Turismi da incubo #6,#icare e le www.officine2020
Transcript
Turismi da incubo #6,#icare e le www.officine2020
Turismi da incubo #6 Arriba España Facendo il confronto tra il sistema turistico Italiano e quello Spagnolo, viene in mente la storica partita Olanda – Uruguay dei Mondiali di calcio del ’74. In campo c’era solo una squadra. L’Olanda di Cruyff e Neeskens, che venne subito battezzata ‘arancia meccanica’ e che faceva pressing, fuorigioco, inventava decine di azioni da gol, attaccava e difendeva in massa. Era il calcio totale. E schiantò per sempre il vecchio modo di giocare. Oggi sui campi dove si compete per vincere la sfida del turismo internazionale, la Spagna gioca la stessa partita dell’Olanda, con analogo modulo di gioco. L’Italia turistica invece fa l’Uruguay. Non ha capito che si gioca una partita nuova. No, l’Italia è sempre uguale a se stessa, innamorata del suo vecchio catenaccio. Continua a perdere partite, ma non cambia nè squadra, nè allenatore, nè modulo, nè mentalità di gioco. La Spagna è reattiva, atletica e gioca un turismo mirato, dinamico, agile e aggressivo. Tutti i suoi giocatori hanno un idea piuttosto chiara di cosa fare in campo. Discute, litiga, misura, informa, ridiscute, ri-litiga, ri-misura e ri-informa. Poi decide. Non senza polemiche, non senza malumori, ma decide. E scrive le decisioni prese su piani, documenti, slides, libri per fissare dei punti fermi e misurarne gli effetti. E scrive saggi, articoli, libri e condivide azioni, investimenti, obiettivi. E risultati. Crea e diffonde capillarmente cultura turistica. Si muove concependo piani e azioni centralizzati che si integrano con piani e azioni dei sotto-sistemi turistici. Insomma, gioca il turismo totale sul mercato totale. Ha piani nazionali e piani locali. Ogni anno aggiorna i suoi studi e coinvolge i players ad essere proattivi. Studia le nicchie dei tanti turismi e trova azioni e finanziamenti ad hoc. Non perde tempo a privatizzare aeroporti, ma ritiene invece che attraverso lo Stato (Aena) sia strategico controllarne lo sviluppo, scegliendo le politiche in funzione degli obiettivi dei singoli territori. Puntualmente, ad aprile la società di consulenza Deloitte distribuisce un utile report sulle aspettative del Mercato turistico che è un punto di riferimento. Non è un caso che nel World Economic Forum 2015, in relazione al Travel e Tourism Competitiveness Index, la Spagna abbia il primo posto al mondo. L’Italia l’ottavo. L’Italia ha un Piano Strategico del gennaio 2013, fatto dal Ministro Gnudi (tocata y fuga), che forse non rappresentava l’ottimo, ma già rispetto a quanto (non) visto con il suo predecessore Michela Brambilla era un bel passo in avanti. Ma purtroppo è un piano già dimenticato, nato perdente e presto chiuso nel cassetto. Le nostre 20 regioni, invece, vogliono fare ostinatamente l’Uruguay. Ciascuna vuole andare per proprio conto. Micro azioni, micro budget, micro risultati. Siamo ancora turisticamente anarchici. Siamo ancora l’Italia medioevale dei comuni. E siamo oltre ottomila. Nel frattempo il divario di fatturato turistico prodotto in rapporto alla Spagna, nel 2014 ha superato i 20 miliardi di dollari. Come nel ’74 appunto. Non c’è partita. Turismo totale batte turismo catenacciaro: 2-0. Adiosu Lucio Turismi da Incubo #5 – Triste, solitario y .. Turismi da Incubo #4 – Marinai di foresta Turismi da incubo# 3 – L’ordinanza balneare Turismi da incubo # 02 – Le spiagge Turismi da Incubo #1 – Il convitato di pietra #icare e le www.officine2020.com di #ic Ossia quel che avrei detto se avessi parlato venerdì scorso a nome di www.sardegna2050.it Per la statistica italiana, se sono fortunato, oramai sono un uomo di mezz’età ed in effetti condivido che sia opportuno smettere con questa cosa dei giovani all’infinito. Lo dico a livello generazionale. abbiamo l’età che abbiamo, viviamo con la vitalità di cui siamo