regolamentatore
con un trasferimento ad hoc, e trascurarlo nell’analisi che segue. Come
già abbiamo rilevato nel capitolo precedente, in presenza di sussidi l’esistenza di un costo fisso è peraltro irrilevante ai fini della determinazione
dello schema tariffario ottimale. Prendiamo dunque in considerazione
il profitto al netto dei costi fissi, ragionando come se fosse F = 0. Il
profitto del monopolista è quindi (p − c)q(p) + T .
Lo schema di regolamentazione, in quanto prevede un valore di p
e di T in funzione del costo marginale c, è rappresentabile come una
coppia di funzioni (p(c), T (c)).
Se il valore di c fosse noto al regolamentatore, questi potrebbe molto
semplicemente imporre al monopolista un prezzo pari al costo marginale
c e fissare T (c) ≡ 0. A quel prezzo il monopolista produrrebbe la quantità q̄ socialmente ottimale, e percepirebbe un profitto nullo: avremmo
cioè il risultato di first best. Tale risultato non è però ottenibile dal momento che c non è noto. Il regolamentatore potrebbe certo chiedere al
monopolista di comunicargli c, ma il monopolista avrebbe tutto l’incentivo a mentire, dichiarando un valore più elevato di quello effettivo: è
evidente che una volta stabilito p = ĉ (dove ĉ è la dichiarazione del monopolista) il monopolista otterrebbe un profitto pari a (ĉ − c) per ogni
unità prodotta. Lo schema (p(ĉ), T (ĉ)) ≡ (ĉ, 0) darebbe quindi risultati
insoddisfacenti.
Volendo fornire al monopolista un’opzione tariffaria diversa a seconda del livello di costo, il menu di possibili tariffe va congegnato in
modo che siano rispettati i vincoli di compatibilità negli incentivi. L’opzione (p(c), T (c)) deve essere cioè tale che, se il costo è c, il monopolista ottenga un profitto almeno pari al profitto che egli potrebbe ottenere
scegliendo una diversa opzione, cioè scegliendo (p(c0 ), T (c0 )), e questo
Notiamo che il rispetto del vincolo [3.5], unito al fatto che π2 ≥ 0 e
che c1 < c2 , ci assicura del fatto che π1 ≥ 0, e dunque il vincolo di
partecipazione relativo al monopolista più efficiente è ridondante.
Inoltre, ci aspettiamo che il problema sia quello di evitare che il monopolista possa trovare convenienza a dichiarare un costo più alto del
costo effettivo, mentre è poco verosimile che si presenti la situazione
opposta in cui il monopolista voglia dichiarare c1 quando il costo è c2 ;
avanziamo dunque la congettura che solo il vincolo [3.5] risulti stringente in corrispondenza dell’ottimo. Trascuriamo dunque il vincolo [3.6],
salvo controllare successivamente che esso sia effettivamente verificato.
152
153
[3.3]
(p1 − c1 )q(p1 ) + T1 ≥ (p2 − c1 )q(p2 ) + T2
dove qk = q(pk ). Indicando con πk il profitto del monopolista del tipo k
sottoposto allo schema (pk , Tk ), ovvero
[3.4]
πk = (pk − ck )qk + Tk ,
il vincolo [3.3] diventa
[3.5]
π1 ≥ π2 + (c2 − c1 )q2
mentre il vincolo corrispondente al caso in cui il costo sia c2 è
[3.6]
π2 ≥ π1 + (c1 − c2 )q1 .
Il monopolista può anche decidere di rifiutare lo schema offertogli. In
questo caso egli otterrà il “livello di riserva” di profitti, livello che supponiamo essere pari a zero. Della possibilità di un rifiuto deve tenere
conto il regolamentatore nella formulazione della sua offerta, garantendo al monopolista un profitto atteso non negativo. Se il regolamentatore
vuole evitare il rischio che la produzione non abbia luogo, devono essere
rispettati i vincoli di partecipazione
[3.7]
πk ≥ 0
k = 1, 2.
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
Visto che, una volta fissati pk e Tk , restano univocamente determinati
la quantità e il profitto del monopolista, qk e πk caratterizzano univocamente lo schema di regolamentazione, e possiamo risolvere il problema
come se il regolamentatore fissasse direttamente tali variabili.
Nel caso specifico, conviene ricorrere ad una formulazione del surplus dei consumatori in funzione della quantità; tale formulazione è più
adeguata all’analisi che segue, e corrisponde a quella originariamente
utilizzata nei modelli che qui saranno presentati. Ricordiamo a questo
proposito che
dove x e 1 − x sono le probabilità attribuite dal regolamentatore all’ipotesi che il costo sia pari rispettivamente a c1 e a c2 . Il regolamentatore
deve massimizzare la [3.11] rispetto alle variabili q1 e q2 ; si noti che ci
siamo ricondotti ad un problema di ottimizzazione non vincolata, le cui
condizioni del primo ordine sono
S = V (q) − R(q) − T
Ricordando che V 0 (qk ) = pk , tali condizioni affermano che lo schema tariffario ottimale comporta la fissazione di un prezzo pari al costo marginale se questo assume il valore più basso c1 , mentre si ha una distorsione
del prezzo se esso è pari al valore più elevato c2 .
Si noti che, visto che in corrispondenza dell’ottimo risulta q1 > q2
(è immediato verificarlo, dal momento che V 0 (q) è decrescente nel suo
argomento e c1 < c2 ), il vincolo [3.6] è soddisfatto, cosı̀ come avevamo
congetturato.
Utilizzando la definizione di πk , calcoliamo l’ammontare dei trasferimenti, che risultano essere
[3.8]
dove V (q) e R(q) sono rispettivamente il surplus lordo dei consumatori
e il prezzo complessivo corrispondenti ad una quantità q del bene; il surplus lordo rappresenta come sappiamo l’area sottostante la curva inversa
di domanda p(q), e per ogni q si ha V 0 (q) = p(q).
L’obiettivo del regolamentatore è quello di massimizzare il benessere sociale S + απ (più precisamente, dal momento che il benessere
sociale dipende da variabili che il regolamentatore non conosce con certezza, si tratta di massimizzare il suo valore atteso). Volendo esplicitare
nell’espressione del benessere sociale la variabile π , è utile riformulare
tale espressione come
[3.9]
V (q) − cq − (1 − α )π ;
il valore atteso della [3.9] va massimizzato nel rispetto dei vincoli
[3.10]
π2 ≥ 0
π1 ≥ π2 + (c2 − c1 )q2 .
Visto che il benessere sociale dipende negativamente da π1 e π2 , il regolamentatore deve fissare tali variabili al minimo livello possibile; ne
segue che i vincoli dovranno essere entrambi soddisfatti con il segno di
uguaglianza, e quindi π2 = 0 e π1 = (c2 − c1 )q2 . Osserviamo che in
corrispondenza dell’ottimo, il monopolista del tipo 2 consegue profitti
nulli, mentre il monopolista del tipo 1 riceve un profitto positivo; tale
profitto, in quanto ottenuto in virtù del vantaggio informativo goduto
dal monopolista, è denominato rendita informativa.
Calcolando il valore atteso della [3.9] e sostituendo i valori di π1 e
π2 , abbiamo la seguente funzione obiettivo
[3.11] x [V (q1 ) − c1 q1 − (1 − α )(c2 − c1 )q2 ] + (1 − x) [V (q2 ) − c2 q2 ]
154
[3.12]
[3.13]
[3.14]
[3.15]
V 0 (q1 ) = c1
x
V 0 (q2 ) = c2 +
(1 − α )(c2 − c1 ).
1−x
T1 = (c2 − c1 )q2
x
(1 − α )(c2 − c1 )q2 .
T2 = −(p2 − c2 )q2 = −
1−x
Per comprendere a fondo il risultato raggiunto, è utile fare ricorso ad
un’esposizione grafica del modello.
Nella figura 3.1a abbiamo rappresentato la situazione nel caso di
perfetta informazione da parte del regolamentatore. In assenza di asimmetria informativa, il regolamentatore imporrebbe semplicemente pk =
ck ; avremmo in questo caso efficienza allocativa e assenza di rendite (il
profitto del monopolista sarebbe nullo) 4.
In presenza di asimmetria informativa, il regolamentatore deve basarsi sulla dichiarazione del monopolista relativamente al valore di c.
Se il regolamentatore continuasse ad applicare lo schema di first best, vi
4. Nella formulazione sopra adottata, la soluzione analitica nel caso di simmetria informativa si ottiene trascurando i vincoli di compatibilità negli incentivi e tenendo conto
soltanto dei vincoli di partecipazione: πk ≥ 0 per k = 1, 2; dato che questi vincoli sono
entrambi stringenti, le condizioni del primo ordine sono V 0 (qk ) = ck per k = 1, 2.
155
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
FIGURA 3.1
Il modello di Baron e Myerson nel caso di due soli valori
(a) First best
P2 = c2
P1 = c1
A
q2
q1
q
(b) Second best
P2
c2
P1 = c1
D
A0
B
q2
q1
q
sarebbe per il monopolista l’incentivo a dichiarare c2 anche se il costo è
c1 : in questo modo percepirebbe infatti un profitto (rendita informativa)
pari all’area A nella figura 3.1a. Il costo sociale di questa errata dichiarazione sarebbe dato dalla somma dell’area del triangolo ombreggiato
(perdita secca di benessere dovuta al fatto che p1 > c1 ) e dell’area A
“pesata” con il parametro (1 − α ).
Osserviamo innanzitutto che rispetto a questa situazione il regolamentatore potrebbe “fare meglio” incentivando il monopolista a dire la
verità sui propri costi. Per ottenere una dichiarazione veritiera, il regolamentatore può promettere un “premio” al monopolista se questi dichiara c1 . Se il premio è pari almeno all’area A, il monopolista con
c = c1 dichiarerà la verità, in quanto cosı̀ facendo otterrà comunque la
rendita informativa (questa volta sotto forma di un trasferimento diretto
T1 ). D’altra parte, anche in presenza di tale premio, il monopolista non
156
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
ha nessun incentivo a dichiarare c1 se il suo costo è c2 . In presenza di
asimmetria informativa lo schema di regolamentazione descritto è perciò superiore dal punto di vista del benessere sociale allo schema di first
best, dal momento che, pur lasciando invariata la rendita del monopolista, elimina la perdita secca di benessere rappresentata dall’area del
triangolo 5.
Sebbene il nuovo schema realizzi l’efficienza allocativa, esso può risultare comunque socialmente molto oneroso, vista l’entità della rendita
che deve essere concessa al monopolista al fine di indurlo a dire la verità. Potrebbe allora essere socialmente vantaggioso ridurre tale rendita,
anche se al prezzo di un allontanamento dalle condizioni di efficienza
allocativa. Si consideri dunque un terzo schema di regolamentazione
che fissi p2 > c2 , come nella figura 3.1b, e contemporaneamente stabilisca un valore negativo di T2 tale da compensare esattamente il maggiore
profitto per l’impresa con costi c2 (nella figura, tale trasferimento è rappresentato dall’area D). Rispetto allo schema visto in precedenza, abbiamo introdotto un’inefficienza nel livello produttivo del monopolista
se il costo è c2 , inefficienza rappresentata dal triangolino ombreggiato. D’altra parte, abbiamo diminuito la somma necessaria per indurre il
monopolista a non mentire se il costo è c1 : infatti, dichiarando c2 se il
costo è c1 , il monopolista otterrebbe un profitto pari soltanto all’area A0
(il profitto è pari alla somma di A0 e D, ma deve essere pagato T2 pari
all’area D). La rendita che deve essere garantita al monopolista con c1
diminuisce dunque di un ammontare pari al rettangolo B in figura. Dovrebbe emergere chiaramente dal grafico che, finché la differenza tra P2
e c2 è contenuta, il benessere sociale nel complesso risulta aumentato.
