Bollettino informazione attualità giurisprudenziale straniera febbraio

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Bollettino informazione attualità giurisprudenziale straniera febbraio
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE
SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA
febbraio 2011
a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig
con il coordinamento di Paolo Passaglia
FRANCIA
1. Decisione n. 2010-621 DC del 13 gennaio 2011, Risoluzione recante attuazione del Capo XI
bis del regolamento del Senato alle disposizioni del Trattato di Lisbona concernenti i
parlamenti nazionali
Trattato di Lisbona – Disposizioni concernenti i parlamenti nazionali – Revisione
costituzionale resa necessaria da previa decisione del Conseil constitutionnel – Attuazione –
Modifica del regolamento del Senato – Conformità alla Costituzione delle modifiche
introdotte.
2. Decisione n. 2010-92 QPC del 28 gennaio 2011, Signore Corinne C. e Sophie H.
Matrimonio – Condizioni – Persone dello stesso sesso – Disposizioni del Codice civile –
Mancato riconoscimento del diritto a sposarsi – Asserita violazione della libertà
matrimoniale, del diritto a condurre una vita familiare normale e del principio di
eguaglianza – Questione prioritaria di costituzionalità – Rigetto.
GERMANIA
1. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale dell’11 gennaio 2011 (1 BvR 3295/07)
Transessualismo – Transessuale non sottopostosi ad intervento chirurgico – Corrispondenza
del sesso biologico e del sesso anagrafico e diversità tra sesso biologico e sessualità
percepita – Convivenza con persona, di orientamento omosessuale, di sesso biologico
diverso – Mancato riconoscimento della possibilità di unirsi in una partnership riservata a
coppie omosessuali – Asserita violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione
sessuale – Ricorso diretto individuale – Constatata irragionevolezza della necessità di
sottoposti ad intervento chirurgico per poter contrarre la partnership – Accoglimento.
2. Novità relative alla composizione del Tribunale costituzionale federale
REGNO UNITO
1. Yemshaw (Appellant) v LB Hounslow (Respondent) [2011] UKSC 3
Alloggi popolari – Assegnazione – Diritto – Persone senzatetto in quanto vittime di violenza
domestica – Definizione – Mancata inclusione di casi di violenza non fisica – Asserita
illegittimità – Accoglimento del ricorso.
SPAGNA
1. Informazione circa l’elezione del Presidente e del Vicepresidente del Tribunale
costituzionale
STATI UNITI
1. 562 U. S. ___ (2011), del 19 gennaio; No. 09-530, National Aeronautics and Space
Administration et al. v. Nelson et al.
Dati personali – Vita pregressa del lavoratore – Lavoratori a contratto impiegati da agenzia
governativa – Obbligo di compilazione di formulari diretti ad accertare la vita pregressa –
Dichiarata illegittimità – Ricorso alla Corte suprema – Presunzione della sussistenza di un
diritto costituzionale alla riservatezza – Prevalenza, tuttavia, degli interessi governativi –
Accoglimento del ricorso.
2. 562 U. S. ___ (2011), del 24 gennaio; No. 09-291, Eric L. Thompson, Petitioner v. North
American Stainless, LP
Discriminazioni sul luogo di lavoro – Lavoratrice – Presentazione di un’accusa di
discriminazione contro il datore di lavoro – Licenziamento del fidanzato della lavoratrice –
Pretesa violazione del Civil Rights Act del 1964 – Azione civile del fidanzato contro il datore
di lavoro – Sussistenza della legittimazione ad agire ed accertamento della pratica illecita –
Accoglimento del ricorso.
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FRANCIA
a cura di Charlotte Bontemps di Sturco
1. Decisione n. 2010-621 DC del 13 gennaio 2011, Risoluzione recante attuazione
del Capo XI bis del regolamento del Senato alle disposizioni del Trattato di
Lisbona concernenti i parlamenti nazionali
Trattato di Lisbona – Disposizioni concernenti i parlamenti nazionali –
Revisione costituzionale resa necessaria da previa decisione del Conseil
constitutionnel – Attuazione – Modifica del regolamento del Senato –
Conformità alla Costituzione delle modifiche introdotte.
Con questa decisione, si chiude l’iter normativo di attuazione del Trattato di Lisbona
relativamente ai provvedimenti concernenti i parlamenti nazionali.
Nella decisione n. 2007-560 DC del 20 dicembre 2007, il Conseil constitutionnel, adito dal
Presidente della Repubblica, in virtù dell’articolo 54 della Costituzione a proposito del Trattato di
Lisbona, aveva riscontrato la necessità di modificare la Costituzione su due punti concernenti
l’intervento dei parlamenti nazionali: (1) ai fini dell’applicazione del principio di sussidiarietà; e (2)
per le c.d. passerelle, nella procedura semplificata di revisione dei Trattati o nella cooperazione
giudiziaria civile.
