SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VARESE SEZIONE I CIVILE

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SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VARESE SEZIONE I CIVILE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI VARESE
SEZIONE I CIVILE
In persona del Giudice Dr.ssa Claudia Bonomi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al R.G. n. …………….., promossa da:
X e V,
con l’avv. R.B.
- attrici –
contro
Y,
con l’avv. L.C.
- convenuto –
“OMISSIS”……….
svolgimento del processo e ragioni della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato X e V esponevano che dalla
relazione tra la signora X e Y era nata il ………….. V, che al momento della
nascita il padre si era rifiutato di riconoscere la figlia; che il convenuto non
aveva mai provveduto al mantenimento di V, eccezion fatta per alcuni
sporadici versamenti; che nel luglio 1994 l’odierno convenuto aveva chiesto
di poter conoscere la figlia; che negli anni immediatamente successivi, Y
incontrò V alcune volte; che nel 1998 il convenuto provvide a riconoscere V,
che aggiunse al proprio cognome quello del padre; che nonostante l’avvenuto
riconoscimento, il padre non ha mai provveduto a mantenere in modo
regolare V, nel frattempo divenuta studentessa universitaria; che in ogni caso
il convenuto decise nel 2007 di interrompere il versamento di ogni contributo
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al mantenimento della figlia, nonostante V stesse ancora terminando il
percorso di studi; che l’odierno convenuto svolge attività di agente di
commercio e vive in Germania, ove conduce una vita agiata; che X
percepisce un trattamento pensionistico di euro 1.200,00 al mese;
domandavano quindi che Y fosse condannato al rimborso del 50% dei costi
di mantenimento di V sino a qui sopportati dalla madre e che fosse
condannato al risarcimento dei danni cagionati alla figlia dalla condotta di
assoluto disinteresse nei confronti di V.
Si costituiva il convenuto, il quale esponeva di aver frequentato, seppur con
difficoltà V, nei primi tre anni di vita della minore; di aver avuto difficoltà
relazionali con le attrici cagionate dal comportamento dei genitori della X che
lo avevano successivamente costretto ad interrompere ogni rapporto con la
figlia; di aver ripreso i rapporti con V dopo la morte dei genitori della X e di
aver da allora contribuito al mantenimento della figlia in modo spontaneo,
senza ricevere sollecitazioni in tale senso; del pari riferiva che in modo
assolutamente spontaneo aveva provveduto a riconoscere V nel 1998; di
averla mantenuta durante il corso di studi sino alla laurea; eccepiva in ogni
caso la prescrizione dell’azione di rimborso; contestava inoltre che nei suoi
comportamenti fossero ravvisabili gli estremi del reato ex art. 570 c.p., o di
un illecito ex art. 2043 c.c., e che quindi sussistessero i presupposti per il
risarcimento del danno invocato dalla ragazza; che comunque non era stato
nemmeno specificamente individuato il pregiudizio asseritamente patito da
V; domandava quindi il rigetto delle domande contro di sé proposte.
Il Giudice ammetteva parzialmente le istanze istruttorie articolate dalle parti;
all’esito dell’istruttoria orale, ritenuta la causa matura per la decisione,
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rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 23.11.2012.
Ritiene il Tribunale che le domande attoree meritino accoglimento per i
motivi di cui in appresso.
a) X ha innanzitutto domandato il rimborso in proprio favore della quota del
50% delle spese di mantenimento ed istruzione di V, dalla nascita ad oggi.
Deve premettersi che il combinato disposto degli articoli 147 e 148 c.c. pone
in capo ai genitori l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in
proporzione alle proprie sostanze e capacità lavorative: tale obbligo grava
anche sui genitori di figli nati fuori dal matrimonio ex art. 261 ed ex art. 315
bis c.c..
Si aderisce all’orientamento giurisprudenziale che qualifica l’obbligo di
mantenere i figli come solidale, e legittima quindi il genitore che vi abbia
provveduto in via esclusiva o eccedente la propria quota ad esercitare nei
confronti dell’altro azione di regresso (cfr. Cass. Sent. N. 15063/2000).
