Turismi da incubo #6,#icare e le www.officine2020

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Turismi da incubo #6,#icare e le www.officine2020
Turismi da incubo #6
Arriba España
Facendo il confronto tra il sistema turistico Italiano e
quello Spagnolo, viene in mente la storica partita Olanda –
Uruguay dei Mondiali di calcio del ’74.
In campo c’era solo una squadra.
L’Olanda di Cruyff e
Neeskens, che venne subito battezzata ‘arancia meccanica’ e
che faceva pressing, fuorigioco, inventava decine di azioni da
gol, attaccava e difendeva in massa.
Era il calcio totale. E schiantò per sempre il vecchio modo
di giocare.
Oggi sui campi dove si compete per vincere la sfida del
turismo internazionale, la Spagna gioca la stessa partita
dell’Olanda, con analogo modulo di gioco.
L’Italia turistica invece fa l’Uruguay.
Non ha capito che si gioca una partita nuova.
No, l’Italia è sempre uguale a se stessa, innamorata del suo
vecchio catenaccio. Continua a perdere partite, ma non cambia
nè squadra, nè allenatore, nè modulo, nè mentalità di gioco.
La Spagna è reattiva, atletica e gioca un turismo mirato,
dinamico, agile e aggressivo. Tutti i suoi giocatori hanno un
idea piuttosto chiara di cosa fare in campo. Discute, litiga,
misura, informa, ridiscute, ri-litiga, ri-misura e ri-informa.
Poi decide. Non senza polemiche, non senza malumori, ma
decide.
E scrive le decisioni prese su piani, documenti, slides, libri
per fissare dei punti fermi e misurarne gli effetti.
E scrive saggi, articoli, libri e condivide azioni,
investimenti, obiettivi. E risultati.
Crea e diffonde capillarmente cultura turistica.
Si muove
concependo piani e azioni centralizzati che si integrano con
piani e azioni dei sotto-sistemi turistici.
Insomma, gioca il turismo totale sul mercato totale.
Ha piani nazionali e piani locali. Ogni anno aggiorna i suoi
studi e coinvolge i players ad essere proattivi. Studia le
nicchie dei tanti turismi e trova azioni e finanziamenti ad
hoc.
Non perde tempo a privatizzare aeroporti, ma ritiene invece
che attraverso lo Stato (Aena) sia strategico controllarne lo
sviluppo, scegliendo le politiche in funzione degli obiettivi
dei singoli territori. Puntualmente, ad aprile la società di
consulenza Deloitte distribuisce un utile report sulle
aspettative del Mercato turistico che è un punto di
riferimento.
Non è un caso che nel World Economic Forum 2015, in relazione
al Travel e Tourism Competitiveness Index, la Spagna abbia il
primo posto al mondo. L’Italia l’ottavo.
L’Italia ha un Piano Strategico del gennaio 2013, fatto dal
Ministro Gnudi (tocata y fuga), che forse non rappresentava
l’ottimo, ma già rispetto a quanto (non) visto con il suo
predecessore Michela Brambilla era un bel passo in avanti.
Ma purtroppo è un piano già dimenticato, nato perdente e
presto chiuso nel cassetto.
Le nostre 20 regioni, invece, vogliono fare ostinatamente
l’Uruguay. Ciascuna vuole andare per proprio conto. Micro
azioni, micro budget, micro risultati.
Siamo ancora turisticamente anarchici. Siamo ancora l’Italia
medioevale dei comuni. E siamo oltre ottomila.
Nel frattempo il divario di fatturato turistico prodotto in
rapporto alla Spagna, nel 2014 ha superato i 20 miliardi di
dollari.
Come nel ’74 appunto. Non c’è partita.
Turismo totale batte turismo catenacciaro: 2-0.
Adiosu
Lucio
Turismi da Incubo #5 –
Triste, solitario y ..
Turismi da Incubo #4 –
Marinai di foresta
Turismi da incubo# 3 –
L’ordinanza balneare
Turismi da incubo # 02 –
Le spiagge
Turismi da Incubo #1 –
Il convitato di pietra
#icare
e
le
www.officine2020.com di #ic
Ossia quel che avrei detto se avessi parlato venerdì scorso a
nome di www.sardegna2050.it
Per la statistica italiana, se sono fortunato, oramai sono un
uomo di mezz’età ed in effetti condivido che sia opportuno
smettere con questa cosa dei giovani all’infinito. Lo dico a
livello generazionale. abbiamo l’età che abbiamo, viviamo con
la vitalità di cui siamo capaci.
