“Il leone, la strega e l`armadio: una proposta di lettura” Prof. Edoardo

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“Il leone, la strega e l`armadio: una proposta di lettura” Prof. Edoardo
 “Il leone, la strega e l’armadio: una proposta di lettura” Prof. Edoardo Rialti Firenze, sabato 22 ottobre 2011 Appunti non rivisti dall’autore Le citazioni de “Il leone, la strega e l’armadio” sono tratte da C.S. Lewis, “Le cronache di Narnia”, vol.I, Oscar Mondadori, 2005 Innanzi tutto, buon giorno da parte mia. E’ un grande onore essere invitato ad un lavoro come quello che voi state facendo. Vi volevo dire che sento un certo senso di inadeguatezza a dialogare con gli insegnanti, perché ieri pomeriggio ero a Livorno a parlare ad una kermesse in cui c’erano una pittrice e un pianista. I critici letterari quando devono parlare circondati dagli artisti fanno la parte delle scimmie circondati dagli usignoli, cioè chi sa, fa l’artista e chi non sa fare, fa la critica letteraria. Ma era una brutta battuta quella che diceva “chi sa fa e chi non sa fare insegna”; in realtà, chi sa insegna e chi non sa insegnare fa critica letteraria. In questo senso mi affido al vostro buon cuore... Quello che vorrei fare oggi, insieme a voi, è proporvi una lettura de “Il leone, la Strega e l’armadio”, dall’interno di una delle mie attività principali che è la traduzione, che in fondo è un tentativo di lettura. La traduzione è sempre una lettura. In realtà, qualsiasi lettore è un traduttore: voi per primi siete dei traduttori e i vostri alunni sono dei traduttori perchè, come veniva detto l’altra volta, devono tradurre le immagini e le esperienze che un autore comunica, tentativamente, attraverso la grande arte. E’ il passaggio dal cosmo psicologico, morale, di sguardo dell’autore nel cosmo delle esperienze e dello sguardo del lettore, per cui non c’è lettore che non sia traduttore, che non traduca, che non assuma, accolga le parole, la proposta che l’artista fa. Quello che volevo fare con voi oggi è un tentativo di traduzione insieme de “Il leone, la Strega e l’armadio” di Lewis, in particolar modo, tra tutti i romanzi del ciclo di Narnia. Innanzi tutto, tenete presente che il ciclo di Narnia sono sette romanzi che raccontano la storia di un mondo, dalla sua fondazione fino alla sua conclusione; cioè, letteralmente, si inizia con una vera e propria genesi e si arriva alla fine del mondo di Narnia. Paradossalmente, però, questo è un percorso che Lewis non aveva previamente calcolato, talmente tanto che il primo romanzo non è il primo dal punto di vista della struttura cronologica di Narnia; il primo invece sarebbe “Il nipote del mago” che ormai, infatti, viene giustamente premesso come quello che apre, l’incipit. Ma il primo romanzo del ciclo è “Il leone, la Strega e l’armadio” che, appunto, Lewis non aveva ideato come l’inizio di una serie, ma è semplicemente nato come storia a cui poi se ne sono aggiunte altre. Questo è molto interessante. Lewis lo avrebbe detto in un saggio che si trova in una raccolta edita da Marietti, che curammo qualche anno fa e che si chiama “Come un fulmine a ciel sereno”, in cui racconta -­‐ in uno di questi saggi -­‐ come lui per primo ha scritto delle fiabe e diceva: “io non sono mai partito da un calcolo o dal voler dimostrare qualcosa, ma da un’immagine, da una storia che per primo ha raggiunto, colpito, interrogato me”. Questo è molto interessante e lo dobbiamo tenere presente, perchè Lewis che è stato un grandissimo maestro e professore universitario -­‐ uno dei pochi che ha contemporaneamente insegnato a Oxford e Cambridge, un onore che non si è quasi mai più ripetuto nella storia del mondo accademico inglese -­‐ è stato anche un grandissimo pedagogo, proprio perché come tutti i grandi artisti non voleva dimostrare qualcosa ma, anzitutto, mostrare; esporre il lettore ad una dinamica, un percorso che di per sé dice qualcosa e che non è frutto di una calcolo, fosse pure sostenuto dalle migliori intenzioni di questo mondo. Questo in realtà è già operativo nel percorso che Lewis racconta nei personaggi de “Il leone, la Strega e l’armadio“ Ho diviso tutto questo in una serie di punti. Innanzitutto la fiaba “Il leone, la Strega e l’armadio” è un percorso di conoscenza. Come inizia “Il leone, la Strega e l’armadio”? Con dei bambini che per una circostanza contingente, cioè i bombardamenti, si trovano a dovere andare in una casa di campagna. Questa è una cosa che effettivamente è successa nella vita di Lewis. Lewis viveva ad Oxford e per tutta la durata dei bombardamenti ha ospitato dei bambini a casa sua; lui che viveva appunto a Oxford, una cittadina più piccola di Londra, non minacciata dai bombardamenti nazisti, ha ospitato dei bambini a casa sua. Ma non solo: in questo libro Lewis reinserisce quella che è stata la dinamica fondamentale della sua esperienza di bambino. Lui che era nato in Irlanda diceva “io sono figlio di lunghi corridoi, di soffitte polverose, di libri aperti per caso, apparentemente, nei lunghi pomeriggi noiosi”. Lui dirà che in tutta la sua vita l’evento più importante sarebbe stato un pomeriggio, nel quale lui si stava annoiando e ha aperto per caso un libro di fiabe e miti. Un’immagine di una circostanza apparentemente banale, che si schiude in un di più: quella che non soltanto sarebbe stata la sua vocazione fondamentale, cioè di studioso e