2010 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri
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2010 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Dipartimento Istruzione DOCUMENTI 2009 I 2010 Comitato Provinciale di Valutazione del Sistema Educativo Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Debora Mantovani Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo, Bologna Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali © Editore Provincia Autonoma di Trento Tutti i diritti riservati Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Debora Mantovani Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo, Bologna Stesura definitiva novembre 2010 ISBN 978-88-7702-281-3 Delibera della G.P. n. 1139 del 15 maggio 2009 PRIORITÀ A1 Analisi dei percorsi formativi, con riferimento alle dinamiche demografiche ed alla qualità dei processi di piena inclusione Programma di attività del Comitato Provinciale di Valutazione del Sistema Educativo PROGETTO A1B Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali AZIONE N. 3 - Conoscere l’entità e l’andamento della popolazione studentesca di cittadinanza non italiana e le scelte di allocazione compiute dai minori stranieri e dalle loro famiglie e i comportamenti tenuti dalle stesse istituzioni scolastiche referente Giancarlo Gasperoni Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Gli studenti stranieri della provincia di Trento In Italia il numero degli alunni con cittadinanza non italiana (o studenti stranieri)1 è aumentato progressivamente nel corso degli ultimi anni: si è passati dagli oltre 59 mila alunni registrati nell’anno scolastico (a.s.) 1995/96 ai quasi 630 mila dell’a.s. 2008/09. In altre parole, nel corso di questi tredici anni, il numero degli studenti stranieri è cresciuto di 10,6 volte e la loro incidenza percentuale sul totale degli studenti iscritti è passata dallo 0,7% dell’a.s. 1995/96 al 7,0% dell’a.s. 2008/09 (Miur 2009). Le cifre riportano un risultato incontrovertibile: il cambiamento della scuola italiana, oltre ad essere stato quantitativamente consistente, è stato anche rapidissimo, e questo mutamento è un segno tangibile di come l’immigrazione sia ormai diventata strutturale nel nostro paese. La provincia di Trento è stata pienamente investita da questa trasformazione. Negli ultimi vent’anni, l’incremento della popolazione straniera non ha conosciuto alcuna interruzione e oggi sono ormai più di 42 mila i residenti stranieri in questa provincia, pari all’8,2% dell’intera popolazione (Boccagni 2009). Dalla fine degli anni novanta, poi, anche il mondo della scuola ha visto una costante crescita della presenza degli alunni stranieri. In meno di dieci anni, la popolazione studentesca straniera del Trentino è più che quadruplicata, fino ad arrivare a sfiorare il tetto delle 8 mila unità nell’a.s. 2008/09.2 L’incidenza degli studenti stranieri sul totale degli iscritti nelle scuole trentine è, inoltre, da sempre superiore a quello rilevato a livello nazionale, a riprova del fatto che la presenza straniera in questa provincia del Nord-est non è affatto trascurabile (tab. 1). Un esame più dettagliato della presenza straniera nelle scuole trentine mostra che, sebbene l’utenza straniera sia aumentata sistematicamente in tutti gli ordini e i gradi di istruzione, l’incremento più consistente si è registrato nelle scuole secondarie di II grado. Dall’a.s. 1999/00 all’a.s. 2008/09, gli studenti stranieri iscritti in queste scuole – pur rimanendo una minoranza in valore assoluto se confrontati con gli iscritti nelle scuole primarie e secondarie di I grado – sono quasi decuplicati, e questo è un ulteriore indicatore del carattere permanente e di popolamento dell’immigrazione in questo territorio. Infatti, gli studenti iscritti in queste scuole sono i figli delle famiglie di immigrati nati in questa provincia circa quindici anni fa, cioè quando il fenomeno immigra1 In questo lavoro le espressioni «alunno con cittadinanza non italiana» e «studente straniero» vengono utilizzate come sinonimi. Con queste espressioni ci si riferisce a tutti gli studenti, anche se nati in Italia, iscritti alle scuole di ogni ordine e grado con entrambi i genitori di nazionalità non italiana (decreto legislativo n. 297/1994, artt. 115 e 116). 2 Per esigenze di comparabilità, il dato è al netto degli iscritti alla formazione professionale. 3 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali torio ha iniziato a radicarsi sul territorio. Ma, ancora più numerosi, gli iscritti in queste scuole sono gli «sradicati»: giovani che hanno abbandonato il paese dove sono nati e cresciuti per potersi ricongiungere ai genitori immigrati in Italia o che sono emigrati insieme a loro. Tab. 1. Studenti stranieri iscritti alle scuole statali e non statali e incidenza percentuale degli stranieri sul totale degli iscritti per ordine e grado di istruzione in Italia e in provincia di Trento. Anni scolastici 1999/00 e 2008/09 1999/00 Studenti stranieri Italia Infanzia Primaria Sec. I grado Sec. II grado Formaz. prof. Provincia di Trento Infanzia Primaria Sec. I grado Sec. II grado Formaz. prof. Inc. % stranieri 2008/09 Studenti stranieri Inc. % stranieri 24.103 52.973 28.891 13.712 n.d. 1,7 2,0 1,7 0,6 n.d. 125.092 234.206 140.050 130.012 n.d. 7,6 8,3 8,0 4,8 n.d. 415 817 397 156 n.d. 2,9 3,5 2,9 0,9 n.d. 1.678 2.839 1.905 1.454 799 10,3 10,6 11,7 6,8 19,7 Fonte: per i dati relativi all’Italia: Miur (2000; 2009); per i dati relativi alla provincia di Trento: Annuario statistico 2008 (Pat 2009) e, per la sola formazione professionale, nostra elaborazione su dati dell’Anagrafe unica degli studenti. Uno studio approfondito sull’utenza iscritta nel secondo ciclo di istruzione ha rilevato che gli alunni stranieri nati all’estero sono l’87,1% nelle scuole secondarie di II grado e il 94,5% nella formazione professionale, mentre questa percentuale scende al 77,3% nella scuola secondaria di I grado e addirittura al 47,8% nella scuola primaria (vedi il rapporto «Gli studenti di cittadinanza non italiana nella Provincia di Trento»). Questo significa che, sebbene nelle istituzioni scolastiche del primo ciclo di istruzione l’utenza straniera è più numerosa, le potenziali situazioni problematiche che questa pone sono minori. Infatti, le cosiddette «seconde generazioni» – cioè gli stranieri nati e cresciuti nel paese di accoglienza – possono beneficiare, a differenza dei connazionali emigrati, sia dei vantaggi derivanti dalla conoscenza implicita dei luoghi e delle persone, che rende più piacevoli e agevoli le interazioni sociali, sia dei vantaggi derivanti dalla piena comprensione e capacità di parlare fluentemente e senza accenti distintivi la lingua del paese di adozione. Questi aspetti non sono affatto secondari, poiché agevolano l’integrazione scolastica e sociale di questi giovani. Il sistema scolastico trentino (e, più in generale, italiano) è, pertanto, chiamato ad affrontare nuove sfide, poiché il carattere inclusivista e universalistico 4 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento della scuola italiana mira a promuovere l’integrazione scolastica e a garantire a tutti il diritto-dovere di accedere al sistema dell’istruzione e della formazione. Negli ultimi anni, la provincia di Trento ha mostrato una spiccata sensibilità verso il tema dell’accoglienza degli studenti stranieri: da un lato, l’art. 75 della legge provinciale (l.p.) n. 5/2006 ha promosso l’attuazione di azioni volte a favorire il dialogo interculturale e l’inserimento scolastico degli studenti stranieri; dall’altro, il regolamento attuativo che ne è conseguito ha definito in maniera più stringente le risorse a disposizione delle istituzioni scolastiche utili a promuovere l’integrazione linguistica, scolastica e sociale dell’utenza straniera. A partire dalla ricostruzione del contenuto e delle sollecitazioni incluse nelle disposizioni ufficiali, in questo lavoro si è cercato di capire se le istituzioni scolastiche si sono concretamente attivate per promuovere l’integrazione e l’inserimento dei propri studenti stranieri. L’attenzione si è concentrata sulle istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo di istruzione, cioè sulle scuole dove si suppone che l’utenza straniera presenti difficoltà di inserimento scolastico più marcate rispetto ai connazionali frequentanti le scuole del primo ciclo per almeno tre ordini di motivi: i) spesso sono studenti stranieri e immigrati, cioè giovani che hanno iniziato un percorso scolastico nel paese di origine e che sono stati costretti a interromperlo a seguito della migrazione; ii) se neoarrivati, sono giovani che hanno sperimentato il trauma della migrazione nell’età critica dell’adolescenza; iii) molti sono ragazzi che risiedono da poco tempo in Italia e sperimentano un deficit linguistico che ostacola il loro inserimento scolastico e sociale. La rassegna dell’intera popolazione studentesca iscritta nelle istituzioni scolastiche e formative della provincia di Trento nell’a.s. 2009/10 ha consentito di estrapolare un campione ragionato di scuole. I criteri di selezione delle scuole hanno tenuto conto: a) della realtà territoriale trentina: si sono selezionate scuole dislocate in comprensori differenti (centrali/urbani versus periferici/rurali); b) della presenza straniera: si sono selezionate le scuole con una presenza studentesca straniera non trascurabile sia in valore assoluto, sia in termini di incidenza percentuale;3 c) dei diversi indirizzi scolastici: si sono selezionati istituti liceali, tecnici, professionali e centri/istituti di formazione professionale. Nel complesso sono state selezionate 11 istituzioni scolastiche e formative4 e qui sono state realizzate 55 interviste faccia a faccia coinvolgendo il dirigente scolastico/direttore di istituto e il referente per le iniziative interculturali di 3 Più specificamente, le scuole selezionate contano al loro interno un numero di studenti stranieri che va da un minimo di 25 unità, che incidono per il 24,0% sul totale degli iscritti, a un massimo di 106 unità, che incidono per il 24,4% sul totale degli iscritti. In termini di incidenza percentuale, si va da un minimo del 4,4%, che corrisponde a 37 studenti stranieri in valore assoluto, a un massimo del 24,4%, che si riferisce ai 106 studenti stranieri sopra richiamati. 4 Per una rassegna completa del campione si rinvia all’appendice. 5 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali ogni istituzione, nonché alcuni docenti titolari dell’insegnamento delle discipline più varie. La selezione dei docenti da intervistare non ha seguito alcun criterio di estrazione casuale, ma si è determinata sulla base delle disponibilità della giornata valutata dal dirigente scolastico. Questo meccanismo di selezione può aver contribuito a far emergere dalle testimonianze raccolte una rappresentazione del corpo docente non propriamente fedele alla realtà. Più specificamente, la propensione a privilegiare i docenti più disponibili potrebbe aver determinato la selezione di un campione particolarmente sensibile e attento all’integrazione degli studenti stranieri. I dati che verranno, pertanto, commentati nelle pagine seguenti devono sempre essere letti alla luce di questa precauzione.5 5 Un particolare ringraziamento per la realizzazione dell’indagine va a Laura Bampi, Tiziana Chemotti e Nicoletta Lorandi. 