La minaccia terroristica: cos`è il terrorismo?

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La minaccia terroristica: cos`è il terrorismo?
TERRORISMO E NUOVI EQUILIBRI MONDIALI: opportunità, sfide e prospettive
La minaccia terroristica: cos’è il terrorismo?
La minaccia terroristica a livello internazionale è cresciuta in modo notevolissimo già dagli Anni Novanta
del Novecento. Fino a quel momento lo scontro tra le due superpotenze - Stati Uniti e Unione Sovietica -,
che fortunatamente non sfociò mai in un confronto militare diretto, aveva coinvolto numerosi Paesi. E ciò sia
nella forma di guerre messe in atto per procura dalle due superpotenze (caso tipico gli interventi militari
cubani sostenuti dai sovietici), sia come intervento più o meno diretto negli affari interni di altri Stati (si
ricordi il coinvolgimento americano in una serie di golpe nei paesi latino-americani).
Quanto alle attività terroristiche, queste erano state messe in atto da varie organizzazioni, principalmente in
relazione al conflitto israelo-palestinese, anche con spettacolari attacchi terroristici capaci di portare in primo
piano sulla scena politica mondiale le questioni di interesse dei gruppi terroristici stessi.
Va ricordato inoltre che, fino agli Anni Novanta, anche gli attacchi terroristici messi in atto dai gruppi
provenienti da Paesi di fede islamica non erano caratterizzati da un richiamo alla religione, quanto piuttosto
alle ideologie politiche occidentali del secolo scorso, che esercitavano ancora un fascino nettamente
prevalente sui giovani protagonisti del terrorismo internazionale - valga ad esempio il terrorismo di matrice
palestinese, caratterizzato in senso assolutamente laico.
Proprio nel mondo islamico, tuttavia, covavano i germi per una riscoperta del terrorismo come strumento di
lotta politica interna e internazionale, in parallelo all'insoddisfazione di vaste masse di quei Paesi per le
condizioni di arretratezza e di povertà che, stante la grande disparità nella distribuzione delle ricchezze,
permanevano non trascurabili anche nei Paesi arabi più ricchi e ancora più accentuate nei Paesi quasi privi di
risorse petrolifere, come l'Egitto, la Siria, la Giordania.
In questa situazione era nelle cose la possibilità che l'enorme prestigio della religione islamica presso le
masse potesse costituire una potente leva di richiamo e una matrice di giustificazione per gli atti terroristici.
Ciò avvenne puntualmente, ma un fattore moltiplicativo fu il calcolo occidentale di poter utilizzare le
nascenti frange terroristiche di matrice islamista come pedine del ricorrente scontro con l'Unione sovietica.
Dopo l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1980, infatti, gli Stati Uniti iniziarono a finanziare
combattenti islamisti che affluivano nel Paese da tutto il mondo musulmano, fieramente decisi a contrastare
l'invasione sovietica soprattutto per motivi religiosi, considerato l'ateismo di Stato collegato all'ideologia
comunista. Uno dei più abili reclutatori di questi combattenti islamici (mujaheddin) si rivelò il miliardario
saudita Osama Bin Laden, il quale tuttavia non impiegò molto tempo a comprendere come la forza dei
mujaheddin, attraverso clamorosi attentati terroristici, potesse rivolgersi anche contro l'Occidente, ai suoi
occhi non meno screditato e colpevole dell'ateismo comunista.
Fu questo il terreno di coltura della rete di Al Qaeda, capeggiata dallo stesso Bin Laden, che proprio negli
Anni Novanta iniziò a colpire interessi occidentali, soprattutto americani, in varie parti del mondo - non va
dimenticato che un primo grave attentato contro le Torri Gemelle del World Trade Center di New York era
fallito già nel 1993.
Quasi superfluo ricordare che all'alba del nuovo millennio la distruzione delle Torri del World Trade Center
di New York l'11 settembre 2001 rese chiaro in tutto il mondo che si doveva ormai fare i conti con un nuovo
protagonista, il terrorismo internazionale di matrice islamica.