di scrittore, ma letteralmente l’incontro con una vastità di orizzonte umano che poi lo avrebbe portato fin sulla soglia della conversione. Ma tutto questo è esattamente l’inizio de “Il leone, la Strega e l’armadio”: i bambini stanno giocando a nascondino e stanno visitando le varie stanze della casa; ad un certo punto arrivano in una stanza e ci trovano soltanto un vecchio armadio. Peter che cosa dice? Guardate: “ -­‐ Qui non c’è niente di bello -­‐ sentenziò Peter, e proseguì la marcia.” Peter non vede niente d’interessante; la più piccola dei bambini, invece, si sofferma davanti a questo grande armadio. Non è vero che non c’è niente; c’è questo armadio e, a questo punto, la bambina lo utilizza per giocare. Entra dentro quella che parrebbe la più sicura e la più controllabile delle situazioni. Cosa c’è di più chiuso di un armadio? Invece si rivela essere inaspettatamente la porta di un mondo molto più vasto, che è appunto Narnia. Guardate cosa dice Lewis: “Naturalmente la piccola Lucy fu un po’ spaventata da quella scoperta, ma nello stesso tempo si sentì piena di curiosità e di una strana eccitazione che la spingeva a proseguire lungo quel sentiero, verso quella luce.” Tra l’altro, con un gioco di parole, la bambina si chiama infatti Lucy. La bambina scopre qualcosa che non si aspettava e, misteriosamente, questa inattesa sorpresa corrisponde. Questo è un altro elemento significativo dello sguardo che Lewis propone attraverso la sua fiaba: cioè il mondo ha continuamente luoghi e occasioni che aprono ad una vastità misteriosamente conveniente, verso la quale ci sentiamo chiamati talmente tanto che in questa vastità c’è qualcosa che richiama il nostro stesso nome. La bambina si muove verso questa vastità, verso questa pienezza, ed entrando a Narnia, la prima cosa che succede in questo mondo inatteso – che cosa accade? – è un incontro, un incontro con una creatura radicalmente diversa da sé, il fauno, da un certo punto di vista perfino spaventosa, con la quale però, invece, nasce non soltanto una curiosità ma perfino una simpatia. Il fauno invita Lucy a fare colazione insieme. Non solo, l’accoglienza di questa vastità, di questa ampiezza non preventivata, cambia la persona, cambia Lucy -­‐ che ha questa naturale disposizione -­‐ ma cambia soprattutto il fauno, perché il fauno parte nei confronti di Lucy con un calcolo, che è quello di rivendere la bambina alla strega che gli ha detto : “se a Narnia arrivano dei bambini, degli esseri umani, me li dovete portare”. Il fauno, che è fondamentalmente buono ma anche spaventato, attira la bambina nella grotta con la pretesa di drogarla e farla addormentare per poi consegnarla alla strega. Succede un fatto che il fauno non aveva preventivato: dando tempo e spazio ad un incontro il fauno cambia, perché prima aveva un’immagine della bambina che era semplicemente quella di un’estranea che eventualmente si doveva consegnare; ma quando conosci qualcuno la tua esperienza è diversa, hai scoperto un’affinità, una simpatia, un’intimità. Per cui il fauno si mette a piangere. Lucy si risveglia con il fauno che sta piangendo e le dice: “guarda che io mi vergogno, ma in realtà ti ho addormentata perché volevo consegnarti”. E la bambina gli dice: “ – Ma, per favore, fammi tornare a casa. -­‐ -­‐ Naturalmente! -­‐ esclamò subito il fauno -­‐ non potrei più farti una cosa tanto brutta, ora che ti conosco! Lo capisco da solo, sai! Prima non sapevo neanche come fossero fatti gli esseri umani. Non ne avevo mai incontrati.Andiamo via subito. Ti riaccompagnerò al lampione e spero che riuscirai ad arrivare in fretta al regno della Stanza Vuota nella città di Guarda Roba.(…)” Ancora una volta, una dinamica di conoscenza che allarga l’orizzonte, che ti cambia. Il fauno prima non conosceva Lucy: dal momento che la conosce, questo ha in sé un implicito ma potentissimo suggerimento: altro rispetto all’immagine precedente. Questo è uno dei grandi temi che “Le Cronache di Narnia” continuamente proporrà: cioè che conoscendo e incontrando si cambia, si scopre qualcosa che chiede uno spazio anche doloroso, non comodo. Infatti il fauno verrà imprigionato per aver salvato la bambina, perché la Strega Bianca lo verrà a sapere; ma se possibile è infinitamente più conveniente, essere nella vera dimensione con cui la persona vuole vivere. Il fauno non vuole essere un traditore, è diventato un amico di quella bambina; non solo, ma questo sarà la stessa cosa che -­‐ad un certo -­‐ punto diranno i bambini del fauno. Quando Lucy e gli altri bambini entreranno a Narnia e scopriranno che il fauno è stato imprigionato, sarà questa la prima mossa per la quale decideranno di restare in questo mondo bellissimo ma fondamentalmente ostile, in cui si sentono gravati da questa definizione di sé che loro sentono assolutamente sproporzionata: -­‐ Noi dovremo essere i quattro re liberatori di un mondo? Ma siamo dei bambini, come possiamo?”-­‐ Non ci sarà nessuna previa intenzione, nessun calcolo moralistico. Come dire: dobbiamo restare perché dobbiamo restare o per un senso di adeguatezza ad un compito. Infatti i bambini si sentono totalmente sproporzionati. Ma c’è un fatto molto semplice, molto più basilare e molto più concreto. Gli altri bambini dicono: -­‐ Andiamocene -­‐, quando vedono la casa del fauno fatta a pezzi e messo sulla porta il proclama dei Lupi che dice che chiunque ospiterà i bambini deve essere arrestato. “ -­‐Forse è meglio tornare a casa alla svelta, che ne dite? -­‐ dice Susan. -­‐ Ooh no! -­‐ esclamò improvvisamente Lucy. -­‐ Non possiamo. Non capite? Non possiamo tornare a casa dopo quello che ho visto. -­‐” Ancora una volta:“quello che abbiamo visto”. -­‐ Se il povero fauno è finito nei guai è stato per colpa mia! Mi ha nascosto qui. Invece di consegnarmi alla Strega Bianca, mi ha riaccompagnato a casa.