capaci. Aveva ragione De Andrè, i kg sono come le nuvole, vanno, vengono ed ogni tanto si fermano, poi dopo 10 mesi di spuntini in barbagia per www.makeinnuoro.it e gli altri viaggi non posso certo fare flessioni in aereo o crunch in macchina mentre guido. prima o poi spariranno (per ritornare :D). Sono libero professionista, mi occupo d’innovazione per le politiche pubbliche e per le imprese, ivi comprese quelle che ancora non esistono che sono quelle che danno maggior soddisfazione. Cerco di seguire tutto, mi muovo molto, nel 2014 157 decolli e 70.000 km, dormo poco e passo un fantastiliardo di ore proprio dentro il web, muovo più bit che me stesso, è tutto li il gioco. Sgombriamo il campo da un equivoco: l’ecosistema dell’innovazione è un mondo povero per definizione proprio perchè è nel confine tra quel che c’è e qual che ci dovrebbe essere, è il motore del cambiamento culturale più necessario che mai in questi tempi, ma non girano soldi, in generale anzi c’è parecchia resistenza, come sapete chi vuol cambiare in genere da più fastidio che altro Parlare dopo Silvano Tagliagambe e tutti gli altri sarebbe stata una condanna, è la cosa più difficile che esista, ogni volta che abbiamo un evento o un lavoro da fare insieme, è imbarazzante, chiedo scusa in anticipo a lui ed al pubblico, da vero indegno relatore, in genere facciamo a gara per parlare prima in modo che ci sia un crescendo anzi che il calo Mi occupo d’innovazione per non fare l’avvocato :D, scherzi a parte, fatto a fan di Emilio Lussu, ti rispondo con le parole di Gramsci, lo faccio perchè anche io odio gli indifferenti, ho energie e le devo spendere nei percorsi che mi appassionano. e ciò che mi appassiona sono i temi di frontiera, sono i processi di cambiamento. il mercato mi riconosce di riuscire a pensare, vedere, scrivere ed attuare proprio sugli scenari, è li che spendo energia, perchè ci credo, perchè vedo che in molti magari non hanno le forze o l’entusiasmo che posso avere io (per fortuna ci sono caratteri differenti). Chi più ha è giusto che più dia e, se tutti applicassero a loro modo il give back, il mondo sarebbe migliore ed andrebbe meglio, in tanti dovrebbero ricordare che la bara non ha tasche. Poi perchè come insegna Silvano ed a breve scriverà (mi perdonerà per la citazione) la creatività è al confine con le patologie mentali, esattamente dove vivo io che non sono a piombo, nel mondo del possibile adiacente, quello dell’innovazione possibile. Occuparsi d’innovazione nelle politiche pubbliche è oggi l’unico modo per uscire dal guado. ha ragione la Mazzuccato, è li che servono investimenti di medio e lungo periodo ed è corretto che sia proprio il pubblico a farlo. Sono stanco di continuare a vedere che fare innovazione in Italia è fare l’ordinario, è indispensabile oramai mettersi a fare le cose che servono, serve ragionare per scenari e linee di tendenza, serve avere una visione, una strategia e la capacità di attuarle. Le politiche pubbliche sono come una partita a tennis, per giocare servono le palle, serve coraggio, solo con forti scommesse di prospettiva ci possiamo risollevare. Attualmente ci sono più soldi che idee e visioni #sappiatelo … a partire dalle cose ovvie, abbiamo un apparato legislativo che è pensato per quando il web non esisteva e vi ho detto tutto, abbiamo gli apparati amministrativi pensati per quando il mondo era altro, non abbiamo una risposta contemporanea che possa essere efficace per i grandi problemi che a breve dovremo affrontare: cibo, acqua, aria, salute, invecchiamento, cyber security, democrazia della rete solo per citarne alcuni. E’ importante poi occuparsi d’innovazione anche nel privato, perchè il mondo è cambiato e continuerà a farlo a velocità progressive, serve quindi nuova impresa e rinnovamento dell’esistente; qui è determinante la capacità di interpretare i bisogni attuali e potenziali delle popolazioni