Nel caso di figli naturali, l’obbligo in parola decorre dal momento della
nascita, ma per i figli riconosciuti successivamente, diviene esigibile soltanto
con il riconoscimento (sebbene con effetti ex tunc) (cfr. Cass. Sent. N.
26575/2007, Cass. Sent. N. 23596/2006).
Il momento del riconoscimento determina pertanto anche il dies a quo del
decorso della prescrizione. (Cass. Sent. n. 23596/2006): nel caso di specie
deve pertanto in primo luogo rigettarsi la relativa eccezione.
Il riconoscimento di V è infatti avvenuto in data 15.8.1998, laddove la
notifica dell’atto di citazione al convenuto – evento interruttivo della
prescrizione – è del 8.7.2008, quindi oltre un mese prima del maturare della
prescrizione stessa.
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Quanto al merito, si rileva come l’attrice agisca in regresso per la quota del
50% delle spese di mantenimento sostenute: se ne deve assumere che X abbia
implicitamente
allegato
una
sostanziale
equiparabilità
reddituale
e
patrimoniale tra sé ed il convenuto, giacché ha domandato la determinazione
in egual misura tra sé ed il padre della quota di mantenimento di V che ex art.
148 c.c. dovrebbe gravare su ciascuno dei due genitori in proporzione alla
rispettiva situazione economica.
Peraltro si rileva come anche Y abbia allegato una sostanziale equiparabilità
reddituale e patrimoniale tra sé e la X, con allegazioni confermate anche in
comparsa di costituzione e risposta.
Quanto ai costi sostenuti dalla X, si rileva come l’attrice abbia in primo luogo
allegato di aver versato negli anni per le spese straordinarie variamente
qualificate (acquisto di libri scolastici, prestazioni odontoiatriche, ecc. cfr.
doc. 3 e da 10 a 16, 22 e 33) la somma complessiva di euro 34.432,65.
Tale importo non è stato specificamente contestato dal convenuto nella prima
difesa successiva alla predetta produzione e deve pertanto ritenersi
incontroverso ai fini del decidere, in quanto non richiedente una specifica
valutazione.
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, ben prima della novella
dell’art. 115 c.p.c. ex lege 69/2009, che, fin dalla nuova formulazione
dell’art. 167 c. 1 c.p.c. (risalente al 1990) sussiste nel nostro Ordinamento un
onere di specifica e tempestiva contestazione dei fatti allegati da controparte.
In presenza di una contestazione meramente generica, di stile, ovvero tardiva,
quanto oggetto di allegazione di controparte deve ritenersi acquisito al
materiale probatorio e non richiede alcuna ulteriore verifica (Cass. Sent. n.
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27596/2008, Cass. Sent. n. 12231/2007).
Ciò accade nel caso di specie, ove il convenuto si è limitato a genericamente
eccepire l’inidoneità probatoria dei documenti prodotti dall’attrice.
Quanto al mantenimento ordinario, deve in primo luogo premettersi che non
può ragionevolmente rientrare negli oneri probatori di parte attrice la precisa
indicazione di quanto speso nel corso di 25 anni di vita di V (giacché a tale
data si arresta la domanda attorea cfr. anche pag. 6 comparsa conclusionale)
per vitto, alloggio e cd spese ordinarie, a meno di non pretendere dall’attrice
la produzione in giudizio di ogni singolo scontrino fiscale attestante
l’acquisto di un pezzo di pane o simili per la figlia.
Il costo del mantenimento ordinario può pertanto essere quantificato in base
alle conoscenze rientranti nella comune esperienza ex art. 115 c. 2 c.p.c..
Ci si limita a rilevare come parte convenuta abbia dimostrato di condividere
tale metodologia, producendo in giudizio statistica contenente l’importo
medio degli assegni di mantenimento della prole posti a carico del genitore
non collocatario in caso di divorzio (doc. 8 convenuto).