La legge costituzionale n. 2008-103 del 4 febbraio 2008 ha integrato dette previsioni nel Titolo
XV della Costituzione, rispettivamente agli articoli 88-61 e 88-72. Spettava dunque alle Camere dare
ad esse attuazione, modificando i loro regolamenti, ciò che l’Assemblea nazionale ha fatto con una
risoluzione del 27 maggio 2009, sottoposta al vaglio del Conseil constitutionnel (che l’ha dichiarata
conforme alla Costituzione nella decisione n. 2009-581 DC del 25 giugno 2009), mentre il Senato
ha atteso sino alla risoluzione del 20 dicembre 2010, sottoposta anch’essa al controllo obbligatorio
del Conseil.
La delibera del Senato aggiunge tre articoli al Capo XI bis del regolamento del Senato: il primo
disciplina la procedura ordinaria da seguire per adire la Corte di giustizia affinché essa controlli il
rispetto del principio di sussidiarietà; il secondo articolo, sul modello del contenzioso costituzionale
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“L’Assemblea nazionale o il Senato possono esprimere un parere motivato sulla conformità di un progetto d’atto
legislativo europeo al principio di sussidiarietà. Il parere è inviato dal Presidente dell’assemblea chiamata ad esprimersi
ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea. Ne viene informato il Governo.
Ogni assemblea può presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea contro un atto legislativo
europeo per violazione del principio di sussidiarietà. Tale ricorso è trasmesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea
dal Governo.
A tal fine, possono essere adottate risoluzioni, ove occorra al di fuori delle sessioni, secondo modalità d’iniziativa e
di discussione stabilite dal regolamento di ciascuna assemblea. Se la richiesta è formulata da sessanta deputati o
sessanta senatori, il ricorso interviene de jure”.
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“Attraverso la votazione di una mozione adottata nello stesso testo dall’Assemblea nazionale e dal Senato, il
Parlamento può opporsi ad una modifica delle regole di adozione di atti dell’Unione Europea nei casi previsti, in virtù
della revisione semplificata dei trattati o della cooperazione giudiziaria civile, dal trattato sull’Unione europea e dal
trattato sul funzionamento dell’Unione europea, quali risultanti dal trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007”.
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francese, apre a 60 senatori il diritto di ricorrere alla Corte di giustizia contro un atto legislativo
comunitario asseritamente contrastante con il principio di sussidiarietà; infine, il terzo disciplina la
procedura che permette di adottare una mozione per opporsi alla modifica di atti dell’Unione
adottati con la procedura semplificata di revisione dei trattati e di cooperazione giudiziaria civile.
Il Conseil constitutionnel non ha riscontrato violazione di norme costituzionali.
2. Decisione n. 2010-92 QPC del 28 gennaio 2011, Signore Corinne C. e Sophie H.
Matrimonio – Condizioni – Persone dello stesso sesso – Disposizioni del
Codice civile – Mancato riconoscimento del diritto a sposarsi – Asserita
violazione della libertà matrimoniale, del diritto a condurre una vita
familiare normale e del principio di eguaglianza – Questione prioritaria di
costituzionalità – Rigetto.
Il Conseil constitutionnel è stato investito di una questione prioritaria di costituzionalità dalla
Corte di cassazione (Cass. Civ. 1°, 16 novembre 2010, n. 1088) concernente la conformità ai diritti
e libertà garantiti dalla Costituzione degli articoli 75 e 144 del codice civile, nella parte in cui non
consentirebbero il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il primo articolo enuncia le formalità di celebrazione del matrimonio, il secondo disciplina l’età
alla quale si può contrarre il matrimonio; nessuno dei due articoli vieta esplicitamente il matrimonio
tra due persone dello stesso sesso. La Corte di cassazione (Cass. Civ. 1°, 13 marzo 2007, n. 511) ha
però affermato che “secondo la legge francese, il matrimonio è l’unione di un uomo e di una
donna”.
Di fronte al rifiuto della giurisdizione civile di autorizzare il pubblico ufficiale di celebrare il
matrimonio tra le signore Corinne C. e Sophie H. nel loro comune di residenza, le due donne hanno
sollecitato una questione prioritaria di costituzionalità, che è stata trasmessa alla Corte di
cassazione.
È, questo, il primo caso in cui si fa applicazione dell’interpretazione estensiva (formulata nella
decisione n. 2009-595 DC del 3 dicembre 2009, sulla legge organica relativa all’applicazione
dell’articolo 61-1 della Costituzione) della clausola inerente al “carattere nuovo o serio” della
domanda, concepito come idoneo a permettere al Consiglio di Stato ed alla Corte di cassazione di
sollevare una questione non solo in base a criteri strettamente giuridici, ma anche avendo riguardo
essenzialmente a canoni di opportunità (c.d. criterio alternativo)3.
Nel merito, le ricorrenti invocavano la violazione di quattro tra diritti e libertà costituzionali: la
libertà individuale, la libertà matrimoniale, il diritto a condurre una vita familiare normale ed il
principio di eguaglianza. Il Conseil constitutionnel ha rigettato tutte le loro doglianze.
Per quanto riguarda la libertà individuale, garantita dall’articolo 66 della Costituzione, il Conseil
ha confermato la sua giurisprudenza più restrittiva, sulla scorta della quale tale libertà non può porsi
come fondamento della libertà matrimoniale4, essendo quest’ultima tutelata dagli articoli 2 e 4 della
3
Cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2010-92 QPC du 28 janvier 2010 (Mmes Corinne C. et Sophie
H.), in Les nouveaux cahiers du Conseil constitutionnel, n. 32, p. 4.