-­‐” Vedete, è per un rapporto che è successo: Lucy rimane per amicizia con il fauno. Se qualcuno ha visto il film, in particolare il passaggio di consegne del fazzoletto, la bambina si commuove perché il fauno si mette a piangere e gli regala il proprio fazzoletto, con il quale potesse soffiarsi il naso. “Ci siamo scambiati qualcosa, non siamo più le persone di prima”. Questo tema del “te che hai accolto l’altro” è uno dei grandi temi della letteratura occidentale. Questa è una fiaba ma, fra due o tre anni, quando i vostri bambini faranno le medie, vedranno succedere la stessa cosa quando nell’Iliade ci sono Glauco e Diomede che stanno per combattere e improvvisamente Glauco dice “ma tu sei il figlio di quello che è stato ospite di mio nonno?Ma allora non ti posso combattere” e si scambiano le armature. Uno condivide la propria vita, i propri doni con l’altro. La conoscenza che ti cambia. Ma non solo. “Il leone, la Strega e l’armadio” propone anche una particolare idea di ragione che è questa: quando Lucy torna da Narnia e racconta la storia ai fratelli non viene creduta, soprattutto perché Edmund, che a sua volta è stato a Narnia, -­‐ in malafede perché in combutta con la Strega Bianca -­‐ ha detto che la bambina si è inventata tutto. I bambini vanno a parlare (Susan e Peter, che sono i più grandi) con il professore che li sta ospitando e che ovviamente è un’immagine dello stesso Lewis, il vero sguardo adulto per Lewis. Guardate cosa succede: i bambini dicono che la sorella ha raccontato loro una storia non vera. “-­‐ Quando i due ragazzi ebbero finito, il professore restò un bel po’ in silenzio, poi si schiarì la gola e disse l’ultima cosa che Peter e Susan avrebbero immaginato di sentirgli dire.-­‐ Ancora una volta una vastità che spiazza rispetto ad un’immagine previa. Chiese semplicemente: come fate a sapere che la storia di vostra sorella non è vera? Cioè, quale è il criterio che avete per distinguere se una cosa è vera oppure no? – Oh, ma -­‐ cominciò Susan e poi si fermò, guardando bene in faccia il professore. Chiunque avrebbe capito che non scherzava affatto. -­‐” Questa è una delle più belle scene pedagogiche di tutta la letteratura del novecento, sul fatto che questo adulto non li sta prendendo in giro. “Allora Susan si fece coraggio e proseguì: -­‐ Edmund ha detto essere che lui non è mai stato dall’altra parte dell’armadio, che era tutto uno scherzo combinato con Lucy. -­‐ Questo è un punto che merita di essere approfondito -­‐ precisò il professore. -­‐ Seriamente approfondito! Per esempio, e scusatemi se vi faccio questa domanda, dalla vostra passata esperienza risulta che vostro fratello e vostra sorella siano tipi attendibili? Voglio dire, chi dei due vi sembra più sincero in linea di massima? -­‐ “Ho pensato anch’io qualcosa del genere, signore -­‐ intervenne Peter. -­‐ Fino ad ora, avrei risposto senz’altro che Lucy è la più sincera. -­‐ E tu cosa ne pensi, mia cara? -­‐ fece il professore rivolto a Susan. -­‐ Be’, in linea generale -­‐ cominciò Susan -­‐ sarei della stessa opinione di Peter. Ma ora questa faccenda del bosco e del fauno… -­‐ Capisco -­‐ mormorò il professore. E poi: -­‐ Ma io non oserei pronunciarmi contro Lucy. Accusare di falsità una persona che è sempre stata sincera è una cosa molto grave, mia cara. Una cosa molto grave. -­‐ È per questo che siamo venuti da lei -­‐ disse Susan. -­‐ Ci è venuto il sospetto… la paura che Lucy non stia mentendo, ma che le sia successo qualcosa di brutto! -­‐ Che sia impazzita? -­‐ chiese il professore molto freddamente. – Oh, se è per questo, potete ben capire da voi che Lucy non è matta. Basta vederla e sentire come parla. -­‐ Ma allora… -­‐ e qui Susan si fermò di nuovo. Non avrebbe mai e poi mai immaginato che una persona adulta potesse parlare come stava facendo ora il professore. ( che avesse uno sguardo, una ragione di questo tipo) Non sapeva più cosa pensare! -­‐ La logica! -­‐ esclamò il professore, parlando quasi a se stesso. -­‐ Ma perché non insegnano un po’ di logica, nelle scuole, a questi poveri ragazzi? Qui ci sono soltanto tre possibilità: o la vostra sorellina sta mentendo, o è impazzita, o dice la verità. Voi stessi riconoscete che è una bambina sincera. Non dice mai bugie. E non è matta. Allora, e fino a prova contraria, dobbiamo pensare che dica la verità. Susan tornò a guardare bene in faccia il professore. Dalla sua espressione si convinse che lui non stava affatto prendendoli in giro. Parlava seriamente. -­‐ Ma come può esser vera la sua storia? -­‐ chiese Peter. -­‐ Perché me lo chiedi? -­‐ ribatté il professore. -­‐ Prima di tutto -­‐ cominciò a dire Peter -­‐ perché, se quel bosco esiste veramente, non lo abbiamo trovato anche noi, guardando dentro l’armadio? Non c’era proprio niente, signore! -­‐ E questo cosa vuol dire? -­‐ ribatté il professore. -­‐ Ma se le cose esistono realmente, ci sono sempre! -­‐ Davvero? -­‐ commentò il