Bollettino informazione attualità giurisprudenziale straniera agosto
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Bollettino informazione attualità giurisprudenziale straniera agosto
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA agosto-settembre 2010 a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig con il coordinamento di Paolo Passaglia FRANCIA 1. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-130QPC del 9 luglio 2010, Sig. Orient O. ed altri Questione prioritaria di costituzionalità – Stranieri – Espulsione – Procedura semplificata – Campi nomadi abusivi – Evacuazione forzata – Asserita violazione del principio di eguaglianza e della libertà di movimento – Infondatezza. 2. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-14/22 QPC del 30 luglio 2010, Sig. Daniel W. ed altri Questione prioritaria di costituzionalità – Codice di procedura penale – Garde à vue – Disposizioni già oggetto di scrutinio da parte del Conseil constitutionnel – Cambiamento di circostanze di fatto e di diritto – Nuovo esame della questione – Tutela dell’ordine pubblico e diritto di difesa – Incongruità del bilanciamento – Incostituzionalità – Modulazione del tempo degli effetti della declaratoria. 3. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-612 DC del 5 agosto 2010, Legge recante adattamento del diritto penale all’istituzione della Corte penale internazionale Ricorso preventivo di costituzionalità – Statuto della Corte penale internazionale – Adattamento del diritto penale interno – Asserito contrasto tra norme interne e norme internazionali – Incompetenza del Conseil constitutionnel ad effettuare il relativo scrutinio – Previsioni relative alla prescrizione dell’azione contro crimini di guerra ed alla competenza delle giurisdizioni penali francesi – Asserito contrasto con il principio di eguaglianza e con l’obiettivo di ricerca degli autori dei crimini – Rigetto. 4. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-20/21 QPC del 6 agosto 2010, Sig. Jean C. ed altri (Legge sull’università) Questione prioritaria di costituzionalità – Università – Reclutamento e statuto di professori ordinari ed associati – Asserite violazioni del principio di indipendenza dei docenti e dei ricercatori universitari e del principio di eguaglianza – Rigetto. GERMANIA 1. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 6 luglio 2010 (2 BvR 2661/06) Ricorso diretto – Rapporti tra diritto interno e diritto Ue – Giurisprudenza della Corte di giustizia (caso Mangold) – Disapplicazione (anche retroattiva) di una norma nazionale in contrasto con la sentenza Mangold – Controllo ultra vires dell’atto comunitario – Condizioni – Necessità di una “violazione sufficientemente qualificata” del principio dell’attribuzione di poteri specificatamente limitata – Insussistenza nella fattispecie – Rigetto del ricorso. 2. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 21 luglio 2010 (1 BvR 420/09) Ricorso diretto – Potestà genitoriale – Figli naturali – Padre naturale – Attribuzione della potestà subordinata al consenso della madre – Assenza di rimedi giudiziari esperibili – Riscontrato contrasto con la CEDU (sentenza della Corte di Strasburgo n. 22028/04 del 3 dicembre 2009) – Incostituzionalità. 3. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 21 luglio 2010 (1 BvR 611/07, 1 BvR 2464/07) Ricorsi diretti – Coppie omosessuali unite in partnerships registrate – Imposte di successione e donazioni – Disparità di trattamento rispetto ai coniugi – Violazione del principio di uguaglianza – Incostituzionalità – Assegnazione di un termine al legislatore entro cui intervenire a rimuovere le disparità riscontrate. REGNO UNITO 1. HJ (Iran) and HT (Cameroon) v Secretary of State for the Home Department [2010] UKSC 31, del 7 luglio 2010 Rifugiato – Convenzione di Ginevra – Condizioni per il riconoscimento – Giustificato timore di essere perseguitato a causa della propria omosessualità – Accertamento – Criteri. 2. A (Appellant) v Essex County Council (Respondent) [2010] UKSC 33, del 14 luglio 2010 Diritto all'istruzione – Individuo gravemente autistico – Carenza di fondi e strutture pubbliche adeguate alle sue esigenze – Periodo di assenza forzata da strutture scolastiche – Asserita incompatibilità con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Esclusione – Rigetto in rito e, parzialmente, nel merito del ricorso. 3. O'Brien v Ministry of Justice [2010] UKSC 34, del 28 luglio 2010 Recorders (giudici a tempo parziale con retribuzione su base giornaliera) – Versamenti pensionistici – Esclusione – Compatibilità con la Direttiva 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale e con l'Accordo Quadro ad essa allegato – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. SPAGNA 1. ATC 90/2010, del 14 luglio Legge orgánica n. 2/2010, del 3 marzo, in tema di salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria della gravidanza – Richiesta di sospensione in via cautelare di taluni articoli di una legge statale – Decisione di rigetto – Opinioni dissenzienti. agosto-settembre 2010 2 2. Decisioni contro i ricorsi sollevati dalle Comunità autonome delle Baleari, Aragona e Valencia nei confronti dello Statuto di autonomia della Catalogna STATI UNITI 1. 561 U. S. ___ (2010), del 28 giugno 2010, Christian Legal Society Chapter of the University of California, Hastings College of the Law, aka. Hastings Christian Fellowship v. Martinez et al. Università – Associazioni studentesche – Riconoscimento ufficiale da parte dell'università di appartenenza – Politica di non-discriminazione imposta dall'università – Mancato rispetto da parte dell’associazione – Diniego di riconoscimento ufficiale – Asserita violazione del Primo e del Quattordicesimo Emendamento – Esclusione. agosto-settembre 2010 3 FRANCIA a cura di Charlotte Bontemps di Sturco 1. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-130QPC del 9 luglio 2010, Sig. Orient O. ed altri Questione prioritaria di costituzionalità – Stranieri – Espulsione – Procedura semplificata – Campi nomadi abusivi – Evacuazione forzata – Asserita violazione del principio di eguaglianza e della libertà di movimento – Infondatezza. Il Conseil constitutionnel è stato investito di una questione prioritaria di costituzionalità, il 28 maggio 2010, su ricorso del Consiglio di Stato. Nella specie, era stata contestata, da parte del sig. Orient O., la costituzionalità degli articoli 9 e 9-1 della legge n. 2000-614 del 5 luglio 2000 relativa all’accoglienza ed alle abitazioni dei nomadi. Questa decisione s’inserisce nel contesto di un’attualità che vede la moltiplicazione delle espulsioni dei Rom dai campi abusivi, espulsioni che hanno suscitato, di recente, vive critiche da parte del Parlamento europeo1, della Commissione europea2, dell’ONU3 e dei media. L’articolo 9 della legge citata prevede una procedura semplificata di espulsione dei nomadi quando i comuni hanno adempiuto il loro obbligo di attuazione del piano dipartimentale di accoglienza dei nomadi. Si dà, in particolare, la possibilità al Prefetto, senza ricorrere al giudice, di procedere, previa ingiunzione, ad un’evacuazione forzata dalle residenze mobili illegittimamente installate. L’articolo 9-1 estende detta procedura anche ai comuni che non hanno adempiuto il suddetto obbligo di attuazione del piano. I ricorrenti lamentavano la violazione del principio di eguaglianza e della libertà di movimento. Il Conseil constitutionnel ha rigettato ambedue le prospettazioni. In ordine alla prima, il Conseil ha richiamato i fondamenti testuali del principio (articoli 1° e 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e articolo 1° della Costituzione) e la sua giurisprudenza in materia ed ha rilevato che il criterio di distinzione tra persone le cui abitazioni sono costituite da residenze mobili e persone che vivono in modo sedentario si basa su una differenza obiettiva e non istituisce dunque una discriminazione fondata su base etnica 1 In una risoluzione del 9 settembre 2010, il Parlamento europeo ha chiesto alla Francia ed agli altri Stati membri di sospendere le espulsioni contro i Rom: cfr. http://www.europarl.europa.eu/news/expert/infopress_page/019-81795-24909-37-902-20100909IPR81794-06-09-2010-2010-false/default_fr.htm. 2 In una dichiarazione del 14 settembre 2010, la Vice Presidente della Commissione europea responsabile della giustizia, dei diritti fondamentali e della cittadinanza ha minacciato di intentare una procedura di infrazione contro la Francia per la sua politica di espulsione dei Rom, cfr. la Dichiarazione sull’evoluzione della situazione dei Rom di V. REDING, Vice Presidente della Commissione europea responsabile della giustizia, dei diritti fondamentali e della cittadinanza, Bruxelles, 14 settembre 2010, in http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference =SPEECH/10/428&format=HTML&aged=0&language=FR&guiLanguage=en. 3 Nella sua dichiarazione del 13 settembre 2010, l’Alto Commissario dell’ONU per i diritti dell’uomo, ha manifestato la sua preoccupazione per la politica francese di espulsione dei Rom: cfr http://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=10319&LangID=e. agosto-settembre 2010 4 (Considerando 4-6)4. Sulla seconda, il Conseil ha ritenuto che la normativa opera una conciliazione tra prevenzione dell’ordine pubblico e libertà costituzionali garantite (tra cui la libertà di movimento e la libertà personale) che non contrasta con la Costituzione: si permette, infatti, l’evacuazione solo quando i campi sono abusivi, e solo qualora sia in gioco la salubrità, la sicurezza o la tranquillità pubblica; è poi indispensabile la richiesta del sindaco o del proprietario del terreno (o di chi lo ha in uso); si richiede la previa ingiunzione di evacuazione autonoma entro 24 ore; infine, il provvedimento può essere oggetto di un ricorso d’urgenza sospensivo davanti alle giurisdizioni amministrative. 2. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-14/22 QPC del 30 luglio 2010, Sig. Daniel W. ed altri Questione prioritaria di costituzionalità – Codice di procedura penale – Garde à vue – Disposizioni già oggetto di scrutinio da parte del Conseil constitutionnel – Cambiamento di circostanze di fatto e di diritto – Nuovo esame della questione – Tutela dell’ordine pubblico e diritto di difesa – Incongruità del bilanciamento – Incostituzionalità – Modulazione del tempo degli effetti della declaratoria. Con due sentenze (una del 31 maggio 2010, contenente ventisei questioni prioritarie di costituzionalità, e l’altra del 11 giugno 2010, con altre dieci questioni), la Corte di cassazione ha sottoposto al Conseil constitutionnel alcuni dubbi inerenti la costituzionalità della disciplina della garde à vue (il fermo di polizia), e più specificamente degli articoli 62, 63, 63-1, 63-4, 77 e 706-73 del codice di procedura penale (d’ora innanzi, cpp). Avendo lo stesso oggetto, il Conseil ha riunito le questioni, pronunciandosi con un’unica decisione. Era contestata sia la disciplina speciale (articoli 63-4 co. 7 e 706-73 del cpp) che quella di diritto comune (articoli 62, 63, 63-1, 63-4 co. 1 a 6 e 77 del cpp) della garde à vue. Il Conseil si è preliminarmente pronunciato sulle condizioni di ricevibilità delle questioni, ritenendo ricevibili solo quelle poste in relazione al secondo gruppo. La disciplina speciale della garde à vue risulta in gran parte dalla legge n. 2004-204 del 9 marzo 2004. Il Conseil ritenuto irrecevibili molte questioni in quanto le disposizioni contestate erano già state oggetto di scrutinio nel 2004, in occasione della decisione n. 2004-492 DC del 2 marzo 2004 (concernente, appunto, la legge n. 204). Applicando l’articolo 23-2 dell’ordinanza organica del 7 novembre 1958, e rilevando l’assenza di cambiamento di circostanze (di diritto e di fatto), il Conseil ha affermato di nuovo che non era possibile porre una questione prioritaria di costituzionalità su disposizioni già dichiarate conformi alla Costituzione in una precedente decisione. La disciplina comune della garde à vue risulta invece principalmente dalla legge n. 93-1013 del 24 agosto 1993, che ha modificato la legge n. 93-2 del 4 gennaio 1993, recante riforma del codice di procedura penale. Nella sua decisione n. 93-326 DC del 20 agosto 1993, il Conseil constitutionnel non ha specificamente esaminato la costituzionalità degli articoli 63, 63-1, 64-4 e 77 del cpp, che sono stati dichiarati conformi alla Costituzione in sede di scrutinio delle modifiche a questi 4 Emerge, però, il dubbio se questo ragionamento possa suffragare le circolari adottate nel mese di agosto 2010, che pongono come priorità l’espulsione dei Rom (e non genericamente i nomadi). La questione non risulta, allo stato, decisa. agosto-settembre 2010 5 apportate dalla legge oggetto dello scrutinio5. Peraltro, da allora, sono cambiate – ad avviso del Conseil – le circostanze di diritto e di fatto, in quanto, “dal 1993, alcune modifiche della procedura penale nonché alcuni cambiamenti nella sua applicazione hanno condotto ad un ricorso sempre più frequente alla garde à vue ed hanno modificato l’equilibrio dei poteri e dei diritti fissato dal codice di procedura penale” (Considérant 15). Il Conseil ha rilevato che questi cambiamenti, che hanno portato ad una banalizzazione della garde à vue (più di 790 000 provvedimenti nel 2009), giustificano una nuova sottoposizione delle dette disposizioni allo scrutinio di costituzionalità. I ricorrenti hanno avanzato diversi motivi di incostituzionalità: (1) le condizioni materiali nelle quali la garde à vue si svolge lederebbero la dignità della persona; (2) sarebbe violato l’articolo 66 della Costituzione, in quanto, da un lato, spetta all’ufficiale di polizia giudiziaria decidere se adottare un provvedimento di garde à vue, dall’altro il Procuratore della Repubblica, di cui si contesta la natura di autorità giudiziaria, è informato del provvedimento soltanto dopo la sua adozione, ma, poi, può prolungarlo anche senza incontrare il destinatario; (3) il potere riconosciuto ad ogni ufficiale di polizia giudiziaria di adottare un provvedimento di garde à vue contro una persona che è sospettata di avere commesso o tentato di commettere un’infrazione costituisce un potere arbitrario contrario al richiamo al “rigore necessario” contenuto negli articoli 7 e 9 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789; (4) le esigenze connesse al diritto di difesa, al giusto ed equo processo ed al rigore necessario sarebbero violate dall’assenza di una difesa tecnica per la persona sottoposta a garde à vue ed all’assenza di una comunicazione alla stessa della facoltà di non rispondere; (5) sarebbe altresì non rispettato il principio d’eguaglianza davanti alla legge, in quanto è possibile differire l’intervento dell’avvocato fino alla quarantottesima o alla settantaduesima ora. Il Conseil si è pronunciato partitamente sulla prima argomentazione, rigettandola, ma al contempo richiamando la necessità, per le autorità giudiziaria e di polizia, di assicurare che la garde à vue si svolga nel rispetto del principio della dignità umana e che la eventuale violazione di questa esigenza nell’applicazione delle disposizioni legislative oggetto del ricorso non viola, di per sé, il parametro costituzionale (Condidérant 20). Sulle altre argomentazioni, scrutinate congiuntamente, ha ritenuto che la garde à vue, nata come provvedimento necessario per alcune operazioni di polizia giudiziaria, ha subito, dal 1993, un’evoluzione tale per cui essa deve essere accompagnata da garanzie atte ad assicurare la protezione dei diritti della difesa. Garanzie che consentano di superare la situazione originaria, in cui ogni persona sospettata di avere commesso un’infrazione poteva essere oggetto di un tale provvedimento, deciso da un ufficiale di polizia giudiziaria, per ventiquattro ore, rinnovabili, e ciò indipendentemente dalla gravità dei fatti (quindi anche per infrazioni minime), senza disporre di un’assistenza effettiva da parte di un avvocato e delle ulteriori cautele connesse al diritto di difesa (Considérants 27 e 28). Tenendo conto delle esigenze emerse a seguito dell’evoluzione normativa e della prassi, le disposizioni contestate non hanno approntato, secondo il Conseil, garanzie appropriate. La conciliazione tra la tutela dell’ordine pubblico (e la ricerca degli autori di infrazioni) e l’esercizio di libertà costituzionalmente garantite non è stata, in concreto, ritenuta equilibrata, donde la dichiarazione di incostituzionalità degli articoli 62, 63, 63-1, 63-4 co. 1 a 6 e 77 del cpp. Il Conseil ha però notato che l’abrogazione immediata di queste disposizioni avrebbe condotto a disconoscere gli obiettivi di tutela ordine pubblico e della ricerca degli autori di infrazioni: pur 5 Queste disposizioni riguardavano le condizioni per porre una persona in garde à vue, la reiterazione di detta misura, il suo controllo da parte del pubblico ministero ed il diritto della persona di avere un colloquio di trenta minuti con un avvocato. agosto-settembre 2010 6 ammettendo di non disporre di un potere discrezionale generale simile a quello del Parlamento, il Conseil ha ritenuto comunque di dover differire nel tempo gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità fino al 1° luglio 2011, facendo così salva, nelle more, l’applicazione delle disposizioni censurate. Spetterà, dunque, al Parlamento adottare nuove regole. Il Ministro della giustizia sembra già aver tratto indicazioni dalla decisione del Conseil, se è vero che il testo del progetto di legge concernente il Libro I del cpp, al vaglio del Consiglio di Stato, ha subito alcune significative modifiche. 3. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-612 DC del 5 agosto 2010, Legge recante adattamento del diritto penale all’istituzione della Corte penale internazionale Ricorso preventivo di costituzionalità – Statuto della Corte penale internazionale – Adattamento del diritto penale interno – Asserito contrasto tra norme interne e norme internazionali – Incompetenza del Conseil constitutionnel ad effettuare il relativo scrutinio – Previsioni relative alla prescrizione dell’azione contro crimini di guerra ed alla competenza delle giurisdizioni penali francesi – Asserito contrasto con il principio di eguaglianza e con l’obiettivo di ricerca degli autori dei crimini – Rigetto. Adito da più di 60 deputati e da più di 60 senatori, il Conseil constitutionnel si è pronunciato sulla costituzionalità della legge recante adattamento del diritto penale all’istituzione della Corte penale internazionale. I ricorrenti ritenevano che la legge contrastasse con il trattato internazionale recante lo statuto della Corte penale internazionale. Riferendosi agli articoli 53-2 e 55 della Costituzione (il primo che riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale alle condizioni del trattato firmato a Roma il 18 luglio 1998 ed il secondo che definisce la forza giuridica dei trattati internazionali), il Conseil ha rigettato detta argomentazione applicando la sua giurisprudenza costante in materia (decisioni n. 74-54 DC del 15 gennaio 1974 e, da ultimo, n. 2010-605 DC del 12 maggio 20106), secondo la quale il Conseil non è giudice della conformità delle leggi ai trattati europei ed internazionali (il relativo giudizio spetta, infatti, ai giudici ordinari ed amministrativi). Gli autori del ricorso contestavano poi la norma che inserisce nel codice di procedura penale l’articolo 462-10, che fissa a trenta anni la prescrizione dell’azione pubblica per i crimini di guerra. I ricorrenti lamentavano la violazione del principio di eguaglianza, ritenendo detta categoria di crimini non diversa dai crimini contro l’umanità, imprescrittibile. Il Conseil ha rigettato detta posizione, facendo valere la differente natura di questi due tipi di crimini, ciò che ha reso legittima la previsione di diversi termini di prescrizione. I parlamentari criticavano anche la costituzionalità del nuovo articolo 689-11 cpp, che dispone la competenza delle giurisdizioni francesi a giudicare di crimini commessi all’estero su una vittima straniera ed il cui autore, di cittadinanza straniera, risieda costantemente in Francia. Si ritenevano le condizioni di applicazione troppo restrittive, e quindi contrarie all’obiettivo costituzionale di ricerca degli autori di infrazioni. Il Conseil, rifiutando di pronunciarsi sulle esigenze imposte a livello 6 La decisione è stata oggetto di segnalazione nel Bollettino di Informazione sull’attualità giurisprudenziale sovranazionale e straniera del maggio 2010. agosto-settembre 2010 7 internazionale, ha rigettato queste denunce adducendo, in tal senso, la libertà di apprezzamento del legislatore (Considérants 14 e 15). 