Come scegliere la postura migliore per il paziente

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Come scegliere la postura migliore per il paziente
Come scegliere la postura migliore per il paziente
Le condizioni fisiche del paziente spiegano quali posture possono favorire la guarigione e
quali possono risultare intollerabili
liberamente tratto da
di D.J.Metzler e J. Harr
American Journal of Nursing 1996; 96:33-37
Anche se non ce ne rendiamo conto, noi tutti cambiamo posizione ogni pochi minuti; in questo
modo, preveniamo inconsapevolmente gli effetti deleteri dello stare immobili a lungo in una certa
posizione. Gli infermieri conoscono bene il bisogno di mobilizzazione dei pazienti che sono limitati
dal dolore, dalla paura, da alterazioni della coscienza o dall’astenia. Ci rendiamo conto anche che, a
seconda delle condizioni fisiche del paziente, certe posizioni fanno più male che bene.
In questo articolo si discute di come il posizionamento del paziente possa essere una vera sfida per
l’assistenza – soprattutto in caso di paziente con problemi respiratori, neurologici, cardiaci. Occorre
rivedere perciò le posture e le tecniche di posizionamento più usate, tennendo presenti anche gli
aspetti fisiologici del cambio posturale, specie nei pazienti più anziani.
Capire l’effetto dello stare a letto
Iniziamo col rivedere gli effetti dello stare a letto e l’importanza dei cambi posturali frequenti. Fino
agli anni ’60 il riposo a letto p stato usto di routine come mezzo per ridurre la domanda funzionale
dell’organismo. La ricerca ha però poi dimostrato che l’immobilità influenza in modo negativo tutti
i sistemi corporei e può portare alla depressione.
Per esempi, l’immobilità deprime l’attività gastrointestinale e genitourinaria, esponendo i pazienti al
rischio di stipsi, stasi urinaria, ritenzione idrica. Inoltre il tono muscolare diminuisce, compaiono
astenia generalizzata, fatigue e stasi venosa, con conseguenti tromboflebiti, embolia polmonare e
riduzione della per fusione periferica. Quest’ultima favorisce inoltre le lesioni da decubito, specie
nei punti in cui le ossa sono più prominenti. Gli anziani hanno una minore tolleranza all’immobilità
rispetto ai giovani, per effetto di alcune modificazioni che avvengono in conseguenza dell’età
avanzata: respirazione e per fusione meno efficienti, perdita del grasso sottocutaneo, minore
sensibilità tattile, osteoporosi, risposta immunitaria meno efficiente.
Gli esercizi di mobilizzazione eseguiti a letto aiutano a mantenere il tono e la forza muscolare e
proteggono contro gli effetti dell’immobilizzazione sugli apparati digerente, urinario, circolatorio.
Ma non proteggono contro l’ipotensione ortostatica che è tipica di chi è stato a lungo a letto ed è un
effetto dell’immobilità sulla normale emodinamica.
Quando una persona si alza in piedi, circa 500 ml di sangue si spostano dalla metà superiore del
corpo verso la parte bassa, nel gironi pochi secondi, il che riduce il ritorno venoso, il volume di
eiezione e la gittata cardiaca. Le conseguenze di ciò sono minime, nei soggetti normali, poiché i
barocettori dell’arco aortico e delle carotidi reagiscono immediatamente provocando una risposta
pressoria: si determina una vasocostrizione che con l’aumento della frequenza e della contrattilità
cardiache fa sì che la pressione arteriosa resti adeguata e cuore e cervello siano per fusi in modo
normale.
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Basta però che una persona sia stata a letto per solo 12 ore perché lo spostamento di sangue quando
ci si alza stimoli i barocettori a produrre un effetto opposto a quello descritto. La pressione venosa
centrale e la gittata scendono e la frequenza cardiaca diminuisce. L’organismo non compensa lo
squilibrio emodinamico dovuto al cambio posturale; quando il paziente si alza, gli scende la
pressione arteriosa, sale la frequenza cardiaca, si sente svenire. Infine, dato che il ritorno venoso è
frutto dell’attività muscolare a livello di piedi e gambe, lo stare a letto a lungo e la riduzione del
tono muscolare possono esacerbare questa ipotensione ortostatica.
Come controbilanciare lo spostamento dei fluidi
Il modo migliore di controbilanciare l’effetto negativo dello spostamento di fluidi decritto sopra è
aiutare il paziente a sedersi e ad alzarsi -, se è possibile, almeno quattro volte al giorno –
naturalmente una mezz’ora dopo aver somministrato un analgesico, se è il caso. Durante lo
spostamento, suggerite al paziente di respirare lentamente e profondamente. Poi, quando è ancora in
posizioni supina, con la testata del letto elevata a 45-90°, controllate polso, pressione e frequenza
respiratoria. Se avete un pulsossimetro, controllate anche la saturazione arteriosa.