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Ciò che era invece stato affermato nella decisione n. 93-325 DC del 13 agosto 1993, sulla legge relativa
all’immigrazione ed alle condizioni di ingresso, accoglienza e soggiorno degli stranieri in Francia.
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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 17895. Al riguardo, ha affermato che il
riconoscimento costituzionale della libertà matrimoniale non impedisce al legislatore di disciplinare
le condizioni del matrimonio, purché però siano rispettate le esigenze costituzionali che vengono in
gioco, e segnatamente il diritto a condurre una vita familiare normale ed il principio di eguaglianza
(Considérant 7).
Il Conseil ha ritenuto che il diritto a condurre una vita familiare normale, dedotto dal decimo
comma del Preambolo della Costituzione del 1946, non impone di riconoscere il diritto di sposarsi a
due persone dello stesso sesso, le quali possono invece contrarre un patto civile di solidarietà
(PACS) o vivere in una unione di fatto (Considérant 8).
Infine, con riguardo al principio di eguaglianza (articolo 6 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789), il Conseil ha considerato che il legislatore, mantenendo il
principio secondo il quale il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna, ha ritenuto che la
differenza di situazioni tra le coppie composte da due persone dello stesso sesso e le coppie
composte da due persone di sesso differente potesse giustificare una differenza di trattamento. Sul
punto, il Conseil ha dichiarato di non potere sostituire la sua valutazione a quella del legislatore.
Emerge (non tanto dalla decisione, quanto) dai quaderni del Conseil constitutionnel che il diritto
a condurre una vita familiare normale deve essere concepito come il diritto a condurre una
determinata vita familiare, e non già come il diritto ad accedere ad uno status giuridico particolare.
Il diritto in questione sarebbe dunque leso se la limitazione posta all’accesso ad uno statuto
giuridico particolare impedisse di condurre una vita familiare normale. Questa decisione si pone in
linea con la sentenza della Corte EDU del 24 giugno 2010, dalla quale si è desunta la perdurante
possibilità di restringere l’accesso al matrimonio alle sole coppie composte da due persone di sesso
differente, pur dovendosi riconoscere alle coppie composte da persone dello stesso sesso la tutela
della loro “vita familiare”.
In buona sostanza, non è da escludersi che possano essere fondatamente contestate, nell’ambito
di una questione prioritaria di costituzionalità, norme legislative particolari che siano considerate
discriminatorie in ragione delle differenze che pongono tra coppie unite in matrimonio e coppie
unite in PACS, ma non può essere contestata la disposizione generale che definisce le condizioni del
matrimonio.
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In tal senso, v. la decisione n. 2006-542 DC del 9 novembre 2006, sulla legge relativa al controllo di validità dei
matrimoni.
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GERMANIA
a cura di Maria Theresia Rörig
1. Ordinanza del Tribunale costituzionale federale dell’11 gennaio 2011 (1 BvR
3295/07)
Transessualismo – Transessuale non sottopostosi ad intervento chirurgico –
Corrispondenza del sesso biologico e del sesso anagrafico e diversità tra
sesso biologico e sessualità percepita – Convivenza con persona, di
orientamento omosessuale, di sesso biologico diverso – Mancato
riconoscimento della possibilità di unirsi in una partnership riservata a
coppie omosessuali – Asserita violazione del diritto fondamentale
all’autodeterminazione sessuale – Ricorso diretto individuale – Constatata
irragionevolezza della necessità di sottoposti ad intervento chirurgico per
poter contrarre la partnership – Accoglimento.
Il Tribunale costituzionale federale ha definito incostituzionale l’attuale legislazione sui
transessuali (ed in particolare la legge sui transessuali – Transsexuellengesetz, “TSG” – del 10
settembre 19806-7), nella misura in cui impedisce a coloro i quali non si siano sottoposti ad un
intervento chirurgico per il cambio di sesso di unirsi civilmente in una partnership registrata.
Il Tribunale costituzionale federale ha accolto un ricorso diretto promosso da una transessuale di
62 anni, nata uomo ma che si percepisce donna (pur senza essersi sottoposta ad intervento
chirurgico di mutamento di sesso) e che, da molto tempo, vive come una donna di orientamento
omosessuale. Il ricorso era diretto al riconoscimento della possibilità per la coppia, formata da un
uomo divenuto (anche se non a tutti gli effetti) donna e da una donna omosessuale, di unirsi in una
partnership che la legislazione tedesca riserva alle coppie omosessuali: infatti, come il matrimonio
presuppone la diversità del sesso dei coniugi, l’unione civile ai sensi della legge tedesca sulle
partnerships registrate (Lebenspartnerschaftsgesetz) richiede che i componenti della coppia siano
dello stesso sesso. Entrambi gli istituti fanno riferimento al sesso come risulta indicato nei registri
dello stato civile. Nel caso di specie, la ricorrente, sebbene avesse un nome femminile, risultava
anagraficamente appartenente al sesso maschile e, di conseguenza, non poteva unirsi civilmente con
una donna, cioè con una persona di sesso (anagraficamente) diverso.
