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CHIAMATA IN CAUSA DEL TERZO
Massima Sentenza di Cass. civ. Sez. Unite, del 25-07-2007, n. 16412
IMPOSTE E TASSE IN GEN. Ricorso per Cassazione Riscossione delle imposte, in genere
L'impugnazione avverso l'avviso di mora emesso dal concessionario alla riscossione, deducendo
l'omessa notifica della cartella di pagamento, può essere promossa dal contribuente
indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si
realizzi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario,
evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore (allo scopo di renderlo partecipe
della responsabilità della gestione del processo). Di conseguenza è ammissibile il ricorso per
cassazione promosso dal contribuente nei solo confronti dell'Amministrazione finanziaria, ancorché
il concessionario fosse parte nel giudizio di merito.
Analisi della Sentenza
I Giudici di Legittimità, con questa sentenza sono stati chiamati a pronunciarsi su una controversia
avente ad oggetto la contestazione di un avviso di mora non preceduto dalla notificazione della cartella di
pagamento e recante somme derivanti dalla liquidazione della dichiarazione dei redditi, affermando che
“l’azione” del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria può essere svolta dal contribuente
indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi
una ipotesi dì litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in
giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore”. In particolare, gli Ermellini prendendo spunto
dai dettami
dell’articolo 39 del Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n. 112 disposizione già
precedentemente contenuta nell’articolo 40 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n.
43, secondo cui “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la
regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in
mancanza, risponde delle conseguenze della lite”, hanno precisato che “se l’azione del contribuente per la
contestazione della pretesa tributaria a mezzo dell’impugnazione dell’avviso di mora è svolta direttamente
nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di
adiectus solutionis causa (vd. Cass. n. 21222 del 2006); mentre se la medesima azione è svolta nei confronti
del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve
chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito”.
In ogni caso, continua la Suprema Corte, “l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro
il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità
della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta
avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba
ordinare l’integrazione del contraddittorio. La risposta non può essere diversa per il caso in cui il
contribuente, a fondamento dell’impugnazione dell’atto consequenziale, abbia dedotto l’omessa
notificazione dell’atto presupposto”.
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Non si deve assolutamente sottovalutare la portata giuridica della sentenza nel momento stesso in
cui i Massimi Giudici si esprimono con il termine “indifferentemente”, in quanto l’individuazione del
soggetto legittimato a resistere in giudizio, in maniera indiscriminata da parte del contribuente dei soggetti
Ente Creditore o Agente della Riscossione che partecipano a vario titolo al procedimento di riscossione delle
somme derivanti dagli atti impositivi, apre risvolti nell’azione di difesa del contribuente non uguali.
Ricorso avverso Cartella di Pagamento.
Alla luce dei su esposti concetti, qualora ci si accingesse ad impugnare una cartella di pagamento ad
esempio a seguito di un controllo per la liquidazione d’imposta ai sensi dell’art. 36/bis del D.P.R. 600 del
29.09.1973, il difensore per strategia o per dimenticanza potrebbe evitare di chiamare in causa uno dei due
enti, dirigendo la propria azione ed individuare il proprio legittimo contraddittore, ad esempio nel solo Ente
di Riscossione, come nel caso della sentenza della Cassazione resa a Sezioni Unite del 25.07.2007 n.16412.
Con la su citata sentenza, i Giudici di Legittimità a Sezioni Unite, hanno statuito un importantissimo
principio di diritto che costituisce punto di partenza obbligato per una migliore comprensione della
questione: nell’ipotesi in cui il contribuente, investito da un atto dell’Agente della riscossione (cartella di
pagamento – avviso di mora – intimazione di pagamento), ritenga di opporre violazioni imputabili non solo a
quest’ultimo ma anche all’Ente Creditore, potrà individuare il proprio legittimo contraddittore tanto
nell’uno quanto nell’altro soggetto. In ogni caso, dispone la Corte, «l’aver il contribuente individuato
nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non
determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore
nell’ipotesi di
azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza
che il Giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio».