professore. E Peter non seppe cosa rispondergli. -­‐ E il tempo? -­‐ intervenne Susan. -­‐ Non c’è stato tempo per tutte le cose che dice Lucy. Anche se il paese di Narnia esistesse veramente, Lucy non può esserci andata. Eravamo appena usciti dalla stanza, quel giorno, e lei già ci correva dietro raccontandoci tutta la storia! Ha detto di essere stata via delle ore, invece era meno di un minuto. -­‐ Ed è proprio questo che rende verosimile la sua storia -­‐ disse il professore. -­‐ Se in questa casa c’è una porta che dà su un altro mondo (e qui devo avvertirvi che questa casa è molto, molto strana… Non so bene bene neppure io).” Questa è una delle immagini più belle dell’adulto rispetto alla realtà. Un adulto vero è capace di dire che non conosce tutto. Ci sono delle porte che danno su un di più: “ -­‐ Se c’è questa porta, dicevo, e se Lucy è passata in un mondo diverso dal nostro, non mi sorprende affatto che quel mondo abbia un tempo tutto suo, diverso dal nostro! Staccato, capite? Puoi stare là delle ore e intanto occupi "quel" tempo, ma non occupi il nostro. Lucy è troppo piccola per aver capito questo particolare, non può esserselo inventato, dunque vuol dire che non mente. Se avesse voluto inventare una fandonia, sarebbe rimasta nascosta per parecchie ore!” C’è un uso diverso di ragione aperto ad una possibilità più vasta, ma misteriosamente in grado di rendere ragione migliore dei fattori che già ci sono. La moralità di Lucy è negli elementi che vengono fuori dal racconto. Una ragione aperta all’esperienza, come avrebbe detto Lewis nella sua biografia ”Sorpreso dalla gioia”. Sorpreso – surprise -­‐ è l’aggettivo fondamentale di tutto il percorso umano e narrativo di Lewis: lo vedete, che stiamo passando di sorpresa in sorpresa! “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta” afferma Lewis, e poi “L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”. Questa è la proposta, la sfida che Lewis fa anche attraverso il suo racconto. Non solo: questa idea, questa percezione di ragione diventa una possibilità affidabile con la quale muoversi nella vastità più grande del mondo nel quale siamo entrati, Quando i bambini arrivano a Narnia inizialmente non sanno come muoversi, perché il fauno è stato arrestato; improvvisamente c’è un pettirosso che li invita a seguirlo e Edmund, che ha già una posizione falsa perché in realtà è un traditore, dice “come facciamo a fidarci di questo pettirosso?” E anche Susan, che è molto insicura dice “Come facciamo a capire che ci dobbiamo fidare di questo animale rispetto a un altro?” Dice Edmund: “ -­‐ Ti rendi conto di quello che stiamo facendo? Seguiamo una guida sconosciuta. Quel pettirosso, voglio dire. Noi non sappiamo se sta dalla parte del fauno o della regina. E se ci sta portando in una trappola?” Qui c’è una cosa molto bella. “ -­‐Che brutto sospetto! – osservò Peter. – I pettirossi sono uccellini buoni. Almeno così ho sempre sentito dire in tutte le favole!” Questo, guardate, è un momento metaletterario: qui Lewis sta strizzando l’occhio agli adulti, sta dicendo che le fiabe che noi consegniamo, le storie, diventano una bussola con la quale orientarsi nella vita. Peter sa di potersi fidare dei pettirossi, perché nelle fiabe li ha sempre incontrati come uccelli buoni; invece, dei lupi e dei serpenti si deve sempre diffidare. C’è un’ ipotesi più affidabile, con la quale orientarsi come bussola nell’esperienza. Il racconto, quello che leggiamo, per Lewis è una risorsa perché ti permette di orientarti nella sorpresa della vastità nella quale ti inoltri nel mondo. L’uomo non è lasciato da solo in questa vastità. Hai delle ipotesi con le quali poterti muovere e che sono delle ipotesi affidabili. Il pettirosso è effettivamente buono e i bambini potranno muoversi nella direzione giusta. Ma tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora è fondamentalmente esemplificato dall’incontro per eccellenza che avviene a Narnia. Narnia di per sé, come luogo, è l’esposizione di quattro libertà diverse; Peter, Susan, Edmund e Lucy, quattro bambini, esposti alla vastità di un’esperienza non preventivata. Ma il cuore di Narnia è per Lewis l’incontro con un altro. Narnia di per sé è altro, è l’alterità, ma in questa alterità c’è un Altro con la a maiuscola che è Aslan, il signore di Narnia. Qual è la caratteristica fondamentale dell’incontro con Aslan che è il signore di Narnia, il creatore, cioè Dio? Guardate, c’è una tendenza a fare delle Cronache di Narnia una sorta di catechismo implicito. Essendo però Lewis un uomo che si era convertito al cristianesimo perché aveva riconosciuto nell’incontro con Cristo l’inverarsi di tutto quello che lui aveva già amato nella vita (talmente tanto che arriverà a dire che quando uno incontra Dio non gli dice mai “ma tu chi sei?” ,come di fronte ad un immenso sconosciuto, ma piuttosto “eri tu dunque per tutto il tempo!), questa è una valorizzazione assoluta della propria personale esperienza. Quello che abbiamo detto fino ad ora, nell’incontro con Aslan è potenziato, cioè la persona -­‐ nei tratti della sua libertà -­‐ emerge ancora di più . Guardate, la prima volta che viene semplicemente nominato Aslan, la libertà dei quattro bambini emerge: “ E fu allora che accadde una cosa veramente strana.” (ancora una volta una cosa che accade non preventivata) “I quattro ragazzi non avevano la minima