il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di
LiberaUscita
Marzo 2010 – n° 69
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
1547 - Mario, il mago e il fattore “i”
1548 - La chiesa di fronte alla scelta del celibato
1549 - Il laico precetto di rispettare le norme
1550 - Il coraggio del mea culpa sugli abusi sessuali
1551 - Chi deve decidere della propria vita
1552 - I valori che guidano il voto dì un cattolico
1553 - La chiesa tra scandali e privilegi medievali
ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA
1554 - La colpa di chi fa le leggi per se stesso - di Gustavo Zagrebelsky
1555 - Bimba incinta stuprata da nonno e zio: sì all’aborto - di Piero Russo
1556 - Crocifisso: ricorso ammesso, non accolto - di Stefano Faraoni
1557 - Marino “strappa” un mezzo sì a Fini - di Susanna Turco
1558 - Perché siamo un paese sull’orlo del baratro - di Nadia Urbinati
1559 - Oltre la legalità - di Andrea Bellavite
1560 - Accordo in Parlamento: approvata la legge sulle cure palliative
1561 - Una crisi di regime - di Stefano Rodotà
1562 - Essere padroni della nostra esistenza - di Stefano Rodotà
1563 - Le macerie istituzionali - di Adriano Prosperi
1564 - Perché le regole sono la democrazia - di Carlo Galli
1565 - Il dialogo delle verità - di Carlo Galli
1566 - Per salvare la terra bisogna cambiare cultura - di C. Pulcinelli
1567 - Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia - di Hans Küng
1568 - Biotestamento: discutere tra scienza e coscienza - di C. A. Defanti
1569 - Pax Christi: scongiurare il regime, prima che sia troppo tardi
1570 - La bandiera vaticana - di Adriano Prosperi
1571 - Il fondamentalismo bussa alla regione – di Federico Orlando
1572 - 41 preti per la libertà sul fine-vita
1573 - Ci mancava, oh, come ci mancava! di don Paolo Farinella
1574 - Margherita Hack: disobbedienza civile dei ricercatori staminali
1575 - Cinque risposte da Margherita Hack - di Camilla Furia
1576 - L’obbligo della verità dopo troppi silenzi - di Adriano Prosperi
1577 - Salute e dignità nella Carta - di Lorenza Carlassare
I REGISTRI PER IL BIOTESTAMENTO
1578 - Modena: istituito il registro dei biotestamenti
1579 - Sesto Fiorentino: istituito il registro
1580 - Ottaviano: istituito il registro
1581 - Arezzo: istituito il registro
1582 – Gorizia: il consiglio approva odg per istituire il registro
NOTIZIE DALL’ESTERO
1583 - L’Andalusia dice sì alla "dolce morte"
1584 - La legge dell’Andalusia per il diritto di morire con dignità
LETTERE DALLA ASSOCIAZIONE
1585 - A chi avevate pensato?
1586 - Cronaca da Modena
1587 - Cronaca da Fiorano Modenese
1588 - Torino: rapporto sul testamento biologico
1589 - La propaganda elettorale di Bagnasco
PER SORRIDERE…
1590 - Le vignette di Altan – Forma e sostanza
1591 - Le vignette di Ellekappa – il prezzo elettorale della chiesa
1547 - MARIO, IL MAGO E IL FATTORE “I” – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì 4 marzo 2010
Caro Dr. Augias, mia figlia mi scrive dalla Nuova Zelanda, dove lavora: il ministro
dell’Alloggio e della pesca Phil Heatley ha dovuto rimborsare ai Ministerial Services i 70
dollari (poco più di 30 euro) che aveva impropriamente addebitato sulla sua carta di credito
ministeriale per l’acquisto di due bottiglie di vino. In seguito allo scandalo sollevato dalla
vicenda (che aveva occupato metà della prima pagina del ‘Dominion Post’) ha rassegnato le
sue dimissioni al Primo Ministro John Key; questi le ha accettate, non escludeva che lo
stesso potesse in seguito tornare a far parte del governo, ma aspettava che ulteriori
accertamenti chiarissero la sua posizione.
Episodi come questo spiegano perché nel recente Cpi (Corruption Perception Index) di
Transparency International la Nuova Zelanda mantenga il primo posto della classifica dei
paesi meno corrotti del mondo mentre l’Italia è scivolata in due anni dal 41° al 63° posto,
fanalino di coda europeo, peggio del Capo Verde e del Botswana.
Sarà perché la Nuova Zelanda si trova agli antipodi o perché la sua forma assomiglia a
quella di un’Italia rovesciata?
Prof. Paolo Negrin - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Fa piacere leggere che in Nuova Zelanda l’acquisto incauto di due bottiglie di vino finisce in
prima pagina. Cioè, no. Non fa piacere, altri sono i sentimenti, non ultimo l’umiliazione. Una
delle analisi più lucide sulla nostra situazione l’ha fatta Jacqueline Risset su ‘Le Monde’.
Forse perché l’occhio dello straniero (anche se Risset insegna da anni in Italia) sa vedere
con meno cautele. Gli Italiani, ha scritto, sembrano in preda ad un’ignavia totale, ad un vero
stato d’ipnosi.
Caso vuole che nei giorni scorsi io abbia richiamato la novella di Thomas Mann ‘Mario e il
mago’. Anche il povero ragazzo Mario è ipnotizzato dal mago Cipolla che priva le sue vittime
della volontà costringendole a fare sciocchezze. Mario, ridotto in stato di trance, è indotto a
baciare Cipolla mentre altre vittime ballano goffamente sul lato opposto della scena. La
novella è del 1930 e i riferimenti politici sono trasparenti. Manca però al tentativo di analisi
basato sull’ipnosi, il fattore ‘I’, informazione. Se il principale Telegiornale arriva a una
menzogna aperta sulla sentenza Mills dichiarando assolto l’imputato mentre si è trattato solo
di prescrizione (il reato c’è ma il tempo lo ha cancellato), è chiaro che il risveglio dall’ipnosi
diventa difficile - che è appunto il fine della menzogna.
Ma un’informazione che arriva a mentire apertamente è peggio che asservita, diventa
sintomo di regime.
1548 - LA CHIESA DI FRONTE ALLA SCELTA DEL CELIBATO - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 10 marzo 2010
Caro Augias, ho visto su Repubblica la foto di un preoccupato Benedetto XVI di fronte al
dilagare di scandali di pedofilia. Si dice che per evitare queste tentazioni bisognerebbe
abolire il celibato dei preti, anche se questa soluzione mi sembra piuttosto limitativa del ruolo
di una moglie, come del resto di quello di un chierichetto. Certo, condurre l'esercizio
pastorale confortati da una complessa affettività nei confronti della moglie e soprattutto dei
figli, permetterebbe un rapporto più equilibrato e sereno con i "parvuli". Mi resta però il
dubbio che a favorire le deviazioni di questo rapporto sia proprio il ruolo educativo esercitato
dal sacerdozio, non solo verso i bambini, ma anche verso le donne, la cui presenza in
confessionale è pure ben commentata dalla scaltrezza popolare. Del resto il popolo è
sempre stato comprensivo verso la solitudine del prete e le porte di servizio dei conventi di
clausura.
A suo tempo, anch'io fui fatto oggetto di attenzioni particolari, sia pure senza esito. Mia
madre non se ne scandalizzò, mi raccomandò di non restare mai solo col prete.
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Andrea Bonucci - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Su questo terribile problema della chiesa cattolica ho letto di recente due interventi entrambi
autorevoli ma quasi opposti.
Il primo di Hans Küng su Repubblica nel quale il noto teologo (dissidente) diceva tra l'altro: «
Abusi sessuali in massa ai danni di bambini e giovani ad opera di preti cattolici, dagli Usa alla
Germania, passando per l'Irlanda: un enorme danno di immagine per la chiesa cattolica, ma
anche segno palese della sua crisi. E indiscutibile che tali abusi si verifichino anche in seno
alle famiglie, nelle scuole, nelle associazioni e anche nelle chiese in cui non vige la regola
del celibato. Come mai si registrano in massa proprio nella chiesa cattolica, guidata da
celibatari? Queste colpe non sono attribuibili solo al celibato. Ma questo resta la più
importante espressione dell'approccio teso che i vertici cattolici hanno sulla sessualità».
L'altra opinione è quella di monsignor Vincenzo Paglia vescovo di Terni noto per le sue
aperture: «Noi preti siamo chiamati a una vita paradossale che mette in evidenza il primato di
Dio. Il celibato mette una zeppa ad una società consumista ed egocentrica. La paradossalità
della vita del prete rende la società più umana».
Hanno ovviamente ragione entrambi anche se potrei ricordare (con Küng) che: « Pietro e gli
altri apostoli erano sposati nell'esercizio del loro ufficio. Questa rimase per molti secoli una
condizione ovvia per i vescovi e i presbiteri». Il celibato non ha nulla di teologico né di
evangelico. E' una decisione amministrativa quindi revocabile quando le circostanze
sembrino suggerirla. Le circostanze francamente sembrano suggerirla.
1549 - IL LAICO PRECETTO DI RISPETTARE LE NORME - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì 18 marzo 2010
Gentile Augias, si ritiene che se ogni cittadino fosse un buon cristiano la società civile
sarebbe migliore. Ma quanto di questo miglioramento potrebbe ugualmente verificarsi se i
cittadini rispettassero anche soltanto le leggi dello Stato (insegnamenti civili)? Leggendo i
Codici infatti vediamo che le leggi puniscono l’omicidio, il reato più grave perché elimina
l’esistenza di un uomo, ma anche il furto comunque commesso, la menzogna, l’omissione di
soccorso, la lesione dell’onore o dei corpo altrui, il lenocinio, lo sfruttamento del lavoro o
delle persone, il vilipendio delle Istituzioni e delle religioni, la poligamia e molti altri
comportamenti che non solo provocano danno, ma anche violano i dieci Comandamenti e,
indirettamente, le Virtù nonché le Opere di Misericordia (che vedo neglette, volontariato a
parte) sono tutti pilastri del Cristianesimo, a dimostrare che se i Codici puniscono certi
comportamenti è anche perché scaturiscono effettivamente dalle nostre radici culturali.
Mi sembra tuttavia che chi è preposto alla sfera religiosa (e parla spesso di quelle radici) non
censuri abbastanza questi comportamenti e le persone che se ne rendono responsabili, e si
accontenti spesso della (pubblica) osservanza dei Precetti.
Giovanni Moschini - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Questa lettera ingenua (solo) all’apparenza, solleva in realtà due problemi di tale peso da
schiantare una qualunque rubrica di lettere. Mi limito ad enunciarli.
Il primo è il contrasto tra la ‘Fede’ e le ‘Opere’ che fin dall’inizio divise il cristianesimo con
Paolo di Tarso decisamente dalla parte della Fede come poi sarà Lutero. Tendenza
contrastata poiché, come si capisce subito, diminuisce molto l’importanza della chiesa. La
Fede ognuno la nutre in cuor suo.
Il secondo è la possibile esistenza di una moralità degli individui al di fuori dell’obbedienza ad
una religione. A chi volesse approfondire consiglio ‘Biblioteca laica’ a cura di Michele
Ciliberto (Laterza ed.) limitandomi a dire che il tema attraversa il dibattito intellettuale fin
dall’antichità.
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Il sofista Crizia sviluppò la teoria secondo cui gli dèi furono inventati per costringere gli
uomini a comportamenti morali, o meglio a non delinquere. Polibio, ammiratore del sistema
romano, scrisse che le nozioni sugli dèi e l’aldilà «tengono a freno le violente passioni delle
masse». Il dibattito attraversa l’umanesimo e il rinascimento italiani impegnando alcuni degli
spiriti più acuti di quei secoli: da Machiavelli a Erasmo, da Paolo Sarpi a Bruno, Galileo,
Campanella per arrivare a Leopardi. Viene in ballo in questa discussione niente meno che il
valore civile d’una religione e, per conseguenza, la possibile confusione tra il regno di Dio e
l’impero di Cesare.
Esattamente ciò che Gesù di Nazaret s’era affannato a tener diviso.
1550 - IL CORAGGIO DEL MEA CULPA SUGLI ABUSI SESSUALI - DI C. AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 20 marzo 2010
Caro Augias, ritengo che la Chiesa abbia in passato sottovalutato il problema degli abusi sui
minori da parte di alcuni preti, ma è anche vero che c'è in atto una campagna tendente a
screditare l'immagine della Chiesa cattolica. In questi giorni alcuni giornali tedeschi hanno
riportato un discorso pronunciato dal ministro Goebbels nel 1937 che si inquadra nella
campagna di linciaggio alla quale i preti cattolici furono sottoposti nei primi anni del regime
nazista. Furono utilizzati alcuni scandali avvenuti in una congregazione religiosa per fare
guerra ai preti cattolici i quali avevano assunto un atteggiamento apertamente critico nei
confronti del nazismo. Non era più il singolo prete ad essere responsabile delle proprie
azioni, ma l'intero clero.
Non pretendo di fare un parallelo con quella situazione, ma è singolare che l'enfatizzazione
sistematica sui media di tutto il mondo dei casi di preti pedofili, è iniziata dopo che la Chiesa
ha espresso la propria contrarietà all'eutanasia, matrimonio gay e altri temi.
Goran Innocenti – [email protected]
Risponde Corrado Augias
Il paragone con il nazismo sembra a me non solo esagerato ma sbagliato.
La vivace reazione mondiale nei confronti degli episodi di pedofilia credo che dipenda in
primo luogo dalla vastità di un fenomeno che ha investito molti paesi in America e in Europa,
per un periodo molto lungo e coinvolgendo migliaia di casi. C'è stata sicuramente anche una
forte reazione di sorpresa perché nessuno (ritengo) si aspettava uno sfacelo di tali
dimensioni da un'organizzazione che si definisce 'sacra' e tenta con frequenza d'imporre le
sue regole morali. Credo infine che ci sia stata anche l'indignazione sollevata dalle ragioni
che hanno determinato la segretezza sui casi fino a quando il fenomeno è esploso in modo
non più contenibile. Ricordo che la Congregazione vaticana per la dottrina della fede dichiarò
che erano e dovevano rimanere di sua esclusiva competenza tutti i casi di reati sessuali ad
opera di religiosi. I casi relativi al periodo 1981-2005 furono esaminati dall'allora prefetto
cardinale Ratzinger il quale inviò una circolare a tutti i vescovi del mondo ('Epistula de
delictis gravioribus', 18 maggio 2001) nella quale si precisava che tutti i casi di abuso erano
posti sotto il 'secretum pontificium', vincolo di tale peso che la sua violazione comporta una
punizione ecclesiastica. Le deleterie conseguenze di tale segreto sono state, in numerosi
casi accertati (anche in Italia), il semplice trasferimento del colpevole in altra sede dove
spesso gli abusi si sono ripetuti.
Giorni fa su questo giornale l'autorevole teologo (dissidente) Hans Küng chiedeva: «La
Chiesa non dovrebbe quindi attendersi un "mea culpa" anche da parte del Papa, in
collegialità con i vescovi?».
1551 - CHI DEVE DECIDERE DELLA PROPRIA VITA - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì25 marzo 2010
Gentile Augias, Ray Gosling, giornalista della Bbc, ha confessato di aver soffocato il suo
compagno malato terminale di Aids. Tra i due c’era un patto, se uno di loro si fosse
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ammalato senza speranza di guarigione l’altro avrebbe dovuto aiutarlo a morire. Gesto
d’amore o barbarie? La domanda scuote le coscienze di chi si trova ad assistere malati
senza speranza. Qual è la differenza tra la vita e ciò che si definisce stato vegetativo
permanente, di fatto anticamera della morte? Vita è autosufficienza, esser liberi di muoversi,
stato vegetativo è restare chiusi in un’asettica stanza. Vita è capacità di autoregolarsi, lo
stato vegetativo affida a terzi la tua coscienza e le tue facoltà di scelta. Che fare allora se il
corpo proprio o di una persona cara si trasforma in un semplice contenitore di organi e
cellule? Cedere al richiamo della ragione e gettar via tutto perché in fondo una non vita che
non è ancora morte è pur sempre una bestemmia? o appellarsi al moto irrazionale, all’istinto
di sopravvivenza?
Domande cui non so dare risposta.
Raffaele de Chiara - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Infatti una risposta valida sempre e per tutti non c’è. Abbiamo degli esempi, dei paradigmi.
Socrate o Seneca si uccidono col veleno quando pensano che il momento sia venuto, Bruto
o Nerone si fanno trafiggere da uno schiavo avendo riconosciuto la propria sconfitta. L’etica
stoica, così raffinata e intensa, aveva precetti morali certi. Anche la visione cattolica,
prevalente in Italia, ha regole certe. La differenza è che queste ultime si pretendono valide
per tutti, dunque da imporre anche a chi non le condivide.
Giorni fa il cardinale Bagnasco, che presiede la Conferenza dei vescovi, è tornato sul tema.
Le sue parole mi sono state riferite in una lettera dal signor Attilio Doni di Genova: «La
qualità della vita è una categoria foriera a volte di autentici delitti perché in nome della qualità
della vita si sopprime la vita. Anche quando un soggetto non è consapevole di chi ha attorno
e non può entrare in relazione verbale, sentimentale, emotiva con gli altri, vive, e continua a
vivere, dentro una rete di amore e di relazione con quanti ha attorno». Commenta il signor
Doni: «La qualità della vita di una persona in stato vegetativo irreversibile non cambia anche
se si trova in mani amorevolissime. Resta un corpo in stato vegetativo». Chiamare ‘vita
umana’ la semplice animazione cellulare priva per sempre di consapevolezza è incongruo.
Parlare di ‘morte naturale’ con una medicina ad alta tecnologia non si sa bene che cosa
voglia dire. Infatti nessuno lo dice.
La fine della vita coinvolge domande terribili alle quali ognuno dovrebbe rispondere da solo,
e per sé.
1552 - I VALORI CHE GUIDANO IL VOTO DÌ UN CATTOLICO - DI CORRADO AUGIAS
da:la Repubblica di venerdì 26 marzo 2010
Gentile Augias, sono cattolica praticante. Ho letto le dichiarazioni del cardinal Bagnasco.
Cercherò di votare valutando gli schieramenti sul valore dato alla tutela della vita. La vita da
difendere in ogni sua dimensione: quella dell’embrione, dei ragazzi senza prospettive di
futuro, degli uomini e delle donne che rischiano di perdere il lavoro, degli anziani che non
riescono a vivere con la pensione. La vita di chi è emarginato, malato, invalido ed aspetta
risposte e sostegno dalle strutture pubbliche e dalle politiche che queste applicano, quella di
chi nasce in paesi lontani segnati da carestie e guerre; paesi da cui si parte non per turismo
ma per sopravvivere, anche rischiando la vita. Una vita che, votando, devo tutelare al meglio.
Se voglio recitare il Padre Nostro senza vergognarmi, se dico Padre chiunque sia intorno a
me è fratello e sorella e se dico Nostro non posso che considerare il mio destino connesso al
suo. Essere nato in Italia piuttosto che in Niger, nella famiglia di Dio, non rimanda ad un
merito ma ad una responsabilità. Quella di prendere la Comunione solo se ho fatto tutto ciò
che è nelle mie possibilità per tutelare la vita di chi è in condizioni di debolezza: embrione
indifeso o adulto disperato su un barcone.
Gaia Spera Lipari - [email protected]
Risponde Corrado Augias
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Ho ricevuto molte lettere di cattolici turbati dalle parole di Bagnasco così politiche, anzi
elettorali. Come nei peggiori momenti della Chiesa. Il fascino del potere, il richiamo di
possibili benefici materiali esercita una forte presa anche se il cardinale s’è reso conto di
aver esagerato e, a 24 ore di distanza, ha un po’ corretto la rotta.
Mi ha scritto Arturo Martinoli ([email protected]): «La Chiesa non si rende conto che se c’è come c’è - un forte anticlericalismo in Italia è perché le intrusioni nella politica sono ritenute
eccessive?».
Scrive Sergio Todesco ([email protected]): “Sono cattolico praticante, e sono
addolorato che, ancora una volta, il Cardinale Bagnasco (che per altri versi stimo), parlando
a nome della Chiesa di cui mi sento parte, abbia inviato un messaggio all’elettorato cattolico
invitandolo a non votare chi difende l’aborto e a rivolgersi verso partiti che promuovono la
vita. Come se ci fossero partiti che promuovono la morte. Come se, nello sconsolante quadro
politico italiano, fosse possibile separare nettamente il blocco dei cattolici in buona fede da
tutti gli altri».
Scrive Luciana Bussotti ([email protected]): «Dovunque guardi vedo persone non in
regola con i principi della Chiesa. Anche al Centro dove il maggior esponente ha usufruito
della legge sul divorzio voluta dai radicali, certo non in linea con i principi della Chiesa. Che
faccio? Non vado a votare?».
Eminenza, vede com’è ambiguo il sentiero della politica? Mi raccomando: prudenza.
1553 - LA CHIESA TRA SCANDALI E PRIVILEGI MEDIEVALI - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di martedì 30 marzo 2010
Caro Augias, il termine clericale, di cui si parla, ha origine medievale. Indicava persone con
alcuni privilegi tra cui il 'Privilegium fori', cioè la possibilità di essere giudicato solo dai
tribunali ecclesiastici in base al diritto canonico. (V. Antonio Banfi, Habent Illi Iudices Suos.
Giuffrè, 2005).
Oggi non può essere così, ma l'organizzazione della Chiesa (il Vaticano è Stato indipendente
e teocratico con logiche stataliste) cerca di conservare la giurisdizione sui propri membri.
Vale per i casi di pedofilia «vecchi», ma si ripete con il cadavere di una giovane trovato nella
chiesa di Potenza, con la mancata comunicazione del ritrovamento alla polizia (un cittadino
che si comportasse così sarebbe indagato per occultamento di cadavere, credo). Le reazioni
della Chiesa non sono diverse da quella di altre organizzazioni di fronte a gravi crisi. Il
sociologo Giuseppe Bonazzi ha studiato il fenomeno («Pour une sociologie du bouc
émissaire dans les organisation complexes») spiegando che quando avviene una crisi al loro
interno si verificano dei riallineamenti e qualcuno paga (il capro espiatorio) e in genere chi
paga non sono i vecchi uomini di potere e neppure le opposizioni tradizionali, ma persone o
gruppi che stanno cercando di cambiare qualcosa. Chi sarà il capro espiatorio?