4. Conseil constitutionnel, decisione n. 2010-20/21 QPC del 6 agosto 2010, Sig. Jean C. ed altri (Legge sull’università) Questione prioritaria di costituzionalità – Università – Reclutamento e statuto di professori ordinari ed associati – Asserite violazioni del principio di indipendenza dei docenti e dei ricercatori universitari e del principio di eguaglianza – Rigetto. Su ricorsi del Consiglio di Stato dell’11 giugno 2010, il Conseil constitutionnel è stato investito di due questioni prioritarie di costituzionalità: una, sollevata dal Sig. Jean C. ed altri, nella quale era contestata la conformità alla Costituzione garantisce degli articoli L 712-2 co. 4 e L 952-6-1 del codice dell’educazione, l’altra sollevata dal Collettivo per la difesa dell’Università ed altri, relativa agli articoli L 712-8 e L 954-1 del medesimo codice. Il Conseil ha riunito le questioni per pronunciarsi in un’unica decisione. La prima questione concerne le norme che organizzano la procedura di reclutamento dei professori ordinari ed associati quando un posto sia stato creato e dichiarato vacante. È previsto che dei comitati di selezione, composti da professori ordinari ed associati e da personale equiparato, apprezzino le qualità scientifiche dei candidati e, con parere motivato, propongano un elenco di persone scelte. Il Consiglio di amministrazione dell’università, in composizione ristretta (solo professori ordinari), trasmette al Ministro dell’educazione la scelta di uno dei candidati presenti nell’elenco o una lista di candidati con ordine di preferenza. Il rettore dispone di un diritto di veto, che gli permette di opporsi ad una nomina con parere motivato. I ricorrenti contestavano la costituzionalità della normativa in riferimento al principio di eguaglianza e di indipendenza di docenti e ricercatori universitari, in quanto la procedura non era limitata ad organi composti solo di professori ordinari ed associati e permetteva al rettore di bloccare la decisione del Consiglio di amministrazione. Il Conseil constitutionnel ha ritenuto che queste disposizioni rispettavano il principio di eguaglianza in quanto tutti i candidati (al reclutamento, al trasferimento ed al distaccamento) erano sottoposti alle medesime regole. Considerando che i professori ordinari ed associati partecipano alla scelta dei colleghi, il Conseil ha ritenuto rispettato il principio della loro indipendenza (poiché la norma costituzionale non impone che gli organi siano composti solo di docenti). Ha però posto una riserva d’interpretazione sul potere di veto del rettore, la cui conformità alla Costituzione è subordinata alla circostanza che sia circoscritto a motivi connessi all’amministrazione dell’Università e/o alle qualità scientifiche del candidato. La seconda questione era relativa allo statuto dei professori ordinari ed associati. Le norme contestate prevedono che le competenze dei consigli di amministrazione si esercitino nel rispetto delle disposizioni statutarie loro applicabili. Tra queste si annovera quella che prevede la partecipazione del consiglio di amministrazione, tramite deliberazione approvata con regolamento congiunto del Ministro dell’economia e del Ministro dell’università, alla procedura che permette alle Università di chiedere, tra il 2007 e il 2012, più ampie competenze in materia finanziaria e di gestione del personale. I ricorrenti invocavano la violazione del principio di indipendenza dei docenti e dei ricercatori agosto-settembre 2010 8 universitari e del principio di eguaglianza nel trattamento della carriera dei funzionari che appartengano allo stesso corpo: sulla scorta della disposizione citata, infatti, si riteneva che i docenti e ricercatori potessero essere sottoposti ad obblighi di servizio diversi a seconda dell’università di appartenenza. Il Conseil ha rigettato queste doglianze considerando che il principio d’indipendenza e il principio di eguaglianza del trattamento dei funzionari del medesimo corpo non sono lesi, giacché il potere del consiglio di amministrazione deve esercitarsi nel rispetto delle regole statutarie applicabili all’insieme della categoria. Pur non contestando la differenza di trattamento, per quanto riguarda gli obblighi di servizio, il Conseil ha comunque precisato – ad ulteriore suffragio dell’infondatezza delle prospettazioni dei ricorrenti – che le norme denunciate sono basate su criteri obiettivi e razionali e sono in vigore solo a titolo transitorio (in quanto, dopo il 2012, tutte le università disporranno di queste più ampie competenze, destinate a rafforzare la loro autonomia). GERMANIA a cura di Maria Theresia Rörig 1. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 6 luglio 2010 (2 BvR 2661/06) Ricorso diretto – Rapporti tra diritto interno e diritto Ue – Giurisprudenza della Corte di giustizia (caso Mangold) – Disapplicazione (anche retroattiva) di una norma nazionale in contrasto con la sentenza Mangold – Controllo ultra vires dell’atto comunitario – Condizioni – Necessità di una “violazione sufficientemente qualificata” del principio dell’attribuzione di poteri specificatamente limitata – Insussistenza nella fattispecie – Rigetto del ricorso. Con questa pronuncia7, resa pubblica il 26 agosto 2010, il Tribunale costituzionale tedesco ha respinto, in quanto infondato, un ricorso diretto individuale avverso un giudizio della Corte suprema federale del lavoro (BAG) che ha provveduto alla disapplicazione (anche retroattiva) di una norma interna disciplinante il contratto di lavoro a tempo determinato che risultava in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia in merito al caso Mangold (sentenza 22 novembre 2005, C144/04). Con la sentenza Mangold è stato affermato, come noto, che il principio di non discriminazione in base all’età è un principio generale di diritto comunitario. Il Tribunale costituzionale tedesco ha ritenuto corretta la decisione assunta dalla Corte suprema federale che aveva interpretato ed applicato il diritto interno alla luce della sentenza Mangold, ritenendo superfluo un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo. I giudici costituzionali hanno al riguardo specificato che il loro intervento (il c.d. controllo “ultra vires”) si deve limitare ai casi in cui la potestà dell’Unione europea venga esercitata palesemente in contrasto con le competenze ad essa attribuite, integrando una fattispecie di eccesso di potere.. 7 Un comunicato stampa sulla pronuncia è disponibile online sul sito del Tribunale anche in lingua inglese: http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg10-069en.html. agosto-settembre 2010 9 Nel caso di specie, la ricorrente, una società nel settore automobilistico, aveva stipulato nel 2003 vari contratti a tempo determinato con persone disoccupate che avevano compiuto i 52 anni d’età. Con riferimento ai lavoratori di tale età una norma interna tedesca consentiva in via eccezionale al datore di lavoro di procedere all’assunzione a tempo determinato di detti lavoratori senza necessità di addurre alcun tipo di giustificazione per la mancata assunzione a tempo indeterminato. Uno dei lavoratori assunti, alla scadenza del suo contratto di lavoro, faceva valere presso le autorità giudiziarie l’inefficacia della limitazione della durata del suo impiego. La Corte suprema federale del lavoro ha accolto la sua istanza in ragione del contrasto della citata norma interna con i principi di diritto comunitario stabiliti nella sentenza Mangold. Peraltro, visto che la giurisprudenza Mangold è inequivoca, non vi era necessità di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia al fine di decidere il caso di specie. A consentire l’applicazione della normativa interna non sono state ritenute sufficienti la circostanza che l’assunzione fosse stata effettuata in un periodo anteriore alla pubblicazione della sentenza Mangold ed il principio della tutela del proprio affidamento nel diritto nazionale (e dell’Ue), invocato dalla ricorrente. Di fronte a tale pronuncia, la ricorrente si è rivolta ai giudici di Karlsruhe lamentando la violazione della sua libertà contrattuale (artt. 2, comma 1, e 12, comma 1, LF) e del suo diritto al giudice naturale (art. 101, comma 1, per. 2 LF). Riteneva, da un lato, che la Corte tedesca del lavoro non avrebbe dovuto basarsi sulla sentenza della Corte Ue perché, a suo dire, quest’ultima aveva agito al di là dei propri poteri (“atto ultra vires”) e, dall’altro, in quanto non si sarebbe tenuto conto dell’affidamento legittimo, meritevole di tutela almeno con riferimento al periodo antecedente alla sentenza Mangold. Il Tribunale costituzionale ha negato che nella fattispecie sussistesse una violazione della libertà contrattuale. Riprendendo l’argomentazione della sentenza sul Trattato di Lisbona del 30 giugno 2009, si è evidenziato come il controllo ultra vires debba essere svolto secondo il c.d. principio di favore per il diritto Ue ed alla luce di un self-restraint. Dopo aver ribadito che il primato del diritto dell’Ue non può essere completo come quello previsto in uno stato federale (art. 31 LF), in quanto il diritto dell’Unione rimane ad oggi dipendente dal trasferimento e dall’attribuzione di poteri sulla base di quanto previsto nei trattati (c.d. principio dell’attribuzione di poteri specificatamente limitata, “Prinzip der begrenzten Einzelermächtigung”), il Tribunale ha specificato che il controllo ultra vires8 è consentito nei soli casi in cui appaia in maniera “sufficientemente qualificata” (la violazione sufficientemente qualificata forma quindi un elemento integrativo dell’atto ultra vires) una violazione di competenze e/o poteri da parte degli organi e delle istituzioni della Ue. Pertanto, l’agire dell’Unione deve porsi palesemente e gravemente in contrasto con le competenze ed i precisi poteri ad essa attribuiti e l’atto in questione deve comportare importanti spostamenti strutturali nel riparto competenziale tra l’Unione europea e gli Stati membri, con pregiudizio di questi ultimi. 