Ora, secondo il Rapporto famiglia CISF del 2009, il costo medio mensile di
mantenimento di un figlio in Italia nella fase della prima infanzia è di circa
550,00 euro, e cresce ad euro 700,00 dopo il compimento del V anno di età
(pag. 165 rapporto citato).
Tale ultima somma appare in linea con le citate produzioni documentali del
convenuto, secondo cui l’importo medio mensile degli assegni di
mantenimento dei figli stabiliti a carico dei genitori non collocatari per il solo
distretto di Milano è di euro 415,44 (si badi bene: l’importo medio del
contributo gravante su uno solo dei due genitori, e quindi sul presupposto che
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anche l’altro genitore, collocatario, contribuisca poi per la sua quota al
mantenimento del figlio).
Prendendo a base i dati CISF sopra riportati – in quanto idonei a riassumere
ex art. 115 c. 2 c.p.c. le conoscenze rientranti nella comune esperienza in
merito al costo di accrescimento della prole – il costo di mantenimento
ordinario di V può essere così determinato: euro 33.000,00 nei primi 5 anni
di vita (euro 550,00x12x5), ed euro 168.000,00 dai 5 ai 25 anni (euro
700,00x12x20) e così per un totale di euro 201.000,00.
A questa somma deve aggiungersi l’importo delle spese straordinarie non
contestate (euro 34.432,65) per un totale di euro 235.432,65.
Ne consegue che la quota di rimborso dovuta dal padre alla madre è di euro
68.123,83, calcolata dividendo per due l’importo di euro 235.432,65 e
sottraendo quindi al risultato (euro 117.716,32) quanto effettivamente già
versato da Y e pari ad euro 49.592,49 (cfr. doc. 1 convenuto, importo
confermato dalle attrici in sede di interrogatorio formale).
Ne consegue che la somma dovuta a titolo di rimborso dal convenuto a X è
pari ad euro 68.123,83.
Peraltro, l’attrice ha anche richiesto il risarcimento del maggior danno da
svalutazione ex art. 1224 c. 2 c.c..
Ritiene il Tribunale che la domanda meriti accoglimento.
A tale proposito, si presta piena adesione a quanto affermato dalla Cassazione
a Sezioni Unite con la sentenza n. 19499/2008, la quale ha sancito che la
mancata disponibilità delle somme dovute comporti presuntivamente per il
creditore un maggior danno, rispetto ai meri interessi legali, corrispondente
alla differenza tra il tasso medio di rendimento netto (dedotta l’imposta) dei
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titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi (o tra il tasso di
inflazione se superiore) e quello degli interessi legali (se inferiore).
Ne consegue che quando il creditore si limiti a domandare il risarcimento del
maggior danno da svalutazione, senza allegare alcun elemento che permetta
la sua puntuale quantificazione, con riferimento all’impiego che il creditore
stesso avrebbe fatto delle somme a lui dovute, la misura del maggior danno
potrà essere comunque, presuntivamente, calcolata secondi i criteri che
precedono.
Ne consegue che sulla somma capitale dovuta a titolo di rimborso, oltre agli
interessi di mora al tasso legale, dovrà essere calcolato anche il maggior
danno, dal giorno della mora (8.7.2008 – data di notifica dell’atto di
citazione) alla data odierna, in misura pari alla differenza tra il tasso del
rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a
dodici mesi ed il saggio degli interessi legali.
Alla data odierna, la somma complessivamente dovuta da Y alla X è pari
quindi ad euro 75.297,30, ovvero alla somma capitale di euro 68.123,83 più
gli interessi legali di mora dal 8.7.2008, oltre al maggior danno (calcolato
secondo i predetti criteri, con decorrenza dal 8.7.2008) e pari ad euro 733,43.
b) Deve accogliersi anche la domanda di risarcimento del danno formulata da
V nei confronti del padre.
Ritiene la scrivente in primo luogo di dover chiarire che non è in questa sede
in contestazione il diritto di V ad essere amata dal padre, in quanto l’affetto
non è coercibile e non è nemmeno coercito dal nostro Ordinamento, che non
impone ai genitori di riversare amore e sincere attenzioni nei confronti di un
soggetto solo perché biologicamente da loro generato.