Guido Martinotti - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Non sappiamo chi (e se) alla fine pagherà per la dimensione, addirittura planetaria dello
scandalo; i tempi della Chiesa (a volte) sono lunghi. Sappiamo solo che il 'privilegio
giurisdizionale' è tuttora vigente in un'organizzazione che possiede la particolarità unica di
potersi presentare, secondo casi e convenienze, come religione e culto oppure come
potenza statale. Nelle circostanze gravi comunque l'organizzazione si è sempre dimostrata
custode gelosissima delle sue prerogative. Così per esempio in occasione del triplice
omicidio avvenuto in Vaticano (maggio 1998) quando Alois Estermann, Comandante della
Guardia Svizzera; sua moglie Gladys Meza Romero e l'alabardiere Cedric Tornay, vennero
uccisi da un'arma da fuoco. Nessuna collaborazione con gli inquirenti italiani e udienza
negata perfino alla madre del povero Tornay nonostante suppliche personali e ingiunzioni
legali. Uguale comportamento per la scomparsa di Emanuela Orlandi. I magistrati italiani
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lamentarono nei loro atti la mancata collaborazione della Santa Sede. Idem in occasione
dello spaventoso scandalo Ior (banca vaticana); anche in quel caso omissioni e distorsioni.
Non stupisce quindi che a Potenza l'attuale viceparroco (e il vecchio parroco dell'epoca) nulla
abbiano detto sul ritrovamento della povera Elisa nella soffitta della chiesa. E che sui preti
pedofili il silenzio sia stato mantenuto fino a quando lo scandalo è diventato incontenibile. Nel
2002 negli Usa, ora in Europa.
1554 -LA COLPA DI CHI FA LE LEGGI PER SE STESSO - DI GUSTAVO ZAGREBELSKY
da: la Repubblica di lunedì 1 marzo 2010
"Un dio o un uomo, presso di voi, è ritenuto autore delle leggi?" chiede l'Ateniese ai suoi
ospiti venuti da Creta e da Sparta. "Un dio, ospite, un Dio! - così come è perfettamente
giusto". Queste parole aprono il grande trattato che Platone dedica alle Leggi, i Nòmoi. Il
problema dei problemi - perché si dovrebbe obbedire alle leggi - è in tal modo risolto in
partenza: per il timor degli Dei. Le leggi sono sacre.
Chi le viola è sacrilego. Tra la religione e la legge non c'è divisione. I giudici sono sacerdoti e
i sacerdoti sono giudici, al medesimo titolo. Oggi non è più così. Per quanto si sia
suggestionati dalla parola che viene dal profondo della sapienza antica, possiamo dire: non è
più così, per nostra fortuna. Abbiamo conosciuto a sufficienza l'intolleranza e la violenza
insite nella legge, quando il legislatore pretende di parlare in nome di Dio. Ma, da quella
scissione, nasce la difficoltà. Se la legge ha perduto il suo fondamento mistico perché non
viene (più) da un Dio, ma è fatta da uomini, perché dovremmo prestarle obbedienza? Perché
uomini devono obbedire ad altri uomini? Domande semplici e risposte difficili.
Forse perché abbiamo paura di chi comanda con forza di legge? Paura delle pene, dei
giudici, dei carabinieri, delle prigioni? Se così fosse, dovremmo concludere che gli esseri
umani meritano solo di esseri guidati con la sferza e sono indegni della libertà. In parte,
tuttavia, può essere così. In parte soltanto però, perché nessuno è mai abbastanza forte da
essere in ogni circostanza padrone della volontà altrui, se non riesce a trasformare la propria
volontà in diritto e l'ubbidienza in dovere. Ma dov'anche regnasse la pura forza, dove regna il
terrore, dove il terrorismo è legge dello Stato, anche in questo caso ci dovrà pur essere
qualcuno che, in ultima istanza, applica la legge senza essere costretto dalla minaccia della
pena, perché è lui stesso l'amministratore delle pene. In breve, molti possono essere
costretti a obbedire alla legge: molti, ma non tutti. Ci dovranno necessariamente essere dei
costrittori che costringono senza essere costretti. Ci dovrà essere qualcuno, pochi o tanti a
seconda del carattere più o meno chiuso della società, per il quale la legge vale per adesione
e non per costrizione. In una società democratica, questo "qualcuno" dovrebbe essere il
"maggior numero possibile".
Che cosa è, dove sta, da che cosa dipende quest'adesione? Qui, ciascuno di noi, in una
società libera, è interpellato direttamente, uno per uno. Se non sappiamo dare una risposta,
allora dobbiamo ammettere che seguiamo la legge solo per forza, come degli schiavi, solo
perché la forza fa paura. Ma, appena esistono le condizioni per violare la legge impunemente
o appena si sia riusciti a impadronirsi e a controllare le procedure legislative e si possa fare
della legge quel che ci piace e così legalizzare quel che ci pare, come Semiramìs, che "a
vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era
condotta" (Inferno, V), allora della legge e di coloro che ancora l'invocano ci si farà beffe.
Possiamo dire, allora, che la forza della legge, se non si basa - sia permesso il banale gioco
di parole - sulla legge della forza, si basa sull'interesse? Quale interesse? La moralità della
legge come tale, indipendentemente da ciò che prescrive, dovrebbe stare nell'uguaglianza di
tutti, nel fatto che ciascuno di noi può rispecchiarvisi come uguale all'altro. "La legge è
uguale per tutti" non è soltanto un ovvio imperativo, per così dire, di "giustizia distributiva del
diritto". È anche la condizione prima della nostra dignità d'esseri umani. Io rispetto la legge
comune perché anche tu la rispetterai e così saremo entrambi sul medesimo piano di fronte
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alla legge e ciascuno di noi di fronte all'altro. Ci potremo guardare reciprocamente con lealtà,
diritto negli occhi, perché non ci sarà il forte e il debole, il furbo e l'ingenuo, il serpente e la
colomba, ma ci saranno leali concittadini nella repubblica delle leggi.
Questa risposta alla domanda circa la forza della legge è destinata, per lo più, ad apparire
una pia illusione che solo le "anime belle", quelle che credono a cose come la dignità,
possono coltivare. È pieno di anime che belle non sono, che si credono al di sopra della
legge - basta guardarsi intorno, anche solo molto vicino a noi - e che proprio dall'esistenza
di leggi che valgono per tutti (tutti gli altri), traggono motivo e strumenti supplementari per le
proprie fortune, economiche e politiche. Sono questi gli approfittatori della legge, free riders,
particolarmente odiosi perché approfittano (della debolezza o della virtù civica) degli altri: per
loro, "le leggi sono simili alle ragnatele; se vi cade dentro qualcosa di leggero e debole, lo
trattengono; ma se è più pesante, le strappa e scappa via" (parole di Solone; in versione
popolare: "La legge è come la ragnatela; trattiene la mosca, ma il moscone ci fa un bucone").
Anche per loro c'è interesse alla legalità, ma la legalità degli altri. Poiché gli altri pagano le
tasse, io, che posso, le evado. Poiché gli altri rispettano le procedure per gli appalti, io che
ho le giuste conoscenze, vinco la gara a dispetto di chi rispetta le regole; io, che ho agganci,
approfitto del fatto che gli altri devono attendere il loro turno, per passare per primo alla visita
medica che, forse, salva la mia vita, ma condanna quella d'un altro; io, che posso manovrare
un concorso pubblico, faccio assumere mio figlio, al posto del figlio di nessuno che,
poveretto, è però più bravo del mio; io, che ho il macchinone, per far gli affari miei sulla
strada, approfitto dei divieti che chi ha la macchinina rispetta; io, che posso farmi le leggi su
misura, preparo la mia impunità nei casi in cui, altrui, vale la responsabilità.
L'ultimo episodio della vita di Socrate, alle soglie dell'autoesecuzione (la cicuta) della
sentenza dell'Areopago che l'aveva condannato a morte, è l'incontro con Le Leggi. Le Leggi
gli parlano. Qual è il loro argomento? Sei nato e hai condotto la tua vita con noi, sotto la
nostra protezione nella città. Noi ti abbiamo fatto nascere, ti abbiamo cresciuto, nutrito ed
educato, noi ti abbiamo permesso d'avere moglie e figli che cresceranno come te con noi.
Tutto questo con tua soddisfazione. Infatti, non te ne sei andato altrove, come ben avresti
potuto. E ora, vorresti ucciderci, violandoci, quando non ti fa più comodo? Così romperesti il
patto che ci ha unito e questo sarebbe l'inizio della rovina della città, le cui leggi sarebbero
messe nel nulla proprio da coloro che ne sono stati beneficiati.
Le Leggi platoniche, parlando così, chiedono ubbidienza a Socrate in nome non della paura
né dell'interesse, ma per un terzo motivo, la riconoscenza. Il loro discorso, però, ha un
presupposto: noi siamo state leggi benigne con te. Ma se Le Leggi fossero state maligne? Se
avessero permesso o promosso l'iniquità e non avessero impedito la sopraffazione,
avrebbero potuto parlare così? Il caso non poteva porsi in quel tempo, quando le leggi l'abbiamo visto all'inizio - erano opera degli Dei. Oggi, sono opera degli uomini. Dagli uomini
esse dipendono e dagli uomini dipende quindi se possano o non possano chiedere
ubbidienza in nome della riconoscenza.
Certo: abbiamo visto che l'esistenza delle leggi non esclude che vi sia chi le sfrutta e viola
per il proprio interesse, a danno degli altri. Ma il compito della legge, per poter pretendere
obbedienza, è di contrastare l'arroganza di chi le infrange impunemente e di chi, quando non
gli riesce, se ne fa una per se stesso. Se la legge non contrasta quest'arroganza o, peggio,
la favorisce, allora non può più pretendere né riconoscenza né ubbidienza. Il disprezzo delle
leggi da parte dei potenti giustifica analogo disprezzo da parte di tutti gli altri. L'illegalità,
anche se all'inizio circoscritta, è diffusiva di se stessa e distruttiva della vita della città.
Tollerarla nell'interesse di qualcuno non significa metterla come in una parentesi sperando
così che resti un'eccezione, ma significa farne l'inizio di un'infezione che si diffonde tra tutti.
Qui è la grande responsabilità, o meglio la grande colpa, che si assumono coloro che fanno
leggi solo per se stessi o che, avendo violate quelle comuni, pretendono impunità.
Contrastare costoro con ogni mezzo non è persecuzione o, come si dice oggi,
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"giustizialismo", ma è semplicemente legittima difesa di un ordine di vita tra tutti noi, di cui
non ci si debba vergognare.
1555 - BIMBA INCINTA STUPRATA DA NONNO E ZIO: SÌ ALL’ABORTO - DI P. RUSSO
da: la Repubblica di martedì 2 marzo 2010
È rimasta incinta a 13 anni. E il padre del bambino potrebbe essere il nonno o lo zio. Una
storia di degrado che giunge dai Monti Dauni, nel Foggiano, scoperta dai carabinieri. La
giovanissima ha già abortito, autorizzata dal Tribunale dei minorenni di Bari che esercita nei
suoi confronti la patria potestà, dopo che la minorenne, nei 2006, era stata affidata a una
casa famiglia.
«Accompagnami a fare benzina e a fare la spesa», diceva il nonno alla ragazzina. Una
richiesta apparentemente normale, ma che celava qualcosa di insano. Perché lui, un uomo di
62 anni (ma a volte anche il figlio trentottenne), aveva adottato questa scusa proprio per
abusare della nipotina. Finché i militari non li hanno arrestati con l’accusa di violenza
sessuale aggravata, corruzione di minorenni e violenza privata. La giovane vittima veniva
costretta a subire, in un luogo appartato poco fuori dal paese, la brutalità dei due parenti e
costretta a tacere, con la minaccia di essere picchiata a cinghiate. Il compenso per la
bambina era di cinque euro, una sorta di prezzo del silenzio.
La piccola vive dal 2006 in una casa famiglia. E stata la direttrice del centro a scoprire la
spaventosa verità: lo stato di gravidanza della ragazza, che tornava al suo paesino nei
weekend per trascorrere la domenica in famiglia. Nessuno avrebbe mai immaginato che la
violenza veniva messa in atto proprio dal nonno e dallo zio della piccola. Una volta accettata
la gravidanza, la giovane vittima è stata interrogata e ha raccontato tutto al carabinieri. Poi è
scattato il provvedimento di interruzione di gravidanza deciso dai giudici dei minori e già
eseguito.
Non è stato facile farle rivelare i nomi dei suoi aguzzini, visto che la piccola viveva già una
situazione di disagio familiare per il posto in cui abitava, lontana dalla famiglia e perché quei
violentatori erano proprio sangue del suo sangue. I particolari sono agghiaccianti: violentata
in una strada buia di campagna, deserta, dove nessuno sentiva le sue urla di dolore e
disperazione. La situazione è precipitata nelle ultime vacanze natalizie, visto che la giovane
ha trascorso più giorni in famiglia. I militari hanno interrogato anche i fratelli minori della
vittima, che però non avrebbero subito violenze. Anche i piccoli hanno confermato che la
sorella viveva in un continuo stato d’ansia.
Commento. Su IL PUNTO di febbraio abbiamo pubblicato la notizia di un caso analogo
avvenuto in Brasile (“dalla parte della bimba brasiliana”). Con grande sconcerto abbiamo
letto le dichiarazioni rilasciate in quella occasione da Gianfranco Grieco, capo ufficio del
Pontificio consiglio per la famiglia “La Chiesa non può mai tradire il suo annuncio, che è
quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un
dramma umano così forte, come quello della violenza di una bimba. In questo caso i medici
sono fortemente nel peccato perché sono persone attive nel portare avanti l’aborto, questa
uccisione. Sono protagonisti di una scelta di morte“. Di conseguenza, i medici che avevano
praticato l’aborto sono stati minacciati di scomunica. Si tratta della stessa posizione adottata
per l’eutanasia: la vita va difesa “fino al suo termine naturale”. Ma cosa c’è di naturale nello
stupro di una bambina o nel costringere per anni una persona non consenziente a restare
attaccata a macchinari inventati dall’uomo? Questa posizione “fondamentalista” voluta dal
papa tedesco, ormai molto distante dallo spirito del Concilio Vaticano II e di Giovanni XXIII,
sta creando crescenti disagi e critiche nel popolo cattolico. Persino il presidente della
Pontifica Accademia, monsignor Fisichella, aveva dichiarato: “Prima di pensare alla
scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un
livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri.
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Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare
agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia”.
Questa volta sottoscriviamo le sue dichiarazioni. (gps).
1556 - CROCIFISSO: RICORSO AMMESSO, NON ACCOLTO - DI STEFANO FARAONI
da: www.cronachelaiche.it di martedì 2 marzo 2010
La mistificazione dell’informazione produce di nuovo i suoi effetti. Da più parti, anche
autorevoli (purtroppo anche da parte di alcuni giornali accreditati) si afferma che il ricorso
contro la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, sfavorevole ai crocifissi nelle
aule, è stato accolto. Non è così, è stato semplicemente dichiarato “ammissibile”. Nel merito
si pronuncerà definitivamente la “Grande Camera”.
Non è vero quindi quello che dice il Ministro degli Esteri Franco Frattini : “E’ con
soddisfazione che constato che sono stati accolti i numerosi e articolati motivi di appello che
l’Italia aveva presentato alla Corte”. Ed è totalmente fuorviante quello che ha affermato il
Ministro dell’Istruzione Gelmini: “E’ un grande successo dell’Italia nel riaffermare il rispetto
delle tradizioni cristiane e l’identità culturale del Paese, ma è anche un contributo
all’integrazione che non va intesa come un appiattimento e una rinuncia alla storia e alle
tradizioni italiane”.
Questi signori, evidentemente “drogati” da una voglia incontrollabile e immediata di far valere
le loro ragioni, nonché del tutto impreparati in materia (tra l’altro per il Ministro dell’Istruzione
non è il primo caso di impreparazione) dicono cose che non corrispondono ad una corretta
lettura della realtà giuridica, oltre a manipolare in maniera clamorosa notizie che hanno
tutt’altra valenza.
Ma il ricorso, come detto, non è stato accolto, è stato solo dichiarato ammissibile.
L’ammissibilità accerta semplicemente la procedibilità del ricorso; l’accoglimento o il rigetto
avverranno successivamente, ad esame avvenuto da parte della “Grande Camera”.
1557 - MARINO “STRAPPA” UN MEZZO SÌ A FINI - DI SUSANNA TURCO
da: l’Unità di venerdì 5 marzo 2010
Fuori impazza il delirio delle liste del Pdl bocciate e della relativa eventuale legge per
uscirne. Dentro, per restare in tema ma anche no, si discute di fine vita e biotestamento. Una
questione di quelle che, nel gergo spiccio di Palazzo, vanno a «dopo le Regionali». Vale a
dire tra mille miglia di parole. E che invece sarà discussa solo tra qualche settimana, alla
Camera.
Per ora se ne parla nella sala del Mappamondo, alla presentazione del libro di Ignazio
Marino, Nelle tue mani. Medicina, fede, etica e diritti. C’è il senatore del Pd, ovviamente, e
c’è anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Fa uno strano effetto vederli accanto:
esteticamente compatibili, spesso ammiccanti l’un con l’altro, perfettamente concordi sulla
legge che si dovrebbe fare, e sull’atteggiamento che si dovrebbe avere. Una legge non
prescrittiva. Un dibattito non ideologico. Non questa e non così, dunque.
Per questa via, parte il siparietto che anticipa gran parte delle discussioni che ci saranno tra
qualche settimana. L’ex leader di An chiede a Marino: «Siamo alla vigilia del dibattito in aula:
auspici speranze, o timori?», E poi insinua: «Sapendo che c’è il voto segreto...». Il senatore
del Pd coglie la palla al balzo: «Beh, sapendo che il voto segreto è una prerogativa del
presidente della Camera...». «Non mi metta nei guai», lo blocca Fini, «è una prerogativa
citata esplicitamente dal regolamento, e quindi almeno da questo punto di vista non avremo
problemi applicativi». Marino: «Già capisco che il voto segreto verrà usato, quindi». Fini alza
le mani. Il regolamento della Camera, del resto, è chiaro. Prevede il segreto per le votazioni
che incidono sui diritti della persona umana: e aggiunge che «in caso di dubbio, decide il
presidente della Camera».
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Ignazio Marino, che tutto questo lo sa e lo auspica, fa un passo oltre: «Io la penso come quel
presidente della Corte Suprema degli Usa, un repubblicano, che nell’88, in pieno dibattito sul
biotestamento disse: “Nel tema del fine della vita, lo Stato è straniero per il paziente: deve
decidere chi è legato a lui da vincolo d’amore”. Qui da noi invece la legge indica quali sono le
terapie cui una persona deve essere sottoposta. Allora facciamo un gesto di ragionevolezza:
una legge leggera,un articolo solo, che dice che c’è l’ obbligo di somministrare tutti i
trattamenti sanitari necessari, in assenza di biotestamento: arriverei anche ad ammettere
l’obbligo di idratazione e alimentazione, eccetto per chi abbia indicato di non volerle».
Fini ringrazia, ma non si sbilancia, dice «vediamo che sorte avrà il suo invito». Eppure,
sostiene la stessa cosa quando predica di «non applicare gli schemi della polemica politica,
ma piuttosto tentare di immedesimarsi in chi vive realmente il dramma». Del resto, il suo
fedelissimo Benedetto Della Vedova è pronto da tempo, a presentare in Aula la proposta di
una soft law: la legge leggera di cui parla Marino
1558 - PERCHÉ SIAMO UN PAESE SULL’ORLO DEL BARATRO - DI NADIA URBINATI
da: l’Unità di venerdì 5 marzo 2010
Il nostro paese è sul crinale di un baratro politico e criminale e non sarà questa maggioranza
a ripristinare la fiducia nella politica e nei partiti. Come altre volte in passato, un´altra Italia
sarà necessaria a rimediare al disastro di una violazione sistematica e proterva della legalità
e del civismo, nella pubblica amministrazione come nella società civile (la quale non è per
nulla innocente). Questa maggioranza non lo può fare per ragioni che sono politiche prima
che giudiziarie, connaturate ad essa e al messaggio che ha in questi anni confezionato e
propagandato per creare una sua solida base elettorale.
All´origine della difficoltà del premier e del suo governo di varare lo sbandierato
provvedimento anti-corruzione c´è questa endogena incapacità (e impossibilità) di
distinguere tra interesse e giustizia, di vedere la corruzione e soprattutto di rinunciare ai suoi
sperimentati vantaggi elettorali. Questa incapacità e impossibilità è contenuta nel messaggio
contraddittorio che viene da Palazzo Chigi. Infatti, se il sistema di malaffare che ci rende
ancora una volta così vergognosamente popolari nel mondo è davvero opera dei proverbiali
quattro gatti e di birbantelli, allora che bisogno c´è di un intervento urgente? Non ce n´è
proprio. Ma allora, perché dar voce a questa nuova fanfara dell´emergenza quando nel
frattempo si rappresenta lo stato delle cose in un modo che non giustifica alcuna impellenza?
Una spiegazione facile è che l´idea del fare pulizia è molto popolare; e quando si è a ridosso
di elezioni e si vuole, si deve, incrementare la propria popolarità. La propaganda della pulizia
può pagare, e soprattutto lo può per un tempo che si vuole limitato. Un anno e mezzo fa, per
la precisione nell´autunno del 2008, il presidente del Consiglio aveva annunciato la creazione
di una nuova unità speciale che avrebbe dovuto eliminare la corruzione nelle amministrazioni
pubbliche e garantire più trasparenza. La task-force non doveva avere il compito di polizia,
ma di "intelligence". Proponendo una politica dell´emergenza per fronteggiare l´emergenza
corruzione, il capo del governo parlò allora della corruzione come di una antica patologia nel
nostro paese.
Mai parole furono più vere, eppure chi si ricorda oggi di quella task-force? La propagandata
fa rumore e passa, non si sedimenta nella memoria. E la nuova ondata propagandistica mira
a fare proprio questo: mostrare che si vuol "fare"; usare una strategia moralizzante per
creare una nebbia di malaffare nella previsione che, finita la campagna elettorale, l´oblio del
circo mediatico che macina tutto così in fretta da non lasciare quasi traccia farà il suo corso.
Proprio come la task-force di un anno e mezzo fa, tra qualche mese ci si ricorderà a mala
pena di questo can can di nomi.
Ma c´è una ragione ancora più radicale che suggerisce di diffidare di questi propositi di
mettere in piedi un´impresa di pulizia morale, una ragione sintetizzabile in una domanda:
come può un´oligarchia che con tempo e fatica si è consolidata in questi anni di politica
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berlusconiana fare leggi contro se stessa e per auto-liquidarsi? Ecco allora che si comprende
l´uso dell´espressione "birbantelli": pochi ed esemplari agnelli sacrificali serviranno a
chiudere presto il caso e a rimettere in moto la macchina senza troppe perdite collaterali.
