Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Dal regista di I lunedì al sole un film che riesce a tornare con relativa leggerezza e perfino con umorismo sugli
scenari tragici dei Balcani alla fine della guerra degli anni Novanta, usando e mescolando abilmente le strutture
narrative di genere per confezionare una commedia corale attraversata da uno sguardo ironico, ma anche
realistico, profondamente umano e serio.
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
distribuzione:
106 MINUTI
SPAGNA
2015
FERNANDO LEON DE ARANOA
PAULA FARIAS
FERNANDO LEON DE ARANOA, DIEGO FARIAS
ALEX CATALÁN
NACHO RUIZ CAPILLAS
ARNAU BATALLER
CÉSAR MACARRÓN
TEODORA FILM
interpreti:
BENICIO DEL TORO (Mambrú), TIM ROBBINS (B), OLGA KURYLENKO (Katya),
MÉLANIE THIERRY (Sophie), FEDJA STUKAN (Damir), ELDAR RESIDOVIC (Nikola), SERGI LÓPEZ (Goyo), NENAD
VUKELIC (nonno di Nikola).
Festival e nomination:
7 Nomination ai Goya: miglior attore non protagonista, miglior
sceneggiatura adattata, miglior regista, miglior montaggio, miglior costumista, miglior direttore della fotografia,
miglior direttore di produzione.
Fernando Leòn de Aranoa
Nato a Madrid nel 1968 e laureato all'Università Complutense di Madrid, Fernando León de Aranoa è regista e
sceneggiatore. Esordisce alla regia di un lungometraggio cinematografico nel 1996 con il film Familia, di cui è
anche autore della sceneggiatura. Il film riceve un'accoglienza molto positiva, raccogliendo svariati premi nei
diversi festival internazionali in cui viene presentato, come il premio per il miglior regista esordiente e il premio
del pubblico alla Semana Internacional de Cine de Valladolid. Grazie a questa sua opera prima de Aranoa vince
anche il Premio Goya come miglior regista esordiente e viene candidato per la miglior sceneggiatura originale.
Si conferma con il successivo Barrio, vincendo la Concha de Plata al miglior regista al Festival del cinema di San
Sebastián e i Premi Goya per il miglior regista e la miglior sceneggiatura originale. Un successo ancor maggiore
arriva con l'ottimo I lunedì al sole (Los lunes al sol), film trionfatore ai Premi Goya 2003 con cinque
riconoscimenti, tra cui quelli per il miglior film e il miglior regista, di buon successo anche in Italia. Il film,
considerato dalla critica un piccolo capolavoro, racconta la storia di un gruppo di amici, licenziati a causa della
crisi dell'industria spagnola, che consumano i giorni tra bevute al bar, discorsi filosofici, e improbabili ricerche di
nuove occupazioni, sempre nel tentativo di mantenere viva la loro dignità.
Nel 2005 scrive e dirige Princesas, candidato a nove Premi Goya, compreso quello per il miglior film, e vincitore
dei premi per le due interpreti (Candela Peña come miglior attrice e Micaela Nevárez come miglior attrice
rivelazione) e per la canzone di Manu Chao. Princesas racconta la storia di due prostitute, Caye (Candela Peña), e
Zulema (Micaela Nevarez), una clandestina dominicana, emigrata per portare in Spagna il figlioletto di cinque
anni. Nel 2007 partecipa al documentario collettivo Invisibles, insieme a Mariano Barroso, Isabel Coixet, Javier
Corcuera e Wim Wenders.
La parola ai protagonisti
Intervista al regista
E’ la sua prima volta a Cannes. Come la vive?
E’ una grande responsabilità, oltretutto in una sezione importante del festival; mi piace molto vedere come una
platea di mille spettatori vive il film, come segue questo racconto. Quando si parla di personaggi, come nel mio
film, le storie sono universali. Viene mostrato un conflitto recente nella storia d’Europa e un gruppo di lavoratori
umanitari internazionali: ciascuno viene da un luogo diverso. E’ una cosa vera e fa del film una piccola torre di
Babele: questo aiuterà a renderlo comprensibile in tutto il mondo.
In A Perfect Day gioca con l’indefinitezza dei generi?
Questo è un problema che mi trascino da quando avevo 20 anni. E’ vero, ha ragione: il film è una commedia
dentro un dramma, dentro un road movie, dentro un film di guerra. Sono quattro generi in uno. Il suo cuore è
drammatico, però ha molto della commedia ed è un road movie: i personaggi vanno e vengono senza sosta.