Aveva ragione De Andrè, i kg sono come le nuvole, vanno,
vengono ed ogni tanto si fermano, poi dopo 10 mesi di spuntini
in barbagia per www.makeinnuoro.it e gli altri viaggi non
posso certo fare flessioni in aereo o crunch in macchina
mentre guido. prima o poi spariranno (per ritornare :D).
Sono libero professionista, mi occupo d’innovazione per le
politiche pubbliche e per le imprese, ivi comprese quelle che
ancora non esistono che sono quelle che danno maggior
soddisfazione.
Cerco di seguire tutto, mi muovo molto, nel 2014 157 decolli e
70.000 km, dormo poco e passo un fantastiliardo di ore proprio
dentro il web, muovo più bit che me stesso, è tutto li il
gioco.
Sgombriamo il campo da un equivoco: l’ecosistema
dell’innovazione è un mondo povero per definizione proprio
perchè è nel confine tra quel che c’è e qual che ci dovrebbe
essere, è il motore del cambiamento culturale più necessario
che mai in questi tempi, ma non girano soldi, in generale anzi
c’è parecchia resistenza, come sapete chi vuol cambiare in
genere da più fastidio che altro
Parlare dopo Silvano Tagliagambe e tutti gli altri sarebbe
stata una condanna, è la cosa più difficile che esista, ogni
volta che abbiamo un evento o un lavoro da fare insieme, è
imbarazzante, chiedo scusa in anticipo a lui ed al pubblico,
da vero indegno relatore, in genere facciamo a gara per
parlare prima in modo che ci sia un crescendo anzi che il calo
Mi occupo d’innovazione per non fare l’avvocato :D, scherzi a
parte, fatto a fan di Emilio Lussu, ti rispondo con le parole
di Gramsci, lo faccio perchè anche io odio gli indifferenti,
ho energie e le devo spendere nei percorsi che mi
appassionano. e ciò che mi appassiona sono i temi di
frontiera, sono i processi di cambiamento. il mercato mi
riconosce di riuscire a pensare, vedere, scrivere ed attuare
proprio sugli scenari, è li che spendo energia, perchè ci
credo, perchè vedo che in molti magari non hanno le forze o
l’entusiasmo che posso avere io (per fortuna ci sono caratteri
differenti).
Chi più ha è giusto che più dia e, se tutti applicassero a
loro modo il give back, il mondo sarebbe migliore ed andrebbe
meglio, in tanti dovrebbero ricordare che la bara non ha
tasche.
Poi perchè come insegna Silvano ed a breve scriverà (mi
perdonerà per la citazione) la creatività è al confine con le
patologie mentali, esattamente dove vivo io che non sono a
piombo, nel mondo del possibile adiacente, quello
dell’innovazione possibile.
Occuparsi d’innovazione nelle politiche pubbliche è oggi
l’unico modo per uscire dal guado. ha ragione la Mazzuccato, è
li che servono investimenti di medio e lungo periodo ed è
corretto che sia proprio il pubblico a farlo.
Sono stanco di continuare a vedere che fare innovazione in
Italia è fare l’ordinario, è indispensabile oramai mettersi a
fare le cose che servono, serve ragionare per scenari e linee
di tendenza, serve avere una visione, una strategia e la
capacità di attuarle.
Le politiche pubbliche sono come una partita a tennis, per
giocare servono le palle, serve coraggio, solo con forti
scommesse di prospettiva ci possiamo risollevare.
Attualmente ci sono più soldi che idee e visioni #sappiatelo …
a partire dalle cose ovvie, abbiamo un apparato legislativo
che è pensato per quando il web non esisteva e vi ho detto
tutto, abbiamo gli apparati amministrativi pensati per quando
il mondo era altro, non abbiamo una risposta contemporanea che
possa essere efficace per i grandi problemi che a breve
dovremo affrontare: cibo, acqua, aria, salute, invecchiamento,
cyber security, democrazia della rete solo per citarne alcuni.
