TS E - POLO PSICODINAMICHE

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FRONTIERA DI PAGINE
TEATRO
T. S. ELIOT: L’ASSASSINIO E IL MISTERO
di Andrea Galgano
Prato, 8 dicembre 2011
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È
un
dramma
potente Assassinio
nella
cattedrale di T.S.Eliot, sia perché contiene una
traccia interna di una rievocazione che si fa
materia
espressiva,
sia
perché
è
pagina
fondamentale di storia inglese, sorretta da un testo corale e
solenne.
L’azione si sviluppa tra il 2 e il 29 dicembre 1170 e
rappresenta l’uccisione dell’arcivescovo Thomas Becket,
ex cancelliere, che diventando primate d’Inghilterra si
oppose alle pretese temporali del re Enrico II, rivendicando
i diritti della Chiesa.
Divisa in due parti con interludio si apre con un coro delle
donne di Canterbury che come un’ombra intensa e complessa, sono espressione
shakespeariana di un carattere unico, da molti associato alla figura di Viv, prima moglie di
Eliot, affascinante donna oppressa da un’insanabile follia: «Ogni giorno è il giorno in cui
temere o sperare. / Ogni momento è decisivo come un altro».
È l’hic et nunc dell’azione, il momento decisivo che si innesca nella storia, l’Eterno nel
tempo: «Anche adesso/ Attraverso sordidi particolari/ Ci può essere svelato l’eterno
disegno».
Scrive acutamente Luca Doninelli: “Eliot non scrisse Assassinio nella cattedrale per
commuoverci con la storia del martirio di Tommaso Becket, ma per dirci che ogni istante
della nostra vita è uguale a quell’istante, che ciò che condusse alla morte e alla
glorificazione di Tommaso Becket è uguale a ogni istante della vita di ogni cristiano del
mondo, perché n ogni istante ogni cristiano gioca la stessa partita. (...) Non i grandi principi
astratti, ma i concreti, sordidi particolari. I sordidi, lucenti, gloriosi particolari. Ma nello
smagliante, altissimo dramma sembrerebbe non esserci posto per i particolari. (...) Non è il
poeta che dà loro la propria luce, ma li sceglie – Eliot agisce sempre così – per la luce che
portano sempre in sé”.
II Nel giorno di Natale del 1170 Becket, prossimo al martirio, tiene una omelia sulla solennità
del Natale, giorno proprio del ‘qui e ora’.
L’istante nella parabola eliotiana ha la fragranza del supremo dell’esistere, perché il
momento più decisivo della storia inglese si intreccia con l’esistenza del singolo, con il suo
paradigma e la sua temporalità: «Anche i martiri e i santi attendono / Coloro che saranno
martiri e santi. / Il destino attende nelle mani di Dio, / non nelle mani degli uomini di Stato,
che agiscono / Ora bene, ora male, fanno progetti, fanno piani, / Ma intanto la trama del
tempo trasforma / I loro scopi nelle loro mani».
Becket, nonostante venga tentato da figure demoniache rimane non già coerente con la sua
linea, ma con il suo compito.
La moralità è l’adesione a una presenza connessa al nostro destino, ossia il rapporto tra il
gesto e la concezione del tutto in esso implicato. Qui c’è la specialità dell’uomo, la sua
traccia.
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© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano T.S. ELIOT: L’ASSASSINIO E IL MISTERO. 8 DICEMBRE 2011
Una traccia che non elimina la morte, come ampio gesto della vita, come sacrificio
dell’istante, teso a Cristo, e alla sua Grazia.
Scrive ancora Doninelli nella meravigliosa introduzione all’opera eliotiana: “Qualcuno
costruisce il tempio, qualcuno versa il sangue sui suoi scalini (…) L’opera di Dio è sempre
nel presente. «Il destino attende nelle mani di Dio»: questo definisce il presente, il «qui» e
l’«ora», ogni «qui» e ogni «ora»”. Il tempo e il tempio.
Non è solo un problema di temporalità tra Chiesa e Stato che mette a fuoco Eliot.
È il dramma dell’uomo nel tempo. Quell’itinerario che il Mistero svolge e realizza nello
spazio tra l’io e le cose. L’istante supremo di Becket è l’istante di Eliot che definisce il suo
stare al mondo.
