Approfondendo lSIS.FUCI

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Approfondendo lSIS.FUCI
Commissione di formazione alla politica 2015-2016
Approfondendo l’ISIS
Antonia Salvato
Marco Fornasiero
Quando parliamo di ISIS (che dal 2014, in realtà, si chiama “Stato islamico), la prima definizione che ci
viene in mente è quella di “gruppo terroristico”.
Occorre quindi partire dal principio spiegando COSA SIA IL TERRORISMO.
Il termine "terrorismo" indica azioni criminali violente premeditate ed atte a suscitare clamore come
attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, dirottamenti a danno di collettività o enti quali istituzioni
statali e/o pubbliche, governi, esponenti politici o pubblici, gruppi politici, etnici o religiosi.
Il suddetto termine deriva dai metodi utilizzati nella rivoluzione francese, dove il terrorista era un membro
del governo, durante il Regime del Terrore.
Attualmente, in realtà, non esiste una precisa definizione di “terrorismo”; possiamo però utilizzare quella
contenuta nell’articolo 2 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite per la Soppressione del
finanziamento del terrorismo, universalmente riconosciuta, dove l’atto terrorista è quello “destinato a
causare la morte o gravi lesioni fisiche ad un civile , o a qualsiasi altra persona che non sta prendendo
parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato, quando lo scopo di tale atto, per sua natura
o contesto, è di intimidire una popolazione, o di costringere un governo o un'organizzazione
internazionale a compiere o astenersi da un qualsiasi atto”.
Chiarito questo concetto, è possibile iniziare l’approfondimento sulla storia dell’ISIS.
PARTENDO DAL PRINCIPIO…
Nel 632 dC si verifica la morte di Maometto, che è alla base della scissione tra sciiti e sunniti. Si apre,
infatti, il problema della successione del carisma e della memoria del Profeta (l’interpretazione di quanto
lui ha fatto e detto in vita per fissare il contenuto di verità da porre a fondamento della linea di credenza
che si vuole affermare).
Si parla di “al-fitna al kubra” (“la Grande Discordia”); abbiamo due punti di vista:
1. è naturale far cadere la scelta del successore tra chi ha condiviso la vicenda del Profeta fin
dall’inizio, cioè tra il gruppo di “emigrati” dalla Mecca (sunniti)
2. (espresso timidamente dal gruppo di convertiti di Medina, e un altro, espresso con forza e fin
dall’inizio del dibattito sulla successione, da quello che verrà poi chiamato “il partito di Alì”, in
arabo “shi’at ‘Ali”, sciiti) la successione deve procedere per linea di sangue.
Viene istituito il Califfato. Il “Khalifa” è il vicario del Profeta, non potendo esserci altri profeti dopo di
lui. Per un breve periodo vengono scelte a ricoprire la carica di Califfo delle personalità autorevoli capaci
di convogliare il consenso delle diverse parti
Il nuovo califfo viene eletto, prevalgono sunniti, che per ora sono il ramo maggioritario dell’islam, con
una forte presenza in Arabia Saudita. Lo sciismo, invece, è il primo dei rami minoritari dell’islam; la sua
presenza più forte è in Iran, dove è il culto ufficiale di stato.
CIRCOSTANZE CHE APRONO LA STRADA ALLA NASCITA DELLO STATO ISLAMICO
Lo Stato islamico è un’organizzazione terroristica di fondamentalismo islamico sunnita (quindi come Al
Qaeda). All’inizio era un braccio di Al Tawhid Wal Jihad, un gruppo jihadista formatosi negli anni ’90 di
cui il leader era il giordano Abu Musab Al Zarqawi.
È necessario approfondire il termine “jihad” (sforzo), di cui esistono due declinazioni:
1. grande jihad: sforzo di interpretazione del corano attraverso la propria mente e la propria vita. La
lotta per vincere il peccato e avvicinarsi a dio
2. piccola jihad: difesa armata dell’islam contro i suoi aggressori.
Fu Osama Bin Laden ad iniziare a utilizzare il termine nel senso di “guerra giusta contro l’oppressore”;
da allora si è iniziato a tradurre il termine “jihad” con la locuzione “guerra santa”, anche se ciò è sbagliato.
Nel 2004 Osama Bin Laden (capo di Al Qaeda), nomina Al Zarqawi come capo di Al Qaeda in Iraq: ci
troviamo di fronte alla fusione di Al Tawhid Wal Jihad con Al Qaeda.