Entrambe queste ragioni – la propaganda della moralizzazione e l´esemplarità del fare –
inducono a pensare che non siamo proprio a un ritorno al passato, ma semmai a una
escalation e in effetti a un grande peggioramento rispetto a mani pulite atto primo. Poiché
allora un´intera classe dirigente fu spazzata via, non solo alcuni birbanti (la tattica dei
"mariuoli" di Bettino Craxi allora non funzionò); nessuno aveva il potere di creare salvagenti
perché la fine della Guerra fredda aveva reso quella vecchia oligarchia arrugginita,
vulnerabile e nuda. Ma questa nuova oligarchia ha costruito i suoi anti-corpi in un ambiente
ben diverso, un ambiente non protetto da alleanze internazionali; essa è quindi più forte, più
radicata e resistente di quella che vedemmo naufragare diciotto anni fa. Infatti, oggi esiste
un´oligarchia che non è ancora sotto accusa da parte dell´opinione pubblica perché ha nel
frattempo costruito una macchina per creare un´opinione pubblica addomesticata e recettiva
ai disvalori pubblici, grazie in primo luogo all´uso monopolistico dei media e alla pratica
sistematica di nascondimento del vero.
Propaganda ed esemplarità si alimentano a vicenda: dunque i proclami propagandistici sulle
poche mele marce e la promessa di un decreto anti-corruzione affinché l´acqua torni presto
nel proprio alveo e scorra come sempre. Ecco il paradosso: una politica che si presenta
come moraleggiante e che è contemporaneamente sovvertitrice di ogni valore legale ed
etico. Queste due dimensioni si sono per anni alimentate a vicenda generando quel
mostruoso connubio di attenzione morbosa dei media e di altrettanto sconvolgente
immutabilità delle cose, con la conseguenza di un peggioramento radicale della situazione
legale e etica. È per queste ragioni che ci troviamo su un baratro dal quale questa
maggioranza non può salvarci.
1559 - OLTRE LA LEGALITÀ - DI ANDREA BELLAVITE
Da: www.adistaonline.it di lunedì 8 marzo 2010
Che cos’è la politica? “Uscire tutti insieme dai problemi”, diceva a suo tempo don Lorenzo
Milani. Un “insieme” che implica “a partire dagli ultimi”, altra espressione del priore di
Barbiana; questa impresa presuppone una democrazia incentrata su un confronto costruttivo
e, quando possibile, su un accordo fra le proposte concrete che pretendono di concretizzare i
diversi pensieri che guidano la vita degli esseri umani.
Quando viene meno il principio della ricerca del “bene comune” si assiste all’eclissi
dell’idealità e al trionfo della corruzione: tramonta lo spirito del servizio e viene sostituito dalla
ricerca a tutti i costi dell’interesse proprio o di partito. Ciò è reso possibile anche dalla crisi
dell’esercizio del potere legislativo e regolamentare dei rappresentanti del popolo in un
mondo globalizzato dove pochissimi magnati determinano il futuro del pianeta. Se non vanno
in Parlamento o in altra assise elettiva per affrontare e possibilmente contribuire a risolvere i
reali problemi della storia, i pochi ricchi che si possono ancora permettere le spese di una
campagna elettorale possono facilmente cadere in tentazione: come resistere alle
scandalose prebende e ai privilegi che attendono la casta degli eletti, alle garanzie
dell’impunità in cause private, al proprio seggio nei salotti buoni delle strapagate star delle
televisioni pubbliche e private?
È certamente il momento di un vero e proprio “ripristino della legalità”: l’enfasi del potere di
chi riceve il voto popolare spalanca pericolose porte a chi può cambiare le leggi a colpi di
maggioranza e di conseguenza rendere legale ciò che prima non lo era. È vero che la nostra
Costituzione prevede degli efficaci ancorché dileggiati organismi di controllo; tuttavia
anch’essi possono soggiacere al pericolo di una riforma antidemocratica paradossalmente
attuata da chi è stato democraticamente eletto.
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E non si tratta soltanto di questo, ma anche di individuare percorsi di autentica “moralità”,
intendendo con ciò la possibilità di costruire una convivenza civile a partire dall’accordo fra le
differenti idealità che si confrontano ogni giorno nell’agire sociale. La vera dimensione del
confronto è quella culturale, fortemente penalizzata dalla polarizzazione che ha di fatto
soffocato la rappresentanza dei gruppi minoritari.
Questo punto di vista implica la partecipazione di tutti, il granello che fa saltare il gigantesco
ingranaggio è la testimonianza personale, la riscoperta delle straordinarie potenzialità
rivoluzionarie della “base”. La pacifica e nonviolenta battaglia contro la corruzione sarà vinta
da chi si impegnerà a costruire nel proprio quotidiano una cultura della moralità.
Troppo semplice? Forse, ma certamente non saranno i periodici stracciamenti di vesti né gli
antichi nemici divenuti vincitori a cambiare un malvezzo che rende il nostro meraviglioso
Paese lo zimbello d’Europa. Soltanto tutti insieme, ciascuno facendo la propria parte, si potrà
uscire fuori dai problemi attuali; la democrazia o sarà partecipativa o non sarà.
(Andrea Bellavite è prete a Gorizia, ed anche consigliere comunale)
1560-ACCORDO IN PARLAMENTO:APPROVATA LA LEGGE SULLE CURE PALLIATIVE
Estratto da www.salute.gov.it
Il 9 marzo 2010 è stata approvata in via definitiva alla Camera, con 476 voti favorevoli (e solo
2 astensioni. ndr), la legge recante disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e
alla terapia del dolore.
Si tratta di una legge fortemente innovativa, che per la prima volta tutela e garantisce
l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei livelli
essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della
persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure
e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.
Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un
programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei princìpi
fondamentali della tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna
discriminazione; della tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia,
in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale
della persona malata e della famiglia.
Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo riguardano:
Rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica
All’interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le
strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua
evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi
dosaggi e il risultato antalgico conseguito.
Reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore
Il Ministero promuove l’attivazione e l’integrazione di due reti della terapia del dolore e delle
cure palliative che garantiscono ai pazienti risposte assistenziali su base regionale e in modo
uniforme su tutto il territorio nazionale. Su proposta del Ministro della salute, in sede di
Conferenza permanente Stato-Regioni, vengono definiti i requisiti minimi e le modalità
organizzative necessari per l’accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase
terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore domiciliari presenti in
ciascuna regione.
Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del
dolore
La legge modifica il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza
(DPR 309 del 1990) semplificando la prescrizione dei farmaci oppiacei non iniettabili: ai
medici del Servizio sanitario nazionale sarà consentito prescrivere tale classe di farmaci non
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più su ricettari speciali, ma utilizzando il semplice ricettario del Servizio sanitario nazionale
(non più quello in triplice copia).
Formazione del personale medico e sanitario
Con decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il
Ministro della salute, verranno individuati specifici percorsi formativi in materia di cure
palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e
degenerative; verranno inoltre individuati i criteri per l’istituzione di master in cure palliative e
nella terapia del dolore. La legge prescrive che in sede di Conferenza Stato-Regioni, su
proposta del Ministro, vengano individuate le figure professionali con specifiche competenze
ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore.
Il Ministero avrà un ruolo fondamentale nella concreta ed uniforme attuazione delle
disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
1561 - UNA CRISI DI REGIME - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di martedì 9 marzo 2010
Che cosa indica la decisione del Tar del Lazio che, ritenendo inapplicabile l´assai
controverso decreto del Governo, ha confermato l’esclusione della lista del Pdl dalle elezioni
regionali in questa regione? In primo luogo rivela l’approssimazione giuridica del Governo e
dei suoi consulenti, incapaci di mettere a punto un testo in grado di superare il controllo dei
giudici amministrativi. Ma proprio questa superficialità è il segno della protervia politica, che
considera le regole qualcosa di manipolabile a proprio piacimento senza farsi troppi scrupoli
di legalità. E, poi, vi è una sorta di effetto boomerang, che mette a nudo le contraddizioni di
uno schieramento politico che, da una parte, celebra in ogni momento le virtù del federalismo
e, dall’altra, appena la convenienza politica lo consiglia, non esita a buttarlo a mare, tornando
alla pretesa del centro di disporre anche delle materie affidate alla competenza delle regioni.
Proprio su quest’ultima constatazione è sostanzialmente fondata la sentenza del Tar del
Lazio. La materia elettorale, hanno sottolineato i giudici, è tra le competenze delle regioni e,
partendo appunto da questo dato normativo, la Regione Lazio ha approvato nel 2008 una
legge che ha disciplinato questa materia.
Lo Stato non può ora invadere questo spazio, sostituendo con proprie norme quelle
legittimamente approvate dal Consiglio regionale. Il decreto, in conclusione, non è applicabile
nel Lazio.
I giudici amministrativi, inoltre, hanno messo in evidenza come non sia possibile dimostrare
alcune circostanze che, in base al decreto del 5 marzo, rappresentano una condizione
necessaria per ritenere ammissibile la lista del Pdl. In quel decreto, infatti, si dice che il
termine per la presentazione delle liste si considera rispettato quando «i delegati incaricati
della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso
nei locali del Tribunale». Il Tar mette in evidenza due fatti. Il primo riguarda l’assenza proprio
del delegato della lista che ha chiesto la riammissione. E, seconda osservazione, non è
possibile provare che lo stesso delegato, presentatosi in ritardo, avesse con sé il plico
contenente la documentazione richiesta.
Se il primo rilievo sottolinea l’approssimazione di chi ha scritto il decreto, il secondo svela la
volontà di usare il decreto per coprire il "pasticcio" combinato dai rappresentanti del Pdl. Che
non è frutto, lo sappiamo, di insipienza. È stato causato da un conflitto interno a quel partito
sulla composizione della lista, trascinatosi fino all’ultimo momento, anzi oltre l’ultimo
momento fissato per la presentazione della lista.
È una morale politica, allora, che deve essere ancora una volta messa in evidenza. Per
risolvere le difficoltà di un partito non si è esitato di fronte ad uno stravolgimento delle regole
del gioco. La prepotenza ha impedito anche di avere un minimo di pazienza, visto che la
riammissione da parte dei giudici dei listini di Formigoni e Polverini ha eliminato il rischio
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maggiore, quello di impedire in regioni come la Lombardia e il Lazio che il partito di
maggioranza avesse un suo candidato.
Si dirà che, una volta di più, i giudici comunisti hanno intralciato l’azione di Berlusconi e dei
suoi mal assortiti consorti? È possibile. Per il momento, però, dobbiamo riconoscere che
proprio i deprecati giudici hanno arrestato, sia pure provvisoriamente (si attende la decisione
del Consiglio di Stato), una deriva verso la sospensione di garanzie costituzionali.
Non possiamo dimenticare, infatti, che la democrazia è anche procedura: e il decreto del
governo manipola proprio le regole del momento chiave della democrazia rappresentativa.
La democrazia è tale solo se è assistita da alcune precondizioni: e le sciagurate decisioni
della Commissione parlamentare di vigilanza e del Consiglio d’amministrazione della Rai
hanno obbligato al silenzio una parte importante dell’informazione, rendendo così precaria
proprio la precondizione che, nella società della comunicazione, ha un ruolo decisivo. Non
dobbiamo aver paura delle parole, e quindi dobbiamo dire che proprio la congiunzione di
questi due fatti, se dovesse permanere, altererebbe a tal punto le dinamiche istituzionali,
politiche e sociali da rendere giustificata una descrizione della realtà italiana di oggi come un
tempo in cui garanzie costituzionali essenziali sono state sospese.
Comunque si concluda questa vicenda, il confine dell’accettabilità democratica è stato
comunque varcato. Una crisi di regime era già in atto ed oggi la viviamo in pieno. Nella storia
della Repubblica non era mai avvenuto che una costante della vita politica e istituzionale
fosse rappresentata dall’ansiosa domanda che accompagna fin dalle sue origini gli atti di
questo Governo e della sua maggioranza parlamentare: firmerà il Presidente della
Repubblica? Questo vuol dire che è stata deliberatamente scelta la strada della forzatura
continua e che si è deciso di agire ai margini della legalità costituzionale (un tempo, quando
si diceva che una persona viveva ai margini della legalità, il giudizio era già definitivo).
Questa scelta è divenuta la vera componente di una politica della prevaricazione, che
Berlusconi ha fatto diventare guerriglia continua, voglia di terra bruciata, pretesa di
sottomettere ogni altra istituzione. Da questa storia ben nota è nata l’ultima vicenda, dalla
quale nessuno può essere sorpreso e che, lo ripeto, rivela piuttosto quanto profondo sia
l’abisso nel quale stiamo precipitando,
A questo punto, la scelta di Napolitano, ispirata com’è alla tutela di "beni" costituzionali
fondamentali, deve assumere anche il valore di un "fin qui, e non oltre", dunque di un
presidio dei confini costituzionali che arresti la crisi di regime. Ma non mi illudo che la
maggioranza, dopo aver lodato in questi giorni l’essere super partes di Giorgio Napolitano,
tenga domani lo stesso atteggiamento di fronte a decisioni sgradite in materie che già sono
all’ordine del giorno.
Ora i cittadini hanno preso la parola, e bene ha fatto il Presidente della Repubblica a
rispondere loro direttamente. Qualcosa si è mosso nella società e tutti sappiamo che la
Costituzione vive proprio grazie al sostegno e alla capacità di identificazione dei cittadini. È
una novità non da poco, soprattutto dopo anni di ossessivo martellamento contro la
Costituzione. Oggi la politica dell’opposizione dev’essere tutta politica "costituzionale". Dopo
tante ricerche di identità inventate o costruite per escludere, sarebbe un buon segno se la
comune identità costituzionale venisse assunta come la leva per cercar di uscire da una crisi
che, altrimenti, davvero ci porterebbe, in modo sempre meno strisciante, a un cambiamento
di regime.
1562 - ESSERE PADRONI DELLA NOSTRA ESISTENZA - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di mercoledì 10 marzo 2010
(la seguente è una parte della lezione su "Laicità e governo sulla vita" che Stefano Rodotà
ha tenuto il 10 marzo all´Università di Torino, ove ha ricevuto il premio "Laico dell´anno").
Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. Sì che, parlando
di laicità, non possiamo più ritenere che l’orizzonte sia individuato soltanto dal rapporto tra
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due poteri, lo Stato e la Chiesa, «ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani», o dallo
stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. È avvenuta una più complessa
distribuzione dei poteri, che individua la persona come protagonista istituzionale. La laicità,
oltre che come principio di organizzazione istituzionale e sociale, si manifesta così anche
come principio di governo della vita, che inquieta a tal punto da suscitare la tentazione di
mimare un incipit famoso, e annotare che «uno spettro s’aggira per l’Italia – lo spettro
dell’autodeterminazione».
«La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32
della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della
persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute». Queste parole della Corte
costituzionale individuano una distribuzione di poteri, la cui portata può essere colta
attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Partiamo dal 1215, dalla Magna Charta e
dal suo habeas corpus, con la promessa del re a ogni "uomo libero": «non metteremo né
faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo
la legge del paese». Siamo di fronte all’abbandono di una prerogativa regia, a un
autolimitazione, a un atto che laicizza il potere del re, che non riposa più sulla
sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come l’esito di una negoziazione
complessa, che porterà poi alla "autolimitazione" dello Stato sovrano come atto di fondazione
dei diritti pubblici subiettivi.
Sette secoli dopo, nel 1947, l’Assemblea costituente approva l’articolo 32 della Costituzione,
che riconosce la salute come diritto fondamentale e prevede che i trattamenti obbligatori
possano essere imposti solo per legge. Ma si aggiunge: «la legge non può in nessun caso
violare il limite imposto dal rispetto della persona umana». È una delle dichiarazioni più forti
della nostra Costituzione, pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al
nucleo duro dell’esistenza, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse
pure espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella
dell’interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus. Il
sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la promessa di
intoccabilità: «non metteremo la mano su di voi», neppure con una legge. La rottura è netta.
Non vi è più una autolimitazione, ma un vero trasferimento di potere, anzi di sovranità.
Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita, diviene la persona.
Passiamo al secondo esercizio storico, al quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate
formula il giuramento che accompagnerà la professione medica. «Sceglierò il regime per il
bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa».
Di nuovo una autolimitazione del potere, di cui scopriremo la radicale inadeguatezza ventitre
secoli dopo, nel 1946, quando a Norimberga vengono processati i medici nazisti. L’abuso del
potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani provoca una reazione,
affidata al Codice di Norimberga, che si apre con le parole «il consenso volontario del
soggetto umano è assolutamente necessario». Dall’autolimitazione del potere del medico,
definita unilateralmente dal giuramento, si passa ad un integrale trasferimento del potere alla
persona che, sottratta a quel potere, rinasce come "soggetto morale".
L’autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita della persona. Qui vita è davvero
quella di cui ci parla Montaigne, «un movimento ineguale, irregolare, multiforme», governato
da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione della
personalità iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. E sovranità e proprietà sono
parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto con il corpo,
dunque con la vita tutta intera. Respinto sullo sfondo il riferimento alla proprietà, si creava la
condizione propizia all’incontro con la sovranità. Certo tra "sovrani" sono sempre possibili
tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la vita divenga un campo di battaglia, vengono
definiti confini che potere politico e medico non possono varcare, escludendo che lo Stato
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abbia giurisdizione sulla vita, possa considerare il corpo come un luogo pubblico, che è cosa
diversa da limiti coerenti con la natura dell’autodeterminazione.
Ma le controversie rimangono. L’iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di
descrizioni nelle quali figure diverse si contendono corpo e vita di una persona. La virtù e il
diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i mercanti avidi
sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia. Un grumo di quelle
rappresentazioni è ancora presente. Il pane e le bottiglie d’acqua sul sagrato d’una chiesa o
davanti ad una clinica, le scritte che rivendicano la proprietà d’un corpo e d’una vita, la
presentazione del diritto come un’arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la
negazione dell’autodeterminazione. E il Presidente del consiglio manda una lettera alle suore
che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato «per non aver potuto evitare la sua morte».
Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le sue mani per
una guarigione altrimenti impossibile. È la rivendicazione di un potere sulla vita, di cui il
politico vuole tornare a essere l’unico depositario.
Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi aperti perché l’autodeterminazione potesse
essere esercitata. In un’ansia di rivincita, l’alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata.
Le tecniche contraccettive avevano reso possibile una sessualità liberata e una maternità
consapevole. Ma le tecnologie della riproduzione o la pillola Ru 486 diventano l’occasione
per riprendere il controllo del corpo delle donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono
trasformate nell’obbligo di sopravvivere attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi di altri
paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri?
Via via che si entra nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l’autodeterminazione
guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato,
dove tutte le opportunità possano essere valutate senza pregiudizi. Ma scienza e tecnologia
avviano anche processi di riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere
contrastati solo esaltando al massimo le potenzialità dell’autodeterminazione. Segnalo quella
che chiamerei la consegna della persona alla società dell’algoritmo. Scopriamo sempre più
spesso un mondo governato dall’algoritmo, quello di Google o quello al quale la finanza
aveva affidato le scelte di investimento. E scorgiamo pure una costruzione dell’identità
sempre più sottratta alla consapevolezza degli interessati, affidata invece a processi
variamente
automatici.
Tornando alle parole iniziali, e senza la pretesa di chiudere un cerchio, la laicità si rivela un
presidio contro la pretesa di qualsiasi potere di impadronirsi della vita, fino alla sua totale
spersonalizzazione.
Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra
problematica umanità.
Commento. Su "la Repubblica" del 10 marzo è stata pubblicata una parte della lezione su
"Laicità e governo della vita" che il ns. socio onorario Stefano Rodotà ha tenuto nello stesso
giorno all'Università di Torino, in occasione al premio a lui conferito di "Laico dell'anno".
Nel riportare qui sopra il testo pubblicato, e nel chiedere a Stefano se può inviarci il testo
integrale della sua "lectio magistralis", a nome di tutti i soci gli inviamo il nostro sentito
ringraziamento per la coerente e continua opera a difesa della laicità delle istituzioni, che
costituisce la base della stessa democrazia e ci consente di essere padroni della nostra
esistenza. (gps)
1563 - LE MACERIE ISTITUZIONALI - DI ADRIANO PROSPERI
da: la Repubblica di mercoledì 10 marzo 2010
Oggi non è solo all'Aquila che si deve sgombrare il terreno dalle macerie. Quelle che
segnano i luoghi istituzionali del Paese sono diventate così tante da cancellare il profilo del
nostro orizzonte di riferimento e da diffondere un sentimento generale di ansia e di
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smarrimento. Per questo fa bene il Presidente della Repubblica a segnalare che il valore
della Costituzione resta ancora un punto di riferimento fondamentale per l'opinione pubblica.
È dall'altezza di questo osservatorio che bisogna misurare la gravità della situazione. Oggi il
documento votato all'unanimità della prima sezione del Consiglio Superiore della
Magistratura mette sotto gli occhi di tutti lo spettacolo del disastro provocato dagli attacchi
violentissimi del presidente del Consiglio dei ministri alla magistratura. Ne abbiamo letti quasi
uno al giorno per anni. Qualcuno li considera intemperanze caratteriali su cui poi esperti
mediatori dal sorriso facile e dalla parola morbida si occupano di versare mielate
rassicurazioni. Si rischia di abituarsi allo spettacolo: una variante italiana dei costumi politici,
con tanto di sesso, barzellette e canzoni napoletane. Non così pensano i magistrati della
prima sezione del Csm. Si tratta secondo loro di una denigrazione e di un condizionamento
della magistratura assolutamente inaccettabili perché mettono in pericolo l'equilibrio tra poteri
e ordini dello Stato. Senza questo equilibrio non si dà un ordinamento civile capace di
tutelare i diritti di ognuno. Lo sappiamo. Dovremmo saperlo. È un dato elementare,
semplicissimo, un pilastro fondamentale del sistema democratico. Ma i magistrati non si
limitano a condannare. Il loro documento rivolge «un pressante appello a tutte le istituzioni
perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura». Oggi
la magistratura è accusata nientemeno che di sovversione. E non si è trattato solo di parole.
Le accuse del premier si sono tradotte in gravissimi episodi di diffamazione e aggressione
all'immagine e alla dignità di singoli magistrati, vere e proprie esecuzioni in effigie. Questo
documento del Csm segna una svolta storica nella lotta politica italiana: segnala una
situazione di emergenza e invita a scelte adeguate. Scuote un torpore politico e morale che è
frutto di una corruzione radicata in profondità. Quando si cominciano ad accettare certe cose
in silenzio, quando si decide di smorzare i toni della reazione e a far finta di niente non si è
contribuito al buon andamento della cosa pubblica come qualcuno può pensare: di fatto si è
già accettato di vivere nella «Repubblica del Male Minore». È quello che sta accadendo da
tempo.
È un fatto che appartiene al peggiore costume del nostro passato, a forme di corruzione
morale e di indifferenza per le regole che ha avuto tanti nomi ma che ha una sola sostanza.