idea di chi fosse questo Aslan che doveva arrivare e forse era già arrivato,” anche questa è un’immagine pedagogicamente straordinaria; questi bambini non hanno fatto il catechismo, non hanno la minima idea di chi fosse questo Aslan, che doveva arrivare e forse era già arrivato eppure (questa è la cartina di tornasole, l’esperienza) “ eppure, sentendo pronunciare quel nome, furono presi da una strana sensazione. Forse qualcosa di simile succede nei sogni e forse sarà capitato anche a voi: qualcuno (nel sogno dice qualcosa che non si capisce bene o non si capisce affatto, (vedete non è una questione razionale) ma che sembra pieno di significato e improvvisamente il sogno si trasforma in un incubo terribile o un’avventura meravigliosa, troppo bella per essere spiegata a parole, qualcosa di indimenticabile. Infatti non si dimentica mai più (…) Insomma, udendo il nome di Aslan i quattro ragazzi ebbero un tuffo al cuore. Edmund fu invaso da una misteriosa sensazione di orrore, (Questo perché Edmund ha già deciso di tradire i bambini, per cui è tutto chiuso in questa previa posizione per cui tutto quello che è dono, amicizia, è sgradevole. E’ come quando Dante dice, nel cuore del Paradiso, che se un dannato andasse in Paradiso scapperebbe via urlando, perché il Paradiso non è un luogo da cui i dannati sono esclusi ma è un luogo dal quale vogliono essere esclusi.) Peter si sentì improvvisamente coraggioso e pieno di spirito d’avventura (quello che è sempre stato per tutta la storia), Susan ebbe l’impressione di essere avvolta da un’onda di profumo o forse da una musica deliziosa. Lucy, invece, si sentì come uno che si risveglia accorgendosi che è cominciata l’estate ed è tempo di vacanza.” Ognuno ritrova quello a cui tiene di più. Ma tutto questo Lewis lo aveva raccontato in un modo bellissimo in un altro testo, quando avrebbe detto ne “Il problema della sofferenza”: “E non è forse vero che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore, sebbene vago e incerto, anche nei migliori amici, di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate da sempre di trovare, di vedere e di sentire, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi, tra tutte le passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, dall’infanzia alla vecchiaia?”. Guardate la frase dopo: “Non l‘avete mai posseduto. Tutte le cose che hanno mai posseduto profondamente la vostra anima” non siamo noi che dominiamo questa cosa……non lo domini, non lo puoi imbrigliare! “ne sono state solo degli indizi, barlumi, allettanti promesse mai completamente realizzate, echi che si spegnevano subito, appena vi arrivavano alle orecchie. Ma (avversativa potentissima) se questa cosa dovesse veramente manifestarsi, se mai dovesse sentirsi un’eco che non si spegnesse subito, ma si espandesse nel suono stesso (diventa un’esperienza), voi lo sapreste; al di là di ogni possibilità di dubbio direste: ecco quella cosa per cui sono stato creato”. Questa è la spregiudicata, liberissima fiducia di Lewis nei confronti dell’umana esperienza; talmente tanto che, quando dei bambini scriveranno a Lewis “ma chi è questo Aslan ?” Lewis, che era uno degli apologeti più famosi del novecento, avrebbe avuto gioco facile a dire che si trattava di una versione narrativa di Cristo. Non lo farà mai. Lui scriverà ad una bambina “pensaci bene, hai mai incontrato in questo mondo qualcuno che era figlio del più grande dei re, che è venuto per aiutare gli uomini ed è stato ingiustamente ucciso e poi è tornato? Se conosci il suo nome fammelo sapere.” Lewis non ha il problema di far fare ai bambini un passo che non sia l’esperienza. Aslan non è una trappola per parlare di Cristo. E’ l’esperienza di Cristo. L’esperienza narrativa di qualcuno che è infinitamente più grande, potentissimo e buono, che muore per te, dando alla tua vita un significato radicalmente diverso. Ed è questo, l’ultimo passaggio che volevo dire, questo incontro, che permetterà ai bambini di restare a Narnia fino ad assumersi la responsabilità di essere re. Cioè la scoperta della loro regalità non sarà l’acquisizione di un merito, come una capacità eroica personale -­‐ sono bambini, restano bambini tutto il tempo -­‐ ma l’acquisizione di uno sguardo di stima tale che il re dei re muore per il più traditore di loro quattro, per uno solo di loro, per un solo bambino. Lewis è come se volesse premere l’acceleratore: Aslan non muore per l’umanità, muore per uno. Muore per Edmund, si scambiano i posti. E questo genera uno sguardo diverso con il quale stare nel mondo. I bambini, a quel punto, accetteranno di combattere; ma è come se fossero sostenuti, lanciati dall’enorme tsunami di questa di questa stima. Ancora una volta vedete la libertà di Lewis : quello che è vero in Aslan, supremamente vero nello sguardo di amore e sacrificio di Aslan, era vero fin dall’inizio nello sguardo del fauno, nello sguardo dei castori, nello sguardo di tutti gli animali di Narnia che, con una sorta di staffetta di amicizia, aiutano i bambini. E’ come un continuo “io al posto tuo” perché tu possa fare un altro passo e un altro passo ancora. É questo sguardo su di sé, questa amicizia, questa offerta che precede ogni tua capacità, che ti rende a tua volta capace di amore e di dedizione. E questo è ancora una volta una vastità che supera il calcolo del male, del potere, della violenza. La Strega Bianca è invece la negazione di tutto questo. La Strega Bianca è il potere che imbriglia Aslan. Quando Aslan si offre, cosa dice? “ -­‐ Legatelo subito!”