La legittima reazione degli Stati Uniti agli attentati dell'11 settembre investì anzitutto il santuario che aveva
permesso lo sviluppo della rete di Al Qaeda, ossia l'Afghanistan governato dagli estremisti islamici talebani:
tuttavia, in un secondo momento, l'attenzione degli Stati Uniti si rivolse anche all'Iraq, Paese retto dal
dittatore Saddam Hussein su base sostanzialmente laica, che già nel 1991 aveva costretto all'intervento una
coalizione internazionale guida dagli USA – con la legittimazione delle Nazioni Unite - dopo che le truppe di
Baghdad avevano invaso il Kuwait (Prima guerra del Golfo).
L'amministrazione di George W. Bush, sensibile alle suggestioni dei neoconservatori statunitensi per
un'esportazione delle istituzioni democratiche attraverso le armi, decise di porre fine al problema iracheno
invadendo il Paese nel 2003 (Seconda guerra del Golfo). La caduta di Saddam Hussein, appartenente alla
minoranza sunnita del Paese, diede improvvisamente il governo del Paese in mano agli sciiti - tra l'altro in
questo modo favorendo oggettivamente uno dei Paesi più problematici della regione, ossia l'Iran degli
ayatollah.
Ciò che è più grave, tuttavia, è che le prime mosse dell'amministrazione provvisoria americana a Baghdad
condussero di fatto allo scioglimento dell'esercito, nel quale prevalevano gli elementi sunniti, con un'ottima
preparazione militare, i quali si trovarono alla mercé della nuova situazione e anche privi di mezzi di
sussistenza.
Tutto ciò costituì la matrice attorno a cui lentamente si aggregò lo scontento della minoranza sunnita
irachena, che iniziò a manifestarsi con una serie di attentati contro gli sciiti, e successivamente con la nascita
di un raggruppamento terroristico il quale, operando a cavallo della porosa frontiera tra Siria e Iraq, e
recuperando temi religiosi che nell'Iraq di Saddam Hussein erano rimasti sullo sfondo, si caratterizzò alla
fine come orientato alla ricostituzione del Califfato storico.
Nacque in questo modo il cosiddetto Stato islamico (ISIS), che nel 2014 fece la sua clamorosa comparsa
sullo scenario internazionale, riuscendo a impadronirsi di un vasto territorio a cavallo tra Siria e Iraq
concepito quale nucleo del futuro Califfato, e nel quale iniziarono ad affluire combattenti islamisti da tutto il
mondo musulmano per mettersi agli ordini dell'autoproclamato califfo al-Baghdadi.
Per concludere, se la risposta del terrorismo islamico risulta ovviamente inaccettabile, non va trascurato che
essa, come già ricordato, è sintomo del profondo disagio di grandi masse dei Paesi arabi che non
scomparirebbe anche se in un tempo sperabilmente breve fosse estirpata la minaccia terroristica.
La differenza tra sunniti e sciiti
La differenza tra sciiti e sunniti risale ai primi secoli dell'Islam: mentre infatti gli sciiti ritennero di doversi
attenere rigidamente alla discendenza del Profeta, i sunniti ben presto svincolarono il vertice religioso dalla
diretta derivazione da Maometto, per affidarlo all'egemonia religiosa e culturale dei gruppi dominanti di
ciascuna epoca.
Una conseguenza molto importante risiede nel fatto che l'Islam sciita riconosce una sua struttura gerarchica
ben precisa cui fare riferimento, mentre l'Islam sunnita, pur individuando alcuni poli di particolare prestigio
religioso - ad esempio l'università egiziana di al-Azhar – è più predisposto a una struttura orizzontale e
reticolare.
Quest'ultimo fattore sembra aver avvantaggiato in modo particolare anche le reti terroristiche di matrice
islamica sunnita, che hanno trovato nell'organizzazione a rete un naturale proseguimento della loro mentalità,
e particolarmente efficaci si sono poi rivelate anche nell'utilizzazione della rete per eccellenza, ovvero di
Internet.