8 Il controllo ultra vires si deve coordinare con i compiti della Corte di giustizia diretti ad assicurare l’unità e la coerenza al diritto dell’Ue. Se non si può consentire che ogni Stato membro decida della validità degli atti dell’Unione (pena il venir meno del primato del diritto dell’Unione), non si può nemmeno richiedere che gli Stati rinuncino del tutto al controllo ultra vires. Altrimenti spetterebbe solamente agli organi dell’Ue la garanzia della disposizione sul fondamento contrattuale dell’Unione, anche di fronte all’estensione di competenze o modifiche dei trattati. La circostanza che in alcuni casi possano crearsi situazioni di tensione tra la prospettiva nazionale e quella comunitaria è dovuta al fatto che anche con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, gli Stati membri sono rimasti i “padroni dell’Ue”. Dette situazioni si dovranno risolvere in modo cooperativo, in accordo con l’idea di integrazione europea, e dovranno essere stemperate attraverso un reciproco rispetto. agosto-settembre 2010 10 Nell’esaminare gli atti delle istituzioni dell’Ue il Tribunale costituzionale deve, in linea di principio, considerare le decisioni della Corte di giustizia come recanti una interpretazione vincolante del diritto comunitario. Nel caso in cui la Corte di giustizia non si fosse ancora pronunciata su una determinata questione, il Tribunale costituzionale, prima di accertare la natura ultra vires dell’atto, dovrà dare alla Corte di giustizia l’opportunità di pronunciarsi in merito attraverso il rinvio pregiudiziale: non è competenza del Tribunale quella di sostituire la propria interpretazione a quella della Corte di giustizia nelle questioni d’interpretazione del diritto dell’Unione. E, in riferimento all’attività della Corte, si devono tollerare anche interpretazioni dei trattati che, limitate a singoli casi, non comportino importanti spostamenti nel quadro delle competenze e che non spieghino effetti pregiudizievoli sui diritti fondamentali ovvero non impediscano che questi pregiudizi vengano compensati all’interno dello Stato. In considerazione di ciò, la Corte federale del lavoro non ha, ad avviso dei giudici costituzionali, disconosciuto la portata della libertà contrattuale della ricorrente. La Corte di giustizia non ha, in ogni caso, esuberato in maniera sufficientemente qualificata dalle proprie competenze attraverso la sentenza Mangold. Ciò vale, in particolare, con riferimento alla deduzione del principio generale per cui è vietata la discriminazione in base all’età. Non è necessario, ad avviso del Tribunale costituzionale, chiarire la questione se tale principio derivi o meno da tradizioni costituzionali comuni ovvero da trattati internazionali degli Stati membri. Infatti, la creazione del diritto da parte della Corte di giustizia, se anche fosse insostenibile dal punto di vista metodologico, può rappresentare una violazione sufficientemente qualificata delle competenze solo ove comporti, nel concreto, la creazione di nuove competenze a beneficio dell’Ue. Ma con l’affermazione del principio generale del divieto di discriminazione in base all’età non è stata introdotta alcuna nuova competenza dell’Ue, né tantomeno è stata estesa una competenza preesistente: già la direttiva CE 2000/78 aveva reso vincolante il divieto di discriminazione in base all’età con riferimento ai rapporti contrattuali di lavoro. Con riferimento, invece, alla tutela del legittimo affidamento, il Tribunale costituzionale sottolinea come tale principio trovi un suo limite in quanto previsto nel diritto dell’Ue. In ogni caso, la tutela dell’affidamento non può giungere al punto di consentire l’applicazione di una disposizione interna di cui sia stata accertata la sua incompatibilità con il diritto Ue per il periodo antecedente alla decisione oggetto del rinvio pregiudiziale. Peraltro, quando una legge viene disapplicata anche retroattivamente a seguito di una decisione della Corte di giustizia, deve valutarsi se sia possibile risarcire la persona che abbia fatto affidamento sulla validità di una determinata norma (c.d. “tutela secondaria”). Un eventuale diritto al risarcimento non era stato, comunque, oggetto del procedimento presso la Corte suprema del lavoro, donde l’inutilità di un approfondimento da parte del Tribunale costituzionale. È stato, infine, negato che nella fattispecie potesse riscontrarsi una ipotesi di “sottrazione” del giudice naturale per omesso rinvio obbligatorio, poiché la Corte suprema del lavoro aveva ragionevolmente ritenuto di non essere tenuta ad un nuovo rinvio pregiudiziale. Secondo la giurisprudenza costituzionale costante9, il Bundesverfassungsgericht, giudicando sul diritto al giudice naturale, non deve controllare ogni valutazione errata svolta dal giudice nazionale 9 Cfr. BVerfGE, 31 maggio 1990, 2 BvL 12, 13/88, 2 BvR 1436, 87; BVerfGE, 29 maggio 2006, c. 32, 1 BvR 1080/01; BVerfGE 20 settembre 2007, 2 BvR 855/06; BVerfGE 21 maggio 2008, 2 BvR 8983/08; BVerfGE 4 settembre 2008, 2 BvR 1321/07; BVerfGE 4 settembre 2008, 2 BvR 2150/07. agosto-settembre 2010 11 relativamente al mancato rinvio, ma deve solo verificare se l’omissione del rinvio sia avvenuta sulla base di considerazioni illogiche ovvero arbitrarie10. Nella specie, il Tribunale, tra l’altro, ha preso le distanze da una recente pronuncia della terza Kammer del 25 febbraio 2010 [1 BvR 230/09], che aveva specificato (diversamente della giurisprudenza costante) che la sostenibilità dell’omesso rinvio doveva essere analizzata anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia in merito all’art. 234, comma 3, TCE (e quindi ai criteri CILFIT). Contrariamente a tale affermazione, il Tribunale ha sottolineato nuovamente di non essere tenuto ai sensi del diritto Ue (i) a controllare esaurientemente ogni violazione del rinvio obbligatorio e (ii) a far riferimento al riguardo alla giurisprudenza della Corte di giustizia. Secondo i primi commenti (anche italiani)11, la pronuncia de qua viene interpretata come “un passo indietro” rispetto alla sentenza del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona, nella misura in cui rafforza il diritto Ue rispetto a quello nazionale. La decisione è stata resa con 6 voti (contro 2) con riferimento alla motivazione e con 7 voti (contro 1) in merito al dispositivo. Il giudice Landau ha allegato un’opinione dissenziente alla pronuncia. Landau ha considerato eccessivi i requisiti previsti dalla maggioranza per l’accertamento di un atto ultra vires, requisiti assai più rigidi di quelli individuati nella sentenza sul Trattato di Lisbona, dove si è fatto accenno solamente a “violazioni manifeste” e non a violazioni “sufficientemente qualificate” (del principio della attribuzione di poteri specificamente limitata). Questa diversa definizione si sarebbe tradotta in una diversa valutazione dell’atteggiamento tenuto dalla Corte suprema del lavoro. 2. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 21 luglio 2010 (1 BvR 420/09) Ricorso diretto – Potestà genitoriale – Figli naturali – Padre naturale – Attribuzione della potestà subordinata al consenso della madre – Assenza di rimedi giudiziari esperibili – Riscontrato contrasto con la CEDU (sentenza della Corte di Strasburgo n. 22028/04 del 3 dicembre 2009) – Incostituzionalità. Con la pronuncia in oggetto12, il Tribunale costituzionale tedesco ha ritenuto che le disposizioni del codice civile tedesco inerenti alla potestà genitoriale nei confronti dei figli naturali riconosciuti siano in contrasto con l’art. 6, comma 2, Legge fondamentale (LF), secondo cui «la cura e l'educazione dei figli sono un diritto naturale dei genitori ed un loro precipuo dovere. La comunità statale vigila sul modo con il quale essi svolgono la loro funzione». 10 L’omesso rinvio alla Corte di giustizia è, secondo tale giurisprudenza, da considerare arbitrario solo nei casi di ignoranza dell’obbligo di rimessione di dubbi percepiti, di divergenza intenzionale rispetto ad un’interpretazione data dalla Corte di giustizia e di incompletezza nella giurisprudenza presa in esame e nella sua non congrua valutazione (con margini di apprezzamento). Cfr. ad es. prima Kammer, 14 giugno 2006, EuGRZ 2006, 477ss. In tal senso, si pone apparentemente in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare con la dottrina dell’“acte clair” e CILFIT. ; Una mancanza di coerenza con la giurisprudenza dell’acte clair è lamentata, tra gli altri, da W. ROTH, Verfassungsrechtliche Kontrolle der Vorlagepflicht an den EuGH, NVwZ 2009, 345ss.). V. anche BVerfGE, 6 maggio 2008, 2 BvR 2419/06, secondo cui il diritto comunitario non stabilisce alcun dovere di rafforzare i criteri del controllo della sostenibilità ed arbitrarietà in merito all’obbligo del rinvio. 