Nell’indefinitezza dei generi mi sento a mio agio: la vita non ha un genere e racchiudere i nostri racconti nei
generi significa semplificarli. Come spettatore ho dei problemi con i film che si riparano dietro al genere, sono
quelli che non mi piacciono.
Il genere è quindi un salvagente?
Sì, è come un luogo sicuro. Quando proponi un genere, il produttore e lo spettatore hanno già una garanzia:
sanno quello che andranno a vedere. Ho sempre ammirato di più quelli che sanno rompere i generi, come
Polanski, perché non sai se devi ridere o no in Luna di fiele. Questo è il tipo di film che mi affascinano.
Prima di A Perfect Day aveva lavorato solo una volta con una star: Javier Bardem, in Los lunes al sol.
Sì, all’epoca era candidato all’Oscar, ma avevamo 30 anni e lui non era dov’è adesso. Volevo tanto lavorare con
Benicio del Toro, volevo provarci e gliel’ho proposto: ha trovato interessanti il personaggio e il tono della storia.
Fa grandi film a Hollywood, però gli piacciono anche progetti più piccoli e rischiosi. Ha coraggio. Gli è piaciuta la
semplicità dell’avventura, ma anche l’ambizione di raccontare attraverso una cosa molto semplice qualcosa che
va oltre. Era molto interessato ed è stato il primo a unirsi al progetto. Poi è venuto Tim Robbins: volevo un
americano tra i protagonisti, perché solitamente nei gruppi di cooperanti ce n’è uno. Mi pareva meraviglioso
averlo con me dopo averlo visto in tanti film leggendari. Partendo da Mambrú, il personaggio centrale di Benicio,
abbiamo cercato gli altri e le ragazze.
E’ riuscito a far sembrare Granada i Balcani…
Avevo fatto dei sopralluoghi anche in Bosnia, ma il paesaggio era molto simile, con vegetazione mediterranea e
una zona di alta montagna, molto vicina al mare. Gli attori bosniaci che hanno partecipato al film non potevano
credere alla somiglianza.
Lei è anche coproduttore del film. E’ stato più economico girare qui piuttosto che all’estero?
Simile: non c’era tanta differenza. Girare qui ci ha permesso di controllare meglio il film. Inoltre, il film possiede
un certo livello d’astrazione: potrebbe essere una guerra qualsiasi, in un continente qualsiasi. Si svolge tra
montagne e strade, quasi senza persone, per questo non aveva senso andare lì a cercare lo specifico del luogo
quando potevamo utilizzare le nostre strade.
Infine, alla vigilia delle elezioni in Spagna, come procede il documentario su Pablo Iglesias e la sua emergente
formazione politica – Podemos – di cui si sta occupando?
Abbiamo molto da fare; siamo al lavoro. E’ molto interessante perché il momento politico in Spagna lo è.
Racconteremo dall’interno l’intensità, le difficoltà e i successi. L’idea è raccontare la specificità del fatto di darsi
una forma partitica nel momento in cui ci si presenta alle elezioni. Questo doppio livello rende tutto più difficile e
intenso, perché non accade in altri partiti.
Recensioni
Pietro Masciullo. Sentieriselvaggi.it
Da qualche parte, nella penisola Balcanica, nel 1995. Inizia così, subito dopo l’inferno della guerra, questo strano
ibrido di cinema civile e war comedy, nuovo film del mai banale cineasta spagnolo Fernando León de Aranoa. (...)
Rimangono le macerie e gli abissi morali, allora, rimane la morte che aleggia nell’aria e nel fuori campo, mentre
al vecchio B. (straordinario Tim Robbins) non rimane che opporre una bonaria e irresistibile ironia per
sopravvivere a tutto questo. Una commedia mascherata da war movie, allora, o il contrario?
