Giovani e ManuChao - Dott. Mauro Minelli

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Giovani e ManuChao - Dott. Mauro Minelli
Caro Direttore,
c’ero anch’io, tra i ventimila e forse più che, una settimana fa, in piazza a Melpignano
hanno seguito il concerto di Manu Chao e la più gran parte di loro erano giovani.
Eravamo all’indomani dei fatti di Genova, ed il concerto è stato aperto dalla
testimonianza di una ragazza reduce da quella pagina nera della nostra democrazia: è
stato per me abbastanza facile scivolare dal piacere delle contaminazioni sonore di Manu
Chao all’osservazione dei ragazzi che erano al concerto, alla ricerca di elementi che mi
permettessero di entrare a dare uno sguardo nei loro mondi di significato, nelle
motivazioni che li avevano portati lì davanti al convento degli Agostiniani e, una parte
di loro almeno, anche in piazza a Genova.
L’ho fatto per interesse, diciamo così, professionale, perché una parte notevole
della mia attività e del mio tempo di Assessore provinciale alle Politiche Sociali sono
dedicati proprio a loro, ai giovani; ma l’ho fatto perché probabilmente io vengo, per
loro, da un altro pianeta, e parlarci non è facile per nessuno dei due interlocutori, io e
loro!
Io sono di un’altra generazione, anzitutto, e mai come oggi le differenze
generazionali pesano, perché sono diverse le velocità con cui io coi miei coetanei ed i
coetanei dei miei figli, riusciamo ad adattarci ai cambiamenti nel panorama che ci
circonda, ad esempio per quanto riguarda le tecnologie della comunicazione e
dell’immaginario. Ma, soprattutto, io sono un abitatore del mondo della politica, ed
esercito questa mia attitudine prevalentemente nelle istituzioni. E da questo osservatorio,
certo non può sfuggire l’analisi disincantata di quanto Politica ed Istituzioni siano
davvero, per i giovani, universi da cui istintivamente tenersi lontani: molti di loro non
votano, pochissimi di loro frequentano - e perché dovrebbero farlo, poi? - i rituali dei
partiti e degli apparati, e quando votano, poi, buttano per aria le nostre rappresentazioni
idealizzate, che li vorrebbero orientati verso l’area progressista, ed in massa premiano
invece il centro-destra. Dunque, mi sentivo, in piazza al concerto di Melpignano, come
una sorta di infiltrato, un osservatore che studia il terreno per capire dove muoversi, da
che parte cominciare per entrare in contatto con gli abitatori di quel mondo e, magari,
riuscire a comunicare con loro.
Ho cominciato a guardare alternativamente il palco ed il pubblico che si agitava al
ritmo scatenato dell’energia musicale di Manu Chao, che sembrava inesauribile.
Non parlo lo spagnolo, come del resto credo non lo capisse la grande maggioranza
del pubblico, eppure era chiaro che i testi avessero poco o nulla a che fare, per dire, con i
proclami rivoluzionari degli Inti Illimani al tempo della dittatura cilena. Dunque, il
richiamo delle canzoni di Manu Chao era, in qualche modo, al di qua della politica,
veniva prima di essa. La sua musica costruiva, in piazza, il senso della comunità, che
ancora non è la polis ma che la precede come una condizione necessaria, poiché non può
esservi politica senza che si sia preventivamente costituita una comunità.
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I ragazzi di Melpignano avevano trovato nella musica l’identità della loro
comunità, e poco importava, secondo me, che le canzoni parlassero non di guerra e lotta
e passione civile, quanto piuttosto della sensualità latina e degli amori d’estate, del cibo
e del fumo, della gioia di vivere in una parola. Ho guardato la comunità che si formava
sotto i miei occhi, e mi chiedevo quanto la mia esperienza di amministratore e di uomo
politico sia rinchiusa in un’idea di polis che si è separata dalla comunità, per diventare
autoreferenziale e dunque illegibile a chi, di questa polis, non è membro.
Manu Chao, e come lui Sting e Bono e i nostri Jovanotti e Pelù e Ligabue, hanno
semplicemente prestato i loro volti famosi a questo bisogno di identità e di comunità che
anima oggi i giovani. Ho l’impressione che questo bisogno stia gonfiando dentro la
società contemporanea, non solo quella italiana, come un fiume carsico che cerca lo
sbocco e preme per crearsene uno. Non ho elementi per affermare che siamo di fronte
alle avvisaglie di un movimento come quello del ‘68, anche perché l’affermazione
rischierebbe di avere il sapore dolciastro e pseudo-colto dell’ennesimo luogo comune, e
poi perché quella data è lontana dalla mia esperienza di vita come lo è per i ragazzi di
Melpignano, di Genova, di Seattle, di Goteborg. Ma dovrebbe dirci qualcosa questo
bisogno di identità e di comunità, questo afferrare i simboli laddove i giovani riescono a
trovarli per poi esibirli alle telecamere ed ai nostri occhi di adulti, di abitatori del mondo
della politica. Dovremmo chiederci se portare su bandiere e T-shirts la faccia barbuta del
Che indichi un’adesione esplicita alla visione vetero-marxista della rivoluzione cubana,
oppure non significhi anch’essa il bisogno di marcare un distacco dai rituali della
politica e delle istituzioni per rivendicare fondamentali istanze di giustizia sociale, di
impegno civile, di solidarietà questa si globalizzata a tutti gli sconfitti della Terra. In
breve, per far tornare la politica ad occuparsi della vita degli uomini, di tutti gli uomini,
e dei loro bisogni, del loro futuro, delle loro paure e speranze…al di là dei luoghi
comuni!
Penso che questo scarto tra comunità e politica, che oggi assume la doppia veste
dei movimenti antiglobalizzazione e della massiccia presenza al loro interno delle
giovani generazioni, sia una questione cruciale per il futuro delle democrazie occidentali
e dell’idea di modernità che esse hanno introdotto. Ho sentito, lì in piazza a Melpignano,
che questa lacerazione è aperta, che richiuderla non sarà facile né ciò avverrà, se
avverrà, in breve tempo. Ma so, comunque, che dobbiamo provarci: come adulti, come
uomini politici e delle istituzioni, come persone che sono responsabili di aver costruito
mondi di significato da cui i giovani si tengono lontani, preferendo mostrare in piazza, a
Genova o a Melpignano, tutta la loro umanissima voglia di vita.
Mauro Minelli
(Assessore alle Politiche Sociali – Provincia di Lecce)
Il Quotidiano di Puglia - 3/8/2001
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