6 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento La legge provinciale n. 5/2006 e il regolamento di attuazione dell’art. 75 Il sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino è disciplinato dalla l.p. n. 5 del 7 agosto 2006. Questa legge è il prodotto di un confronto fra i componenti di un comitato composto da esperti incaricati dalla Giunta provinciale di provvedere alla stesura della legge, nonché di un confronto fra i membri del comitato con i rappresentanti sindacali di categoria del personale delle istituzioni scolastiche e formative e con i dirigenti scolastici. I contenuti di questa legge sono, pertanto, il prodotto di un dialogo a più voci, che ha coinvolto vari attori: professionisti del diritto (giuristi), rappresentati politici (funzionari provinciali), rappresentanti di categoria (sindacalisti), esperti del mondo della scuola (dirigenti ed operatori scolastici), nonché l’intera comunità locale (genitori e studenti) grazie all’organizzazione di incontri aperti al pubblico realizzati sul territorio. La l.p. n. 5/2006, «Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino», è entrata in vigore il 1° settembre 2006 e tratta materie che rientrano nella competenza sia esclusiva (formazione e istruzione professionale, assistenza ed edilizia scolastica), sia concorrente (istruzione) della provincia. La legge è strutturata per titoli e il quinto dei sette che la compongono affronta il tema degli «Interventi per l’esercizio del diritto allo studio». L’art. 75, compreso in questa sezione della normativa, è espressamente dedicato a definire alcuni interventi a favore degli studenti stranieri. Più specificamente, questo articolo affronta il tema dell’«Inserimento e integrazione degli studenti stranieri», promuovendo attività volte a (art. 75, co. 1): a. facilitare l’inserimento nei percorsi del sistema educativo e agevolare l’accoglienza, l’alfabetizzazione e il perfezionamento della lingua italiana; b. favorire l’adattamento dei piani di studio valorizzando le competenze acquisite dagli studenti nel paese d’origine; c. sostenere le iniziative volte all’approfondimento della conoscenza della lingua e della cultura d’origine; d. promuovere la realizzazione di strumentazione e materiale didattici che facilitino l’apprendimento; e. operare per il riconoscimento e la valorizzazione dei titoli e delle professionalità acquisite nel paese di provenienza; f. riconoscere la valenza dell’approccio interculturale nell’attuazione dei percorsi, anche come strumento per favorire la conoscenza, l’integrazione e lo scambio tra culture diverse; 7 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali g. utilizzare mediatori interculturali e facilitatori linguistici, individuando le professionalità richieste e le aree d’intervento; h. sostenere l’educazione permanente e favorire la relazione tra l’istituzione scolastica e formativa e le famiglie straniere; i. promuovere l’attivazione di servizi di consulenza, formazione e documentazione, favorendo il coordinamento delle iniziative con i soggetti competenti presenti sul territorio. Queste disposizioni sull’integrazione degli studenti stranieri e delle loro famiglie costituiscono, da un lato, un elemento di «innovatività» (Caroli 2006) ma, dall’altro, si inseriscono in un contesto di ricezione di quanto era già stato definito otto anni prima dal Testo unico sull’immigrazione in tema di istruzione ed educazione interculturale (legge n. 40/1998).6 L’attuazione dell’art. 75 è subordinata all’emanazione di un regolamento attuativo (art. 75, co. 2), che è stato approvato dalla Giunta provinciale due anni più tardi con la delibera n. 581/2008. Il «Regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nel sistema educativo provinciale» disciplina, più dettagliatamente di quanto non faccia l’art. 75, co. 1, le varie attività volte, per l’appunto, alla promozione dell’inserimento e dell’integrazione degli studenti stranieri nelle istituzioni scolastiche e formative del Trentino. In particolare, l’art. 1, co. 1 del regolamento prevede di: a. promuovere l’accoglienza e l’inserimento degli studenti stranieri attraverso l’attuazione di progetti interculturali e l’adozione di modalità organizzative omogenee e condivise; b. promuovere l’apprendimento e il perfezionamento della lingua italiana da parte degli studenti stranieri; c. favorire e supportare l’apprendimento e il mantenimento della lingua madre;7 d. adeguare i piani di studio dell’istituzione scolastica e formativa provinciale, nei limiti previsti dalla normativa vigente, tenendo conto dei percorsi personalizzati, anche al fine di valorizzare le esperienze acquisite dagli studenti nel paese di origine; e. realizzare materiali e strumenti didattici idonei a facilitare l’apprendimento e lo sviluppo personale e professionale degli studenti stranieri; f. assicurare il pieno diritto allo studio e la qualità dei processi di integrazione in ambito scolastico e formativo; 6 La legge n. 189/2002, la cosiddetta «Bossi-Fini», non ha modificato le precedenti disposizioni relative all’accoglienza e all’inserimento scolastico dei minori stranieri. 7 Dalle interviste non sono emerse significative esperienze volte a favorire l’apprendimento e il mantenimento della lingua madre. Pertanto, l’art. 12 del regolamento attuativo espressamente dedicato alle attività di «mantenimento e recupero della lingua madre» non sarà oggetto di commento in questo lavoro. 8 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento g. favorire l’utilizzazione di personale specializzato anche attraverso lo sviluppo di competenze professionali nel settore della facilitazione linguistica e della mediazione interculturale; h. favorire il riconoscimento dei titoli e delle professionalità già acquisite da parte degli studenti stranieri, anche in relazione all’attivazione di iniziative di educazione permanente; i. promuovere azioni volte a realizzare la comunicazione e le relazioni tra la scuola e la famiglia straniera e tra la famiglia straniera e la famiglia italiana, rinforzando lo sviluppo di un approccio interculturale negli studenti, nelle famiglie e negli operatori della scuola, e attivando servizi di consulenza e coordinamento delle iniziative. Tab. 2.. Corrispondenza delle attività di inserimento e integrazione degli studenti stranieri previste dall’art. 75, co. 1 della legge provinciale n. 5/2006 con quelle definite dall’art. 1, co. 1 del regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri Legge provinciale n. 5/2006: art. 75, co. 1 a) inserimento, accoglienza, alfabetizzazione e perfezionamento della lingua italiana Regolamento attuativo, art. 1, co. 1 a) accoglienza; b) perfezionamento della lingua italiana; f) integrazione in ambito scolastico e formativo b) adattamento dei piani di studio e valoriz- d) percorsi personalizzati […] valorizzare zazione delle competenze le esperienze […] acquisite nel paese di origine c) approfondimento della conoscenza della c) apprendimento e perfezionamento della lingua e della cultura d’origine lingua madre e) materiali e strumenti didattici [per] d) strumentazione e materiale didattici [per facilitare] l’apprendimento facilitare l’apprendimento e) riconoscimento e valorizzazione dei h) riconoscimento dei titoli e delle profestitoli e delle professionalità acquisite nel sionalità già acquisite paese di provenienza f) approccio interculturale f) approccio interculturale g) utilizzare mediatori interculturali e facili- g) utilizzazione di personale specializzato tatori linguistici […] nel settore della facilitazione linguistica e della mediazione culturale h) educazione permanente e favorire la h) attivazione di iniziative di educazione relazione tra l’istituzione scolastica e permanente; formativa e le famiglie straniere i) promuovere […] la comunicazione e le relazioni tra la scuola e la famiglia straniera i) attivazione di servizi di consulenza, fori) [attivazione di] servizi di consulenza e mazione e documentazione coordinamento delle iniziative È evidente che le azioni e gli interventi elencati nell’art. 1, co. 1 del regolamento, per quanto più dettagliate, tendono a riproporre, modulando le espressioni lessicali, quanto era già espresso nell’art. 75, co. 1 della l.p. n. 5/2006 (tab. 2). Tuttavia, il vero valore aggiunto del regolamento non deve essere ri- 9 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali cercato nell’elenco degli interventi già indicati nella legge provinciale, quanto piuttosto nella sua natura di strumento attuativo, che chiarisce ed esplicita: a. chi sono i destinatari degli interventi in esso elencati (art. 2); b. quali attività spettano ai diversi attori coinvolti nell’integrazione e inserimento scolastico degli studenti stranieri (artt. 3-4); c. quali sono le figure professionali di cui ci si può avvalere (artt. 5-8); d. quali sono gli strumenti e i servizi predisposti per perseguire l’integrazione scolastica (artt. 9-14).8 8 L’art. 13 si rivolge specificamente ai minori stranieri adottati. Data la particolarità di questi destinatari, questo articolo non sarà discusso in questo lavoro. L’art. 14, invece, è dedicato ai servizi di consulenza, formazione e documentazione messi a disposizione delle istituzioni scolastiche da parte della provincia. Anche la rassegna di questi servizi non sarà analizzata in questo lavoro. Il regolamento si conclude con gli artt. 15 e 16, che contengono le disposizioni finali e transitorie. 10 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento I soggetti destinatari Il regolamento approvato con decreto del presidente della Provincia di Trento n. 8 del 27 marzo 2008, e previsto dall’art. 75, co. 2 della l.p. n. 5/2006, è rivolto agli «studenti stranieri». Infatti, il titolo di questo regolamento recita: «Regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nel sistema educativo provinciale». «Studenti stranieri» è, però, un’espressione alquanto vaga e per questo è suscettibile di forti ambiguità, dal momento che in letteratura non esiste un consenso unanime rispetto a chi che deve essere considerato come studente straniero (Andall 2002; Ambrosini 2005). A titolo esemplificativo, si consideri il fatto che le segreterie didattiche delle istituzioni scolastiche e le statistiche ufficiali nazionali e locali parlano più propriamente di «alunni con cittadinanza non italiana», considerando con tale espressione, e in conformità a quanto indicato dal decreto legislativo (d.lgs.) n. 297/1994, artt. 115 e 116, tutti gli studenti, anche se nati in Italia, iscritti alle scuole di ogni ordine e grado con entrambi i genitori di nazionalità non italiana. Il requisito giuridico della cittadinanza fondato sullo ius sanguinis è, quindi, fondamentale per distinguere gli studenti italiani da quelli non italiani, cioè stranieri. Le fonti ufficiali non considerano, pertanto, come stranieri gli studenti con doppia cittadinanza (cioè i figli di coppia mista), di cui una italiana, gli apolidi, i minori figli di genitori stranieri poi naturalizzati, gli adottati, i minori di discendenza italiana nati e cresciuti in un altro paese9 e gli alunni appartenenti a comunità nomadi, se con cittadinanza italiana. Gli alunni stranieri destinatari degli interventi e delle attività disciplinate dal regolamento definiti all’art. 2 sono, invece, soggetti alquanto diversi da quelli contemplati dalle segreterie didattiche delle scuole. Infatti, l’art. 2 definisce come «stranieri» gli studenti iscritti al primo e al secondo ciclo di istruzione e formazione privi della cittadinanza italiana e che richiedono un supporto linguistico per l’acquisizione della L210 o per comunicare (lettera a), 1) o per studiare (lettera a), 2). I soggetti qui indicati combaciano, pertanto, con quelli definiti dal d.lgs. n. 297/1994. Ma alla lettera b) dell’art. 2, gli interventi – in questo caso di natura socio-culturale e non linguistica – vengono estesi a un bacino di utenti molto più ampio composto da: giovani presenti sul 9 Le procedure di acquisizione della cittadinanza italiana previste dalla legge n. 91/1992 consentono anche ai discendenti più remoti dei migranti italiani di poter facilmente acquisire la cittadinanza italiana. 