Dalla [3.13] risulta che la misura della distorsione di P2 al di sopra
di c2 in grado di garantire il massimo benessere sociale è pari a
[3.16]
p2 − c2 =
x
(1 − α )(c2 − c1 ).
1−x
5. Quanto detto richiama un risultato estremamente importante relativo ai problemi
con informazione asimmetrica, noto come principio di rivelazione. Tale principio afferma che per ogni schema contrattuale che induce la parte informata ad inviare un segnale
falso alla parte non informata (in questo caso, a dichiarare c2 anche se il costo è c1 ), è
possibile trovare un contratto che induce la parte informata ad inviare un segnale veritiero e al tempo stesso garantisce un livello di efficienza non inferiore a quello del primo
contratto. Nell’appendice, quando il modello di Baron e Myerson sarà sviluppato nel
caso generale, il ruolo svolto da tale principio nell’individuazione del contratto ottimale
risulterà evidente.
157
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
Essa dipende dunque:
– negativamente dal valore di α : quanto minore è α tanto maggiore è il
beneficio sociale derivante da una riduzione della rendita;
– positivamente dalla probabilità x: quanto più è probabile che il costo
effettivo sia c2 , tanto più peserà sul benessere sociale atteso la perdita
netta rappresentata dall’area del triangolo ombreggiato, e tanto meno
peserà la rendita informativa.
Finora la nostra trattazione ha preso in considerazione il problema dell’efficienza allocativa, mentre ha trascurato la possibilità che vi fosse
inefficienza dal punto di vista produttivo. L’inefficienza produttiva (a
volte denominata inefficienza-X) si può definire come mancata minimizzazione dei costi di produzione (per un dato livello di output, laddove
l’inefficienza allocativa ha a che vedere con il livello di output prodotto). L’asimmetria informativa riguardava la tipologia dell’impresa, il
fatto che i costi da essa sopportati fossero più o meno elevati, nell’ipotesi che tali costi fossero però sempre quelli minimi possibili per l’impresa
soggetta a regolamentazione.
La mancata minimizzazione dei costi può dipendere da un inefficiente utilizzo degli input produttivi (inefficienza “tecnica”), per cui con
gli stessi input l’impresa potrebbe produrre un livello di output superiore; oppure dalla scelta di una errata combinazione degli stessi, per cui, ai
prezzi correnti, l’impresa potrebbe ridurre i costi utilizzando una diversa
tecnica produttiva (ad es. in presenza di un aumento del prezzo del petrolio l’impresa potrebbe disporre di energia a costi inferiori utilizzando
le fonti alternative).
In generale l’ipotesi di efficienza produttiva è giustificata laddove
possiamo assumere che l’impresa persegua la massimizzazione del profitto; la ricerca del profitto costituisce infatti un incentivo adeguato alla
minimizzazione dei costi, dal momento che la seconda è una condizione
per la prima. In molti casi, però, chi effettivamente prende le decisioni
che incidono sui costi persegue obiettivi diversi dalla massimizzazione
del profitto. Il caso tipico è quello di una grossa impresa in cui si ha
separazione tra proprietà e controllo; un’altra possibilità è quella che il
profitto venga (in tutto o in parte) sottratto all’impresa, o che all’impre-
sa venga imposto (ad es. dal regolamentatore) un obiettivo diverso dal
profitto.
La definizione degli strumenti migliori per incentivare il management ad agire nell’interesse della proprietà è stato ed è oggetto di studio
da parte degli economisti e degli studiosi di scienze aziendali. Un’opinione largamente condivisa a questo proposito è che la presenza di
competitori sul mercato aumenti gli incentivi all’efficienza, visto che
una minore efficienza si traduce in perdita di competitività e rischio di
essere estromessi dal mercato; viceversa, il fatto che l’impresa operi
in un contesto monopolistico spinge il management ad adagiarsi sullo sfruttamento della propria posizione di rendita. Pur non affrontando in modo sistematico l’intera problematica, sul rapporto tra presenza
di competitori e incentivi all’efficienza torneremo più avanti in questo
capitolo.
Gli aspetti che sembrano maggiormente rilevanti dal punto di vista
della teoria della regolamentazione sono da una parte il rapporto esistente tra incentivi all’efficienza e forma proprietaria (es. monopolio pubblico o privato), e dall’altra il diverso potere incentivante implicito nelle
differenti modalità di regolamentazione. Tralasciando il primo aspetto,
in questo paragrafo intendiamo concentrarci sulla questione di come le
caratteristiche di uno schema di regolamentazione possano influenzare
l’incentivo all’efficienza produttiva.
Dovrebbe essere chiaro innanzitutto che il problema dell’efficienza produttiva, per un monopolio soggetto a regolamentazione, si può
presentare in quanto:
– lo schema di regolamentazione determina in qualche misura una compartecipazione del governo o dei consumatori ai profitti realizzati o ai
costi sostenuti dall’impresa;
– il regolamentatore ha uno svantaggio informativo di un qualche tipo
rispetto al management dell’impresa regolamentata.
A scopo illustrativo, consideriamo il caso di un regolamentatore
che voglia regolamentare un monopolista monoprodotto. Per introdurre esplicitamente l’efficienza produttiva, ipotizziamo che il monopolista
(trascuriamo in questo contesto la distinzione tra proprietario e manager) abbia la possibilità di ridurre il costo marginale, che ipotizziamo
costante e indichiamo con c; assumiamo cioè che sia c = θ − e con
e ≥ 0, dove θ , il costo marginale quando e è minimo (e = 0), dipende
dalle condizioni “ambientali” ed è fuori dal controllo del monopolista; e
è invece deciso dal monopolista, e può essere interpretato come il livel-
158
159
3.2
Incentivi e inefficienza produttiva
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
lo di impegno o “sforzo” sostenuto dal monopolista per ridurre i costi
di produzione, misurato direttamente in termini di riduzione del costo
marginale che da tale impegno deriva. Un livello maggiore di impegno
costa al monopolista in termini di ritmi di lavoro più elevati, rinuncia a
spese di rappresentanza in eccesso, rapporti più difficili con i dipendenti
o i sindacati ecc.; indichiamo dunque con la funzione ψ (e) il costo dell’impegno per il monopolista, e assumiamo che sia ψ (0) > 0, ψ 0 > 0 e
ψ 00 > 0.
Nella determinazione dell’ottimo sociale, dobbiamo tenere conto
del fatto che il costo marginale dipende ora da e; la soluzione ottimale
si ottiene massimizzando rispetto a p e ad e l’espressione del benessere
sociale (nell’ipotesi che siano possibili sussidi al monopolista) 6
dunque e = 0 (mentre il trasferimento coprirà un costo fisso pari a ψ (0)).
Il prezzo sarà fissato al livello p = c = θ . Confrontando tale esito con
l’ottimo sociale, osserviamo che il costo marginale è più elevato, e dunque si ha inefficienza produttiva, e si verifica, essendo il prezzo più alto,
una perdita di surplus del consumatore.
In alternativa all’adozione dello schema descritto, il regolamentatore potrebbe fissare il prezzo al livello p̄, indipendentemente dal livello
realizzato di c. In questo caso il monopolista, nell’ipotesi che conosca
θ prima di aver deciso il valore di e, si troverebbe a massimizzare
S(p) + [pq(p) − (θ − e)q(p) + ψ (e)];
6. In particolare, ipotizzando che il costo fisso F sia coperto da un sussidio ad hoc
da parte del regolamentatore, si può trascurare tale variabile nella specificazione del
problema del regolamentatore.
il valore di e che risolve tale problema è anche quello che minimizza il
costo complessivo, e soddisfa la condizione ψ 0 (e) = q. Tale condizione
coincide con l’ottimo sociale (solo) se il regolamentatore fissa p̄ = θ −
e∗ .
I due casi considerati corrispondono a due soluzioni in qualche modo estreme dal punto di vista degli incentivi al contenimento dei costi:
nel primo caso, il monopolista viene espropriato dell’intero incremento
di profitto che deriva da una riduzione dei costi, dal momento che tale
incremento è trasferito sui prezzi. Nel secondo caso, la riduzione dei
costi si traduce integralmente in un aumento dei profitti, e l’incentivo
all’efficienza è dunque massimo.
Si badi che nel primo tipo di schema, se il regolamentatore avesse la
possibilità di osservare θ (oppure direttamente e), egli potrebbe indurre
un livello efficiente di sforzo “punendo” il monopolista quando il costo
è superiore a θ − e∗ . Ipotizzeremo però che θ ed e non siano osservabili
da parte del regolamentatore; questi, pur osservando il costo c, non è in
grado di distinguere le determinanti di tale costo; non può cioè stabilire
se un costo elevato dipende dalle circostanze avverse o da uno scarso
impegno del management.
Se e non è osservabile (né direttamente né indirettamente tramite
l’osservazione di θ ), il livello di impegno sarà scelto autonomamente
dal monopolista in un’ottica di massimizzazione del profitto individuale,
e potrebbe dunque non coincidere con il livello efficiente individuato.
La scelta terrà conto da un lato del costo di “produzione” di e, cioè
ψ (e), dall’altro di quanto un aumento del costo marginale c si traduce
in un minore profitto, e dunque, come abbiamo visto, dello schema di
regolamentazione adottato.
160
161
[3.17]
si noti che tra i costi abbiamo tenuto conto anche di quelli sostenuti dal
monopolista per ridurre il costo marginale. Otteniamo, in aggiunta alla
condizione di eguaglianza tra prezzo e costo marginale, cioè p = c =
θ − e, la seguente condizione
[3.18]
ψ 0 (e) = q(p),
per cui costo e ricavo marginali derivanti da un aumento di e devono
eguagliarsi. Indichiamo con e∗ e p∗ i valori del prezzo e dell’impegno
che realizzano l’ottimo sociale. Il trasferimento erogato all’impresa sarà
tale da rendere nulli i profitti, cioè pari a ψ (e∗ ).
Ipotizziamo ora che il regolamentatore voglia imporre tale soluzione
al monopolista, e decida di farlo fissando un prezzo pari al costo marginale osservato c ed effettuando un trasferimento a copertura dei costi
fissi; tale schema, che prevede la fissazione di prezzi e trasferimento in
modo da coprire i costi sostenuti, è detto comunemente cost-of-service.