E’ importante poi occuparsi d’innovazione anche nel privato,
perchè il mondo è cambiato e continuerà a farlo a velocità
progressive, serve quindi nuova impresa e rinnovamento
dell’esistente; qui è determinante la capacità di interpretare
i bisogni attuali e potenziali delle popolazioni e su quello
dare risposte nuove, smart e sostenibili, qui il digitale non
solo come soluzione finale ma soprattutto come infrastruttura
di base e di processo la farà da padrona.
Sull’importanza dell’innovazione nei profili lavorativi. Anche
qui, sono convinto che, così come i sindacati e le
associazioni di categoria, per non dire i partiti, oramai non
solo non rappresentano la realtà, non riescono ad
interpretarla e non esprimono le necessità degli iscritti ma
proprio non riescono a leggere il mondo. Così i dipendenti
pubblici e privati, i professionisti e così via, devono
metabolizzare che gli schemi consolidati del mondo e del
mercato del lavoro su cui ragionano non esistono più da tempo.
seguendoli si arriva ad una roba come la Grecia e via
discorrendo.
Serve interpretare se stessi nel proprio ruolo in maniera
contemporanea e dinamica, se mai ci saranno imprese che
assumeranno, ad esempio, cercheranno come dipendente una
figura molto simile ad uno startupper, idem per i dipendenti
pubblici.
Perché esiste un collegamento tra innovazione e creazione di
nuova impresa? Per varie ragioni: è li che si fa oramai R&S in
outsourcing, è li che si sviluppa la sharing economy, è li che
gli open data (ad averne di più!) si trasformeranno in
soluzioni per i cittadini, è li che c’è e ci sarà risposta ai
problemi occupazionali, dei migranti, dello spopolamento,
dell’invecchiamento della popolazione.
Auguro a tutti innovazione e cambiamento per fatti concreti,
non nelle parole né nei convegni che non sono generativi (e
francamente hanno rotto i coglioni).
Quindi, ringrazio Dandy Massa e tutti gli amici delle Officine
Permanenti per l’invito e per avermi reso partecipe, ringrazio
Roberto Spano e Peppone Pirisi (e con loro tutti i relatori)
per i pensieri sulle generazioni e sull’intelligenza
connettiva.
Una bella esperienza di contaminazione e fertilizzazione
reciproca in cui, per mero spirito di volontariato, molte
persone hanno animato uno spazio pubblico con musica, arte,
pittura, teatro, scultura e pensieri sul futuro dell’isola.
Con tutta la grinta che posso, io lo dico a voi, ma voi per
piacere ditelo la tutti: #avantitutta!
Buon vento, Sardegna mia, ne hai davvero bisogno
ps -> presto su http://www.ejatv.com/ il reportage
Nicola Pirina
Ma
siamo
sicuri
che
la
Sardegna
non
può
essere
l'America?
I sabato sera portano riflessioni.
Almeno così mi sembra.
Stavolta il tema era quello di chi si trasferisce e che molla
tutto, lavoro compreso.
Molla per un misto tra ambizione personale e futuro dei figli.
Almeno a parole, poi nessuno si deve mai essere autorizzato a
fare i conti in tasca agli altri.
Molla tutto, mutuo e socialità costruita, perché qui non vede
futuro.
Molla per l’America,
ancora nel 2015, così come quando
eravamo piccoli.
Molla per un sogno americano dove lavoro c’è per tutti, dove
la sanità è perfetta, dove i problemi politici alla fine non
sono provlemi ma discussione, dove il common law è salvifico.
Molla perchè così è che vede la situazione alla destinazione.
Inutile provare ad argomentare il contrario. Non c’è ascolto.
Molla perché questo è un paese di merda. Questo è il punto in
cui do ragione. Non posso fare altrimenti. Ci siamo ridotti ad
una parodia di noi stessi ed abbiamo frantumato tutto. Perchè
un paese è lo specchio della sua popolazione.
Molla perché in nessun posto si può far breccia.
Perché da nessuna parte si mette mano ai problemi veri come
giustizia, amministrazione, ambiente, aria, acqua, sanità,
sprechi, semplificazione, tasse, evasione, etc.
Ed è proprio questo il punto.
Il fatto che non si comprenda che le soluzioni ci sono e che
non siamo lontani dal cambiamento, che possibile cambiare.
Vero è che, se realmente la società volesse, si potrebbe
cambiare nelle direzioni, se non di visione e scenario, almeno
di cambiamento deciso a favore delle necessità contingenti.