e su quello dare risposte nuove, smart e sostenibili, qui il digitale non solo come soluzione finale ma soprattutto come infrastruttura di base e di processo la farà da padrona. Sull’importanza dell’innovazione nei profili lavorativi. Anche qui, sono convinto che, così come i sindacati e le associazioni di categoria, per non dire i partiti, oramai non solo non rappresentano la realtà, non riescono ad interpretarla e non esprimono le necessità degli iscritti ma proprio non riescono a leggere il mondo. Così i dipendenti pubblici e privati, i professionisti e così via, devono metabolizzare che gli schemi consolidati del mondo e del mercato del lavoro su cui ragionano non esistono più da tempo. seguendoli si arriva ad una roba come la Grecia e via discorrendo. Serve interpretare se stessi nel proprio ruolo in maniera contemporanea e dinamica, se mai ci saranno imprese che assumeranno, ad esempio, cercheranno come dipendente una figura molto simile ad uno startupper, idem per i dipendenti pubblici. Perché esiste un collegamento tra innovazione e creazione di nuova impresa? Per varie ragioni: è li che si fa oramai R&S in outsourcing, è li che si sviluppa la sharing economy, è li che gli open data (ad averne di più!) si trasformeranno in soluzioni per i cittadini, è li che c’è e ci sarà risposta ai problemi occupazionali, dei migranti, dello spopolamento, dell’invecchiamento della popolazione. Auguro a tutti innovazione e cambiamento per fatti concreti, non nelle parole né nei convegni che non sono generativi (e francamente hanno rotto i coglioni). Quindi, ringrazio Dandy Massa e tutti gli amici delle Officine Permanenti per l’invito e per avermi reso partecipe, ringrazio Roberto Spano e Peppone Pirisi (e con loro tutti i relatori) per i pensieri sulle generazioni e sull’intelligenza connettiva. Una bella esperienza di contaminazione e fertilizzazione reciproca in cui, per mero spirito di volontariato, molte persone hanno animato uno spazio pubblico con musica, arte, pittura, teatro, scultura e pensieri sul futuro dell’isola. Con tutta la grinta che posso, io lo dico a voi, ma voi per piacere ditelo la tutti: #avantitutta! Buon vento, Sardegna mia, ne hai davvero bisogno ps -> presto su http://www.ejatv.com/ il reportage Nicola Pirina Ma siamo sicuri che la Sardegna non può essere l'America? I sabato sera portano riflessioni. Almeno così mi sembra. Stavolta il tema era quello di chi si trasferisce e che molla tutto, lavoro compreso. Molla per un misto tra ambizione personale e futuro dei figli. Almeno a parole, poi nessuno si deve mai essere autorizzato a fare i conti in tasca agli altri. Molla tutto, mutuo e socialità costruita, perché qui non vede futuro. Molla per l’America, ancora nel 2015, così come quando eravamo piccoli. Molla per un sogno americano dove lavoro c’è per tutti, dove la sanità è perfetta, dove i problemi politici alla fine non sono provlemi ma discussione, dove il common law è salvifico. Molla perchè così è che vede la situazione alla destinazione. Inutile provare ad argomentare il contrario. Non c’è ascolto. Molla perché questo è un paese di merda. Questo è il punto in cui do ragione. Non posso fare altrimenti. Ci siamo ridotti ad una parodia di noi stessi ed abbiamo frantumato tutto. Perchè un paese è lo specchio della sua popolazione. Molla perché in nessun posto si può far breccia. Perché da nessuna parte si mette mano ai problemi veri come giustizia, amministrazione, ambiente, aria, acqua, sanità, sprechi, semplificazione, tasse, evasione, etc. Ed è proprio questo il punto. Il fatto che non si comprenda che le soluzioni ci sono e che non siamo lontani dal cambiamento, che possibile cambiare. Vero è che, se realmente la società volesse, si potrebbe cambiare nelle direzioni, se non di visione e scenario, almeno di cambiamento deciso a favore delle necessità contingenti. Il problema, mi si ripete