. Non solo, ma quando Aslan si offre al posto del bambino cosa gli dice la Strega Bianca? “ -­‐ Il pazzo è venuto davvero! ”. Per il male, il potere che vive solo come l’auto conservazione di sé, il dono per amore è pura follia, è lo sfondarsi di qualsiasi misura quindi è assolutamente inconcepibile, inimmaginabile, sentito come assolutamente sconveniente rispetto a sé. Quando Aslan viene catturato, nel capitolo “Il trionfo della Strega”, la Strega lo blocca: “ – E dunque allora? Chi ha vinto? E tu, pazzo, credi che con questo salverai quel traditore? Io ti ucciderò al posto suo, come era nel nostro patto (…) Ma quando tu sarai morto, chi mi impedirà di uccidere anche lui? Chi lo strapperà dalle mie mani, allora? Mi hai consegnato, e per sempre, regno tutto il paese di Narnia. Hai perso la tua vita, ma non hai salvato quella di lui. Capiscilo finalmente e muori nella disperazione!” Lo ammazza, Aslan risorge per una magia più grande della magia della Strega, come spiegherà alle bambine. Le bambine chiederanno: “ -­‐ Ma cosa significa tutto questo? -­‐ chiese Susan quando si furono un po’ calmate. Aslan rispose: -­‐ Significa che la Strega Bianca conosce la Grande Magia, ma c’è n’è un’altra, più grande ancora, che lei non conosce. Le sue nozioni risalgono all’alba dei tempi (quantitativamente la Strega Bianca conosce tutto): ma se potesse penetrare nelle tenebre profonde, nell’assoluta immobilità che erano prima dell’alba dei tempi, vedrebbe che c’è una magia più grande, un incantesimo diverso. E saprebbe così che, quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro!” Ma la cosa più bella che vi volevo leggere è alla fine, quando il leone torna in battaglia e ruggisce scuotendo Narnia da una parte all’altra. Lewis ci dice un’ultima cosa: la sorpresa, la meraviglia, lo stupore sono una condizione dell’esperienza di per sé; è la nostra disponibilità che fa della sorpresa un’occasione di gioia o la sconfitta dei nostri calcoli. Perché anche la Strega Bianca sarà sorpresa da Aslan che ritorna, ma non sarà sorpresa dalla gioia! Attenzione a quello che dice: “ Con un ruggito che scosse il paese di Narnia da un capo all’altro (…), Aslan piombò sulla Strega Bianca. Lucy vide che lei alzava verso il leone una faccia pallidissima, piena di terrore e di meraviglia.” Se avete visto il film con i vostri bambini, quando Susan entra a Narnia dice “impossibile” ma è un impossibile pieno di commozione. Quando la Strega Bianca vedrà il leone che risorge dirà: “impossibile!”, ma è un altro tipo di impossibile, è un impossibile sconfitto. Il grande cammino che Lewis propone con “Le Cronache di Narnia” è proprio questo: che tipo di sguardo vogliamo avere? Vogliamo avere lo sguardo di Lucy o di Susan, che accoglie una vastità con sorpresa e con gioia, o vogliamo difendere quello che già abbiamo, quello che già sappiamo e, comunque, essere travolti da un impossibile che se ne infischia dei nostri calcoli e delle nostre previe immagini? L’ultimo passaggio è che “Le Cronache di Narnia” sono una metafora della lettura, un ritorno. Questo è molto significativo: si torna dall’armadio, i bambini tornano, si torna a guardare la realtà con occhi diversi. Come ne “Il Signore degli Anelli” che finisce con la frase “sono tornato.” È una frase meta letteraria: è il lettore che torna anche. Torniamo dopo un lungo viaggio a guardare tutto con occhi diversi. L’avventura di Narnia non è per svalutare l’esperienza quotidiana ma è per sorprendere nel quotidiano questa continua occasione di profondità ulteriore. Ancora una volta, l’ultimo dialogo che i bambini hanno con il professore quando gli dicono “ma torneremo a Narnia?” “-­‐ Oh, sì, naturalmente, tornerete un giorno o l’altro. Ma non cercate di passare due volte per la stessa strada (ancora una volta non un calcolo). Anzi, non cercate di tornarci. Capiterà quando meno ve l‘aspettate. Una volta che si è stati re o regine in Narnia, si è re e regine per sempre.” Dopo avere scoperto questo valore di sé, è fatta! “-­‐ Ma non parlatene troppo, neanche tra voi quattro. Agli altri non dite nulla: a meno che non vi capiti di trovare quelli che hanno avuto avventure dello stesso tipo delle vostre. (…) Come farete a riconoscerli? Oh, lo capirete subito: dicono cose bizzarre e il loro aspetto, lo sguardo … insomma, il segreto verrà fuori da solo. Tenete gli occhi aperti. Che Dio mi benedica, ma cosa insegnano a questi ragazzi nelle scuole?” Credo che questo sia un interrogativo che un professore rivolga ad altri professori. Grazie della vostra attenzione. INTERVENTI Insegno in una scuola primaria e sto leggendo il libro ai miei ragazzi. Questi spunti che lei ci ha sottolineato e ci ha fatto vedere li posso trasmettere a bambini di otto anni? E in quale modo eventualmente? È un’ottima domanda. Come diceva Lewis, l’avventura fondamentale è l’avventura dell’esporsi ad una vicenda che ci colpisce, in cui -­‐ poi -­‐ il tempo, il dialogo assieme, fa emergere tante cose. Ogni lettore, ogni bambino, quando rimane colpito da qualcosa coglie ed intercetta qualcosa di sè a partire dal proprio mondo, dal proprio bagaglio di esperienze personali. Di per sé la storia è un tesoro, nel senso che il tempo poi fa emergere quello che