Il problema, mi si ripete nel caldo di un sabato sera, è che
siamo una nazione di merda perché siamo un popolo di merda, di
truffaldini, di trafficoni, di gente che cerca scappatoie e
soluzioni di comodo, accozzi e raccomandazioni o col
grembiulino o col partito o col sindacato o con qualche altra
fratellanza intesa nel senso becero quale oggi si sono a noi
mostrate le classi dirigenti del millennio più accelerato che
sia mai esistito.
Ma mai nessuno che abbia voluto intendere le fratellanza nel
senso positivo.
Nel senso che se tutti si impegnassero per eliminare i bisogni
di tutti, nessuno sarebbe vittima del sistema corrotto e
maledetto che ci sta portando alla rovina, nessuno che pensa
ad eliminare le storture regionali e nazionali per far si che
si possa scoprire che la Sardegna può essere l’America del
nuovo millennio.
Se vivessimo in un sistema equo e coeso, dove i principi di
solidarietà e sostegno reciproco hanno un significato e sono
praticati (non meramente pronunciati), difficilmente potrebbe
sopravvivere l’attuale sistema socio economico.
Se il nostro paese va definitivamente nella direzione per cui
è più importante rifarsi il seno che curare un anziano, in cui
è più importante il sistema finanziario che quello sociale, in
cui la campagna serve solo come discarica e per le trivelle,
beh, NON E’ IL MIO PAESE. NO MORE.
Meritiamo di più e meglio. Tutti.
Buon vento, Sardegna mia, ne hai bisogno.
Tuo affezionato
Nicola
Turismi da Incubo #5
Triste, solitario y ..
Scrivono
La
Nuova
e
Sardiniapost
“Non bastano la
barca, le vele o il vento. Per
girare il mondo tra le onde e
far conoscere il nome della
Sardegna in tutto il mondo ci
vogliono anche i soldi”.
Bonjour monsieur La Palisse,
direte voi. Voi che magari cosa sia la Vendée Globe, lo
ignorate proprio.
Però se questo vi sta creando insonnia o crisi di identità,
siete in ottima compagnia. Il 99% del mondo conosciuto fatica
a inquadrare la Vandea, barcolla sentendo Les Sables-d’Olonne,
ridente paesotto francese di 14.918 anime, e ha evidenti
mancamenti al solo sentire di una regata chiamata
Vendée
Globe.
La storia è però interessante perché un nostro corregionale,
famoso velista, vorrebbe cimentarsi in questa impegnativa
competizione in solitario, (è proprio il caso di dirlo, perchè
i partecipanti, di norma, stentano a superare la dozzina).
Per la cronaca, l’ultimo vincitore pare sia stato un tale
François Gabart (se non conoscete neppure lui siete velisti da
salotto come me, che stentano a distinguere tra Coppa America
e Coppa del Nonno) il quale ha concluso il giro del mondo in
78 giorni, migliorando il famoso record di Phileas Fogg ed del
suo cameriere Passepartout che completarono “Il giro del mondo
in 80 giorni” per vincere una scommessa di 20.000 sterline.
Anche il pluridecorato lupo di mare sardo pare abbia fatto una
scommessa, però a differenza di Fogg, i capitali purtroppo non
ce li ha. Li ha chiesti agli sponsor e alla Regione Sardegna.
I primi hanno risposto all’appello, infatti, a quanto si
legge, la nuova imbarcazione è già pronta. “Ci hanno pensato i
privati”, conferma lo skipper. La Regione invece nicchia e
ciurla nel manico, in modo vieppiù sospetto.
Il problema è che servono ancora 300.000 euro tondi tondi;
“fondi per la gestione del progetto” si sostiene. Denari che
qualche politico pare avesse già garantito.
Direte voi, gente maledettamente sospettosa: ma benedetto
ragazzo, se la barca già ce l’hai, che te ne fai di
trecentomila euro?
E’ la stessa domanda che immagino si sia fatto il prof.
Morandi. Mi piace immaginarlo nelle stanze dell’Assessorato,
scuotere la testa, pulire con cura le lenti degli occhiali,
prendere una calcolatrice e dividere i 300.000 euro per i
giorni della regata, 78 appunto.
Trecentomiladivisosettantottougualetremilaottocentoquarantasei
virgolaquindicieuro.