10 I linguisti sono soliti distinguere fra seconda lingua (L2) e lingua straniera: l’apprendimento della L2 si riferisce al processo di acquisizione di una lingua non nativa parlata dalla comunità nella quale l’apprendente vive, mentre l’apprendimento della lingua straniera si riferisce al processo di acquisizione di una lingua non nativa che non è parlata dalla comunità circostante. 11 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali territorio italiano con la famiglia immigrata o ricongiunti ad essa (lettera b), 1); i nati in Italia da famiglie immigrate (le cosiddette «seconde generazioni») (lettera b), 2); gli studenti figli di coppia mista (lettera b), 3); quanti sono arrivati in Italia per adozione internazionale (lettera b), 4). In altre parole, il regolamento si rivolge anche agli studenti che, in base alla normativa, sono cittadini italiani, seppur con particolari requisiti (lettera b), punti 3 e 4). L’espressione «studenti stranieri» utilizzata nel regolamento risulta, pertanto, giuridicamente inappropriata, ma questo è un dettaglio marginale. Infatti, l’ambiguità insita in questa espressione avrebbe comunque richiesto un’esplicitazione dei soggetti destinatari. L’art. 2 risolve ogni dubbio sollevato dall’indeterminatezza terminologica qui discussa, comprendendo fra i destinatari tutti gli studenti che sono potenzialmente bisognosi di un supporto linguistico o socio-culturale. Ma l’art. 2 si spinge oltre, includendo fra i destinatari anche le famiglie degli studenti sopra citati (lettera c), che si vogliono far partecipare al percorso educativo e formativo dei loro figli. Il regolamento considera, pertanto, destinatari degli interventi di promozione dell’integrazione e dell’inserimento nel sistema educativo tutti gli studenti che hanno alle spalle un’esperienza di migrazione. E che questa esperienza sia stata vissuta in prima persona dallo studente o dai propri familiari poco importa, poiché tutti questi soggetti possono esprimere un bisogno di integrazione linguistica e socio-culturale, che per essere sostenuto deve anche cercare di favorire la partecipazione delle famiglie. Ciononostante, in questo lavoro si porrà l’attenzione solo sugli studenti stranieri, a prescindere dal loro luogo di nascita. In altre parole, a differenza di quanto stabilito dal regolamento attuativo, in questa analisi verranno esclusi i figli di coppia mista e quanti sono arrivati in Italia per adozione internazionale. 12 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento I soggetti titolari delle attività Il regolamento individua nella provincia e nell’istituzione scolastica i soggetti promotori dell’attuazione del regolamento. La provincia è incaricata di favorire l’educazione interculturale attraverso la promozione, il sostegno e la realizzazione di una serie di interventi e attività, che mirano a promuovere (art. 3, co. 1): servizi di consulenza e documentazione; corsi di formazione per i docenti e per tutti coloro che si occupano di integrazione; la presenza nelle istituzioni scolastiche di docenti titolati a ricoprire la posizione di facilitatori linguistici e referenti per le iniziative interculturali. La provincia è, inoltre, incaricata di predisporre degli elenchi nominativi dei docenti e degli operatori in possesso dei requisiti necessari per ricoprire la posizione di facilitatore linguistico e mediatore interculturale (art. 3, co. 2). La predisposizione di questi elenchi mira a soddisfare i bisogni delle istituzioni scolastiche alle prese, da un lato, con studenti stranieri che denunciano problemi di apprendimento della lingua italiana e, dall’altro, con famiglie provenienti da altri paesi con le quali è difficile entrare in contatto e farsi conoscere. Pertanto, questi elenchi, mettendo a disposizione delle scuole i nominativi delle persone di certificata competenza disponibili sul territorio, svincolano le scuole dall’onore di doversi attivare autonomamente nella difficile attività di reperimento di queste risorse. Tuttavia, per quanto la provincia possa mettere a disposizione del territorio strumenti volti a favorire l’integrazione e l’inserimento degli studenti stranieri, il raggiungimento di questi obiettivi dipende ancora soprattutto da quanto la scuola, cioè l’istituzione più vicina allo studente e alle sue esigenze, può e vuole fare. L’art. 4 del regolamento individua, infatti, nell’istituzione scolastica e formativa il soggetto incaricato, anche attraverso l’uso di risorse interne, di promuovere attività di inserimento e di integrazione degli studenti attraverso: l’inserimento nel progetto di istituto di scelte educative e organizzative relative all’area interculturale (art. 4, co. 1, lett. a); l’elaborazione di un protocollo di accoglienza (art. 4, co. 1, lett. b); la promozione di attività di raccordo tra scuola, famiglia e territorio (art. 4, co. 1, lett. c). In altre parole, la provincia è responsabile di reperire e mettere a disposizione del territorio le risorse necessarie a garantire e promuovere l’inserimento degli studenti stranieri, ma saranno poi le scuole – o meglio, le persone che lavorano in esse – che, in piena autonomia, dovranno decidere se, e quante, energie investire per sfruttare queste risorse e, soprattutto, per sfruttarle al meglio in base alle esigenze della propria utenza. Insomma, vi è un concreto rischio che la capacità progettuale e organizzativa delle diverse istituzioni scolastiche e formative vari sensibilmente e, conseguentemente, seppur dotate di risorse analoghe, vi è il rischio che alcune scuole finiscano per essere etichettate come più accoglienti e ben disposte verso lo straniero di altre. 13 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Il referente per le iniziative interculturali Il referente per le iniziative interculturali, il facilitatore linguistico e il mediatore interculturale sono le tre figure professionali di cui l’istituzione scolastica e formativa si può avvalere per promuovere l’integrazione degli studenti e delle loro famiglie (art. 5). Il referente per le iniziative interculturali (art. 6) è, per definizione, un docente dell’istituzione scolastica e formativa individuato dal collegio dei docenti.11 Nelle intenzioni formalmente enunciate nell’art. 6, questa figura dovrebbe essere il «punto di riferimento» per i soggetti coinvolti nelle varie attività interculturali, nonché il coordinatore dei progetti inseriti nel progetto di istituto e il proponente di nuove attività in base alle richieste di formazione espresse dai colleghi. Il referente per le iniziative interculturali dovrebbe essere, pertanto, non solo un soggetto reattivo ai bisogni espressi dalla scuola, ma anche un soggetto proattivo in grado – forte della sua visione di insieme delle esigenze della scuola – di avanzare proficue proposte di attività interculturali. È, quindi, auspicabile – come indicato anche altrove (Bampi 2009) – che la scelta di chi dovrà ricoprire il ruolo di referente per le iniziative interculturali ricada su un docente adeguatamente formato, nonché sensibile e appassionato ai temi dell’inserimento e dell’integrazione scolastica degli studenti, in generale, e degli studenti stranieri, in particolare. In occasione delle interviste fatte agli operatori delle scuole secondarie di II grado e dei centri/istituti di formazione professionale trentini campionati, non sono mancati i colloqui con i referenti per le iniziative interculturali ed è piuttosto confortante constatare che, nella maggior parte dei casi,12 i docenti incaricati di ricoprire questo ruolo svolgono le funzioni ad esso connesse con impegno, passione e senso di responsabilità. Molti dei referenti intervistati sono relativamente ben «attrezzati» per svolgere il loro incarico. Infatti, molti di loro, oltre a nutrire una motivazione e un interesse personali per gli studenti stranieri, hanno frequentato il cosiddetto «anno sabbatico» sull’intercultura, grazie al quale hanno acquisito importanti competenze legate alla promozione dell’integrazione degli studenti stranieri, alla produzione di materiali didattici e all’apprendimento di nuove tecniche di insegnamento, che si incentrano spesso sulla semplificazione del linguaggio e sulla facilitazione dell’apprendimento dell’italiano L2. La conoscenza di queste tecniche si è rivelata particolarmente utile nelle classi frequentate dagli studenti stranieri linguisticamente deboli, 11 Il collegio dei docenti è composto da tutti i docenti dell’istituzione scolastica e formativa (art. 24, l.p. n. 5/2006). 12 Si sono intervistati undici referenti per le iniziative interculturali, cioè quelli operanti in tutte le istituzioni scolastiche e formative campionate. 14 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento poiché ha consentito a questi insegnanti di utilizzare una tecnica di insegnamento capace di soddisfare la necessità di ridurre la difficoltà di trasmissione dei contenuti disciplinari pur senza rinunciare alla complessità dei concetti. Il possesso di queste conoscenze disciplinari sembra configurarsi come una condizione necessaria per un esercizio efficace delle funzioni attribuite al referente per le iniziative interculturali. Infatti, motivazione e interesse, per quanto indispensabili, non sono sufficienti, poiché non rendono l’insegnante pienamente consapevole di quelle che sono le reali necessità dei soggetti scolasticamente più deboli, in questo caso gli studenti stranieri. Inoltre, se il referente per le iniziative interculturali è ben «attrezzato» può svolgere anche l’importante attività di «contaminazione» dei colleghi, trasmettendo loro le conoscenze acquisite e condividendo utili materiali didattici. In altre parole, la sensibilità di pochi si trasforma a poco a poco in sensibilità di molti, ma questo passaggio non è sempre facile, poiché spesso si scontra con forti resistenze da parte di docenti restii al cambiamento. Il problema principale è anche quello dell’approccio con il corpo insegnante: c’è chi è disponibile a modificare il proprio stile di insegnamento, c’è chi invece è rigido nella convinzione che sono i ragazzi che devono adattarsi. A volte è difficile riuscire a far passare quella metodologia che per gli alunni stranieri è diversa da quella utilizzabile con gli italiani… e anche l’adozione di un programma individualizzato non è facile… trovo un seguito in alcuni [insegnanti], in altri trovo ancora delle rigidità. Per alcuni colleghi la presenza straniera non è una risorsa, perché comporta un carico di lavoro aggiuntivo, un doversi mettere in gioco, non si spiegano perché tante risorse devono essere destinate agli studenti stranieri. Ci sono anche tante frustrazioni… Le risposte dei colleghi ci sono state, ma sono state risposte di varie tipo, perché mi rendo conto che comunque è un sovraccarico di lavoro per i colleghi... Ed è quello che mi è stato più restituito dai colleghi. In diversi casi, l’attività svolta dal referente per le iniziative interculturali potrebbe essere paragonata a una vera e propria «vocazione», dal momento che allo sconforto per le resistenze di alcuni colleghi si associa un ritorno economico, che solitamente non compensa le ore effettivamente dedicate