La differenza tra sciiti e sunniti ha attraversato pertanto tutta la vicenda dell'Islam, e tuttora conserva una
grande importanza: vi sono Paesi in cui l'una o l'altra confessione islamica prevale quasi interamente, e
dunque non costituisce fattore di scontro; vi sono però anche Paesi in cui le due componenti sono presenti
entrambe in modo rilevante - è il caso ad esempio già ricordato dell'Iraq -, e ciò costituisce di per sé un
fattore di tensioni ricorrenti.
Tra i Paesi in cui vi è invece una quasi esclusiva appartenenza sunnita o sciita ricordiamo rispettivamente da
un lato l'Arabia Saudita e dall'altro l'Iran - non a caso i due Paesi che si contendono l'egemonia nel Golfo
Persico.
I principali conflitti in Medioriente e il loro legame con la proliferazione del
terrorismo
IL CONFLITTO SIRIANO
La Siria è apparentemente un Paese a larga prevalenza sunnita: tuttavia i vertici del potere appartengono alla
minoranza alawita, forte soprattutto nella parte costiera della Siria, sin da quando deteneva il potere il padre
dell'attuale presidente Assad.
Il predominio alawita è stato possibile con la costituzione di una sorta di regime di tutte le minoranze inclusa quella cristiana - che nel pur duro regime di Assad hanno trovato la possibilità di fare argine alla
prevalenza musulmana sunnita.
Questa caratterizzazione della popolazione per gruppi etnico-religiosi sembra essere in gran parte sfuggita
alle leadership occidentali, in primis alla presidenza Obama, quando agli albori del conflitto siriano nel 2011
operava una facile estensione dello schema della lotta fra dittatore e popolo - che aveva condotto ad esempio
la caduta del corrotto regime di Ben Ali in Tunisia.
In Siria, tuttavia, pur esistendo certamente un problema legato alla democrazia e ai diritti umani, occorreva
forse rendersi conto che lo scontro frontale con il regime di Assad avrebbe aperto la strada automaticamente
non ad un ordinamento democratico, ma assai probabilmente a un regime a prevalenza sunnita,
potenzialmente altrettanto oppressivo nei confronti delle minoranze.
Questo elemento non a caso veniva colto quasi subito dagli esponenti del Pentagono, che più volte si
opponevano alla possibilità di fornire armamenti pesanti alle opposizioni armate contro Assad.
In altre parole, e non solo limitatamente allo scenario siriano, è necessario comprendere come in altri contesti
geopolitici non sia possibile esportare schemi di dialettica sociopolitica tipici del mondo occidentale, poiché
assai più che su opinioni la lotta politica è fondata su appartenenze, le quali solo in casi rarissimi sono
suscettibili di mutamento.
IL CASO DELLA LIBIA
Anche la Libia è stata investita nel 2011 dall'ondata delle Primavere Arabe, anche se nel Paese sembrava
potersi riproporre lo schema di una lotta tra il dittatore Gheddafi e la popolazione.
Tuttavia, anche qui, questo schema si è rivelato troppo semplicistico, in quanto il regime di Gheddafi si
caratterizzava per un'estrema durezza contro gli oppositori, ma incontrava un certo favore popolare grazie ad
un'ampia redistribuzione dei grandi proventi petroliferi del Paese e a un'accorta politica di bilanciamento
delle istanze tribali.
Alla caduta del regime di Gheddafi, si apriva la strada alla frammentazione del Paese e al proliferare anche in
Libia di movimenti integralisti islamici prima duramente repressi da Gheddafi stesso.
Anche l'ISIS riusciva a costituire proprie teste di ponte nel Paese, che tuttora fatica a trovare un’unità politica
e ad eliminare le sacche di resistenza integralista (lo scenario è poi complicato dalle mire personali del
generale Haftar, renitente a sottomettersi all'autorità internazionalmente riconosciuta di Tripoli).
I principali gruppi terroristici
ISIS
L'organizzazione conosciuta come ISIS, in realtà "Stato islamico", è stata fondata a cavallo del secolo scorso
ed è stata a lungo affiliata ad Al Qaeida, per cui guidò la ribellione contro l'esercito americano in Iraq e con
cui ha rotto per la strategia divergente in Siria.