Di secolo in secolo si sono usati nomi diversi: «nicodemismo»,«dissimulazione onesta»,
«familismo amorale». Diversi i fenomeni storici, legati però da un minimo comune
denominatore morale che si è fissato nel costume di casa: il chiudere la porta e la finestra sul
mondo degli altri, il conservarsi indifferenti alla cosa pubblica , il tollerare le lesioni ai diritti
individuali in nome del tranquillo vivere dei più, il considerare ovvio che chi dispone del
potere faccia straccio dei diritti di chi non gli obbedisce. Da questo costume sono nate le
vergogne e gli errori della storia italiana: è questo che permise al popolo italiano nel suo
insieme di accettare senza reagire l'immane vergogna delle leggi razziali, salvo poi
addossare questa colpa al solo pontefice regnante come unico titolare della coscienza
collettiva.
Ma quello della violenza contro i magistrati non è che il fenomeno più evidente prodotto da
un leader politico che disprezza la giustizia come norma e come istituzione e si fabbrica le
leggi e le sentenze su misura. Altre rovine sono state seminate un po' dovunque da quella
che oggi anche i commentatori più moderati e più filo governativi si rassegnano ormai a
riconoscere come una congenita incapacità di Silvio Berlusconi di affrontare le responsabilità
del governo di una grande nazione. Un sistema di potere personalistico ha fatto
continuamente leva sul principio rozzo e intrinsecamente dittatoriale di interpretare una
vittoria elettorale come una investitura plebiscitaria a comandare. I suoi attacchi alle
istituzioni hanno superato da tempo ogni limite tollerabile in un sistema fondato sulla
divisione dei poteri. Per disgrazia del Paese il comando è caduto nelle mani di una persona
determinata a servirsene per tutelare e accrescere i suoi beni e per risolvere i suoi problemi
con la giustizia. Da qui l'invenzione a getto continuo di norme e decreti «ad personam»:
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mentre scriviamo è in atto l'ennesima affannosa corsa del Parlamento per poter definire
legittimo il fatto che un imputato non si presenta in tribunale. E non è certo la prima volta che
quel potere legislativo che il popolo ha affidato al Parlamento viene confiscato e distolto dai
problemi del Paese per togliere un privato cittadino che è anche per caso il presidente del
Consiglio dagli impicci con la giustizia. Ai problemi del Paese si è data finora una risposta
sbrigativa considerandoli come emergenze da affidare a strutture sottratte alle leggi
ordinarie. Ma la politica dell'emergenza sta crollando sotto una valanga di scandali. E la
vicenda delle liste elettorali segna il fallimento clamoroso di un sistema che ha concepito le
elezioni non come un modo per far emergere una classe di governo dal consenso dei
cittadini ma come l'imposizione agli elettori di candidati scelti su altri e ben diversi parametri
da quelli della capacità e dell'onestà nel servire gli interessi del Paese. Un fatto è certo:
comandare non è governare. Una cultura di governo deve conoscere e rispettare le regole.
Questo governo le ignora a tal punto che ha visto ridicolizzato da un tribunale amministrativo
per insipienza e approssimazione il recente decreto «interpretativo», cioè l'ennesimo
tentativo di sanare le malefatte col solito decreto tappabuchi. Questo governo? Diciamo pure
quest'uomo: l'uomo che oggi tace. Il suo silenzio è più di una confessione. La voce arrogante
che ha aggredito e sbeffeggiato istituzioni e ordini fondamentali del sistema democratico,
dalla magistratura alla presidenza della repubblica, oggi è assente da uno scenario dove si
aggirano smarriti e balbettanti i suoi cortigiani. Spettava a lui, se fosse stato quello statista
che non è, prendersi la responsabilità del pasticcio combinato dai suoi e chiedere alle altre
forze politiche e al Paese di risolvere insieme il problema: che è un problema di tutti se è
vero che il diritto al voto è l'incancellabile principio base della democrazia. Diritto di tutti: di
ogni partito, non solo del più grosso come tende a dire la poco democratica petulanza dei
portavoce della maggioranza. Ma se i diritti di tutti non sono difesi con la durezza e
l'intransigenza necessaria, se si continua ad accettare una violenza eversiva sfacciata e uno
spettacolo di conclamata immoralità e corruzione accettando di abbassare la protesta in un
sussurro, forse non ci accorgeremo nemmeno quando dalla Repubblica del Male Minore ci
avranno trasferito armi e bagagli nel territorio della confinante Repubblica della Giustizia
assente.
1564 - PERCHÉ LE REGOLE SONO LA DEMOCRAZIA - DI CARLO GALLI
da: la Repubblica di giovedì 11 marzo 2010
La controversia sulle elezioni regionali porta alla luce due concezioni opposte della politica e
del diritto. Porre in contrasto il diritto al voto con l´ordinamento vigente non è filosofia politica,
ma la solita emergenza quotidiana. La teoria "contenutistica" che vede nel popolo il "sovrano
assoluto" è in concorrenza con il costituzionalismo
Un triste destino ha colpito le due categorie centrali della metafisica occidentale, sostanza e
forma. Dal loro significato originario – elaborato da Platone e Aristotele – , che indicava
rispettivamente il fondamento di tutto ciò che è, e gli schemi razionali del suo configurarsi,
sono giunte a essere sinonimo, nell´attuale discorso pubblico italiano, di "contenuto reale" e
di "apparenza superficiale". Un impoverimento che ha anche un forte valore polemico, e che
riprende, semplificandola e distorcendola, una dialettica autentica che si è storicamente
manifestata – con altri nomi e altri concetti – all´interno della teoria politica. Infatti, la politica
non si esaurisce certo nelle forme giuridiche, nella norma, nella procedura, nelle istituzioni. E
soprattutto la democrazia è anche sostanza: implica infatti, alla radice, la pienezza del
popolo, la sua presenza sulla scena politica come identità, come fonte della sovranità, come
origine e fondamento del potere.
C´è, nella teoria democratica moderna l´esigenza che il popolo sia una unità politica
originaria, immanente, autonoma e autosufficiente, che precede ogni forma istituzionale e
giuridica: questa democrazia sostanziale si presenta come potenza della moltitudine in
Spinoza, come rinnovamento morale dell´uomo e della società in Rousseau, come emergere
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di una forte conflittualità in Sorel, e come radicale avversione per le istituzioni nel marxismo
rivoluzionario: in questi casi, pur così lontani tra di loro, la forza del popolo non conosce se
non quei limiti e quelle forme che pone da sé, in via provvisoria e transitoria, sempre pronta
superarli, a travolgerli. Il popolo, qui, è potere costituente, energia che non si neutralizza mai
del tutto; è legittimità, sempre in grado di forzare la legalità; è un Bene che si impone
assolutamente, un Valore che si afferma, con una voce corale e collettiva.
Questo modo sostanziale e radicale di pensare la democrazia è in concorrenza per tutto il
corso della modernità – e nel XX secolo alimentò il confronto fra due giuristi come Schmitt e
Kelsen – con la democrazia liberale e costituzionale, che differisce dalla prima su due punti.
Innanzi tutto, è intrinsecamente limitata, poiché valuta come Bene fondamentale i diritti dei
singoli, in regime di uguaglianza; e al fine di salvarli e promuoverli incanala il potere entro le
forme e le procedure delle istituzioni repubblicane. Inoltre, questa democrazia riconosce sì al
popolo la titolarità originaria della sovranità, ma non gliene consente l´esercizio diretto. La
democrazia liberale è quindi rappresentativa, non identitaria, e prevede che la voce del
popolo si articoli in una pluralità di opinioni, all´interno di un´istituzione che nel dialogo trova
la propria ragion d´essere: il parlamento – contro il quale si rivolgono le polemiche di
Rousseau, di Sorel, di Marx e di Lenin – . In questa democrazia il potere del popolo, la
sostanza, non si dà senza la forma, e soprattutto non può mai trascenderla. Il che significa
che la legittimità deve farsi legalità, che il potere costituente non può non istituzionalizzarsi in
potere costituito. Non esiste alcun potere assoluto, neppure quello del popolo – meno che
mai quello dei suoi rappresentanti, o del governo – .
Il liberalismo seicentesco di Locke e quello ottocentesco di Mill, oltre alla tradizione del
costituzionalismo inglese e nord-americano, stanno alla base di questa accezione della
democrazia, che ispira anche le costituzioni contemporanee. Ma non è una democrazia
inerte, apatica e relativistica, non persegue la piena giuridificazione tecnica, formalistica e
procedurale della politica, non esclude passioni e sentimenti, valori e speranze; vive anzi
della dialettica tra le dimensioni del diritto e del potere, tra forma e sostanza, fra legalità e
legittimità. E nel nostro tempo la sostanza della democrazia, del potere del popolo, sono i
valori dell´umanesimo laico e cristiano, liberale e socialista, incorporati nella Costituzione.
Sono lo sforzo all´inclusione, alla partecipazione (anche in senso elettorale), all´uguaglianza
reale. Sono gli interessi legittimi e i loro conflitti, la dignità del lavoro e delle professioni, le
fatiche e le speranze dei cittadini. Ma tutto ciò può valere e essere difeso nelle forme del
diritto, che sono ormai pienamente democratiche.
La contrapposizione tra sostanza e forma, infatti, è stata risolta in quell´autentico caso
d´eccezione che fu l´instaurazione dell´attuale ordinamento giuridico-politico, fra il 1943 e il
1948; lì c´è stata la decisione sovrana del popolo, che ha affermato come legittimo il proprio
potere e gli ha dato la forma costituzionale attuale. Quindi mettere oggi in contrapposizione
forma e sostanza – come se la prima fosse nulla, senza capire che è invece il modo d´essere
della sostanza – è usare il caso d´eccezione non per creare ma per distruggere: nessuna
sostanza politica, oggi, può affermarsi contro la forma costituzionale, o fuori di essa; neppure
il diritto di voto può essere contrapposto all´ordinamento (come si è tentato di fare, poiché
non si sono volute perseguire altre vie). La democrazia della sostanza, oggi, è una
democrazia informe e illegale; non potere del popolo ma conato di populismo; non ordine,
ma la solita emergenza quotidiana.
1565 - IL DIALOGO DELLE VERITÀ - DI CARLO GALLI
da: la Repubblica di giovedì 18 marzo 2010
Merito del libro di Gustavo Zagrebelsky (Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa al governo
dell’uomo, edito da Laterza, pagg. 160, euro 16) è di afferrare il bandolo di quella complicata
matassa che è il ritorno politico della religione - in cui si intrecciano la crisi dello Stato
democratico, l’emergere di una diffusa indifferenza verso la religione, ma al tempo stesso
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anche la ricerca di un supplemento d’anima per una politica sempre più spezzettata,
irrazionale, instabile - , e di ricostruire in una sintesi agile, informata, incisiva, la tormentata
vicenda del dualismo occidentale fra potere e religione, misurando così le ragioni strutturali
del problema.
Quel dualismo fra Stato e Chiesa nacque con l’affermazione - risalente a papa Gelasio, alla
fine del V secolo - che la Chiesa, originariamente capace di politica (Cristo ha salvato
l’umanità intera nel mondo, non i singoli uomini nel chiuso delle loro coscienze), è altra e
superiore rispetto al potere politico mondano: nel disegno della Chiesa il dualismo serviva a
creare una gerarchia, a proprio favore; il cristianesimo era la precondizione dell’esistenza
politica - essere cristiano e essere cittadino erano la medesima cosa - , e quindi anche della
legittimità dei poteri civili. La laicità, quindi, nasce nel mondo cristiano, ma indirettamente;
non è una concessione della Chiesa né un esito immediato della religione, ma il risultato di
una lotta di lungo periodo contro la pretesa di supremazia che la caratterizza da sempre.
Una pretesa che Zagrebelsky ripercorre nelle sue varie forme - la ierocrazia medievale, e la
teoria moderna di Bellarmino della potestas indirecta, ossia l’offerta di sostegno ai re e la
parallela affermazione che i cattolici possono essere chiamati dal papa a disobbedire ai loro
governanti - . La modernità politica spezza proprio questa alleanza fra trono e altare, e la
Chiesa entra in conflitto frontale con il mondo moderno e la sua politica: l’Ottocento è così
segnato dal rifiuto del liberalismo e della libertà che questo offriva alla religione (libera
Chiesa in libero Stato). Ma nonostante questo arroccamento politico e dottrinario la Chiesa si
aprì verso la società, per mobilitare masse cattoliche tendenzialmente antistatali, e per non
lasciarle al socialismo; alla fede ormai non più coincidente con la cittadinanza sostituì, con la
Rerum Novarum di Leone XIII, la propria dottrina sociale quale centro di una strategia di
riappropriazione della politica. La Chiesa inizia così a proporsi come indispensabile non solo
per la salvezza ma anche per tenere unita la società che l’insipienza e l’ingiustizia dei laici
compromette alle radici.
La conciliazione, brevissima, col Moderno è vista da Zagrebelsky nel Concilio Vaticano II, in
cui la Chiesa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, e chiede di potere servire l’umanità,
di difenderne la dignità e i diritti alla luce dell’insegnamento evangelico; il pluralismo delle
opinioni politiche e sociali è accettato, e ci si apre anche all’idea della libertà religiosa. Ma,
nota Zagrebelsky, il problema sta nel mai allentato rapporto della Chiesa con la Verità: un
rapporto che la rende un ospite assai ingombrante nella democrazia, che può facilmente
apparire alla Chiesa come nichilismo e instabilità, e destinata alla dissoluzione, se non
interviene la Chiesa stessa, come una teologia civile o politica, a sostenerla.
Nell’ormai matura crisi dello Stato moderno, ecco quindi, da Giovanni Paolo II in poi, lo
scambio di veste fra Chiesa e Stato - entrambi in gara per governare razionalmente gli
uomini - , a cui allude il titolo del libro. Non più ostile in linea di principio alla politica della
ragione, la Chiesa con Benedetto XVI (il discorso di Ratisbona) pretende di incarnare in sé la
ragione umana al suo grado più alto, di essere l’erede della filosofia greca (intellettualmente
preferita alla radice ebraica) e della riflessione filosofica non corrotta (cioè non protestante,
non individualistica, non razionalistica): di essere insomma veramente razionale (non
razionalistica), veramente laica (non laicista), veramente politica, oltre che veramente
salvifica. Verità e ragione si unificano, nella teologia politica cattolica, contro la "dittatura del
relativismo", a riaffermare un protettorato cattolico sulla società, della quale la Chiesa
rivendica di essere l’origine e la sintesi, sempre operante e vigilante: ancora una volta, extra
Ecclesiam nulla salus, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. Questa struttura pedagogica
agisce in nome della Verità (come anche l’ultima enciclica mostra già nel titolo), e quindi
potenzialmente relega nell’errore chi non è d’accordo (costringendolo a vivere, appena
tollerato, in un mondo dai cui principi è escluso, o nei quali è assimilato); il papa chiede che
tutti si comportino come se Dio esistesse, e fosse il fondamento della società. Dopo la
stagione conciliare di "credere senza appartenere", oggi i religiosi e anche parecchi laici (gli
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"atei devoti") vogliono che la politica si svolga all’insegna di un appartenere senza credere,
che trasforma la cittadinanza democratica in una sorta di comunità a sfondo confessionale.
Zagrebelsky con forza non settaria pone in evidenza la difficoltà del dialogo fra laici e
cattolici, su queste basi; la religione di cui la democrazia ha bisogno accetta infatti il
relativismo, il pluralismo, mirando all’unica verità che la democrazia riconosce, l’umanistica
affermazione della libertà, dell’uguaglianza, della responsabilità e dell’autonomia. Insomma,
la democrazia chiede che gli uomini si comportino politicamente come se Dio non esistesse,
e che trovino in se stessi - e non in fondamenti autoritari - la forza di essere liberi e giusti. La
democrazia non ha paura di essere priva di fondazioni metafisiche; questo vuoto, infatti, è la
condizione stessa della sua missione, che consiste nel far fiorire le contingenze particolari, i
progetti di vita degli uomini e delle donne, in uguale dignità e libertà.
Dobbiamo quindi essere grati a Zagrebelsky per la chiarezza e la serenità con cui mostra la
distanza - il non possumus laico, speculare ai diktat della Chiesa su tanti aspetti della vita
sociale e politica - fra l’attuale posizione della Chiesa e la democrazia. Una distanza - il vero
volto del dualismo occidentale - che, mentre indica l’esigenza di una radicale riscoperta delle
caratteristiche imprescindibili della laicità, enfatizza la non sovrapponibilità fra politica e fede,
fra sfera mondana e sacro, e mette in tensione libertà e obbedienza, rifiutando vecchi e nuovi
fondamentalismi.
1566 - PER SALVARE LA TERRA BISOGNA CAMBIARE CULTURA - DI C. PULCINELLI
da: l’Unità di martedì 16 marzo 2010
E’ inutile fare finta di niente: così non possiamo andare avanti a lungo. Consumiamo troppo.
Nel 2006 nel mondo si sono spesi 30,5 mila miliardi di dollari in beni e servizi, il 28% in più
rispetto al 1996 e sei volte di più rispetto al 1960. Certo, c’è stata la crescita demografica. Ma
la popolazione dal 1960 ad oggi è aumentata di poco più di due volte e non di sei volte. Molti
beni sono stati acquistati per rispondere a bisogni primari: il cibo, la casa. Ma, più cresce il
reddito, più aumenta la propensione al consumo: case più grandi, cibi più raffinati,
automobili, televisori, viaggi aerei, computer, telefonini. Tutto sembra indispensabile. Un
modello che si sta espandendo dai paesi ricchi ai paesi in via di sviluppo. Il problema è che
all’aumento dei consumi corrispondono più estrazioni dal sottosuolo di combustibili fossili,
minerali e metalli, più alberi tagliati, più terreni coltivati. Insomma, più pressione sui sistemi
della Terra. L’indicatore dell’impronta ecologica, che mette in relazione il consumo umano di
risorse naturali con la capacità del nostro pianeta di rigenerarle, ci dice che già oggi
utilizziamo le risorse di 1,3 Terre. E secondo le previsioni dell’Onu nei prossimi trent’anni altri
2,5 miliardi di persone dovranno avere accesso all’energia.
Cosa fare? Rallentare la crescita demografica, adottare tecnologie sostenibili, non c’è
dubbio. Ma non basta. Facciamo due conti. Se volessimo vivere tutti come vivono i cittadini
degli Stati Uniti, il nostro pianeta potrebbe sostenere solo 1,4 miliardi di individui, mentre noi
siamo già quasi 7 miliardi e si prevede che entro il 2050 saremo 2,3 miliardi in più. Con
efficaci strategie, potremmo frenare la crescita a poco più di 1 miliardo. Comunque troppi.
Pensiamo all’energia. Da una recente analisi si è visto che per produrre energia sufficiente a
soppiantare gran parte di quanto fornito dai combustibili fossili, si dovrebbero costruire 200
metri quadri di pannelli solari fotovoltaici e 100 di solare termico al secondo più 24 turbine
eoliche all’ora per i prossimi 25 anni.
Il Worldwatch Institute, l’autorevole osservatorio sull’ambiente, propone oggi un’altra strada,
complementare e non sostitutiva delle due precedenti, per andare verso una società
sostenibile: cambiare i modelli culturali. Il nuovo rapporto State of the World 2010 si intitola
proprio: «Trasformare la cultura del consumo. Rapporto sul progresso verso una società
sostenibile». Il consumismo che dovremmo abbandonare è quello definito dall’economista
Paul Ekins un orientamento culturale in cui «il possesso e l’utilizzo di un numero e una
varietà crescente di beni e servizi è l’aspirazione culturale principale e la strada percepita
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come più sicura verso la felicità individuale, lo status sociale e il successo nazionale». Il
primo problema è riconoscere il consumismo come un orientamento culturale: la sua
pervasività è tale che ormai viene sentito come qualcosa di naturale. Il secondo è mettere
mano, praticamente, alle nostre abitudini. Come convincere i nostri figli che il pane nel latte è
meglio dei cereali? Nostra madre che la carne è meglio mangiarla solo una volta ogni 15
giorni? Il nostro amico che non deve cambiare l’auto ogni due anni? L’imprenditore che è
meglio far lavorare meno i suoi dipendenti?
La notizia cattiva, dunque, è che stiamo parlando di un’impresa titanica e quasi visionaria.
Come dice l’inventore del microcredito e premio Nobel per la pace Muhammad Yinus nella
prefazione al volume: «Nessuna generazione prima d’ora, nell’intera storia del mondo, è
riuscita a realizzare una trasformazione culturale così profonda come quella invocata in
queste pagine». La notizia buona è che questa trasformazione è possibile, anzi che il
processo di cambiamento è già cominciato come dimostrano i molti esempi che il rapporto
cita. I bambini. Oggi gli operatori del marketing degli Stati Uniti investono circa 17 miliardi di
dollari per bersagliare i bambini di pubblicità. E le aziende alimentari spendono 1,9 miliardi di
dollari l’anno in campagne pubblicitarie mirate ai bambini di tutto il mondo. Ma qualcosa si
sta muovendo: nella provincia canadese del Quebec è vietata la pubblicità televisiva rivolta i
bambini sotto i 13 anni. In Norvegia e in Svezia il divieto è applicato al di sotto dei 12 anni. La
Francia ha proibito programmi televisivi per bambini al di sotto dei tre anni d’età. E la scuola?
Qualcosa si muove anche lì. A cominciare dalla mensa scolastica. La scelta di paesi come la
Scozia e l’Italia di puntare sull’uso di prodotti biologici, locali e freschi è interessante,
soprattutto se messa a confronto con quelle di altri paesi in cui i distributori automatici di
merendine e bevande gasate forniscono una percentuale delle entrate all’amministrazione
scolastica.
L’economia. Secondo gli estensori del rapporto dobbiamo partire da alcune consapevolezze:
primo, la crescita del prodotto interno lordo non solo è impossibile, ma indesiderabile perché
non vuol dire crescita del benessere. Secondo, una transizione ad una nuova società ci sarà
comunque e sarà determinata dalle crisi economiche. Il problema è quindi come governare il
cambiamento. Una trasformazione economica fondamentale riguarderà la migliore
distribuzione dell’orario lavorativo. Oggi molte persone lavorano troppe ore, guadagnano di
più e trasformano il reddito in consumi. D’altro lato, ci sono moltissimi disoccupati. Lavorare
meno vuol dire far lavorare più persone, avere più tempo libero, far diminuire i consumi
energetici. Un altro punto di forza della nuova economia sono le imprese sociali, quelle
imprese in cui si producono beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale Anche qui
gli esempi positivi sono molti. Storie come quella dell’impresa egiziana Sekem che, contro
chi sosteneva che non era possibile rendere fertile la parte di deserto lontana dal Nilo, oggi
produce derrate alimentari biologiche, cotone, erbe medicinali proprio nel mezzo del nulla.
I governi e le amministrazioni. Dalla messa al bando dei sacchetti di plastica in Irlanda al
ritiro dal commercio delle lampade a incandescenza nel Canada, alle pesanti imposte sulle
emissioni della Svezia, le iniziative per promuovere stili di vita sostenibili non mancano. Molte
città stanno riducendo la loro impronta ecologica. Un esempio? Il quartiere BedZED di
Londra, interamente costruito con materiale riciclato, consuma esattamente tanta energia
quanta ne produce e ha al suo interno orti biologici.