all’esercizio di questa funzione. I casi di semiesonero dai doveri didattici registrati in sede di intervista sono risultati piuttosto rari, pertanto le ore dedicate da molti insegnanti al coordinamento delle iniziative interculturali si sommano al normale carico orario previsto per l’insegnamento. In questi casi, le soluzioni adottate per controbilanciare l’impegno extrascolastico sono varie. Vi sono situazioni piuttosto ambigue, dovute a una mancata organizzazione interna, per cui il referente per le iniziative interculturali si limita a segnare le ore dedicate a questa attività. Nella maggior parte dei casi, comunque, 15 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali questa attività è formalizzata attraverso, ad esempio, lo sgravio di un’ora a settimana all’interno dell’orario cattedra, oppure lo scarico orario, che può variare dalle 30 alle 35 ore (raddoppiabili),13 oppure gli sgravi calcolati in base al numero di studenti iscritti al laboratorio linguistico L2. A prescindere dalla soluzione adottata, però, le ore effettivamente spese in qualità di referente per le iniziative interculturali sono spesso superiori a quelle formalizzate e, oltretutto, sono remunerate meno rispetto a quelle della docenza. Inoltre, l’ancorare il budget orario al numero di studenti iscritti al laboratorio linguistico L2 rischia di sottostimare notevolmente il tempo speso per le iniziative interculturali, poiché finisce per far combaciare la funzione dell’intercultura a una mera soddisfazione dei bisogni connessi alle difficoltà linguistiche. In realtà, la promozione dell’inserimento e dell’integrazione degli alunni stranieri è un’attività di più ampio respiro, che per essere efficace deve coinvolgere anche gli studenti stranieri nati in Italia, che, nella maggior parte dei casi, non hanno problemi linguistici, nonché i compagni italiani. La specificità dei nostri allievi stranieri si sta spostando dalla L2 a un discorso di integrazione soprattutto delle seconde generazioni. Quindi ci sono problematiche più ampie di lavoro su tutta la popolazione scolastica [per promuovere attività] di smantellamento dei pregiudizi, dei preconcetti. Da queste testimonianze, il referente per le iniziative interculturali non sembra una persona particolarmente appagata: un buon espletamento delle funzioni richiede tempo, e non sempre le energie spese sono compensate da un adeguato riconoscimento economico. Tuttavia, se il referente per le iniziative interculturali dovesse essere mosso a ricoprire questo incarico solo da un interesse economico, la sua attività avrebbe alte probabilità di tradursi in un fallimento. La promozione dell’intercultura richiede, infatti, dedizione, interesse, motivazione ed è proprio quando si registrano queste qualità fra gli intervistati, che il referente per le iniziative interculturali diventa un punto di riferimento per i colleghi e, soprattutto, per gli studenti. Le gratificazioni si traducono, pertanto, in riconoscimento e in soddisfazione nel vedere che i propri sforzi sono ricompensati da una progressiva integrazione scolastica dei soggetti più svantaggiati. È gratificante poter dare un sostegno alle persone che hanno una difficoltà. Ecco, questo direi che è l’unica gratificazione. Nel senso di vedere degli esiti positivi di integrazione, perché vedo che se dai sostegno, poi, le persone danno di più e riescono a inserirsi meglio. 13 Per il personale interno la provincia, in base alle esigenze espresse dalle scuole, assegna un contingente orario nella definizione dell’organico della singola istituzione scolastica e formativa (Bampi 2009). 16 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Ma al di là di questi esempi virtuosi – cui è indispensabile dare rilievo, anche perché numerosi – è necessario fornire una rappresentazione esaustiva del personale incaricato di svolgere le funzioni di referente per le iniziative interculturali. Infatti, in sede di intervista, si è avuto modo di incontrare anche docenti, che sono apparsi piuttosto impreparati a ricoprire questo incarico. Una mancata visione di insieme – seppur approssimativa – di quella che è la presenza straniera all’interno dell’istituzione di appartenenza, le frequenti affermazioni «da manuale» ricorrendo a ciò che dice il regolamento attuativo anziché riportare esempi concreti di accoglienza e inserimento degli studenti stranieri sperimentati nella propria scuola, l’incapacità di formulare, in base all’esperienza personale, proposte e pareri in merito a quali interventi potrebbero favorire l’educazione interculturale sono solo alcuni esempi dell’inesperienza apparentemente mostrata da alcuni (pochi) dei referenti per le iniziative interculturali intervistati. Le cause alla base di questa impreparazione non si sono potute investigare approfonditamente in questa sede. Tuttavia, in questi casi, l’analisi del contesto fa spesso emergere una situazione di generalizzata scarsa attenzione rispetto alla tematica degli alunni stranieri da parte dell’istituzione scolastica, che si traduce in assenza di una commissione di accoglienza, o nella mancata elaborazione e approvazione di un protocollo di accoglienza. In questo vuoto procedurale, la difficoltà di azione del referente per le iniziative interculturali è alquanto prevedibile, ma rimane poco comprensibile sia la sua scarsa conoscenza della composizione numerica della popolazione straniera, sia la sua incapacità di formulare una qualsiasi proposta utile a favorire, in quella scuola, l’integrazione scolastica di questi giovani. È possibile che il contesto scolastico poco sensibile all’integrazione degli studenti stranieri tenda a produrre (e a tollerare) delle figure poco motivate a investire il proprio tempo nel promuovere l’accoglienza di questi giovani, poiché questo loro impegno non troverebbe riconoscimento da parte dei colleghi. D’altra parte, però, chi accetta di ricoprire un simile incarico dovrebbe essere mosso da quella motivazione e da quell’interesse interiore di cui si diceva sopra, che dovrebbero prescindere dal contesto di appartenenza. Ad ogni modo, l’uscita da questo circolo vizioso non sembra agevole, poiché il referente per le iniziative interculturali deve essere un docente dell’istituzione scolastica e la ricerca di una figura motivata all’interno di un contesto generalmente poco attento all’utenza straniera è quasi paradossale. In conclusione, dalle dichiarazioni degli intervistati non è possibile tracciare il profilo tipico del referente per le iniziative interculturali. Oltretutto, il campione di intervistati non ha alcuna pretesa di rappresentatività della popolazione di riferimento, quindi ogni tentativo di generalizzazione è fuorviante. Tuttavia, nella maggior parte dei casi sembra che si tratti di docenti aggiornati rispetto alle nuove tecniche di insegnamento e personalmente interessati a svolgere il proprio lavoro con competenza. Insomma, i referenti per le iniziative interculturali che svolgono questo incarico con passione e coscienza sembrano avere la meglio sui pochi, ma non per questo trascurabili, docenti apparsi demotivati o disinteressati. 17 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Il facilitatore linguistico La seconda figura professionale prevista dal regolamento è quella del facilitatore linguistico (art. 7): un docente interno o un esperto esterno cui si può ricorrere nel caso il personale scolastico fosse privo delle competenze necessarie o indisponibile. Il suo compito è facilitare l’apprendimento dell’italiano L2 nella classe o nel laboratorio linguistico e supportare i docenti nella trasmissione delle materie curricolari. È importante sottolineare che il facilitatore linguistico non si deve sostituire al docente titolare dell’insegnamento, ma lo deve supportare nella promozione dell’acquisizione sia della lingua per comunicare – la lingua del contesto concreto, indispensabile per comunicare nella vita quotidiana – sia della lingua per studiare – la lingua specifica, necessaria per comprendere ed esprimere concetti e sviluppare l’apprendimento delle diverse discipline. È evidente che, in presenza di una crescita della popolazione studentesca straniera e immigrata – cioè di quanti hanno iniziato un percorso di formazione scolastica nel paese di origine e lo hanno poi interrotto a seguito della migrazione per poi riprenderlo nel paese di accoglienza – quello linguistico diventa un problema cruciale. Infatti, il primo ostacolo con cui il giovane immigrato si deve scontrare in occasione del suo inserimento nel nuovo contesto scolastico è la lingua. La scuola individua nella competenza linguistica il «requisito minimo» per rendere possibile l’integrazione dello studente straniero e promuovere il suo successo scolastico, pertanto è necessario che lo studente impari a comunicare, a comprendere e a studiare in italiano. D’altra parte, in ambito scolastico, né le relazioni paritarie fra compagni, né le relazioni di autorità fra studenti e insegnanti possono aver luogo in assenza della conoscenza della lingua del paese ospitante: a scuola l’italiano è sia lingua «generazionale» delle relazioni tra pari, sia lingua «strumentale» per la convivenza e l’apprendimento (Giovannini e Queirolo Palmas 2002, 124). Il primo intervento che deve essere predisposto è, quindi, quello volto a tamponare una situazione di vera emergenza dovuta alla mancata conoscenza della lingua italiana. Il più delle volte l’istituzione scolastica e formativa si attiva per colmare le carenze linguistiche dello studente neoarrivato insieme alla famiglia, o ricongiunto ad essa in un secondo momento, facendogli frequentare un laboratorio linguistico (art. 11), che spesso è in rete, cioè è comune a più scuole. Gruppi di studenti, più o meno numerosi, eterogenei rispetto all’appartenenza di classe e di scuola, ma omogenei per livello di competenza linguistica, vengono così formati e sono invitati a frequentare con una certa 18 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento regolarità questi laboratori al fine di acquisire nel più breve tempo possibile una sufficiente conoscenza della lingua italiana per comunicare.14 Una volta superato l’ostacolo della lingua per comunicare, lo studente straniero si deve confrontare con un secondo e ben più arduo problema linguistico: la lingua per lo studio. Infatti, i tempi di apprendimento della lingua per comunicare e per studiare sono alquanto diversi: nel primo caso si stima che siano sufficienti dai due ai tre anni per acquisire una buona padronanza della competenza linguistica, mentre nel secondo caso sono generalmente necessari dai cinque ai sette anni (Fischer e Fischer 2002; Miur 2005). I diversi tempi di apprendimento della lingua italiana aiutano a capire perché uno studente straniero che risiede da diversi anni sul nostro territorio può avere una buona padronanza della lingua italiana per interagire verbalmente con gli amici e gli insegnanti, ma al contempo può essere sprovvisto di quelle abilità necessarie a leggere, interpretare e decodificare un testo scritto (Mantovani 2008; 2010). Gli insegnanti intervistati sembrano aver maturato una certa consapevolezza dell’esistenza di questa discrasia fra lingua per la comunicazione e lingua per lo studio. Il problema più grosso è con l’italiano per lo studio. Tanto si sa che la lingua per lo studio ci vogliono 4-5 anni per apprenderla. Questa consapevolezza ha portato molte scuole ad attivarsi in autonomia avviando, dopo una ricognizione dei bisogni e un confronto coi docenti, corsi interni ad hoc dedicati agli studenti stranieri che presentano difficoltà di apprendimento.15 In particolare, merita di essere qui menzionata un’esperienza avviata per impulso di una referente per le iniziative interculturali, il cui successo dipende anche dalla buona collaborazione ottenuta dai colleghi. La buona prassi, che potrebbe essere estesa anche ad altre scuole, consiste nel predisporre una scheda destinata a tutti i coordinatori di classe, che, dopo essersi confrontati coi colleghi, devono compilare e restituire al referente per le iniziative interculturali specificando per tutti gli studenti stranieri, a prescindere dal tempo di permanenza in Italia, se vi sono problemi di apprendimento, di quale entità e per quale disciplina. In base ai riscontri ottenuti, la scuola attiva corsi interni di recupero delle varie discipline, che sono strutturati rispetto ai reali bisogni degli studenti. Nel corso dei mesi, poi, la scheda viene aggiornata e si organizzano incontri periodici per mantenere aperto un canale di scambio e confronto rispetto ai risultati ottenuti e poter, così, ritarare gli interventi in base alle reali e mutate necessità. 