Quale sarà il livello di sforzo erogato dal monopolista dato lo schema descritto? Osserviamo che una diminuzione di c si traduce in una
eguale diminuzione di p, e pertanto non procura al monopolista alcun
vantaggio; riduzioni nel costo non si traducono in aumenti del suo profitto, ma vengono interamente trasferiti sui prezzi. Il livello scelto sarà
[3.19]
max p̄q( p̄) − (θ − e)q( p̄) − ψ (e);
e
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
3. INFORMAZIONE E INCENTIVI
Lo schema del tipo cost-of-service, che tiene conto delle variazioni
del costo al punto che esse si traducono automaticamente in variazioni
nello stesso segno e misura dei ricavi del monopolista, fornisce incentivi minimi all’efficienza produttiva. D’altra parte, senza la conoscenza di θ da parte del monopolista, anche l’adozione dello schema con
prezzo fisso si rivela problematica. Questo schema infatti induce il monopolista a minimizzare il costo di produzione, ma al regolamentatore
resta il problema di scegliere un livello di p̄ che coincida ex post con
il costo marginale realizzato, e che induca quindi un esito efficiente dal
punto di vista allocativo; visto che tale p̄ dipende da θ , e questa informazione non è disponibile al monopolista, si ripresenta in questo caso
il trade-off già esaminato tra efficienza allocativa ed estrazione della
rendita informativa 7.
I due schemi in questione sono comunque ben lungi dall’esaurire le
possibili soluzioni disponibili al regolamentatore. Innanzitutto, il regolamentatore potrebbe prevedere una regola di fissazione del prezzo per
cui il livello del costo marginale realizzato si riflette solo parzialmente
sui prezzi. Indicando con p(c) il prezzo imposto dal regolamentatore
al monopolista come funzione del costo marginale di produzione realizzato ed osservato ex post, p0 (c) ci dà un’indicazione sulla misura del
cost-passthrough (trasferimento automatico di una variazione dei costi
sui prezzi). Limitandoci per semplicità al caso lineare, la forma generale è p(c) = p̄ + γ c, dove 0 ≤ γ ≤ 1; chiaramente, γ = 1 corrisponde alla
soluzione cost-of-service.
Un’altra possibilità è che il costo realizzato si rifletta sul trasferimento erogato al monopolista, per cui T = T (C) dove C = cq è il costo
complessivo (al netto di ψ (e)). Consideriamo anche in questo caso una
relazione lineare T (C) = t0 + tC con t > 0; la soluzione cost-of-service
rappresenta il caso estremo in cui t = 0. Ipotizzando che la regola di
prezzo sia p = c, i profitti del monopolista sono pari a
cost-plus, mentre è detto fix-price il caso in cui all’estremo opposto il
rimborso ricevuto dal monopolista è in somma fissa (t = 0) 8.
Nel par. 3.2.1 presenteremo un modello ormai celebre, formulato
in una prima versione da Laffont e Tirole (1986), che illustra come la
regola di rimborso possa essere opportunamente utilizzata come strumento per spingere il monopolista a rivelare l’informazione privata in
proprio possesso. Il modello individua le caratteristiche dello schema
di regolamentazione ottimale in presenza di un’asimmetria informativa
del tipo sopra descritto. La principale conclusione operativa, come vedremo, è che l’ottimo trade-off tra estrazione della rendita informativa
e raggiungimento dell’efficienza produttiva richiede che all’impresa sia
in generale proposta una soluzione intermedia tra i due casi estremi dei
contratti fix-price e cost-plus, e dunque nell’ottimo si dovrà tollerare un
certo grado di inefficienza produttiva.
[3.20]
(p − c)q + T (C) − ψ (e) = t0 − (1 − t)C − ψ (e);
3.2.1. Efficienza produttiva ed estrazione della rendita
quando il costo è osservabile
Il modello che ci apprestiamo a presentare considera una situazione come quella sopra descritta, in cui il regolamentatore osserva c ma non
conosce θ ed e. Si assume inoltre che θ sia noto al monopolista prima
della scelta dello schema di regolamentazione, e questa ipotesi caratterizza il problema come uno di informazione nascosta, in cui l’obiettivo del regolamentatore è quello di stipulare un “contratto” in grado
di spingere il monopolista a rivelare l’informazione privata in proprio
possesso.
Rispetto al contesto descritto dal modello di Baron e Myerson, l’osservabilità di c rende disponibile un segnale aggiuntivo, cui è possibile
condizionare la fissazione del prezzo e del trasferimento al monopolista; l’utilizzo di tale informazione è senz’altro ottimale, in quanto contribuisce a ridurre il vantaggio informativo del monopolista. Tuttavia,
condizionare il trasferimento all’osservazione di c, se da un lato aumen-
7. Restringendo la scelta del regolamentatore agli schemi in cui il prezzo e il sussidio
al monopolista non dipendono dal valore osservato di c, il problema si riduce evidentemente ad una versione di quello già esaminato nello scorso paragrafo, con riferimento
al modello di Baron e Myerson.
8. Tale terminologia, più che al caso della regolamentazione di un monopolista che
vende i propri servizi sul mercato, si riferisce di solito all’ipotesi di contratti di fornitura (procurement) in cui l’acquirente (unico) dell’output dell’impresa è il governo;
in questo caso, i ricavi dell’impresa consistono esclusivamente del trasferimento dal
governo, e assumono tipicamente forme intermedie tra cost-plus e fix-price. Forzando un po’ l’analogia, e facendo astrazione della differenza tra ricavi dalla vendita del
bene sul mercato e trasferimenti diretti, abbiamo esteso tale terminologia al caso della
regolamentazione.
162
163
un “contratto” tra regolamentatore e monopolista che prevede un rimborso integrale dei costi sostenuti (t = 1) è comunemente denominato
4
Relazioni verticali tra competitori
I processi di riorganizzazione che stanno investendo i settori di pubblica utilità in tutte le economie avanzate sono basati sull’ipotesi che solo
alcune fasi della filiera produttiva siano caratterizzate da condizioni di
monopolio naturale, mentre le altre attività necessarie alla fornitura potrebbero essere esercitate in regime di concorrenza. Questo ha condotto
all’elaborazione di soluzioni organizzative il cui tratto comune è la separazione tra le fasi potenzialmente competitive, che vengono liberalizzate, e quelle caratterizzate da monopolio naturale, tipicamente l’utilizzo
di alcune reti, la cui duplicazione è impossibile o inefficiente.
L’aspetto fondamentale in cui le soluzioni adottate nei diversi paesi
si differenziano è la modalità con cui la separazione è realizzata. Ad un
estremo vi è la separazione strutturale tra i due tipi di attività: in questo caso l’attività di un’impresa consiste esclusivamente nella fornitura
dell’accesso alla rete a tutte le imprese che competono nella fornitura
di servizi per cui la rete è un input. L’elemento qualificante di un tale
assetto è l’impossibilità per il fornitore dei servizi della rete di entrare
nel mercato della fornitura dei prodotti finali rispetto ai quali la rete è un
input. All’estremo opposto vi è la situazione in cui la separazione tra fasi competitive e non competitive è realizzata attraverso un meccanismo
di natura regolatoria.
Negli assetti organizzativi basati sulla concorrenza l’intervento regolatorio è necessario nella definizione dell’insieme di relazioni tecniche ed economiche tra reti concorrenti, a cui nel resto del capitolo si
fa riferimento genericamente con il termine “accesso” o “interconnessione”. Poiché in molti casi l’interconnessione non avviene attraverso
l’acquisto di servizi già forniti dall’operatore preesistente, la regolamentazione si estende fino alla definizione dei servizi che devono essere offerti, cioè alla creazione d’autorità di mercati per i servizi intermedi. Ne
segue che le interazioni tra elementi economici e tecnici sono assai più
199
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
determinanti in questo contesto che nella regolamentazione dell’offerta
di servizi finali in assetti monopolistici integrati.
In questo capitolo sono analizzate le interazioni tra regolamentazione e competizione nell’ambito dei rapporti tra imprese operanti a livelli diversi della filiera produttiva. Nel par. 4.1 l’analisi è riferita ad un
assetto verticalmente non integrato del settore, in cui cioè l’attività di
un’impresa consiste esclusivamente nella fornitura dell’accesso alla rete a tutte le imprese che competono nella fornitura di servizi per cui
la rete è un input necessario. In questo caso il problema regolatorio è
circoscritto al controllo del potere di mercato del fornitore dei servizi
della rete nei confronti dei fornitori di servizi, rispetto ai quali il primo
si trova in posizione di monopolio. Nei paragrafi successivi l’analisi è
riferita ad un assetto verticalmente integrato, in cui il gestore della rete
opera sia come fornitore unico di un input necessario ai produttori di
servizi finali, sia come competitore sul mercato dei servizi finali. Nel
par. 4.2 viene introdotta la nozione di essential facility e sono caratterizzati i prezzi ottimali di un input fornito ai competitori. Nel par. 4.3 si
accenna alle interazioni tra la concorrenza sul mercato del bene finale e
la regolamentazione dell’impresa integrata che emergono se si introduce
nell’analisi uno svantaggio informativo del regolatore rispetto all’impresa che controlla input necessari per i suoi concorrenti nella fornitura dei
servizi finali. L’ultimo paragrafo raccoglie alcune osservazioni.
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
FIGURA 4.1
Schema di rete telefonica fissa
a1
a2
a3
b1
LD1
CLA
a4
CLB
LD2
b2
b3
Nella figura 4.1 è illustrata una configurazione semplificata di una rete
telefonica fissa. Ciascun segmento di rete ai o bi (un local loop) collega
un utente con la centrale telefonica locale, rispettivamente CLA o CLB ,
che lo serve. La centrale locale e i segmenti finali di rete attraverso cui
gli utenti sono collegati ad essa costituiscono la rete telefonica locale.
La porzione di rete che collega tra loro centrali locali situate in località
diverse è la rete di lunga distanza; nella figura sono riportate due reti di
lunga distanza alternative, LD1 e LD2 , per il collegamento tra loro delle
reti locali A e B. Allo stato attuale della tecnologia e date le caratteristiche delle infrastrutture già installate con investimenti irreversibili, la
duplicazione del local loop come modalità di entrata competitiva nella
fornitura di servizi locali non appare generalmente economica (si veda
il capitolo 7). La domanda di servizi di lunga distanza e la tecnologia
per la fornitura di tali servizi sono invece tali da giustificare la presenza di più di una rete tra cui si ripartiscono le comunicazioni di lunga
distanza tra le reti locali A e B. La fornitura di una telefonata di lunga
distanza, cioè tra utenti collegati a reti telefoniche locali diverse, richiede l’utilizzo dei rispettivi local loop e di solo una delle due reti di lunga
distanza.
La figura 4.2 riporta una rappresentazione semplificata del settore
elettrico. GENi rappresenta una centrale di generazione di energia elettrica; Ui è un utente che preleva energia elettrica dal sistema di trasmissione; tutti i generatori e tutti i consumatori sono allacciati, direttamente
o attraverso una rete di distribuzione, alla stessa rete di trasmissione. La
rete di trasmissione presenta caratteristiche di monopolio naturale mentre l’attività di generazione può essere svolta in regime di concorrenza
(si veda il capitolo 6). La fornitura di energia elettrica ad un utente
richiede (almeno) l’utilizzo del sistema di trasmissione e di uno degli
impianti di generazione.
