Cass., Sez. IV, 30.01.2014, n.4388 LA CORTE SUPREMA DI

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Cass., Sez. IV, 30.01.2014, n.4388 LA CORTE SUPREMA DI
Cass., Sez. IV, 30.01.2014, n.4388
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere sentenza
sul ricorso proposto da:
L.P.G. N. IL (OMISSIS);
S.R. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del 24/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO
IANNELLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto
dei ricorsi;
Svolgimento del processo
1. S.R. e L.P.G. venivano tratti a giudizio avanti il Tribunale di Genova per rispondere del reato p. e
p. dal art. 113 c.p., e art. 589 c.p., commi 1, 2 e 3, perchè, nelle rispettive qualità - S.R. di
amministratore unico della società Tuscania Car s.r.l. proprietaria della motrice che componeva il
complesso veicolare condotto nell'occorso da K.M.B., L.P.G. di funzionario della motorizzazione
civile di Pisa con qualifica di direttore tecnico, autore delle revisioni dei mezzi - in cooperazione tra
loro e con l'amministratore unico della società S.K. proprietaria del semirimorchio e con il gestore
del lavoro di autotrasporto, cagionavano per colpa la morte del predetto autista del complesso
veicolare, nonchè di M.L., D. D. e V.M., occupanti il veicolo Audi A3 coinvolto nel sinistro.
Quest'ultimo era così ricostruito nel capo d'imputazione.
In data (OMISSIS) l'autoarticolato condotto da K.M.B. con un carico di 28 tonnellate di peso, stava
procedendo lungo la carreggiata sud dell'autostrada (OMISSIS) quando, giunto in corrispondenza
della chilometrica (OMISSIS), prendeva velocità probabilmente a causa della rottura del telaio che
inficiava il corretto funzionamento del sistema frenante, già non funzionante con riguardo al
semirimorchio.
L'autoarticolato, ingovernabile, dapprima urtava il new jersey posto al termine di un'area di sosta,
quindi deviava la sua traiettoria verso il centro della carreggiata, si ribaltava sul fianco destro e
proseguiva la sua traiettoria strisciando sull'asfalto e urtando violentemente ancora contro il new
jersey, sfondandolo ed aprendo così un varco di mt. 72,40.
In quest'ultima fase il complesso veicolare agganciava il veicolo Audi A3, che stava procedendo
regolarmente sulla corsia di destra, e lo scaraventava giù dal viadotto. L'impatto del veicolo al
suolo, dopo un volo di mt. 42, provocava il decesso - per gravissime lesioni multiple - dei tre
giovani passeggeri.
L'autoarticolato terminava la sua corsa contro il new jersey di sinistra della carreggiata e l'autista,
schiacciato all'interno della cabina di guida, decedeva a causa di un'acuta emorragia conseguente
alle lesioni.
Si contestava agli imputati negligenza, imprudenza, imperizia nonchè violazione di norme,
regolamenti, ordini e discipline (art. 79 C.d.S.) per aver:
- il S., concesso in uso alla società SK s.r.l. la predetta motrice in pessime condizioni di
conservazione e certamente non idonea al trasporto, in quanto caratterizzata da un telaio alterato
dalla presenza di fori non previsti dalla casa madre e da un inizio di frattura proprio in
corrispondenza di tali fori;
- il L.P., proceduto alla revisione della motrice e del semirimorchio, rispettivamente in data
(OMISSIS) e in data (OMISSIS), certificandone l'idoneità alla circolazione sulla base di un'analisi
visiva assai superficiale e senza procedere alle necessarie prove di frenata e per avere così
consentito o comunque non impedito la circolazione dell'autoarticolato costituito da una motrice
nelle descritte condizioni e da un semirimorchio anch'esso in pessimo stato di conservazione,
inidoneo al trasporto in quanto dotato di un impianto frenante assolutamente inefficiente.
2. Con sentenza del 22/12/2010, resa all'esito di giudizio ordinario nella contumacia del S., il
Tribunale di Genova affermava la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al reato
ascritto e, negate a entrambi le circostanze attenuanti generiche per il ritenuto elevato grado della
colpa e della gravità del danno, condannava il L.P. alla pena di anni 6 di reclusione e il S. a quella
di anni 5 di reclusione, oltre che al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.