Per chiarire i termini della questione, è opportuno ricordare che la legge sui transessuali offre alle
persone transessuali due percorsi finalizzati all’accertamento dell’appartenenza all’altro sesso: la
c.d. “piccola soluzione” oppure la c.d. “grande soluzione”.
Nel primo caso, una persona può cambiare il proprio nome adeguandolo alla propria sessualità
senza sottoporsi ad interventi medici ai fini del cambio di sesso. Per avvalersi di tale soluzione, la
persona deve fornire solamente una prova che certifichi la diversità della sessualità percepita e
vissuta dal soggetto richiedente rispetto a quella biologica, diversità sessuale che deve sussistere da
6
In GVBl. I p. 81654, successivamente modificata con altra previsione legislativa del 20 luglio 2007.
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Non è la prima volta che il Tribunale di Karlsruhe giudica – in senso critico – sulla legge sui transessuali: per un
caso recente, v. la decisione n. 1 BvL 10/05 del 27 maggio 2008, oggetto, a suo tempo, di segnalazione.
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almeno tre anni e che, con un’alta probabilità, non cambierà più. Tali presupposti, necessari ai fini
del cambio del nome, devono essere confermati da due periti tra loro indipendenti.
La “grande soluzione”8 consiste invece in una vera e propria trasformazione del sesso, possibile
solo attraverso interventi chirurgici ovvero operazioni di rimozione dell’apparato genitale, o
comunque cambiamenti significativi del proprio corpo. Così è necessario che la persona si sia
sottoposta ad un intervento per il cambio di sesso il cui esito abbia prodotto un avvicinamento
considerevole sotto l’aspetto esteriore all’altro sesso. La grande soluzione presuppone, tra l’altro,
che la persona sia permanentemente incapace di procreare.
Soltanto tale ultima soluzione conduce al riconoscimento giuridico ed anagrafico (ovvero al
cambio di sesso nei registri dello stato civile) del mutamento di sesso della persona, i cui obblighi e
doveri si conformano pienamente, da quel momento in poi, al “nuovo” sesso di appartenenza.
La ricorrente, che aveva optato solo per la piccola soluzione e che non era, quindi, stata
riconosciuta anagraficamente come una donna (ciò che le avrebbe consentito di unirsi in una
partnership con un’altra donna), si sentiva lesa nel suo diritto all’autodeterminazione sessuale. Una
volta esaurite senza successo le vie legali, essa ha pertanto adito il Tribunale costituzionale federale.
Il Bundesverfassungsgericht ha ritenuto che i requisiti della legge sui transessuali in merito al
riconoscimento anagrafico del sesso, in particolare ai fini dell’unione civile registrata, non siano
conformi al diritto fondamentale all’autodeterminazione sessuale di cui all’art. 2, comma 1, della
Legge fondamentale (LF), in combinato disposto con l’art. 1, comma 1, LF, ed al diritto all’integrità
fisica di cui all’art. 2, comma 2, LF. La normativa scrutinata non può pertanto più trovare
applicazione fino all’entrata in vigore di una nuova disciplina.
Secondo il Tribunale costituzionale, una persona transessuale che vuole unirsi con il proprio
compagno o la propria compagna per tutelare i loro interessi giuridici non deve essere costretta alla
scelta tra il matrimonio (che, per il carattere necessariamente eterosessuale, non corrisponde
comunque alla loro sessualità vissuta) ed un intervento chirurgico per il cambio di sesso, intervento
che è potenzialmente pericoloso e che incide notevolmente sull’integrità fisica del transessuale.
Con il matrimonio, la ricorrente verrebbe, contrariamente alla sessualità da lei vissuta e
percepita, classificata come uomo. Il suo nome femminile, inoltre, renderebbe evidente ab externo
la transessualità di uno dei due componenti della coppia, con conseguente pregiudizio della privacy.
Pertanto, costringere la coppia al matrimonio si tradurrebbe in un’ingerenza illegittima nella sfera
intima della coppia, sfera cui è riconosciuta una tutela di rango costituzionale. Il Tribunale
costituzionale ha pertanto definito gravemente discriminatorio il fatto che la persona transessuale
non possa accedere all’unione registrata.
Con riferimento ai requisiti posti dalla legge sui transessuali per il riconoscimento del cambio di
sesso nell’ambito dello stato civile, il Tribunale ritiene che essi siano irragionevoli, in quanto troppo
severi e rigidi nella loro assolutezza, sebbene sia comprensibile che il legislatore abbia cercato di
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Art. 8, comma 1, TSG: “Su richiesta di una persona che si sente, a causa del suo carattere transessuale, non più
appartenente al sesso indicato nel registro della nascita, ma all’altro sesso, e che si sente almeno da tre anni costretto a
vivere secondo questa sua inclinazione, il giudice deve accertare che tale persona deve considerarsi appartenente
all’altro sesso, se
1.sussistono i requisiti di cui all’art. 1, comma 1, n. 1-3,
2.(abrogato),
3.è permanentemente incapace di procreare,
4.si è sottoposta ad un intervento per il cambio di sesso il cui esito ha prodotto un avvicinamento considerevole
sotto l’aspetto esteriore all’altro sesso.