Al Zarqawi fu utilizzato, intanto, dagli americani come anello di collegamento tra Al Qaeda ed il regime
dittatoriale sunnita in Iraq di Saddam Huseyn, per poter dare il via all’invasione angloamericana dell’Iraq
e destituire, appunto, Saddam Huseyn, come successo nel 2003 con la Seconda Guerra del Golfo (in
realtà si è scoperto successivamente che quanto affermato da Bush circa il collegamento tra Al Zarqawi
e Saddam Huseyn non era verificato, di fatto il collegamento non esisteva).
Nel maggio del 2003 Paul Bremer, governatore civile americano dell’Iraq (voluto dagli Stati Uniti), dopo
aver destituito Saddam Huseyn e dopo aver abbattuto il regime dittatoriale, emanò due decreti:
-
Ordine n 1, che metteva poneva su un piano superiore il partito di Saddam (il “ba’th”)
-
Ordine n 2, con il quale si smantellavano le forze armate irachene e l’esercito iracheno
Quindi, circa 400 mila unità dell’esercito iracheno furono escluse da qualsiasi incarico militare e fu negato
loro anche il trattamento pensionistico. Questi ex militari hanno, a questo punto, iniziato ad organizzarsi
autonomamente in gruppi paramilitari, pretendendo, inoltre, che la carica di primo ministro in Iraq
spettasse ad uno sciita.
INGRESSO DI AL BAGHDADI
Il 7 giugno 2006, Al Zarqawi muore in un bombardamento statunitense. A questo punto viene nominato
un nuovo capo di Al Qaeda in Iran: Abu Ayyub Al Masri. Nell’ottobre del 2006 Al Masri annuncia la
fondazione (anche se, in pratica, non fa altro che rinominare il gruppo di Al Qaeda in Iraq) di Al Dawlah
Al Iraq Al Isalmiyya (stato islamico dell’Iraq, con acronimo ISI). Al masri figura come ministro della
guerra, mentre un altro soggetto, Abu Omar al baghdadi si autoproclama comandante dell’ISI.
A questo punto le truppe statunitensi intensificano i mezzi per le operazioni contro l’ISI, provocando la
morte sia di Abu Omar che di Al Masri in un’incursione irachena-statunitense. Pochi mesi dopo gli Stati
Uniti dichiarano che l’80 per cento dei “pesci grossi” dell’ISI era stato ucciso o catturato.
A questo punto, assistiamo all’entrata in scena di Abu Bacr Al Baghdadi, rilasciato da pochi mesi dal
campo di detenzione americano di Adder. Al Baghdadi diventa leader dei resti di Al Qaeda in Iraq e nel
2010 viene nominato nuovo comandante dell’ISI, la quale, però, nel frattempo era stata decimata dagli
attacchi degli americani. Quindi, Al Baghdadi decide di ricostituire l’alto comando dell’organizzazione
affidando gli incarichi ad ex militari o ad ex agenti dei servizi segreti del partito ba’th (che ricordiamo
essere il partito di Saddam Huseyn).
Al Baghdadi inizia a prendere le distanze dal progetto di Al Qaeda, che era concentrato sul colpire
obiettivi statunitensi. Comincia invece a puntare contro obiettivi sciiti, in particolare quelli del governo
sciita in Iraq, cioè il governo di Al Malini (voluto dagli statunitensi, poiché questi ultimi avevano
appoggiato fortemente che la carica di primo ministro spettasse ad uno sciita).
Così facendo, Al Baghdadi riaccende e alimenta il conflitto settario tra sciiti e sunniti, in un progetto che
inizialmente sfugge alla comprensione di Al Qaeda.
CHI È AL BAGHDADI
Al baghdadi (1971), iracheno, a differenza di Al Zarqawi, non è di umili origini, anzi rivendica una
discendenza diretta dal profeta Maometto. Pare anche che si sia laureato e che abbia fatto un dottorato
di ricerca in studi islamici all’università di Baghdad e che, prima di essere catturato dagli statunitensi nel
2005, fosse un imam (che nell’islam è una guida religiosa). Il fatto che egli abbia compiuto degli studi è
confermato dal linguaggio utilizzato; in un discorso afferma: “io sono il leader che presiede su di voi,
anche se non sono il migliore di voi. Perciò se vedete che sono nel giusto siatemi di aiuto, se vedete che
ho torto consigliatemi e rimettetemi sulla buona strada e obbeditemi come io obbedisco al dio che è in
noi”.