A fondamento di tale decisione osservava in buona sintesi il primo giudice che:
dalle deposizioni testimoniali e dalla documentazione in atti emergeva come dato sostanzialmente
incontroverso che le condizioni di manutenzione dell'autoarticolato erano pessime;
tali condizioni non potevano ritenersi prodotte negli ultimi nove mesi di circolazione, prima del
(OMISSIS), data del sinistro, come sostenuto dalla difesa del L.P., essendo ciò stato motivatamente
escluso dal consulente tecnico del PM e a tanto conducendo anche, sul piano logico, la
considerazione che si trattava di un mezzo in circolazione da ben 17 anni e che per concludere
diversamente in quei pochi mesi il mezzo avrebbe dovuto percorrere almeno 200.000 Km, a fronte
invece dei 50 Km effettivi calcolati sulla base del contachilometri;
le diverse conclusioni del c.t. del L.P. si fondavano prevalentemente su mere ipotesi, quale la
velocità eccessiva dell'autista K. assunta come causa primaria e determinante dell'evento.
Concludeva pertanto nel senso che, a fronte delle disastrose conseguenze dell'urto del mezzo con il
guardrail, che aveva comportato addirittura la rottura a metà del telaio, e considerate anche la
presenza di fori e ruggine sul telaio della motrice, la longevità del mezzo, l'assoluta carenza
dell'impianto frenante dei semirimorchio, risultava molto più logico ritenere come "causa
determinante dell'evento iniziale (la rottura del telaio) e scatenante la sequela di eventi successivi, le
precarie condizioni del telaio stesso, che aveva ceduto totalmente al primo impatto con il guardrail".
La responsabilità del sinistro così ricostruito era quindi ascritta anzitutto al S. in quanto
amministratore unico della Tuscania Car S.r.l., proprietaria della motrice, carica non solo formale
ma esercitata in concreto, essendo emerso che: egli si era occupato dei rapporti tra la Tuscania e la
P.A., e in particolare con la motorizzazione civile; aveva svolto per anni il ruolo di autista dei
camion in quella società ed era quindi soggetto esperto nella conduzione e nella valutazione delle
condizioni degli autoveicoli aziendali; era titolare di una piccola quota societaria e pertanto non
poteva dirsi estraneo e disinteressato all'attività sociale; era apparso assai reticente in merito alla sua
conoscenza dei mezzi a seguito di contestazioni mossegli con la lettura delle dichiarazioni rese in
fase di indagini; era perfettamente a conoscenza che spesso i mezzi si recavano per la revisione a
(OMISSIS) e non a (OMISSIS) (sede della Tuscania), circostanza inattendibilmente indicata come
del tutto casuale essendo da altre fonti emerso che era piuttosto prassi che dalle province vicine i
veicoli fossero condotti a Pisa per le revisioni in quanto ritenuto un centro che le favoriva.
Quanto al L.P., la responsabilità penale del tragico evento gli era attribuita in quanto direttore
tecnico della Motorizzazione Civile di (OMISSIS) che aveva firmato entrambi gli originali dei
moduli attestanti l'avvenuta revisione sia della motrice che del semirimorchio, essendo invece certo
che le disastrose condizioni di manutenzione dei due mezzi non avrebbero consentito agli stessi di
superare un serio esame di revisione. Convergente rilievo in tal senso era attribuito alla riferita
prassi di servirsi della sede della motorizzazione di (OMISSIS) per effettuare le revisioni di
autoveicoli pesanti, risultando ivi più facile superarle poichè la prova di efficienza avveniva "a
vista" sul piazzale della motorizzazione, e senza l'ausilio di strumenti tecnici, quale in particolare il
c.d. "frenometro". Deponevano in tal senso anche alcuni indizi di fraudolento utilizzo di ricevute
relative ad altri veicoli, nonchè il fatto che il tagliandino informatico da applicare alla carta di
circolazione era presente nel modulo relativo alla revisione del rimorchio ma non in quello relativo
alla revisione della motrice.
3. Interposti gravami da parte di entrambi gli imputati - il S. in punto di ricostruzione del suo ruolo
e dei suoi compiti all'interno della società, di conoscenza delle reali condizioni del complesso
articolato, di regolarità della procedura di revisione della motrice, di estraneità dello stesso a tale
procedura, di nesso causale, di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dosimetria della
pena; il L.P. con riferimento anche lui al nesso causale, alla riferibilità alle date delle revisioni delle
condizioni di efficienza dei mezzi, nonchè al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e alla omessa concessione della sospensione condizionale - la Corte d'appello di Genova,
con la sentenza in epigrafe indicata, li rigettava, confermando integralmente la sentenza di primo
grado.