Quasi 4.000 euro al giorno. Per finanziare un ex-giovanotto
che tenterà un’impresa sportiva epica e ambiziosa ma
maledettamente costosa e soprattutto oscura ai più. Denari che
dovrebbero pagare i sardi. I quali cominciano a chiedersi –
trattandosi di traversata in solitario – come e quando il
novello Colombo avrà modo di spendere il cospicuo tesoretto,
salvo che non riesca a stipare in cambusa qualche migliaia di
ettolitri di vermentino e qualche tonnellata di bottarga e
pane carasau per il lungo viaggio.
La contropartita per la RAS dovrebbe essere la visibilità che
l’evento garantirebbe alla Sardegna. Infatti l’astuto skipper
ha disegnato la bandiera dei 4 mori sullo scafo, con la
speranza che qualcuno la inquadri e la riporti su giornali,
riviste, web, ecc., cosa peraltro abbastanza verosimile.
E’ il passaggio successivo che diventa assai sdrucciolevole:
quanti potranno capire che quella rappresentazione grafica che
forse apparirà in un sedicesimo dell’inquadratura, appartiene
ad una sperduta isoletta sedicente-terra-di-vacanze del
mediterraneo? E se mai lo intuissero, quanti turisti
aggiuntivi potranno decidere di prorammare le proprie vacanze
su detta isola?
Insomma, la domanda è se, considerando il ristrettissimo
budget a disposizione del turismo, abbia un senso questa forma
di promozione non proprio economicissima? È un investimento
che potrà avere ritorni certi e misurabili ?
Probabilmente, se l’Assessore ex windsurfista usasse il rigore
del buon padre di famiglia augurerebbe buon vento al triste e
solitario navigatore e lo saluterebbe agitando pollice e
mignolo con uno shaka, ma la partita è
diventata tutta
politica. Tanto che in viale Trento era tutto un surfare su
Wikipedia per capire cosa diavolo fosse l’impronunciabile
regata, ma ora sono già tutti più sereni perché gli è stato
spiegato che cazzare la vela non è la grave offesa che si
pensava in un primo tempo.
Frattanto
lo skipper, sempre più solitario rimugina sui dubbi
espressi dalla Regione e si difende con cipiglio: “Il
programma sportivo che abbiamo costruito – dice – toccherà
picchi di audience paragonabili ai Mondiali di Calcio, un
controvalore mediatico di oltre 200 milioni di euro”. Wow! E’
presumibilmente il turbo-marketing di Kotler servito in salsa
campidanese, il cui corollario prevede probabilmente questa
estate – se la Vendée Globe è davvero paragonabile ai mondiali
di calcio – di mostrarci frotte di ragazzotti girare con la
maglia di François Gabart (lo sapevo, avete già dimenticato
chi è: tornate all’inizio del pezzo).
Gabart e Kotler a parte, il match è solo all’inizio. I media
come sempre passano solo veline che parlano di grida di
dolore, di tradimento, di grande rischio per l’isola. Nessuna
voce fuori dal coro: siamo tutti velisti per caso.
Ne vedremo delle belle, nell’attesa ci tocca solo aggiornare
il vecchio adagio: siamo un popolo di poeti, santi e aspiranti
navigatori
solitari,
ma
tutti
dotati
di
invidiabile creatività.
Adiosu
Lucio
Piccolo è bello (e stavolta
anche bravo)
No no, tranquilli, non è la solita celebrazione sulle virtù
delle piccole e medie imprese
che trainano il tessuto
economico della nazione. Non è, tanto meno, neanche il solito
tormentone estivo sul fatto che in amore le dimensioni non
contino.
Stavolta la notizia è un’altra e riguarda il trasporto aereo e
la Sardegna. Qualche giorno fa, a Milano, la Geasar, società
di gestione dell’aeroporto di Olbia, ha vinto l’ATRI AWARD,
primo premio come miglior gestore aeroportuale d’Italia.
Si si, proprio così, Olbia è il primo aeroporto d’Italia per
qualità dei servizi, davanti a colossi come Fiumicino,
Malpensa, Linate, Catania solo per fare alcuni nomi grossi. È
come se l’anno prossimo il Premio Strega lo vincesse un autore
de Il Maestrale o di Fabula Editore, o se Paloschi diventasse
il capocannoniere della Serie A, o la Dinamo Sassari in Europa
(e qui mi fermo)….