11 V. R. Caponi, nota inedita a prima lettura della pronuncia, reperibile sul sito: www.astrid-online.it. 12 Un comunicato stampa relativo alla pronuncia è disponibile online sul sito del Tribunale anche in lingua inglese (http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg10-057en.html). agosto-settembre 2010 12 Secondo gli artt. 1626a, comma 1, n. 113, e 1672, comma 114, BGB, la potestà genitoriale spetta ad entrambi i genitori non coniugati solo se dichiarino di voler assumere congiuntamente la potestà e pertanto solo se la madre, cui spetta altrimenti tale potestà15, sia d’accordo. La normativa, in altri termini, esclude a priori il padre naturale dalla potestà se la madre rifiuta la potestà congiunta o il trasferimento della potestà esclusiva al padre, senza che ci sia alcun controllo giudiziale (innanzitutto in merito al bene del bambino). Il Tribunale costituzionale federale ha ricordato di aver già sollevato dubbi circa la costituzionalità delle disposizioni de qua in una pronuncia del 2003 (BVerfGE 107, 150 ss.), soprattutto se si fosse rilevato – contrariamente alle aspettative del legislatore – che in un gran numero di casi il consenso alla potestà congiunta venisse rifiutato senza giustificazione dalla madre in modo da pregiudicare l’interesse ed il benessere dei figli. I giudici costituzionali hanno rammentato, inoltre, una pronuncia della Corte EDU del 3 dicembre 2009, in cui si è dichiarato, relativamente alla normativa tedesca in esame, che l’esclusione generale di un controllo giudiziale circa l’attribuzione della potestà genitoriale in via esclusiva alla madre era sproporzionale rispetto allo scopo perseguito, vale a dire la tutela del bene dei figli nati al di fuori del matrimonio (v. Corte EDU, n° 22028/04). Da tale argomentazione, era conseguita la dichiarata violazione del disposto di cui agli artt. 14 e 8 CEDU. Il Tribunale costituzionale ha dunque stabilito che il diritto del padre naturale di cui all’art. 6 comma 2 LF veniva effettivamente violato in maniera sproporzionata e grave dalla normativa vigente, poiché il padre non aveva alcuna possibilità, senza il consenso della madre, di adire l’autorità giudiziaria per far accertare che il trasferimento (totale o parziale) della potestà a suo favore giovava all’interesse del figlio. Il Tribunale costituzionale ha riconosciuto, al contempo, che anche il diritto fondamentale della madre di cui all’art. 6 LF potrebbe essere fortemente inciso da un’eventuale decisione del tribunale della famiglia (resa senza il suo consenso) a favore di un trasferimento della potestà genitoriale al padre. In considerazione del contrasto tra gli interessi dei due genitori e, soprattutto, dell’incidenza su quelli del figlio, si è raccomandato ai giudici di merito di valutare in primis se l’attribuzione della potestà congiunta rappresenti la misura meno drastica (rispetto agli interessi della madre) che assicuri il bene del minore, onde trasferire la potestà esclusiva al padre solo se ciò corrisponda realmente all’interesse del figlio. 3. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale del 21 luglio 2010 (1 BvR 611/07, 1 BvR 2464/07) 13 Art. 1626 a BGB: (1) Se i genitori non sono coniugati alla nascita del figlio, la potestà genitoriale spetta loro congiuntamente se essi 1. dichiarano di voler assumere congiuntamente la potestà (dichiarazione di potestà) o 2. si sposano. (2) Nei rimanenti casi la potestà genitoriale spetta alla madre. 14 Art. 1672 BGB: (1) Se i genitori vivono non solo temporaneamente separati e la potestà genitoriale spetta alla madre secondo l’art. 1626a, comma 2, il padre può domandare con l’approvazione della madre che il tribunale della famiglia gli trasferisca la potestà genitoriale o una parte della potestà genitoriale in esclusiva. La domanda deve essere accolta se il trasferimento giovi all’interesse del figlio. (2) Nella misura in cui abbia avuto luogo un trasferimento secondo il comma 1, il tribunale della famiglia può decidere su istanza di uno dei genitori con l’approvazione dell’altro che la potestà genitoriale spetti congiuntamente ad entrambi, se questo non contrasta con l’interesse del figlio. Ciò vale anche qualora il trasferimento di cui al comma 1 è stato nuovamente revocato. 15 Contro la volontà della madre il padre può ottenere la potestà genitoriale solo se il tribunale della famiglia revochi la potestà della madre a causa di un pericolo per il bene del bambino, se la madre è deceduta o se è impedita nell’esercizio della sua potestà. agosto-settembre 2010 13 Ricorsi diretti – Coppie omosessuali unite in partnerships registrate – Imposte di successione e donazioni – Disparità di trattamento rispetto ai coniugi – Violazione del principio di uguaglianza – Incostituzionalità – Assegnazione di un termine al legislatore entro cui intervenire a rimuovere le disparità riscontrate. Il Tribunale costituzionale ha ulteriormente rafforzato i diritti delle coppie omosessuali unite in partnerships registrate, introdotte in Germania nel 200116. Coloro che hanno siglato un’unione civile godranno delle stesse prerogative delle persone unite in matrimonio anche in materia di successione e di imposte di successione e donazione. Il legislatore tedesco avrà tempo fino alla fine dell’anno per modificare la normativa in materia, con effetti anche retroattivi. Allo stato, un vedovo o una vedova versano in tasse tra il 7% e il 30%, a seconda del valore dell’asse relitto, mentre il partner omosessuale registrato fino ad oggi ha versato tra il 17% e il 50%. Fino ad una recente riforma del 2008, oltre alla classificazione disuguale in termini di scaglioni fiscali delle copie, si riscontrava il drastico ridimensionamento, per il partner registrato, di alcune agevolazioni fiscali consistenti in defiscalizzazioni di una parte dell’eredità (abbattimenti alla base, c.d. Freibeträge) spettanti, invece, alle coppie sposate. Il Tribunale ha ora stabilito che le coppie registrate non possono subire in materia di eredità e donazioni un trattamento meno favorevole rispetto ai coniugi eterosessuali. All’origine della controversia si erano posti un uomo ed una donna, dopo la morte dei rispettivi compagni nel 2001 e 2002. Ad entrambi le autorità amministrative avevano negato la defiscalizzazione di una parte dell'eredità come previsto per i coniugi rimasti vedovi; entrambi erano poi stati collocati in scaglioni fiscali meno favorevoli di quelli dei coniugi. I due si sono quindi rivolti al Tribunale costituzionale, che ha evidenziato in questo trattamento una discriminazione verso le coppie registrate tale da violare la Costituzione. L'alta corte ha, infatti, stabilito che una discriminazione delle unioni civili rispetto alle coppie eterosessuali sposate contrasta con l'articolo 3 della Legge federale, che sancisce il diritto alla parità di trattamento per tutti i cittadini. Secondo i giudici costituzionali, una simile disparità non può essere giustificata con il fatto che la Legge fondamentale sancisce la protezione speciale del matrimonio e della famiglia. Secondo il Tribunale costituzionale, in effetti, le coppie omosessuali legalmente registrate danno luogo di fatto ad un legame concretizzantesi, "come un matrimonio, in un'unione duratura e rafforzata legalmente": di talché, si impone, in caso di morte di un partner, il medesimo trattamento rispetto a quello riservato ad un coniuge. 16 V., per ulteriori dettagli, il Quaderno del Servizio Studi, Sezione di diritto comparato, su Il matrimonio tra persone dello steso sesso in alcuni Stati europei (COM 178), nonché le Segnalazioni concernenti l’attività del Bundesverfassungsgericht, Luglio-Ottobre 2009, a cura di M.-T. Rörig. agosto-settembre 2010 14 REGNO UNITO a cura di Sarah Pasetto 1. HJ (Iran) and HT (Cameroon) v Secretary of State for the Home Department [2010] UKSC 31, del 7 luglio 2010 Rifugiato – Convenzione di Ginevra – Condizioni per il riconoscimento – Giustificato timore di essere perseguitato a causa della propria omosessualità – Accertamento – Criteri. La Corte suprema ha fornito nuove indicazioni sull’applicazione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, stabilendo che, per essere accolto dal Regno Unito come rifugiato, il richiedente deve dimostrare solamente la sussistenza di un “giustificato timore d’essere perseguitato […] per la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale”17. La Corte suprema ha eliminato l’ulteriore condizione, che era stata individuata dalla giurisprudenza della Court of Appeal18, secondo la quale la concessione dell'asilo poteva essere esclusa se era ragionevole (id est, non eccessivamente pregiudizievole) richiedere all’individuo di celare il proprio orientamento sessuale in modo da evitare che esso fornisse argomento per la persecuzione. Nel caso di specie, gli istanti erano HJ, un cittadino iraniano il quale aveva avuto relazioni omosessuali sia in Iran che nel Regno Unito, ove egli si era successivamente trasferito, ed HT, cittadino camerunense omosessuale che era stato sorpreso in intimità col proprio compagno in Camerun e soggetto ad abusi da parte del suo vicinato e della polizia locale. HT era stato fermato all'aeroporto di Gatwick, in possesso di un passaporto falso, diretto a Montreal. Il Ministro degli affari interni (Secretary of State for the Home Department) aveva negato l’asilo in ambedue i casi, decisione successivamente confermata dall’Asylum and Immigration Tribunal e dalla Court of Appeal, in quanto gli individui, una volta rimpatriati, sarebbero stati in grado di sfuggire alla persecuzione qualora avessero vissuto la propria omosessualità in maniera riservata. L'appello verteva dunque sulla "ragionevolezza" della richiesta di riservatezza imposta ai due richiedenti asilo. La Corte suprema ha dichiarato la condizione della "riservatezza" incompatibile con la Convenzione: come rilevato da Lord Rodger, "fingere che [l'orientamento sessuale o la sessualità di un individuo] non esista, o che il comportamento attraverso il quale esso si manifesta possa essere represso, significa negare agli appartenenti a questo gruppo il loro fondamentale diritto di essere ciò che sono". La Convenzione conferisce il diritto all'asilo in modo da prevenire la persecuzione di un individuo, ovvero la sua sottoposizione ad un trattamento quale la morte, la tortura o l'incarcerazione. Uno degli obiettivi fondamentali della Convenzione è, secondo la Corte, quello di 17 Secondo la giurisprudenza ormai consolidata del Regno Unito (e secondo l’articolo 1A(2) della Convenzione), un “particolare gruppo sociale” può essere costituito da individui di orientamento omosessuale, almeno in alcune situazioni, tra le quali rientrano le circostanze del caso in questione. 