Il progetto di Al Baghdadi va oltre la piccola jihad, vi aggiunge un obiettivo molto ambizioso e concreto
che è quello di creare uno stato islamico, stato che ricomprenda l’intera “umma” dell’islam, cioè l’intera
comunità islamica, al di là delle bandiere nazionali. In altre parole, egli vuole rifondare il califfato di
Maometto, il califfato avutosi fino al 632 dC (anche se a questo progetto non fanno riferimento né il
corano né la sunna).
Ricordiamo inoltre, a titolo informativo, che nella storia dell’islam ci sono stati 3 califfati, che però sono
stati realizzazioni solo parziali del progetto (arabo, egiziano e ottomano).
Quello di Al Baghdadi si ispira alla scuola di pensiero di sunnismo salafita, cioè quella scuola di pensiero
che vuole ritornare alle fonti, alla predicazione originaria e allo stile di vita del profeta Maometto, e che
vuole rinstaurare integralmente la sha’ria (letteralmente “la retta via”; il diritto sha’raitico è composto dal
Corano e dalla Sunna, composta da una casistica elaborata dagli Ulama, gli esperti del Corano).
Questo tipo di califfato è per l’ISI la società perfetta, poiché espressione politica della volontà di dio. Al
tempo stesso, però, Al Baghdadi capisce che rifondare il califfato partendo dall’Iraq sarebbe troppo
difficile perché l’ISI è ancora troppo piccola e troppo debole. Giunto a questa consapevolezza, Al
baghdadi vede nella Siria il terreno ideale per ingrandire l’ISI e per trovare dei ricchi sponsor che possono
fornirgli i finanziamenti utili ai mezzi che gli servono per portare a compimento la sua impresa.
PERCHÉ PROPRIO LA SIRIA?
La Siria è una nazione devastata dalla guerra civile, piena di aree in cui le infrastrutture sono crollate e
l’autorità politica si è dissolta.
Al Baghdadi ha previsto un conflitto molto lungo in Siria e ha “scommesso” sul non intervento
internazionale, scommessa per nulla sbagliata.
In Siria, nel marzo 2011, si è cominciato a protestare contro il governo siriano di Bashar Al Asad. Il
conflitto si è progressivamente militarizzato. Bashar Al Asad è uno sciita (precisamente un alawita), si
pensava dunque che, salito al potere, avesse attuato una svolta democratica; invece ha mantenuto la
dittatura monopartitica con corollari la censura della stampa ed il rifiuto di dialogare. Questa dittatura
non riconosce le libertà politiche fondamentali e reprime molto duramente le fiammate di ribellioni della
minoranza curda, che cerca di destituirlo. Inoltre, appoggia molti movimenti eversivi.
La guerra civile siriana ha visto numerose atrocità (esempi: ricorso ad armi chimiche o l’uso di civili come
scudi umani) che le due parti (truppe di Bashar Al Asad e curdi) continuano a rinfacciarsi tra loro, anche
se le responsabilità maggiori ricadono sull’esercito militare di Asad.
NASCITA DELL’ISI IN SIRIA E LA FRATTURA CON AL QAEDA
Perché le Nazioni Unite non sono intervenute?
Cina e Russia sono favorevoli al regime di Asad; Stati Uniti, Francia e Regno Unito invece sono favorevoli
ai curdi (i ribelli). Il problema è che tutti e 5 gli Stati sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite e ciascuno di loro ha diritto di veto: può bloccare una decisione presa dagli altri a
maggioranza.
L’altro problema postosi è che in Siria la guerra è soprattutto “per procura”, cioè ci sono degli sponsor,
dei finanziatori, che ad esempio armano i ribelli contro il regime di Asad (es: alcuni petrolieri in Arabia
Saudita).
Sfruttando questa dinamica della guerra per procura, Al Baghdadi pensa di riuscire ad ottenere i mezzi,
gli strumenti di cui necessita.
La confusione è infatti notevole: i gruppi ribelli nascono, si fondono e scompaiono in continuazione; i
militanti passano da un’organizzazione all’altra (o perché è meglio organizzata, o ha armamenti più nuovi
o perché ha programmi di addestramento più formativi o semplicemente paga meglio). I finanziatori però
non stanno dietro a tutte queste dinamiche, si preoccupano solo che l’obiettivo delle organizzazioni che
finanziano sia il loro stesso obiettivo, destituire Asad.