Mass media e religioni. I mezzi di comunicazione di massa possono essere strumenti efficaci
per plasmare le culture. Lo hanno fatto diffondendo un modello consumistico. Lo potrebbero
fare diffondendo un modello di sostenibilità. Quindi, dicono gli autori del rapporto, si può
pensare di usare il marketing sociale per trasformare la cultura del consumo. Ma ci si può
spingere ancora più in là e pensare di usare anche le religioni a questo scopo: «Poiché l’86%
della popolazione mondiale afferma di appartenere a una religione organizzata, sarà senza
dubbio indispensabile coinvolgere le religioni nella diffusione delle culture della sostenibilità».
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1567 - RATZINGER RECITI IL MEA CULPA SULLA PEDOFILIA - DI HANS KÜNG
da: la Repubblica di giovedì 18 marzo 2010
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l’arcivescovo Robert Zollisch il Papa era
«profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il
presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando
nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una
serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell’ultimo
sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l’opera di rielaborazione
della Chiesa, mentre per l´86% dei tedeschi l’atteggiamento degli alti livelli della gerarchia
ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma
nell’insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l’obbligo del celibato e
gli abusi commessi sui minori.
Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo»
celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il
matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è
neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio
un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare
alla loro missione.
L’obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale
all’XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei
riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa
norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche
personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o HansJochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più
sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e
sposati.
Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l’esistenza di qualsiasi
rapporto tra la pedofilia e l’obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito
l’arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si
potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno
sottolineato questo rapporto: mentre l’obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da
qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e
l’inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione.
In nome della verità, la correlazione tra l’obbligo del celibato e gli abusi non può essere
semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad
esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto
di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the
Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la
socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari)
può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello
sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso
la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si
raggiunge solo dopo l’ordinazione al sacerdozio.
Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente
riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del
celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili.
Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C’è poi una differenza tra i casi
individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi
sistemici, spesso reiterati e frequenti, all’interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui
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vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul
celibato.
In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia,
sopravvalutando peraltro gravemente l’autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza
episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d’ora in poi, in caso di
reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l’azione
giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a
pagare risarcimenti dell’ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto
versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo
ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo
risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici
sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare
il dibattito.
Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie
responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua
persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran
numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue:
- Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg,
maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente
al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta
qui dei ceffoni, purtroppo all’ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati
sessuali.
- Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito
nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche
se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è
assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a
scagionare l’arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
- Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della
fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il
mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio
2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph
Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita
dalla Chiesa).
- Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.
In nome della verità Joseph Ratzinger, l’uomo che da decenni è il principale responsabile
dell’occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta
un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst,
che in un’allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi
termini: «Poiché un’iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo
bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed
espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di
pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo
inizio».
1568 -BIOTESTAMENTO: DISCUTERE TRA SCIENZA E COSCIENZA - DI C. A. DEFANTI
da: l’Unità di sabato 20 marzo 2010
Leggo con piacere la replica di Assuntina Morresi al mio breve articolo del 20 febbraio,
ancora una volta sullo stato vegetativo. Il piacere mi deriva dai toni più distesi oltre che dalla
serietà degli argomenti. Debbo tuttavia fare qualche puntualizzazione.
La mia interlocutrice ribadisce la richiesta, contenuta nella sentenza della Cassazione sul
caso Englaro, di escludere che «la persona abbia la benché minima possibilità di qualche,
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seppur flebile, recupero della coscienza». In proposito, non mi sono mai stancato di dire che
la medicina – e la scienza più in generale – non è mai in grado di dare certezze assolute e
che, calato nella realtà, il linguaggio giuridico va tradotto nel linguaggio medico, in cui
certezza significa altissima probabilità.
Temo inoltre che Morresi abbia mal interpretato le mie parole a proposito del sostegno vitale:
io uso questo termine nel senso medico ordinario, in cui la nutrizione artificiale è sostegno
vitale alla stessa stregua della ventilazione artificiale, della dialisi, di alcuni farmaci ecc.
Considero perciò che essa possa essere interrotta qualora il paziente in precedenza si sia
espresso in tal senso (oppure quando la sua volontà in questo senso sia stata ricostruita in
modo attendibile, come è qui avvenuto). Osservo poi che Morresi si chiede chi può stabilire
che una vita in stato vegetativo sia “invivibile” e chi sia autorizzato a decidere questo per altri
quando siano inconsapevoli. Io dò una risposta semplice: solo il malato può prendere questa
decisione, idealmente attraverso un testamento biologico (ma il disegno di legge attualmente
in esame vorrebbe escludere proprio questa possibilità!). Nessuno ha sostenuto, per lo meno
nel nostro Paese, che si debba sospendere la nutrizione artificiale dei soggetti in stato
vegetativo, a meno che loro stessi non lo abbiano chiesto.
La limpida battaglia civile sostenuta da Beppino Englaro non ha mai avuto altro scopo che
quello di consentire che la volontà della figlia fosse rispettata ed eventualmente di offrire ad
altri la stessa possibilità.
Infine spezzo ancora una lancia a favore di una discussione, che naturalmente non può
essere condotta su queste colonne, sulla rilevanza morale dei nuovi risultati scientifici in
tema di disturbi di coscienza. Mi preoccupa molto, ad esempio, l’eventualità che una parte
(spero molto piccola!) dei malati che si trovano attualmente in stato vegetativo, di cui finora si
pensava che non provassero dolore, possano invece soffrire e che la loro sofferenza non
venga alleviata, ad esempio con l’uso regolare di analgesici. C’è qui un grave compito per le
società scientifiche, che finora non hanno fatto sentire adeguatamente la loro voce.
1569 - PAX CHRISTI: SCONGIURARE IL REGIME, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
da: Adista n. 35507 di martedì 23 marzo 2010
Una “bolgia infernale”: è questa l’attuale situazione politico-sociale italiana secondo il
Consiglio nazionale di Pax Christi, che si è riunito a Firenze lo scorso 13 e 14 marzo.
“Ci sentiamo duramente colpiti dalla deriva etica, politica e giuridica”, si legge nella nota. “La
diffusione della corruzione e l’abitudine all’illegalità nell’economia, nella politica, nella società
stanno minando i fondamenti dello Stato di diritto e la dignità della persona. La ‘questione
immorale’ si è estesa in ogni ambito” e, “riemersa ultimamente nella ‘nuova Tangentopoli’,
nella ricostruzione dell'Aquila, nei condizionamenti dell'informazione, nell'attacco al diritto al
lavoro, nella revisione peggiorativa della legge sul commercio delle armi, è diventata una
questione democratica-costituzionale. La degenerazione privatistica, aziendalista e
populistica del sistema politico, la produzione di provvedimenti a sostegno di pochi, lo
svilimento delle regole” stanno attuando “un vero e proprio ‘massacro delle istituzioni’
secondo l’ex presidente Ciampi” e uno “svuotamento progressivo della Costituzione, un
abuso di potere recentemente visibile nel decreto ‘interpretativo’ salva-liste e
nell’approvazione del legittimo impedimento”. La costruzione della cittadinanza umana si fa
sempre più difficile, “in un contesto carico di normative e proposte discriminatorie, spesso
razziste, contrarie ai principi costituzionali e al codice internazionale dei diritti umani”. Si
diffondono a macchia d’olio “modelli di comportamento arroganti e maschilisti basati sulla
logica del più forte, del più ricco, del più furbo, del più esibizionista, del più volgare, del più
cinico e del più egoista”.
Prosegue la Nota: “Il pasticcio delle liste elettorali in un clima di scontro esasperato, il
disprezzo delle regole, l’accusa reiterata da parte governativa dell’esistenza di complotti
organizzati da chi dissente o dalla magistratura stessa stanno esasperando una situazione
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già grave”. “Alcuni dicono che è esagerato parlare di ‘regime’. Ma il momento di rottura
costituzionale o il ‘punto di non ritorno’ è per definizione irreversibile. Una volta raggiunto, per
molto tempo diventa impossibile o inutile protestare. Dovere civico è prevenirlo. Occorre
vigilare sull’erosione graduale delle regole, sullo svuotamento delle istituzioni, sullo scontro
permanente tra istituzioni dello Stato, sull’aggressione delle coscienze civili, sui rischi di
assuefazione al degrado”. Insomma, conclude la Nota, ci troviamo in una vera e propria
“bolgia, che nell’inferno dantesco è il luogo dei fraudolenti”, da cui dobbiamo uscire “per
rivedere le stelle del diritto”. (l. k.)
1570 - LA BANDIERA VATICANA - DI ADRIANO PROSPERI
da: la Repubblica di martedì 23 marzo 2010
Le elezioni sono alle porte e la Chiesa italiana ha parlato: o meglio, ha parlato la Cei per
bocca del cardinal Bagnasco. La precisazione è d´obbligo: è possibile che una sola voce
riesca ad esprimere la quantità e la qualità delle posizioni che si muovono nella realtà del
mondo cattolico?
Ci si chiede anche se le elezioni amministrative siano un´occasione di tale importanza da
imporre che si levi in modo speciale la voce di un´autorità morale e spirituale come la Chiesa
nella sua espressione gerarchica, obbligata dalla sua stessa natura a essere al di sopra delle
parti . E non intendiamo levare la pur sacrosanta protesta di chi chiede che le autorità
ecclesiastiche si astengano dalla lotta politica: anche se si potrebbe – e forse si dovrebbe,
visti i tempi – ricordare ai vescovi che ci sono tante occasioni di urgenze grosse e di scandali
clamorosi davanti ai quali la loro voce dovrebbe trovare il coraggio di levarsi. Lo stato morale
del Paese è disastroso. C´è una corruzione che ha invaso – partendo dall´alto – anche i più
remoti angoli dove si dà esercizio del potere. È cosa recentissima la pubblicazione del
rapporto annuale dell´agenzia internazionale per il monitoraggio dello stato dei diritti umani
nel mondo: e lì abbiamo letto note ben poco confortanti per il nostro Paese. Che cosa può
fare un vescovo in questa situazione?
I modelli di vescovi che hanno saputo affrontare senza paura i potenti per esercitare il loro
compito di pastori di anime e di guide di coscienze non mancano certo nella millenaria storia
della Chiesa: il gesto di ripulsa e di condanna di Sant´Ambrogio davanti all´imperatore
Teodosio fondò il diritto del vescovo di Milano a guidare il suo popolo. Non sono più tempi
così drammatici, penserà qualcuno. Eppure l´appello del cardinal Bagnasco ha un tono di
una certa drammaticità. Anche se nel suo discorso sono stati toccati diversi problemi, nella
sostanza uno domina su tutti gli altri. Gli elettori sono stati invitati a seguire nella scelta
elettorale la bussola della questione dell´aborto.
Ora, la domanda che si pone è se questo è veramente il problema dei problemi, quello per
cui sta o cade la società. Si dice che questa funzione è quella che prima di tutte le altre
appartiene alla Chiesa: la difesa della vita. Bandiera nobile, se altre ce ne sono. La vita
umana va difesa. Su questo siamo tutti d´accordo. Ma allora bisogna essere conseguenti e
andare fino in fondo. Prendiamo un caso: sono passati appena pochi giorni da un episodio
gravissimo: una madre ha partorito in una stazione di sport invernali dove lavorava, sulla
neve dell´Abetone. Aveva un permesso di soggiorno legato al suo posto di lavoro. Ha
nascosto il parto, il neonato è morto soffocato. Un´immigrata non può avere figli senza
rischiare di perdere il lavoro: è l´effetto di una legge approvata da un governo di centrodestra
che si vanta di avere il consenso degli italiani. E l´appoggio della Chiesa a questo governo
produce ogni giorno effetti devastanti.
Noi non sappiamo quanti siano gli aborti clandestini che si praticano in Italia. Fu per
affrontare la piaga dell´aborto clandestino che fu varata la legge 194. E l´effetto si è visto.
Era un modo civile di affrontare una piaga antica, ben nota alle autorità ecclesiastiche. Per
secoli l´arma della scomunica non ha impedito che nel segreto delle famiglie si eliminassero i
figli indesiderati laddove le ferree catene del bisogno imponevano di non aumentare le
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bocche e di non avere figlie femmine. Allora la scomunica non colpiva i colpevoli della iniqua
distribuzione delle risorse. E ancora oggi la condanna ecclesiastica non colpisce coloro che
hanno varato quella legge che provoca lutti e dolori, che impedisce alle donne immigrate di
avere figli. Né colpisce le forze politiche che non hanno a cuore la tutela della famiglia e che
dedicano tutta la loro forza a sottrarre alla legge un presidente del Consiglio invece di varare
una riforma fiscale che introduca il quoziente famiglia. Invece basta un normale
appuntamento elettorale perché si ripeta ancora lo stanco spettacolo di un´autorità
ecclesiastica che si schiera a favore di una parte politica contro un´altra. È un rito vecchio,
logorato dall´uso, ripetitivo, facilmente decifrabile. Siamo a una scadenza elettorale resa
inquieta dal silenzio della televisione di Stato, assurdamente determinata a lasciare i cittadini
in una condizione di dubbio e di perplessità. Sono semplici elezioni amministrative. Non è in
gioco la sorte del governo. Si tratta di scegliere i candidati più credibili per affidare loro
l´amministrazione di regioni e città. Ci aspettavamo di essere messi in grado di scegliere
serenamente sulla base dei profili dei candidati e del contenuto dei loro programmi. Ma di
programmi è stato molto difficile parlare .
Il confronto è stato oscurato dall´episodio della clamorosa incapacità del più potente partito
italiano di mettere insieme una lista di candidati e di farla pervenire alla scadenza dovuta
davanti all´ufficio competente. Una manifestazione di piazza ha costruito lo spettacolo
televisivo per raggiungere in un colpo solo tutti gli elettori. Ma forse anche questo spettacolo
rischiava di non essere efficace. E allora, che altro si poteva fare per dare una mano al Pdl e
combattere la candidatura di Emma Bonino nel Lazio?
1571 - IL FONDAMENTALISMO BUSSA ALLA REGIONE – DI FEDERICO ORLANDO
da: Europa di mercoledì 24 marzo 2010
Cara Europa, a 48 ore dallo spettacolo blasfemo di piazza san Giovanni, dove lo sciamano di
Arcore, che alterna attenzione per le escort e lettere al papa, ha fatto giurare i suoi aspiranti
governatori, un altro sciamano è venuto a invadere la nostra libertà di cittadini, il nostro diritto
di scegliere col voto, senza coazione morale, chi vogliamo alla regione. Qui nel Lazio, se
Bonino o Polverini. Il tutto fra gli applausi dei devoti atei della destra, dai neonazisti ai collusi
di camorra, e mentre il governo e le istituzioni repubblicane si astengono dal richiamare i
limiti che la legge impone anche ai religiosi quando parlano di questioni appartenenti alla
sovranità dello stato e ai diritti dei cittadini.
Sono furioso per questi comportamenti di là e di qua dal Tevere, anche se decuplicano le
mie energie a favore della Bonino, per la quale, fino alla mattina di lunedì 29, telefonerò a
tutti i miei clienti nel Lazio.
Aldo Cristini - Roma
Risponde Federico Orlando
Caro dottore, fa bene a decuplicare il suo impegno a favore della nostra candidata Emma
Bonino. Anche in me le parole del cardinale hanno avuto lo stesso effetto e ho cominciato a
ripescare nomi nelle cento agende della mia vita. Ma perché essere furioso? Non se
l’aspettava? Come dice Emma, trattasi di materia sempreverde, sempre attuale (peccato lo
dica in inglese, evergreen, rischiando di non farsi capire da lettori ed elettori non obbligati a
conoscere quella lingua. Sono le civetterie dei politici). Inglese a parte, Emma ha ragioni
profonde dalla sua, ben al di là dei dogmi sulla vita e sulla morte, o magari della pedofilia in
Italia a cui Bagnasco forse vorrà dedicare un prossimo anatema.
Lunedì sera, quando mi è arrivata la notizia, stavo leggendo il libro-vocabolario del professor
Gianfranco Pasquino sulla teoria di Fukuyama circa la “fine della storia” (Le parole della
politica, ed. Il Mulino, che recensiremo prossimamente). Fukuyama non ha mai scritto che
con la caduta del Muro fosse finita la storia dell’umanità, ma solo quel capitolo del Novecento
che aveva visto la definitiva vittoria della democrazia liberale sui regimi antiliberali: fascismo,
nazismo, stalinismo.
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Poi si è aperto un altro capitolo, quello della lotta tra le democrazie realizzate e il
fondamentalismo di ispirazione religiosa, dovendosi prender atto che non c’è solo il
fondamentalismo islamico (che arriva a esprimersi col terrorismo), ma che «un po’ tutte le
confessioni religiose, cattolicesimo, protestantesimo, ebraismo, induismo, contengono e
spesso alimentano i loro fondamentalismi, invece di contrastarli». Sicché, «Quella che
continua è una storia più pericolosa e potenzialmente più devastante fra le democrazie e i
regimi fondamentalisti nei quali un ceto di religiosi pretende e riesce a dettare i
comportamenti di alcune collettività. È assolutamente una brutta storia» (pag. 87).
Ma, nei tempi brevi, anzi brevissimi (appena 4 o 5 giorni) non è di queste metafisiche che
dobbiamo occuparci, ma del voto nel Lazio in Piemonte e in altre 11 regioni. E qui ci
soccorrono alcune voci di un altro libro-vocabolario, della stessa Emma Bonino, già recensito
da Europa, Alfabeto Bonino (ed. Bompiani).
Alla voce “L come Lazio” si legge fra l’altro: «Vorrei portare il Lazio in Europa e l’Europa nel
Lazio», per esempio istituendo un flusso turistico invernale dal Nord freddo che, come in
Liguria, rianimerebbe la nostra languente economia stagionale. E vorrei far emergere gli
innumerevoli alloggi vuoti e i molti posti letto e ambulatoriali che «la nebbia del sistema,
tipicamente italiana», tiene nascosti ai cittadini bisognosi di case o di ricovero ospedaliero. E
altre consimili quisquilie, che sono la tormentosa vita quotidiana non dei cardinali ma di
centinaia di migliaia di cristiani.
Alla voce “Laicità” annota: «La mia rigorosa laicità non ha mai avuto alcun carattere
antireligioso ma, al contrario, mi ha spinto ad impegnarmi per la libertà religiosa in ogni parte
del mondo, ovunque negata, indipendentemente dalla fede professata».
Chissà se hanno fatto altrettanto le ultime leve dell’harem del sultano, da lui imposte nei
listini di Polverini e Formigoni, benedetti dalla Cei.
1572 - 41 PRETI PER LA LIBERTÀ’ SUL FINE-VITA
da: www.micromega-online di martedì 23 marzo 2010
La legge sul testamento biologico che il governo e la maggioranza si apprestano a votare
imprigiona la libertà di tutti i protagonisti coinvolti al momento supremo della morte.
Definendo il nutrimento e l’idratazione forzati come cura ordinaria e obbligata e non più come
intervento terapeutico straordinario, la legge annulla ogni possibilità di valutazione
sull’accanimento terapeutico. L’interessato, i familiari e il medico stesso sono impotenti di
fronte ad una volontà esterna che impone un protocollo che è solo politico e non morale. La
vita deve essere rispettata sempre e senza condizioni, finché resta vita umana nella
coscienza, nella dignità e nella forza di sostenerla.
La morte è un appuntamento naturale a cui tutti siamo chiamati; per i credenti poi è il vertice
della vita vissuta, la soglia che introduce all’eternità. La decisione di porre fine ad una
parvenza di esistenza è di pertinenza esclusiva della persona interessata che ha il diritto di
esporla preventivamente in un testamento, oppure alla famiglia di concerto con il medico che
agisce in scienza e coscienza.
Con la forza della ragione e la serenità della fede ci opponiamo ad un intervento legislativo
che mortifichi la libertà di coscienza informata e responsabile in nome di principi che non
sono di competenza dello Stato e tanto meno di un governo o di un parlamento che agiscono
in modo ideologico sull’onda emotiva e la strumentalizzazione di una dolorosa vicenda
(Eluana Englaro).
Come credenti riteniamo che chiunque come è stato libero di vivere la propria vita, così
possa decidere anche di morire in pace, quando non c’è speranza di migliorare le proprie
condizioni di esistenza umana.
don Paolo Farinella (Genova), don Vitaliano della Sala (Sant’Angelo a Scala, Avellino), don
Enzo Mazzi (Firenze), don Raffaele Garofalo (Pacentro, l’Aquila), padre Fausto Marinetti
(Sinigaglia, Ancona), don Andrea Tanda (Oristano), don Ferdinando Sudati (Paullo, Milano),
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don Adolfo Percelsi (La Loggia, Torino), don Giovanni Marco Gerbaldo (Modena), don
Pierantonio Monteccucco (Voghera), don Chino Piraccini (Cesena), don Marcello Marbetta
(Albano Laziale, Roma), padre Tiziano Donini (Trento), don Aldo Antonelli (Antrosano,
l’Aquila), don Roberto Fiorini (Mantova), don Luigi Consonni (Pioltello, Milano), don Angelo
Cassano (Bari), don Renzo Fanfani (Firenze), don Nicola De Blasio (Benevento), don
Goffredo Crema (Cremona), don Guglielmo Sanucci (Roma), dom Giovanni Franzoni
(Roma), padre Benito Maria Fusco (Bologna), padre Pierangelo Marchi (Caserta), don Paolo
Tornambè (Avezzano, l’Aquila), don Carlo Sansonetti (Attigliano, Terni), don Franco Brescia
(Napoli), don Carlo Carlevaris (Torino), padre Nino Fasullo (Palermo), don Andrea Gallo
(Genova), don Angelo Bertucci (Rovereto), don Alessandro Santoro (Firenze), don Franco
Barbero (Pinerolo), don Giorgio De Capitani (S. Ambrogio in Monte di Rovagnate, Lecco)
don Francesco Capponi (Itaberai, stato di Goias, Brasile), don Alessandro Raccagni
(Bergamo), don Salvatore Corso (Trapani) don Riccardo Betto (Vigodarzere, Padova), don
Albino Bizzotto (Padova), don Sandro Artioli (Sesto San Giovanni), padre Gino Barsella
(Roma).
I sacerdoti che volessero sottoscrivere l'appello possono inviare una mail a
[email protected] specificando città, provincia e recapito telefonico.