18 J v Secretary of State for the Home Department [2007] Imm AR 73. Il Lord Justice Maurice Kay aveva rinviato il caso all’Asylum and Immigration Tribunal precisando che «il tribunale […][avrebbe dovuto] domandarsi se [fosse] ragionevole aspettarsi “riservatezza” da parte della parte richiedente, e non solamente nel contesto dell’attività sessuale di quest’ultimo ma anche in relazione ad altre “questioni derivanti da, e rilevanti per, l’identità sessuale”». agosto-settembre 2010 15 combattere la discriminazione; la Convenzione non prevede affatto che individui richiedenti l'asilo vengano rimpatriati "con la condizione" che essi agiscano in un determinato modo per evitare di offendere o stimolare i loro persecutori. La persecuzione non cessa di essere tale, ai sensi della Convenzione, se gli individui oggetto della persecuzione sono in grado di eliminare il pericolo agendo in forma tale da evitarlo. La Corte si è soffermata a delineare l'iter decisorio da seguire di fronte ad una richiesta di asilo. Quando un individuo chiede asilo in base ad un giustificato timore di essere perseguitato in quanto omosessuale, il giudice deve dapprima chiedersi se le prove siano sufficienti per concludere che l'individuo è effettivamente omosessuale, o che verrebbe comunque trattato come tale da parte dei possibili persecutori nel suo paese d'origine. Se la risposta è affermativa, il giudice deve accertare se, nel paese d'origine, gli omosessuali dichiarati sono oggetto di persecuzione, indi deve valutare il probabile impatto del rimpatrio sulla vita del richiedente. Ne discende che, se l'individuo vive la propria omosessualità in maniera aperta, e se per questo rischia seriamente la persecuzione, si può affermare che egli abbia un giustificato timore di essere perseguitato, a prescindere dalla sua eventuale capacità di vivere in modo riservato e dunque di evitare il rischio. Se, invece, il richiedente vive, di fatto, in maniera riservata, e se per questo evita la persecuzione, il giudice è comunque chiamato ad accertare i motivi di una tale scelta. Se i motivi sono di ordine personale o sono connessi a pressioni familiari, la domanda di asilo deve essere respinta; l'accoglimento è quindi condizionato all'effettiva sussistenza di un fondato timore di persecuzione da parte delle autorità o con l'avallo, implicito o esplicito, delle autorità (perché la Convenzione di Ginevra sia applicabile, la persecuzione deve essere promossa o permessa dalle autorità; né è sufficiente ad integrarla un trattamento semplicemente discriminatorio). Da notare è l'approfondita disamina, nel corso della pronuncia, di una copiosa giurisprudenza straniera, peraltro tutta proveniente dal mondo anglosassone19. 2. A (Appellant) v Essex County Council (Respondent) [2010] UKSC 33, del 14 luglio 2010 Diritto all'istruzione – Individuo gravemente autistico – Carenza di fondi e strutture pubbliche adeguate alle sue esigenze – Periodo di assenza forzata da strutture scolastiche – Asserita incompatibilità con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Esclusione – Rigetto in rito e, parzialmente, nel merito del ricorso. La Corte suprema ha fornito una nuova interpretazione dell'articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Oggetto del contendere era l'esistenza o meno di un obbligo, incombente sulle autorità scolastiche locali, di fornire un'istruzione efficace ad ogni bambino, tenendo conto in ogni caso delle sue esigenze particolari ed a prescindere dall'onere che ciò potesse rappresentare per le risorse a disposizione dell'autorità scolastica. La parte ricorrente, un individuo di 21 anni identificato attraverso l'iniziale "A", è gravemente autistico, soffre di epilessia e manifesta serie difficoltà di apprendimento; sin da bambino, ha dovuto frequentare una scuola specializzata. Nel gennaio 2002, quando A aveva 12 anni, il suo 19 V. la opinion di Lord Hope, alla sezione intitolata "Comparative jurisprudence" (par. 30 ss.). agosto-settembre 2010 16 comportamento era tale da condurre la scuola a richiedere che venisse tenuto a casa, per motivi di salute e sicurezza. La scuola ha provveduto a fornire, alla famiglia di A, materiale di apprendimento da utilizzare a domicilio, nonché la possibilità di frequentare sessioni di terapia logopedica. Né l'autorità scolastica locale, né la scuola che A aveva frequentato, erano stati in grado di fornire un insegnante che potesse venire incontro alle esigenze di A. Nel settembre 2002 ha avuto luogo una valutazione medica di A, a seguito della quale era stata raccomandata la sua iscrizione presso un convitto specializzato nell'istruzione e cura di ragazzi con gravi disturbi comportamentali. L'autorità locale ha contattato numerosi istituti, ma non è stato possibile trovare una sistemazione per A se non a partire dal luglio 2003. In considerazione di questo ritardo, A ha agito per risarcimento dei danni nei confronti dell'Essex County Council, sostenendo che il suo diritto all'istruzione, sancito dall'articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, era stato leso per i diciotto mesi trascorsi dal gennaio 2002 al luglio 2003. Si rilevava ulteriormente che, nel corso dei diciotto mesi, A avrebbe dovuto poter fruire di qualsiasi struttura disponibile, anche se non specificamente adeguata alle sue esigenze. Le corti inferiori (High Court e Court of Appeal) hanno entrambe affermato che, in quanto A non aveva alcuna probabilità realistica di vincere la causa, il caso era da respingere in toto, negandogli finanche la possibilità di presentare le sue argomentazioni nel corso di un processo approfondito che vagliasse la veridicità delle prove. Tra l’altro, era stato affermato che A fosse decaduto dal diritto di azione avendo intentato la causa oltre i termini temporali prescritti. La Corte suprema ha stabilito che l'articolo 2 del Protocollo non conferiva, ad A, un diritto assoluto ad una istruzione in grado di venire incontro alle sue esigenze particolari durante i diciotto mesi di ritardo. Il periodo di tempo necessario per trovare una scuola adatta era infatti imputabile alla limitatezza delle risorse, e non costituiva pertanto una violazione dell'articolo 2 del Protocollo; peraltro, ciò sarebbe stato vero anche nel caso in cui il ritardo fosse stato attribuibile a manchevolezze significative dell'amministrazione. A monte, comunque, si poneva la constatazione della effettiva decadenza di A dal diritto di azione: quand'anche A avesse avuto qualche possibilità di dimostrare una violazione dell'articolo 2, non sarebbe comunque stato corretto estendere i termini di prescrizione. 3. O'Brien v Ministry of Justice [2010] UKSC 34, del 28 luglio 2010 Recorders (giudici a tempo parziale con retribuzione su base giornaliera) – Versamenti pensionistici – Esclusione – Compatibilità con la Direttiva 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale e con l'Accordo Quadro ad essa allegato – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. La Corte suprema, all’unanimità, ha operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per l’interpretazione delle disposizioni rilevanti della Direttiva 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale e dell'Accordo Quadro ad essa allegato, i quali hanno l'obiettivo di stabilire principi generali e prescrizioni minime relative al part-time, nonché di eliminare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno. Il ricorrente, O'Brien, ha ricoperto per oltre vent'anni l'incarico di recorder, ovvero di giudice a tempo parziale retribuito su base giornaliera. A differenza dei giudici a tempo pieno ed a tempo parziale stipendiati, la normativa britannica non prevede versamenti pensionistici per i recorders. agosto-settembre 2010 17 La clausola 2(1) dell'Accordo Quadro stabilisce che "[il] presente accordo si applica ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro". Tuttavia, la normativa britannica di recepimento20 esclude espressamente da una tale sfera di applicazione i giudici a tempo parziale retribuiti su base giornaliera. Nel 2005, O'Brien ha intentato un'azione contro il Ministero della Giustizia del Regno Unito (all'epoca, il Department of Constitutional Affairs), rivendicando il proprio diritto ad una pensione in base alla normativa citata. O'Brien ha argomentato che il diritto europeo prevede una definizione autonoma di "lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro" che non dipende dal diritto nazionale, e che la categoria dei recorders rientra in una tale definizione. Ha inoltre evidenziato che, se ciò non fosse vero, i recorders potrebbero essere considerati come parti di un contratto di lavoro o di un rapporto di lavoro alla stregua delle definizioni vigenti nel diritto inglese, e che la normativa europea non conferisce alle autorità nazionali alcuna discrezionalità al riguardo. La Corte suprema ha dunque formulato le seguenti domande alla Corte di giustizia: (1) se è competenza del diritto nazionale quella di poter determinare se i recorders sono "lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro" ai fini della clausola 2(1) dell'Accordo Quadro, ovvero se esiste una norma comunitaria in base alla quale una tale questione è da risolversi; e (2), nell'eventualità che i giudici siano definiti come lavoratori che hanno un contratto o un rapporto di lavoro ai fini della clausola 2(1), se il diritto nazionale sia autorizzato ad operare, nella disciplina pensionistica, una discriminazione (a) tra giudici a tempo pieno ed a tempo parziale, o (b) tra diverse categorie di giudici a tempo parziale. SPAGNA a cura di Carmen Guerrero Picó 1. ATC 90/2010, del 14 luglio Legge orgánica n. 2/2010, del 3 marzo, in tema di salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria della gravidanza – Richiesta di sospensione in via cautelare di taluni articoli di una legge statale – Decisione di rigetto – Opinioni dissenzienti. Il 30 giugno il Tribunale costituzionale ha dichiarato ricevibili i ricorsi di incostituzionalità presentati nei confronti di alcuni articoli della legge orgánica n. 2/2010, del 3 marzo, in tema di salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria della gravidanza21, entrata in vigore il 5 20 Regulation 17 delle Part-time Workers (Prevention of Less Favourable Treatment) Regulations 2000. 