Quindi, nell’agosto 2011 Al Baghdadi invia alcuni militanti dell’ISI in Siria per far loro formare
un’organizzazione sottoposta, all’interno della Siria. Il gruppo è guidato da un siriano che cominciò a
reclutare militanti e a costituire cellule terroristiche in Siria. Nel gennaio 2012 nasce il gruppo noto come
fronte Al Nusra (o Al Jawlani).
Circa un anno dopo, Al Baghdadi dichiara che l’ISI e il fronte Al Nusra (che, puntualizziamo, è l’ISI in
Siria) si stanno fondendo nello “stato islamico dell’Iraq e Al Sham” (Al Sham è l’antica denominazione
di Damasco, capitale della Siria e dei territori limitrofi), stato islamico che prende il nome di ISIS.
Ma il capo di Al Nusra (il siriano che aveva reclutato militanti e costituito cellule militari in Siria) nega la
fusione dicendo che né lui né i suoi uomini sono stati messi al corrente della cosa. Nella situazione
interviene anche il nuovo capo di Al Qaeda (ricordiamo che l’ISIS nasce come braccio armato di Al
Qaeda in Iraq), Al Zawahiri, che si esprime contro la fusione.
Al Baghdadi rifiuta la decisione del capo di Al Qaeda e dichiara che la fusione sta comunque procedendo.
Al Zawahiri, a questo punto, richiede lo scioglimento dell’ISIS, ma Al Baghdadi contesta la sua decisione
e inizia ad operare in Siria. L’operare di Al Baghdadi è molto diverso da quello del fronte di Al Nusra:
anziché mantenere l’obiettivo di rovesciare il regime di Asad, Al Baghdadi vuole insinuarsi in Siria per
ritagliarsi un’enclave; e spesso lo fa lottando contro quelli che dovrebbero essere i suoi stessi alleati
(esempio: il caso della cittadina di Azaz. L’isis usa molte risorse per conquistare questa cittadina, che in
realtà già dal marzo 2012 è sotto il controllo dei ribelli). Diventa a tutti evidente che obiettivo dell’ISIS è
la conquista di territori.
Al Qaeda, a questo punto, si infuria: come reazione, nel febbraio 2014 rinnega qualsiasi tipo di relazione
con l’ISIS, aggiungendo che reputa troppo estremi i propositi di Al Baghdadi.
Il 29 giugno 2014 Al Baghdadi, cambiato il nome dell’organizzazione in “Stato islamico”, proclama la
restaurazione del califfato islamico. Questa restaurazione viene fatta nella Moschea di Mosul, luogo molto
evocativo per i musulmani acculturati, moschea dalla quale si avviò la riconquista islamica della terra santa
occupata dai crociati. Al Baghdadi si è autoproclamato califfo dello Stato islamico.
L’8 agosto 2014 Obama autorizza, da un lato, i primi bombardamenti mirati contro lo Stato islamico nel
nord dell’Iraq e, dall’altro, il lancio di aiuti umanitari per chi fugge dalle terre occupate. Le incursioni
americane permettono la fuga di molti yazidi, una minoranza religiosa perseguitata dallo stato islamico
con molta ferocia (molti dei quali sono stati fucilati, seppelliti vivi, hanno subito il rapimento di molte
donne al fine di renderle schiave).
Lo Stato islamico ha dato inizio anche ad una persecuzione dei cristiani assiri e dei turcomanni, inoltre si
sono viste molte fucilazioni in massa delle milizie (più di mille soldati iracheni), di 600 detenuti sciiti del
carcere di Badush, di molti soldati siriani stessi. Ci sono stati massacri anche nei confronti delle
popolazioni siriane che si sono ribellate all’autorità di Al Baghdadi (per esempio il massacro della tribù
sunnita di Chaitat).
I CURDI E IL CASO PARTICOLARE DI KOBANE
Kobane è una cittadina nel nord della Siria, al confine con la Turchia. Questa dopo la guerra civile siriana
era passata sotto il controllo di un movimento indipendentista curdo.
I curdi sono un gruppo etnico che conta più di 30 milioni di individui, privi di identità nazionale. Sono
una popolazione la cui regione storica, che loro chiamano Kurdistan, è attualmente suddivisa tra Turchia,
Iran, Iraq, Siria e Armenia. Da più di un secolo i curdi cercano di ottenere la creazione di un Kurdistan
indipendente, o perlomeno autonomo, ma gli attuali Stati che ospitano questa popolazione si sono sempre
opposti, ignorandone di fatto le richieste politiche e reprimendo duramente le insurrezioni armate (per
esempio nel 1991, in Iraq, Saddam Husayn ha utilizzato armi chimiche per spegnere la lotta
indipendentista curda).