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esigere una determinata certezza, stabilità e continuità dello stato civile ed ai fini dell’accertamento
del sesso, onde evitare una scissione tra il sesso biologico e quello giuridico.
Nella decisione, il Tribunale ha rimarcato come non rilevino tanto gli aspetti fisici e biologici,
quanto piuttosto gli stati psichici, e cioè come una persona percepisca la propria sessualità e se
questo sentimento sia coerente con la sua fisicità. In altri termini, i diritti fondamentali non
dipendono dal sesso biologico, ma dalla sessualità vissuta dalla persona, che, a sua volta, non
dipende in modo assoluto da interventi chirurgici. Pertanto, non si deve pretendere in maniera
rigida, ad esempio senza tener conto dell’età della persona e senza eccezione alcuna, che la persona
transessuale si debba sottoporre ad un’operazione per il cambio di sesso che comporti la sua
incapacità di procreare. Neanche l’interesse del legislatore di conservare nell’ordinamento tedesco
la comprensione tradizionale dei ruoli sessuali (che prevede che sia l’uomo quello che feconda e la
donna che partorisce) tramite il requisito “dell’incapacità di procreare” può giustificare la
violazione dei diritti fondamentali della ricorrente. D’altro canto, il Tribunale osserva che, dando
attuazione alla propria statuizione, il numero dei casi in cui l’attribuzione dei ruoli sessuali
differisce, in concreto, da quelli tradizionali è in ogni caso molto contenuto.
2. Novità relative alla composizione del Tribunale costituzionale federale
Si segnala che il mandato del giudice costituzionale Prof. Dott. Brun-Otto Bryde è scaduto il 2
febbraio 2011. In sostituzione, è stata designata a far parte del Primo senato la Prof.ssa Dott.ssa
Susanne Baer, LL.M.
Lo stesso giorno è scaduto anche il mandato di un altro giudice del Primo senato, la Dott.ssa
Christine Hohmann-Dennhardt, che è stata sostituita dalla Prof.ssa Dott.ssa Gabriele Britz.
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REGNO UNITO
a cura di Sarah Pasetto
1. Yemshaw (Appellant) v LB Hounslow (Respondent) [2011] UKSC 3
Alloggi popolari – Assegnazione – Diritto – Persone senzatetto in quanto
vittime di violenza domestica – Definizione – Mancata inclusione di casi di
violenza non fisica – Asserita illegittimità – Accoglimento del ricorso.
La Corte suprema ha stabilito che la “violenza”, ai sensi della Housing Act 1996, è da
interpretarsi in senso ampio, in modo da ricomprendere sia episodi di contatto fisico sia altre forme
di violenza. È stato sostenuto un approccio estensivo all’interpretazione normativa, che prestava
attenzione al lessico impiegato ed all’obiettivo generale della normativa. La definizione del termine
nel contesto dell’assegnazione delle case popolari è così stata equiparata a quelle vigenti in altri
settori del diritto.
Il Housing Act 1996 disciplina, inter alia, gli obblighi incombenti sulle autorità pubbliche locali
nei confronti dei senzatetto, definiti come coloro che non dispongono di alcun locale che possa
essere ragionevolmente adibito ad abitazione. Secondo le disposizioni dell’Act, nell’accertare se è
ragionevole per un individuo abitare un dato locale, le autorità locali possono compiere una
valutazione, prendendo in considerazione le circostanze generali prevalenti riguardo le abitazioni
popolari della zona. Tuttavia, come affermato nella section 177(1) dello stesso Act, non sarà ritenuto
ragionevole che un individuo continui ad abitare in un dato locale se ciò probabilmente comporterà
l’assoggettamento dell’individuo a violenze domestiche o a violenze di altro tipo, contro l’individuo
stesso oppure contro altri componenti della famiglia; il soggetto così individuato verrà dunque
automaticamente classificato come senzatetto e la sua assegnazione ad una nuova abitazione
popolare non dovrà tenere conto di alcun altro fattore.
Nella sentenza Danesh del 2006, la Court of Appeal aveva deciso che la “violenza” nel contesto
del Housing Act 1996 doveva comportare una forma di contatto fisico; erano escluse da tale
definizione le minacce di violenza o di altri gesti che inducessero un individuo a temere
l’assoggettamento a violenze fisiche.
Nel caso presente, la parte ricorrente, la signora Yemshaw, aveva dichiarato alle autorità locali
del distretto londinese di Hounslow di essere senzatetto, in quanto aveva dovuto abbandonare la
casa familiare a causa degli abusi psicologici ed economici inflitti dal marito. Tuttavia, la ricorrente
aveva ammesso di non aver subito alcuna aggressione fisica né minacce. Seguendo la doctrine della
sentenza Danesh, le autorità locali avevano stabilito che non esisteva alcuna probabilità che la
signora subisse atti “violenti” ad opera di suo marito; la signora non era pertanto da ritenersi
senzatetto e la sua abitazione presso la residenza matrimoniale era ragionevole. I suoi ricorsi in
primo e secondo grado erano stati respinti.