21 “Mediante legge organica è stata approvata il 3 marzo scorso la riforma della disciplina sull’aborto La nuova normativa abroga l’art. 417-bis del codice penale nella formulazione operata dalla legge organica 9/1985 che depenalizzava l’interruzione volontaria di gravidanza solamente in tre casi specifici: grave minaccia per la vita o la salute fisica o psichica della madre; gravidanza frutto di violenza; malformazione del feto. Oggetto di ricorso presso il Tribunale Costituzionale, l’art. 417-bis aveva tuttavia superato il vaglio di legittimità del giudice delle leggi (risoluzione 53/1985). Obiettivi della nuova disciplina sono quelli di assicurare i diritti fondamentali alla salute sessuale e riproduttiva, regolare le condizioni per la interruzione volontaria di gravidanza, introdurre precisi doveri dei poteri pubblici, anche attraverso una serie di misure e azioni di carattere sanitario ed educativo. In questo senso, si fissa una fascia temporale agosto-settembre 2010 18 luglio 2010. Il Tribunale costituzionale era stato adito dai deputati del gruppo parlamentare popolare del Congresso e dal Governo della Comunità autonoma di Navarra. Il fulcro delle censure mosse alla legge dai deputati era costituito dalla violazione del diritto alla vita di cui all’art. 15 Cost., mentre nel secondo ricorso si adduceva una violazione delle competenze della Comunità autonoma. I deputati del gruppo popolare avevano chiesto ai giudici costituzionali di sospendere in via cautelare l’applicazione degli artt. 5, comma 1, lettera e), 8 in limine e lettere a) e b), 12, 13, comma 4, 14, 15, lettere a), b) e c), 17, commi 2 e 5, 19, comma 2, e della disposizione finale seconda della legge. Siffatte norme prevedono, tra l’altro, la rimozione di ogni ostacolo all’interruzione di gravidanza entro la quattordicesima settimana (o entro la ventiduesima in caso di anomalie nel feto), e la possibilità che le ragazze di 16 e 17 anni possano abortire anche senza l’autorizzazione dei genitori o dei tutori legali (è sufficiente la mera informazione). Con l’ordinanza (ATC) 90/2010, il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto la richiesta di sospensione cautelare della legge orgánica n. 2/2010. La decisione è stata adottata con sei voti favorevoli e cinque contrari. L’ordinanza reca quattro opinioni dissenzienti. La pretesa dei deputati ricorrenti si basava principalmente su tre argomentazioni. 1) Sebbene la giurisprudenza costituzionale fosse nel senso che la presentazione di un ricorso in via principale non sospendeva la vigenza della legge – eccezion fatta per l’ipotesi di cui l’art, 161, comma 2, Cost.22 –, si riteneva la richiesta di sospensiva non incompatibile con quanto disposto dall’art. 30 LOTC23, dalla cui lettera si asseriva la sussistenza di un impedimento alla sospensione di una intera legge, di quattordici settimane all’interno della quale sarà garantito il pieno diritto della donna all’assunzione di una decisione libera ed informata circa l’eventuale interruzione di gravidanza. Si prevedono poi tutta una serie di politiche di sostegno, che consentiranno alla donna di essere informata circa le prestazioni, gli aiuti, i diritti ai quali può avere accesso, fra le quali in particolare la possibilità di ricevere una consulenza prima e dopo l’intervento. L’informazione dovrà essere chiara, obiettiva e libera da pressioni. L’operazione può avere luogo solamente dopo che sia trascorso un periodo di riflessione di almeno tre giorni dall’espletamento dei suddetti obblighi informativi. Dalla quattordicesima fino alla ventiduesima settimana, la legge consente di interrompere la gravidanza in caso di rischio grave per la vita o la salute della madre, oppure di gravi anomalie del feto. Infine, dopo la ventiduesima settimana, la legge individua due casi eccezionali di interruzione di gravidanza: scoperta di anomalie nel feto incompatibili con la vita; scoperta nel feto di una infermità estremamente grave e incurabile al momento della diagnosi, sempre che ciò sia confermato da un comitato clinico. Si prevede poi un insieme di garanzie concernenti l’accesso effettivo alla prestazione sanitaria abortiva ed alla protezione della privacy della donna. Sul rispetto di tali garanzie vigilerà un apposito organismo di controllo. Si riconosce inoltre il diritto all’obiezione di coscienza per il personale sanitario. Quanto agli aspetti penali, viene riformato l’art. 145 c.p., riducendo la pena prevista per le donne che praticano o consentano l’aborto al di fuori dei casi consentiti dalla legge, sostituendo fra l’altro la pena detentiva con una ammenda. Per alcune fattispecie specifiche, il giudice potrà peraltro comminare una pena superiore della metà rispetto a quella prevista dal nuovo art. 145 c.p.. In quest’ultima disposizione sono state incorporate altresì le sanzioni previste per i soggetti che hanno provocato l’aborto della donna. Infine, una ultima modifica investe la legge 41 del 14 novembre 2002 (Regolamentazione di base dell’autonomia del paziente e obbligazioni in materia di informazione e documentazione clinica), estendendo il regime generale previsto da tale disciplina alla prestazione del consenso all’interruzione volontaria di gravidanza. In virtù di tale ultima modifica, il regime del necessario consenso informato in caso di interruzione della gravidanza troverà applicazione anche nei confronti delle ultrasedicenni” (R. TUR AUSINA, “Approvata la legge organica sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, in Palomar, n. 41, aprile 2010). 22 Secondo cui: “Il Governo potrà impugnare di fronte al Tribunale costituzionale le disposizioni e risoluzioni adottate dagli organi delle Comunità autonome. Il ricorso produrrà la sospensione della disposizione o risoluzione impugnata, ma il Tribunale dovrà ratificarla o annullarla entro un termine non superiore a cinque mesi”. 23 Secondo cui: “L’ammissibilità di un ricorso o di una questione di illegittimità non sospenderà la vigenza né l’applicazione della legge, della disposizione normativa o dell’atto avente forza di legge, eccetto nel caso in cui il Governo si rifaccia a quanto disposto dall’art. 161, comma 2, Cost. per impugnare, attraverso il suo Presidente, leggi, disposizioni normative o atti aventi forza di legge delle Comunità autonome”. agosto-settembre 2010 19 ma non di singole norme censurate. Del resto, lo stesso Tribunale costituzionale potrebbe sollevare il meccanismo della c.d. «autoquestione» di costituzionalità avente ad oggetto l’art. 30 LOTC, il che comporterebbe, di fatto, la sospensione della applicazione delle norme censurate. 2) Si sosteneva l’esistenza di un periculum in mora, necessario per adottare la misura cautelare sospensiva richiesta, motivato dall’evidente pregiudizio irreparabile rappresentato dalla soppressione di vite umane. 3) Si argomentava, infine, l’esistenza del fumus boni iuris, poiché la legge disciplinava numerose questioni in senso contrario alla giurisprudenza costituzionale, dal che doveva dedursi l’impossibilità di fondare una presunzione di legittimità sostanziale delle leggi. Le motivazioni del Tribunale costituzionale si sono incentrate sul primo ordine di argomenti, per giungere alla conclusione “inequivocabile” dell’impossibilità di sospendere la vigenza di una legge nel suo insieme o di alcune sue norme: “la Costituzione non prevede che, una volta entrata in vigore, la legge statale possa vedere impedita la sua applicazione attraverso un provvedimento sospensivo o cautelare, mentre una tale previsione è contemplata in relazione alle disposizioni delle Comunità autonome, quando a impugnarle sia il Governo della Nazione (art. 161, comma 2, Cost.). Tale intendimento è concretizzato di modo categorico nell’art. 30 LOTC [...]