Dalla caduta di Saddam Husayn, i curdi hanno ottenuto un’ampia autonomia nel governo regionale del
Kurdistan in Iraq, in cui dispongono di un loro parlamento e governo e hanno una loro milizia
indipendente composta dai loro combattenti, i “peshmerga”.
Diverso il caso dei curdi in Turchia, i quali non godono di alcuna autonomia. Verso la fine anni ’70 cresce
la mobilitazione dei curdi in Turchia, tramite l’azione di alcuni partiti legali e le iniziative del PKK –
partito dei lavoratori del kurdistan -, che si oppone ai gruppi indipendentisti più favorevoli al dialogo per
portare avanti guerriglie e operazioni terroristiche. Oggi il PKK è un partito illegale in Turchia e
un’organizzazione paramilitare che, a causa degli attentati dinamitardi e dei kamikaze al quale ha fatto
ricorso per colpire obiettivi militari turchi, è attualmente considerato un’organizzazione terroristica da:
NATO, USA, Iran, Turchia, Unione Europea (quest’ultima su richiesta degli USA, anche se in Europa
sono state fatte molte richieste al fine di rimuovere il PKK dalla lista e considerarlo una legittima forza
di resistenza).
Torniamo a Kobane: questa fu presa di mira dallo stato islamico già nel luglio 2014, successivamente, si
è tentato di riconquistarla nel settembre 2014.
Kobane, nei 4 mesi successivi, è stata stretta in un forte assedio, per cui viene soprannominata la
“Stalingrado del vicino Oriente”, per sottolinearne la resistenza, poiché le forze dello stato islamico, una
volta penetrate nella città, si sono ritrovate costrette a combattere casa per casa contro i resistenti curdi
di ambo i sessi, giorno e notte.
Nel gennaio 2015 arrivano in aiuto dei curdi i raid aerei della Coalizione Internazionale (coalizione contro
l’ISIS, che vede USA, Germania, Arabia Saudita, Australia, Bahrein, Belgio, Canada, Danimarca, Spagna,
Emirati Arabi, Francia, Giordania, Marocco, Regno Unito, Paesi Bassi, Portogallo, Qatar, Russia). Grazie
a questo aiuto, le forze curde riconquistano Kobane dopo ulteriori mesi di combattimenti e più di 2000
vittime.
Il 25 giugno 2015, lo Stato islamico attacca di nuovo Kobane, anche con missioni suicide, uccidendo più
di 250 curdi (il c.d. “massacro di Kobane”).
ALTRI ATTACCHI
Ulteriori attacchi sono stati compiuti; lo Stato islamico ha filmato parte delle esecuzioni e successivamente
pubblicate su Twitter (da cui vengono costantemente rimosse). Si registrano stupri programmati,
distruzione di reperti archeologici (ad esempio molte statue nel Museo di Mosul, sito Unesco di Palmyra
in Siria), ecc..
Per quanto riguarda l’attentato alla sede di Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015, pare che gli artefici non
siano stati degli appartenenti allo Stato islamico, ma due jihadisti affiliati ad Al Qaeda, anche se uno dei
due attentatori ha collaborato con Al Qaeda in Iraq, quando aveva ancora a capo Al Zarqawi.
Lo Stato islamico ha invece rivendicato l’abbattimento dell’aereo russo partito da Sharm el Sheik (224
vittime, di cui 24 bambini), anche se è controverso se esso sia il vero responsabile.
Si conta poi, per lo Stato islamico, l’attentato di Parigi il 13 novembre 2015 (Teatro Bataclan, 89 morti; i
ristoranti Le Carillon e Le Petit Cambodge, 15 vittime; il Cafè Bonne Bière e la Casa Nostra, 5 vittime; lo
Stade de France, 1 vittima; Le Belle Equipe, 19 morti; e 433 feriti).
COME L’ISIS È RIUSCITA A FARE TUTTO QUESTO?
In che modo è riuscita ad attirare così tanti militanti? In che modo ha intenzione di gestire e sta già
gestendo i territori che controlla?