In motivazione la corte territoriale riprendeva e faceva proprie tutte le considerazioni già svolte dal
tribunale, salvo che per quanto concerne la dinamica del sinistro per la quale esprimeva il
convincimento in parte diverso secondo cui "a monte del sinistro...
non possa che situarsi l'evidente malfunzionamento dell'impianto frenante", con la conseguenza che
"in... discesa... nonostante l'uso del freno motore, non poteva che verificarsi la perdita di controllo
dell'autoarticolato", mentre "la rottura del telaio... non può che averne aggravato le conseguenze (ad
esempio determinando il distacco del guardrail in misura ben maggiore rispetto all'urto di un
veicolo in normali condizioni di carrozzeria)".
4. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori di fiducia,
entrambi gli imputati, il L. P. articolando due motivi, il S. cinque.
4.1. Con il primo motivo L.P.G. deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione (art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), anche in relazione alle specifiche censure dedotte con l'atto d'appello.
Lamenta che la Corte d'appello, sostanzialmente riproponendo, pur con qualche novità in punto di
determinazione delle cause dell'incidente mortale, la spiegazione dei fatti e delle responsabilità
offerta dal tribunale, "ha completamente trascurato" di rispondere ai motivi di appello su tre
fondamentali punti: 1) l'immotivato scarto della alternativa ricostruzione della dinamica del sinistro
offerta dal consulente tecnico della difesa; 2) la ritenuta riferibilità delle inadeguate condizioni dei
mezzi al momento della loro revisione; 3) l'attribuzione al L. della prassi di accettare in revisione
veicoli provenienti da altre province, nonostante la Motorizzazione civile di (OMISSIS) non
disponesse di strumentazione idonea a verificare l'efficienza degli impianti frenanti.
4.1.1. Sul primo punto, rileva in particolare che la Corte d'appello si è limitata ad osservare che "è
evidente che il passaggio da una velocità aggirantesi tra i 78 e i 93 km/h - peraltro toccati in una
sola occasione -...ad una di 110, per salire poi, dopo 30 secondi a 130, e scendere a 93 all'atto del
primo urto, può essere spiegata solo con un malfunzionamento dell'impianto frenante, apparendo la
precedente velocità normale".
Tale motivazione - assume - omette di confrontarsi con la diversa ricostruzione fornita dal
consulente tecnico della difesa, operata sulla base dell'analisi congiunta del tracciato del
cronotachigrafo e di quello stradale, la quale aveva evidenziato che: "i) l'autoarticolato, a pieno
carico (ed oltre), dopo una sosta parte per la sua destinazione alle ore 10.25; ii) alle 10.40 circa
inizia il tratto montuoso verso il valico del Turchino; iii) fino alle 11.05 circa (ora in cui giunge al
valico autostradale del Turchino) mantiene una velocità variabile mediamente tra i 60 e gli 80 km/h,
con numerose accelerazioni e decelerazioni, ed un primo picco di 94 km/h: il che dimostra che la
guida era tutt'altro che prudenziale (velocità oltre i limiti consentiti in percorso di montagna con
carico eccessivo o quasi); iv) alle 11.20 comincia la discesa che, al contrario della salita, è in
sensibile pendenza (4.7% per i primi 5 minuti nei quali viene ragguagliato un picco di 94 km/h): se
in un tratto mediamente in lieve salita tenere la velocità di 94 km/h con un mezzo stracarico è
imprudente, nel corso di una forte e lunga discesa è veramente sconsiderato; v) a dispetto della
velocità raggiunta dal complesso veicolare e della fatica alla quale già sono stati sottoposti i freni,
essi funzionano ancora, tant'è che l'autoarticolato viene rallentato fino ad un minimo di circa 74
km/h;
vi) seguono ancora accelerazioni e decelerazioni di breve durata ma, subito dopo che il mezzo ha
rallentato di nuovo fino a 73 km/h, inizia, nonostante che la pendenza media sia diminuita dal 4,7%
al 3,7%, un'accelerazione incontrollata che porta il veicolo ad urtare contro il new jersey alla
velocità di 120 km/h".