200
201
4.1
Separazione verticale e incentivi all’integrazione
Introdurremo il problema della condivisione di un input con caratteristiche di monopolio naturale tra imprese concorrenti nella fornitura di
un bene finale attraverso due esempi tratti dal settore elettrico e delle
telecomunicazioni. Proseguiremo la trattazione caratterizzando i prezzi
ottimali del servizio dell’input monopolistico, di seguito indicato come
“accesso”. Concluderemo il presente paragrafo accennando agli incentivi che può avere chi detiene una posizione di monopolio nella fornitura
dell’input ad integrare verticalmente nella fornitura del servizio finale.
4.1.1. Infrastrutture necessarie
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
FIGURA 4.2
Schema di rete elettrica
U1
U2
GEN2
GEN3
GEN1
U3
U3
La transazione tra i soggetti che operano nelle fasi competitive, la fornitura di servizi telefonici di lunga distanza nel primo esempio e la generazione di energia elettrica nel secondo, il soggetto che opera nella fase
in monopolio naturale, l’accesso alla rete locale e il trasporto dell’energia elettrica, e i consumatori ammette due rappresentazioni equivalenti
che si differenziano per il soggetto che fornisce il servizio finale ai consumatori. In un caso il fornitore del servizio finale è il soggetto che
controlla la fase monopolistica; questo può produrre in proprio o acquistare su un mercato potenzialmente competitivo gli input costituiti
dai servizi rispettivamente della rete telefonica di lunga distanza e delle
centrali di generazione. Tale rappresentazione riflette ad esempio la soluzione istituzionale adottata nel primo tentativo di liberalizzazione del
settore elettrico nel Regno Unito, con l’Electricity Act del 1983, in cui
non è stata liberalizzata la fornitura di energia elettrica agli utenti finali
ma è stato imposto al monopolista, di fatto verticalmente integrato nella generazione e nel trasporto, di acquistare l’energia generata da altri
soggetti ad un prezzo (regolamentato) determinato in modo da riflettere
il costo evitato di generazione dell’energia elettrica da parte dello stesso (ex)monopolista con i propri impianti 1. In questa rappresentazione
delle transazioni il problema regolatorio si pone nei termini dell’incenti1. Un esperimento simile, anche se non finalizzato alla promozione della concorrenza,
si è avuto in Italia rispetto alla generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con
la legge n. 9/1991 e il decreto del Comitato interministeriale prezzi n. 6/1992.
202
vazione dell’impresa integrata, monopolista nella fornitura del servizio
agli utenti finali, a procurarsi un fattore produttivo al minimo costo.
La rappresentazione alternativa delle stesse transazioni è quella in
cui i fornitori del prodotto finale sono le imprese operanti nel segmento
competitivo della filiera, i collegamenti di lunga distanza e la generazione elettrica negli esempi, che acquistano un input da un fornitore
monopolista. In questo caso l’oggetto scambiato tra le imprese è l’input
fornito in regime di monopolio, ove nel caso precedente venivano scambiati gli altri input utilizzati per la fornitura del prodotto finale. Questa rappresentazione fa emergere la natura di “infrastruttura necessaria”
(essential facility) della rete telefonica locale e del sistema di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica. A conferirla concorrono due
caratteristiche:
– i servizi di tali fattori produttivi costituiscono input per la fornitura
del servizio finale;
– la duplicazione di tali fattori produttivi non è desiderabile in quanto comporta costi totali di fornitura a livello di industria superiori a
quelli minimi possibili 2.
Negli esempi esaminati ciò che rende non desiderabile la duplicazione dell’essential facility è la sua “non rivalità” ai fini della fornitura
del servizio finale. La non rivalità deriva dalla sostituibilità (per i consumatori) dei servizi finali offerti dall’impresa che controlla l’input e da
quella che ne richiede la condivisione. Nei termini delle telecomunicazioni, l’utilizzo della rete locale da parte di uno dei fornitori di servizi
telefonici di lunga distanza per servire un dato utente finale non preclude l’utilizzo di essa da parte del fornitore alternativo, poiché qualora
questi subentrasse al primo nella fornitura del bene finale, la necessità
per il fornitore sostituito di utilizzare il local loop dell’utente verrebbe
meno. Analogamente, nell’esempio dell’energia elettrica, il generatore
che viene sostituito da un competitore nella fornitura ad un utente cessa
di impegnare la capacità di trasmissione che utilizzava per trasferire a
quell’utente la potenza generata, capacità che può quindi essere utilizzata dal generatore che subentra. Quando la non rivalità è dovuta alla
sostituibilità dei prodotti finali, la domanda delle imprese per i servizi
2. Quindi l’impossibilità della duplicazione, cioè l’“insostituibilità” dell’input per
la fornitura del servizio finale, è una condizione sufficiente ma non necessaria per la
caratterizzazione di un’infrastruttura come essential facility.
203
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
dell’input si sposta contestualmente al trasferimento della domanda per
i servizi finali che esse forniscono.
4.1.2. Prezzi d’accesso ottimali
Se il servizio finale è fornito in regime di concorrenza perfetta la caratterizzazione del prezzo ottimale di un input prodotto in condizioni di
monopolio non è diversa da quella del prezzo ottimale di un bene finale prodotto in condizioni di monopolio. Dato il prezzo dell’accesso,
la competizione sul mercato del servizio finale conduce infatti all’allocazione efficiente. Il prezzo dell’accesso che massimizza il benessere
sociale è quindi pari:
– al costo marginale, se questo garantisce il pareggio di bilancio del
monopolista o se i trasferimenti dal settore pubblico al monopolista
non sono socialmente costosi;
– al costo medio, se l’applicazione di un prezzo pari al costo marginale non consente il pareggio di bilancio del monopolista e non sono
possibili trasferimenti pubblici;
– ad un livello intermedio tra costo medio e costo marginale se il vincolo di pareggio di bilancio è stringente e i trasferimenti pubblici sono
possibili ma socialmente costosi.
L’analisi è formalmente analoga a quella del capitolo 2, con la differenza che l’elasticità rilevante è quella della domanda dell’accesso, che
dipende dalla domanda del bene di cui esso concorre alla produzione,
dagli ulteriori costi dell’impresa fornitrice del bene finale, e dal regime
competitivo sul mercato del bene finale.
Consideriamo il caso di un mercato in concorrenza perfetta, nell’ipotesi che per la fornitura di un’unità di bene finale sia necessaria
un’unità di accesso; indichiamo con a il prezzo dell’accesso, con q la
quantità di accesso acquistato e di bene finale prodotto, con C̃(q) il costo aggiuntivo rispetto a quello per l’accesso 3, con p(q) la domanda
aggregata di bene finale. Il livello di produzione, e quindi la quantità di
accesso acquistato che massimizza il profitto del fornitore del prodotto
finale, è individuato dall’uguaglianza tra prezzo e costo marginale, cioè
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
dalla condizione p − a − C̃0 (q) = 0, da cui differenziando si ottiene
[4.1]
dq
1
= − 00
;
da
C̃ (q) − p0 (q)
un aumento del prezzo dell’accesso determina una riduzione della quantità domandata tanto maggiore quanto minore è C̃00 (q), cioè quanto maggiore è la diminuzione della produzione di bene finale necessaria per una
riduzione unitaria del costo marginale, e quanto minore in valore assoluto è p0 (q), cioè quanto minore è la variazione del prezzo di mercato
necessaria affinché la domanda di bene finale uguagli la minore offerta.
In presenza di asimmetrie informative tra il regolatore e il monopolista il problema regolatorio non è diverso da quello considerato nel
capitolo 3 per la fornitura di un bene finale, poiché è identico il meccanismo attraverso cui il vantaggio informativo si traduce, nella regolamentazione ottimale, in una rendita.
Se la concorrenza sul mercato del bene finale è imperfetta, il prezzo
socialmente ottimale del fattore produttivo riflette anche l’obiettivo di
compensare la maggiorazione sul costo marginale del prezzo praticato
dai fornitori del bene finale. Ad esempio nel caso di competizione à la
Cournot sul mercato del bene finale, il prezzo di mercato è maggiore
del costo marginale che, se la tecnologia è a coefficienti fissi, riflette
in proporzione uno a uno il prezzo dell’accesso. Il prezzo allocativamente efficiente del bene finale è pari al costo marginale complessivo,
corrispondente alla somma del costo marginale dell’accesso e degli altri
costi marginali della produzione del bene finale. Quindi, affinché tale
uguaglianza sia ottenuta sul mercato del bene finale, è necessario che
il prezzo dell’accesso sia inferiore al corrispondente costo marginale.
Tuttavia la riduzione del prezzo dell’input comporta in generale un aumento del profitto dei fornitori di bene finale, se l’entrata nel mercato
è bloccata, oppure un aumento delle imprese presenti sul mercato, se
l’entrata è libera 4. Entrambi gli effetti sono socialmente indesiderabili:
il primo se la funzione di benessere sociale assegna un peso inferiore al
profitto ottenuto dai fornitori del bene finale rispetto a quello del fornitore dell’input, ad esempio perché il vincolo di pareggio di bilancio di
questo è stringente ed i fondi pubblici per la sua copertura sono costo-
3. Poiché le attività necessarie alle fornitura del bene finale non sono caratterizzate da
condizioni di monopolio naturale, possiamo assumere costi marginali crescenti, ovvero
C̃00 > 0.
4. Armstrong et al. (1994), sez. 5.1.1, nota 7, riporta le condizioni affinché l’effetto
sui profitti della riduzione del prezzo dell’input sia positivo.
204
205
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
si 5; il secondo in quanto corrisponde ad un’inefficienza tecnica a livello
di settore nella fornitura del bene finale. I trade-off che risultano sono
eliminati se il fornitore di accesso può praticare tariffe in due parti. In
questo caso è ottimale la fissazione della componente variabile ad un
livello tale che il prezzo risultante sul mercato del bene finale sia pari
al costo marginale complessivo, e di quella fissa ad un livello tale da
annullare i profitti dei fornitori di bene finale, se l’entrata è bloccata, o
da disincentivare l’entrata inefficiente, se l’entrata è libera.
finale, ad esempio servizi di telecomunicazione di lunga distanza, con
stessi costi. Integrando verticalmente con, ad esempio, G1 , e negando la fornitura dell’input a G2 , M può estendere il monopolio all’intera
filiera 7. Se la configurazione industriale che minimizza il costo della
fornitura del bene finale è caratterizzata da due fornitori, l’esclusione di
G2 attraverso l’integrazione di G1 e M dà luogo ad un’inefficienza tecnica. Se ne risulti anche un’inefficienza allocativa dipende dalla specifica
forma di concorrenza che, in assenza di integrazione, si realizza tra G1
e G2 : da un lato infatti l’integrazione elimina la competizione per la fornitura del bene finale, il che spinge nella direzione di un aumento del
prezzo del bene finale; dall’altro evita la doppia marginalizzazione nella
determinazione del prezzo del bene finale, il che spinge nella direzione
della riduzione di tale prezzo.
