28 scheda A prefect day - Il cineforum "Il posto delle fragole"

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28 scheda A prefect day - Il cineforum "Il posto delle fragole"
28° film“Cineforum il posto delle fragole”22 Ed
PERFECT DAY
Fernando León de Aranoa
Titolo originale: A Perfect Day. Regia:
Fernando León de Aranoa. Soggetto: dal
romanzo Dejarse Llover di Paula Farias.
Sceneggiatura: Fernando León de Aranoa,
Diego Farias. Fotografia: Alex Catalán.
Montaggio: Nacho Ruíz Capillas. Musica:
Arnau Bataller. Scenografia: César Macarrón.
Costumi: Fernando García. Interpreti: Benicio
Del Toro (Mambrú), Tim Robbins (B), Olga
Kurylenko (Katya), Mélanie Thierry (Sophie),
Fedja Stukan (Damir), Eldar Residovic (Nikola),
Sergi López (Goyo), Nenad Vukelic (il nonno di
Nikola), Antonio Franic (il soldato con la bandiera), Frank Feys, Morten Suurballe (ufficiali
nell’ONU). Produzione: Isabel Coixet per Reposado Producciones/Mediapro/TVE. Distribuzione:
Teodora. Durata: 106’. Origine: Spagna, 2015.
Quando I lunedì al sole raggiunse le sale di mezza Europa, quasi tre lustri fa, furono in molti a
elevare peana nei confronti dell’allora trentaquattrenne regista madrileno Fernando León de
Aranoa; considerato una sorta di versione latina di Ken Loach, de Aranoa divenne in breve tempo il
beniamino del pubblico progressista, spesso vicino ai salotti radical-chic. Il suo cinema “proletario”
(nell’umanità indagata, mai nell’approccio) aderiva e aderisce a un’idea standardizzata di sinistra,
più incline ai buoni sentimenti cristiani che a una reale verve contestataria. Ne I lunedì al solemolti
intravidero i riflessi del trotskismo popolare di Loach, ma la verità a conti fatti è ben altra.
I film di Fernando León de Aranoa non possiedono mai un reale spirito battagliero: anche quando
credono ciecamente a ciò che avviene sullo schermo e aderiscono alla “parte giusta”, lo sguardo di
de Aranoa si innalza al di sopra di tutto, prendendo idealmente le distanze attraverso l’utilizzo
dell’ironia.
Non è lontano da questa prassi neanche Perfect Day, il film che il regista spagnolo ha diretto a
cinque anni dal precedente Amador, e che è stato presentato alla Quinzaine des réalisateurs durante
i lavori della sessantottesima edizione del Festival de Cannes: con a disposizione per la prima volta
nel corso della sua carriera un cast internazionale (Benicio Del Toro, Tim Robbins, Olga
Kurylenko, Mélanie Thierry e Fedja Stukan), de Aranoa si lancia in un racconto, minimale ma che
al contempo vorrebbe raggiungere le vette dell’universale, della guerra dei Balcani.
Il titolo – non c’è bisogno di dirlo – ha un valore chiaramente antifrastico. Il giorno che vediamo
svolgersi davanti a noi è tutt’altro che perfetto. La vita è tutt’altro che perfetta. Non lo è negli
scampoli finali della guerra in Bosnia, dove la gente ha visto cose orribili e manca dell’essenziale.
Ma non è perfetta nemmeno altrove – qualcuno (Tim Robbins) forse non ce l’ha neanche una vita
“normale” da vivere e qualcun altro (Benicio Del Toro), tra le mura di casa, teme di trovare altri tipi
di guerre. Il confronto tra le imperfezioni della vita e l’immaginazione, il rimpianto o l’illusione di
una vita e un mondo migliori, privi di queste imperfezioni, si può forse dire sia il motivo centrale di
tutto il cinema di Fernando León de Aranoa (dove, se necessario, si può anche arrivare a
“ingaggiare” una famiglia perfetta perché la propria vita assomigli a modelli ideali, come accade in
Familia, del 1996).
In questo suo ultimo lavoro il motivo viene declinato in una narrazione che sembra plasmata
sull’esempio di Three Kings di David O. Russell. Ad accomunarlo a quel film ambientato ai tempi
della prima guerra del Golfo non è solo il fatto di trovare in un episodio marginale che si svolge
nelle ultime battute di un conflitto l’occasione per mettere in luce le insensatezze della guerra (lo
scontro tra logica burocratica dei comandi e umanità, tra istinto di sopravvivenza e solidarietà). E
non è solo il tono (l’interazione tra il dramma e l’umorismo scanzonato che nasce dal focalizzare
l’attenzione su personaggi “inaffidabili” e incapaci – nel bene e nel male – di stare nei ranghi). Ad
accomunare i due film è soprattutto il fatto di tematizzare in modo esplicito lo iato esistente tra gli
obiettivi di un’azione e le sue conseguenze, e quindi la “razionalità” dell’agire etico. Nel film di
Russell, le azioni intraprese dai personaggi portavano sistematicamente a conseguenze diverse dalle
volontà che le determinavano (il bene nasceva da moventi egoistici, il male dalle buone intenzioni).
Gli operatori umanitari di Aranoa sono sinceramente intenzionati ad agire in favore delle
popolazioni per le quali lavorano. Il problema è capire come concretizzare le loro volontà e
produrre risultati che aiutino davvero tali popolazioni. Tra i propositi e gli esiti delle azioni si
frappongono non solo le differenze di lingua e di cultura che rendono difficile comprendere cosa
voglia l’“altro” (vedi tutte le situazioni in cui non è chiaro se le parole debbano essere prese
letteralmente o ironicamente), ma soprattutto il fatto che, per tradurre in atto gli intenti, occorre
esaminare una serie di conseguenze ipotetiche da cui si genera un ventaglio di possibilità che
eccede le capacità di computo di un individuo (i bivi con le mucche sono a tal proposito
emblematici): in un contesto simile in cui non si
ha alcuna certezza sulle reali conseguenze di una
scelta, al protagonista non resta che barcamenarsi
tra gli ideali di una ingenua etica delle intenzioni
(la ragazza francese alle prime armi), il coraggio
dell’irresponsabilità adrenalinica (il veterano un
po’ pazzo) e l’ordine del cinico rispetto di regole
burocratiche (i caschi blu). La “morale”, se ce n’è
una, riconosce l’impossibilità della “perfezione”
e, nondimeno, afferma la necessità di impegnarsi
per inseguirla.
Perfect Day vuole essere un film graffiante che si propone di mettere alla berlina l’assurda logica
della guerra senza però risparmiare l’attività dei cooperanti e le loro umane “imperfezioni”. Il
risultato dimostra la solida capacità di Aranoa di sposare humour e “serietà” in un contesto
produttivo diverso da quello in cui aveva operato sinora, lavorando con star internazionali e
raccontando una storia meno “quotidiana” dei film precedenti. A tratti, peraltro, mi sembra che non
abbia il coraggio di portare fino in fondo la prospettiva scelta: talvolta ripiega su un patetismo
umanitario più convenzionale, affidandosi agli interventi della musica rock per ridare all’azione
quella “spinta” che i dialoghi e le situazioni non sempre riescono a mantenere.
Da cineforum Rinaldo Vignati
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Giovedì 19 maggio 2016
VIZIO DI FORMA di Paul Thomas Anderson