Il valore del premio sta nel fatto di averlo vinto ad Olbia,
scalo medio-piccolo come traffico (20^ posto nel 2014, dopo
Brindisi, con poco più di due milioni di passeggeri/anno), ma
con un fortissimo fenomeno di stagionalità (ben due terzi di
questi si muovono fra giugno ed agosto).
La chiamano “bravura”: provate voi a tenere al top un
aeroporto così anche d’inverno, quando le affollatissime sale
estive si trasformano in atri deserti buoni per favolose
partite a calcetto o per romantiche passeggiate mano nella
mano con la hostess in attesa del volo, o quando le decine di
negozi presenti si combattono pochi sparuti passeggeri;
provate voi a mantenere in efficenza impianti, strutture,
arredi, servizi che funzionano al massimo per 180 giorni e
poi, per il resto dell’anno, rischiano di arrugginirsi.
Beh, Olbia e Geasar ce l’hanno fatta, azzerando quella
diffidenza che spesso sconfina nell’ostilità: chiedete, se ce
la fate, un parere sui rispettivi scali ad un cittadino di
Fiumicino o di Malpensa o, per non andare lontano, di Elmas;
qui, invece, si sono inventati un modellino di gestione che
funziona e che viene visto come esempio e studiato in Italia
ed Europa, portando, nei mesi “di morbida”, con successo, la
città in aeroporto: mostre, concerti, presentazioni di libri,
iniziative per bambini, feste, prodotti tipici e territori in
esposizione, ect. Insomma tutto quanto contribuisca a
mantenere viva una struttura in letargo, rendendola fruibile
socialmente e redditizia finanziariamente: per i curiosoni,
gli utili di Geasar, nel 2014, sono stati 4,8 mil euro su 31.3
mil di ricavi, (senza contare gli utili prodotti dalle due
controllate: Eccelsa 1,1 mil euro e Cortesa utile netto 0,6
mil euro).
Per far questo bisogna studiare tanto, confrontarsi, guardare
le buone pratiche in giro per il mondo, ed evitare,
conoscendole, quelle deleterie: ma soprattutto bisogna avere
passione, coraggio e visione strategica, doti necessarie per
cambiare lo status quo.
Ecco perché questo premio vale, e vale tanto (a proposito,
dimenticavo … il management è tutto sardo, e scusate se è
poco).
Gianfranco Fancello
Turismi da Incubo #4
Marinai di foresta
Mentre leggevo della sempre disastrosa bilancia commerciale
Sarda, che ci qualifica importatori netti di quasi tutto,
tranne che di petrolio, mi sono capitati in mano due ritagli
di giornale.
Il primo del 2012 mi aveva colpito perché trionfaleggiava
come solo solo alcuni giornalisti di peso sanno fare: ”
Notizie positive per i prodotti sardi” esordiva ” si sta
riducendo la nostra dipendenza dall’estero ed i prodotti
identitari trovano sempre più sbocchi all’estero”.
Niente di serio, come al solito. I dati continuano
ostinatamente a rifiutarsi di avvalorare questi voli
pindarici. Le importazioni continuano a crescere e le nostre
produzioni – salvo poche eccezioni – fanno fatica a mantenere
le quote di mercato.
Crescono, tra l’altro, anche le importazioni di pesce, che non
è il massimo in un isola che è la regione con il maggior
numero di km di costa in Italia.
E qui veniamo al secondo ritaglio: la pubblicità di una sagra.
La crisi del settore della
pesca ha trovato un nuovo
salvatore a Calangianus, aspirante porticciolo della costa
orientale, dove anche quest’anno si svolgerà la 9a edizione
della Festa della Paranza.
Incuranti
di
quelle
baggianate
sull’autenticità
che
ci
rifilano i soloni del turismo pret a porter, sulle colline di
Calangianus, in tanti stanno valutando se riconvertire i
trattori in pescherecci e le fabbriche di tappi di sughero in
industrie di galleggianti.
È apparso perciò del tutto naturale organizzare questa
manifestazione affatto folkloristica per fare un po’ di sano
marketing territoriale. Non vi aspettate naturalmente di
vedere tutti i bimbi girare in paese con la canna da pesca, nè
di vedere le casalinghe che sul terrazzino asciugano qualche
nassa semi nuova.