nel seme è già sepolto e sedimentato. Da questo punto di vista, io credo che l’avventura principale sia esporsi a qualcosa che ci colpisce. Il perché ci colpisce rappresenta poi tanta parte del lavoro e del cammino assieme, ma il livello basilare è far sì che il testo non sia un pretesto per parlare di altro, ma sia una grande avventura che ha qualcosa da dirci perché ci fa andare dove non pensavamo di arrivare. Come i bambini di Narnia non sapevano cosa sarebbe successo, una grande storia ci cambia di per sé, perchè una storia aggiunge al bagaglio un'altra storia con la quale poterci paragonare per tutta la vita. Io, tante delle cose che mi hanno colpito da bambino, personalmente, come lettore, le ho messe a fuoco sempre di più nel tempo. Ma se non fossi stato di per sé colpito dalla potenza visiva di certe scene il resto non sarebbe mai venuto. Un grande scrittore di nome Howard disse a Lewis una cosa significativa. Ebbe a dire: -­‐ Ma perché io mi commuovo di più a leggere la morte di Aslan che neanche la morte di Cristo nei Vangeli? -­‐ Lewis rispose che aveva un approccio moralistico: quando leggi il Vangelo pensi che ti devi commuovere, lo apri con il problema di commuoverti; quando invece leggi una storia non ci pensi, hai le difese abbassate e quello che succede ti colpisce. Dice Lewis: -­‐ Ho voluto semplicemente raccontare la storia di uno che muore per amore e questo funziona di per sé. – Questo vale anche se i bambini già conoscono la storia? Il racconto di per sé è un coinvolgimento con una vicenda “Il Leone, la Strega e l'armadio” sembra una storia conclusa che non necessitava di seguiti. Perché continuare? Lewis, come tutti gli scrittori, difficilmente fa calcoli. Ci dice a riguardo de “Le Cronache di Narnia”: -­‐ Ho visto un fauno con l’ombrello sotto la neve. -­‐ Gli scrittori sono esposti per primi a qualcosa che non sanno, ad un percorso. La grande arte è l’esposizione ad un cammino, a dei passaggi non preventivabili. Bachtin diceva che il romanzo è il genere del cambiamento: da A passi a B, se non sei libero il libro non lo finisci. Con un saggio, se siete d’accordo con le premesse siete d’accordo con le conclusioni. Per primo, lo scrittore è esposto ad un percorso. Tanti bambini hanno chiesto a Lewis “ma perché non ne fai altre?”. E Lewis risponde “ma perché non scrivi tu un’altra storia di Narnia? Io ho raccontato solo sette storie ma ce ne sono tante altre”. Lui aveva consegnato un‘ipotesi di un universo nel quale ognuno potesse ambientare delle vicende proprie. Ho visto tante volte bambini che hanno immaginato cosa potesse succedere nell’interregno tra una fase e l’altra, in cui ognuno mette sé e quello a cui tiene. Questa è un'altra dimostrazione dell’immensa stima che Lewis aveva dell’esperienza dei propri lettori. Dire a qualcun altro “continua tu” in quello che hai già iniziato è molto raro. Desidererei un chiarimento a riguardo della ragione, quando nel racconto parla il professore. In particolare i bambini sembrano avere una ragione chiusa, invece nel racconto si fa uso della logica. Per i bambini, se una cosa sparisce non c’è più. Dal punto di vista letterario e nella percezione che Lewis ha, la magia è la magia buona, non la magia nera della Strega Bianca che è un dominio sul reale che blocca le stagioni e fa restare sempre l’inverno ,come diceva Lewis “un inverno senza Natale”. Il punto è questo: e chi l’ha detto che la realtà deve essere sempre nella modalità con la quale l’abbiamo già verificata? Perché non ci potrebbe essere una cosa che scompare, riappare e poi scompare? E’ un’apertura alla categoria della possibilità, il fatto che possa capitare di registrare qualcosa che non era mai successo prima. Chi lo ha detto che una cosa debba esserci sempre, non possa scomparire riapparire e poi scomparire? La magia è,dal punto di vista narrativo, l’irrompere di qualcosa che accade e che non è possibile preventivare, è la manifestazione di un di più, di un altro. Questo non vuol dire che si tratta della manifestazione di una illogicità. I bambini scopriranno che la porta di Narnia si apre e si chiude non a caso; è Aslan che vuole che i bambini entrino in quel momento e non in un altro. Peter e Susan vanno a controllare la porta e ci vanno con la preoccupazione di dire “nostra sorella è matta”, non ci credono e la trovano chiusa. Quando ci entreranno veramente? Quando non si aspettano niente. Improvvisamente piomberanno dall’altra parte, per cui il manifestarsi di una legge non preventivata non è mai per Lewis il palesarsi di un irrazionale: possiamo aspettarci tutto e il contrario di tutto. Possiamo aspettarci di più di quello che noi immaginiamo, ma il tempo palesa che dietro c’era una volontà, c’era un’intenzionalità. Vorrei che le approfondisse il ruolo delle parti descrittive. Quanto sono importanti i passaggi descrittivi? La letteratura può essere un suggerimento per introdursi a qualcosa di cui non si era fatta esperienza e che da quel momento diventa altro. Lewis vuole esporci a qualcosa. Lewis si è molto divertito quando gli veniva chiesto. Un critico letterario gli disse: -­‐ Ho capito perché hai messo quel lungo pezzo, in cui racconti il mangiare (preparazione del pesce arrosto da parte dei castori). Perché ai bambini piace mangiare!”