Bisogna precisare che la genesi del califfato è fortemente intrecciata a decenni di politica occidentale in
Medio Oriente, e non solo. Almeno dagli anni ‘50 è ripartito il sogno del califfato tra gli studiosi islamici
e i fondamentalisti. Lo stato islamico è in effetti la prima forza militare che sta riuscendo a ridisegnare i
confini medio orientali tracciati dal Regno Unito e dalla Francia negli accordi di Sykes-Picot (stipulati
durante e dopo la prima guerra mondiale. L’“Accordo dell’Asia Minore”, fu un accordo segreto tra i
governi del Regno Unito e della Francia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in
seguito alla sconfitta dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale). Il Medio oriente è fortemente
destabilizzato da decenni di macerie, quindi, per molti, lo Stato islamico serve per riunificare, portare
speranza.
Anche in Europa, USA e Australia, per gli islamici quella dell’integrazione è una lotta continua,
soprattutto per i giovani, e a tutto questo lo Stato islamico, in qualche modo, risponde, e lo fa in modo
molto più concreto rispetto ad Al Qaeda: offre la speranza di uno stato con infrastrutture socio
economiche e nel quale sentirsi cittadini a pieno diritto (niente più discriminazioni).
Non è un caso che lo Stato islamico è il gruppo jihadista che paga meno i suoi militari, perché la
motivazione ideologica è molto più forte. A differenza degli altri gruppi jihadisti lo Stato islamico non si
mantiene solo con la guerra di conquista, e i suoi militanti non sono mercenari disposti a passare da un
gruppo all’altro per una paga più alta: esso è riuscito a costruirsi un’immagine di ottimo addestramento,
buona organizzazione e massima serietà, e questo anche grazie alla serie di successi militari, che hanno
avuto un fortissimo impatto su una popolazione scoraggiata dalla corruzione.
Un’altra differenza con le altre organizzazioni jihadiste sta nel fatto che per Al Baghdadi l’appoggio della
popolazione è importante quanto la fedeltà dei militanti. Egli ha subito fatto proposte di programmi
sociali per le popolazioni dei territori occupati e probabilmente ha cercato da subito il loro consenso al
fine di ottenere l’indipendenza economica dagli sponsor (poiché sapeva che questi non lo avrebbero
finanziato al lungo). Al Baghdadi ha, in pratica, sfruttato i finanziatori della penisola araba come il Qatar,
il Kuwait e l’Arabia Saudita, che volevano il rovesciamento del regime di Asad a Damasco, e che,
indirettamente, hanno fatto accedere lo Stato islamico all’addestramento con attrezzature militari
occidentali. Lo Stato islamico ne ha approfittato immediatamente per rendersi autonomo
economicamente, appropriandosi dei pozzi petroliferi nella Siria nord orientale e dedicandosi all’attività
di contrabbando al confine con la Turchia.
Subito dopo, ha cercato di cooptare i leader locali tramite politiche di alleanza con le tribù sunnite,
cercando di far sentire la popolazione non come un gruppo di vittime oppresse da un conquistatore, ma
come cittadine di uno stato moderno. L’offerta di programmi sociali è molto concreta, si parla ad esempio
di forniture di frutta e verdura, di supporto nella gestione dei panifici e nella distribuzione delle derrate
alimentari, mensa dei poveri a Raqqa (quartier generale dell’ISIS), campagne di vaccinazioni, ufficio
orfani, elettricità per tutto il giorno, sistemazione della rete stradale. Tutto questo fa aumentare il
consenso interno, che serve ad assicurarsi la fedeltà dei combattenti e dei cittadini, e fa aumentare i
militanti. Naturalmente, si tratta sempre di collaborazioni con tribù solo sunnite e disposte ad accettare
le condizioni proposte (imposte), non sempre così allettanti (per esempio, per quanto riguarda la giustizia,
si tratta di accettare sistemi di tribunali di sha’ria con polizia itinerante che ne esegue le sentenze – una
sorta di inquisizione).
Riguardo alla religione, ci troviamo indubbiamente di fronte ad un proselitismo aggressivo.
Possiamo portare ad esempio la città di Raqqa; i cristiani che vi abitano hanno tre possibilità:
-
convertirsi all’islam (sunnita)
-
pagare la giizia (tassa religiosa, come durante il califfato di Maometto e post Maometto)
-
morte
Riguardo all’omosessualità è prevista la pena capitale (morte).