Aranoa si dimostra innanzitutto uno straordinario sceneggiatore. E ispirandosi al suo stesso impegno di
documentarista nella Bosnia degli anni ’90 non vuole fare lezioni di etica filmica o occuparsi dei massimi sistemi
della politica europea: gli interessa solo instradarci nella tragedia di un popolo reduce da un devastante conflitto
interno (quanto è ancora attuale, in epoca di crisi libica, la gestione del dramma balcanico?) facendoci viaggiare
con quattro operatori che piangono e sorridono, amano e soffrono, si sfottono e vivono lì sul “campo”. Le
dinamiche di gruppo evocano la Storia senza mai sottolinearne le ridondanze, perché sono sempre i piccoli
dettagli a fare la differenza. Perfect Day è un ottimo film corale intessuto da una miriade di sottotrame lasciate in
potenza (dinamica post-altmaniana abbastanza usuale per il regista de I lunedì al sole), capace ad esempio di
raccontare la vicenda di un ragazzino orfano senza mai cedere all’inutile estetica del pietismo ricattatorio come
nel detestabile The Search di Hazanavicius.
L’amore contrastato tra Mambrù e Katya (Olga Kurylenko), il giovanile idealismo di Sophie (Malanie Thierry) o
quello “levigato” dal tempo del disilluso B., qui ci sono sempre e solo persone che incontrano persone. Piccole
conquiste nel nero della Storia. Insomma ciò che colpisce è il tempo che Aranoa dedica a questi personaggi,
colpisce il modo in cui ognuno dei quattro attori esprima lentamente la propria umanità, in un mondo sempre
più alla deriva dove solo il cinema (meraviglioso il sottile riferimento finale a Mel Brooks…) può sistemare
giocosamente le cose. Almeno per un giorno.
Marianna Cappi. Mymovies.it
(…) Un'operazione di normale amministrazione che si complica in breve fino a rivelarsi una missione impossibile.
Una storia di normale anormalità, di complicazioni irrazionali, mine reali, ideali umanitari e umane debolezze.
Il cinema di Fernando Leon de Aranoa, dai pomeriggi al sole con Bardem, passando per i documentari di impegno
sociale e per la lettura del romanzo del romanzo di Paula Farias "Dejarse Llover", salta in avanti con questo
capitolo, pur restando fedele ad una poetica delle piccole cose e dei piccoli momenti. Come i suoi antieroi
lavorano con pazienza a mettere un po' d'ordine nel caos, il regista spagnolo lavora con mezzi semplici a
fotografare la labirintica complessità della vita e ne esce un racconto realistico ed emblematico insieme, nel
quale però la metafora non è schiacciante né pregiudicante.
Merito di una sceneggiatura più che buona, dove tutto torna senza che ne avvertiamo la meccanica, o almeno
senza che si avverta la forzatura in tale meccanica, perché perfettamente giustificata dal tema del film, che ha a
che fare con i ricorsi della Storia così come con la capacità degli uomini di aggrovigliare tragicamente la matassa
già di per sé imperscrutabile del destino. Senza lanciarsi in discorsi troppo alti ed estranei al film, rimanendo ben
ancorato a terra, alla ricerca di una banale corda o di un pallone da calcio, Aranoa parla del dramma della guerra
meglio di tante immagini dal fronte, confuse e roboanti. Come nelle opere migliori, Perfect Day tratta di relazioni,
e trova davvero un valore aggiunto nel cast internazionale e nel lavoro di Benicio Del Toro in primis, che tiene la
nota di base, grave e mai patetica, su cui possono improvvisare quella più comica di Tim Robbins, quella
maliziosa (solo in apparenza) della Kurylenko, quella più ingenua (e un poco al limite) di Mélanie Thierry.
L'ironia della sorte, ci dice Aranoa, non è sempre quella di passare dalla padella alla brace, mentre fuori piove: a
volte, come accade in questo finale, si può sorridere, con meno amarezza, del movimento contrario, dalla brace
alla padella. Fuori, comunque, piove.
Davide Turrini. Ilfattoquotidiano.it
Datemi una corda e vi farò sorridere sulle atrocità della guerra. Arriva nelle sale italiane, grazie al distributore
indipendente Teodora, Perfect Day. Il nuovo film dello spagnolo Fernando Leon de Aranoa, ambientato a metà
anni novanta nel panorama desolato della guerra nei Balcani, inizia proprio da un’inquadratura che sembra la
soggettiva di un morto, una profondità di campo all’inverso, lo spazio verso l’alto nel cielo osservato dall’interno
buio di un pozzo. Il cadavere di un uomo è stato gettato laggiù per contaminare una delle poche fonti d’acqua
disponibili tra i villaggi bosniaci distrutti dalla guerra. (...) Iniziano qui le 24 ore di peripezie per il manipolo di
cooperanti, a cui si aggiungono l’incontenibile americano B. (Tim Robbins), un’idealista e impaurita francese
(Melanie Thierry), la disinibita ed esperta Katya (Olga Kurylenko). La ricerca di una nuova corda veicola il
quintetto, poi sestetto con l’arrivo di un bambino a cui hanno “rubato” il pallone, in una rincorsa alla soluzione di
un problema banale che, come sottolineava Variety, diventa “una metafora efficace per una situazione in cui
violenza, caos e cinismo sembrano dominare in modo permanente, e ogni tentativo di ristabilire l’ordine produce
inevitabilmente una lotta che ricorda il mito di Sisifo”.
