l`arte di preparare pani e dolci
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l`arte di preparare pani e dolci
Adriano Mauri L’abilità manuale dei panettieri, le tecniche tradizionali e la qualità delle materie prime fanno del pane di Quartu una delizia da scoprire. Quartu Sant’Elena L’ARTE DI PREPARARE PANI E DOLCI Dove l’aria profuma della fragranza irresistibile dei prodotti del forno, preparati come una volta grazie a una sapienza antica e a una lunga tradizione DI EMANUELE DESSÌ N é la baguette di Parigi e nemmeno la michetta di Milano. “Io non credo che ci sia in Europa un villaggio il cui pane possa essere paragonato a quello di Quarto”. E non che monsieur Antoine Claude Valéry di mondo ne conoscesse poco. Scriveva, nel suo Viaggio in Sardegna: “La pagnotta stessa che serve di nutrimento al contadino campidanese vale assai di più che il miglior pane d’Italia e di Francia”. L’anno del Signore era il 1834: Valéry pubblica a Parigi il suo Voyage en Sardaigne, rievocando i profumi sentiti entrando in quel borgo dove le case erano fatte di fango e di paglia. Un borgo che odorava di pane, di dolci e di vino. Un borgo povero e a un tempo ricco, dove le donne indossavano 187 QUARTU SANT’ELENA Adriano Mauri QUARTU SANT’ELENA Sopra : i gueffus, preparati con zucchero e mandorle, sono i dolci preferiti dai bambini e per questo rivestono, da sempre, il ruolo di protagonisti in ogni festa locale. A sinistra: ricostruita alla fine del XVIII secolo dopo l’incendio che nel 1775 ne distrusse il tetto, la parrocchiale di Sant’Elena presenta una semplificazione di linee legata al primo affermarsi del neoclassicismo. Dario Sequi abiti che facevano invidia – sono sempre parole di Valéry – a quelli indossati dalle signore di Cagliari o ai cappellini delle ragazze parigine. E pensare che, se la storia avesse avuto un altro corso, a Quarto (la “o” divenne “u” solo con un regio decreto del 1862, per non confondere il paese sardo con l’omonima località ligure appena resa famosa dai Mille di Garibaldi) Valéry avrebbe mangiato… baguette. Ma le mire espansionistiche della Francia rivoluzionaria si spensero, nel 1793, tra le siepi di fichi d’India a ridosso delle spiagge dove le truppe sardopiemontesi respinsero il tentativo di sbarco dell’armée. Trent’anni dopo Valéry non trovò, in Sardegna, il tricolore di Francia. Non sentì, a Quartu, profumo di baguette, ma di civraxiu, coccoi e moddizzosu, “…il miglior pane d’Italia e di Francia”. Un giudizio che, ancora oggi, inorgoglisce una comunità intera. Al punto che proprio le parole di monsieur Valéry potrebbero, presto, far bella mostra all’ingresso del primo museo sardo dedicato al pane tradizionale. L’indirizzo sembra già esserci: il vecchio Convento dei Frati Cappuccini, accanto alla chiesa di Sant’Agata, in piazza Azuni. E non in una sala qualunque, ma probabilmente in quella abbellita dall’affresco che per un secolo ha dato dignità alla volta del primo palazzo comunale della città. La mano di un artista-artigiano, il Citta, alla fine dell’Otto- 188 189 QUARTU SANT’ELENA QUARTU SANT’ELENA In alto: un tratto dei venticinque splendidi chilometri di costa che si estendono dalla spiaggia del Poetto fino a Geremeas. L’attrattiva delle spiagge ha contribuito allo sviluppo della vocazione turistica della cittadina. A destra: prima ancora che per il palato il pane di Quartu Sant’Elena, con le sue ricche decorazioni e forme originali, è una festa per gli occhi. 190 Adriano Mauri Dario Sequi cento, disegnò il cielo e il mare, le navi francesi e, insieme, gli eroi che salvarono Quarto. Niente baguette, sotto quella volta restituita ai quartesi e ai sardi, ma solo civraxiu, coccoi e moddizzosu. Cresciuta sino a diventare coi suoi 70.000 abitanti la terza città della Sardegna, Quartu Sant’Elena ha una vocazione forte per il turismo legata non solo ai 25 chilometri di costa o ai fenicotteri rosa che popolano gli stagni a ridosso delle strade e dei palazzi. È una vocazione fatta anche di cultura, di tradizioni. Il paese di ieri, infatti, non ha scordato l’antica arte della panificazione. Sì, attorno all’abitato non ci sono più le distese di spighe, il grano non diventa più farina nelle macine in pietra mosse da un asinello. Però tecnologia e tradizione convivono nelle attività artigianali che, prima ancora che sorga il sole, sfornano il pane di una volta. E il dedalo delle viuzze del centro o anche alcuni quartieri che non hanno mai conosciuto su làdiri (i mattoni di terra cruda) sono invasi da quei profumi tanto cari al Valéry. Il civraxiu è un pane integrale, confezionato con