Chiedete se si sente bene; se vi pare che stia bene, aiutatelo a mettersi seduto sul bordo del letto e –
a seconda dell’età e delle sue condizioni – dategli alcuni minuti di tempo prima di aiutarlo ad
alzarsi: il suo organismo sta compensando il cambio posturale. Ricontrollate polso e pressione,
frequenza respiratoria, colorito cutaneo. A questo punto potrebbe mettersi in piedi e – se se la sente
– camminare o fare esercizi di marcia sul posto.
Oltre ad alzarsi e mettersi seduto, il paziente dovrebbe cambiare posizione almeno ogni due ore,
mentre è sveglio. L’obiettivo che ci prefiggiamo con ciò è di salvaguardare le funzioni
neurologiche, cardiovascolari, respiratorie, gastrointestinali.
Danni potenziali da posizione laterale sinistra
Alcune situazioni di patologia respiratoria, cardiaca e neurologica espongono a un certo rischio nei
cambi posturali. Si può istintivamente pensare di rinunciare a far muovere questi pazienti, per paura
delle conseguenze. Però tutti i pazienti hanno bisogno di muoversi, e con alcune precauzioni
possono essere mobilizzati senza rischi.
Dopo chirurgia toracica, per esempio, la maggior parte dei pazienti tollera che la testata del letto sia
elevata fino a 40° (di solito 20° è una posizione ben tollerata; oltre, dipende dal paziente). Questa
posizione migliora la per fusione, il drenaggio toracico e la ventilazione. Questi pazienti possono
anche mettersi sul fianco destro o sinistro.
Se il paziente si mette sul fianco sinistro, dovete controllare se compaiono segni di ipossia. Entro 4
o 5 minuti qualunque cambio posturale provoca un abbassamento della saturazione venosa di
ossigeno del 9%; la posizione laterale sinistra può provocare un abbassamento del 25% per 5 minuti
o più.
La spiegazione che viene data è che la posizione laterale sinistra provoca una alterazione del
rapporto ventilazione/perfusione legata al fatto che il polmone sinistro è declive. L’ossigenazione
ottimale si realizza quando le zone del polmone meglio ventilate sono le stesse che sono meglio per
fuse. Quindi quando il polmone destro, che è di solito meglio ventilato, è in posizione antideclive, la
forza di gravità ne fa diminuire la per fusione. Di qui la minore ossigenazione, che può essere
influenzata negativamente anche dalla compressione che cuore e grossi vasi possono esercitare sul
polmone sinistro, che è declive.
Se il paziente avesse una patologia polmonare destra, il suo polmone sinistro sarebbe meglio
ventilato, e la posizione in decubito laterale sinistro diventa ottimale – polmone sinistro declive,
meglio ventilato e in questa posizione anche meglio perfuso. Alternare la posizione laterale, col
polmone meglio funzionante in posizione declive, e la posizione di semiFowler migliora
l’ossigenazione nella maggior parte dei pazienti con patologia polmonare monolaterale, per esempio
polmonite, atelettasia e trauma di un emitorace.
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L’eccezione è rappresentata dai pazienti con ascesso polmonare o emorragia: in questi casi deve
essere declive il polmone malato, per evitare che secrezioni purulente e sangue, rispettivamente,
drenino nell’albero bronchiale controlaterale.
I pazienti in ARDS (sindrome da di stress respiratorio dell’adulto) beneficiano della posizione di
Sims, prona o semiprona. Nella ARDS c’è una lesione acuta bilaterale a livello alveolare, con
accumulo di fluido e edema soprattutto delle basi polmonari nel settore posteriore. Queste posizioni
facilitano che il sangue arrivi alle zone meglio ventilate degli apici polmonari. Naturalmente la
posizione di Sims è poco praticabile per i pazienti incubati, poiché limita l’accesso alle vie aeree del
paziente. Però in molti casi la posizione di Sims è risultata benefica.
Lo stato di ossigenazione del paziente può essere valutato anche controllando periodicamente il tipo
di respirazione e lo stato mentale del paziente. Il pulsossimetro è utile per rendersi conto della
tolleranza del paziente alle diverse posizioni. Quando eseguite un prelievo per emogasanalisi,
prendete sempre nota della posizione del paziente, perché può dar luogo a interpretazioni diverse
dei dati e a decisioni terapeutiche importanti.
Rischi di lesioni nervose e danni cardiovascolari
Una posizione impropria può condurre a danni dei nervi periferici e dei vasi – specialmente se il
paziente ha già malattie vascolari periferiche o il diabete. Tra le prime cause di lesioni si trovano lo
stiramento e la compressione, come per esempio può accadere quando gli arti sono iperestesi,
compressi, ruotati.