Sulla base di tale ricostruzione il consulente tecnico di parte aveva pertanto concluso nel senso che
"l'inefficienza dell'intero sistema frenante dell'autoarticolato per affaticamento e conseguente
fenomeno di fading" era riconducibile alla "sconsiderata condotta di guida del K."; conclusione soggiunge l'appellante - avvalorata anche dal fatto che, se di inefficienza originaria si fosse trattato,
in ipotesi addirittura anteriore alla revisione, un autista esperto quale in sentenza si assume essere
stato il K., non poteva non avvedersene, come del resto confermato anche dal consulente tecnico del
PM nella relazione integrativa dell'(OMISSIS).
4.2.2. In ordine al secondo punto, rileva che il convincimento della Corte d'appello, acriticamente
adesivo rispetto a quello del primo giudice, si rivela fondato su dichiarazioni rese a s.i.t. dal dr. G.,
direttore della motorizzazione civile di (OMISSIS), risolventisi in realtà in nient'altro che una
personale valutazione di alcune fotografie del mezzo.
Osserva come in tale parte la sentenza incorra in altra contraddizione nella misura in cui valorizza
detta valutazione a sua volta basata sul rilievo della presenza di ruggine sul telaio della motrice,
dopo avere però poco prima affermato che le considerazioni circa la dinamica del sinistro potevano
agevolmente svolgersi "a prescindere dalle considerazioni sulla ruggine di cui all'appello S." (recte:
appello L.; sentenza d'appello, pag. 18).
Rileva ancora che mere congetture, come tali anch'esse inidonee a fondare il convincimento della
responsabilità penale dell'imputato, sono i sospetti agitati in ordine alle riscontrate irregolarità dei
documenti attestanti l'eseguita revisione.
Lamenta inoltre che nessuna risposta è stata offerta al rilievo mosso con l'atto d'appello secondo cui
le due anomalie sulla motrice dal consulente tecnico (fori praticati sul telaio e inefficienza del freno
posteriore) risultavano riscontrate dal consulente tecnico del PM attraverso un metodo scientifico
non rigoroso e corretto (si era infatti rilevato che il giudizio di inefficienza del freno posteriore era
basato su una mera osservazione visiva del tamburo e non attraverso una sezione del pezzo e
comunque non ne era seguito alcuna valutazione sulla funzionalità dell'impianto frenante della
motrice, la valutazione negativa essendo invero inizialmente riferita dal c.t.
esclusivamente all'impianto frenante del semirimorchio). Peraltro che la presenza di ruggine sul
tamburo non valesse a dimostrare di per sè l'assenza di un'azione frenante si ricavava dal fatto che
sui tamburi del semirimorchio, dei quali era stata altrimenti accertata la mancata attivazione a causa
dello scollegamento della rotocamera, lo stesso c.t. non aveva osservato alcuno strato di ruggine.
In ogni caso, sostiene il ricorrente, nessuna prova vi era della riferibilità di tali anomalie, oltre ogni
ragionevole dubbio, ad una data antecedente alla revisione. Rileva in proposito che lo stesso c.t. del
PM aveva testualmente ammesso, con riferimento all'impianto frenante del trattore: "risulta difficile
poter dare una giusta data di quando ha smesso di funzionare" (esame c.t. ingegner Sartini, udienza
10/5/2010, fonoregistrazione p. 72).
Analogamente - rileva ancora il ricorrente - non è spiegato l'espresso convincimento della
retrodatazione dei fori presenti sul telaio a data antecedente la revisione, avendo lo stesso c.t. del
PM riconosciuto che nove mesi rappresentano uno spazio temporale ampiamente sufficiente per
giustificare la presenza di ruggine.
Rileva ancora che altra contraddizione segnalata ma rimasta irrisolta in sede di appello riguarda la
ritenuta riferibilità delle anomalie riscontrate sul semirimorchio alla data della revisione.
Posto invero - osserva il ricorrente - che il consulente tecnico del PM aveva imputato l'inefficienza
del sistema frenante del semirimorchio non ad una situazione di degrado ma all'esistenza di una
rotocamera scollegata e posto altresì che lo stesso consulente aveva affermato di non poter stabilire
quando tale pezzo fosse stato (male) montato, ne derivava l'impossibilità di far risalire tale
operazione, e con essa l'inefficienza dell'impianto frenante del semirimorchio, ad un periodo
antecedente la revisione.
Rileva peraltro che lo stesso consulente aveva comunque precisato che l'idoneità dei freni del
semirimorchio era verificabile anche secondo le modalità ("a vista") in uso presso la motorizzazione
di (OMISSIS).