Inutile cercare una corda in ogni dove, anche perché ad ogni angolo di strada (sterrata) si aprono, e non
sembrano mai chiudersi, nuove questioni, problemi, scontri personali che sfiorano, senza gettarvisi, la tragedia.
Infatti, se c’è una cifra stilistica immediatamente riconoscibile in Leon de Aranoa, è il garbo e la grazia con cui
orchestra senso e dimensione dell’approccio metaforico, l’alto e il basso tra (accampate e latitanti) istituzioni e
(devastata e silente) società, l’umorismo da screwball comedy tra i sessi. “Ho fatto un film su alcune situazioni
che potrebbero accadere in qualunque guerra: non un film sulla guerra nei Balcani, ma un film su una qualsiasi
guerra”, spiega a FQMagazine il regista già autore di un bellissimo film sugli effetti devastanti della
disoccupazione come I lunedì al sole. “Non ci sono pistole, non ci sono sparatorie, ma humor per resistere al
dramma. Questo gruppo di personaggi è come se fosse un gruppo di miei amici. In mezzo all’irrazionalità, alla
torre di Babele dell’assurdo rappresentano per me il senso comune universale”.
Un po’ road movie e un po’ Mash, perfino qualche vicinanza tematica al No Man’s Land di Danis Tanovic, Perfect
Day è un film dalla regia pulita, mai invadente, funzionale ad un racconto in cui parola, ingegno e sopravvivenza
prevalgono su ogni svolazzo formale e si fanno approccio libero e convinto alla materia del disincanto. Una
commedia politica raffinata e intelligente (non è una caso che la Teodora abbia distribuito nel 2013 To Be or Not
to Be di Lubitsch 70 anni dopo?), mai sopra le righe, e nemmeno svaccata tra gag semplificate e banali. Svaccata,
appunto. Perché davanti ai cadaveri di due poveri bovini piazzati in mezzo alle strade dissestate della Bosnia –
ricostruita vicino Granada, in Spagna – , un segnale codificato per i cooperanti che significa mina sulla strada ma
non si sa se a sinistra, a destra, o sotto l’animale ucciso, che il racconto si ferma un paio di volte tra le risate, per
respirare e rilanciare la narrazione, mentre si sfiora la morte. “Il mio cinema non è mai realistico tout court. Cerco
sempre di mostrare il mio punto di vista, la mia personale opinione sul tema toccato”, aggiunge l’autore
spagnolo.
Sette milioni di euro di budget, tutti raggranellati con la propria casa di produzione utilizzata anche per ultimare il
primo documentario su Podemos (“E’ una delle più grandi novità politiche di questo inizio secolo, nata quando
non c’è più differenza tra socialisti e popolari spagnoli”), Leon de Aranoa disegna in Perfect Day un argine morale
all’orrore profondo della tragedia, davanti al quale i cooperanti antieroi protagonisti non si coprono gli occhi, ma
tergiversano quasi giocando per allontanare l’ombra del male, senza mollare mai la presa del senso ultimo
dell’umanità. Riuscendo perfino a salvare un gruppo di disgraziate vittime da un’immediata esecuzione che da
quelle parti si definiva “pulizia etnica”. E scusate se è poco.
Paola Casella. Mymovies.it
Fernando León de Aranoa è un omone alto quasi due metri: è necessario partire da questo dettaglio fisico per
capire il casting del suo ultimo, magnifico film, Perfect Day, che racconta le disavventure di un gruppo di
operatori umanitari impegnati nei Balcani nel 1995, al termine del conflitto nell'ex Jugoslavia. "Ho voluto tre
attori grandi e grossi, due dei quali più alti di me (Tim Robbins e il bosniaco Fedja Stukan, ndr), per rappresentare
visivamente il contrasto fra la possenza fisica di chi fa questo lavoro e l'impotenza e frustrazione che si prova in
situazioni in cui ottenere risultati positivi è davvero difficile, e che ho provato anch'io in zone di guerra in cui il
mio metro e 98 non faceva alcuna differenza. Benicio del Toro, il personaggio centrale della storia, sembra
fisicamente invincibile e invece, fin dalla prima scena, la sua forza è resa inefficace dalle circostanze".