In esso si gioca anche la sua vita che, pur onorando la Chiesa e omaggiandola, rimarrà per
sempre la «Straniera», come dirà nei Cori.
Molto si è scritto sulla foresta dei simboli eliotiani. Ma ciò che emerge dalla sua opera è la
figura di Becket come Imago Christi, dove «tutte le cose procedono verso una gioconda
beatitudine», il suo è un eroismo non di mito, ma un’asserzione, un paesaggio della volontà
divina.
Nel suo teatro si assiste a una prospettiva assoluta tra forma e tensione vitale, come origine
e fondazione classica d’espressione.
L’attività quotidiana, il vivere borghese londinese, l’uomo colto in un punto preciso della
storia snodano la parabola di una dramma di libertà, alla ricerca del proprio destino e della
sua accettazione, della coscienza di un solco dove si innesta l’Assoluto, in una scena
d’amore, come scrive nel 1958, nella sua ultima opera teatrale Il vecchio statista: «Lì sono
liberato di quell’io che fingeva di essere qualcuno, e nel divenire nessuno comincia a
vivere. Vale la pena di morire per scoprire cos'è la vita. Nemmeno la morte riesce più a
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III stupirmi e a sgomentarmi fissa come sono nella certezza di un amore che non muta. Mi
sento interamente sicura in te. Sono parte di te».
Noi Ti lodiamo, per la Tua gloria, Signore, dispiegata nelle
tue creature su tutta la terra.
Nella neve, Nella pioggia, Nel vento, Nella tempesta,in tutte le creature.
Nei cacciatori, come nelle prede che sono cacciate: ché tutte le cose esistono
soltanto come viste da Te. Solo, come da Te conosciuto. Tutte le cose esistono
nella tua luce soltanto.
La tua gloria è dichiarata, anche da ciò che ti nega;la tenebra stessa dichiara
la gloria della Tua luce.
Coloro che ti negano, non potrebbero difatti negarti,se Tu veramente non
esistessi.
E la loro negazione non può non avere consistenza ché, se così fosse, essi
stessi non potrebbero aver esistenza.
Essi, vivendo, ti affermano: tutte le cose viventi, Ti affermano.
L’uccello nell’aria: falco e fringuello. L’animale sulla terra: lupo ed
agnello. Il verme nel sottosuolo, ed anche il verme nel ventre.
Perciò l’uomo, che Tu hai creato. Per esser cosciente di Te. Deve con coscienza
lodarti.
Nel pensiero, nell’opera, e nella parola. Anche con la mano alla scopa. Anche piegando
la schiena per accender il fuoco. Anche piegando i ginocchio per spazzare la
casa.
Noi, le donne di Canterbury, che strofinano e spazzano.
La schiena piegata nella fatica. Il ginocchio piegato sotto il peccato. Le mani
sul volto, sotto il timore,la testa piegata sotto i dolore.
Ti lodano in noi, le voci delle stagioni. Il soffiar dell’inverno. Il canto di
primavera. Il ronzio dell’estate. Le voci degli animali. Le voci degli uccelli
tutti, ti lodano in noi.
Noi ti ringraziamo per le Tue Misericordie di sangue. Per la tua redenzione di
sangue.
Perché il sangue dei Tuoi martiri e santi. Arricchirà sempre la terra. Creando
altri luoghi santi ancora. Perché dove un santo ha abitato, dove un martire ha
dato il suo sangue, per il sangue di Cristo.
Là. il luogo è santo, e la santità non si partirà mai di là.
Se pure degli eserciti sarà calpestato, se pure verranno, con le guide, a
visitarlo, i turisti!
Da dove i mari dell’Ovest rodono la costa di Iona. Sin dove si muore in pieno
deserto.
Sin dove si prega nei luoghi obliati presso la rotta colonna imperiale. Da quel
suolo scaturisce, per sempre, ciò che rinnova la terra.
Se pure, per sempre, si rinneghi la fede. Per ciò, noi ti ringraziamo, o Dio,
che, a Cantebury, hai dato una benedizione totale.
IV (Coro da "Assassinio nella cattedrale") ®
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