Di regola, i nervi decorrono parallelamente ai vasi. Quindi una postura che compromette il flusso
ematico periferico di solito mette anche a rischio di una lesione nervosa. Ad esempio, quando l’arto
superiore è iperesteso ed abdotto oltre i 90°,non solo vengono compresse le arterie succlavia e
ascellare, ma può essere danneggiato il plesso brachiale, causando perdita di motilità e sensibilità
nell’arto e nella spalla. Ecco perché non si deve mai sollevare un paziente per le ascelle, nel
tentativo di sistemarlo nel letto. Piuttosto, lo si può sollevare usando la traversa che ha sotto la
schiena. E per evitare di far male a se stessi ed al paziente, occorre sempre poter contare sull’aiuto
di un altro membro dell’equipe.
Una volta spostato il paziente, controllate l’allineamento e la posizione degli arti. Se ha un braccio
premuto contro la sponda del letto, ciò può danneggiare il nervo radiale causando un cedimento del
polso; oppure può essere leso il nervo mediano, come nella sindrome del tunnel carpale; oppure il
nervo ulnare, con conseguente alterazione della sensibilità e della motilità di anulare e mignolo e
una riduzione della possibilità di abdurre tutte le dita della mano. I pazienti magri sono più esposti
ai rischi di lesioni da compressione perché mancano del tessuto molle che fa da protezione.
Per evitare le lesioni del nervo sciatico, occorre evitare che il paziente sieda su superfici dure non
imbottite e comunque incoraggiarlo ad alzarsi in piedi e camminare almeno ogni due ore. Ciò
migliorerà la circolazione e limiterà la compressione sulle tuberosità ischiatiche, che reggono tutto
il peso del corpo quando siamo seduti.
Dopo un infarto miocardio, l’attività fisica di bassa intensità migliora la per fusione, poichè
aumenta l’apporto di ossigeno al miocardio e lo protegge. Appena lo stato emodinamico del
paziente è stabile, occorre definire col medico curante come fargli riprendere una certa attività fisica
(alzarsi, camminare dal letto alla poltrona, aiutano a conservare i riflessi ortostatici sopra descritti.
L’attività fisica deve essere incrementata in modo progressivo, verificando man mano i progressi e
discutendoli col medico di riferimento.
La paura, la presenza di linee infusionali e di apparati di monitoraggio rendono alcuni pazienti
molto restii a muoversi. Il paziente infartuato deve arrivare a rendersi conto che non corre rischi se
assume posture comode. Se non ci riesce per la presenza di cavi e altri presidi, deve essere
incoraggiato a dirlo e a farsi aiutare negli spostamenti.
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La pressione intracranica
E’ stato dimostrato che la flessione e rotazione del collo, come pure le posizioni supina,
Trendelenburg e laterale sinistra possono provocare un aumento della pressione intracranica, con
gravi conseguenze sui pazienti con trauma cranico. La pressione intracranica è meno influenzata
dalle posizioni semi_Fowler e Fowler.
Quando si mobilizza un paziente con trauma del capo, si deve sempre mantenere l’allineamento
testa-tronco ed evitare di comprimere le vene giugulari. Perciò, si devono usare supporti per il collo
e eseguire le manovre in più persone e con tecniche adeguate.
Occorre tener presente che mentre di solito si cerca di eseguire tutte insieme o in stretta sequenza
varie attività assistenziali, come le cure igieniche, la ginnastica respiratoria, così da lasciare poi al
paziente un lungo periodo di relax, questo tipo di organizzazione è da proscrivere per i pazienti con
instabilità della pressione intracranica. Tutte queste attività, infatti, fanno aumentare la pressione
intracranica in questi pazienti e il loro effetto è cumulativo. Si dovrà fare in modo di lasciare al
paziente circa un’ora tra un’attività e l’altra, in modo che la pressione intracranica torni al livello
normale.
CHE COS’È LA FATIGUE
Dal 2000 la fatigue è a tutti gli effetti riconosciuta come una malattia correlata al cancro e non più
considerata semplicemente come un insieme di sintomi che affliggono l’esistenza e fiaccano la
volontà del malato di tumore .
(International Classification of Disease del Center for Disease Control and prevention - CDC).
Il termine anglosassone ‘fatigue’ significa affaticamento: la fatigue è infatti genericamente
classificabile nel quadro clinico delle astenie, caratterizzato da mancanza o perdita della forza
muscolare con facile affaticabilità e insufficiente reazione agli stimoli.
La fatigue può essere considerata una ‘patologia nella patologia’: accompagna la vita del malato di
cancro sia nel corso della terapia che dopo la sospensione del trattamento e nelle recidive. Nella
percezione dei pazienti è la principale patologia che accompagna la vita del malato di cancro e
accomuna la maggioranza (dal 78 al 96%) dei malati con tumori avanzati e sottoposti a chemio e
radioterapia.
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