In quella prima sequenza del Toro deve recuperare un cadavere che è stato gettato sul fondo di un pozzo per
avvelenarne le acque. "Anche il romanzo da cui Perfect Day trae ispirazione ("Dejarse llover" di Paula Farias, ndr)
inizia con quella scena che serve a raccontare il modo in cui durante la guerra anche i morti continuano a causare
altre morti. È un'intuizione poetica e un modo di spiegare cinematograficamente che invece per gli operatori
umanitari chi è sacro sono i vivi, i morti sono l'impiccio che impedisce loro di aiutare i sopravvissuti".
Chi invece deve aiutare gli operatori umanitari sono le popolazioni locali, senza cui nessuna rinascita è possibile.
"Tanto più gli operatori umanitari riescono a interagire con la popolazione locale, tanto più sono efficaci nello
svolgere il loro lavoro", sostiene il regista spagnolo. "Volevo sottolineare, nella scena finale del film, quanto sia
necessario che i problemi vengano risolti da chi vive in quei luoghi, indipendentemente dall'assistenza di chi
proviene dall'esterno". Il che non significa che gli operatori umanitari siano superflui o addirittura inutili. "Ciò che
portano è soprattutto il buon senso in una situazione dominata dall'irrazionalità. Anche se non riescono a
risolvere tutti i problemi sanno gestire il proprio senso di frustrazione affrontando il problema successivo. Il loro
eroismo consiste nel continuare ad andare avanti senza mai rassegnarsi".
Il ruolo degli operatori umanitari è stato raramente affrontato dal cinema: una lacuna che de Aranoa voleva
colmare. "Durante le pause fra un film di finzione e l'altro ho girato vari documentari al seguito di Medici senza
frontiere e dell'Unhcr in Etiopia, Somalia, Congo. La prima volta è stato proprio in Bosnia nel 1995 e ho messo
molto dei miei ricordi in Perfect Day. Mi interessa la routine di chi non ha routine perché ogni giorno deve
affrontare un problema diverso: la loro epica è in questa lotta quotidiana contro le difficoltà. Come spiega
Mambrù, il personaggio centrale del mio film, gli operatori umanitari sono gli idraulici della guerra perché parte
del loro lavoro è riparare tubi e pulire latrine. E possiedono due sole armi: l'energia e il senso dell'umorismo".
Quello humour quasi nero che caratterizza Perfect Day e l'ha fatto paragonare a M.A.S.H. di Robert Altman, ma
anche a No Man's Land di Danis Tanovic o La grande guerra di Mario Monicelli, tutti modelli in cui de Aranoa si
riconosce. "Ma il punto di riferimento più importante è stata la realtà: ho visto di persona il modo in cui la risata
nelle zone di guerra diventa un meccanismo di difesa per mettere distanza fra se stessi e l'orrore. Gli operatori
umanitari reagiscono con una battuta anche davanti agli eventi più terribili, altrimenti dopo due mesi se ne
tornerebbero a casa. Quanto più drammatica è la situazione, tanto più estremo è l'umorismo, che serve a
rimanere vitali e reattivi".
Un altro contributo importante per sollevare Perfect Day dalla pesantezza degli eventi narrati è il commento
musicale, che cita Lou Reed e i Velvet Underground (a cominciare dal titolo del film). "Volevo realizzare un film
punk rock senza cadere nella retorica della guerra e lasciare spazio all'autocommiserazione. Ad aiutarmi è stato
Tim Robbins che mi ha segnalato un paio di brani delle sue band californiane preferite". (...)
Roberto Nepoti. Repubblica
Guardate la locandina del film. I cinque volti che sembrano osservarvi dall'alto, come in un soffitto del
Rinascimento, appartengono a un gruppo di operatori umanitari che nel 1995 si trovano nei Balcani, alle prese
con un problema spinoso: (...) Chi non si contenta dei film prevedibili dalla prima all'ultima scena questa volta
potrà dirsi soddisfatto.