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La Carta Costituzionale – e quindi il codice civile – impongono però ai padri
ed alle madri di istruire, educare e mantenere i figli; tale obbligo deve essere
inteso come dovere per chi metta al mondo dei figli di accompagnarne la
crescita, mediante l’assunzione di concrete responsabilità nelle scelte
educative, e di un ruolo di riferimento nel percorso di sviluppo del minore.
Le previsioni normative dianzi citate valgono ad evitare, in estrema sintesi,
l’abbandono dei figli a loro stessi dopo la procreazione, giacché nessuno può
diventare adulto senza accanto figure – a loro volta adulte – che ne
accompagnino, guidino, sorveglino lo sviluppo.
Ciò a prescindere dai rapporti in essere con l’altro genitore e dalle personali
condizioni di vita: diversamente opinando, la semplice sussistenza di
difficoltà relazionali con l’altro genitore legittimerebbe il totale disinteresse
nei confronti del figlio.
Tali
specifiche
condizioni
potranno
semmai
rilevare
in
sede
di
quantificazione del danno, giacché un genitore naturale che non abbia più
rapporti con la madre e viva all’Estero non potrebbe, anche volendo, essere
figura di riferimento parificabile a quella di un genitore convivente, presente
nel quotidiano, e partecipe pertanto di tutte le difficoltà, gioie, scelte proprie
del cammino verso l’età adulta.
Se esiste un dovere dei genitori di istruire, educare, mantenere i figli, da
intendere nel senso dianzi esposto, esiste anche un diritto – di rango
costituzionale – dei figli ad essere accompagnati nella crescita, ed affiancati
nel cammino verso l’età adulta.
L’adempimento dell’obbligo di accompagnare la crescita, di essere figura di
riferimento per la prole, richiede certamente il farsi presente al figlio, in
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primo luogo palesandosi come genitore.
Il convenuto nella presente sede ha tentato di attribuire ai genitori della X la
responsabilità per l’iniziale mancata instaurazione di qualsiasi rapporto con
V.
Tale assunto, rimasto peraltro una mera allegazione in atti, non avrebbe in
ogni caso potuto operare quale scriminante, poiché il riconoscimento di un
figlio e l’instaurazione di un effettivo rapporto con lui non postulano
l’assenso dei genitori dell’ex compagna.
Y ha inoltre allegato di aver ripreso i rapporti con V alla morte dei genitori
della X, ma ha anche confermato, nel corso dell’interrogatorio formale, di
non aver rivelato da subito alla ragazza di essere suo padre.
Il formale riconoscimento è peraltro avvenuto solo 4 anni dopo la ripresa dei
rapporti (nel 1998), senza che il convenuto abbia inteso spiegare il perché di
tale attesa, una volta venute meno quelle che a suo dire erano le uniche
ragioni ostative dell’instaurarsi del rapporto con V (presenza in vita dei
nonni).
Il convenuto ha confermato che nel corso degli anni successivi i rapporti con
la ragazza sono stati per lo più telefonici, con cadenza settimanale: tali
sporadici
contatti
manifestano
un’assoluta
indifferenza
per
l’accompagnamento del cammino evolutivo della minore, soprattutto in
considerazione del fatto che la totale assenza di rapporti nei primi dodici anni
avrebbe certamente imposto un recupero di tempi ed intensità di relazioni ben
maggiore, a chi avesse voluto in qualche modo rimediare ad una completa
privazione della figura paterna nei primi anni di esistenza della figlia.
Proprio in quegli anni dunque – dal 1994 in poi – assunta la decisione di
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conoscere la ragazza, il convenuto avrebbe dovuto rendersi più presente, se
non con autentico e spontaneo affetto, per lo meno nella condivisione delle
scelte educative e quale figura di riferimento per la ragazza.
E’ evidente che una telefonata alla settimana non appare lo strumento più
idoneo ai fini di cui sopra.