La Corte suprema ha rovesciato l’orientamento della sentenza Danesh, affermando che la
definizione di “violenza” può ricomprendere anche gesti non fisici. Nel judgment principale, redatto
da Lady Hale, si è operato un richiamo alla definizione comune di violenza, nonché alle policies,
normative e giurisprudenziali, nazionali ed internazionali, le quali al momento dell’emanazione del
Housing Act 1996 sicuramente riconoscevano che la violenza (domestica) potesse avvenire anche in
forma psicologica. In ogni caso, il Parlamento non poteva stabilire permanentemente la definizione
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di “violenza”; inoltre, nella fattispecie, un significato più ampio del termine perseguiva l’obiettivo
generale della normativa, ovvero quello di impedire che soggetti a rischio di violenza domestica, o
comunque legata al luogo di abitazione, effettivamente subissero atti violenti. Nelle cause relative
agli alloggi popolari, doveva dunque vigere una definizione di “violenza domestica” che
“include[sse] atti di violenza fisica, comportamenti minacciosi o intimidatori e qualsiasi altra forma
di abuso che po[tesse], direttamente o indirettamente, dare luogo al rischio di sevizie”.
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SPAGNA
a cura di Carmen Guerrero Picó
1. Informazione circa l’elezione del Presidente e del Vicepresidente del Tribunale
costituzionale
Il 20 gennaio il plenum del Tribunale costituzionale ha eletto, in seconda votazione e con sei voti
favorevoli, Pascual Sala Sánchez Presidente e Eugenio Gay Montalvo Vicepresidente.
Pascual Sala è il primo magistrato9 che presiede il Tribunale costituzionale: tutti i suoi
predecessori provenivano dal mondo universitario. Nonostante il suo mandato si concluda nel
giugno 2013, dovrà rimettere l’incarico di Presidente al Parlamento quando il Congresso dei
deputati avrà nominato i quattro giudici costituzionali che gli spettano ai sensi dell’art. 159, comma
1, Cost. In quel momento i giudici costituzionali voteranno di nuovo.
D’altra parte, la Vicepresidenza del giudice costituzionale Gay, il cui mandato è scaduto da
novembre 2010, evidenzia l’irresolubilità del blocco nella nomina dei nuovi giudici costituzionali,
causato dalle divergenze tra il Partito socialista ed il Partito popolare in merito all’idoneità del
candidato Enrique López.
Il 13 febbraio la stampa ha reso noto che il Re ha convocato in udienza privata gli ex Presidenti
del Tribunale costituzionale per affrontare il problema della destabilizzazione che affligge l’organo
da ormai vario tempo.
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Entrato in magistratura nel 1963, Pascual Sala è stato presidente della Corte dei conti, del Tribunale supremo e del
Consiglio superiore del Potere giudiziario.
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STATI UNITI
a cura di Sarah Pasetto
1. 562 U. S. ___ (2011), del 19 gennaio; No. 09-530, National Aeronautics and
Space Administration et al. v. Nelson et al.
Dati personali – Vita pregressa del lavoratore – Lavoratori a contratto
impiegati da agenzia governativa – Obbligo di compilazione di formulari
diretti ad accertare la vita pregressa – Dichiarata illegittimità – Ricorso
alla Corte suprema – Presunzione della sussistenza di un diritto
costituzionale alla riservatezza – Prevalenza, tuttavia, degli interessi
governativi – Accoglimento del ricorso.
La Corte suprema degli Stati Uniti ha sancito l’esistenza di un diritto costituzionale – pur se non,
evidentemente, “assoluto” – alla riservatezza dei dati personali in relazione ad una fattispecie
particolare10. Conseguenza concreta della decisione è stata l’estensione dell’obbligatorietà della
garanzia di riservatezza in ordine alla vita pregressa delle persone, che prima era prevista solamente
per i candidati alla funzione pubblica, e che adesso si applica anche ai lavoratori a contratto che
abbiano stabilmente accesso alle strutture appartenenti alla Federazione. L’ente pubblico in
questione, parte ricorrente dinanzi alla Corte suprema, era la National Aeronautics and Space
Administration (NASA), l’agenzia governativa civile responsabile per il programma spaziale degli
Stati Uniti.