L’obiezione principale all’argomento dell’integrazione verticale finalizzata ad estendere il monopolio ad altre fasi della filiera è che M
potrebbe ottenere lo stesso livello di profitto, o uno superiore, se l’integrazione dà luogo ad inefficienza tecnica, praticando una tariffa a due
parti per l’input venduto a G1 e G2 . La componente variabile sarebbe tale che sul mercato del bene finale si otterrebbe il prezzo (lineare)
corrispondente all’uguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale
complessivo, pari alla somma del costo marginale dell’input e di quello
aggiuntivo per la fornitura del bene finale. La componente fissa trasferirebbe a M tutti i profitti realizzati da G1 e G2 . Il punto generale è che,
se M ha a disposizione un insieme sufficientemente ampio di strumenti
contrattuali, è perfettamente informato circa i costi di G1 e G2 , e può
assumere credibilmente qualsiasi impegno nei loro confronti, l’integrazione verticale non è necessaria per la massimizzazione del suo profitto.
In questo caso l’inefficienza tecnica nella fornitura del bene finale non
è desiderabile dal punto di vista di M, in quanto essa riduce il surplus
generato nel settore, di cui M può appropriarsi integralmente.
Rimuovendo l’ipotesi di completa credibilità degli impegni assunti
da M, Hart e Tirole (1990) mostrano che l’integrazione verticale può essere necessaria per la massimizzazione del profitto di M. L’idea è che,
nella negoziazione tra M e G1 di condizioni di cessione dell’accesso che
massimizzino i profitti di M garantendo a G1 il pareggio di bilancio,
4.1.3. Incentivi all’integrazione verticale
Le finalità alla base dell’integrazione verticale tra imprese possono essere ricondotte all’internalizzazione di esternalità o all’acquisizione di
potere di mercato. È interpretabile in termini di internalizzazione di
esternalità l’integrazione verticale finalizzata ad esempio a: praticare
prezzi diversi ad acquirenti con diversa elasticità della domanda; eliminare la “doppia marginalizzazione” 6; ripartire efficientemente i rischi
tra l’impresa fornitrice dell’input e quella che lo acquista; ridurre i costi
di transazione dell’adattamento nel tempo della relazione tra le due imprese al mutare delle condizioni ambientali. L’integrazione proprietaria
può costituire il modo più efficiente per internalizzare tali esternalità se,
rispettivamente: non è possibile praticare discriminazioni di prezzo tra
diverse categorie di utenti; non è possibile praticare prezzi non lineari
per l’input; non esiste un mercato per il tipo di rischio cui la relazione
tra le due imprese è esposta; è impossibile determinare contrattualmente
in un dato momento la condotta delle imprese in corrispondenza di ogni
possibile contingenza futura.
Specificamente rilevante per i settori di pubblica utilità è l’integrazione verticale finalizzata a creare vantaggi strategici per le imprese che
la attuano. Siano M, G1 , G2 rispettivamente il fornitore monopolista
dell’input, ad esempio l’accesso alla rete locale, e due fornitori di bene
5. Oppure se il vincolo di bilancio del fornitore dell’accesso è stringente e i fondi
pubblici non sono socialmente costosi, ma il surplus del consumatore ha più valore del
profitto nella funzione di benessere sociale.
6. Se le imprese operanti a livelli successivi della filiera produttiva hanno potere di
mercato, il fornitore a valle determina il prezzo del bene finale applicando una maggiorazione al prezzo dell’input, che a sua volta incorpora una maggiorazione rispetto
al costo marginale di produrlo. Quindi, in generale, la somma dei profitti del fornitore
dell’input e del fornitore del bene finale è inferiore al profitto che un fornitore integrato
potrebbe ottenere.
206
7. Tale comportamento è un esempio di vertical foreclosure; per un’analisi più generale, nel caso in cui entrambi i segmenti della filiera siano oligopolistici, si vedano
Ordover et al. (1990)
207
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
può non essere credibile per G1 l’impegno di M a non fornire l’accesso a G2 o, nel caso di rendimenti decrescenti nella fornitura del bene
finale, a fornire a G2 solo la quantità che massimizza il profitto totale
generato nel settore. Con riferimento, per semplicità, al caso in cui la
massimizzazione del profitto generato nel settore richiede che a G2 non
sia fornito l’input 8, se l’accordo tra M e G1 prevede la vendita della
quantità di accesso di monopolio per una somma pari ai profitti totali
che G1 realizzerebbe come monopolista sul mercato del bene finale, M
è incentivato a vendere una quantità aggiuntiva di accesso a G2 , il che
dà luogo a perdite per G1 . Tale accordo quindi non è accettato da G1 .
L’integrazione rende credibile l’impegno a non fornire G2 , in quanto
ciò danneggerebbe l’attività dell’impresa integrata sul mercato del bene
finale.
L’integrazione verticale può essere finalizzata ad estrarre parte della
rendita che il fornitore più efficiente otterrebbe sul mercato del bene
finale. Se i propri costi sono un’informazione privata per G1 e G2 , M non
conosce la disponibilità a pagare di G1 e G2 per l’accesso; l’integrazione
verticale, ad esempio con G1 , elimina l’asimmetria informativa tra G1 e
M, aumentando il potere contrattuale dell’impresa rispetto a G2 9.
Sino a questo punto si è assunto che non vi sia alcun intervento
da parte del regolatore cosı̀ che il monopolista può appropriarsi completamente delle rendite che ottiene integrando verticalmente. Tuttavia
un’importante finalità dell’integrazione verticale nei settori di pubblica
utilità può essere, come suggerito dall’analisi del paragrafo 4.3, quella
di alterare in favore del monopolista l’esito del meccanismo regolatorio.
competitori nella fornitura dei servizi finali; caratterizzeremo tali prezzi
nel caso in cui i prodotti finali forniti da tutte le imprese siano omogenei, l’input sia indispensabile per la fornitura del servizio finale e gli altri
fattori produttivi necessari per il servizio finale siano forniti in un regime perfettamente competitivo. Quindi, determineremo i prezzi ottimali
dell’input nei casi in cui, rispettivamente, sia disponibile una tecnologia
che consente di sostituire l’input e i prodotti finali forniti dall’impresa
che controlla l’input e dai concorrenti siano differenziati. In conclusione al presente paragrago rimuoveremo l’ipotesi che il prezzo del bene
finale fornito dall’impresa che controlla l’input sia regolamentato.
4.2.1. Prodotti finali omogenei, bypass impossibile,
entrante competitivo
Introduciamo ora il quadro di riferimento teorico per la determinazione
dei prezzi ottimali per la cessione di un input da un’impresa a propri
Nel settore sono presenti due imprese, identificate rispettivamente come
l’“esistente” (E) e l’“entrante” (e) 10. Le due imprese forniscono prodotti finali omogenei. E dispone di un input, l’accesso, necessario alla
fornitura del bene finale, che e non può duplicare o surrogare a nessun
costo; in altri termini il bypass delle infrastrutture di E è impossibile 11.
Si assume che e consideri dato il prezzo p del prodotto finale e che E
debba servire al prezzo p tutta la domanda che l’entrante non serve. Si
assume, come comunemente avviene nella pratica, che siano impossibili
trasferimenti dal settore pubblico alle imprese.
CE (q, z) è il costo per E della fornitura di q unità di bene finale
ai consumatori e z unità di accesso ad e. Per ogni unità di bene finale fornita e utilizza un’unità di accesso che può solo acquistare da
E, al prezzo a; il costo ulteriore che e sostiene per fornire s unità di
e > 0, dove i peprodotto finale è Ce (s), con Cse ≥ 0, Cse (0) = 0 e Css
12
dici indicano le derivate . Si indica con m la differenza tra il prezzo del prodotto finale e quello dell’accesso, cioè m ≡ p − a. Il profitto che e realizza dati i prezzi dell’accesso e del bene finale è pari a
ps − as −Ce (s) = ms −Ce (s). La scelta ottimale di produzione di e di-
8. Questo si verifica ad esempio se G1 e G2 hanno stessi costi medi costanti.
9. Armstrong et al. (1994, sez. 5.5.2) considerano la contrattazione per la fornitura
dell’accesso a G2 nella forma di un’offerta di tipo “prendere o lasciare” formulata dal
venditore. Si mostra che è ottimale per il venditore integrato offrire un prezzo tale che
G2 trovi conveniente acquistare l’accesso solo se ha costi aggiuntivi (medi costanti)
inferiori ad una soglia c2 , strettamente inferiore al costo (medio costante), c1 , di G1 .
Ne risulta un’inefficienza tecnica in quanto l’offerta ottimale per il venditore integrato
disincentiva l’entrata socialmente desiderabile di G2 quando c2 ∈ [c2 , c1 ].
10. La terminologia utilizzata per distinguere le due imprese non riflette necessariamente una sequenza temporale, anche se l’impresa che controlla l’essential facility è
tipicamente quella presente da più lungo tempo nel settore.
11. Il modello utilizzato di seguito è adattato da Armstrong et al. (1995) e Armstrong
et al. (1996).
12. Le ipotesi sulle derivate di Ce (s) sono necessarie per garantire la desiderabilità, ai
fini della minimizzazione dei costi totali di fornitura, della suddivisione del mercato
finale tra E ed e.
208
209
4.2
Accesso alle reti da parte di concorrenti
nella fornitura dei servizi finali
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
pende solo da m; nel seguito indicheremo dunque con s(m) il livello di
produzione ottimale per l’entrante dati il prezzo dell’accesso e del servizio finale, e con π (m) = ms(m) − Ce (s(m)) il corrispondente livello
massimo di profitto di e. Il profitto di E, in funzione di m e p, è
con vincolo di profitto non negativo, la struttura dei prezzi finali è distorta per realizzare sussidi incrociati tra prodotti, la modalità più comune,
negli assetti monopolistici tradizionali, per il perseguimento di finalità
di servizio pubblico nei settori di pubblica utilità. La componente (b) riflette quindi l’interazione tra la cessione dell’accesso ad e e la riduzione
della quota del mercato del bene finale servita da E. Per ogni unità di
accesso ceduta E viene sostituito da e nella fornitura di un’unità di bene
finale; questo dà luogo per E ad una riduzione del profitto pari a p −C1E ,
che costituisce quindi un costo-opportunità della fornitura dell’accesso.
La componente (c) è positiva e riflette l’esercizio di potere di mercato da parte di E, in quanto monopolista nella fornitura dell’accesso.
La quantità di bene finale s(m) fornita da e, che considera dato m, è
tale che Cse (s(m)) ≡ m. Sostituendo nella [4.3] si ottiene
[4.2]
Π(p, m) = pq(p) − ms(m) −CE (q(p) − s(m), s(m))
dove q(p) è la domanda di bene finale al prezzo p, di cui E serve la
parte q(p) − s(m). L’espressione del profitto di E in funzione del prezzo del bene finale e della differenza tra questo e il prezzo dell’accesso
ceduto ad e consente di evidenziare formalmente l’equivalenza, cui si è
accennato nel par. 4.1.1, tra il problema della determinazione del prezzo
ottimale di cessione dell’accesso da E ad e e il problema della determinazione del prezzo ottimale di acquisto da parte di E degli input che e
aggiunge all’accesso per fornire il bene finale. Dato il prezzo p del bene
finale, l’imposizione su E dell’obbligo di cedere l’accesso ad un dato
prezzo a è del tutto equivalente all’imposizione su di esso dell’obbligo
di acquistare i servizi offerti da e al prezzo m ≡ p − a.