nel caldo di un sabato sera, è che siamo una nazione di merda perché siamo un popolo di merda, di truffaldini, di trafficoni, di gente che cerca scappatoie e soluzioni di comodo, accozzi e raccomandazioni o col grembiulino o col partito o col sindacato o con qualche altra fratellanza intesa nel senso becero quale oggi si sono a noi mostrate le classi dirigenti del millennio più accelerato che sia mai esistito. Ma mai nessuno che abbia voluto intendere le fratellanza nel senso positivo. Nel senso che se tutti si impegnassero per eliminare i bisogni di tutti, nessuno sarebbe vittima del sistema corrotto e maledetto che ci sta portando alla rovina, nessuno che pensa ad eliminare le storture regionali e nazionali per far si che si possa scoprire che la Sardegna può essere l’America del nuovo millennio. Se vivessimo in un sistema equo e coeso, dove i principi di solidarietà e sostegno reciproco hanno un significato e sono praticati (non meramente pronunciati), difficilmente potrebbe sopravvivere l’attuale sistema socio economico. Se il nostro paese va definitivamente nella direzione per cui è più importante rifarsi il seno che curare un anziano, in cui è più importante il sistema finanziario che quello sociale, in cui la campagna serve solo come discarica e per le trivelle, beh, NON E’ IL MIO PAESE. NO MORE. Meritiamo di più e meglio. Tutti. Buon vento, Sardegna mia, ne hai bisogno. Tuo affezionato Nicola Turismi da Incubo #5 Triste, solitario y .. Scrivono La Nuova e Sardiniapost “Non bastano la barca, le vele o il vento. Per girare il mondo tra le onde e far conoscere il nome della Sardegna in tutto il mondo ci vogliono anche i soldi”. Bonjour monsieur La Palisse, direte voi. Voi che magari cosa sia la Vendée Globe, lo ignorate proprio. Però se questo vi sta creando insonnia o crisi di identità, siete in ottima compagnia. Il 99% del mondo conosciuto fatica a inquadrare la Vandea, barcolla sentendo Les Sables-d’Olonne, ridente paesotto francese di 14.918 anime, e ha evidenti mancamenti al solo sentire di una regata chiamata Vendée Globe. La storia è però interessante perché un nostro corregionale, famoso velista, vorrebbe cimentarsi in questa impegnativa competizione in solitario, (è proprio il caso di dirlo, perchè i partecipanti, di norma, stentano a superare la dozzina). Per la cronaca, l’ultimo vincitore pare sia stato un tale François Gabart (se non conoscete neppure lui siete velisti da salotto come me, che stentano a distinguere tra Coppa America e Coppa del Nonno) il quale ha concluso il giro del mondo in 78 giorni, migliorando il famoso record di Phileas Fogg ed del suo cameriere Passepartout che completarono “Il giro del mondo in 80 giorni” per vincere una scommessa di 20.000 sterline. Anche il pluridecorato lupo di mare sardo pare abbia fatto una scommessa, però a differenza di Fogg, i capitali purtroppo non ce li ha. Li ha chiesti agli sponsor e alla Regione Sardegna. I primi hanno risposto all’appello, infatti, a quanto si legge, la nuova imbarcazione è già pronta. “Ci hanno pensato i privati”, conferma lo skipper. La Regione invece nicchia e ciurla nel manico, in modo vieppiù sospetto. Il problema è che servono ancora 300.000 euro tondi tondi; “fondi per la gestione del progetto” si sostiene. Denari che qualche politico pare avesse già garantito. Direte voi, gente maledettamente sospettosa: ma benedetto ragazzo, se la barca già ce l’hai, che te ne fai di trecentomila euro? E’ la stessa domanda che immagino si sia fatto il prof. Morandi. Mi piace immaginarlo nelle stanze dell’Assessorato, scuotere la testa, pulire con cura le lenti degli occhiali, prendere una calcolatrice e dividere i 300.000 euro per i giorni della regata, 78 appunto. Trecentomiladivisosettantottougualetremilaottocentoquarantasei virgolaquindicieuro. Quasi 4.000 euro al giorno. Per finanziare un ex-giovanotto che tenterà un’impresa sportiva