Il fondatore dell'ISIS è il giordano Abu Mussab al Zarqawi, che nel 2003 ha fondato "Al Qaeda in Iraq"
(Aqi), cioè un gruppo affiliato ad Al Qaeda e Osama Bin Laden fuori dall'Afghanistan. L'Aqi, fin dal primo
dopoguerra, mise in atto attentati verso l'esercito americano e verso i civili sciiti e curdi. L' "epurazione"
intrapresa dall'ISIS non è infatti solo rivolta al mondo e alla cultura occidentale ma anche a quella
musulmana non pienamente confacente alla sharia.
Dopo la morte di Zarqawi, in un raid aereo americano del 2006, il gruppo terroristico ha ingrossato le sue fila
e ha riunito diverse fazioni sunnite, fino a fondare lo "Stato Islamico dell'Iraq" (Isi), ancora legato ad Al
Qaeda.
Dopo la successione di varie guide, la grande svolta si ebbe con l'arrivo dell'attuale leader del califfato: Abu
Bakr al-Baghdadi, un uomo davvero carismatico che ha saputo sfruttare l'instabilità che nel 2011-2012 ha
interessato i Paesi della cosiddetta "Primavera Araba". Fu così che l'Isi divenne Isis ed entrò in Siria.
Ayman al-Zawahiri, il nuovo capo di Al Qaeda dopo l'uccisione di Bin Laden, nel febbraio 2014 ha
sconfessato l'ISIS.
Il 29 giugno 2014 l'ISIS ha proclamato ufficialmente il califfato islamico sui territori occupati scatenando
un’offensiva terroristica che ha colpito il mondo intero.
L'ISIS è un'organizzazione economicamente solida e, per questo, diversa dagli altri gruppi terroristici: nei
Paesi occupati ha infatti istituito la raccolta dei tributi, vende l'elettricità alla Siria e ha il controllo di diversi
giacimenti petroliferi, oltre che di numerosi traffici criminali. Non necessita quindi degli aiuti di altri Stati
poiché nei territori occupati è di fatto uno "stato" economicamente autonomo.
A partire dal 2013 ISIS ha adottato una strategia di espansione, che ha portato alla conquista di molte città
siriane e irachene. Nel 2014 il leader dell'organizzazione, Abu Bakr al-Baghadi, ha proclamato la
restaurazione del Califfato storico. I suoi successi sullo scenario mediorientale hanno reso ISIS
l'organizzazione jihadista più potente e pericolosa al mondo, con decine di migliaia di combattenti.
Da quando il sedicente Califfato ha iniziato a perdere territori, ISIS ha cambiato strategia e ha iniziato a
colpire al di fuori di Siria e Iraq ed in particolare in Turchia ed in Europa
AL QAEDA
Al Qaeda, "la Base", è stata fondata nel 1988 da Osama Bin Laden per raggruppare gli jihadisti che
combattevano contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan.
Negli Anni Novanta Al Qaeda è diventata la principale organizzazione terroristica del mondo, ruolo
simboleggiato dagli attacchi dell'11 settembre.
Il suo leader è stato ucciso nel 2011, ma già da prima il peso di al-Qaeda è sensibilmente diminuito, anche
grazie al rafforzamento locale delle sezioni regionali che all'inizio avevano proclamato la loro sottomissione
a Bin Laden.
I TALEBANI
I Talebani sono saliti al potere negli anni Novanta in Afghanistan, dopo il collasso dello Stato seguito alla
fallita invasione dell'Unione Sovietica. Dopo esser diventati la base logistica di Al Qaeda, il governo di
questa organizzazione jihadista è stato abbattuto nel 2001, con la guerra guidata dagli Usa e sostenuta dalla
comunità internazionale.
Da allora i Talebani sono riusciti a mantenere una significativa influenza su diversi territori afgani, e in
questi anni hanno esercitato numerosi attacchi contro le truppe occidentali ancora stanziate nel Paese, così
come contro i civili. Al confine tra Afghanistan e Pakistan agiscono diverse cellule jihadiste, come Tehrik-eTaliban-Pakistan (TPP), Haqqani o Laschkar-e- Taiba, che organizzano attentati nell'area del Sudest
asiatico.