Si consideri in primo luogo il prezzo dell’input praticato da E per
un dato prezzo del bene finale in assenza di regolamentazione. La massimizzazione della [4.2] rispetto a m ci dà
[4.3]
a = C2E + (p −C1E ) +
s
sm
dove C1E e C2E indicano il costo marginale per E della fornitura rispettivamente di bene finale e di accesso e sm è la derivata rispetto ad m
dell’offerta di bene finale s(m) da parte di e, e quindi della propria domanda di accesso. La [4.3] indica che il prezzo per l’accesso praticato da
E in assenza di regolamentazione è pari alla somma di tre componenti:
(a) il costo marginale di fornire l’accesso (C2E );
(b) il profitto marginale per E derivante dalla fornitura del bene finale
(p −C1E );
(c) una componente che riflette l’esercizio di potere di mercato (s/sm ).
La componente (b) è positiva se il regolatore non ha la possibilità
di realizzare trasferimenti alle imprese a carico della fiscalità generale
e la funzione di costo di E presenta economie di differenziazione e/o
di scala per cui prezzi pari ai costi marginali non sono sufficienti alla
copertura dei costi totali di produzione. Tale componente può essere
positiva anche quando, in presenza di regolamentazione dei prezzi finali
210
[4.4]
Cse +
s
= C1E −C2E
sm
che mostra che la quantità fornita da e è inferiore a quella che minimizza il costo totale di fornitura del bene finale. Vi è spreco di risorse in
quanto il costo che E eviterebbe trasferendo ad e la fornitura di un’unità di bene finale (C1E − C2E ) è superiore al costo che e sosterrebbe per
fornire l’unità aggiuntiva (Cse ); da tale trasferimento deriverebbe quindi
una riduzione dei costi complessivi di fornitura del bene finale, rispetto
all’esito risultante dalla fissazione del prezzo d’accesso che massimizza
il profitto di E. Nei termini della rappresentazione della transazione come un acquisto da parte di E degli input diversi dall’accesso forniti da
e, E acquista una quantità di tali input inferiore a quella che minimizza
il costo complessivo di fornitura del bene finale, in quanto al margine
il costo della produzione “in proprio” di tali input è superiore a quello
che sarebbe sostenuto da e per fornirli. Va sottolineato tuttavia come,
nelle ipotesi assunte, E trovi in generale conveniente che almeno parte
del mercato finale sia servita da e, in quanto attraverso il prezzo dell’accesso può appropriarsi di parte del maggior surplus che risulta dalla
fornitura da parte di e 13.
L’opportunità dell’intervento pubblico nella fissazione del prezzo
dell’accesso emerge dal confronto tra l’esito che si produce in assenza di regolamentazione e quello socialmente ottimale, che risulta dalla
13. L’incremento di surplus derivante dalla fornitura di e risulta dall’ipotesi che i costi marginali per e, al netto del costo di acquisto dell’accesso, siano crescenti e, in
particolare, inferiori a quelli di E fino ad un certo livello di produzione.
211
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
massimizzazione della somma del surplus netto del consumatore S(p) e
del profitto delle imprese 14
polista dei servizi dell’essential facility 16. L’applicazione della [4.6] dà
luogo ad un esito produttivamente efficiente, in quanto induce l’entrata
di fornitori del prodotto finale più efficienti di E e rende non conveniente quella di fornitori meno efficienti. Un ulteriore vantaggio è che la sua
applicazione ripartisce automaticamente il costo di eventuali obblighi
di servizio pubblico gravanti su E tra i consumatori serviti da questo e
quelli serviti da e; attraverso il prezzo d’accesso E viene infatti “risarcito” da parte di e del margine del prezzo sul costo marginale del bene
finale nella cui fornitura il primo viene sostituito. La concorrenza per la
fornitura del bene finale esercitata da e che acquista l’essential facility
da E al prezzo determinato dalla [4.6] non dà invece alcun contributo all’estrazione della eventuale rendita che E ottiene dalla sua posizione di
monopolio nella fornitura dell’essential facility, in quanto tale rendita è
incorporata nella differenza tra prezzo e costo marginale del bene finale
che e risarcisce ad E attraverso il prezzo di accesso 17. Il controllo di
tale rendita è infatti affidato alla regolamentazione del prezzo del bene
finale.
È utile confrontare la [4.6] con la caratterizzazione dei prezzi ottimali nel caso in cui il prezzo del bene finale e quello dell’accesso siano fissati simultaneamente dal regolatore. Dalla massimizzazione della
[4.5] rispetto a p e m sotto il vincolo che l’impresa E consegua profitti
non negativi risulta 18, se il vincolo è stringente,
[4.5]
S(p) + π (m) + Π(p, m).
Come si è accennato, nell’ipotesi che sia impossibile per il regolatore operare trasferimenti all’impresa regolata, la copertura dei costi di
E può richiedere un prezzo per il servizio finale maggiore del rispettivo costo marginale in caso di rilevanti economie di scala o di produzione congiunta, situazione tipica nei settori di pubblica utilità. Se il
prezzo p del bene finale è fissato, indipendentemente da quello dell’accesso, ad un livello tale da garantire il pareggio di bilancio di E, dalla
massimizzazione della [4.5] rispetto ad m si ottiene 15
[4.6]
a = C2E + (p −C1E ).
Il prezzo ottimale dell’accesso è quindi pari alla somma del suo costo
marginale e del profitto-opportunità per E del trasferimento ad e della
fornitura del bene finale. La [4.6] è nota anche come efficient component pricing rule o Baumol-Willig rule (Willig, 1979; Baumol e Sidack,
1994).
Poiché il prezzo del bene finale è fissato esogenamente ad un livello
ritenuto adeguato, il lato destro della [4.6] può essere interpretato come
il costo marginale “sociale” del trasferimento ad e dell’accesso e della
corrispondente porzione del mercato del bene finale. La [4.6] indica che
se il prezzo del bene finale è distorto rispetto al valore concorrenziale, è
ottimale anche la distorsione del prezzo dell’accesso, in misura tale da
garantire che e fornisca la quantità efficiente di bene finale, quella cioè
che minimizza i costi complessivi di fornitura. Dal confronto della [4.3]
e della [4.6] emerge che il prezzo efficiente dell’accesso, dato quello
del bene finale, risulta inferiore a quello che E praticherebbe in assenza
di regolamentazione. L’intervento regolatorio è quindi desiderabile per
impedire l’esercizio di potere di mercato da parte del fornitore mono-
[4.7]
a > C2E + (p −C1E )
16. L’interpretazione in termini di prezzo di acquisto da parte di E dei servizi aggiuntivi all’input necessario mette in evidenza come tale risultato è una riformulazione del
criterio cosiddetto del “costo evitato”.
17. O, equivalentemente, non fornisce alcun incentivo all’efficienza tecnica nella
fornitura dei servizi dell’essential facility.
18. Le condizioni del primo ordine sono
p −C1E
λ
=−
p
(1 + λ ) · ηq
m − (C1E −C2E )
λ
=−
m
(1 + λ ) · ηs
14. Assumiamo dunque in questa sede che benessere dei consumatori e profitti siano
egualmente meritori dal punto di vista sociale; nei termini dei capitoli precedenti, si
assume cioè α = 1.
15. Sappiamo già che S0 (p) = −q(p), mentre applicando il teorema dell’inviluppo
abbiamo π 0 (m) = s(m).
dove λ ≥ 0 è il moltiplicatore del vincolo di pareggio di bilancio di E, ηq < 0 è l’elasticità al prezzo della domanda del prodotto finale, ηs > 0 è l’elasticità dell’offerta di e
rispetto a m. Se il vincolo di bilancio in pareggio non stringe (λ = 0) si ottiene la soluzione di first best p = C1E e a = C2E . Se la tecnologia dell’entrante presenta rendimenti
crescenti o in presenza di oneri di servizio pubblico coperti con le tariffe, non potendo il
regolatore operare trasferimenti monetari, il vincolo di bilancio in pareggio è stringente
(λ > 0) ed il prezzo ottimale è maggiore del costo marginale per entrambi i prodotti.
212
213
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
cioè il prezzo di accesso ottimale eccede il livello determinato dalla
[4.6]. Se è possibile fissare simultaneamente i prezzi del bene finale
e dell’accesso è ottimale applicare una maggiorazione sul costo marginale “sociale” dell’accesso, come determinato nella [4.6], per contribuire all’equilibrio di bilancio di E contenendo, rispetto al caso in cui
il prezzo del bene finale è fissato esogenamente in modo da garantire il pareggio di bilancio, la deviazione del prezzo del bene finale dal
rispettivo costo marginale 19. La soluzione ottima media quindi tra un’inefficienza allocativa (sottoproduzione di bene finale dovuta a p “elevato”) e un’inefficienza tecnica (sottoproduzione da parte e dovuta ad a
“elevato”).
4.2.2. Il caso con bypass
L’analisi che precede può essere estesa alla situazione in cui e può surrogare l’input controllato da E. Questa caratterizzazione si adatta particolarmente al settore delle telecomunicazioni dove il bypass della rete
locale di proprietà dall’operatore esistente con infrastrutture alternative da parte di un competitore nella fornitura di servizi di lunga distanza
può essere conveniente per servire gli utenti ad alto traffico e geograficamente concentrati, tipicamente quelli d’affari, anche se proibitivamente
costosa per servire gli utenti a basso traffico e geograficamente dispersi,
come quelli domestici. Sia b la quantità di bypass, cioè di un input che
può essere utilizzato in sostituzione dell’accesso in proporzione uno-auno per la fornitura del bene finale; il costo per e di b unità di bypass
è B(b). La non desiderabilità ai fini della minimizzazione dei costi totali di fornitura della duplicazione completa dell’accesso fornito da E è
ottenuta in questa rappresentazione attraverso l’assunzione che il costo
marginale del bypass Bb sia crescente e tale che Bb (0) = 0. Dati i prezzi
del bene finale e dell’accesso il profitto massimo di e abbiamo
[4.8] π (m, a) = (m + a)s(m) − a[s(m) − b(a)] −Ce (s(m)) − B(b(a)),
dove s(m) e b(a) sono i livelli rispettivamente di produzione del servizio
finale e di bypass che massimizzano il profitto di e 20. Il profitto di E in
4. RELAZIONI VERTICALI TRA COMPETITORI
funzione di m e a è
[4.9] Π(m, a) = (m + a)[q(m + a) − s(m)] + a[s(m) − b(a)]
−CE (q(m + a) − s(m), s(m) − b(a)).