4.2.3. In ordine al terzo aspetto in contestazione rileva che i giudici di merito, travisando dati
probatori fondamentali, hanno finito con l'attribuire ad esso ricorrente sia la scelta di procedere alla
revisione a vista, sia quella di accettare veicoli provenienti da altre province.
Evidenzia al riguardo che è una circolare della Direzione generale M.C.T.C, (n. 122 del
28/12/1998) a consentire la deroga alla regola generale secondo cui la visita e la prova di revisione
devono essere compiute per mezzo delle attrezzature, qualora essa venga eseguita presso un ufficio
della motorizzazione che ne sia privo; soggiunge che, in ogni caso, non può addebitarsi alla
responsabilità di un semplice tecnico, dipendente subordinato, quale egli è, la mancanza di
attrezzature nell'ufficio ove opera.
Quanto poi all'ordine di servizio emanato il 16/10/2003 dal direttore della motorizzazione di
(OMISSIS), indicato in sentenza a riprova dell'esistenza della tendenza (da quella nota contrastata)
a portare per la revisione in quella sede veicoli provenienti anche da altre province, rileva che, da un
lato, essa in realtà si limitava a stabilire che potessero essere sottoposte a revisione presso la sede
pisana tutti i veicoli i cui intestatari residenti in altra provincia ne facessero richiesta a condizione
che tale richiesta fosse adeguatamente motivata e, dall'altro, rappresentava comunque la migliore
dimostrazione della propria estraneità a tale aspetto della vicenda, non avendo egli alcun potere di
incidere su tale prassi.
4.2. Con il secondo motivo il L.P. deduce vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio
e di mancata concessione delle attenuanti generiche.
Rileva al riguardo che la motivazione adottata dalla corte territoriale risulta meramente di stile e
non si misura con i contorni del fatto storico e, in particolare, con il concorso di colpa di altri
soggetti e con l'indubitabile assenza in capo allo stesso di alcun reale potere direttivo e dispositivo
all'interno del proprio ufficio, non tenendo peraltro in alcun conto la sua incensuratezza.
5.1. Con il primo motivo, S.R. deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità
(artt. 178, 179 e 487 c.p.p.).
Rileva che, in relazione al presente procedimento, in data 23/11/2006, nel corso dell'interrogatorio
davanti alla polizia giudiziaria della procura della Repubblica del tribunale di Genova, egli aveva
modificato la precedente elezione di domicilio presso la figlia S.S. in (OMISSIS) in sede di
identificazione davanti alla Guardia di Finanza, nucleo P.T. di (OMISSIS), fissandola presso il
proprio domicilio in (OMISSIS) e che nondimeno i successivi atti processuali a lui diretti erano
inspiegabilmente recapitati ancora presso la residenza della figlia.
Rileva che anche l'avviso di fissazione del giudizio d'appello rimaneva per tal motivo non ritirato ed
egli pertanto non aveva notizia del processo, al quale conseguentemente non partecipava, venendo
dichiarato contumace.
5.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. d).
Rileva che, al fine di fare chiarezza sul proprio ruolo e sui propri compiti all'interno della società,
aveva chiesto, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., l'esame del teste B.A., professionista incaricato di
provvedere agli incombenti amministrativi relativi agli automezzi dell'azienda, il quale avrebbe
potuto fornire informazioni decisive circa l'effettiva conoscenza in capo ad esso ricorrente dello
stato di efficienza della motrice: richiesta - assume - immotivatamente disattesa dalla Corte
d'appello con mero rimando alle frettolose considerazioni al riguardo svolte dal primo giudice.
5.3. Con il terzo motivo deduce mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in punto
di ricostruzione delle cause del sinistro.
Si duole della mancata considerazione della tesi sul punto argomentata dal c.t. dell'altro imputato,
peraltro avvalorata dalle dichiarazioni di "alcuni testi della difesa", che avevano confermato la
propensione dell'autista a tenere, nella guida degli automezzi che gli venivano affidati, una velocità
superiore al consentito, al fine di effettuare un maggior numero di viaggi.
Soggiunge al riguardo che, peraltro, l'aver accolto una ricostruzione parzialmente diversa circa le
cause del sinistro, avrebbe comunque dovuto indurre la corte d'appello ad attribuire ad esso
ricorrente un grado di responsabilità più basso rispetto a quello ritenuto in prime cure, con il
conseguente temperamento della pena.
