1 Omelia nella Messa del 1° gennaio 2015, Giornata mondiale della

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1 Omelia nella Messa del 1° gennaio 2015, Giornata mondiale della
Omelia nella Messa del 1° gennaio 2015, Giornata mondiale della Pace
Cattedrale di Treviso
Nel dare il benvenuto a tutti i fedeli presenti in questa cattedrale, rivolgo un
saluto fraterno ai Canonici che formano il Capitolo della Cattedrale e al Vicario
episcopale per il coordinamento della Pastorale. Saluto con particolare deferenza e
cordialità le Autorità civili e militari, e altri responsabili di istituzioni che operano
per il bene dei cittadini: penso al servizio prezioso che tante persone, qui presenti o
qui rappresentate, rendono in maniere e ambiti diversi alla comunità civile,
svolgendo quotidianamente compiti spesso assai impegnativi, per garantire una
convivenza ordinata e sicura, dove siano rispettati i diritti di tutti e sia incentivato
l’esercizio dei doveri. Saluto con simpatia anche i responsabili e rappresentanti di
varie aggregazioni ecclesiali laicali: ognuna di esse, con la peculiarità che le è
propria, contribuisce a rendere la comunità cristiana testimone autentica e credibile
del Vangelo.
Ringrazio tutti per aver accolto l’invito a partecipare a questa celebrazione
eucaristica, nel primo giorno del nuovo anno, scelto dal Beato Paolo VI come
Giornata mondiale della Pace.
Credo che si debba dire che questa intuizione di Paolo VI non cessa di
essere felice e benedetta, in un mondo in cui la pace nel suo significato più esteso –
non solo quella data dal tacere delle armi – continua ad essere obiettivo da
perseguire con convinzione, determinazione e, per i credenti, con la mite forza della
preghiera.
È anche significativo che questo momento di comune riflessione
sull’importanza e necessità della pace, e di preghiera per essa, si collochi a otto giorni
dal Natale di Cristo. Raccontandoci la nascita di Gesù, l’evangelista Luca fa risuonare
il canto degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini,
che egli ama» (Lc 2,14).
E non vogliamo dimenticare che l’odierna festa liturgica ci fa venerare e
implorare la Vergine Maria con il titolo di Madre di Dio. Questo titolo i cristiani di
tutte le generazioni lo ripetono abitualmente nella preghiera più amata dopo il Padre
nostro: l’Ave Maria. In quelle poche parole, Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi
peccatori, adesso e nell’ora della morte, si concentrano, in certo senso, teologia e pietà
popolare, coscienza della fragile condizione umana e sguardo rivolto fiducioso al
Cielo, desiderio della Patria celeste e affidamento alla Madre di tutti i cristiani. A
Maria affidiamo l’intercessione della nostra preghiera per la pace.
La riflessione e la preghiera per la pace è aiutata ogni anno da un messaggio
del Papa, il quale mette a fuoco un tema particolare che attiene alla realizzazione
della pace. Il messaggio di questa Giornata del 2015 porta il titolo: Non più schiavi, ma
fratelli. Sembra riecheggiare l’espressione di Paolo ai Galati che abbiamo ascoltato
nella seconda lettura: «Dio mandò il suo Figlio … perché ricevessimo l’adozione a
figli... Quindi non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4,4-7). E se, come ci ricorda Paolo,
siamo tutti figli dello stesso Padre, ovviamente tra noi siamo tutti fratelli.
Può forse sembrare lontano dalla nostra cultura e dalla nostra civiltà, e anche
dalla nostra esperienza, il tema della schiavitù. Ma le parole che motivano la scelta di
questo tema ci aiutano a comprendere perché Papa Francesco abbia voluto sceglierlo
per il messaggio della sua seconda Giornata della Pace. Egli, partendo dalla ferma
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convinzione che è fondamentale per lo sviluppo dell’uomo, essere relazionale, che
siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia», osserva:
«Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte
dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni
interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno,
che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e
dignità, assume molteplici forme» (n. 2).