In Perfect Day il regista e sceneggiatore spagnolo Fernando Leon De Aranoa (un habitué dei Goya, gli "Oscar"
iberici) è riuscito a trovare un magico equilibrio tra dramma e umorismo, serietà e leggerezza, gravità e ironia
componendo un racconto eroicomico dai toni picareschi e dai dialoghi eccellenti; con uno stile suo personale ma
che, a tratti, fa venire in mente i fratelli Coen. Aranoa, che ha filmato autentiche missioni umanitarie, sa dare
verità alla cronaca; però aggiunge al film un tocco di quello che definiremmo un "umorismo realistico",
amalgamando bene l'impegno col divertimento. Nel contempo, pur senza pretendere di impartire lezioni,
denuncia come ogni guerra abbia i suoi profitti e profittatori e lancia frecciate al curaro contro l'incapacità ad
agire dei dispositivi internazionali di difesa (i baschi blu dell'ONU sono rappresentati come autentici idioti), fatti
apposta per scoraggiare le migliori intenzioni. Perfect Day, del resto, non risparmia neppure notazioni sulla
precaria funzionalità dei suoi protagonisti, eroi molto umani nelle generosità come nelle debolezze che il film si
prende il tempo di installare e di far crescere a dovere. In questo compito Aranoa è servito da un ben scelto cast
internazionale: Benicio Del Toro nella parte di un uomo coraggioso ma anche impenitente acchiappasottane
(impagabile la scena in cui parla del colore della camera da letto al telefono con la sua compagna, a pochi metri
da una mina); Tim Robbins, di ritorno in una gran parte dopo un periodo fiacco; Mélanie Thierry come toccante
neofita in zona di guerra; la decorativa Olga Kurylenko. Un'avvertenza importante. Il dispositivo drammatico del
film ruota intorno a una situazione centrale, che lo apre e - alla fine - lo chiude circolarmente. Guardarsi dal
lasciare la sala in fretta, quando sembra che la storia sia già conclusa; e non lo è ancora.
Daniela Catelli. Comingsoon.it
(…) Il nuovo film di Fernando León De Aranoa, interessante regista spagnolo di film come Familia (rifatto da Paolo
Genovese con Una famiglia perfetta) e I lunedì al sole, parla di un piccolo gruppo di bonificatori nella Bosnia del
1995: l'esperto portoricano Mambrù, la neofita francese Sophie, il disincantato veterano americano B e la russa
Katya. Sulla scorta del primo romanzo in parte autobiografico di Paula Farias, medico di Médicins sans frontières,
intitolato “Dejarse Llover” (Lascia che piova). De Aranoa mette in scena una commedia amara sulla guerra e le
sue conseguenze, partendo dal caos in cui gli uomini cercano di portare ordine, come formiche coscienziose,
dopo che un predatore ha distrutto il formicaio.
Per questo il regista ci mostra spesso i suoi protagonisti dall'alto, in jeep che corrono su strade sterrate a
strapiombo sul nulla, (...). Il tutto è raccontato con toni leggeri e spiritosi grazie anche a una bella colonna sonora
rock (nume tutelare Lou Reed, anche se proprio Perfect Day nel film non c'è), all'equilibrata alternanza tra
momenti divertenti e improvvise svolte drammatiche e alla bella caratterizzazione offerta da attori che credono
fermamente nella storia: il Mambrù di Benicio Del Toro - in una selle sue versioni “ispide” - è carismatico e
affascinante nelle schermaglie con l'ex amante interpretata da Olga Kurylenko, Fedja Stukan è ottimo nel ruolo di
un interprete che sa bene cosa può e cosa non deve tradurre, Mélanie Thierry rende bene il suo personaggio
idealista e ingenuo, ma a lasciare il segno è soprattutto l'americano guascone di Tim Robbins, forse il migliore del
gruppo. E' come se qualcuno avesse preso il suo segretario di stato in The Brink (bella serie purtroppo cancellata)
e l'avesse catapultato in prima linea. E' lui a portare con autorità il film nel solco di commedie come M.A.S.H. e
Comma 22, ma qui le analogie si fermano.
Perché Perfect Day, anche se aspira ad avere un valore metaforico, è più che altro (e non è poco) un doveroso
omaggio a chi sta dalla parte giusta, rischia la vita e spesso non ottiene riconoscimenti pubblici, ma – e questo è
forse il suo limite – non riesce ad elevarsi sulla storia che racconta al punto da diventare un film antibellico
indimenticabile.