I lavoratori della NASA sono sia funzionari pubblici sia lavoratori a contratto. Le parti convenute
nel presente giudizio erano lavoratori a contratto impiegati dalla California Institute of Technology
(Cal Tech) nella Jet Propulsion Laboratory11, gestito dalla stessa Cal Tech. Successivamente alla
loro assunzione, il Ministero del Commercio statunitense aveva disposto che tutti i lavoratori a
contratto che godessero dell’accesso a lungo termine alle strutture federali (categoria nella quale
rientravano le parti convenute in questo caso) fossero obbligati a compilare formulari per accertare i
propri precedenti personali; i lavoratori che non avessero compilato tali formulari non avrebbero più
potuto accedere al Laboratory ed avrebbero rischiato il licenziamento. I lavoratori avevano richiesto
una ingiunzione contro la NASA fondata sulla pretesa violazione del loro diritto costituzionale alla
riservatezza dei dati personali. Erano contestate, in particolare, due domande: la prima era volta ad
accertare se i lavoratori che avessero fatto uso di droghe si stessero sottoponendo a cure o terapie
mediche contro la dipendenza; la seconda era relativa alle referenze indicate dal lavoratore, ed era
diretta a verificare l’onestà e l’integrità morale del lavoratore, facendo eventualmente emergere
informazioni negative circa una serie di altre questioni. I formulari erano stati predisposti sulla base
del Privacy Act federale. L’ingiunzione non era stata concessa in primo grado, ma la corte d’appello
del Ninth Circuit aveva invece affermato che le domande contestate sarebbero state probabilmente
da ritenersi incostituzionali: la prima non avanzava alcun interesse legittimo del Governo, mentre la
seconda non era sufficientemente circoscritta. Avverso tale decisione, la NASA ha presentato un
ricorso presso la Corte suprema.
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La Justice Kagan si è però astenuta.
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Il laboratorio che ha un ruolo fondamentale nei test delle nuove tecnologie per i programmi spaziali della NASA.
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La Corte suprema ha fondato la propria opinion sulle sentenze Whalen v Roe e Nixon v
Administrator of General Services, entrambe pronunciate nel 1977. Nella fattispecie, la Corte ha
semplicemente “presunto, senza decidere” (ovvero, senza esaminare dettagliatamente il merito della
questione), che i quesiti posti dal Governo coinvolgevano un interesse di rilevanza costituzionale
nella riservatezza di dati. Tuttavia, tale interesse non poteva prevalere rispetto agli interessi
governativi contrapposti12. Inoltre, i formulari si dovevano collocare in un contesto “interno”, nella
quale i poteri pubblici potevano disporre di una libertà assai maggiore rispetto alle situazioni in cui
la disciplina riguardasse i semplici cittadini. Ancora, le domande contestate erano assai diffuse
nell’ambito dell’impiego privato, ed erano obbligatorie per i candidati alla funzione pubblica sin dal
1953. Le domande contestate costituivano dunque ragionevoli indagini relative all’assunzione.
Contrariamente a quanto ritenuto nel giudizio di secondo grado, il Governo non è
costituzionalmente obbligato a dimostrare che i propri formulari relativi all’impiego sono
“necessari” né è tenuto a dimostrare che tali formulari rappresentino il modo meno restrittivo per
perseguire i propri interessi. Infine, i formulari godono comunque di tutele significative contro la
diffusione al pubblico, grazie al Privacy Act13.
Seppure concorde sull’esito in concreto del giudizio, il Justice Scalia, unitamente al Justice
Thomas, ha esposto critiche caustiche all’approccio adottato dalla maggioranza del collegio,
pronunciandosi a favore, piuttosto, di un approccio “massimalista”, mirato all’accertamento della
effettiva esistenza del diritto costituzionale alla riservatezza dei dati personali e, eventualmente,
della sua portata. Nella fattispecie, una tale indagine avrebbe condotto allo stesso risultato, poiché, a
parere dei due Justices, non sussisteva alcun diritto del genere, anche perché i due precedenti citati
dalla maggioranza non avevano a loro volta compiuto un dettagliato accertamento dell’esistenza di
un diritto costituzionale alla riservatezza dei dati personali.
2. 562 U. S. ___ (2011), del 24 gennaio; No. 09-291, Eric L. Thompson, Petitioner
v. North American Stainless, LP
Discriminazioni sul luogo di lavoro – Lavoratrice – Presentazione di
un’accusa di discriminazione contro il datore di lavoro – Licenziamento del
fidanzato della lavoratrice – Pretesa violazione del Civil Rights Act del
1964 – Azione civile del fidanzato contro il datore di lavoro – Sussistenza
della legittimazione ad agire ed accertamento della pratica illecita –
Accoglimento del ricorso.
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Il Governo ha un interesse ad accertare la vita pregressa della persone al fine di assicurare la sicurezza delle
proprie strutture e di impiegare lavoratori competenti ed affidabili. Un tale interesse non è dimidiato in alcun modo
dalla tipologia di lavoro; non esistono distinzioni rilevanti nei doveri dei funzionari pubblici della NASA e dei suoi
lavoratori a progetto, soprattutto presso il Laboratory in questione, dove i lavoratori a progetto sono coinvolti in
operazioni fondamentali per la missione della NASA e sono finanziati da fondi pubblici.
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… il quale stabilisce che il Governo può detenere solamente i dati “rilevanti e necessari” al conseguimento di un
obiettivo autorizzato dalla legge, e che rende necessario l’ottenimento del consenso per iscritto prima della divulgazione
di tali dati; esso prevede, inoltre, sanzioni penali per le violazioni dei provvedimenti relativi al divieto di divulgazione.
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La Corte suprema ha deciso all’unanimità14 che il licenziamento del fidanzato di un’impiegata
come ritorsione nei confronti di un’accusa di discriminazione sessuale presentato dall’impiegata
avverso il datore di lavoro costituisce una pratica imprenditoriale illecita.