Ma il turista in cerca di tipicità e di storytelling spinto,
non resterà deluso.
I migliori aspiranti lupi di mare calangianesi, per ora si
limiteranno a friggere totani e mangiatutto, ma non escludono
un cacciucco alla calangianese, rivisitazione fortemente
identitaria del cacciucco livornese. Vecchie corrispondenze
potrebbero venire alla luce, narranti di vecchi calangianesi
che conobbero un tale, il quale aveva sentito un conoscente
che aveva forse una volta letto “Il vecchio e il mare”, o
forse aveva visto Spencer Tracy al cinema o in costa smeralda.
Vabbè sullo storytelling ci devono ancora lavorare un po’,
confermando – se mai ce ne fosse bisogno – quanto sia dura la
vita del friggitore di paranza, marinaio di foresta “senza una
conchiglia da portare o una rete di illusioni”, già delineata
in tempi non sospetti da Fabrizio De Andrè.
Attenzione però alla Guerrilla Marketing: come contromossa,
Cortina ha annunciato a Natale la sagra della bottarga .
Ben ci sta.
Adiosu
Lucio
Ai presidenti delle regioni
Nella certezza che il livello
nazionale sia difficilmente
recuperabile (purtroppo).
Se fosse possibile averli davanti, tutti, senza essere
interrotto, sicuro d’essere ascoltato, con la certezza d’aver
risposte (nella loro consapevolezza che in giro c’è gente che
non può essere coglionata, come il sottoscritto e come tanti
altri), forse (e sottolineo forse) mi piacerebbe proporre una
discussione sui seguenti temi:
1) qual è la sua visione per la sua terra?
2) lo sa che nel diritto italiano non esiste una norma che
vieta il licenziamento dei dipendenti pubblici?
2 bis) lo sanno i suoi dipendenti pubblici che lo stipendio
matura dopo aver svolto tutto il monte ore mensile e non
direttamente quando vengono assunti?
2 ter) lo sa che oltre le agenzie pubbliche (di dubbia
funzionalità) esiste un mercato che può evadere ogni necessità
sua e dei suoi assessori?
3) conosce il significato della parola rinnovamento?
4) conosce il senso di un piano strategico?
5) lo sa che non è più credibile la scusa “ma la macchina
amministrativa mi blocca ogni cosa”?
6) sa che cosa significa competitività territoriale e quali
sono le azioni da mettere in campo per stimolarla ed aiutarla?
7) si è accorto che nell’arco dei primi 24 mesi del suo
mandato c’è il vuoto spinto?
8) lo sa che in politica comunicazione non è forma ma
sostanza?
9) lo sa che le questioni dei pesi politici nelle decisioni e
nelle scelte all’elettorato non interessano?
10) si è accorto che da diversi anni l’elettorato è ridotto ai
pochissimi che stanno smettendo di avere attaccamento alla
maglia?
10bis) lo sa che moltissime aziende hanno chiuso senza
possibilità di rinascita e che la stragrande maggioranza della
popolazione non ha di che dar da mangiare ai figli?
10ter) lo sa che esiste un mondo nuovo di aziende nuove che
fanno cose nuove e che hanno rilevanza su scala globale che
possono essere valorizzate e su cui si può far sistema?
11) lo sa che i cittadini non hanno paura delle riforme vere e
che se sbaglia può chiedere scusa e dimettersi?
11bis) lo sa che le riforme vere e coraggiose (quelle che
esistono e che servono) si possono fare e che ce ne sarebbe
bisogno?
11ter) lo sa che è indispensabile investire in innovazione con
politiche pubbliche di medio lungo periodo?
12) si è accorto che esiste un mondo al di fuori del palazzo e
che va ad una velocità e su contenuti che lei ignora e che la
prescinde?
13) se ha risposto a tutte le domande precedenti (cosa di cui
dubito) e non ha fatto nulla o non sa come rispondere in
maniera plausibile, cosa ci fa ancora seduto davanti a me col
titolo di presidente?