14 L’analisi dei risultati emersi in merito alla valutazione dei laboratori linguistici verranno discussi nel par. 10. 15 Questa funzione di stampo «diagnostico», cioè di attivazione di interventi didattici integrativi dopo aver individuato gli argomenti in cui gli studenti incontrano maggiori difficoltà, è considerata universalmente importante dagli insegnanti italiani (Barone 2010). 19 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Ovviamente, per poter essere efficace, un intervento di questo tipo richiede una buona capacità organizzativa da parte del referente per le iniziative culturali e un’alta dose di collaborazione e condivisione dell’impresa da parte di tutto il corpo docente. È evidente, inoltre, che simili iniziative avranno maggiori probabilità di attecchire in altre realtà scolastiche solo se il tempo dedicato a queste attività, da parte del referente delle iniziative interculturali e dei docenti interni incaricati della titolarità dei corsi di «recupero», potrà essere ricompensato anche da un adeguato riconoscimento economico. Ad ogni modo, è bene ribadire che gli ingredienti indispensabili per raggiungere traguardi di successo sono, ancor prima di quelli economici, la formazione, la competenza, la motivazione, l’interesse personale e il desiderio di aiutare i ragazzi in difficoltà. L’attivazione dei corsi linguistici interni alla scuola realizzati per favorire l’apprendimento delle materie curricolari attraverso l’impiego di docenti interni sono stati avviati, seppur non in forma così ben strutturata, da diverse istituzioni scolastiche e formative e hanno riguardato solitamente le materie specifiche dell’indirizzo scolastico. Dalle testimonianze emerge spesso un’esigenza di internalizzare questi corsi, che si associa a soddisfazione dove è già stato possibile sperimentarli, poiché sembra che gli operatori dei laboratori linguistici non sempre dispongano delle conoscenze disciplinari specifiche dei molteplici indirizzi di studio del secondo ciclo. Se devo essere proprio obiettiva ci sta dando più soddisfazioni il nostro laboratorio interno, perché noi lavoriamo proprio sulle materie, sulle discipline e quindi riusciamo ad avere più riscontro. Il laboratorio di rete è utilissimo, perché comunque è una risorsa, ma lo è soprattutto per le new entry, cioè per coloro che hanno bisogno proprio dell’italiano. L’organizzazione di questi laboratori linguistici interni per lo studio è alquanto variabile. Alcune istituzioni scolastiche e formative hanno preferito organizzarli in orario scolastico: gli studenti bisognosi sono esonerati temporaneamente dal frequentare la classe nelle ore in cui è insegnata la materia dove sono deboli e vengono dirottati verso i laboratori. Questo modello di intervento sembra si applichi meglio a realtà scolastiche di dimensioni medio-piccole, poiché è evidente che la gestione dei laboratori interni organizzati nelle ore di lezione richiede sia un’elevata capacità organizzativa, sia l’abilità di sapere conciliare le diverse esigenze di docenti e studenti. Non a caso, altre istituzioni hanno privilegiato una soluzione meno impegnativa, organizzando i corsi di recupero nelle ore extrascolastiche. Questa seconda modalità ha il vantaggio di richiedere un minor sforzo organizzativo, ma il carattere non coercitivo di questi interventi presenta anche il rischio di non riuscire a coinvolgere tutti gli studenti più bisognosi, in particolare quelli più svogliati e disinteressati allo studio. 20 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento C’è il problema legato al fatto che alcuni studenti non sono interessati a frequentare corsi di rafforzamento linguistico o per compensare le lacune e non si possono costringere, anche perché molte di queste attività sono organizzate in orario extrascolastico. In altri casi ancora, poi, l’istituzione scolastica e formativa organizza corsi interni di recupero per lo studio avvalendosi, però, di professionisti esterni, per l’appunto i facilitatori linguistici. La testimonianza di alcuni dei docenti appartenenti all’istituzione scolastica che ha adottato questa soluzione rivela un buon grado di soddisfazione. Tuttavia questo successo dipende moltissimo dalla sinergia che si riesce a instaurare fra docente e facilitatore linguistico. È necessario un buon coordinamento con il docente per fare il punto sugli argomenti da affrontare e sugli obiettivi minimi da raggiungere (facilitatrice linguistica esterna). Il primo pregio di questo modello è legato al fatto che, essendo un servizio esternalizzato, può essere richiesto «al momento del bisogno» e l’istituzione scolastica e formativa può così contenere i costi.16 Ma, per essere efficace, un simile modello richiede almeno il soddisfacimento di tre presupposti: i) poter sempre disporre «al momento del bisogno» di un facilitatore linguistico; ii) poter disporre di un facilitatore linguistico competente, e quindi di «fiducia»; iii) poter disporre di un facilitatore linguistico noto a tutto il corpo docente. Il secondo pregio di questo modello è connesso alla sua esternalizzazione, che consente alla scuola di svincolarsi dal bisogno di investire risorse umane, tempo ed energie nell’organizzazione interna dello stesso servizio. Tuttavia, seppur di successo, questo modello di intervento non appare del tutto convincente. Infatti, se il contesto in cui è stato adottato si arricchisse di informazioni, si finirebbe per scoprire che l’istituzione scolastica non ha ancora maturato una sufficiente sensibilità e attenzione per gli studenti stranieri. In primo luogo, l’istituzione non può affidarsi a un vero e proprio laboratorio di rete,17 neanche per l’apprendimento della lingua per comunicare, in quanto è assente sul territorio. In secondo luogo, solo in tempi molto recenti è stato elaborato il protocollo interno di accoglienza degli studenti stranieri, che oltretutto deve essere ancora approvato dal collegio docenti. La tematica «studenti stranieri» è, pertanto, entrata ufficialmente nell’agenda scolastica solo di recente. In questo contesto è, quindi, comprensibile che l’esternalizzazione del servizio di facilitazione linguistica per lo studio sia la soluzione capace di dare i migliori risultati nel breve periodo. Ciononostante, la via dell’esternalizzazio16 Per il pagamento dei facilitatori linguistici esterni, l’istituzione scolastica e formativa si può avvalere di un finanziamento annualmente erogato dalla provincia chiamato «Fondo qualità» (Bampi 2009). 17 I laboratori di rete sono fioriti soprattutto in seguito all’emanazione del regolamento provinciale. Essi presentano il vantaggio di mettere, per l’appunto, in rete le scuole insistenti su porzioni del territorio provinciale, condividendo così progetti e raccordando strategie di intervento a partire dai loro specifici bisogni (si veda par. 10). 21 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali ne non può essere considerata vantaggiosa in una prospettiva di medio-lungo periodo per almeno due motivi. Innanzitutto, la facilitatrice linguistica non può essere detentrice di tutte le competenze disciplinari trasmesse dal corpo docente della scuola. Non a caso gli interventi di sostegno linguistico del caso qui esaminato si limitano alle materie umanistiche. Pertanto, per riuscire a sopperire a questa carenza, la scuola dovrebbe poter disporre di più facilitatori linguistici, oltretutto competenti nei diversi ambiti disciplinari. In secondo luogo, l’esternalizzazione del servizio deresponsabilizza il corpo docente dal prendersi carico degli studenti stranieri, poiché incentiva l’uso della scorciatoia della delega: si attribuisce ad altri il compito gravoso della semplificazione del linguaggio e il docente può continuare a insegnare secondo procedure e stili standard. Queste riflessioni non intendono minimamente sminuire il ruolo del facilitatore linguistico esterno utilizzato dalle scuole per il rinforzo della lingua per lo studio. Questa è una risorsa importantissima, ma lo è nella misura in cui si colloca in una posizione di complementarietà rispetto al corpo docente e non di sostituzione ad esso. In altre parole, gli insegnanti devono essere disposti a mettersi in gioco: ripensare il loro ruolo e investire nella formazione, nell’aggiornamento in modo da poter rispondere ai bisogni di un’utenza che è diventata sempre più eterogenea e complessa. Come emerge da una testimonianza, c’è bisogno di un cambio di mentalità e questo processo, per quanto possa essere sollecitato, e addirittura imposto da un intervento legislativo, richiede del tempo. C’è una legge, ma è calata dall’alto. Non è che c’è stato un cambiamento di mentalità, gli insegnanti se la sono trovata calata dall’alto quindi ti trovi un ragazzo che ha delle difficoltà e devi cambiare la tua didattica, devi cambiare la tua impostazione, devi cambiare una mentalità e non hai gli strumenti, non c’è stata una formazione preventiva, quindi richiede un cambiamento culturale. Il tempo e la formazione continua degli insegnanti, di tutti gli insegnanti, sembrano essere due elementi necessari per poter percorrere la strada del cambiamento virtuoso. In questo percorso, inoltre, potrebbe essere utile promuovere la conoscenza reciproca, incentivando il coinvolgimento e la compartecipazione alle attività scolastiche dei diretti destinatari di questi interventi: gli studenti stranieri. A tal proposito, è esemplificativa la testimonianza di una docente: Per me [gli studenti stranieri] sono stati una risorsa. Io li faccio sempre parlare del loro paese, gli faccio fare confronti con la loro lingua. Per me è molto importante questo, è un arricchimento. Forse sono poco utilizzati. Io tante volte ho pensato che non gli viene data nessuna visibilità, nessuno spazio. Io sempre, quando ho uno straniero, gli faccio fare una presentazione [in inglese] del loro paese, gli faccio portare fotografie, 22 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento parlare delle loro usanze, se tornano a casa in vacanza devono relazionare. Io credo che dal punto di vista della politica della scuola non si fa abbastanza… non c’è mai un momento collegiale per diffondere la loro esperienza. Questa conoscenza reciproca potrebbe, infine, essere coltivata anche rispetto all’ambito più prettamente disciplinare. In altre parole, gli insegnanti potrebbero diventare a loro volta oggetto di valutazione da parte dei loro studenti, stranieri e non. L’idea sarebbe di mettere a punto una scheda di valutazione dei docenti da far compilare, in forma anonima, agli studenti. In questo modo, i docenti potrebbero rimodulare i loro stili di insegnamento rispetto alle esigenze espresse dalla classe, rafforzando l’uso di materiali e stili comunicativi che «funzionano» e abbandonando quelli più inefficaci. Anche gli insegnanti dovrebbero imparare a mettersi in gioco e considerare il momento della valutazione come un’opportunità per migliorarsi. Questi obiettivi dovrebbero essere tenuti sempre in considerazione, perché l’insegnante è chiamato ad «adempiere a un cruciale ruolo sociale in contesti difficili» (Argentin 2010, 53). Chi sceglie questa professione dovrebbe avere una forte motivazione di tipo vocazionale – cioè orientata al desiderio di lavorare con i giovani, all’interesse per la trasmissione dei contenuti della propria disciplina, al desiderio di fare un lavoro che contribuisce al miglioramento della società – e non solo una motivazione di tipo strumentale – cioè legata alla sicurezza del lavoro statale – (ibidem), perché l’insegnante è anche un educatore, che, oltre a trasmettere nozioni e saperi, deve promuovere la crescita personale di tutti i suoi studenti. 