Paolo Mereghetti. Corriere della Sera
Raccontare la guerra in commedia è operazione a volte discutibile: il rischio è quello di perdere la misura e
scivolare verso la farsa — o peggio — così da perdere ogni rispetto per il dolore e i drammi. Non è solo questione
di «far ridere» ma soprattutto di «come» ottenere quello scopo, senza diventare offensivi o irrispettosi. Due
confini che A Perfect Day dello spagnolo Fernando León de Aranoa non supera mai, guidato da un eccellente
senso della misura ma anche da una inesauribile dose di ironia.
Sono quelle che dimostrano un gruppo di cooperanti nella Bosnia del 1995: la guerra sta finendo, con tutte le
ambiguità e le confusioni del caso, (…) Ma siamo appunto in Bosnia e niente è come sembra.
Ispirato al romanzo Dejarse llover di Paula Farias (sceneggiato dal regista e da Diego Farias), il film parte da
questo problema all’apparenza semplicissimo — recuperare una corda — per guidare lo spettatore in un mondo
dove niente sembra come appare. Perché il proprietario dell’unico emporio della zona sostiene di non avere
corde quando sul bancone ce ne sono molti rotoli in balla mostra? Forse perché l’interprete ha avuto
l’inavvedutezza di dire che servirebbe per estrarre un cadavere da un pozzo (e magari sono stati proprio gli
abitanti di quel villaggetto a uccidere l’uomo e gettarlo dove ora si trova). O forse perché — come B si sente
rispondere — quella corda «serve solo per le impiccagioni»?
Spesso giocato sulle assurdità di una situazione ancora più assurda (dove però in gioco può esserci la vita, come
dimostrano le pistole che anche i bambini che giocano a pallone estraggono dalle tasche), il film evita qualsiasi
manicheismo, dimostrando come anche i militari delle Nazioni Unite rispondono alla stessa logica illogica, gli uni
in nome del nazionalismo e dell’odio etnico gli altri in nome dei regolamenti e della burocrazia che regna sovrana
(impagabile la giustificazione al disimpegno che nasce dalla differenza tra conflitto nazionale e internazionale e
che permette al comandante della zona di lavarsi le mani a proposito del pozzo inquinato).
Costruito con una ricchezza di mezzi adeguata al cast internazionale (in una piccola parte c’è anche Sergi Lopez),
il film «devia» ogni tanto dalla linea principale per seguire la storia del piccolo Nikola (Eldar Residovic) che si
aggrega al gruppo con la promessa di far trovare loro la tanto agognata corda o quella della bella Katya (Olga
Kurylenko), esperta di «valutazione e analisi dei conflitti» che non ha perdonato a Mambrù una relazione finita
male. Il primo sarà l’occasione per ricordare allo spettatore la crudeltà di una guerra dove il nemico poteva anche
nascondersi nel vicino di casa, la seconda per una «pausa sentimentale» che aiuterà a riflettere sulla solitudine
degli uomini (e delle donne) e sui rischi di un lavoro dove sentimenti e passioni finiscono per essere anestetizzati
dalla tragicità del reale. Senza però perdere mai di vista la forza eversiva dell’ironia e, quando è possibile, del
sorriso.
Si ritrova la stessa atmosfera cameratesca e lo stesso spirito dissacrante che avevano fatto il successo del suo
precedente I lunedì al sole: León de Aranoa è particolarmente abile nel raccontare lo spirito di gruppo, le tensioni
che lo attraversano, le furbizie e le ingenuità di chi cerca di fare i conti con una realtà più grande di lui (nel film
del 2002 era la crisi occupazionale, qui è la guerra che ha dilaniato un Paese) e soprattutto sa restituire le
differenze e le specificità di ognuno dei personaggi che mette sotto l’obiettivo della macchina da presa. E che in
A Perfect Day ci raccontano soprattutto la fatica di compiere il proprio dovere senza preoccuparsi troppo degli
ostacoli ma anche ricordando che nessuno è davvero indispensabile. Come dimostra, con un ultimo sberleffo, la
scena finale.