farina e crusca fine. Su moddizzosu, invece, è un pane che, in forno, diventa soffice e alto, da tagliare a fette. Il segreto è nella lavorazione: si può anche dire che la pasta è molto morbida, che dopo la pezzatura e prima ancora della lievitazione, va fatto scivolare nella farina, ma è impossibile descrivere il movimento delle mani delle massaie, gesti tramandati di madre in figlia. O di padre in figlio. Per generazioni. Piano e croccante è su coccoi, il pane fatto con la semola finissima. C’è la semola anche nel pane delle feste e delle cerimonie, su pani de is isposus. Ma prima che il palato, è lo sguardo a essere rapito dalle mille forme che la pasta può assumere, forgiata da mani esperte e dai semplici oggetti che la cucina di qualche secolo fa poteva offrire. Gli stessi che, anco- ra oggi, regalano identici capolavori. “Bastano la lama di un coltello e un paio di semplici forbici per modellare su coccoi”, spiega Mauro Argiolas, 27 anni, panettiere dal 1991 nel forno di famiglia, in via Dante, proprio davanti all’edificio neoclassico che ha ospitato il mattatoio ma ha anche custodito i documenti dell’archivio comunale. La pezzatura tipica del coccoi è di 150 grammi ma, su richiesta, si possono modellare e cuocere anche piccole forme da mezzo etto, in genere richieste per le cerimonie. Uno dei segreti del pane quartese, che accomuna buona parte delle produzioni isolane, è il lievito, che da queste parti si chiama frammentu. “La preparazione è semplicissima, – racconta Ambrogio Argiolas dalla sua azienda di via Dante. – Si utilizza un pezzo di pasta di pane avanzato dal giorno prima e si aggiunge a un impasto di acqua e farina. Aggiungiamo anche un po’ di lievito di birra, ma è proprio un pizzico: la proporzione è di 50 grammi di lievito su 50 chili di farina.” Anticamente su frammentu riposava in un recipiente in terracotta chiamato xivedda, coperto con un panno. Con le richieste dei consumatori le dimensioni e, quindi, gli oggetti sono cambiati, ma gli ingredienti sono sempre gli stessi. Amministrazione comunale (assessorato alle Attività produttive), Consorzio 21 e Porto Conte Ricerche hanno promosso un progetto pilota per la valo- rizzazione delle produzioni del pane tipico, coccoi e moddizzosu. Si è cercato di finalizzare ricerca e tecnologia a uno “starter microbico” in grado di riprodurre le caratteristiche tipiche delle fermentazioni a pasta acida: su frammentu, appunto. Insomma, tecniche moderne applicate alla tradizione. Il risultato è stato un disciplinare di produzione, la base per la confezione del pane tipico che potrebbe fregiarsi di un marchio in grado di distinguerlo su un mercato globalizzato anche nella panificazione. Ma il disciplinare è anche il punto di partenza per ottenere (attraverso il ministero delle Politiche agricole) un marchio di riconoscimento dell’Unione Europea. Il disciplinare va integrato con una relazione storica, già messa a punto da Barbara Fois dell’Università di Cagliari. L’obiettivo è la Igp, Indicazione geografica protetta, per coccoi e moddizzosu. Come previsto dal regolamento comunitario che disciplina la materia, a chiedere il riconoscimento Dop o Igp possono essere solo associazioni di produttori e trasformatori di prodotti agricoli. Come spiega Cornelia Cogoni, che ha un’attività di panificazione, il passo è stato fatto: l’associazione esiste e si è già mossa per far sì che, presto, ci sia sul mercato il pane “Coccoi e Moddizzosu di Quartu Igp”. Altro vanto, per l’agroalimentare di Quartu, sono i dolci. Una produzione favorita, nei secoli dei secoli, dalla presenza di vasti mandorleti. Per citare Enrico Costa (Costumi sardi, 1913): “Non è solo il pane che le donne quartesi confezionano con cura speciale: esse sono rinomate anche per altri generi di dolci, paste e biscotti prelibatissimi”. Il Costa cita gli intraducibili nomi – immutati in novant’anni – e brevemente li descrive: pastissus de gesminu (“Dolci sopraffini fatti con zucchero e mandorle tagliuzzate a mo’ di petali di gelsomino”), i piricchittus (“Boccoli di pasta composti di farina, zucchero e uova”), il pane ’e saba (“Pane di farina impastata con vino cotto”), le pardulas (“Formaggelle sottilissime”), le pabassinas (“Composte di una mistura d’uva passa, mandorle e pignoli, condensata con zucchero o miele”). 