23 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Il mediatore interculturale La terza, e ultima, figura professionale prevista dal regolamento provinciale per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri è quella del mediatore interculturale (art. 8). Il regolamento si fa piuttosto stringente nel definire i requisiti di cui il mediatore interculturale deve essere in possesso per ricoprire questo ruolo: padronanza della L1 (la lingua madre dello studente straniero); competenza certificata in italiano; aver vissuto un percorso di migrazione; aver conseguito un titolo di studio universitario o aver frequentato per almeno 12 anni un percorso scolastico ed essere in possesso del relativo titolo di studio finale; aver frequentato almeno 150 ore di formazione specifica (art. 8, co. 2). Il regolamento mira a garantire la professionalità e la competenza dei mediatori interculturali, dal momento che le funzioni che sono chiamati a svolgere sono alquanto delicate: prima accoglienza dello studente; relazione tra scuola e famiglia; realizzazione di interventi e progetti culturali (art. 8, co. 1). I risultati emersi da un’indagine qualitativa realizzata in Trentino (Bampi 2009) hanno evidenziato la presenza di tre diversi modelli entro i quali si può ricondurre il rapporto instaurato fra scuola e mediatore interculturale. Il primo potrebbe essere definito «consolidato»: la scuola richiede da anni l’intervento di questa figura e si è instaurato un rapporto positivo; il secondo è di tipo «estemporaneo»: la scuola si rivolge saltuariamente al mediatore interculturale, il più delle volte nei momenti di emergenza; infine, il terzo modello potrebbe essere denominato «rinunciatario»: la risorsa è scarsa o addirittura non è disponibile sul territorio – situazione più frequente nelle zone di periferia – e la scuola ricorre ad altre soluzioni. L’indagine qui realizzata non prevedeva di contattare i mediatori culturali, ma dalle dichiarazioni di alcuni intervistati sono emerse delle testimonianze che sembrerebbero denunciare la prevalenza dei modelli «estemporaneo» e «rinunciatario» sopra indicati. L’estemporaneità della richiesta dell’intervento del mediatore interculturale è solitamente associata a una situazione di emergenza dovuta al neoarrivo. In questi casi, lo studente straniero e la sua famiglia sono privi di competenze linguistiche di base e allora la figura di un mediatore diventa indispensabile, anche solo per comunicare. In altri casi, invece, il coinvolgimento del mediatore interculturale va oltre al mero incarico di «traduttore simultaneo», e viene richiesto un intervento di sostanza, volto a: ricostruire il percorso scolastico del giovane neoarrivato; cogliere le effettive competenze scolastiche acquisite; dialogare con la famiglia per valutare la classe in cui inserire lo studente. Tuttavia, nella scuola secondaria di II grado e negli istituti della formazione professionale, i neoarrivi sono ancora pochi e, quindi, le situazioni di emer- 24 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento genza sono episodi del tutto sporadici. Si potrebbe, quindi, affermare che la prevalenza del modello «estemporaneo» dipende dalle caratteristiche strutturali del fenomeno immigratorio piuttosto che da una sottovalutazione di questa risorsa da parte degli operatori scolastici. Casi di neoarrivi sono molto pochi… [In questi casi, però] il preside, insieme alla mediatrice culturale, incontra i genitori per capire quali aspirazioni hanno e quale può essere la classe di inserimento più vantaggiosa per lo studente. I mediatori interculturali sono solitamente coinvolti per la valutazione della classe di inserimento dei neoarrivati, ma solo se c’è bisogno… Qua è capitato solo una volta. In altri casi, l’intervento estemporaneo è richiesto per gestire situazioni di «crisi» per cui si rende necessaria la comunicazione con le famiglie di quegli studenti che sono lontane dal concetto di «scuola italiana». Infatti, si sono denunciate situazioni in cui la frequentazione quotidiana della scuola era disincentivata, o non sufficientemente incoraggiata, dai genitori di alcuni studenti. In questi casi si è, pertanto, richiesto l’intervento del mediatore interculturale per poter mettere in contatto la scuola con la famiglia e far comprendere a quest’ultima quali sono i principi che regolano il funzionamento del sistema scolastico trentino, principi che non devono essere dati per scontati, in quanto possono essere molto distanti da quelli del paese di origine. Il problema grosso è con le pakistane: il rientro pomeridiano spesso è disertato perché i genitori vogliono che stiano a casa a sbrigare i lavori domestici. Si è anche ricorsi al mediatore culturale, ma non è servito a molto, il direttore ha anche cercato di fare una specie di compromesso con le famiglie, ma poi torna tutto come prima. Le informazioni disponibili non consentono di risalire alle cause che hanno portato al fallimento di questo intervento. Tuttavia, è possibile ipotizzare che un buon coordinamento fra scuola e mediatore interculturale e una buona programmazione degli interventi – e cioè intervenire sulle principali criticità denunciate dai mediatori (Bampi 2009) – potrebbero favorire una gestione più efficace di questi casi «difficili». A tal proposito, anche un’attività sistematica e consolidata di promozione di progetti interculturali capaci di coinvolgere le famiglie degli studenti potrebbe prevenire situazioni di «crisi» di questo tipo, ma simili iniziative richiederebbero, per definizione, un modello di intervento «consolidato» e non «estemporaneo». In altre situazioni, invece, l’istituzione scolastica e formativa può avere un comportamento «rinunciatario». In questi casi, il ricorso al mediatore interculturale può essere inibito da un’insufficienza di risorse: Una volta c’è stato bisogno di un mediatore macedone, ma non ce ne sono molti. 25 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali In questo specifico caso, poi, la richiesta del mediatore interculturale inoltrata non ha trovato accoglimento anche perché l’istituzione richiedente era dislocata in una zona periferica: È stato richiesto [di venire a scuola] all’unica mediatrice presente nell’elenco [predisposto dalla provincia], ma si è rifiutata di venire fino a qui, perché la richiesta di intervento era troppo limitata, riguardava solo uno studente. Il modello «rinunciatario» non è, quindi, necessariamente espressione di una volontaria rinuncia da parte della scuola di usufruire di questa risorsa, ma diventa piuttosto un percorso obbligato. Infatti, è difficile pensare di poter reperire un numero di mediatori interculturali sufficiente a coprire tutte le provenienze degli studenti stranieri. L’eterogeneità è uno dei principali tratti distintivi dell’immigrazione in Italia (Istat 2005; 2007) e in provincia di Trento i cittadini stranieri sono riconducibili a ben 137 diversi paesi. È, quindi, evidente che saranno più numerosi, anche perché più facilmente reperibili, i mediatori interculturali delle nazionalità più rappresentative della popolazione straniera, mentre rimarranno scoperti quei gruppi nazionali di «nicchia», per i quali l’intervento del mediatore interculturale potrebbe essere anche più necessario. Ciononostante, è doveroso sottolineare che il caso dell’indisponibilità di un mediatore interculturale a recarsi nel luogo del bisogno, perché «distante e non facilmente raggiungibile» e/o perché non sufficientemente «appagante», non dovrebbe verificarsi. Infatti, un simile comportamento rischia di disincentivare quel cambiamento del mondo della scuola in direzione dell’apertura verso il dialogo interculturale, che da più parti si auspica che avvenga. In questi casi, infatti, vi è il rischio che la scuola sia incoraggiata a risolvere il problema dell’accoglienza in proprio – per esempio, richiedendo la mediazione di studenti stranieri lungo residente in Italia e appartenenti a una specifica nazionalità – (o a non risolverlo affatto), rinunciando così volontariamente e aprioristicamente alla risorsa del mediatore interculturale. Infine, dalle testimonianze è anche emerso che il mancato ricorso al mediatore interculturale può dipendere da motivi legati alla «tempistica» dell’inserimento dello studente: l’intervento del mediatore si rende concretamente possibile quando, ormai, il momento critico è stato superato e gestito in autonomia dal personale della scuola. 26 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Il protocollo di accoglienza Il capo III del regolamento provinciale è dedicato agli strumenti e ai servizi per l’attuazione degli interventi di integrazione degli studenti e di educazione interculturale. Questa sezione del regolamento si apre con l’art. 9, che illustra il protocollo di accoglienza, uno strumento di promozione dell’integrazione degli studenti stranieri già indicato nell’art. 4, co. 1, lettera b) in cui si prescrive che l’istituzione scolastica e formativa provinciale deve assicurare il coordinamento delle attività interculturali attraverso «la definizione […] di un protocollo di accoglienza degli studenti». L’art. 9, co. 1, entra maggiormente nel dettaglio specificando che il protocollo deve definire: a) le modalità organizzative per assicurare l’iscrizione degli studenti; b) i criteri per l’assegnazione degli studenti alle classi e i tempi di inserimento; c) le modalità per l’organizzazione delle attività di insegnamento della L2 e per il mantenimento della L1; d) i compiti degli operatori dell’istituzione coinvolti nel processo di accoglienza; e) l’individuazione di spazi, luoghi, tempi e azioni per favorire l’inserimento degli studenti; f) le forme di collaborazione tra istituzione, famiglia e territorio. Il protocollo di accoglienza mira, quindi, a essere uno strumento volto a garantire la definizione di procedure standardizzate relative all’accoglienza e all’inserimento degli studenti stranieri. L’esigenza di formalizzare, tramite regolamento, l’adozione di un protocollo di accoglienza è nata in seguito all’emersione nelle istituzioni scolastiche e formative trentine di una presenza straniera viepiù rilevante, che, a partire dalle scuole primarie, si è progressivamente estesa a tutti i gradi di istruzione fino ad arrivare a investire, negli ultimi anni, le istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo. È evidente, quindi, che l’accoglienza e l’inserimento scolastico di questi studenti non può ormai più essere lasciata all’improvvisazione, ma richiede la definizione di procedure sistematiche e condivise. L’istituzione scolastica e formativa che elabora e adotta un simile documento ha, quindi, il vantaggio di non trovarsi più impreparata di fronte alla gestione dei neoarrivi e all’avvio di una procedura di inserimento e integrazione scolastica degli studenti stranieri. Ciononostante, a due anni di distanza dall’emanazione del regolamento provinciale, non tutte le istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo di istruzione hanno elaborato e adottato un protocollo di accoglienza. Ad aprile 2010, 6 istituzioni scolastiche su 25 e 4 istituti/centri di formazione professionale su 15 ne erano ancora sprovvisti.18 18 Per la rassegna sullo stato di elaborazione e adozione del protocollo di accoglienza si ringrazia Nicoletta Lorandi, che ha contattato tutte le istituzioni scolastiche a gestione pubblica e gli istituti/centri di formazione professionale a gestione paritaria. 