5.4. Con il quarto motivo deduce ancora violazione del criterio di giudizio di cui all'art. 533 c.p.p.,
secondo cui la responsabilità dell'imputato può essere affermata solo quando risulti provata "al di là
di ogni ragionevole dubbio".
Rileva al riguardo che non risultano illustrate in sentenza in modo convincente le ragioni della
esclusione di ipotesi alternative rispetto a quella della responsabilità dell'imputato, sebbene le stesse
fossero prospettabili alla luce delle conclusioni contenute nell'elaborato dal consulente tecnico di
parte, Ing. Sc..
5.5. Con il quinto e ultimo motivo, il ricorrente deduce violazione di norma penale e vizio di
motivazione in ordine alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Rileva al riguardo che sul punto la sentenza risulta carente di motivazione, non avendo in
particolare considerato le limitate funzioni da lui svolte nell'ambito della società Tuscania, quasi
esclusivamente formali, e comunque estranee alle scelte gestionali ed operative della stessa e
omettendo altresì di dare il dovuto rilievo alla sua incensuratezza (al qual fine rimarca che la norma
che ne limita l'efficacia sotto tale profilo è entrata in vigore in epoca successiva rispetto alla data di
commissione dei reati), nonchè alla sua età non più giovane e al suo corretto comportamento
processuale.
Motivi della decisione
6. Va preliminarmente esaminato il primo motivo del ricorso proposto da S.R. con il quale si
deduce la nullità della notifica dell'avviso di fissazione del giudizio d'appello e degli atti successivi
in quanto effettuata presso la residenza della figlia S.S., originariamente eletta a domicilio,
nonostante l'asserita successiva dichiarazione di domicilio presso la propria abitazione in
(OMISSIS).
Deve sul punto rilevarsi che non si rinviene nel fascicolo processuale l'atto che, secondo quanto
dedotto in ricorso, conterrebbe la nuova elezione di domicilio (interrogatorio del 23/11/2006
davanti alla Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica del Tribunale di Genova).
Un approfondimento sul punto si rivela comunque ultroneo alla luce dei rilievi che seguono.
Deve anzitutto osservarsi che la tempestiva impugnazione proposta dal difensore avverso la
sentenza del Tribunale ha comunque travolto ogni eventuale irregolarità della notificazione
dell'estratto contumaciale della stessa, integrando il raggiungimento dello scopo cui la notificazione
medesima era finalizzata.
Va poi rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con sentenza, n. 119 del
27/10/2004 (dep. 07/01/2005), Palumbo, Rv.229539 -hanno affermato il principio secondo il quale,
in tema di notificazione della citazione all'imputato, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall'art.
179 c.p.p., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando,
essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la
conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato.
La medesima nullità non ricorre, invece, nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione
delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l'applicabilità della sanatoria di cui
all'art. 184 c.p.p., trattandosi di nullità a regime intermedio.
Nell'ipotesi considerata la notifica in parola, anzichè essere stata effettuata nel domicilio che si
afferma essere stato successivamente dichiarato, è stata eseguita nel luogo di residenza della figlia
dell'imputato, già in precedenza eletto a domicilio.
Ove dunque vi fosse effettivamente stata la dedotta successiva dichiarazione di domicilio (ipotesi,
come detto, non verificabile), non sarebbe da revocare in dubbio che la notifica è avvenuta in forme
diverse da quelle prescritte, ma dovrebbe nondimeno ammettersi che il mezzo diverso era
comunque idoneo a determinare l'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato.
Si sarebbe trattato dunque di mera irregolarità, idonea a determinare al più una nullità a regime
intermedio che, come tale, avrebbe dovuto essere dedotta nella fase di trattazione delle questioni
preliminari ex art. 491 c.p.p..
Evidente, quindi, la tardività della eccezione, proposta solo con il ricorso per Cassazione, tanto più
se si considera che del giudizio di appello era stato ritualmente avvisato il difensore, il quale,
essendo stato presente al successivo dibattimento, ben avrebbe potuto sollevare tempestivamente
l'eccezione.
La mancata proposizione nei termini di cui all'art. 491 c.p.p., sana il vizio, mancando la prova che la
notificazione della citazione, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia
risultata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato
(v. in tal senso ancora Sez. U. n. 119/2005 cit., in motivazione, par. 7, in fine; cfr. anche Sez. 6, n.
3895 del 04/12/2008 - dep. 28/01/2009, Alberti, Rv. 242641).