1573 - CI MANCAVA, OH, COME CI MANCAVA! DI DON PAOLO FARINELLA
Riportiamo due riflessioni di don Paolo Farinella, prete a Genova, sulle recenti "esternazioni"
del Presidente del Consiglio e del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Le riflessioni di don Farinella sono la dimostrazione della crescente "rivolta" all'interno della
Chiesa cattolica contro le posizioni "politiche" e gli anatemi della Gerarchia, iniziati ai tempi
del referendum sulla legge per la fecondazione assistita con il noto invito del Cardinale Ruini
a non votare e proseguite sino ad oggi. Oggi Ruini non è più Presidente della CEI, ma
Bagnasco non lo fa certo rimpiangere. (gps)
Lettera di Berlusconi al Papa sulla pedofilia
Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, si complimenta con il papa per la lettera
agli Irlandesi sui preti pedofili: Benedetto XVI «è chiamato a confrontarsi con situazioni
difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della
religione cristiana». Poverino! non riesce a pronunciare la parola «pedofilia». Si è sforzato,
ma non ci riesce perché dovrebbe parlare di «sessualità scomposta» e abnorme perpetrata
in luoghi e sedi istituzionali, esattamente come ha fatto lui, a dispetto e dileggio di quella
morale cattolica di cui ogni giorno fa i gargarismi in pubblico, mentre in privato ne fa strage.
Non può parlare di «sesso», lui che, mentre inneggia «alla sostanza stessa della religione
cristiana», frequenta prostitute a pagamento dietro compenso in denaro e in posti in
parlamento o al governo e dalla moglie è condotto in giudizio per separazione per colpa.
Scrive al papa perché, da ruffiano qual è, vuole ingraziarselo.
Qual è il significato di questa lettera insulsa, senza senso, ridicola e immotivata? Io penso
che voglia cavalcare il momento di difficoltà del Vaticano, criticato da larghissima parte della
Chiesa che ha valutato la lettera agli Irlandesi inadeguata, insufficiente, scontata. Dopo il
fallimento del raduno di Roma con precari pagati a cento euro cadauno, il debosciato ha
bisogno di ricrearsi una verginità formale e vuole fare sapere al mondo intero che egli sta
dalla parte del Vaticano, sempre e comunque. L’immondo travestito da agnello.
Ancora una volta assistiamo alla strumentalizzazione di un momento tragico e doloroso della
Chiesa con responsabilità oggettive di papa Ratzinger e contorno e il Caimano ne approfitta
subito per fare una genuflessione oscena ad uso personale, perché il fantoccio di uomo non
sa vedere altro che usi personali, addomesticati alla sua bisogna. La lettera al papa,
opportunamente divulgata, è una forma di propaganda elettorale verso quell’elettorato
debole cattolico che si lascerà incantare da questo tronfio e immondo pifferaio e sul quale è
piombato come un elefante in una cristalleria il cardinale Angelo Bagnasco.
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Il tocco finale, da lupanare, è il riferimento all’efficacia della lettera dovuta secondo lui alla
«umiltà e sincerità unita alla chiarezza delle ragioni che il Papa mette in campo». Riguardo
all’umiltà, Berluskoniev è un maestro impareggiabile: umile, mite, altruista e, quello che più
conta, fondatore del partito dell’amore a pagamento e delle prostitute affittate «a carrettate»,
con i cattolici che tengono bordone e reggono il moccolo.
Da cattolico inorridisco e vorrei sperare che il papa usasse le sue scarpette rosse per il tiro al
bersaglio, nella certezza che questa volta lo Spirito Santo guiderebbe la santa mano per fare
centro sul bersaglio catramato e inamidato. So anche, però, che l’Utopia in Vaticano è morta
e sepolta da un pezzo, mentre regna e prospera la disonesta ricchezza. W l’umiltà! Parola di
Berluskoniev, spergiuro di professione.
Prolusione del card. Bagnasco a ridosso delle elezioni: come da copione
Non era ancora arrivata in Vaticano la lettera di Berluskoniev che già nello stesso giorno, si
sentiva il controcanto del card. Bagnasco al consiglio permanente della Cei. Egli con
tempestività programmata degna di ben altre battaglie, a pochi giorni del voto, parla con il
solito linguaggio aulico a supporto del governo e delle formazioni regionali di destra. Si
direbbe che più dell’inesistenza di Dio, la Cei tema la vittoria della sinistra o di quella che ci si
ostina a chiamare sinistra.
L’attacco frontale all’aborto come materia discriminante delle elezioni regionali è indebita,
immorale e indecente. L’aborto è previsto da una legge dello Stato: cosa c’entrano le
regioni? L’uscita di Bagnasco è calcolata e mira ad essere una diretta fucilata ad Emma
Bonino e a Mercedes Bresso in Piemonte. Per la proprietà transitiva chi attacca Bonino e
Bresso, appoggiate dal Pd, appoggia il Pdl che è contro il Pd. Povera gerarchia, ridotta a
giocare questi mezzucci pur di vincere la Regione Lazio! Se una donna fa così paura, cosa
farebbe un esercito di donne? Scrive il cardinale: «Sarà bene che la cittadinanza inquadri
con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi
regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso
converrà trascurare … C’è una linea consolidata che … insieme a Benedetto XVI, chiamiamo
«valori non negoziabili: … la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi
condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la
libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un
uomo e una donna» (Card. Angelo Bagnasco, presidente Cei, «Prolusione al consiglio
permanente del 22-25 marzo 2010, n. 8).
Si può anche essere d’accordo su alcuni aspetti, ma perché proprio, in piena feroce
campagna elettorale? Puro caso? C’è forse una relazione o un accordo preventivo tra la
lettera di Berlusconi e la prolusione di Bagnasco? I brutti pensieri fanno temere di sì. Se così
fosse, sarebbe grave e si conferma la strategia clericale di una alleanza «a prescindere» con
il governo Berlusconi; così come si rafforza il sospetto che il silenzio tombale della
presidenza della Cei, lo scorso anno, durante la teoria di scandali, personali e istituzionali,
perpetrati da Berlusconi, sia stato il prezzo pagato sull’altare della «disonesta ricchezza» pur
di tenere in vita un sostegno reciproco, Berlusocni/Vaticano-Cei anche a costo della morale,
della verità, della divisione all’interno della Chiesa italiana, anche a costo del sacrificio di
innocenti come il povero Dino Boffo.
Al card. Bagnasco risponde indirettamente alcuni giorni prima, quasi prevenendolo, Mons.
Luigi Bettazzi che nell’editoriale «Principi non rinunciabili» di Mosaico di Pace (marzo 2010),
annovera tra i «principi non negoziabili» tanto cari alla gerarchia ecclesiastica, anche il
«bene comune» e i valori «della sincerità e della sobrietà, della legalità e della solidarietà»;
così come tra quelli negativi ascrive: l’idolo della ricchezza in funzione del potere, il potere
stesso, il permissivismo sociale e l’interesse privato e il fine che giustifica i mezzi.
Il card. Bagnasco, poi, continua: «Dinanzi a quel che va emergendo ad opera della
Magistratura, noi Vescovi ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli
incatenamenti prodotti dall’egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul
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piano della politica vera. Questa è liberazione dai comportamenti iniqui, dalle contiguità
affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto … e innanzitutto la sua
dignità di cittadino … al di fuori della morbosità per un certo accaparramento personale, si
recuperi il senso di quello che è pubblico, che vuol dire di tutti e di cui nessuno deve
approfittare causando grave scandalo dei cittadini comuni, di chi vive del proprio stipendio o
della propria pensione ed è abituato a farseli bastare, stagione dopo stagione. C’è un
impegno che … non può non riguardare tutti, politici e cittadini …: mettere fine a quella falsa
indulgenza secondo la quale, poiché tutti sembrano rubare, ciascuno si ritiene autorizzato a
sua volta a farlo senza più scrupoli. Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò
accadesse, non si attenuerebbe l’imperativo dell’onestà. Non cerchiamo alibi preventivi né
coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare
di meno; semmai sarebbe un rubare di più. Per i credenti questo obbligo assurge alla dignità
di comando del Signore, dunque non si può venir meno» (Ibidem, n. 9).
Come non essere d’accordo? Anche le pietre lo sono. Perché l’aborto deve essere criterio di
valutazione elettorale il furto no? Non è un comandamento esplicito anch’esso? Come può il
cardinale Bagnasco mettere d’accordo queste parole con il programma, le promesse mai
mantenute e le realizzazioni delittuose del governo Berlusconi? Alla luce della parola del
cardinale, non si dovrebbe come primo effetto immediato scomunicare l’operato del governo
e della sua maggioranza che per disgrazia opprime l’Italia e tutti i cattolici che lo
sostengono? Si rende conto il cardinale Bagnasco che il fondatore del partito dell’amore è un
frequentatore abituale di minorenni e prostitute e un ladro di professione? Sa il presidente
della Cei che Berlusconi ha candidato uomini appartenenti alle diverse mafie, senza
distinzione di sorta? E’ a conoscenza il porporato che non meno di 26 inquisiti siedono in
parlamento nelle fila del partito che difende «i principi non negoziabili»?
Lo sa che sono oltre trenta le leggi che Berlusconi ha imposto al parlamento a suo favore e
della sua cricca e delle sue due famiglie? Perché sua eminenza non fa nomi e cognomi di chi
ruba, di chi delinque, di chi corrompe, di chi si lascia corrompere? Si rende conto che il papa
ha ricevuto Bertolaso nel momento stesso in cui lo convocava la magistratura della
repubblica per chiedergli conto della corruzione di cui lui è artefice, beneficiario, mandante e
controllore a danno e sulla pelle dei terremotati dell’Abruzzi, il cui vescovo, Molinari, è uso
fare da scendiletto a Berlusconi? Sig. Cardinale perché lei ha taciuto per tutto l’anno quando
tutto il mondo accusava Berlusconi di immoralità istituzionale e non solo per l’uso
indiscriminato di prostitute e forse di droga, mentre oggi interviene, lesto come un fulmine, il
giorno dopo la manifestazione/farsa del Pdl e una settimana prima delle elezioni e per buon
peso, nello stesso giorno in cui Berlusconi solidarizza col papa in materia di pedofilia? Forse
perché lui è esperto anche in materia? Lo avete assunto come consulente etico della Cei?
Sig. cardinale, la prego, ascolti quello che le dico: Io Paolo Farinella, prete della Chiesa
cattolica, affermo con piena avvertenza e informata coscienza che ritengo peccato grave
votare chiunque stia dalla parte di Berlusconi perché incompatibile con i principi del vangelo,
della dottrina sociale della Chiesa, della morale cattolica e della dignità civile.
E’ un delitto, di cui rispondere davanti alla propria coscienza e a Dio votare per chi conculca i
diritti dei poveri, senza differenza di cittadinanza, di chi incita all’odio razziale, di chi
corrompe testimoni in tribunale e giudici per avere sentenze a suo favore, di chi compra
senatori prezzolati per fare cadere governi democratici, di chi evade il fisco e incita ad
evadere, di chi assalta le istituzioni di garanzia, di chi vara leggi a favore suo e della sua
azienda, di chi non ha parvenza di morale e vive in modo oscenamente ricco, rubando sulla
povertà dei poveri, di chi sperpera denaro pubblico pur di esaltare il culto della propria
personalità (v. La Maddalena).
Io Paolo prete, cittadino sovrano residente in Liguria, in forza del criterio del bene comune e
del rispetto dei diritti individuali, voterò Alessandra Ballerini, di professione avvocato degli
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ultimi e dei poveri che si batte per i diritti di tutti e che si presenta con una lista collegata a
quella di Burlando Claudio del Pd.
Se votassi in Lazio o in Piemonte non esiterei a votare Bonino o Bresso e auguro all’Italia
che Berlusconi e la sua compagnia teatrante siano sconfitti. Faccio gli auguri alla Bonino e
alla Bresso, perché, anche se non mi piacciono su tanti punti, possano vincere
democraticamente e possano portare un vero «rinascimento laico» nelle loro Regioni,
specialmente nel campo della sanità e della scuola.
Sui problemi etici ci confronteremo apertamente, lealmente, democraticamente, senza
interferenze e confusioni tra altare e seggio regionale.
Che Dio protegga l’Italia e le sue Regioni dalla peste del berlusconismo e dalla miopia della
gerarchia cattolica.
1574 - MARGHERITA HACK: DISOBBEDIENZA CIVILE DEI RICERCATORI STAMINALI
Giovedì 25 marzo la prof.ssa Margherita Hack, socia onoraria di LiberaUscita, in occasione
del convegno “La ricerca pubblica come bene comune” che si è svolto a Roma, ha
testualmente dichiarato: “La ricerca deve essere libera mentre i veti che vengono posti, come
quelli del Vaticano sulle staminali embrionali ad esempio, sono delittuosi, mentre all'estero
queste ricerche continuano e un giorno scopriranno terapie che salveranno vite. Ci vorrebbe
una disobbedienza civile da parte dei ricercatori”. Ed inoltre: “E' l'incultura che porta poi agli
atteggiamenti irrazionali come quelli nei confronti degli OGM o delle stesse ricerche sulle
staminali”.
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1575 - CINQUE RISPOSTE DA MARGHERITA HACK - DI CAMILLA FURIA
da: l’Unità di lunedì 29 marzo 2010
1. Ricerca scientifica
I governanti ignorano il ruolo e l’importanza della ricerca scientifica per la formazione e la
cultura di base. Occorrono buone scuole e università pubbliche che permettano a tutti di
esprimere al massimo le proprie capacità.
2. Cooperazione
In tempi meno bui degli attuali, l’Italia è diventata membro dell’Agenzia Spaziale Europea,
dell’Osservatorio Europeo per l’Emisfero australe e del Sem di Ginevra. Se il Governo
tagliasse i contributi che l’Italia deve a questi enti, l’astrofisica morirebbe insieme ai suoi
ricercatori.
3. Oscurantismo
Oltre al Governo ci si mette contro anche la Chiesa. Penso alla legge 40 che proibisce la
ricerca sulle cellule staminali. al testamento biologico, alla vergogna del caso Englaro; far
passare per assassino un padre amorevole.
4. Libertà
Da che si parla del Partito delle libertaà non ci sono mai state tante violazioni della libertà dei
singoli cittadini.
5. Futuro
Avremmo bisogno di una rivoluzione copernicana. Da qui l’importanza della cultura
scientifica di base a partire dalle elementari per stimolare alla ricerca che non deve diventare
un lusso di pochi.
1576 - L’OBBLIGO DELLA VERITÀ DOPO TROPPI SILENZI - DI ADRIANO PROSPERI
da: la Repubblica di sabato 27 marzo 2010
Nel caso dei preti pedofili bisognerà evitare almeno che tutto si riduca alla solita diatriba fra
clericali e laici.
O che ci si metta addirittura a contare i numeri: quanti i pedofili tra i preti, quanti tra i non
preti. Sono cose che abbiamo già visto quando si discuteva su quanti eretici e quante
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streghe fossero stati mandati a morte dai tribunali della Chiesa cattolica e quanti da altre
chiese e da altri poteri. E intanto passava in secondo piano la sofferenza delle vittime e la
tenebra dell´intolleranza e si cancellava la responsabilità storica, giuridica, culturale degli
assassini.
L´apologetica e la controversia uccidono la verità. E qui la questione della verità è
fondamentale: e deve stare a cuore agli uomini di governo della Chiesa più che a chiunque
altro se sono capaci di prendere sul serio il loro stesso ufficio e di capire quale sia la
tremenda responsabilità che si sono assunti. Per candidarsi al governo delle coscienze
bisogna dimostrare di saper rispettare la verità. L´occultamento del vero, avvenga per
trascuratezza burocratica o per malinteso spirito di corpo, uccide la fiducia. Tanto più quando
si tratta di una verità orrenda che dovrebbe far tremare chi la viene e a conoscere e
dovrebbe accendere di furore, di pena, di fame di giustizia chi ha il compito di governare e di
giudicare.
Non per niente a tanti è venuto spontaneo citare la terribile parola del Gesù dei vangeli:
bisogna che gli scandali avvengano ma guai a coloro che sono causa degli scandali. La
macina al collo e il suicidio come la sola pena adeguata per chi scandalizza questi piccoli:
questa la violenza estrema della parola evangelica. Gli echi di questa pagina hanno
risuonato nei secoli: le abbiamo ritrovate in un grande capolavoro di Dostoevskij che tutti
hanno letto o dovrebbero leggere. E si ricorderà che Gesù di Nazareth non scendeva nei
dettagli. Chissà cosa avrebbe detto delle attenuanti che sono state evocate in questi giorni:
l´età del colpevole, il suo stato di salute, il silenzio delle vittime, di quelle creature piccole.
Piccole e mute: non solo perché prive dell´uso della parola. Mute, perché per uscire dal buio
e dal silenzio senza parole di quella lurida aggressione, al bambino e alla bambina che
l´hanno subìta può non bastare una vita intera. Una vita compromessa, avvilita, oscurata per
sempre da chi gode della fiducia dei fedeli in grazia del suo abito e della parola evangelica –
quella frase, «lasciate che i pargoli vengano a me», si provi a immaginarla sulle labbra del
prete pedofilo.
Per questo ci è parso singolarmente infelice il grido «Basta scandali!»che è risuonato in
Piazza San Pietro e che ha unito per un attimo il capo della Chiesa cattolica al responsabile
della protezione civile italiana. C´è chi davanti al brontolio di tuono della tempesta che
ruggiva nel mondo intero e che bussava ormai alle porte dell´ovattato mondo della
comunicazione italiana, sempre timoroso e pronto a inginocchiarsi davanti ai poteri
consacrati e agli abiti talari ha evocato l´idea di una congiura anticristiana. Ma simili bassi
servigi hanno il torto di nascondere agli occhi degli italiani la gravità del problema. Non solo
per la Chiesa: anche per il nostro paese che non può permettersi di subire tutta insieme la
vergogna dell´ondata di discredito internazionale che si abbatte oggi sui due volti che lo
rappresentano nel mondo: e passi pure che l´opinione pubblica rida di noi per le grottesche
performaces di un leader politico che dichiara guerra al cancro. Ma se la tempesta si abbatte
sul papa di Roma e sulle autorità cattoliche, allora sì che le fondamenta storiche del Paese
sono scosse.
E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo
episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò
papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura
sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al
Sant´Uffizio dell´Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i
colpevoli: in realtà era la via d´uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello
spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia:
Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l´intero corpus del diritto
canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del
popolo cristiano.
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La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il
privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l´obbligo del celibato ecclesiastico, preparò
un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei
peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e
per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile
del Sant´Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il
buon nome del clero: fino a oggi. E il segreto è diventato anche più fitto e ha coperto altre e
più gravi turpitudini quando, per opera del cardinal Alfredo Ottaviani prefetto del Sant´Uffizio,
fu approvata una istruzione per il «crimen sollicitationis» immediatamente sepolta nel segreto
dei palazzi vaticani. Quella istruzione imponeva un segreto assoluto sulle materie relative
non solo al reato di «sollicitatio» ma anche a quello che veniva definito il «crimine pessimo»:
cioè l´atto sessuale compiuto da un chierico con fanciulli impuberi dei due sessi o con
animali. Chissà perché al cardinal Ottaviani venne in mente di includere anche questo nuovo
versante del crimine sotto l´antico mantello protettivo.
Il Sant´Uffizio scomparve ufficialmente dalla nomenclatura istituzionale vaticana nel 1965 e
Ottaviani uscì di scena, mentre il Concilio Vaticano II sembrava aprire scenari nuovi: scenari
di fiducia verso il mondo moderno incluso il principio fondamentale fra tutti della trasparenza
e della verità come obbligo dei governanti verso i governati. Ma concluso il concilio il vento
cambiò. E la nuova Congregazione per la dottrina della fede fece sua l´istruzione del cardinal
Ottaviani. Un documento ufficiale della Congregazione governata dal prefetto cardinal
Joseph Ratzinger datata 18 maggio 2002 ne riprese la sostanza. Si intitola «De delictis
gravioribus». Dunque il cardinal Ratzinger ha coperto con quel segreto specialissimo le
vicende che per il suo ufficio doveva conoscere e governare. Oggi non per sua scelta ma per
la pressione di un mondo in rivolta gli si pone nella sua nuova veste il problema di decidere
quale percorso proporre alla Chiesa cattolica. Ed è un singolare esempio dei corsi e ricorsi
storici che tocchi di nuovo a un papa tedesco, il secondo dell´età moderna dopo
quell´Adriano VI che dovette fare i conti con la Riforma luterana, affrontare un problema che
ha trovato specialmente nella coscienza della Germania un´eco profonda: un problema che
ripropone ancora una volta e su di una materia terribile la questione della capacità della
Chiesa di interpretare i segni dei tempi. Si tratta di decidere se conservare o abbandonare
quello che è stato fin dall´inizio uno strumento per difendere dalla verità e dalla giustizia i
membri del clero.
1577 - SALUTE E DIGNITÀ NELLA CARTA - DI LORENZA CARLASSARE
da: il Fatto quotidiano di martedì 30 marzo 2010
L’art. 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” è l’unico in
cui un diritto viene qualificato “fondamentale”. Grande è il rilievo attribuito alla salute,
presupposto indispensabile per la realizzazione piena della persona e base di tutti gli altri
diritti. In quanto “diritto primario fondamentale” inerente alla persona deve essere
riconosciuto a tutti: ai cittadini e, nel suo nucleo irriducibile, agli stranieri qualunque sia la loro
posizione rispetto alle leggi sull’immigrazione e il soggiorno nello Stato (Corte cost., sent.
252/2001; 432/2005). E deve essere assicurato in modo “eguale” in tutto il territorio
nazionale, almeno nei suoi livelli essenziali. Il “perseguimento di una sempre migliore
condizione sanitaria della popolazione”, uno degli obiettivi primari assegnati alla Repubblica,
coinvolge tutti gli apparati pubblici: l’espressione ‘Repubblica’ designa infatti lo Stato,le
Regioni e gli altri enti pubblici esistenti sul territorio. Diverse sono le situazioni garantite: dalla
pretesa negativa di ciascun individuo a che altri non tengano comportamenti dannosi per la
salute, alla pretesa positiva verso la Repubblica, tenuta a predisporre mezzi e strutture per
assicurare cure adeguate a tutti e gratuite agli indigenti. Siamo infatti nel campo dei ‘diritti
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sociali’ che – a differenza dei diritti di libertà che esigono la ‘non interferenza’ dello Stato –
per essere soddisfatti richiedono l’intervento pubblico e l’erogazione di prestazioni positive.
L’art. 32 tutela l’integrità della persona nelle sue molteplici dimensioni fisica, psichica e
sociale: la giurisprudenza, da questa ampia concezione di ‘salute’ è arrivata alla risarcibilità
del “danno biologico”, danno alla salute come bene in sé a prescindere dalle conseguenze
patrimonialmente valutabili sulla produzione del reddito. Dal diritto all’integrità psico-fisica
dell’individuo la giurisprudenza ha tratto il diritto a un “ambiente salubre” come indispensabile
presupposto: la Corte costituzionale ha dato “riconoscimento specifico alla salvaguardia
dell’ambiente come diritto fondamentale della persona e interesse della collettività” (sent.