Nella speranza d’aver risposte e d’essere smentito in questa
fase di personale scetticismo,
buon vento a tutti,
Nicola
ps1 -> Quando dico che sono stufo e che voglio prendere la
residenza a Bastia, un nano secondo dopo penso con più forza
ancora “ma perchè sono io a dovermene andare?”
ps2 -> Vorrei che fosse vivo Faber per sentire la sua
opinione, mi manca.
ps3 -> Avrei altre 10k domande e vorrei che chi come me si
impegna spassionatamente nei processi di innovazione sociale
riuscisse ad aggregarsi di più e più spesso
M.I.C.E. e dintorni
Come il gol del portiere a
biliardino, le buone pratiche
del turismo riescono sempre a
sorprendermi.
E forse Francesco Morandi,
l’Assessore al Turismo, ha un
po’ di ragione: dobbiamo cercare
di parlare anche dei molti comportamenti virtuosi, degli
aspetti positivi del cambiamento, delle best practices.
Come la bella esperienza della neo-costituita Rete di Imprese
M.I.C.E. (Meeting, Incentive, Congress, Events).
Cosa sia una rete di imprese, è oramai abbastanza noto: una
nuova forma di aggregazione di imprese, abbastanza flessibile
per affrontare insieme progetti specifici e sufficientemente
aperta e snella da muoversi velocemente per conseguire
obiettivi specifici provando a minimizzare i costi .
E’ stata costituita da pochi mesi mettendo insieme 25
operatori dell’offerta per cercare di intercettare insieme
flussi turistici che sinora hanno solo sfiorato la Sardegna.
Il mercato del Mice è potenzialmente molto consistente e da
tutte le analisi effettuate potrebbe garantire ritorni
economici significativi, soprattutto nei mesi di spalla,
quando il clima pone l’isola al centro dell’attenzione non
solo del continente italiano ma anche dell’Europa.
Le aziende coinvolte sono 25 e vanno dal grande operatore
alberghiero, sino al tour operator, passando per la società di
servizi sino ad arrivare all’aeroporto di Olbia.
Anche la distribuzione geografica appare equilibrata, nord e
sud sono ben rappresentate, per offrire alle aziende clienti
pacchetti personalizzabili a piacere e poter costruire eventi
non banali.
Mice è una scommessa importante anche per sfatare il mito che
non sia facile fare network in Sardegna. Troppe le paure di
svelare segreti industriali, enormi le diffidenze,
preoccupante la mancanza di consuetudine nel lavoro di
squadra, si diceva.
Invece, grazie a due professionisti del settore, Nicola Pala
con esperienza ventennale nel settore degli eventi e del
marketing delle destinazioni in ambito nazionale ed Emanuele
Cabras esperto in progetti e fondi europei e partnership
internazionali, la rete di imprese é nata con i migliori
auspici, é viva e – udite udite – dispone persino di un piano
triennale di azione.
Quasi banale, si ma non in Sardegna. Qui la pianificazione di
medio e lungo termine è garantita nelle promesse elettorali ma
fatica a trasformarsi in Piani che abbiano scelte strategiche
e azioni ad esse coerenti.
L’ultimo documento con una qualche lontana parentela con un
Piano di cui si ha notizia, erano le Linee Strategiche
Triennali del Turismo 2013-2015, che come sempre si
configurava come una corposa raccolta di ottime intenzioni,
proprio come quelle che ci insegnavano al catechismo.
Il MICE era comunque uno dei tanti segmenti (sedicenti)
strategici
da
stimolare,
si
leggeva
infatti:
“l’amministrazione promuove il perseguimento di due obiettivi
principali: da un lato l’aumento del livello di raccordo e
coordinamento tra i soggetti che operano, a vari livelli,
all’interno della filiera, dall’altro l’attivazione di
strumenti e canali di comunicazione idonei a rendere l’offerta
appetibile rispetto alla domanda potenziale”.
Nulla fu fatto negli anni a venire.
Oggi la rete MICE Sardegna, grazie all’aggregazione spontanea
di aziende private è una realtà.
Può effettuare pianificazioni di marketing congiunte, cioè
favorire l’unione di piccoli/medi budget, per soddisfare
obiettivi comuni e attuare azioni di promozione congiunta
mirate all’ingresso in nuovi mercati; consente inoltre di
aprirsi al confronto e di cominciare a dialogare, ma
soprattutto di praticare l’ascolto attivo, valutando le
differenti esperienze e i differenti approcci.
Parafrasando un vecchio proverbio Inglese: when the cat (la
Regione ?) is away, the Mice will play.
Adiosu
Lucio