7. Passando a esaminare le ulteriori doglianze formulate dai ricorrenti, attinenti alla tenuta
argomentativa della sentenza, appare utile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo
di legittimità sulla sentenza di merito.
Invero, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità
sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l'apprezzamento del giudice di
merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile:
a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Con l'ulteriore precisazione, quanto alla illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che
deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata,
purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (v.
e pluribus Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, non mass. sul punto).
In altri termini, l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto
l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica
della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. 4, n. 4858 del 04/12/2003 dep. 06/02/2004, Cozzolino, non mass. sul punto).
Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal
testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato
considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti
processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si
presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi
della logica (Sez. 4, n. 19710 del 2009, Buraschi, cit.).
I limiti del sindacato della Corte non possono considerarsi mutati neppure a seguito della nuova
formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006,
n. 46, laddove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia
"effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il
giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto
risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia
esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le
affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del
processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per
cassazione: c.d. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto
il profilo logico.
Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione
dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in
termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.
Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa
esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite,
trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.
In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione
- la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del
fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.
Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi suesposti, deve
ritenersi che la sentenza impugnata regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza,
contraddittorietà od illogicità della motivazione.
7.1. Tanto deve anzitutto affermarsi con riferimento alle doglianze, congiuntamente esaminabili,
con le quali entrambi i ricorrenti censurano la ricostruzione delle cause del sinistro stradale e la sua
riconduzione alle pessime condizioni di manutenzione dell'autoarticolato, piuttosto che ad uno
straordinario affaticamento del sistema frenante contingentemente dovuto alla condotta di guida del
suo conducente (ricorso L.P., primo motivo, primo profilo;
ricorso S., terzo e quarto motivo).
Le considerazioni di dettaglio svolte nei ricorsi, e in particolare in quello del L.P., con richiamo alle
osservazioni del consulente tecnico di parte, risultando comunque esse stesse muoversi su dati
incerti e meramente ipotetici, non appaiono tali da infirmare la tenuta logica interna delle pur
sintetiche risposte ad esse dedicate dai giudici di merito, le quali trovano in particolare punti di
forza nelle considerazioni, in sè rimaste inconfutate, secondo cui:
dall'istruzione acquisita emerge come dato sostanzialmente incontroverso che le condizioni di
manutenzione dell'autoarticolato erano pessime;
tali condizioni non potevano ritenersi prodotte negli ultimi nove mesi di circolazione, prima del
02/08/2005, data del sinistro, come sostenuto dalla difesa del L.P., essendo ciò stato motivatamente
escluso dal consulente tecnico del PM e a tanto conducendo anche, sul piano logico, la
considerazione che si trattava di un mezzo in circolazione da ben 17 anni e che per concludere
diversamente in quei pochi mesi il mezzo avrebbe dovuto percorrere almeno 200.000 Km, a fronte
invece dei 50 Km effettivi calcolati sulla base del contachilometri;
il consulente tecnico del P.M. aveva evidenziato per diversi profili il malfunzionamento del sistema
frenante; le critiche mosse al metodo valutativo ed agli argomenti al riguardo svolti non appaiono
dotate di tale pregnanza logica da infirmarne la validità, dovendosi del resto considerare che la tesi
contrapposta - affaticamento contingente dal sistema frenante - non risulta di per sè dotata di
evidenza tale da porsi come plausibile ricostruzione alternativa (restando comunque indimostrato e
anche poco verosimile che una condotta di guida quale quella testimoniata dalle registrazioni del
cronotachigrafo e dal tracciato stradale, per quanto spinta a tratti fino ai 94 km/h, non potesse essere
sopportata da un sistema frenante in condizioni di normale efficienza, come del resto dimostra il
fatto, desumibile proprio dal tracciato del cronotachigrafo, che il suo cedimento si è verificato, in
modo brusco e verticale, in un momento in cui la velocità del mezzo - 73 km/h - era tenuta al di
sotto del limite massimo consentito e la pendenza media della strada era pure diminuita).
Nè indice di debolezza o inadeguatezza argomentativa può vedersi nell'apparente contrasto
rilevabile tra le due sentenze di merito in punto di antecedenza eziologica del malfunzionamento del
sistema frenante rispetto al cedimento del telaio, atteso che le considerazioni al riguardo svolte nelle
due sentenze, da un lato, se lette in riferimento agli specifici scopi argomentativi per i quali sono
utilizzate, non rivelano uno stridente conflitto logico (il giudice di primo grado invero,
nell'attribuire preminente rilevanza alle condizioni di grave ammaloramento del telaio, sembra
riferirsi più che altro alle conseguenze disastrose del primo impatto del mezzo con il new jersey e
non alle precedenti cause di tale impatto, cui invece si riferisce il giudice d'appello nell'ascriverle al
malfunzionamento del sistema frenante); dall'altro valgono comunque entrambe ad evidenziare
condizioni patologiche del mezzo entrambe concorrenti nella causazione del sinistro.