Adriano Aiello. FilmTv Rivista
Molto rock, molto Lou Reed, ma niente Perfect Day, come il titolo del film farebbe pensare. D’altronde siamo di
fronte a una giornata diversamente perfetta (…). I volti stropicciati e le pance prominenti degli interpreti - Benicio
Del Toro e un redivivo Tim Robbins - allontanano il film da qualsiasi progressismo scolastico e caricaturale,
sposando la poetica di Fernando León de Aranoa, il suo socialismo intinto di commedia, semplice e ironico, mai
realmente appuntito, ma vitale e coerente anche in questo suo debutto in lingua inglese. Al fianco dei
protagonisti pesano però due personaggi stereotipati: la novellina grintosa tutta ideali e impressionabilità e la
funzionaria rigida e mozzafiato, inviata per garantire le procedure burocratiche. Nel mezzo, un bambino
sperduto, che vuole un pallone, ma trova la solitudine tra le mura distrutte della sua casa. Perché la conclusione
della guerra è solo una certificazione formale, non una condizione reale. E il disincantato apparentemente cinico
diventa l’unico riflusso di umanità che anima gli strapiombi balcanici, dove la vita fatica a risorgere.
Roy Menarini. Mymovies.it
Il giorno perfetto di cui parla il titolo del nuovo film di Fernando León de Aranoa non è affatto infallibile. Anzi, nel
corso delle 24 ore, che non a caso cominciano con un cadavere nel fondo di un pozzo, si oscilla tra sfortuna, real
politik e piccole strategie di sopravvivenza in territorio ostile.
D'altra parte, questo stesso titolo lascia pochi dubbi allo spettatore. Raramente il cinema narra la perfezione, e
con un po' di esperienza siamo presto sull'avviso che qualcosa andrà storto. C'era un Perfect Day già nel 1929 nel
quale, in frangenti più urbani e meno drammatici, Stanlio e Ollio si vedevano rovinato il picnic da una formidabile
serie di avversità e contrattempi.
Decisamente più tragico l'epilogo (già annunciato dall'incipit) di Un giorno perfetto di Ferzan Özpetek, film
decisamente traballante quanto a esiti drammaturgici, ma interessante come tentativo di uscire dalle
consuetudini tematiche di questo autore, che racconta le 24 ore che precedono un fatto di sangue e la coralità di
personaggi ed eventi ad esso legati.
E pure A Perfect Day del 2005, di produzione franco-libanese, è un film dove le ferite della storia si intrecciano
con i problemi del presente, che paiono accumularsi l'uno sull'altro condannando al torpore e all'inazione i
protagonisti traumatizzati e infelici.
Allargando agli altri mezzi espressivi, troveremmo il romanzo "Un giorno perfetto" di Melania Mazzucco,
anch'esso corale e ambientato in una Roma multietnica e frenetica, e soprattutto il "Perfect Day" di Lou Reed (cui
più direttamente il regista spagnolo si ispira), dove peraltro - in mezzo a quelle piccole cose della vita che
rendono desiderabile la quotidianità narrata nella canzone - Reed recita a un certo punto "Just a perfect day, you
made me forget myself, I thought I was someone else, someone good", ovvero "Semplicemente un giorno
perfetto, mi hai fatto dimenticare me stesso, e ho pensato di essere qualcun altro, qualcuno per bene" - insomma
neanche qui è tutto rose e fiori.
Questa lunga carrellata serve semplicemente ad affermare che spesso i titoli ci dicono più di quanto crediamo su
quel che ci aspetta, e soprattutto aprono una catena culturale che ci permette di andare a zonzo nella storia del
cinema e delle arti popolari mettendo in relazione testi nati in maniera autonoma.
E così, anche questo Perfect Day che non sembra assomigliare a nessun altro (un film spagnolo su alcuni
cooperanti internazionali che sbarcano il lunario nei Balcani del 1995, non certo un kolossal sulla carta), offre una
piccola filosofia del prendere le cose giorno per giorno e nel ricordarci - oggi più che mai, visto il contesto
internazionale - che finire una guerra è talvolta più complicato che combatterla. Terreni minati, pozzi avvelenati,
soldataglia in rotta, carcasse di animali in mezzo alla strada, trappole disseminate, famiglie dilaniate, profughi, e
tantissimi ostacoli regolamentari, dove quel che è scritto su un trattato di pace deve poi declinarsi nella realtà di
un territorio frammentato.
Anche per noi, vent'anni dopo, un giorno perfetto è solo un modo di dire, un'espressione di humour nero che come accade in una scena del film - sembra accomunare culture differenti, che si estendono dal Portorico alla
Bosnia