27 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Quanti si aspettavano un solerte e diligente recepimento del regolamento provinciale da parte delle scuole non possono che rimanere delusi, dal momento che un’istituzione su quattro non si è ancora preoccupata di predisporre questo documento. Oltretutto, la delusione si traduce in vero e proprio disappunto se si va a ricostruire l’entità della presenza straniera all’interno di queste istituzioni «morose»: solo in quattro casi gli studenti stranieri incidono meno del 4,0% sul totale degli studenti iscritti, mentre nei rimanenti sette casi questa percentuale va dal 4,2% fino ad arrivare a toccare il picco del 14,7%. Se queste istituzioni si fossero potute appellare al cavillo dell’inconsistenza numerica della presenza straniera al loro interno, allora la mancata adozione del protocollo di accoglienza sarebbe sembrata, per quanto non giustificabile, quanto meno comprensibile: l’estraneità dal fenomeno «immigrazione» non avrebbe sollevato il bisogno di stabilire procedure formalizzate per la gestione del loro inserimento, ma qui non ci si trova di fronte a un simile caso. La mancata adozione del protocollo di accoglienza sembrerebbe, pertanto, tradursi in indifferenza dell’istituzione scolastica e formativa rispetto al tema dell’inserimento scolastico dello straniero, se non addirittura in malcelata indisponibilità ad accoglierli. Per quanto scomoda, questa chiave di lettura non può essere respinta a priori, soprattutto se si ascolta la «confessione» rilasciata da un operatore di un’istituzione priva del protocollo di accoglienza: Non abbiamo ancora un protocollo di accoglienza… quindi non abbiamo una struttura stabile per l’accoglienza e la gestione di questi ragazzi. La mancanza del protocollo da cosa è dipesa? Questa domanda mi mette un po’ in difficoltà… è chiaro che se ci sono sensibilità allora ci si attiva, se non ci sono sensibilità non ci si attiva… La dirigente scolastica è in carica da quest’anno. Il cambio di dirigenza sembra aver modificato la rotta, tanto che entro l’anno lo approveremo... La mancanza di un protocollo dà adito a resistenze ulteriori da parte del corpo docente. La dichiarazione non lascia adito ad alcun dubbio: la scuola è fatta da persone e, finché la dirigenza non promuove e sollecita quel cambiamento di mentalità di cui si parlava più sopra, è difficile uscire da schemi organizzativi e disciplinari collaudati da tempo e, oltretutto, l’impegno e la sensibilità di pochi rischiano di non trovare visibilità e accoglienza da parte dei colleghi. L’assenza del protocollo di accoglienza diventa, quindi, l’alibi che legittima l’inerzia e l’immobilità dell’istituzione scolastica e formativa. Tuttavia, la stagnazione all’interno di questo vicolo cieco non sembrerebbe essere destinata a lungo, poiché il diktat legislativo impone il cambiamento. In altre parole, l’art. 75 della l.p. n. 5/2006 e il regolamento attuativo rafforzano la sensibilità 28 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento verso l’accoglimento dell’utenza straniera in chi ne era già provvisto, mentre cercano di farla maturare in chi, per negligenza o indifferenza, ne era privo. Se non ci fosse stata la legge, il protocollo non sarebbe stato adottato anche se qui la presenza straniera è considerevole. Insomma, la normativa impone il rinnovamento, ma non bisogna dimenticare che – come ricordava un’intervistata – la legge «è calata dall’alto» e, per quanto possa stimolare il cambiamento, è indispensabile che cambi anche la mentalità. In altre parole, la rivoluzione è sollecitata dall’alto, ma poi deve partire dal basso. A tal riguardo, un’altra docente ha dichiarato: La procedura facilita, ma c’è bisogno anche di una cultura condivisa. C’è bisogno di un cambio di mentalità e questo processo, per quanto possa essere sollecitato e addirittura imposto da un intervento legislativo, richiede del tempo. In alcune realtà scolastiche e formative, però, questo cambio di mentalità si può già toccare con mano. Infatti, ancor prima dell’entrata in vigore del regolamento, alcune istituzioni si erano già dotate di un protocollo di accoglienza. Le testimonianze raccolte lasciano trapelare la presenza di una collaudata capacità di gestione dell’inserimento e dell’accoglienza dell’utenza straniera: il protocollo inizialmente approvato è stato modificato nel corso del tempo, così da poterlo adattare ai reali bisogni della scuola e dei suoi studenti; e i resoconti degli intervistati non si limitano a riportare asetticamente quanto sancisce la normativa (nota a tutti), ma si arricchiscono di prescrizioni che sono il frutto di esperienze vissute, commenti e riflessioni. Al di là di questi esempi virtuosi, il regolamento attuativo ha il pregio di aver posto all’attenzione di tutti gli operatori del sistema di istruzione e formazione il tema dell’accoglienza dello studente straniero. Infatti, molte delle istituzioni scolastiche e formative campionate, seppur sensibili a questa tematica, hanno adottato un protocollo di accoglienza solo in seguito all’entrata in vigore del regolamento attuativo. Il vantaggio che ne è derivato è stato il passaggio da procedure di inserimento dettate dalla consuetudine a procedure più formalizzate e note a tutti. Il protocollo sta entrando un po’ nella quotidianità di tutti gli insegnanti e aiuta, perché finalmente si sa a chi ci si deve rivolgere in caso di bisogno e ora so che esistono tre figure: referente, facilitatore linguistico e mediatore culturale. Le istituzioni meno sensibili, invece, sono state invitate a porsi il problema di una corretta ed efficace accoglienza degli studenti stranieri proprio in seguito alla promulgazione del regolamento. La speranza è che l’iniziativa legislativa abbia avviato un processo di cambiamento ormai non più procrastinabile 29 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali vista l’entità della presenza straniera, e che le istituzioni prive del protocollo si attivino al più presto per gestire ufficialmente un fenomeno che non può più essere ignorato. L’ASSEGNAZIONE DEGLI STUDENTI STRANIERI ALLE CLASSI Al di là dell’importanza della formalizzazione dell’accoglienza dello studente straniero tramite la specificazione di procedure di inserimento ufficializzate all’interno di un protocollo, in questa sede può essere utile descrivere i criteri più comunemente diffusi, che guidano l’assegnazione degli studenti stranieri alle classi per dare, poi, voce a quelle che sono state indicate come le principali criticità. Innanzitutto, la procedura di inserimento degli studenti stranieri nelle classi dovrebbe essere guidata da una vocazione inclusivista della scuola, volta a valorizzare la prospettiva interculturale e ad evitare la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri (art. 45, co. 3 del d.p.r. n. 394/1999). Le disposizioni ministeriali sembrano essere sufficientemente seguite dalle scuole italiane, dal momento che il criterio dell’equidistribuzione degli studenti stranieri sembra prevalere su quello della loro concentrazione/ segregazione (Mantovani 2008; Colombo 2010), e questo stesso criterio di assegnazione sembra avere la meglio anche nelle istituzioni scolastiche e formative trentine del secondo ciclo di istruzione: Si tiene conto della normativa nazionale e del regolamento della provincia, quindi non si concentrano in una classe. Tuttavia, le dichiarazioni degli operatori scolastici, seppur tranquilizzanti, non sono una sufficiente garanzia dell’effettiva equidistribuzione degli studenti stranieri nelle varie classi dell’istituzione. In altre parole, sarebbe utile arricchire queste informazioni qualitative con i dati oggettivi di un’indagine condotta sul campo volta a mappare l’effettiva distribuzione degli studenti stranieri tra le varie classi di un campione di istituzioni scolastiche e formative. Nonostante questo limite della presente ricerca, è ormai risaputo che l’obiettivo dell’integrazione scolastica e la migliore didattica si possono ottenere in classi in cui convivono le differenze, sia che queste dipendano da fattori più «tradizionali», come può essere la presenza di allievi con bisogni educativi speciali o con disturbi specifici di apprendimento, sia che queste dipendano da fattori più recenti e meno diffusi, come può essere la presenza di allievi provenienti da altri paesi. L’equidistribuzione non è, però, il solo criterio che viene preso in considerazione quando bisogna ripartire gli studenti stranieri tra le varie classi. Infatti, nella quasi totalità delle dichiarazioni degli intervistati si è registrata 30 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento una particolare attenzione anche alla ricostruzione delle competenze e delle abilità dello studente neoarrivato o residente in Italia da pochi anni. In linea di principio, questa valutazione sarebbe eccessiva e, comunque, non indispensabile, dal momento che la normativa nazionale ribadisce che rimangono fondamentali i criteri generali dell’equidistribuzione e dell’inserimento dell’alunno secondo l’età anagrafica (art. 45, d.p.r. n. 394/1999). Tuttavia, la stessa normativa esplicita anche che slittamenti di un anno su classe inferiore sono consentiti, ma solo dopo aver ponderato con molta attenzione i benefici che lo studente potrebbe ottenere e sentita la famiglia. E la necessità di praticare, o meno, questi slittamenti dipende da una valutazione delle competenze scolastiche possedute dallo studente. In alcuni casi questa procedura di valutazione delle competenze viene facilmente soddisfatta se lo studente è in grado di esibire la documentazione attestante il percorso formativo compiuto nel paese di origine.19 Molte volte, però, questa documentazione è fornita solo in lingua originale, oppure è incompleta, oppure è del tutto indisponibile. In questi casi, allora, l’istituzione deve attivarsi per valutare le competenze dello studente. La procedura può essere esternalizzata – in questo caso il mediatore interculturale cerca di ricostruire il percorso scolastico del giovane e il personale del laboratorio di rete si preoccupa di rilevarne le abilità (solitamente linguistiche) – oppure internalizzata – in questo caso si attivano in prima persona gli operatori dell’istituzione scolastica e formativa, predisponendo prove e test da far compilare al neoarrivato. La preferenza per questa seconda soluzione sembrerebbe dipendere dalla presenza, all’interno dell’istituzione, di una commissione intercultura (o commissione di accoglienza),20 cioè di un gruppo stabile di lavoro attento all’utenza straniera e composto, nella maggior parte dei casi, dal dirigente scolastico, dal referente per le iniziative interculturali e da alcuni insegnanti. Il vantaggio dell’internalizzazione della valutazione delle competenze sembrerebbe legato alla possibilità di determinare con maggior precisione le abilità effettivamente possedute nelle principali discipline dell’indirizzo scolastico. 