epica e ambiziosa ma maledettamente costosa e soprattutto oscura ai più. Denari che dovrebbero pagare i sardi. I quali cominciano a chiedersi – trattandosi di traversata in solitario – come e quando il novello Colombo avrà modo di spendere il cospicuo tesoretto, salvo che non riesca a stipare in cambusa qualche migliaia di ettolitri di vermentino e qualche tonnellata di bottarga e pane carasau per il lungo viaggio. La contropartita per la RAS dovrebbe essere la visibilità che l’evento garantirebbe alla Sardegna. Infatti l’astuto skipper ha disegnato la bandiera dei 4 mori sullo scafo, con la speranza che qualcuno la inquadri e la riporti su giornali, riviste, web, ecc., cosa peraltro abbastanza verosimile. E’ il passaggio successivo che diventa assai sdrucciolevole: quanti potranno capire che quella rappresentazione grafica che forse apparirà in un sedicesimo dell’inquadratura, appartiene ad una sperduta isoletta sedicente-terra-di-vacanze del mediterraneo? E se mai lo intuissero, quanti turisti aggiuntivi potranno decidere di prorammare le proprie vacanze su detta isola? Insomma, la domanda è se, considerando il ristrettissimo budget a disposizione del turismo, abbia un senso questa forma di promozione non proprio economicissima? È un investimento che potrà avere ritorni certi e misurabili ? Probabilmente, se l’Assessore ex windsurfista usasse il rigore del buon padre di famiglia augurerebbe buon vento al triste e solitario navigatore e lo saluterebbe agitando pollice e mignolo con uno shaka, ma la partita è diventata tutta politica. Tanto che in viale Trento era tutto un surfare su Wikipedia per capire cosa diavolo fosse l’impronunciabile regata, ma ora sono già tutti più sereni perché gli è stato spiegato che cazzare la vela non è la grave offesa che si pensava in un primo tempo. Frattanto lo skipper, sempre più solitario rimugina sui dubbi espressi dalla Regione e si difende con cipiglio: “Il programma sportivo che abbiamo costruito – dice – toccherà picchi di audience paragonabili ai Mondiali di Calcio, un controvalore mediatico di oltre 200 milioni di euro”. Wow! E’ presumibilmente il turbo-marketing di Kotler servito in salsa campidanese, il cui corollario prevede probabilmente questa estate – se la Vendée Globe è davvero paragonabile ai mondiali di calcio – di mostrarci frotte di ragazzotti girare con la maglia di François Gabart (lo sapevo, avete già dimenticato chi è: tornate all’inizio del pezzo). Gabart e Kotler a parte, il match è solo all’inizio. I media come sempre passano solo veline che parlano di grida di dolore, di tradimento, di grande rischio per l’isola. Nessuna voce fuori dal coro: siamo tutti velisti per caso. Ne vedremo delle belle, nell’attesa ci tocca solo aggiornare il vecchio adagio: siamo un popolo di poeti, santi e aspiranti navigatori solitari, ma tutti dotati di invidiabile creatività. Adiosu Lucio Piccolo è bello (e stavolta anche bravo) No no, tranquilli, non è la solita celebrazione sulle virtù delle piccole e medie imprese che trainano il tessuto economico della nazione. Non è, tanto meno, neanche il solito tormentone estivo sul fatto che in amore le dimensioni non contino. Stavolta la notizia è un’altra e riguarda il trasporto aereo e la Sardegna. Qualche giorno fa, a Milano, la Geasar, società di gestione dell’aeroporto di Olbia, ha vinto l’ATRI AWARD, primo premio come miglior gestore aeroportuale d’Italia. Si si, proprio così, Olbia è il primo aeroporto d’Italia per qualità dei servizi, davanti a colossi come Fiumicino, Malpensa, Linate, Catania solo per fare alcuni nomi grossi. È come se l’anno prossimo il Premio Strega lo vincesse un autore de Il Maestrale o di Fabula Editore, o se Paloschi diventasse il capocannoniere della Serie A, o la Dinamo Sassari in Europa (e qui mi fermo)…. Il valore del premio sta nel fatto di averlo vinto ad Olbia, scalo medio-piccolo come traffico (20^ posto nel 2014, dopo Brindisi, con poco più di due milioni di passeggeri/anno), ma con un fortissimo fenomeno di stagionalità (ben due terzi di questi si muovono fra giugno ed agosto). La chiamano “bravura”: provate voi a tenere al top un aeroporto così anche d’inverno, quando le affollatissime sale estive si trasformano in atri deserti buoni per favolose partite a calcetto o per romantiche passeggiate mano nella mano con la hostess in attesa del volo, o quando le decine di negozi presenti si combattono pochi sparuti passeggeri; provate voi a mantenere in efficenza impianti, strutture, arredi, servizi che funzionano al massimo per 180 giorni e poi, per il resto dell’anno, rischiano di arrugginirsi. Beh, Olbia e Geasar ce l’hanno fatta, azzerando quella diffidenza che spesso sconfina nell’ostilità: chiedete, se ce la fate, un parere sui rispettivi scali ad un cittadino di Fiumicino o di Malpensa o, per non andare lontano, di Elmas; qui, invece, si sono inventati un modellino di gestione che funziona e che viene visto come esempio e studiato in Italia ed Europa, portando, nei mesi “di morbida”, con successo, la città in aeroporto: mostre, concerti, presentazioni di libri, iniziative per bambini, feste, prodotti tipici e territori in esposizione, ect. Insomma tutto quanto contribuisca a mantenere viva una struttura in letargo, rendendola fruibile socialmente e redditizia finanziariamente: per i curiosoni, gli utili di Geasar, nel 2014, sono stati 4,8 mil euro su 31.3 mil di ricavi, (senza contare gli utili prodotti dalle due controllate: Eccelsa 1,1 mil euro e Cortesa utile netto 0,6 mil euro). Per far questo bisogna studiare tanto, confrontarsi, guardare le buone pratiche in giro per il mondo, ed evitare, conoscendole, quelle deleterie: ma soprattutto bisogna avere passione, coraggio e visione strategica, doti necessarie per cambiare lo status quo. Ecco perché questo premio vale, e vale tanto (a proposito, dimenticavo … il management è tutto sardo, e scusate se è poco). Gianfranco Fancello Turismi da Incubo #4 Marinai di foresta Mentre leggevo della sempre disastrosa bilancia commerciale Sarda, che ci qualifica importatori netti di quasi tutto, tranne che di petrolio, mi sono capitati in mano due ritagli di giornale. Il primo del 2012 mi aveva colpito perché trionfaleggiava come solo solo alcuni giornalisti di peso sanno fare: ” Notizie positive per i prodotti sardi” esordiva ” si sta riducendo la nostra dipendenza dall’estero ed i prodotti identitari trovano sempre più sbocchi all’estero”. Niente di serio, come al solito. I dati continuano ostinatamente a rifiutarsi di avvalorare questi voli pindarici. Le importazioni continuano a crescere e le nostre produzioni – salvo poche eccezioni – fanno fatica a mantenere le quote di mercato. Crescono, tra l’altro, anche le importazioni di pesce, che non è il massimo in un isola che è la regione con il maggior numero di km di costa in Italia. E qui veniamo al secondo ritaglio: la pubblicità di una sagra. La crisi del settore della pesca ha trovato un nuovo salvatore a Calangianus, aspirante porticciolo della costa orientale, dove anche quest’anno si svolgerà la 9a edizione della Festa della Paranza. Incuranti di quelle baggianate sull’autenticità che ci rifilano i soloni del turismo pret a porter, sulle colline di Calangianus, in tanti stanno valutando se riconvertire i trattori in pescherecci e le fabbriche di tappi di sughero in industrie di galleggianti. È apparso perciò del tutto naturale organizzare questa manifestazione affatto folkloristica per fare un po’ di sano marketing territoriale. Non vi aspettate naturalmente di vedere tutti i bimbi girare in paese con la canna da pesca, nè di vedere le casalinghe che sul terrazzino asciugano qualche nassa semi nuova. Ma il turista in cerca di tipicità e di storytelling spinto, non resterà deluso. I migliori aspiranti lupi