191 QUARTU SANT’ELENA Dario Sequi QUARTU SANT’ELENA 192 elementari. “La tecnica conta, certo, ma gli ingredienti più importanti sono l’impegno, la passione, direi persino l’amore per questa attività”, sottolinea Ignazia Tocco, maestra dell’arte dolciaria. Le nuove attenzioni del consumatore verso i prodotti tipici e biologici, meglio se accompagnati da un certificato di garanzia, hanno spinto un gruppo di imprenditori agricoli a dar vita all’associazione “Colline Quartesi”: uva da tavola, pomodori ma soprattutto patate, che vedono Quartu primeggiare in Sardegna per quantità di produzione, ma non solo. Versatili in cucina, le patate da queste parti si sposano a meraviglia (magari profumate con il rosmarino) con il maialetto arrosto. Oppure, nei piatti di In alto e nella pagina accanto : il Convento dei Frati Cappuccini, costruito accanto alla chiesa di Sant’Agata nel 1631, è candidato a ospitare il primo Museo sardo del pane tradizionale. Il restauro della struttura è stato realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Dario Sequi Squisitezze riprodotte con sapienza antica ancora oggi da giovani mani nelle botteghe dolciarie. Insieme ai candelaus (piccoli recipienti di varie forme realizzati con pasta di mandorle, vuoti o riempiti con sfoglia sempre di mandorle, profumate con essenza di fiori d’arancio) o, ancora, il gattò, confezionato con un impasto di zucchero sciolto e mandorle tostate. Il resto è arte: possono nascere piccole forme o riproduzioni, in miniatura, di monumenti e chiese, portate in processione durante la sagra campestre di San Giovanni, nel mese di luglio. È l’occasione anche per apprezzare gli splendidi costumi di Quartu, magari da mettere a confronto, sempre a luglio con le tradizioni popolari di tutto il mondo grazie a “Sciampitta”, festival del folklore organizzato, con il sostegno del Comune e della Regione Sardegna, dal gruppo folklorico “Città di Quarto”. Si sta cercando di tramandare la tradizione dei dolci di Quartu attraverso corsi di formazione o anche semplici dimostrazioni che cominciano nelle scuole 193 QUARTU SANT’ELENA aromatico, ampio, fragrante, con sentori di fiore di mandorlo e albicocca secca. Al palato è dolce, armonico, caldo, ricco di sapidità, ben strutturato. Ideale come vino da meditazione, ben si accompagna ai dolci tipici di Quartu a base di mandorla o ricotta, come le pardulas. Sapori da esaltare anche con il Nuscara, Malvasia Doc di Cagliari prodotto dalla Cantina di Quartu (fondata nel 1926), un vino bianco da dessert di origine antichissima, arrivato forse in Sardegna in epoca bizantina. Giallo paglierino tendente al dorato, ha un profumo intenso e persistente, con un retrogusto di mandorle amare. Servito fresco, 8-10 gradi, è un ottimo aperitivo. Se accompagnato ai dolci, meglio se a base di mandorla, la temperatura ideale di servizio è di 12-14 gradi. Quartu Sant’Elena, il mare a un chilometro e le vette dei Sette Fratelli alle spalle. I nuraghi sul mare e le chiese medievali che convivono tra case e negozi. Qui l’enogastronomia affonda i suoi segreti in una storia millenaria. Pagine scritte dalla prepotenza degli invasori (dai fenici fino ai piemontesi), ma anche dall’orgoglio dei sardi di queste terre. Un orgoglio che, ancora oggi, resiste, per regalare sapori e profumi senza tempo. Uno scorcio di Quartu vista dalla pianura circostante l’abitato. Sullo sfondo si stagliano le vette del gruppo dei Sette Fratelli. Dario Sequi mare, con le pregiate orate e le spigole del golfo degli Angeli, davanti al quale, nella bianchissima spiaggia di Quartu, tra novembre e aprile, è un trionfo di ricci, serviti in accoglienti gazebo insieme al pane e a un bicchiere di Vermentino fresco. Di recente introduzione è proprio la sagra della patata (organizzata, a giugno, davanti alla chiesa di Sant’Andrea, a Flumini, una delle tante apprezzate testimonianze dell’arte religiosa nel territorio), mentre risale agli anni sessanta la sagra dell’uva, organizzata in occasione della grande festa dedicata alla patrona sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) a settembre. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Quartu esportava, sfuso, buona parte del vino prodotto, per lo più bianco. Oggi la produzione vitivinicola presenta pregiati Doc che ben si sposano con la cucina sarda ma, soprattutto, con i dolci quartesi. Come il Moscato, la Malvasia o il Nasco Gutta ’e Axina (tradotto, l’anima dell’uva) prodotti dalla cantina Villa di Quartu, un’azienda agricola gestita da due giovani donne. Con il frutto di 45 ettari di vigneto, l’azienda produce anche bianchi e rossi, coccolati nelle botti che trovano casa nelle viuzze del quartiere di Cepola, la culla di Quartu. La vocazione per i vini da dessert potrebbe trovare nel Nasco importanti prospettive. Di colore giallo oro antico, il Nasco di Cagliari Gutta ’e Axina ha un profumo