AQAP
Al Qaeda sulla Penisola araba (AQAP) o Al Qaeda in Yemen, è la sezione regionale più importante
dell'organizzazione terroristica di Osama bin Laden. Fondata nel 2008, AQAP era il gruppo terroristico con il
maggior controllo territoriale prima dell'avvento dell'ISIS.
La strage nella redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo nel gennaio 2015 è stata perpetrata
da persone che si sono dichiarate affiliate ad AQAP.
BOKO HARAM
I Boko Haram sono un'organizzazione jihadista che dal 2009 ha ucciso circa 14 mila persone, in prevalenza
nigeriani. I Boko Haram controllano una parte della Nigeria settentrionale, e da questo avamposto provano a
espandersi nei vicini Camerun e Nigeria. Anche i Boko Haram hanno dichiarato la loro affiliazione all'ISIS.
L'organizzazione ha adottato il nome ufficiale di "Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda
religiosa e per il Jihad" anche se le è stato dato il soprannome di Boko Haram. che deriva dalla parola hausa
boko, che è liberamente traducibile come "educazione occidentale", e dalla parola araba haram, che indica un
divieto legale, metaforicamente il "peccato".
Il nome significa quindi "l'educazione occidentale è sacrilega" o "vietata" o "peccato". Il nome è dovuto alla
dura opposizione all'Occidente, inteso come corruttore dell'Islam.
Boko Haram è un movimento sunnita salafita influenzato dal wahabismo. Lo scopo del gruppo è quello
d'instaurare uno stato islamico in Nigeria, con la Shariha come base del sistema legale. Inoltre si oppone
all'occidentalizzazione della società nigeriana e alla diseguaglianza economica tra il settentrione islamico e la
parte meridionale del Paese a maggioranza cristiana.
AL-NUSRA
Il Fronte al-Nuṣra, o anche Jabhat al-Nuṣra ossia "Fronte del soccorso al popolo di Siria", è un gruppo di
rivoltosi armati attivo in Siria e Libano.
Il Fronte al-Nusra fu affiliato ad Al Qaeda fino al 28 luglio 2016, giorno in cui al-Jawlani annunciò la
scissione tra i due gruppi.
Il fronte al-Nuṣra comprende principalmente mujaheddin siriani che aderiscono all'Islam sunnita. Il suo
obiettivo è rovesciare il governo di Bassar Al Asad in Siria e creare uno Stato islamico con il sistema
normativo basato sulla sharia. I membri siriani del gruppo sostengono di combattere solo contro il regime di
al-Asad e di non voler attaccare i Paesi occidentali, tuttavia il gruppo si comporta come se considerasse gli
Stati Uniti e Israele come nemici dell'islam e si oppone ad un intervento occidentale in Siria.
I nuovi equilibri di potenza
LE POTENZE OCCIDENTALI
Parlare per quanto concerne il campo occidentale di equilibri di potenza è possibile in senso solo relativo:
proprio in Occidente, infatti, l'egemonia americana ormai da decenni è il dato più manifesto, seppure negli
anni dell'amministrazione Obama vi sia stata l'impressione di una certa involuzione.
A fronte di ciò, tuttavia, la persistente debolezza dell'Unione Europea come attore internazionale, anche per
la renitenza del Vecchio Continente a farsi carico della dimensione militare, per affidarsi prevalentemente
all'egemonia economica da Soft Power, consente agli Stati Uniti di mantenere di gran lunga il loro peso
determinante in tutte le scelte del campo occidentale.
Semmai, ma è una storia tutta ancora da scrivere, l'arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, se ci si attiene
ai principali temi della sua campagna elettorale vittoriosa, potrebbe incidere in profondità sugli equilibri, a
cominciare dal coinvolgimento americano nella NATO, che Trump sembrerebbe voler ridimensionare, se
non altro per quanto concerne le relative spese -, ma senza trascurare gli effetti sulla compagine dell'Unione
europea, già messa a dura prova dall'uscita del Regno Unito, verso cui oltretutto Trump sembra desideroso di
restaurare la tradizionale relazione privilegiata.