di mare calangianesi, per ora si limiteranno a friggere totani e mangiatutto, ma non escludono un cacciucco alla calangianese, rivisitazione fortemente identitaria del cacciucco livornese. Vecchie corrispondenze potrebbero venire alla luce, narranti di vecchi calangianesi che conobbero un tale, il quale aveva sentito un conoscente che aveva forse una volta letto “Il vecchio e il mare”, o forse aveva visto Spencer Tracy al cinema o in costa smeralda. Vabbè sullo storytelling ci devono ancora lavorare un po’, confermando – se mai ce ne fosse bisogno – quanto sia dura la vita del friggitore di paranza, marinaio di foresta “senza una conchiglia da portare o una rete di illusioni”, già delineata in tempi non sospetti da Fabrizio De Andrè. Attenzione però alla Guerrilla Marketing: come contromossa, Cortina ha annunciato a Natale la sagra della bottarga . Ben ci sta. Adiosu Lucio Ai presidenti delle regioni Nella certezza che il livello nazionale sia difficilmente recuperabile (purtroppo). Se fosse possibile averli davanti, tutti, senza essere interrotto, sicuro d’essere ascoltato, con la certezza d’aver risposte (nella loro consapevolezza che in giro c’è gente che non può essere coglionata, come il sottoscritto e come tanti altri), forse (e sottolineo forse) mi piacerebbe proporre una discussione sui seguenti temi: 1) qual è la sua visione per la sua terra? 2) lo sa che nel diritto italiano non esiste una norma che vieta il licenziamento dei dipendenti pubblici? 2 bis) lo sanno i suoi dipendenti pubblici che lo stipendio matura dopo aver svolto tutto il monte ore mensile e non direttamente quando vengono assunti? 2 ter) lo sa che oltre le agenzie pubbliche (di dubbia funzionalità) esiste un mercato che può evadere ogni necessità sua e dei suoi assessori? 3) conosce il significato della parola rinnovamento? 4) conosce il senso di un piano strategico? 5) lo sa che non è più credibile la scusa “ma la macchina amministrativa mi blocca ogni cosa”? 6) sa che cosa significa competitività territoriale e quali sono le azioni da mettere in campo per stimolarla ed aiutarla? 7) si è accorto che nell’arco dei primi 24 mesi del suo mandato c’è il vuoto spinto? 8) lo sa che in politica comunicazione non è forma ma sostanza? 9) lo sa che le questioni dei pesi politici nelle decisioni e nelle scelte all’elettorato non interessano? 10) si è accorto che da diversi anni l’elettorato è ridotto ai pochissimi che stanno smettendo di avere attaccamento alla maglia? 10bis) lo sa che moltissime aziende hanno chiuso senza possibilità di rinascita e che la stragrande maggioranza della popolazione non ha di che dar da mangiare ai figli? 10ter) lo sa che esiste un mondo nuovo di aziende nuove che fanno cose nuove e che hanno rilevanza su scala globale che possono essere valorizzate e su cui si può far sistema? 11) lo sa che i cittadini non hanno paura delle riforme vere e che se sbaglia può chiedere scusa e dimettersi? 11bis) lo sa che le riforme vere e coraggiose (quelle che esistono e che servono) si possono fare e che ce ne sarebbe bisogno? 11ter) lo sa che è indispensabile investire in innovazione con politiche pubbliche di medio lungo periodo? 12) si è accorto che esiste un mondo al di fuori del palazzo e che va ad una velocità e su contenuti che lei ignora e che la prescinde? 