. È quindi evidente che [...] non è possibile accordare alcuna limitazione alla applicazione della legge statale conseguente al fatto che essa sia stata impugnata dinanzi al Tribunale costituzionale” (FJ 2)24. In questo stesso senso, il Tribunale costituzionale aveva già dichiarato, nell’ATC 141/1989, del 14 marzo, FJ 2, che, “in qualità di interprete supremo della Costituzione, il Tribunale può dichiarare la invalidità delle norme giuridiche in contrasto con essa, ma solo al termine di un processo e mediante una decisione che motivi codesto contrasto, poiché la sua unica autorità è l’autorità che trae dalla Costituzione e non ha alcuna rappresentatività in virtù della quale possa ricavare a favore del suo libero apprezzamento il potere di andare contro ciò che è voluto dalla volontà della rappresentanza popolare o il potere di privare provvisoriamente di effetto la promulgazione [della legge] fatta da parte del Re”. D’altro canto, con riguardo alla possibile sospensione della legge attraverso una autoquestione di costituzionalità, il plenum ha dichiarato la prospettazione inammissibile, in quanto fondata su una concezione errata dei presupposti e delle conseguenze connesse al sollevamento dell’autoquestione di costituzionalità (FJ 3), che è previsto soltanto nell’ambito del ricorso di amparo, ai sensi dell’art. 55, comma 2, LOTC, e secondo quanto si desume dalla giurisprudenza costituzionale (SSTC 40/1989, del 16 febbraio, FJ 2, e 48/2005, del 3 marzo FJ 6). Nell’autoquestione, il giudizio è circoscritto al perimetro tracciato dal thema decidendum delineato nel ricorso di amparo (STC 149/2000, del 1° giugno, FJ 2). Ad ogni modo, come si desume dagli artt. 163 Cost. e 35, comma 3, LOTC, l’effetto che produce l’autoquestione è quello, non già di sospendere la vigenza della legge cui è riferita, bensì solo di sospendere il procedimento giudiziario in cui la questione è posta. L’ordinanza reca quattro opinioni dissenzienti, dei giudici costituzionali Javier Delgado Barrio, Eugeni Gay Montalvo, Jorge Rodríguez-Zapata Pérez e Ramón Rodríguez Arribas (al cui voto particular aderisce il vice presidente Guillermo Jiménez Sánchez). Tutte le opinioni hanno sottolineato l’eccezionalità del caso. Mai nella storia del Tribunale costituzionale si era verificata l’ipotesi che nel corso di un processo potessero sopprimersi vite umane, dando luogo a danni irreparabili ed inevitabili nel lasso di tempo tra l’entrata in vigore della 24 A sostegno della tesi si citano la STC 66/1985, del 23 maggio, FJ 3, e gli AATC 128/1996, del 21 maggio, FJ 2; 266/2000, del 14 novembre, FJ unico, e 58/2006, del 15 febbraio, FJ 4. agosto-settembre 2010 20 legge che autorizza l’aborto volontario e la pronuncia del Tribunale costituzionale. Questa circostanza doveva essere presa in particolare considerazione dal plenum. I giudici dissenzienti hanno criticato l’aver perso l’opportunità di modificare la giurisprudenza costituzionale in materia. In precedenza, i casi che erano stati analizzati dal Tribunale costituzionale presentavano una natura molto diversa (nomina dei membri del Consiglio generale del Potere giudiziario, riserve naturali, competenze sui documenti dell’archivio della guerra civile spagnola), mentre in questo caso si trattava del diritto alla vita, prius di tutti i diritti fondamentali. Inoltre, si è rimarcato che l’assenza di una disposizione esplicita nella LOTC che autorizzi la sospensione di una legge statale non è dovuta alla volontà dal legislatore, ma è una lacuna susseguente alla riforma della LOTC, che prima prevedeva la possibilità di operare un controllo di legittimità preventivo delle leggi organiche25 (e a tale tipo di controllo era stata sottoposta la prima legge sull’aborto). Infine, si è fatto appello al potere implicito del Tribunale costituzionale di adottare in via cautelare le misure necessarie per preservare l’oggetto del processo e l’efficacia della futura decisione, evitando danni irreversibili collegati ai diritti fondamentali della persona, come il diritto alla vita. 2. Decisioni contro i ricorsi sollevati dalle Comunità autonome delle Baleari, Aragona e Valencia nei confronti dello Statuto di autonomia della Catalogna A seguito della STC 31/2010, del 28 giugno, il plenum del Tribunale costituzionale ha reso pubblica, in data 9 settembre 2010, la sua decisione di respingere i ricorsi di costituzionalità presentati dalle Comunità autonome delle Baleari e Aragona e di Valencia nei confronti di una dozzina di articoli della legge orgánica n. 6/2006, del 19 luglio, di riforma dello Statuto di autonomia della Catalogna26. Attraverso un comunicato stampa si è appreso che il plenum ha deciso per sette voti contro quattro. Il giudice costituzionale Jorge Rodríguez-Zapata redigerà un’opinione dissenziente relativamente ai ricorsi di Aragona e Baleari, mentre sulla decisione del ricorso valenziano le opinioni dissenzienti saranno redatte dai giudici Vicente Conde Martín de Hijas, Javier Delgado Barrio, Ramón Rodríguez Arribas e Jorge Rodríguez-Zapata. Le sentenze non sono state ancora pubblicate. Di esse verrà dunque dato conto in un prossimo numero, quando, probabilmente, il Tribunale costituzionale avrà deciso anche i ricorsi contro lo Statuto sollevati da Murcia e La Rioja, oltre a quello sollevato dall’ombudsman spagnolo, il Defensor del Pueblo. STATI UNITI a cura di Sarah Pasetto 1. 561 U. S. ___ (2010), del 28 giugno 2010, Christian Legal Society Chapter of the University of California, Hastings College of the Law, aka. Hastings Christian Fellowship v. Martinez et al. 25 Il controllo preventivo di legittimità sui progetti degli statuti di autonomia e sulle leggi organiche è stato eliminato dalla legge orgánica n. 4/1985, del 7 giugno, abrogativa del capo II del titolo VI della legge orgánica n. 2/1979, del 3 ottobre, sul Tribunale costituzionale. 26 L’Aragona e le Baleari contestavano la disciplina sull’archivio della Corona di Aragona, mentre Valencia denunciavano la disciplina della gestione del fiume Ebro. agosto-settembre 2010 21 Università – Associazioni studentesche – Riconoscimento ufficiale da parte dell'università di appartenenza – Politica di non-discriminazione imposta dall'università – Mancato rispetto da parte dell’associazione – Diniego di riconoscimento ufficiale – Asserita violazione del Primo e del Quattordicesimo Emendamento – Esclusione. La Corte suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto la non incostituzionalità della politica di nondiscriminazione istituita da un'università pubblica, in merito alle condizioni per il riconoscimento ufficiale delle associazioni studentesche al suo interno27. La politica si traduceva nell'obbligo, per le associazioni, di operare secondo un criterio di non-discriminazione sia nell'accoglimento di nuovi iscritti sia nella selezione di coloro che erano destinati a ricoprire incarichi all'interno di essa. La Corte si è divisa 5 a 4; la Justice Ginsburg ha presentato la opinion della Corte, alla quale si sono uniti i Justices Stevens, Kennedy, Breyer e Sotomayor. Due opinions concorrenti sono state redatte dai Justices Stevens e Kennedy. La opinion dissenziente è stata redatta dal Justice Alito, ed è stata sottoscritta da Roberts, Scalia e Thomas. L’Hastings College of the Law, università pubblica della California, ha istituito un sistema attraverso il quale tali associazioni studentesche possono essere riconosciute ufficialmente dall'università, e godere così di una serie di benefici, pecuniari e non, a condizione di sottoscrivere la "politica antidiscriminazione" (Nondiscrimination Policy) stabilita dalla stessa università, la quale, in linea con la relativa legge statale in materia, vieta la discriminazione in base, inter alia, all'orientamento sessuale ed alla religione. Per l'università, una tale politica si concretizza nell'accoglimento, da parte delle associazioni studentesche, di qualsiasi studente il quale desideri iscriversi, a prescindere dal suo status o dalla sua fede religiosa. La Christian Legal Society era stata fondata su iniziativa di un'associazione già presente nella Hastings College of the Law che intendeva unirsi ad un'associazione cristiana presente sul territorio nazionale. Per effettuare una tale unione, la Christian Legal Society ha dovuto adottare i regolamenti prescritti dall'associazione nazionale, interpretati come preclusivi dell'iscrizione di qualsiasi studente il quale, "impenitente", assumesse "comportamenti omosessuali": tali previsioni sono stati all’origine della negazione del riconoscimento ufficiale da parte dell'università. La Christian Legal Society ha così presentato un ricorso, sostenendo la lesione dei propri diritti sanciti dal Primo28 e dal Quattordicesimo29 Emendamento alla Costituzione. Applicando la propria giurisprudenza, che impone i criteri della ragionevolezza (reasonableness) e della neutralità per valutare la costituzionalità della policy istituita dall’università, la Corte ha respinto le richieste della Christian Legal Society. Tra i motivi addotti, la Corte ha sottolineato i 27 Le associazioni studentesche ricoprono un ruolo assai importante nell'ambito del sistema educativo anglosassone, essendo considerate alla stregua di istituzioni scolastiche vere e proprie, ponendo esse in essere attività educative riconosciute, seppure all'esterno del convenzionale curriculum accademico (c.d. extracurricular activities). 28 "Il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d'inoltrare petizioni al governo per la riparazione di ingiustizie." 29 "Sezione 1. - Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato emanerà o darà vigore ad alcuna legge che restringa i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; così pure nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà, o della proprietà se non in seguito a regolare procedimento legale (without due process of law), né rifiuterà a chicchessia nei limiti della sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi (the equal protection of the laws)." agosto-settembre 2010 22 seguenti: i finanziamenti concessi dall’università derivano da un'apposita imposta, obbligatoria per tutti gli studenti, e la politica di non-discriminazione impedisce che uno studente venga obbligato a versare una somma per un vantaggio di cui non potrà mai fruire; una tale politica favorisce la tolleranza, la cooperazione e l'apprendimento tra gli studenti; la politica ricalca la normativa statale antidiscriminazione, esprimendo così la decisione, da parte dell’università, di non sovvenzionare forme di condotta vietate dallo Stato. Inoltre, l’università non ha vietato l'esistenza della Christian Legal Society; ha semplicemente negato ad essa il riconoscimento ufficiale. Gli svantaggi lamentati, come ad esempio l'impossibilità di utilizzare i media ufficiali dell'università, sono, quindi, facilmente sormontabili. Per quanto riguarda la neutralità, la Corte ha affermato che la politica applicata dall’università costituisce un esempio "da manuale", in quanto essa non marca alcuna distinzione tra gruppi studenteschi, ma richiede, piuttosto, che tutte le associazioni studentesche accolgano chiunque desideri iscriversi. La Corte ha conclusivamente rinviato alla corte del Ninth Circuit la facoltà di accertare se o meno la politica di antidiscriminazione sia applicata in maniera coerente da parte dell'università. agosto-settembre 2010 23