È vero che «oggi – scrive il Papa -, a seguito di un’evoluzione positiva della
coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente
abolita nel mondo», e che «il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di
schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma
inderogabile»; ciononostante – egli osserva – «ancora oggi milioni di persone –
bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a
vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù» (n. 3).
E qui Papa Francesco passa in rassegna alcune di queste condizioni
assimilabili alla schiavitù. Richiama così, per esempio, situazioni che si verificano nel
mondo del lavoro e nella condizione di molti migranti. A proposito di questo
fenomeno il Papa dichiara, tra l’altro: «Numerose persone… si trovano costrette a
emigrare, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i
familiari… Sono spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a
rischio della propria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in
quel circolo vizioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro
perniciose conseguenze» (n. 4).
E ricorda ancora le persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori,
e le schiave e gli schiavi sessuali; ricorda minori e adulti che sono fatti oggetto di
traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati,
per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti,
o per forme mascherate di adozione internazionale. E poi «tutti coloro che vengono
rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come
combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave
sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati,
mutilati, o uccisi» (n.3).
Di questo quadro, certo impressionante, vanno individuate le cause. La radice
di tutto è, secondo il Papa, una concezione della persona umana che ammette la
possibilità di «trattarla come un oggetto». Ma poi vanno individuate altre cause
profonde. Le cito rapidamente ricavandole dalla rassegna più descrittiva presente nel
messaggio:
la povertà, il sottosviluppo, l’esclusione, il mancato accesso
all’educazione o al lavoro, la corruzione, i conflitti armati, le violenze, la criminalità,
il terrorismo.
Naturalmente il Papa invita ad un impegno comune per sconfiggere questo
variegato ed allarmante fenomeno della schiavitù. «Spesso – egli osserva – si ha
l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale». E riconoscendo
l’opera di chi lodevolmente lavora a favore delle vittime, fa appello a Stati,
organizzazioni intergovernative, imprese, organizzazioni della società civile (n. 5). E
invita tutti a «globalizzare la fraternità, non la schiavitù e l’indifferenza» (n. 6).
Dicevo che ci sentiamo forse lontani dal fenomeno e dal problema della
schiavitù. Ma tale fenomeno non si manifesta solo nelle forme esteriori drammatiche
che sono state richiamate. Vi è anche una schiavitù meno visibile, che invade
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l’interiorità, la psiche, l’anima, lo stile di vita di chi si considera libero, ma forse tale
non è veramente. Non siamo così sicuri di essere detentori di una libertà autentica,
quella che ci rende desiderosi e operosi facitori del bene. E non dimentichiamo che la
schiavitù degli altri può dipendere anche dalla nostra incapacità di usare rettamente
della libertà o di pervenire alla libertà propria delle persone mature, non
semplicemente delle persone che non intendono disciplinare la propria vita facendo
riferimento a valori irrinunciabili e a opportune regole di vita.
Essere persone autentiche domanda il coraggio della libertà interiore, che è
frutto di un esigente cammino formativo e autoformativo. Osservava, per esempio,
ancora papa Francesco nell’omelia pronunciata ieri sera nella celebrazione conclusiva
dell’anno, facendo riferimento a noti fatti accaduti nella città di Roma: «Senz’altro le
gravi vicende di corruzione richiedono … una rinascita spirituale e morale, come
pure un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i
poveri, i deboli e gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazioni e del
nostro agire quotidiano». E aggiungeva: «È necessario un grande e quotidiano
atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra
Città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i
deboli e non servirsi dei deboli!».
L’augurio per l’anno che inizia potrebbe essere allora, per tutti noi, quello di
crescere in una libertà interiore profonda, che divenga spazio di assimilazione
convinta di quei valori indispensabili per l’edificazione di una società più giusta, più
rispettosa di ogni persona, più promotrice di autentica libertà per tutti.
Ci accompagni la Santa Madre di Dio a cui anche questa sera ripetiamo con
fiducia: prega per noi, che siamo peccatori.
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