13) se ha risposto a tutte le domande precedenti (cosa di cui dubito) e non ha fatto nulla o non sa come rispondere in maniera plausibile, cosa ci fa ancora seduto davanti a me col titolo di presidente? Nella speranza d’aver risposte e d’essere smentito in questa fase di personale scetticismo, buon vento a tutti, Nicola ps1 -> Quando dico che sono stufo e che voglio prendere la residenza a Bastia, un nano secondo dopo penso con più forza ancora “ma perchè sono io a dovermene andare?” ps2 -> Vorrei che fosse vivo Faber per sentire la sua opinione, mi manca. ps3 -> Avrei altre 10k domande e vorrei che chi come me si impegna spassionatamente nei processi di innovazione sociale riuscisse ad aggregarsi di più e più spesso M.I.C.E. e dintorni Come il gol del portiere a biliardino, le buone pratiche del turismo riescono sempre a sorprendermi. E forse Francesco Morandi, l’Assessore al Turismo, ha un po’ di ragione: dobbiamo cercare di parlare anche dei molti comportamenti virtuosi, degli aspetti positivi del cambiamento, delle best practices. Come la bella esperienza della neo-costituita Rete di Imprese M.I.C.E. (Meeting, Incentive, Congress, Events). Cosa sia una rete di imprese, è oramai abbastanza noto: una nuova forma di aggregazione di imprese, abbastanza flessibile per affrontare insieme progetti specifici e sufficientemente aperta e snella da muoversi velocemente per conseguire obiettivi specifici provando a minimizzare i costi . E’ stata costituita da pochi mesi mettendo insieme 25 operatori dell’offerta per cercare di intercettare insieme flussi turistici che sinora hanno solo sfiorato la Sardegna. Il mercato del Mice è potenzialmente molto consistente e da tutte le analisi effettuate potrebbe garantire ritorni economici significativi, soprattutto nei mesi di spalla, quando il clima pone l’isola al centro dell’attenzione non solo del continente italiano ma anche dell’Europa. Le aziende coinvolte sono 25 e vanno dal grande operatore alberghiero, sino al tour operator, passando per la società di servizi sino ad arrivare all’aeroporto di Olbia. Anche la distribuzione geografica appare equilibrata, nord e sud sono ben rappresentate, per offrire alle aziende clienti pacchetti personalizzabili a piacere e poter costruire eventi non banali. Mice è una scommessa importante anche per sfatare il mito che non sia facile fare network in Sardegna. Troppe le paure di svelare segreti industriali, enormi le diffidenze, preoccupante la mancanza di consuetudine nel lavoro di squadra, si diceva. Invece, grazie a due professionisti del settore, Nicola Pala con esperienza ventennale nel settore degli eventi e del marketing delle destinazioni in ambito nazionale ed Emanuele Cabras esperto in progetti e fondi europei e partnership internazionali, la rete di imprese é nata con i migliori auspici, é viva e – udite udite – dispone persino di un piano triennale di azione. Quasi banale, si ma non in Sardegna. Qui la pianificazione di medio e lungo termine è garantita nelle promesse elettorali ma fatica a trasformarsi in Piani che abbiano scelte strategiche e azioni ad esse coerenti. L’ultimo documento con una qualche lontana parentela con un Piano di cui si ha notizia, erano le Linee Strategiche Triennali del Turismo 2013-2015, che come sempre si configurava come una corposa raccolta di ottime intenzioni, proprio come quelle che ci insegnavano al catechismo. Il MICE era comunque uno dei tanti segmenti (sedicenti) strategici da stimolare, si leggeva infatti: “l’amministrazione promuove il perseguimento di due obiettivi principali: da un lato l’aumento del livello di raccordo e coordinamento tra i soggetti che operano, a vari livelli, all’interno della filiera, dall’altro l’attivazione di strumenti e canali di comunicazione idonei a rendere l’offerta appetibile rispetto alla domanda potenziale”. Nulla fu fatto negli anni a venire. Oggi la rete MICE Sardegna, grazie all’aggregazione spontanea di aziende private è una realtà. Può effettuare pianificazioni di marketing congiunte, cioè favorire l’unione di piccoli/medi budget, per soddisfare obiettivi comuni e attuare azioni di promozione congiunta mirate all’ingresso in nuovi mercati; consente inoltre di aprirsi al confronto e di cominciare a dialogare, ma soprattutto di praticare l’ascolto attivo, valutando le differenti esperienze e i differenti approcci. Parafrasando un vecchio proverbio Inglese: when the cat (la Regione ?) is away, the Mice will play. Adiosu Lucio