Stante il suesposto principio di diritto, nessun dubbio potrà invero assalire sulla piena
ammissibilità del ricorso proposto dal ricorrente che, nell’impugnare la cartella di pagamento, o qualsiasi
altro atto emesso dall’Agente della Riscossione, opponendo violazioni imputabili tanto all’Agente della
riscossione quanto all’Ente creditore, legittimamente può individuare, quale proprio contraddittore, il
primo dei due soggetti.
Considerando che l’azione venga mossa nei confronti del solo Agente della Riscossione, imputando
responsabilità all’Ente Creditore ad esempio sulla corretta formazione del ruolo, Equitalia lamenterà
sicuramente la carenza di legittimazione passiva sull’eccezione mossa, chiedendo eventualmente
l’integrazione del contraddittorio con l’Ente Creditore. In quel caso la questione da esaminare riguarderà,
la condotta processuale che l’Agente della riscossione avrebbe dovuto tenere perché la chiamata in
causa del terzo ex art. 39 – D. Lgs.vo n. 112/1999, possa ritenersi rituale evitando, così di rispondere
delle eventuali conseguenze sfavorevoli della lite.
“Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità
o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza risponde
delle conseguenze della lite”. (Cfr. Stralcio Art. 39 – D. Lgs. N. 112/1999). La Suprema Corte, in perfetta
sintonia col dettato normativo, statuisce chiaramente che “… se l’azione è svolta nei confronti del
concessionario, questi, se non vuole rispondere delle conseguenze della lite, deve chiamare in causa l’ente
titolare del diritto di credito”. (Corte di Cassazione – SS. UU., sentenza n. 16412/2007). Sul punto con
un’Ordinanza della Suprema Corte,
« … la legittimazione passiva spetta all'ente titolare del credito
tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell'impugnazione, incombe l'onere
di chiamare in giudizio l'ente predetto, se non vuole rispondere all'esito della lite, non essendo il giudice
tenuto a disporre d'ufficio l'integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie
un litisconsorzio necessario. ». (Cfr Copia Ordinanza Corte di Cassazione del 19/05/2011), ed ancora con
un’altra sentenza si legge « … OMISSIS … dalla notificazione dell'accertamento e della prodromica cartella
di pagamento, ben poteva essere esercitata indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del
concessionario della riscossione, senza che tra costoro si realizzasse un'ipotesi di litisconsorzio necessario,
essendo semmai rimessa alla sola volontà del secondo, ove evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in
causa l'ente creditore, e cioè l'Agenzia ». ( Cfr Copia Cassazione civile, sez. Tributaria, 13-05-2011, n.
10588).
Il difensore per opporsi alla richiesta dell’Ente di Riscossione sulla chiamata in causa del terzo,
dovrà fare volgere l’attenzione al Collegio Giudicante su determinati aspetti.
La Suprema Corte di Cassazione chiamata a statuire sulla natura perentoria o ordinatoria del termine
per la costituzione in giudizio della parte resistente di cui all’art. 23 D. Lgs 546/92 (sessanta giorni dalla
notificazione del ricorso), ne abbia chiarito la natura ordinatoria, individuando, invece, come termine
ultimo per costituzione in giudizio del resistente, quindi come perentorio, il termine di cui all’art. 32
medesimo D. Lgs (10 giorni liberi prima rispetto alla data di fissazione dell’udienza di merito se il resistente
si costituisce senza depositare documenti, che raddoppiano nell’ipotesi opposta).
La facoltà, però, per la parte resistente di costituirsi in giudizio oltre il termine ordinatorio dei
sessanta giorni dalla notificazione del ricorso ex art. 23 – D. Lgs n. 546/1992, non rimarrà del tutto
improduttiva di effetti giuridici, precludendole la possibilità di svolgere attività processuali. L’art. 23
indicato, chiarisce espressamente, al comma 3, che “Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue
difese prendendo posizione sui motivi addotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi,
proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del
caso, per la chiamata di terzi in causa”. La norma, come più volte interpretata dal Giudice di legittimità,
non impone al resistente l’obbligo della costituzione in giudizio tempestiva, non contenendo un termine
perentorio. Il sistema processuale tributario, al pari di quello processuale/civilistico (art. 167 C.p.C.),
consente, infatti, al resistente di costituirsi tardivamente (sia pur nei limiti del termine di cui all’art. 32 – D.