LA RUSSIA
Nel 1991 l'Unione sovietica ormai impotente e nella sua fase terminale, acconsentiva all'Operazione Desert
Storm che aveva espulso le Forze armate irachene dal Kuwait e umiliato Saddam Hussein, vecchio alleato e
cliente di Mosca.
Gli Stati Uniti, forti di quella vittoria schiacciante, si avviavano a consolidare un'egemonia incontrastata in
Medio Oriente, mentre il regime sovietico si avviava agonizzante verso il proprio crollo, nel dicembre del
1991. A conferma di tale primato, nel giro di tre anni gli Stati Uniti avrebbero varato il processo di Oslo per
comporre il conflitto israelo-palestinese, propiziato il trattato di pace tra Israele e Giordania e avviato quella
politica di doppio contenimento (double containment) di Iran e Iraq funzionale agli interessi delle monarchie
del Golfo e di Israele.
Negli stessi anni, la neonata Federazione russa si trovava alle prese con i contraccolpi interni ed esterni del
nuovo assetto scaturito dalla dissoluzione dell'URSS. Se confrontiamo la situazione di allora con quella
odierna, possiamo constatare come la Russia, oltre ad aver riaffermato con decisione i suoi interessi
nell'«estero vicino» (Georgia e Ucraina, con l'appendice della Crimea), sia divenuta anche un attore di primo
piano nella definizione degli assetti geopolitici e geoeconomici del Medio Oriente. Nel ventennio 1991-2011
ben pochi diplomatici e analisti occidentali avrebbero inserito la Russia nel novero dei Paesi da consultare
per definire gli assetti geopolitici del Medio Oriente o per concorrere a risolvere le crisi della regione. Oggi
invece, nessun diplomatico o analista occidentale oserebbe escluderla.
In ultima analisi, la nuova politica di Mosca in Medio Oriente si basa sul presupposto che la condotta
occidentale nella regione sia dannosa e controproducente, determinando seri rischi anche per la sicurezza
della Russia stessa. Una politica, quella occidentale, che il vicepremier russo Rogozin ha equiparato ad «una
scimmia con una granata in mano».
Il ruolo delle organizzazioni internazionali
Quanto alle organizzazioni internazionali, oltre alle probabili tensioni in seno alla NATO e all'Unione
europea determinate dall'avvicendamento alla Casa Bianca, bisogna senz’altro porre in primo piano le
Nazioni Unite, il cui ruolo in relazione al mantenimento della pace è sembrato tuttavia negli ultimi anni
piuttosto indebolito.
L'ONU, infatti, non ha potuto, per i complessi meccanismi ed equilibri che governano il Consiglio di
sicurezza, intervenire efficacemente in conflitti insostenibili come quello siriano, ad esempio.
L'aspirazione universalistica alla pace, che le Nazioni Unite hanno da sempre incarnato, sembra purtroppo
nei nostri tempi - in parallelo alle aspettative più ottimistiche verso la globalizzazione economica del mondo
- dovere cedere il passo ad una governance operata da attori regionali, che si spera capaci, ciascuno nella
propria area, di assicurare almeno il valore più prezioso, ovvero il mantenimento della pace soprattutto tra i
Paesi più importanti.
Vale ad esempio il fatto che l'emergere di attori fondamentali in Asia come l'India e soprattutto la Cina non
potrà non fare di questi Paesi dei protagonisti anche sul piano politico e diplomatico. In questo senso
l'Unione europea, che comunque ha già alle spalle un lungo percorso fatto anche di successi, potrebbe
rilanciarsi come uno di questi attori regionali di stabilizzazione, ma a tale scopo sarebbe necessaria una
profonda riconsiderazione delle basi stesse dell'Unione, a cominciare dalla necessità di rilanciare questioni
fondamentali come quella dell'unione militare e dell'unione politica. A tale prospettiva si oppongono tuttavia
le forti spinte sovraniste in vari Paesi europei, che mirano semmai a riportare sotto le competenze nazionali
prerogative già traferite in tutto o in parte all'UE.
26.01.2017 Matteo Migazzi