7.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche quanto alle censure che nell'uno e nell'altro
ricorso sono dirette a contestare il convincimento espresso dai giudici di merito circa l'imputabilità
del sinistro così ricostruito alle condotte colpose dell'uno e dell'altro imputato.
7.2.1. Anche sul punto le considerazioni del L.P. (primo motivo, secondo e terzo profilo) si rivelano
inidonee ad evidenziare profili di evidente incoerenza logica.
Nessuna patente contraddizione si ravvisa, invero, nelle considerazioni svolte dai giudici di merito
essendo queste essenzialmente e del tutto plausibilmente fondate sul dato incontestato della vetustà
e della generale pessima condizione di manutenzione dell'autoarticolato nel suo complesso e
segnatamente del telaio e del sistema frenante, tale da non potersi presumere che tali condizioni non
fossero rilevabili al momento della revisione (potendosi a ciò aggiungere che meno ancora esse
comunque avrebbero potuto consentire, per elementare diligenza, di accettare l'autoarticolato ad una
revisione meramente "a vista", tanto meno con esito positivo).
Nessun rilievo in tale valutazione può poi assumere la circostanza che l'accettazione a revisione di
veicoli provenienti da altre province non rispondesse a scelte del predetto nè fosse da lui
governabile, il che del resto non è nemmeno sostenuto nella sentenza impugnata che segnala la
circostanza solo quale indizio (in effetti logicamente conferente) del fatto che, in quel centro, le
revisioni fossero più facili da ottenere (ed è questo aspetto che, riguardando le modalità con cui di
fatto tale attività era svolta, investe certamente condotte riferibili quanto meno anche all'odierno
ricorrente).
7.3. Quanto poi alla posizione del S., l'affermazione della sua responsabilità risulta congruamente
argomentata in relazione alla sua posizione di amministratore unico della società proprietaria della
motrice.
Le considerazioni critiche svolte dal predetto circa l'omessa ammissione di prove asseritamente
idonee a dimostrare la sua mancata conoscenza delle reali condizioni del mezzo (secondo motivo),
si appalesano infondate avendo la sentenza d'appello adeguatamente motivato la propria decisione
sul punto, evidenziando il carattere non decisivo del teste richiesto ( B.A.) in relazione agli altri
elementi di prova acquisiti e dettagliatamente passati in rassegna (v. pagg. 16 - 17 della sentenza),
tra i quali in particolare assume evidente rilievo dirimente la considerazione, in sè logicamente
congrua e in diritto corretta, e che non risulta affatto abbandonata nè contraddetta dalle successive
argomentazioni, secondo cui - a tutto concedere - comunque "la responsabilità dell'amministratore
si affianca (e non è sostituita da) quella dell'eventuale amministratore di fatto".
8. Sono, infine, altresì infondate le censure che entrambi i ricorrenti dedicano al trattamento
sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche (secondo motivo del ricorso
L.P., quinto motivo del ricorso S.).
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in
ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del
sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d.
motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142) o con formule
sintetiche (tipo "si ritiene congrua" v. Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583), ma
afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione
solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004,
Ronzoni, Rv.
229298).
Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla
discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, tanto che "ai fini della concessione o
del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il
riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole
o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso" (Sez.
2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi condivisibilmente precisato
che "la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio
potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato
globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica
motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa
rispetto alla pena edittale" (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la
quantificazione della pena ovvero il diniego delle attenuanti generiche siano frutto di arbitrio o di
illogico ragionamento o che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il
giudice a quo sia pure sinteticamente ma specificamente motivato sul punto facendo in particolare
riferimento all'elevato grado della colpa e alla gravità del danno.
9. I ricorsi vanno pertanto entrambi rigettati con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali oltre che alla rifusione delle spese sostenute per il presente giudizio, liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione
delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.750,00 a favore di K. S.F. e
in complessivi Euro 7.680,00 per M.R. e altri. Oltre, per tutti, accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2014