210/1987). L’ambiente è protetto “come elemento determinativo della qualità della vita” e
“assurge a valore primario e assoluto (sent. 641/1987). Tuttavia il bilanciamento con i costi
economici, la considerazione della necessaria gradualità nell’imposizione alle imprese della
modifica di impianti dannosi e inquinanti, le tolleranze crescenti, rendono difficile affermare
che, a tanti anni di distanza da quelle sentenze, viviamo in un ‘ambiente salubre’. Eppure già
in Assemblea Costituente si precisava che la tutela della salute implica anche la prevenzione
delle malattie. Con il comma 2 dell’art. 32, “Nessuno può essere sottoposto ad un
trattamento sanitario se non nei casi previsti dalla legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, rientriamo in pieno nella dimensione
dei diritti di libertà. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il malato non abbia consentito, sono
rigorosamente vietati; “se non nei casi previsti dalla legge” è scritto nel testo, che non
significa libertà per la legge di costringere a trattamenti sanitari (come ha sostenuto un
politico scarsamente informato nel caso Englaro).
La salute è tutelata come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività; due
sono dunque i riferimenti costituzionali, l’individuo e la collettività: il diritto del primo può
cedere, eccezionalmente, soltanto di fronte ad un interesse della seconda. La persona è al
centro del sistema; non la collettività o lo Stato come nel fascismo. Il trattamento sanitario
può essere imposto soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo: ad
esempio epidemie, malattie contagiose che per la loro diffusione si risolvono in un diretto
danno sociale. Ogni limitazione alla libertà individuale deve trovare un’adeguata
giustificazione negli interessi collettivi. Per consentire trattamenti sanitari imposti l’interesse
della collettività dev’essere anche attuale; se si tenesse conto di un possibile danno futuro, o
di un interesse futuro della collettività a selezionare individui sani, belli e simili, si arriverebbe
ad esiti finali spaventosi: interventi di eugenetica, conosciuti nei regimi autoritari, come la
sterilizzazione obbligatoria dei portatori di malattie ereditarie, o degli individui di una certa
razza.
“La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”,
così termina l’art. 32; ed è interessante ricordare la formula originaria del Progetto: “Sono
vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana”.
Sulla dignità della persona è costruita l’intera Costituzione (basta ricordarne i primi articoli) e
ad essa, come alla libertà della persona, si richiamano i Documenti fondamentali che fissano
i principi cardine della nostra civiltà. E’ scindibile la vita umana dalla dignità e dalla libertà?
La domanda ha una risposta certa: ogni persona è libera di scegliere fra il rischio di una
morte naturale e trattamenti sanitari che le assicurino il prolungamento di una vita senza
libertà e dignità. Incertezze rimangono sulla ‘naturalità’ della morte (nel progresso
tecnologico) e sull’apprezzamento necessariamente soggettivo del concetto di vita libera e
dignitosa. Per questo la decisione non può che essere del malato, nessun altro può
sostituirsi a lui. Ciascuno ha il diritto di rifiutare le cure anche per il futuro se non sarà in
grado di esprimersi: la legge potrebbe disciplinare le modalità di esercizio delle dichiarazioni
ma non limitare un diritto: “Il valore costituzionale dell’inviolabilità della persona” va costruito
“come libertà nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di
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disporre del proprio corpo” e dunque come diritto d’impedire illegittime intromissioni altrui, ha
detto la Corte.
1578 - MODENA: ISTITUITO IL REGISTRO DEI BIOTESTAMENTI
da: agenzia DIRE di lunedì 8 marzo 2010
Il Comune di Modena dice "si" al registro cittadino dei biotestamenti. La delibera di iniziativa
popolare è stata approvata nella seduta odierna, dopo oltre quattro ore di dibattito, con il voto
favorevole di tutti i consiglieri del Pd, e i monogruppi Sinistra per Modena, Idv e Modana 5
stelle. Contrari Pdl e Udc, la Lega Nord invece si è astenuta.
Si conclude così il discusso iter del documento che anche a Modena istituisce il "Registro
comunale delle dichiarazioni anticipate di volontà relative ai trattamenti sanitari", e che in
queste settimane ha visto contrapporsi su posizioni differenti laici e cattolici, prima in
commissione, poi sui media locali, ed infine in aula. Respinto l'ordine del giorno del Pdl (a
favore solo Pdl e Udc, contro Pd, Sinistra per Modena, Idv e grillini, la Lega si è astenuta),
che chiedeva di rimandare la discussione sulla delibera dopo l'approvazione della legge
nazionale. Approvata invece una mozione del Pd (a favore Pd, contro Idv, grillini, Pdl e Udc,
astenuta Sinistra per Modena), presentata per spiegare la posizione politica del partito sul
tema.
Durante il dibattito, Pdl e Udc hanno ribadito le accuse di strumentalizzazione politica ai fini
della campagna elettorale verso la componente cattolica dell'elettorato per le prossime
regionali da parte del Partito democratico. Per contro, il Pd ha difeso a spada tratta i cattolici
del gruppo, presentando due emendamenti (approvati con voto favorevole di Pd e Sinistra
per Modena, contrario di Pdl, Idv e grillini, astenuta la Lega) per ammorbidire la delibera, e
spiegando le ragioni del voto compatto. "Dentro il vostro gruppo ci sono differenze enormi,
che voi fate finta non esitano, ma volete votare le cose con tutti, per prendere i voti di tutti",
accusa Davide Torrini, capogruppo Udc. "La strumentalizzazione politica è evidente,
speriamo che anche i cittadini se ne accorgano", aggiunge Gian Carlo Pellacani (Pdl).
Astensione da parte della Lega Nord, evidentemente divisa al proprio interno, ma rispettosa
nel voto dell'indicazione del partito. "La Lega si astiene nell'attesa della legge nazionale",
spiega il capogruppo del Carroccio, Mauro Manfredini.
A difendere la posizione unitaria del Pd sul documento è Salvatore Cotrino. "C'è una
posizione univoca tra laici e cattolici. Il Pd su questo tema è in grado di esprimere una
univoca argomentazione politica, solida, che unisce tutte le sensibilità individuali".
A Cotrino fa eco Stefano Prampolini (Pd), convinto che nelle motivazioni che spingono i
cattolici a fare politica "ci debba essere un interesse per le persone e per la comunità".
Commento. Stasera, 8 Marzo 2010, il Consiglio Comunale di Modena, dopo una seduta che
gli ha fatto davvero onore per la ricchezza degli interventi dei Consiglieri, del Sindaco nonché
dei rappresentanti della delibera d'iniziativa popolare, ha votato ed approvato con solo sei
voti contrari (Pdl e UDC) la Delibera che istituisce il registro comunale dei testamenti
biologici. Una vittoria della democrazia diretta (delibera d'iniziativa popolare), un
riconoscimento che nel nostro ordinamento non esiste un vuoto normativo in materia di
autodeterminazione terapeutica e che una buona legge istitutiva del testamento biologico
dovrebbe solo dettare le regole più semplici e meno onerose per il singolo e la collettività a
garanzia della volontà della persona e a tutela dei medici che quella volontà intendono
rispettare, proprio quello che il registro comunale dei testamenti biologici rappresenta.
Aspettiamo ora il regolamento attuativo e spetterà a noi vigilare perché i tempi siano brevi.
Un caro saluto ed un grazie a tutte e tutti, eravate davvero in tante/i stasera in Consiglio, una
seduta partecipata come poche. (maria laura cattinari)
1579 - SESTO FIORENTINO: ISTITUITO IL REGISTRO
da: Aduc salute del 9 marzo 2010
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Il Comune di Sesto Fiorentino (Firenze) ha istituito il registro dei testamenti biologici. Lo
rende noto l'amministrazione comunale (centrosinistra), che spiega come il registro sarà
attivo da lunedì 15 marzo. Si tratta, spiega il Comune di Sesto Fiorentino, di un servizio
semplice e non invasivo ai cittadini residenti che vorranno manifestare le loro ultime volontà
in caso di gravi malattie. La delibera della giunta comunale è stata approvata nei giorni scorsi
e prevede che chi ha redatto un documento anticipato di volontà possa ufficializzarlo
iscrivendosi al registro e indicando il nome del suo fiduciario. Il Comune non verrà mai a
conoscenza del contenuto del testamento biologico, ma si limiterà a svolgere un ruolo di
'testimone' delle volontà del cittadino.
1580 - OTTAVIANO: ISTITUITO IL REGISTRO
In data 12 marzo 2010 il responsabile di LiberaUscita per la Campania, Francesco Porcellati,
ci comunica che il comune di Ottaviano, popoloso centro (ab.25.000 ca.) della provincia di
Napoli, ha istituito il registro dei testamenti biologici, unendosi ad altri due comuni (Casoria e
Quarto) della stessa provincia.
1581 - AREZZO: ISTITUITO IL REGISTRO
Il 17 marzo 2010, dopo l’atto di indirizzo approvato dal Consiglio comunale, la Giunta di
Arezzo ha approvato la delibera che istituisce il registro comunale per i biotestamenti.
Come riportato sul “Corriere d’Arezzo”, adesso si attende solo che con il regolamento sul
biotestamento si passi dalle parole ai fatti. Nodo cruciale sarà lo sportello unico della
Cadorna, dove ogni cittadino residente nel Comune potrà recarsi con una persona di fiducia
che farà da testimone. Dopo aver stampato l’apposito modulo in Internet, il cittadino
compilerà le proprie volontà in caso si trovasse in fin di vita oppure in condizione di
incoscienza. Una copia del documento rimarrà nell’archivio comunale. Un’altra sarà tenuta
dal fiduciario che dovrà farla valere al momento opportuno. Il fiduciario svolge la funzione di
un notaio, rendendo accessibile a tutti e gratuito un procedimento che prima era possibile
solamente pagando profumatamente.
Il Presidente del Consiglio comunale, Giuseppe Caroti, ed i consiglieri del gruppo della
“Sinistra” Marco Tulli, Marco Bianchi, Marco Paolucci e Cristiano Rossi, promotori
dell’iniziativa, hanno dichiarato “Il registro servirà a certificare il desiderio di chi firma di
esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione sul trattamento sanitario di fine vita. In
particolare servirà come prova, contro eventuali contestazioni, della volontà di chi sì è
registrato di non essere sottoposto a ventilazione o alimentazione forzata nel caso di una
malattia o di un incidente che comporti lo stato vegetativo”.
Il Presidente di Comunione e Liberazione di Arezzo, Roberto Tiezzi, ha dichiarato invece che
il registro dei testamenti biologici non ha alcuna valenza giuridica.
Commento. Il Presidente Tiezzi contribuisce così all'opera di mistificazione mediatica che
ammorba il ns. Paese, tesa a snaturare il significato stesso delle parole. Su questa strada,
eutanasia non significa più "buona morte" bensì "assassinio", laicità è divenuta "laicismo", si
sparge odio e si pretende di essere il partito dell'amore, si spaccia la tortura per "morte
naturale", si afferma che la "forma" delle leggi volute dal Parlamento sia modificabile in base
alla "sostanza" voluta da qualcuno, si sbaglia nel presentare una lista elettorale e si pretende
la sua riammissione per "non privare milioni di cittadini del diritto al voto", si giustifica
l'esposizione di un simbolo religioso (il Crocefisso) nei pubblici uffici in quanto
rappresenterebbe la Repubblica italiana, ecc. ecc.
Il Presidente Tiezzi ignora, o peggio ancora finge di ignorare , che come tutti gli atti notori e
quelli notarili il testamento biologico ha anzitutto un valore fondamentale: quello di accertare
la identità del sottoscrittore.e la sua volontà. Se poi la legge costringerà le persone a restare
attaccate per decenni a macchinari contro la loro volontà, ciò non significa che il testamento
non abbia "alcuna valenza giuridica". La verità è che Tiezzi, e con lui la Chiesa cattolica e il
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cosidetto "Popolo della Libertà", sono contrari al registro dei testamenti biologici perchè NON
VOGLIONO che le persone esprimano pubblicamente volontà contrarie alla loro ideologia.
Bel modo di intendere la libertà e la democrazia! (gps)
1582 – GORIZIA: IL CONSIGLIO APPROVA ODG PER ISTITUIRE IL REGISTRO
Mercoledì 24 marzo 2010 il Consiglio Provinciale di Gorizia ha discusso la petizione popolare
promossa dai radicali goriziani volta ad istituire un registro dei testamenti biologici. Dopo una
appassionata discussione è stato approvato un ODG di approvazione del contenuto della
petizione e di incarico al Presidente Gherghetta di trovare strumenti e modi per istituire il
registro (da:www.lucacoscioni.it).
1583 - L’ANDALUSIA DICE SÌ ALLA "DOLCE MORTE"
da: www.lastampa.it di giovedì 18 marzo 2010
Prima legge sulla "morte degna" in Spagna. Il parlamento dell’Andalusia ha approvato questo
pomeriggio con la maggioranza assoluta un insieme di provvedimenti che consentono al
paziente di rifiutare un trattamento che prolunghi la sua vita in modo artificiale e proibiscono
in questo caso l’accanimento terapeutico. Lo riferisce l’edizione elettronica de El Pais. La
legge regola anche la sedazione palliativa che un malato può ricevere anche se questa
rischia di «accorciare la sua vita». Denominata "Diritti e garanzie della dignità per i pazienti in
fase terminale", la legge è stata approvata con i voti dei tre gruppi presenti nel parlamento
andaluso: i socialisti (Psoe), i popolari (Pp) e la sinistra (Iu).
Mentre socialisti e Iu hanno votato a favore di tutti e 33 gli articoli, il Pp ha votato contro in tre
occasioni, per difendere la possibilità del medici di fare obiezione di coscienza e per chiedere
una chiara «regolazione» dei comitati di bioetica.
I vescovi del sud della Spagna hanno attaccato la legge, che ritengono «non è necessaria»
perché la società non la reclama e «gli ospedali possono funzionare anche senza», hanno
affermato.
L’Associazione federale per il diritto a morire degnamente si è invece «congratulata» con gli
andalusi per aver inserito nello Statuto d’autonomia della regione una legge che «riconosce il
diritto di tutte le persone alla piena dignità» durante la fase terminale della loro vita. La legge
non parla invece di eutanasia e di "suicidio assistito", che dipendono dal codice penale
spagnolo di responsabilità del governo centrale di Madrid.
Il provvedimento si propone di regolare situazioni come quella di Inmaculada Echeverria, una
donna immobilizzata da 10 anni dalla distrofia muscolare che chiese - ed ottenne - nel 2007
di essere trasferita da un ospedale appartenente ad una congregazione religiosa a un
pubblico per poter essere disconnessa dalla macchina per respirare che la manteneva in
vita. La legge sarà pubblicata nei prossimi giorni sulla gazzetta ufficiale dell’Andalusia e,
secondo Cnn+, potrebbe entrare in vigore verso Pasqua.
1584 – LA LEGGE DELL’ANDALUSIA PER IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITA’
L'Andalusia ha avuto da sempre un peso rilevante in tutta la Spagna. Oggi è la più popolosa
e la seconda più estesa delle diciassette comunità autonome (regioni) del Paese. É
composta da 8 provincie con un totale di circa 8.200.000 abitanti.
A seguito della approvazione della legge sul diritto di morire con dignità, l’Asociación Federal
Derecho a Morir Dignamente (AFDMD) ha diramato il seguente comunicato-resoconto Se ne
riporta qui sotto il testo, tradotto da Alberto Bonfiglioli per LiberaUscita.
Congratulazioni agli andalusi per essersi dotati di uno Statuto Autonomo che riconosce il
diritto di ogni persona alla piena dignità nel processo della sua morte (art. 20);
all’Assessorato alla sanità della Giunta dell’Andalusia per la sua iniziativa tendente a
concretizzare in legge questo diritto e al Parlamento andaluso, in particolare alla
Commissione sanità, per aver rispettato il pluralismo invitando al dibattito le organizzazioni
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sociali quali l’Asociación Federal Derecho a Morir Dignamente, i cui contributi sono stati
accettati dalla maggioranza.
Dopo che nel 2005 la Regione di Madrid aveva citato l’ospedale Severo Ochoa de Leganés
per la sedazione palliativa di malati terminali, creando un ingiustificabile allarme sociale e
sfiducia dei cittadini, la legge della Regione autonoma dell’Andalusia rappresenta un
cambiamento di grande importanza. La legge permette di chiarire e precisare i diritti dei
cittadini alla fine della loro vita, i doveri del personale sanitario e le garanzie che devono
fornire le istituzioni sanitarie. Questi diritti erano già riconosciuti in un certo modo nella legge
dello Stato del 2002 sull’autonomia del paziente.
A giudizio dell’AFDMD gli aspetti più significativi della nuova legge sono i seguenti:
1. La legge chiarisce il diritto all’informazione clinica e al rifiuto del consenso ad ogni
intervento (legge 41/2002) e stabilisce il dovere di rispettare la volontà del paziente.
Quest’ultimo dovrà essere informato della trascendenza della sua decisione e gli verrà
richiesto di nominare una persona che accetti di rappresentarlo, con capacità di ricevere
informazioni e di prendere decisioni (art. 6). Attualmente, oltre la metà dei malati terminali
non sono stati informati esplicitamente né sulla loro malattia né sulla relativa prognosi. Nella
maggior parte dei casi, in effetti, non si è dedicato sufficiente tempo alla comunicazione con il
paziente, sostituendola frequentemente con l’informazione a un familiare.
2. Le persone che si trovano nella fase terminale o che devono affrontare decisioni relative
alla stessa hanno diritto a decidere sugli interventi sanitari che li riguardano. Ogni intervento
richiede il consenso libero e volontario dei pazienti (art. 7). Il consenso informato non é una
formalità burocratica o una firma su un pezzo di carta, ma rappresenta il diritto fondamentale
di ogni individuo a decidere sulla sua integrità fisica e psichica.
3. Ogni persona ha il diritto a rifiutare un intervento (art.8), come l’alimentazione-idratazione
artificiale (per sonda naso-gastrica o gastrostomia percutanea) o qualsiasi altra misura di
supporto vitale (antibiotici, sieri, trasfusioni, ecc.). Permettere la morte mediante la
sospensione di trattamenti o per limitazione dello sforzo terapeutico fa parte della buona
prassi o lex artis, così come lo stabilisce chiaramente la legge. Tuttavia, non è la stessa cosa
permettere la morte, atto non punibile, e provocare la morte su richiesta del malato terminale
mediante un’iniezione letale. Anche se questo atto per l’AFDMD è eticamente ineccepibile, è
punibile secondo il codice penale e, pertanto, rimane fuori dell’ambito della legislazione di
una regione autonoma.
4. Il testamento biologico – in Andalusia documento di volontà di vita anticipata - è uno
strumento al servizio dell’autonomia del paziente che deve far parte della storia clinica (art.
9). I professionisti sono obbligati a informare il paziente su questo diritto e a rispettare i valori
e le istruzioni contenuti nel testamento (art. 19). La diffusione dei diritti dei pazienti (legge
41/2002) non è stata ancora realizzata nell’intero territorio nazionale. É fondamentale attuare
un’efficace campagna informativa sul nuovo paradigma dell’autonomia del malato che
ancora sono in molti ad ignorare.
5. Quando una persona non sia in grado di esprimersi, i diritti all’informazione, al consenso o
al rifiuto di trattamento saranno esercitati da un suo rappresentante designato nel testamento
biologico o, in mancanza di tale designazione, dal coniuge o da altri familiari (art.10). I
familiari di malati di demenza, in stato vegetativo o qualsiasi altra situazione irreversibile che
impedisca loro di esprimere la propria volontà, potranno decidere cosa riterranno meglio per
il loro caro, senza ledere i dritti di quest’ultimo.
6. Diritto alle cure palliative (art.12). Una volta garantito questo diritto, diventa evidente la
fallacia dell’”alibi palliativo” (“le cure palliative universali cancellano la domanda di eutanasia,
rendendo inutile il dibattito sulla disponibilità della propria vita”). L’esperienza nei paesi con
più risorse palliative, quali l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, dimostra che voler disporre
della propria vita è un diritto che va al di là della medicina, palliativa o non.
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7. Diritto al trattamento del dolore (art.13). La Spagna è uno dei paesi d’Europa con il più
basso consumo di analgesici oppiacei. Il dolore non si tratta adeguatamente.
8. I pazienti terminali o agonizzanti hanno il diritto alla sedazione palliativa (art.14). Per la
maggior parte dei cittadini, una morte di qualità è una morte tranquilla, senza dolore,
accompagnata; una morte dolce, un transito mentre il paziente dorme, cioè è sedato. La
sedazione del paziente in agonia è un imperativo morale per il professionista della medicina.
Nel caso del malato terminale in grave sofferenza alla quale non è possibile dare sollievo, si
deve rispettare la sua volontà di essere sedato. Negare al malato tale trattamento può
essere accanimento terapeutico, un atto inammissibile di fronte ad una sofferenza evitabile. Il
professionista della sanità in questo caso è responsabile delle conseguenze di non aver
rispettato, come è suo dovere, i valori, le credenze e le volontà del paziente (art.18).
9. Diritto all’intimità personale e familiare nonché alla confidenzialità (Art.15). Diritto
all’accompagnamento dei familiari. Si dovrà garantire al malato terminale una stanza singola
con il livello di conforto e di intimità che richiede il suo stato di salute (Art.26). Molti pazienti
terminali muoiono in condizioni deplorevoli, in un luogo inadeguato, dividendo la stanza con
sconosciuti, senza intimità né compagnia. L’AFDMD augura che questo impegno non sia un
“brindisi al sole” e che si provveda alle risorse necessarie perché diventi realtà.
Le leggi non cambiano la società, ma aiutano la società. Con questa legge non sarà più
possibile, senza incorrere in reato, denunciare un professionista per la sedazione palliativa
consentita dal paziente e dalla sua famiglia, come è avvenuto nel 2005. L’obiettivo della
legge non è tutelare i professionisti ma il diritto dei cittadini (anche i medici sono cittadini) a
morire con dignità. Applaudiamo l’iniziativa del Parlamento dell’Andalusia di realizzare uno
studio sul modo in cui muoiono gli andalusi, che permetterà di valutare l’impatto della nuova
legge sulla qualità della morte in quella regione.
Diffondere la filosofia della legge sulla morte dignitosa promulgata nell’Andalusia è una sfida
e l’AFDMD esigerà dall’amministrazione autonoma l’impegno nella sua applicazione, e
vigilando affinché i diritti dei cittadini diventino reali.