La disciplina relativa alla discriminazione nell’ambito del lavoro è contenuta nel Title VII del
Civil Rights Act 1964. Il c.d. “provvedimento anti-ritorsione” prevede che “costituirà una pratica
imprenditoriale illecita la discriminazione compiuta da un datore di lavoro nei confronti di uno dei
suoi dipendenti […] motivata dall’accusa, da esso presentata, di discriminazione” vietata ai sensi
del Title VII. Lo stesso Title istituisce anche la U.S. Equal Employment Opportunity Commission (di
seguito, EEOC), l’ente governativo incaricato di assicurare l’osservanza delle leggi federali contro
la discriminazione15. La legge permette ad un “individuo che affermi di essere stato danneggiato” di
presentare un’accusa presso la EEOC affermando che il datore di lavoro ha posto in essere una
pratica imprenditoriale illecita; se la EEOC non agisce in giudizio contro il datore di lavoro, la
legge permette alla “parte danneggiata […] dalla pretesa pratica illecita di proporre un ricorso”.
La fidanzata di Thompson aveva presentato un’accusa di discriminazione sessuale alla EEOC
contro il proprio datore di lavoro, la North American Stainless (NAS). Tre settimane dopo aver
avuto notizia dell’accusa, il datore di lavoro aveva licenziato Thompson, anch’egli suo dipendente.
Questi aveva presentato un ricorso ai sensi del Title VII, allegando che il licenziamento era avvenuto
come ritorsione contro la sua fidanzata, ed in particolare per l’accusa mossa da quest’ultima nei
confronti dell’impresa. Nel primo grado di giudizio, la District Court aveva deciso a favore del
datore di lavoro, affermando che parti terze rispetto alla pretesa ritorsione non potevano avvalersi
della disposizione anti-ritorsione; la corte d’appello del Sixth Circuit aveva confermato tale
giudizio, stabilendo che Thompson non poteva ricorrere contro una pretesa ritorsione poiché egli
non aveva compiuto alcuna attività che il Title VII proteggesse da eventuali ritorsioni. Le questioni
dinanzi alla Corte suprema erano, dunque, due: se il licenziamento di Thompson potesse costituire
un atto illecito di ritorsione e se Thompson fosse legittimato ad agire nei confronti del datore di
lavoro per la pretesa violazione del Title VII.
La Corte suprema ha deciso la prima questione in senso affermativo. Citando la propria
giurisprudenza in materia, essa ha richiamato la necessità di conferire una lettura “ampia” del
provvedimento contro la ritorsione, data la relativa non-specificità del linguaggio impiegato, nonché
l’obiettivo generale del provvedimento stesso, il quale è volto a proibire qualsiasi atto, da parte del
datore di lavoro, che “possa effettivamente dissuadere un lavoratore ragionevole dal presentare o
sostenere un’accusa di discriminazione”. Il datore di lavoro non aveva contestato che il
licenziamento di Thompson potesse rientrare in una tale descrizione; piuttosto, aveva argomentato
che una tale definizione non potesse estendersi agli atti compiuti nei confronti di lavoratori terzi,
estranei al rapporto tra il datore di lavoro ed il lavoratore che aveva presentato l’accusa di
discriminazione. Una tale estensione – si sosteneva – avrebbe sottoposto il datore di lavoro a gravi
rischi ogniqualvolta decidesse di licenziare un lavoratore legato, in qualche modo, al lavoratore che
avesse presentato un’accusa presso la EEOC. La Corte suprema ha ribattuto che una tale
circostanza, seppure possibile, non poteva giustificare l’affermarsi di una regola che stabilisse
categoricamente che le ritorsioni contro parti terze non potevano mai violare il Title VII. Peraltro, la
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La Justice Kagan si è però astenuta.
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La EEOC ha il potere di indagare sulle accuse di discriminazione mosse nei confronti dei datori di lavoro che
rientrano nell’ambito protetto dalla legge; ha il potere di dare inizio a procedure di conciliazione e, se queste non danno
esito produttivo, può intentare un’azione legale per proteggere i diritti dei lavoratori.
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Corte non ha delineato una categoria definita dei licenziamenti da definirsi automaticamente come
illeciti, affermando semplicemente che il licenziamento di familiari avrebbe quasi automaticamente
costituito un illecito, a differenza del licenziamento di semplici conoscenti.
Con riguardo alla pretesa legittimazione ad agire in giudizio, la Corte ha scelto di conferire al
termine “danneggiato” un significato fondato sul significato corrente nel linguaggio comune,
facendo riferimento anche ad altri usi normativi della stessa parola. In particolare, la Corte ha
affermato che “danneggiato” era l’individuo che rientrasse nella “sfera degli interessi” tutelati dalla
norma la cui violazione costituisce la base dell’azione proposta. Dunque, qualsiasi individuo con un
interesse “da ritenersi protetto dalle leggi” può agire, mentre non sono legittimati ad agire quegli
individui che possono aver subito un danno (ai sensi dell’articolo III della Costituzione statunitense)
ma i cui interessi non sono collegati ai divieti di cui al Title VII.
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