Alcuni giornalisti che osservano da tempo la situazione medio orientale sono convinti che la violenza sia
per lo Stato islamico soprattutto un mezzo per fare propaganda, perché le notizie per fatti cruenti
finiscono nelle prime pagine, e Al Baghdadi sfrutterebbe questa cosa per ottenere visibilità e dimostrarsi
più forte di quanto non sia. Il nemico di Al Baghdadi, infatti, è impari, fatto di eserciti regolari e
convenzioni internazionali. Lo Stato islamico si avvantaggia regolarmente dei social media, è solo una
piccola organizzazione che si è spacciata per un gruppo potente e sofisticatissimo, creando il mito di Al
Baghdadi come sceicco invisibile.
PROBLEMA DELLE ALLEANZE E DELLE COOPERAZIONI
Alla luce di quanto detto, come si schiera il resto del mondo di fronte allo Stato islamico? Ecco una breve
rassegna.
La Russia arma Asad, gli USA armano (non ufficialmente) i ribelli siriani.
Quando il 10 settembre 2014 Obama dichiara di aver dato il via ai bombardamenti in Siria per contrastare
lo Stato islamico, Asad (sostenuto dalla Russia) ha dichiarato che quella era una vera e propria aggressione,
poiché non c’era stato il suo benestare.
L’Arabia saudita, di cui la maggior parte sono fondamentalisti sunniti, è ostile ad Asad; è sospettata di
aver contribuito alla creazione del califfato. Ma nel luglio 2014, subito dopo che Al Baghdadi si è
autoproclamato califfo, questa ha schierato 30 mila militari lungo il confine a scopo difensivo; in pratica,
l’Arabia Saudita finisce per avvicinarsi alle politiche statunitensi (nonostante i diversi schieramenti; ad
esempio, gli USA siano favorevoli al governo sciita in Iraq mentre l’Arabia Saudita non lo sia).
Poi c’è l’Iran, sciita, quindi ostile allo stato islamico; l’Iran sta ora legando con il governo sciita in Iraq, e
quindi, paradossalmente, anch’essa si avvicina agli USA.
Poi ci sono i curdi: nell’agosto del 2014, i militanti del PKK vanno in aiuto dei peshmerga per fermare
l’avanzata dello Stato islamico, quando anche gli USA facevano la stessa cosa con i raid aerei. Di fatto,
quindi, gli Stati Uniti e il PKK (che è sulla lista americana dei terroristi) si sono trovati a cooperare.
La Turchia non sostiene gli Stati Uniti, perché questi ultimi armano i curdi iracheni contro lo Stato
islamico, e il presidente turco Erdogan teme che questo possa far “alzare la testa” anche ai curdi in
Turchia. Anzi, Erdogan ha violato la tregua col PKK, bombardandone le postazioni.
E forse gli stessi uniti, dopo aver operato contro Asad si ritroveranno a sostenerlo in funzione anti Stato
islamico, consentendogli di conservare la presidenza in Siria.
CONCLUSIONI
Insomma, lo Stato islamico, per ora, è quello che si può definire uno “stato guscio” (ha solo la
denominazione di “stato”, non essendo realmente tale), ma Al Baghdadi ha deciso comunque di chiamare
così la sua organizzazione, al fine di veicolare l’idea che si tratti di uno stato a tutti gli effetti.
In molti (tra cui il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti) hanno deciso di continuare a chiamare
l’organizzazione con il vecchio acronimo, ISIS, per non assecondare il progetto e non veicolare l’idea che
si tratti di uno stato riconosciuto da una comunità internazionale. Se lo Stato islamico dovesse riuscire a
costruire una nazione usando strumenti terroristici per il controllo territoriale e attuando riforme per il
consenso interno, se quindi riuscisse a costituire un’unità nazionale con cui ci si dovrà comunque
confrontare nei fatti, anche se non si vuole riconoscerla, questo dimostrerebbe ciò che tutti i gruppi
terroristici hanno sempre sostenuto: i terroristi non sono criminali ma combattenti impegnati in una
guerra per rovesciare un regime, una guerra che richiede strumenti terroristici, e quindi gravi episodi di
violenza.
Ma se si volesse accettare questa definizione, si dovrebbe pensare di riscrivere l’intera storia: l’Europa
diventerebbe il primo luogo matrice di terroristi, a partire dalla rivoluzione francese, per giungere fino al
paradosso per cui gli stessi partigiani italiani potrebbero essere etichettati come “terroristi”.