Se il prezzo del bene finale è fissato esogenamente, il prezzo dell’accesso che massimizza il benessere sociale è tale che
[4.10]
a = C2E + (p −C1E )
sm
.
sm + ba
Il prezzo ottimale dell’accesso è la somma del suo costo marginale e
di una componente che, come nella [4.6], può essere interpretata come
il costo marginale “sociale” della sua cessione ad e. Tale componente
è pari al mancato profitto per E che viene sostituito come fornitore di
un’unità di bene finale, corretto per tenere conto dell’effetto della sostituzione di accesso con bypass nel determinare la riduzione della produzione di bene finale da parte di e in conseguenza di un aumento del
prezzo dell’accesso 21; e trova conveniente rispondere ad un aumento
del prezzo dell’accesso sia con una riduzione del livello di produzione
di bene finale sia con la sostituzione dell’accesso acquistato da E con
bypass, in quanto il ricorso a infrastrutture alternative diventa relativamente meno costoso. Di conseguenza, rispetto al caso in cui il bypass è
impossibile, la riduzione della quantità di servizio finale di e a fronte di
un aumento del prezzo dell’accesso è, ceteris paribus, minore. Essendo sm /(sm + ba ) < 1, il prezzo ottimale dell’accesso viene ridotto dalla
possibilità di bypass di e. A differenza del caso in cui il bypass è impossibile (equazione [4.7]) il prezzo di accesso ottimale non garantisce
la minimizzazione del costo complessivo di fornitura del bene finale, in
quanto l’applicazione di un prezzo dell’accesso superiore al suo costo
marginale dà luogo ad un aumento, oltre il livello efficiente, del ricorso
al bypass da parte di e. L’inefficiente impiego di bypass si riduce quanto
più il prezzo dell’accesso si avvicina al costo marginale; tale avvicinamento dà luogo tuttavia ad un’inefficienza (allocativa) in quanto e fissa
il proprio livello di produzione di bene finale sulla base di un segnale di
19. L’elasticità rilevante per la determinazione di p è quella della domanda del bene
finale mentre quella rilevante per a è l’elasticità della domanda di accesso di e. La
seconda è minore della prima se la funzione di offerta di e (pari al costo marginale
essendo e price-taker) è inclinata positivamente.
20. Il problema di e è quello di massimizzare rispetto a s e b la funzione obiettivo
(m + a)s − a(s − b) −Ce (s) − B(b), e le condizioni del primo ordine sono pertanto m =
Cse e a = Bb .
21. Il mancato profitto di E è moltiplicato per il rapporto tra la variazione della produzione di bene finale da parte di e (−sm ) e la variazione del suo utilizzo di accesso
(−sm − ba ), in risposta ad una variazione del prezzo dell’accesso.
214
215
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
5.1
Controllo del tasso di rendimento e tetti ai prezzi
5. RENDIMENTO, TETTI AI PREZZI E ALTRI MECCANISMI DINAMICI
2. Per una descrizione dell’evoluzione della regolamentazione RB-ROR negli Stati
Uniti si veda Zajac (1995).
clusione di un investimento nel capitale di cui è garantita la remunerazione è stata subordinata all’accertamento dell’opportunità dell’investimento al momento della sua realizzazione; l’investimento doveva cioè
essere “prudente” (prudent). Il riconoscimento da parte dell’autorità
pubblica dell’opportunità ex ante dell’investimento ne garantisce la remunerazione, indipendentemente dalla sua opportunità ex post, che dipende dall’evoluzione delle condizioni tecnologiche e di mercato. Secondo questo approccio, almeno nella sua forma estrema, che peraltro
non è lontana da quella determinatasi storicamente, il rischio dell’investimento nel settore grava interamente sui consumatori. Il livello “equo”
del rendimento consentito, ROR, è quello (minimo) necessario per attrarre l’accumulazione di capitale in un settore sostanzialmente senza
rischio per gli azionisti.
Nel settore elettrico negli Stati Uniti è stata recentemente proposta
l’adozione di un criterio per l’inclusione in RB degli investimenti effettuati dall’impresa regolata basato sull’opportunità ex post, che richiede
che gli investimenti risultino “utilizzati e utili” (used and useful). Tale
criterio, la cui applicazione è stata peraltro impedita dall’autorità giudiziaria in quanto operante un’espropriazione degli azionisti, pone ovviamente maggiore rischio sull’impresa. Si consideri ad esempio il caso in
cui l’impresa avvia un progetto di espansione della capacità produttiva
sulla base di aspettative di crescita della domanda condivise dal regolamentatore, che successivamente si rivelano errate. L’investimento dà
quindi luogo ad un eccesso di capacità produttiva. In tal caso l’inclusione nella base di capitale dell’investimento, che pure soddisfa il requisito
della prudenza, può essere negata (o limitata) dal regolamentatore per il
mancato soddisfacimento del requisito di utilizzazione e utilità.
Comunemente il regolamentatore fissa, in corrispondenza dell’obiettivo di ricavi, sia il livello sia la struttura dei prezzi, che nei settori
di pubblica utilità è determinata in larga parte dall’attribuzione dei costi comuni tra i diversi prodotti. I criteri più comunemente impiegati,
tutti riconducibili alla nozione di fully distributed cost già discussa nel
par. 2.4.1, determinano l’ammontare dei costi comuni attribuiti a ciascun prodotto in base alla quantità fornita o nella stessa proporzione dei
costi direttamente attribuibili.
I prezzi sono fissati nel corso di procedimenti pubblici cui partecipano tutte le parti interessate, tra cui in particolare gli azionisti dell’impresa e le associazioni dei consumatori. I prezzi stabiliti restano in vigore
fino a quando il regolamentatore, di propria iniziativa o su istanza di una
228
229
In questo paragrafo definiremo il meccanismo di controllo del tasso di
rendimento sul capitale investito dall’impresa regolamentata (di seguito:
RB-ROR, da rate base-rate of return), e quelli riconducibili all’imposizione di tetti ai prezzi (di seguito PC, da price-cap). Discuteremo le
diverse logiche dei rapporti tra l’impresa regolata ed i consumatori che
caratterizzano i due modelli, attraverso una analisi della nozione di valore del capitale investito rilevante in ciascun regime. Ciò ci consentirà
di introdurre la nozione di stranded cost, tipicamente al centro del dibattito economico e politico in occasione della liberalizzazione di settori
precedentemente monopolistici.
5.1.1. Definizioni
Nella regolamentazione RB-ROR il regolamentatore fissa i prezzi praticati dall’impresa in modo che i ricavi che ne derivano, in corrispondenza della domanda prevista, coprano i costi sostenuti e garantiscano
un “equo” rendimento (ROR) sul capitale investito (RB). L’obiettivo di
ricavo può essere rappresentato con la formula
[5.1]
Ricavi obiettivo = Costi totali ≡ Costi variabili + RB · ROR
La regolamentazione RB-ROR è coerente con una logica del sistema
regolatorio basata sul coinvolgimento dell’autorità pubblica nelle decisioni di investimento dell’impresa regolamentata e sulla assunzione da
parte dei consumatori, in rappresentanza dei quali si assume che il regolamentatore operi come controparte dell’impresa, dei rischi relativi
all’investimento. In questo senso la regolamentazione RB-ROR di imprese di pubblica utilità di proprietà privata, adottata diffusamente negli
Stati Uniti dagli anni trenta agli anni ottanta 2, è la soluzione che più
si avvicina a quella, più comune nell’esperienza europea dello stesso
periodo, della proprietà pubblica dell’impresa.
L’opportunità degli investimenti di cui l’impresa richiede l’inclusione in RB è oggetto di valutazione da parte del regolamentatore. Tradizionalmente, e coerentemente con la logica generale del modello, l’in-
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
5. RENDIMENTO, TETTI AI PREZZI E ALTRI MECCANISMI DINAMICI
parte interessata, avvia una procedura di revisione che si conclude con
la determinazione di nuovi prezzi.
Nella regolamentazione PC il regolamentatore fissa un tetto iniziale p0 al prezzo che l’impresa può praticare, e un sentiero temporale
per tale tetto su un “intervallo regolatorio” di durata predeterminata t¯.
Formalmente la regola di aggiornamento del tetto è del tipo
A differenza che nella regolamentazione RB-ROR, nello spirito della regolamentazione PC il controllo da parte del regolamentatore dei
costi dell’impresa avviene solo al termine di ogni intervallo regolatorio,
quando il nuovo livello iniziale viene fissato in modo da ripristinare la
corrispondenza tra prezzi e costi.
pt − pt−1
≤ I − X +Y
pt−1
[5.2]
5.1.2. Valore del capitale, ripartizione dei rischi e stranded costs
t = 1, . . . t¯
dove i identifica i prodotti offerti dall’impresa e wi è il peso assegnato al
prodotto i. La ponderazione può avvenire sulla base:
– della domanda di ciascun prodotto nel periodo t, cosı̀ come essa è
prevista al momento dell’introduzione del vincolo;
– della domanda effettiva di ciascun prodotto nel periodo t, nel qual
caso il rispetto del vincolo può essere controllato solo ex post, cioè al
termine del periodo t;
– della domanda di ciascun prodotto nel periodo precedente (cioè wti =
qt−1
i ).
Durante l’intervallo regolatorio la dinamica predefinita del tetto ai
prezzi trasferisce automaticamente ai consumatori un incremento di produttività dell’X%, indipendentemente dall’evoluzione dei costi effettivi dell’impresa. Al termine dell’intervallo regolatorio viene fissato un
nuovo valore iniziale del tetto e un nuovo sentiero.
Ai fini della determinazione del valore del capitale investito per la determinazione dei prezzi di un’impresa regolamentata con il metodo RBROR, il riferimento alla nozione di valore presente scontato dei flussi di
cassa futuri, cui nel resto del paragrafo si farà riferimento con il termine
“valore economico”, non è utilizzabile. Dall’applicazione di tale criterio risulterebbe infatti una circolarità, in quanto il valore del capitale
investito nell’impresa, necessario per determinare dei prezzi mediante
la formula [5.1], dipenderebbe dagli stessi prezzi, in quanto determinati dei flussi di cassa futuri. Nella pratica tale circolarità è interrotta
assumendo come valore del capitale investito il costo storico (historic
cost) dei beni capitali dell’impresa o il loro costo di rimpiazzo (modern
equivalent asset value).
Il costo storico di un bene capitale è l’esborso sostenuto dall’impresa per il suo acquisto. Il valore di rimpiazzo è il costo della sua
sostituzione con un bene capitale che fornisce gli stessi servizi basato
sulla tecnologia corrente. Pertanto il costo storico e quello di rimpiazzo
di un investimento coincidono al momento della sua realizzazione; nel
tempo tuttavia il valore del capitale residuo risultante dall’applicazione
dei due criteri generalmente diverge.
Come è stato sottolineato nel paragrafo precedente, il modello RBROR è basato sull’assunzione da parte dei consumatori del rischio relativo agli investimenti ritenuti dal regolamentatore opportuni al momento
della loro realizzazione. Dal punto di vista dei rischi, quindi, l’azionista di un’impresa soggetta a regolamentazione RB-ROR non è di fatto
in una posizione molto diversa da quella di un creditore. Al momento della realizzazione dell’investimento i consumatori si impegnano a
garantire agli azionisti la loro remunerazione e il recupero dei fondi investiti. In un tempo successivo l’“obbligazione” dei consumatori nei
confronti degli azionisti riguarda la remunerazione e il recupero della
parte dei fondi investiti non ancora recuperata. Coerentemente la nozione di valore del capitale investito rilevante per la regolamentazione
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in cui viene richiesto che per t¯ anni il tasso di crescita del prezzo (massimo) del bene sia non superiore al tasso di inflazione I, assunto come
indicatore dell’aumento dei costi di produzione non sotto il controllo
dell’impresa, corretto di un incremento atteso di produttività X e, in
alcuni casi, da un parametro Y che consente di trasferire sui prezzi, durante l’intervallo regolatorio, speciali categorie di costo al di fuori del
controllo dell’impresa e il cui andamento non è riflesso da I, come ad
esempio i costi derivanti da eventi imprevedibili ed eccezionali.