E’ appena il caso di rimarcare come il comportamento processuale del
convenuto concorra ex art. 116 c.p.c. a rafforzare il convincimento del
Tribunale in ordine all’illiceità della condotta, nel senso sopra chiarito, del Y,
che nemmeno in questa sede si è assunto le proprie responsabilità, ma, al
contrario, ha chiesto il rigetto delle domande in punto di rimborso delle spese
di mantenimento ed ha tentato di attribuire alla stessa V la responsabilità per
la mancata instaurazione del rapporto tra i due dopo il 1994.
Tale ultimo assunto non merita accoglimento, non potendosi demandare
l’assunzione delle responsabilità genitoriali, e il concreto atteggiarsi a
genitore, alla volontà di una figlia che, disconosciuta fino all’età di 16 anni,
non ha – comprensibilmente – immediatamente palesato una totale ed
assoluta fiducia verso la figura paterna.
Questo non doveva certamente impedire a Y di tentare di svolgere
effettivamente quel ruolo di guida che gli compete, utilizzando il proprio
tempo e le proprie risorse, anche economiche, per offrirsi attivamente di
accompagnare la crescita di V.
Alla luce di quanto dianzi esposto appaiono integrati i presupposti del
richiesto risarcimento, poiché il comportamento del convenuto, contrario agli
obblighi sullo stesso gravanti ex art. 30 Cost. e 147 c.c. ha certamente privato
V se non dell’affetto (che come detto non è coercibile) certamente di quel
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partecipe accompagnamento della crescita che invece è diritto –
costituzionalmente tutelato – di ogni figlio.
E’
peraltro
impossibile
inferire
presuntivamente
le
conseguenze
pregiudizievoli che la mancanza di una figura genitoriale di riferimento può
aver creato in V, in termini di insicurezza anche relazionale, e di sentimenti
di privazione di cura ed attenzioni.
La stessa giurisprudenza di legittimità ha sul punto chiarito che Non può
dubitarsi come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un
figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione
degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un
vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo,
ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano
nella carta costituzionale (in part. artt. 2 e 30), e nelle norme di natura
internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di
riconoscimento e di tutela. (Cass. Sent. n. 5652/2012)
Il vulnus psicologico patito da V è stato peraltro confermato dallo stesso Y
nel corso dell’interrogatorio formale, durante il quale il convenuto ha riferito
– con dichiarazione che qui assume valenza latamente confessoria – che la
minore non era interessata ai colloqui telefonici con lui e di aver interrotto
ogni contributo al mantenimento dopo che V lo insultò pesantemente.
Tali elementi confermano la sussistenza di un profondo pregiudizio
psicologico e relazionale nella ragazza derivante dalla protratta privazione
della figura genitoriale, pregiudizio estrinsecantesi a tratti in manifestazioni
di indifferenza e rabbia verso il genitore.
Ne consegue l’accertamento del diritto di V al risarcimento del danno.
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La quantificazione dello stesso avviene necessariamente in via equitativa.
Onde evitare che l’equità divenga arbitrio, la quantificazione qui effettuata
prende a riferimento l’importo base previsto dalla c.d. Tabelle del Tribunale
di Milano nel caso di perdita di rapporto parentale patito da un figlio privato
di un genitore (circa euro 150.000,00).
Le predette Tabelle, per giurisprudenza consolidata, rappresentano invero un
parametro uniforme, che garantisce, pur nell’ambito di una liquidazione
equitativa, il riferimento a criteri certi (Cass. Sent. n. 12408/2011).
La perdita del rapporto parentale dovrà peraltro essere evidentemente intesa,
nel caso di specie, come privazione pressoché totale, ab origine, del sostegno
morale e materiale derivante dalla figura genitoriale per fatto e colpa del
genitore stesso.
All’evidenza, nulla è dato sapere in ordine alla qualità dell’apporto che il
convenuto avrebbe potuto in concreto fornire al percorso di crescita della
figlia: di ciò dovrà tenersi conto in sede di liquidazione.