Speriamo che il governo della Spagna prenda nota ed impari ad affrontare questioni
fondamentali come la morte dignitosa, abbandonando pretesti quali “questo non si tocca” o
“non esiste domanda sociale”. L’eutanasia e il suicidio assistito sono oramai parte di un
dibattito che è nella gente. Secondo il CIS (studio 2440 del 2002) il 59,9% dei medici è
favorevole all’eutanasia e al suicidio assistito e il 97% crede che i palliativi non riducano
sostanzialmente la domanda di eutanasia. Al posto di dichiarazioni vuote chiediamo al
Governo di assumere un atteggiamento serio: dovrebbe cominciare con uno studio
sociologico per capire cosa pensano e sentono i cittadini (dal 1995, il CIS ignora questo tipo
di indagine) e conoscere come si muore in Spagna. Esiste un’esigenza popolare perche si
considerino i problemi che preoccupano la gente, perché con o senza crisi, la vita continua e
oltre mille persone muoiono tutti i giorni in Spagna (5-6 per eutanasia clandestina), senza
sufficienti garanzie di una morte dignitosa.
1585 - A CHI AVEVATE PENSATO?
da: [email protected] – venerdì 5 marzo 2010
Cari amici di LiberaUscita,
circola da qualche settimana in rete questo scritto di Elsa Morante. Lo riproduciamo per chi
se lo fosse perso:
"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al
cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione
di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini?
Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e
tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività
criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto.
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Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo
quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto
esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito,
un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di
grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico.
In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio
italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio,
presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti,
si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori;
mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un
proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."
Qualunque cosa abbiate pensato, il testo è del 1945, e si riferisce a Benito Mussolini...
Cari saluti
Giorgio Grossi
1586 - CRONACA DA MODENA
da: [email protected] - mercoledì 17 marzo 2010
A Modena si potrà decidere in anticipo a quali trattamenti sanitari si vuole essere sottoposti
nel caso ci si trovi nella condizione di non intendere e di volere. Il Consiglio comunale ha
approvato lunedi 8 marzo 2010 la delibera di inziativa popolare che dà vita al Registro
comunale delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari. Si sono espressi a
favore PD, Sinistra per Modena, IdV e Modena a 5 stelle. Voto contrario PdL e Udc,
astensione della Lega. Approvato anche l'ordine del giorno presentato dal Pd sull'istituzione
del registro per il "rispetto della salute e dell'autodeterminazione degli individui, ovvero "no
eutanasia e no all'accanimento terapeutico", con voto favorevole del gruppo Pd, l'astensione
di Sinistra per Modena e il voto contrario di IdV, Modena a 5 Stelle, Pdl, Udc.
Respinta invece la mozione del Pdl che chiedeva il rinvio della discussione sul tema in attesa
di una normativa nazionale con voto favorevole di Pdl e Udc, contrario di Pd, Sinistra per
Modena, Idv, Modena a 5 Stelle, astensione della Lega.
In particolare, con la delibera viene istituito - fatta salva l'approvazione di una apposita
normativa nazionale in materia"- un registro delle dichiarazioni anticipate di volontà per i
trattamenti sanitari presso l'ufficio comunale di Stato Civile, con lo scopo di consentirne
l'archiviazione. Un regolamento disciplinerà le modalità di raccolta e di conservazione delle
dichiarazioni.
I residenti del Comune di Modena potranno chiedere l'iscrizione al registro, che avverrà sulla
base di un'istanza con firma autenticata allegata ad una dichiarazione in busta chiusa che
raccoglie le intenzioni anticipate.
"Ogni cittadino - precisa la Delibera - può esprimere la propria volontà di essere o meno
sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale irreversibile o
invalidante, o in caso di malattia che costringa a trattamenti permanenti con macchine o
sistemi artificiali". La Delibera prevede, inoltre, che l'interessato possa nominare uno o più
fiduciari che controfirmano l'istanza per accettazione con lo specifico compito di controllare,
al verificarsi delle condizioni, il rispetto delle volontà espresse dal beneficiario. Il dichiarante
può richiedere la modifica o la revoca delle dichiarazioni rilasciate e ogni due anni riceverà
un'informazione periodica. Il venir meno della situazione di residenza nel Comune non
comporta la cancellazione dal registro. L'ufficio comunale preposto cura la tenuta del registro
su supporto informatico per consentire un agevole collegamento con i registri telematici di
altri comuni.
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Questo è il resoconto spero sufficientemente puntuale e preciso di quanto avvenuto qui a
Modena che, anche se tanto importante nella sostanza, può per forza di cose apparire un pò
freddo nella forma. Desidero perciò farvi partecipi, come posso, di quanto sia stato esaltante
essere lì ad assistere a questo Consiglio Comunale. A ripensare a quelle belle ore sono
ancora emozionata. E' stato un pomeriggio davvero speciale, pubblico molto numeroso,
quello delle grandi occasioni, un dibattito molto partecipato, numerosi gli interventi tutti
carichi di una tensione morale rara e anche improntata a grande civiltà nei toni e nei modi da
una parte e dall'altra. Da tutti un riconoscimento dell'importanza del nostro apporto con la
raccolta di firme e la richiesta che si prenda atto di una domanda venuta dalla società civile.
Vorrei particolarmente sottolineare l'intervento della nostra Presidente la Prof.ssa Maria
Laura Cattinari, pacato, profondo appassionato che ha obbligato il pubblico ad uno sforzo
per trattenersi dall'applaudire, cosa proibita durante un dibattito consigliare. Non potevamo
essere meglio rappresentati, anche perché se si è arrivati a questo successo, senza nulla
togliere all'impegno e all'aiuto di molti di noi, lo si deve tanto a Lei, alla sua passione, alla sua
determinazione e alla sua ostinazione per mandare avanti questo discorso che preme a tutti
noi.
Tornando al dibattito è stato veramente un bel momento di civiltà democratica, se
confrontata soprattutto allo spettacolo ignobile che i nostri "alti rappresentati" a livello
nazionale ci danno quotidianamente con i loro volti deformati dall'odio e le loro urla
scomposte, per non dire di peggio... Ah, da rimarcare la netta posizione favorevole del
sindaco Giorgio Pighi sia in apertura che in chiusura del dibattito stesso.
Che dire d'altro? Sono molto felice di potervi comunicare questa bella pagina di civiltà
democratica ...speriamo ce ne siano altre..!!!
Elena Finelli
1587 - CRONACA DA FIORANO MODENESE
15 Marzo – Comune di Fiorano Modenese: alle 20:45, presso la Saletta Blu in Via S.
Caterina 48, inizia la raccolta firme per la proposta di delibera di iniziativa popolare relativa
all’istituzione di un registro comunale dei testamenti biologici. È fresca l’approvazione della
stessa delibera da parte del Consiglio Comunale di Modena e la sezione di Fiorano del
Comitato articolo 32 ora si pone lo stesso obiettivo per il proprio comune.
La serata prevede che all’inizio della raccolta firme vi sia una conferenza-dibattito con due
relatrici, la vicepresidente nazionale dell’associazione LiberaUscita, Maria Laura Cattinari, e
la consigliere comunale di Pavullo, Bernardetta Graziani, che ha già contribuito
all’approvazione dello stesso registro presso il suo comune. Purtroppo Bernardetta Graziani
non ha potuto presenziare all’evento, ma al tavolo dei relatori Maria Laura Cattinari ha
trovato un’ottima compagna in Fiorella Parenti, una delle promotrici dell’iniziativa di Fiorano.
Maria Laura Cattinari (LiberaUscita) ha aperto con un’esposizione generale sulla tematica
del testamento biologico con breve digressione storica sull’origine e il cammino del living will
nei vari paesi occidentali, ha quindi fatto il punto sulla situazione italiana e sul ddl in
discussione presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e ha concluso
parlando del registro comunale dei testamenti biologici.
Fiorella Parenti (Comitato art. 32) ha esposto la delibera d’iniziativa popolare predisposta dal
Comitato e ha ricordato che, secondo lo Statuto del comune occorre raccogliere almeno 72
firme per poter presentare la proposta di delibera, ma naturalmente l’obiettivo è di
raccoglierne il più possibile per dare un segnale forte di quale sia la volontà popolare. La
proposta prevede che il fiduciario non sia obbligatorio, per permettere anche a chi non
avesse nessuno a cui affidarsi di poter stendere e registrare il proprio testamento. Non c’è
alcun obbligo di rinnovo, il testamento è valido fino a che il suo estensore non decida di
modificarlo o di annullarlo. È stato previsto che benché l’iscrizione al registro sia consentita
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solo ai residenti il futuro cambiamento della residenza non comporti la perdita del diritto
acquisito registrandosi.
Finita l’esposizione delle relatrici è seguito un breve dibattito e si è dato inizio alla raccolta
firme fra il pubblico presente in sala, non meno di 30 persone tra cui Greta Barbolini
Presidente provinciale dell’ARCI, associazione aderente al Comitato articolo 32.
Antonio Martino
1588 - TORINO: RAPPORTO SUL TESTAMENTO BIOLOGICO
Da: [email protected]
Data: mercoledì 24 marzo 2010 0.15.02
Il 18 febbraio scorso la città di Torino ha partecipato alla presentazione dell’atteso rapporto
definitivo del dibattito pubblico sul testamento biologico nell’ambito di Biennale Democrazia
in contemporanea con la città di Firenze presso il SITI (Istituto Superiore sui Sistemi
Territoriali per l’Innovazione) del politecnico come conclusione di una discussione iniziata nel
marzo 2008 e conclusa con il Forum del 25 aprile 2009.
Angela Rotella, direttore organizzativo, ha introdotto l’evento con toni celebrativi
sottolineando la straordinaria partecipazione della cittadinanza nonché i risultati molto
soddisfacenti di questo qualificante e considerevole esperimento di democrazia deliberativa.
Anche Luigi Bobbio, coordinatore del progetto, commentando il rapporto che è stato
pubblicato dopo dieci mesi, ha fatto presente come l’esperimento sia partito da un’idea
antichissima di democrazia e abbia messo in rilievo le diverse sfaccettature presenti nella
nostra società sulle considerazioni relative al testamento biologico che con il progresso della
medicina degli ultimi anni ha spinto l’individuo a porsi nuove domande sulla propria
esistenza.
La novità si fonda sul fatto che non si è trattato del solito confronto tra esperti in materia ma
un dialogo tra esperti e profani la cui maggior parte aveva delle esperienze drammatiche e
molto interessanti da raccontare.
Infatti l’obiettivo non consisteva nell’arrivare ad un accordo generale, ad un’etica comune o
nel raggiungere dei compromessi ma si è rivelato molto più ambizioso. Quello di riuscire ad
approfondire determinate situazioni cercando di individuare le varie dimensioni
dell’argomento trattato.
Stefania Ravazzi, componente del team, ha presentato un’interessante sintesi da cui sono
emersi alcuni punti fondamentali.
Prima di tutto la discussione ha visto l’espressione di tre distinte etiche come da lei
classificate.
Una in cui la vita viene considerata un bene assoluto che la comunità deve ad ogni costo
difendere anche disattendendo la volontà del singolo.
La seconda, e direi la più rappresentata, definita etica dell’autodeterminazione che non
ammette vincoli superiori e predeterminati alla volontà del singolo.
Infine la terza, definita etica della competenza, che ammette il libero arbitrio del singolo ma
con il limite che l’esercizio della ragione ha bisogno di conoscenze approfondite e di
esperienza anche affidandosi a terzi. Tesi sostenuta soprattutto da persone che provengono
da esperienze lavorative a contatto diretto con la sofferenza umana come il personale
sanitario, medici addetti in reparti di rianimazione o provenienti dal mondo del volontariato.
Per quanto riguarda il dibattito tenuto presso gli incontri di territorio (12 a Torino e 5 a
Firenze), sui trattamenti di sostegno vitale non ci si è soffermati tanto sulla così definita
“diatriba” della loro classificazione come trattamenti sanitari o atti di sussistenza, e qui, a mio
parere, trattasi di forte criticità, ma sulle ragioni che possono giustificare la loro interruzione.
Chi ha sostenuto che non si può consentire l’interruzione di trattamenti considerati di
sostegno vitale lo ha fatto sostanzialmente per tre ragioni:
1) molti pazienti hanno paura di soffrire e di essere abbandonati;
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2) la scienza medica, secondo questi sostenitori della vita a tutti i costi, non è ancora in
grado di stabilire con certezza l’irreversibilità degli stati di incoscienza;
3) la paura di aprire le porte all’eutanasia rischiando di abbandonare le persone più fragili.
Chi invece ha espresso il diritto all’autodeterminazione ha ribattuto con questi argomenti:
1) poiché le concezioni di vita sono differenti non si può imporre a qualcuno una concezione
dell’esistenza diversa da quella personale;
2) la scienza medica è sempre frutto di calcoli probabilistici che si basano su statistiche e su
deduzioni scientificamente provate;
3) consentire l’interruzione di queste terapie a persone che quasi certamente non
riacquisteranno la capacità di interagire con l’esterno è un atto di solidarietà verso gli altri, e
aggiungerei, un atteggiamento di rispetto nei confronti della volontà altrui che non sempre
può coincidere con la propria.
Sull’effettiva utilità di una legge a favore del testamento biologico la maggior parte dei
partecipanti al dibattito che si è mostrata molto meno polarizzata nelle opinioni è stata
concorde sul fatto che una buona legge necessiterebbe di un clima politico-culturale
decisamente più favorevole e adeguato.
Sempre secondo il parere della relatrice, a sostegno di una legge a tutti i costi, sono stati
coloro che vedevano nel vuoto normativo, definizione che ritengo molto discutibile, un rischio
troppo alto di ricorsi al giudice e di controversie fra medici e familiari mentre a sostegno dello
status quo sono stati i cittadini preoccupati per il rischio che una legge si riveli di difficile
applicazione su un tema così delicato dove ogni caso va considerato a sé da cui emerge
senza ombra di dubbio l’esigenza di una normativa che ponga solamente delle indicazioni
generali lasciando ampio spazio di decisione al singolo individuo.
Sulla questione del rapporto con il personale medico sono state fatte delle considerazioni
sulla frequente mancanza di comunicazione tra coloro che si rapportano con le strutture
sanitarie e in particolare con lo specialista di turno che non è sempre in grado di soddisfare
le loro aspettative in quanto attento al caso clinico ma spesso indifferente verso la persona.
Diverse le osservazioni come l’esigenza di una formazione più professionale del personale
sanitario con maggiore attenzione alla psicologia e alla comunicabilità e la necessità di un
maggiore confronto tra personale medico e infermieristico istituendo équipe miste ma
soprattutto la proposta di una diversa gestione del sistema sanitario nazionale
aumentandone gli investimenti come da tempo, tra l’altro, il Senatore Ignazio Marino sta
sostenendo.
Inoltre, sempre dal resoconto, risulta che presso molti tavoli i partecipanti abbiano
ampiamente discusso della figura del fiduciario visto come depositario della facoltà di
interpretare le dichiarazioni anticipate di trattamento, dell’esigenza di una persona che faccia
da tramite fra il paziente, i familiari, i medici ed eventuali autorità giudiziarie in qualità di
garante delle volontà del paziente.
E’ intervenuto anche Mario Eandi, presidente del Coordinamento dei comitati etici regionali,
facente parte dell’area cattolica, il quale ha ribadito l’esigenza di un dialogo, di un confronto
tra chi ritiene fondamentale il principio dell’indisponibilità della vita e coloro che credono
fermamente nell’autodeterminazione in quanto con l’evoluzione della medicina, da lui definita
“tecnologica”, si è perso il senso dell’umano mentre la condotta del medico è ormai guidata
da una serie di condizionamenti e protocolli.
E’ quindi necessario riportare la discussione sulla bioetica, stabilire i confini nell’accanimento
terapeutico per giungere a dei principi condivisi che abbiano una base scientificamente
valida e a questo proposito ha tenuto precisare che sono stati già organizzati diversi seminari
di formazione a carattere professionale sull’argomento per coloro che esercitano un lavoro
nel campo sanitario.
Al contrario il sacerdote e responsabile della Cultura dell’Arcidiocesi di Torino Ermis Segatti,
ha polemizzato sulla troppa “ideologizzazione” nell’affrontare questi argomenti e sulla
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composizione
squilibrata
dei
partecipanti
fortemente
sbilanciata
a
favore
dell’autodeterminazione. Forse non si è chiesto come mai anche molti cattolici e appartenenti
ad altre confessioni religiose sono ormai intenzionati a mettersi in discussione e sono
favorevoli a questa presa di posizione. Fortunatamente ha sostenuto l’esigenza di una legge
che lasci spazi di decisione mostrando molte perplessità sul suo futuro e auspicando una
certa cautela dal punto di vista giuridico nel parlare di “un’etica definita dello sgomento” nei
confronti di chi fa dell’individuo un oggetto tecnologico ritenendo invece fondamentale per
l’essere umano l’accettazione del finire della vita e quindi dei propri limiti.
Da parte del pubblico sono giunte diverse domande.
- Perché le tre etiche non possono convivere in un’unica legge?
- Il dibattito del 25 aprile è stato presentato al Parlamento? La risposta è “No” in quanto non
c’è stato alcun interesse da parte dei parlamentari deludendo le passate aspettative molto
ottimistiche del coordinatore Luigi Bobbio mentre lo stesso Ignazio Marino ha osservato il
limite della poca diffusione dei risultati in quanto questo lavoro non avrebbe dovuto
rimanere relegato nei confini culturali ma avrebbe dovuto rappresentare un valore di
influenza nelle decisioni politiche e venire diffuso tra un pubblico molto più ampio.
- E a riguardo perché non prendere spunto dalla legge francese Leonetti?
- Inoltre che cosa dice il codice deontologico medico aggiornato? Quale potrebbe essere il
ruolo dei medici?
A questo punto proporrei alcune riflessioni a partire dal giuramento professionale, di stampo
ippocratico, in cui è necessario soffermarsi almeno su due punti fondamentali: l’impegno del
medico di astenersi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico e il dovere di promuovere
l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sul reciproco rispetto.
Già nell’antichità lo stesso giuramento di Ippocrate relativo alla professione medica citava
“Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò
dal recar danno e offesa” e a tale proposito Stefano Rodotà nella sua “lectio magistralis”
tenuta presso l’Università di Torino il 10 marzo, in occasione del premio “Laico dell’anno”a lui
conferito, ha parlato di una “nuova autolimitazione del potere” in cui il medico era considerato
una sorta di taumaturgo, un mediatore tra gli dei e gli uomini, un individuo dotato di privilegi e
di forte autorità oltre che giuridicamente impunibile ma bisognerà purtroppo giungere al
codice di Norimberga che, a causa degli orrori commessi dai medici nazisti sui prigionieri nei
lager, si aprirà con queste parole “il consenso volontario del soggetto umano è
assolutamente necessario”.
Nel codice di deontologia medica aggiornato nel 2007 all’art. 3 tra i doveri del medico si
conferma la tutela della salute, il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della
dignità della persona umana e con l’art. 14 lo stesso si impegna ad “astenersi
dall’ostinazione in trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per
la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita” e ancora nelle regole di
comportamento all’art. 17 “Il medico nel rapporto con il cittadino deve improntare la propria
attività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona” e all’art. 18 “Nel
rilasciare le prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative deve fornire, in termini
comprensibili e documentati, tutte le idonee informazioni e verificarne, per quanto possibile,
la corretta esecuzione”.
All’art. 30 (Tra l’altro in diversi punti si preferisce utilizzare il termine cittadino dove si fa
riferimento all’universalità di principi fondamentali e con il termine paziente si intende colui
che soffre e non più come malato o persona assistita in modo da abbandonare il concetto di
rapporto paternalistico) “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla
diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche
e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere
conto delle sue capacità di comprensione… Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte
del paziente deve essere soddisfatta”.
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E ancora all’art. 32 “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica
senza l’acquisizione del consenso informato del paziente…In ogni caso, in presenza di
documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai
conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico
contro la volontà della persona” e all’art. 33 “Il medico, se il paziente non è in grado di
esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di
quanto precedentemente manifestato dallo stesso”.
Anche l’art. 37 è molto esplicito “In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o
pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale e
alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a
tutela, per quanto possibile, della qualità della vita. In caso di compromissione dello stato di
coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta
ragionevolmente utile”.
Concludendo, che dire?
Sicuramente, pur con i suoi limiti e su presupposti alquanto sintetici, un iniziale confronto tra i
sostenitori delle due etiche fondamentali, se così possiamo definirle, c’è stato e questo è un
importante punto di partenza verso un dialogo che dovrà comunque proseguire e affrontare
nuovi aspetti andando anche oltre la controversia sulla figura del fiduciario, sull’assistenza
medica o l’approfondimento della conoscenza scientifica, sul ruolo di un ipotetico comitato di
volontariato vicino alle famiglie o sulla stesura formale di un testamento biologico.
Tutte questioni legittime e molto importanti ma l’argomento andrebbe forse affrontato
secondo un’ottica diversa.
Ai fini di una buona legge e in previsione di scenari futuri dovuti ai progressi della medicina
che per il momento appaiono ancora fantascientifici, ci si dovrebbe porre il problema non
solo sul senso dell’esistenza ma anche su quello della morte, sul rispetto della libertà
dell’individuo, sul diritto di scegliere una fine dignitosa e più umana con le cure palliative più
adeguate e sulla possibilità di rifiutare la tecnologia della sopravvivenza a tutti i costi ma
anche una condizione se divenuta inaccettabile e insostenibile, nel rispetto di un principio di
laicità che “si manifesta come principio di governo della vita”, di sovranità sul proprio corpo e
sulle proprie scelte.
Graziella Sturaro – responsabile LiberaUscita di Torino
1589 - LA PROPAGANDA ELETTORALE DI BAGNASCO
da: [email protected]
Inviato: martedì 23 marzo 2010 1.28.15
Leggiamo da www.repubblica.it.:
"Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, aprendo ierisera i lavori del Consiglio
episcopale permanente, ha esortato gli uomini di Stato a porre fine a comportamenti iniqui e
contiguità affaristiche, e a tornare sul piano della politica vera. E alla politica arriva
un'indicazione precisa anche in tema di voto. La vita umana va difesa - scandisce Bagnasco
- innanzitutto dal delitto incommensurabile dell'aborto. E questa difesa è uno dei valori non
negoziabili in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali".
Commento. Secondo il Presidente della Cei, dunque, i cattolici "devono" votare per le forze
politiche che sono contrarie ad una legge dello Stato (l'aborto), anche se favorevoli a
"comportamenti iniqui" e "contiguità affaristiche". In una democrazia, la Chiesa cattolica può
benissimo ritenere che l'aborto sia un "peccato", ma non può definirlo un "delitto", specie
quando la legge è stata confermata da un referendum popolare. A meno che il cardinal
Bagnasco non intendesse riferirsi ai cattolici integralisti, ossia a coloro che antepongono le
leggi di Dio alle leggi degli uomini.
Giampietro Sestini
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1590 – LE VIGNETTE DI ALTAN – FORMA E SOSTANZA
1591 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA – IL PREZZO ELETTORALE DELLA CHIESA
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it
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