. Lewis risponde che quel giorno (scrive durante la seconda guerra mondiale) aveva una gran fame e confessa di avere scritto quello che lui avrebbe voluto mangiare. In realtà si tratta sempre, in primo luogo, di un’esperienza del narratore. L’esposizione a qualcosa di desiderabile, un’avventura dell’esperienza. Lewis vuol far venire voglia. Cosa ne pensa dei testi della letteratura contemporanea dell’infanzia? Abbiamo ancora delle fiabe dove i pettirossi sono buoni? Di storie sbagliate o parziali ce ne sono sempre state. ovviamente, il confronto tra di voi credo sia anzitutto fondamentale. Uno crea una sorta di biblioteca ideale, che è frutto di iniziative come questa. A volte mi sono trovato con dei ragazzini che secondo me avevano letto storie parziali o con un orizzonte sbagliato, ma il problema principale non è dire “no, non lo devi leggere”, bisogna creare un antidoto, che è l’esperienza. Chiedere: ”Il cammino che viene fatto dai bambini di Lewis ti sembra meglio, ti sembra peggio?”. Quando un narratore propone un cammino umano, conveniente, non moralisticamente corretto, tiene conto di più fattori. Non dobbiamo aver paura dell’esperienza rispetto ad altre storie e questo crea, come dice Lewis, una vaccinazione interiore. Un bambino che ha letto grandi storie, per cui sa come orientarsi nella realtà, potrà essere immediatamente colpito dalla copertina più avvincente, dalla modalità narrativa popolare, ma ha letto anche quell’altra storia. Quella storia c’è, grazie al cielo! E’ un fattore dentro l’orizzonte della propria esperienza. Non è una previa intenzione, ma un’esperienza che ti è capitata. Una delle più grosse questioni della letteratura contemporanea riguarda Harry Potter. L’autrice ha in mente un percorso pedagogico; sono sette romanzi dagli 11 ai 18 anni. L’uso della magia ne “Le Cronache di Narnia” e ne “Il Signore degli Anelli” è molto diversa. La magia in Harry Potter è un esercizio della volontà, di cui conosci l’effetto; la magia negli altri due è quasi un miracolo, non è un calcolo. Quando i bambini suonano il corno sanno che arriverà un aiuto, ma dove e come non lo sanno mai. La porta di Narnia si apre quando lo vuole Aslan, non quando lo vuoi te. L’implicita potenza di un orizzonte più ampio, come quello di Frodo rispetto ad un personaggio come Harry, è visibile -­‐ ad esempio -­‐ dalle parole che un bambino ha scritto in un tema. Dice “Harry Potter mi piace di più, perché mi fa pensare che potrei ottenere tutto con una bacchetta; ma poi, in fondo, sono più triste perché la bacchetta non ce l’ho.”. Chi è un eroe più grande? Harry con la bacchetta o Frodo che non ce l’ha? A parità di condizioni, è più grande Frodo perché è un eroe sempre; non è un eroe di una capacità ma è un eroe di una disponibilità. I bambini di oggi, anche attraverso i cartoni animati, tendono ad imitare gesti ed azioni. Rappresentano nella realtà una modalità tratta dalla finzione. Non bisogna spaventarsi di come uno cerca di raccontarsi, perché uno racconta a partire da ciò che ritiene più interessante. La magia, per come è stata raccontata nella grande tradizione occidentale, si distingue in buona e cattiva. La cattiva è il palesarsi di un potere nemico che cerca di impedirti di essere felice, di essere contento: è il male, le streghe. La magia buona -­‐ come diceva Propp -­‐ è sempre esemplificata dal personaggio del donatore, quello che ti fa un dono, ti dà una mano: il vecchio, la maga. Qualcuno che c’era prima di te e che ti accompagna con uno strumento più grande e ti aiuta. Qual è l’elemento fondamentale della magia buona per come viene raccontata da Lewis ed altri? È l’irrompere di una presenza più grande che ti sostiene; in questo senso è una declinazione narrativa del miracolo. Che cos’è il miracolo? È l’irrompere di una potenza che sconfigge la mera successione delle leggi naturali. La magia buona ha una caratteristica, è cioè rafforza l’ordine morale dell’esistenza, ribadisce quello che è sempre stato vero, non è arbitraria. Mentre la magia nera è arbitraria, è un potere illegittimo al servizio del mero arbitrio della strega. Bloccare l’inverno è una magia nera, per permettere al male di continuare ad operare. Questa è la differenza fondamentale. Offrirsi per amore e misteriosamente tornare in vita è una magia più antica, è una magia che ribadisce una cosa più profonda e cioè che quando uno si dona non si perde. Vorrei porre il problema relativo alla comunicazione del testo. Uno potrebbe chiedersi: a che serve questa descrizione? Quasi un orpello inutile. Anche in questo caso credo che molto possa essere aiutato dall’ introduzione all’esperienza che l’autore racconta. Tolkien racconta di passeggiate nei boschi d’autunno: ma uno, a passeggiare nei boschi d’autunno, c’è mai stato? Queste sono avventure che si possono proporre! Non so se questo risolva tutto, ma possono essere un aiuto perché -­‐ a quel punto -­‐ uno intercetta una cosa che è bagaglio proprio. Tanta parte della potenza di un racconto è costituita dalle similitudini, ma se uno non ha niente da paragonare? Dante diceva: (l’uomo) “però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno” cioè noi prima impariamo dai sensi ciò che poi siamo in grado di visualizzare come significativo. Ma abbiamo bisogno di farlo, tutto questo. Spesso i genitori anzi che portare i bambini a fare delle passeggiate li portano nei centri commerciali. Quando una storia accende una curiosità apre una possibilità per tutti.