Lo stesso dicasi della circostanza per cui l’assunzione da parte del padre di un
fattivo ruolo genitoriale sarebbe stata comunque parzialmente limitata
all’assenza di rapporti tra i due genitori e dalla residenza del convenuto in
altro Paese, di talché il ruolo genitoriale di Y non avrebbe potuto comunque
caratterizzarsi per un quotidiano coinvolgimento in ogni difficoltà, successo o
scelta di crescita, come avrebbe potuto accadere in caso di convivenza con la
figlia. (cfr. Cass. Sent. n. 1203/2007).
Ne consegue che l’importo base di euro 150.000,00 per la liquidazione del
danno da perdita del rapporto parentale dovrà essere ridotto di circa due terzi
per tener conto delle osservazioni dianzi esposte, che inducono a ritenere
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ridotto nella corrispondente misura il ruolo genitoriale che il Y avrebbe
potuto potenzialmente rivestire nella vita di V.
Alla luce dei suesposti criteri, appare adeguata al caso di specie la
quantificazione del danno nella misura di euro 50.000,00 (somma già
rivalutata).
Sulla predetta maturano gli interessi legali (compensativi) computati (previa
devalutazione della somma di euro 50.000,00 alla data del 2.4.1982) sugli
scaglioni di rivalutazione annui. (cfr. tra gli altri Cass. 11594/2004,
24301/2006).
Y deve essere quindi condannato al risarcimento del danno, in favore di V,
nella complessiva misura di Euro 50.000,00, somma liquidata in moneta
attuale, oltre:
- interessi compensativi, calcolati come dianzi esposto, dalla data del
2.4.1982 ad oggi;
- interessi al tasso legale, sempre sulla somma di Euro 50.000,00, dalla data
della presente sentenza al saldo effettivo.
Quanto sopra esposto è assorbente rispetto alle ulteriori domande, eccezioni,
istanze anche istruttorie delle parti.
Consegue alla soccombenza la condanna di Y a rifondere alle attrici le spese
di lite, liquidate come in dispositivo sulla base del Decreto del Ministero
della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, e ciò ai sensi degli articoli 41 e 42 del
D.M. medesimo, nonché alla luce di quanto sancito dalla Cassazione a
Sezioni Unite sent. n. 17406/2012, secondo cui: i nuovi parametri sono da
applicarsi ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un
momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si
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riferisca al compenso spettante al professionista che in quella data non abbia
ancora completato la prestazione professionale, ancorché tale prestazione
abbia avuto inizio e si sia svolta in epoca precedente, quando erano ancora
in vigore le precedenti tariffe, come nel caso di specie, in cui la fase decisoria
si è svolta successivamente all’entrata in vigore del DM dianzi citato.
La liquidazione viene effettuata in base a quanto previsto dal predetto DM,
alla luce dello scaglione di valore di riferimento – somma liquidata e non
somma domandata ex art. 5 c. 1 DM – e delle diverse fasi (di studio,
introduttiva, istruttoria e decisoria) in cui si è articolato il giudizio, oltre alle
spese documentate (euro 436,00).
Le competenze così calcolate (euro 12.200) vengono ridotte del 40% in
ragione del fatto che il valore della controversia è prossimo più all’importo
base dello scaglione di valore di riferimento (euro 100.000,00) che non al suo
importo massimo (euro 500.000,00).
P.Q.M.
Il Tribunale di Varese, definitivamente pronunciando nella controversia
RGN. 1627/2008, ogni altra domanda, istanza, eccezione rigettata, così
provvede:
- Condanna Y a versare a X la somma, già attuale, di euro 75.297,30,
comprensiva di interessi legali e maggior danno ex art. 1224 c. 2 c.c., oltre
interessi legali dalla sentenza sino al saldo;
- Condanna Y al risarcimento a favore di V del danno nella misura di euro
50.000,00 oltre interessi come specificati in motivazione;
- Condanna Y a rifondere alle attrici le spese di lite, che liquida in euro
7.320,00 per competenze, euro 436,00 per spese, oltre oneri fiscali e
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previdenziali come per legge.
Varese, 18.2.2013
Il Giudice
Dr.ssa Claudia Bonomi
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