Nel caso in cui l’impresa regolata sia multiprodotto è comune l’applicazione di un tetto ad una media ponderata dei prezzi dei prodotti,
o di un sottoinsieme di essi; il vincolo intertemporale assume cioè la
forma
[5.3]
· wti
∑ pti · wti ≤ (1 − X +Y ) · ∑ pt−1
i
i
t = 1, . . . t¯
i
MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
5. RENDIMENTO, TETTI AI PREZZI E ALTRI MECCANISMI DINAMICI
RB-ROR in un dato momento è il costo storico dei beni capitali utilizzati per la fornitura del servizio, al netto degli ammortamenti effettuati a
qualsiasi titolo dall’impresa fino a quel momento. Se per qualsiasi motivo il valore economico dei beni capitali dell’impresa, cioè la possibilità
di generare flussi di cassa utilizzandoli, aumenta, come ad esempio per
i tralicci delle linee elettriche che vengono affittati per ospitare i cavi
delle reti di telecomunicazione, gli utenti dell’impresa regolata beneficiano interamente di tale aumento del valore economico del capitale
nella forma di minori tariffe. Simmetricamente, se il valore economico
dei beni capitali dell’impresa regolamentata diminuisce, come ad esempio per gli impianti nucleari di un’impresa elettrica di cui l’evoluzione
della normativa ambientale impone la chiusura anticipata, i consumatori
si accollano attraverso tariffe più elevate l’onere corrispondente, mantenendo inalterato il rendimento delle somme investite dagli azionisti.
Come contropartita per l’assunzione dei rischi di variazioni del valore
economico del capitale investito, i consumatori ottengono che l’investimento nel settore sia attratto da tassi di rendimento inferiori a quelli che
sarebbero altrimenti necessari.
A differenza che nel sistema RB-ROR, nello spirito della regolamentazione PC il rischio di variazioni del valore economico dei beni
capitali dell’impresa grava, almeno in parte, sugli azionisti. In pratica
quali tipi di rischi gravino sull’impresa, e in che misura, non è solitamente oggetto di un preciso impegno da parte del regolatore. Il meccanismo PC, nella forma esaminata nel paragrafo precedente, prevede due
strumenti per il trasferimento sui consumatori di variazioni del valore
economico del capitale dell’impresa: il parametro Y e le revisioni dei
prezzi al termine dell’intervallo regolatorio. Il parametro Y tipicamente
trasferisce sui consumatori solo gli effetti di variazioni dei costi causate da cambiamenti del quadro normativo. Nella revisione dei prezzi la
scelta del criterio per la valutazione del capitale investito nell’impresa
determina la ripartizione tra i consumatori e gli azionisti della differenza
tra il valore economico del capitale investito al momento della revisione
e il valore del capitale implicito nelle tariffe precedentemente in vigore. Il criterio dei costi storici, che prevede che il capitale investito al
momento della revisione sia pari al valore assunto nella revisione precedente al netto degli ammortamenti effettuati a qualsiasi titolo, pone
tale rischio sui consumatori. La sua applicazione richiede peraltro una
qualche forma di “approvazione” da parte del regolatore degli investimenti che l’impresa realizza tra le due revisioni. Il criterio dei costi di
rimpiazzo, cui i regolamentatori che adottano il metodo PC dichiarano
più comunemente di fare riferimento, prevede invece che al termine dell’intervallo regolatorio sia stimato un valore di rimpiazzo dei beni capitali, tenendo conto della loro età. La nozione utilizzata di bene capitale
“equivalente” a quello dell’impresa, reso disponibile dalla tecnologia
corrente, che consente la fornitura del servizio al minimo costo, può influire significativamente sulla stima del valore di rimpiazzo del capitale
dell’impresa. Si consideri ad esempio il caso della revisione delle tariffe
per i servizi di una rete telefonica locale fissa, che utilizza cioè fili per
il collegamento degli utenti, nel caso in cui l’evoluzione tecnologica abbia reso possibile la fornitura di un servizio identico o superiore a quello
che la rete fissa consente, attraverso una rete radio con costi complessivi
sensibilmente inferiori a quelli riflessi nelle tariffe fissate nella precedente revisione. In questo caso, qualora i costi di una rete locale fissa
non siano variati rispetto a quelli riflessi nelle tariffe precedentemente in
vigore, il riferimento come “bene capitale equivalente di rimpiazzo” ad
una rete di telecomunicazioni fissa allo stato corrente della tecnologia
non comporta alcun significativo trasferimento di reddito dagli azionisti ai consumatori. Al contrario comporta una significativa riduzione
delle tariffe il riferimento, come bene capitale equivalente di rimpiazzo, ad una rete locale via radio allo stato corrente della tecnologia, dal
momento che essa comporta un costo inferiore rispetto a quella fissa.
La logica generale del meccanismo PC non consente di per sé di
individuare in maniera univoca un criterio per la determinazione del valore del capitale investito da applicarsi nella revisione. Un’indicazione
in favore del costo di rimpiazzo può essere tratta dall’osservazione che
tale meccanismo è stato originariamente introdotto in settori liberalizzati, in particolare nella regolamentazione dei servizi telefonici di lunga
distanza, quindi con l’intento di assicurare la protezione dei consumatori fino a quando la concorrenza non fosse sufficientemente sviluppata
da rendere la regolamentazione inutile. In un’interpretazione senz’altro estremizzata, ma utile ai fini della chiarificazione delle nozioni in
discussione, è come se le prime applicazioni del metodo del price-cap
fossero basate sulla convinzione, o la speranza, che lo sviluppo della
concorrenza avrebbe reso non necessaria una revisione dei prezzi. In
questo senso, se il riferimento per la determinazione dei prezzi secondo
il metodo PC è il costo di fornitura del servizio da parte di un entrante con accesso a tecnologia allo stato dell’arte, la nozione di costo di
rimpiazzo riferita alla tecnologia che sarebbe utilizzata dall’entrante ap-
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MONOPOLIO NATURALE, CONCORRENZA, REGOLAMENTAZIONE
5. RENDIMENTO, TETTI AI PREZZI E ALTRI MECCANISMI DINAMICI
pare essere quella più rilevante per la determinazione dei prezzi alla fine
dell’intervallo regolatorio.
La regolamentazione PC è stata introdotta in molti casi in settori precedentemente assoggettati a regolamentazione RB-ROR 3. In occasione
della fissazione del valore iniziale del tetto ai prezzi, nella maggior parte dei casi i regolatori hanno fatto riferimento per la determinazione del
valore del capitale a una qualche nozione di costo di rimpiazzo, in quanto ritenuta più coerente con la regolamentazione PC. Ciò comporta il
trasferimento dai consumatori ai proprietari dell’impresa delle differenze positive o negative, prodottesi nel periodo di regolamentazione RBROR, tra il costo storicamente sostenuto per l’acquisto dei beni capitali,
al netto degli ammortamenti effettuati dall’impresa a qualsiasi titolo, e il
nuovo valore determinato con riferimento al costo di rimpiazzo. L’entità
di tale trasferimento è determinata da due ordini di fattori:
(1) La dinamica tecnologica, che nei settori di pubblica utilità ha
ridotto significativamente il costo di rimpiazzo delle infrastrutture rispetto a quello storico, è tale che il passaggio da valori storici a valori di
rimpiazzo determina un trasferimento dagli azionisti in favore dei consumatori. In alcuni dei casi in cui il passaggio dalla regolamentazione
RB-ROR a quella PC ha coinciso con l’apertura alla concorrenza del
settore, come nell’attività di generazione di energia elettrica (si veda il
capitolo 6), tale trasferimento è stato evitato ponendo a carico dei consumatori i cosiddetti stranded costs, definiti come la parte dei costi del
fornitore tradizionale di cui il passaggio da un regime monopolistico ad
uno competitivo rende impossibile il recupero, e di cui la variazione del
valore del capitale qui discussa costituisce una componente 4.
(2) La dinamica degli ammortamenti effettuati, a qualsiasi titolo, rispetto alla variazione del costo di rimpiazzo. Se ad esempio nel regime
tradizionale la dinamica tariffaria ha consentito il recupero da parte degli
azionisti attraverso gli ammortamenti di una parte del capitale investito
superiore a quella che risulta essere stata “consumata” in base alla valutazione di rimpiazzo dei beni capitale 5, il passaggio alla valutazione di
rimpiazzo dei beni capitali a fini tariffari determina un trasferimento dai
consumatori agli azionisti.
3. Come già accennato alla regolamentazione RB-ROR può essere assimilato il modello europeo, basato sulla proprietà pubblica dell’impresa e sul ripianamento di
eventuali perdite a carico della fiscalità generale.
4. Nell’ipotesi che i prezzi praticati dai nuovi entranti riflettano il costo di fornitura
del servizio con la tecnologia che consente la minimizzazione dei costi.
5. Equivalentemente, se le politiche di manutenzione che la dinamica tariffaria precedente ha reso possibili hanno determinato un rallentamento dell’usura dei beni capitali
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5.2
Proprietà della regolamentazione del tasso di rendimento
La principale attrattiva della regolamentazione RB-ROR è che permette di controllare l’esercizio di potere di mercato da parte dell’impresa,
preservando gli incentivi all’afflusso di capitale nel settore. Il controllo
del potere di mercato avviene attraverso la fissazione diretta dei prezzi
da parte del regolamentatore sulla base dei costi. Inoltre la fissazione
diretta da parte del regolamentatore consente l’adozione di prezzi alla
Ramsey, efficienti dato il vincolo di copertura dei costi, o di strutture
dei prezzi finalizzate al perseguimento di obiettivi distributivi attraverso
sussidi incrociati tra categorie di consumatori.
L’accumulazione, cruciale nei settori di pubblica utilità dove gran
parte dei costi è irreversibile, è indotta dalla garanzia di rendimento del
capitale che il meccanismo fornisce: i rischi sugli investimenti “prudenti” sono infatti sopportati dai consumatori.
5.2.1. Inefficienza tecnica e allocativa
Una serie di problemi associati alla regolamentazione RB-ROR sono riconducibili alle distorsioni nel comportamento dell’impresa rispetto a
quello socialmente ottimale derivanti dal collegamento che viene stabilito tra i profitti che l’impresa può realizzare nel rispetto del vincolo e
i costi dell’impresa. Infatti, considerando un’impresa monopolista che
produce un solo prodotto in quantità Q e con domanda P(Q), impiegando due fattori produttivi, capitale e lavoro, in quantità rispettivamente K
e L, con costi unitari rispettivamente pari a r e w, il profitto dell’impresa
è rappresentato da
[5.4] π (K, L) = P(Q(K, L))Q(K, L) − rK − wL ≡ R(K, L) − rK − wL
e la regolazione RB-ROR impone che il tasso di rendimento sul capitale
investito sia inferiore ad un livello prefissato s, cioè
[5.5]
R − wL
≤s
K
rispetto al sentiero riflesso nel programma di ammortamento.
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