Lgs.vo n. 546/1992, che contrariamente a quello di cui all’art. 23, è perentorio), ma la scelta processuale
della costituzione tardiva non rimarrà priva di effetti giuridici, producendo, a suo carico, alcune preclusioni
processuali, tra le quali l’impossibilità di svolgere attività processuale e di instare per la chiamata in causa
del terzo. E proprio in tal senso la Suprema Corte di Cassazione più volte chiamata ad interpretare la norma
ha precisato che «… la tardività della costituzione in giudizio del resistente – disciplinata dal D. Lgs.vo
31 dicembre 1992, n. 546, art. 23,…, - non comporta sia in base alle norme indicate sia alla stregua
delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (…), alcun tipo di nullità, …, ma determina
soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse».
(Cfr. Corte di Cassazione – Sez. Trib., sentenza dell’08.10.2007, n. 21059. IN TERMINI. Corte di
Cassazione – Sez. Trib., sentenza n. 21212/2004; Sentenza del 22.03.2006, n. 6381). Principi già
dottrinalmente recepiti dai Giudici di Legittimità e di Merito. (Cfr Sentenza Cassazione civile, sez.
Tributaria, 14-07-2010, n. 16522; Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 14-04-2010, n. 8859; Sentenza
Cassazione civile, sez. Tributaria, 18-06-2010, n. 14818; Corte di cassazione Sezione Tributaria Sentenza 8
ottobre 2007, n. 21059; Sentenza Commissione tributaria regionale SICILIA Palermo,, sez. I, 27-05-2010, n.
96).
Se né il dato normativo, né l’intervento nomofilattico della Suprema Corte fossero sufficienti, la
stessa Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, con la Circolare n. 51/E
del 17 luglio 2008, nell’istruire gli Uffici periferici sulla condotta processuale da adottare a seguito
dell’intervento delle Sezioni Unite (sentenza n. 16412/2007), li esorta ad effettuare la chiamata in causa
del terzo con l’atto di costituzione in giudizio a pena di decadenza entro il termine di sessanta giorni
dalla notifica del ricorso. (Cfr. Circolare n. 51/E del 17.07.2008). Tutto ciò comporta che il resistente che
non voglia incorrere in decadenze e/o preclusioni processuali eventualmente pregiudizievoli per la propria
difesa, ricevuto il ricorso dovrà immediatamente attivarsi costituendosi in giudizio entro il termine di cui
all’art. 23 (sessanta giorni).
Dalle precedenti osservazioni, confortate dal dato normativo e dall’attività esegetica ad esso
inerente, che la costituzione in giudizio tardiva (oltre il termine ordinatorio dei sessanta giorni dalla
notificazione del ricorso di cui all’art. 23 – D. Lgs.vo n. 546/1992), pur essendo perfettamente
ammissibile, determina, tuttavia, in capo al resistente, alcune preclusioni e/o decadenze di natura
processuale, prima fra tutte l’impossibilità di compiere attività processuale, come l’istanza per la
chiamata in causa del terzo, che rappresenta a tutti gli effetti attività processuale, con l’ovvia
conseguenza che essa sarà preclusa al resistente medesimo laddove esso abbia provveduto
tardivamente (oltre il termine di cui all’art. 23) a costituirsi in giudizio.
In forza delle superiori argomentazioni, sarà cura del difensore, valutare la legittima richiesta di
chiamata in causa dell’Ente Creditore. Qualora la costituzione in giudizio dell’Agente della Riscossione sia
avvenuta dopo i termini dell’art. 23 del D.Lgs 546/92, il Giudice adito, sarà impossibilitato a provvedere
ex officio all’integrazione del contraddittorio non configurandosi nei rapporti intercorrenti tra Agente
della riscossione ed Ente creditore un’ipotesi di litisconsorzio necessario, dovrà considerare ritualmente
costituito in giudizio l’Agente della riscossione, essendo perfettamente ammissibile la costituzione tardiva
ex art. 32 – D. Lgs.vo n. 546/1992, ma non tenere in alcun conto l’attività processuale (chiamata in
causa del terzo) se eventualmente la stessa volesse essere posta in essere dall’Agente della riscossione,
assolutamente preclusagli per l’eventuale mancato rispetto del termine di cui all’art. 23 – D.Lgs
546/92.