19 Tuttavia, le competenze certificate dalle pagelle rilasciate dalla scuola del paese di origine non garantiscono che lo studente possegga, di fatto, le conoscenze necessarie ad affrontare il programma scolastico della scuola italiana, poiché i programmi di studio possono essere molto diversi. Oltretutto, questo tipo di problema si riscontra anche fra gli studenti stranieri, che sono stati inseriti nella scuola secondaria di I grado e hanno, pertanto, sostenuto l’esame di licenza media in Italia. In molti casi, infatti, gli intervistati hanno dichiarato di aver riscontrato una considerevole discrasia fra voto conseguito (elevato) e competenze effettivamente possedute (scarse). Ciò può dipendere dal fatto che l’esito finale dell’esame di licenza media non sintetizza esclusivamente il profitto scolastico conseguito dallo studente, ma considera anche le potenzialità formative e la complessiva maturazione raggiunta. Il peso attribuito a quest’ultima componente determina un «gonfiamento» del voto finale, che tende a disorientare gli insegnanti delle scuole secondarie superiori nel momento in cui vengono costituite le classi prime. 20 In alcuni casi non esiste formalmente una commissione di accoglienza, ma l’istituzione scolastica e formativa può comunque vantare della collaborazione di un collaudato gruppo di insegnanti volenterosi. 31 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Al di là di queste variazioni procedurali, la prassi seguita per accogliere e inserire gli studenti neoarrivati è alquanto formalizzata e standardizzata: il dirigente scolastico e il referente per le iniziative interculturali incontrano lo studente e la sua famiglia, si ricorre al mediatore interculturale in caso di bisogno, si ricostruisce il background scolastico del giovane e, alla luce di tutte queste informazioni, si definisce la classe di inserimento. Equidistribuzione e competenze possedute dallo studente sembrano, pertanto, essere i cardini su cui si fonda la scelta dell’inserimento scolastico. A questi due principi, però, è necessario aggiungerne un terzo. Alcuni intervistati hanno, infatti, dichiarato di prendere in considerazione anche il «contesto classe». In altri termini, si cerca di capire quale può essere la reale disponibilità della classe ad accogliere un nuovo arrivo. Io preferisco valutare di più il contesto, cioè cerco di fare una valutazione di qual è il contesto migliore, prima ancora delle competenze. Io onestamente faccio così. So che non è propriamente ciò che dice il regolamento, però… sono convinto che, se uno si trova bene in un contesto, ha già un punto a suo favore per poter progredire… Quando c’è un nuovo arrivo tengo poi conto anche delle caratteristiche dei docenti. La presa in considerazione di questa variabile di contesto non è affatto di secondaria importanza, poiché la riuscita scolastica, seppur associata all’impegno e al tempo dedicato allo studio, può avere maggiori probabilità di verificarsi se la classe è un luogo amichevole e accogliente. Questi fattori sono, oltretutto, particolarmente importanti per uno studente straniero arrivato in Italia da poco, poiché le relazioni interpersonali possono accelerare il suo processo di integrazione linguistica e sociale. Inoltre, questo percorso di integrazione potrebbe essere ulteriormente favorito se sulla classe di inserimento gravitasse un corpo docente ben attrezzato a gestire la presenza straniera in termini sia di sensibilità personale, sia di formazione professionale. Come si è avuto modo di cogliere dalla testimonianza sopra riportata, le caratteristiche dei docenti vengono concretamente prese in considerazione nel momento in cui si deve decidere in quale classe inserire lo studente straniero neoarrivato. Se questo dettaglio procedurale è, da un lato, confortante, perché favorisce un inserimento di successo, dall’altro lato, rischia di produrre degli effetti perversi, poiché è alta la probabilità che il «peso» dello studente straniero finisca per gravare sempre sugli stessi (pochi) insegnanti. È, quindi, importante ribadire la promozione dell’investimento nella formazione e nell’aggiornamento di tutti i docenti, in modo che tutti siano correttamente attrezzati per rispondere ai bisogni dell’intera utenza scolastica, anche quella straniera. Inoltre, formazione e aggiornamento dei docenti diventano delle vere e proprie necessità non solo perché la presenza straniera sta diventando un fenomeno consuetudinario all’interno del secondo ciclo di istruzione, ma anche perché le classi stanno diventando sempre più complesse sia qualitativamente 32 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento – si moltiplicano i bisogni degli studenti – sia quantitativamente. In altre parole, l’improvvisazione e la buona volontà non sono più sufficienti per poter gestire efficacemente classi sempre più numerose in cui accrescono le richieste di attenzione «speciale» per lo studente straniero, il sordo, il dislessico, il portatore di handicap, il ripetente, l’aggressivo. Oltretutto, pur prescindendo da queste difficoltà «speciali», la gestione di classi numerose è di per sé complessa: Nelle classi ci sono ragazzi con i bisogni educativi speciali, ci sono i ragazzi Dsa [disturbo specifico di apprendimento], ci sono ragazzi con i problemi di relazione e comportamento e poi ci sono i ragazzi stranieri… che rischiano di rimanere isolati nei loro silenzi senza che il loro insegnante possa fare qualche cosa… Ma in classe è difficile seguire tutti, perché in classe si deve controllare la situazione e cercare di creare un ambiente abbastanza sereno per tutti e insegnare. È un sovraccarico di lavoro per i colleghi, soprattutto quando ci sono classi di 28-29 persone. Ci sono, soprattutto in prima, classi di 28-29 persone ed è veramente pazzesco pensare poi di dover dedicare del tempo specifico per alcuni ragazzi, diversificare il lavoro in classe. La classe è caotica, perché, se ci sono 28 persone in una prima, sfido qualunque ragazzo a concentrarsi… capisco la nobile intenzione che si impara stando insieme, ma l’apprendimento ha bisogno di tranquillità, calma. Il problema di dover gestire delle classi numerose preoccupa molti dirigenti scolastici e insegnanti, che vedono con apprensione gli effetti che si produrranno a seguito dell’approvazione della delibera n. 1036 del 7 maggio 2010 relativa alla formazione delle classi nel secondo ciclo di istruzione per l’a.s. 2010/2011, che prevede che una classe potrà arrivare a contare perfino 29 studenti. C’è un problema di disciplina in tutte le classi, soprattutto al biennio e a prescindere dalla presenza di stranieri. I problemi ci sono anche nelle classi di soli italiani… Ecco son troppo numerose ’ste classi e poi voglion farle tutte da 30, non so, pensano forse che abbiamo la bacchetta magica. Le classi dovrebbero essere di 20, massimo 22 studenti. Già quando sono 26-28 diventa ingestibile, basta la parola di qualcuno perché ci sia baccano in classe. Il problema delle classi numerose investe tutti i docenti, ma coloro che insegnano materie pratiche, che prevedono anche ore di laboratorio (per esempio, in cucina o in officina), sono particolarmente preoccupati, poiché alle difficoltà di mantenere alta l’attenzione degli studenti si somma anche quella di riuscire a garantire loro la possibilità di lavorare in sicurezza. 33 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali II numero totale di studenti è difficile da gestire soprattutto se si va in laboratorio. Cerco di fare queste ore sempre quando c’è la codocenza, che mi aiuta a gestire la classe. Questo problema prescinde dalla presenza di stranieri o meno… sono troppi per le lezioni pratiche, mentre le lezioni frontali teoriche danno meno problemi... Meno studenti consentirebbe anche di seguire meglio i più deboli. Purtroppo sono io solo con ’sti ragazzi e l’officina è grande, le macchine sono tante... E allora abbiamo avuto un po’ di difficoltà per metterli in sicurezza, perché io possa lavorare e che loro possano lavorare sicuri. Questo è un problema abbastanza importante. Finora il problema delle classi numerose è stato (auto)gestito in vario modo, cercando di sfruttare al meglio le risorse interne e le ore di codocenza, ma queste sono soluzioni «tampone» che non risolvono affatto il problema. Molti intervistati hanno commentato criticamente la delibera sopra citata e si sono domandati se il risparmio di risorse è tale da legittimare la formazione di classi di 29 studenti. Forse sarebbe necessario aprire un dialogo con gli operatori della scuola e realizzare alcuni seri studi di fattibilità per riuscire a capire se i costi connessi alla formazione di classi meno numerose – che potrebbero anche comportare un risparmio in termini di riduzione delle codocenze – possono essere compatibili con le esigenze di spesa della provincia. 34 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento I percorsi didattici personalizzati Un secondo strumento contemplato dal regolamento provinciale per favorire l’integrazione scolastica degli studenti stranieri è il «percorso didattico personalizzato» (art. 10). Questo strumento è l’espressione dell’autonomia didattica della scuola, che si estrinseca anche attraverso la «scelta libera e programmata di metodologie e strumenti», in quanto mezzo volto a «garantire il diritto di apprendere nel rispetto delle esigenze formative degli studenti» (art. 15, co. 2, l.p. n. 5/2006). Pertanto, un efficace inserimento scolastico dello studente straniero – soprattutto se questi ha dovuto interrompere un percorso di studi avviato nel paese di origine e soprattutto se questa interruzione è avvenuta in tarda età – può richiedere, rispetto a una o più discipline, la rimodulazione del percorso didattico, che viene così ritagliato ad hoc in base alle esigenze dello studente. Più specificamente, la personalizzazione può realizzarsi attraverso: a) l’adattamento degli obiettivi e dei contenuti degli interventi didattici […], nonché l’individuazione di strategie didattiche e formative adeguate al raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento; b) la differenziazione degli interventi didattici annuali, anche attraverso la temporanea sospensione dell’insegnamento di discipline riconosciute di difficile comprensione per lo studente, fermo restando il raggiungimento dei prescritti livelli essenziali al fine del completamento del percorso (art. 10, co. 2). La personalizzazione dei percorsi didattici è uno strumento di cruciale rilevanza per la promozione dell’integrazione scolastica dello studente straniero e immigrato. Gli studenti neoarrivati (o arrivati da pochi anni) presentano nella (quasi) totalità dei casi due ordini di difficoltà capaci di inficiare la qualità dell’apprendimento: i) la totale assenza, o la scarsa, competenza linguistica (soprattutto per lo studio); ii) la totale assenza, o la scarsa conoscenza, delle nozioni di base propedeutiche alla comprensione del programma didattico di una specifica disciplina.21 Queste difficoltà toccano trasversalmente tutti gli studenti che hanno avviato un percorso scolastico nel paese di origine, ma è evidente che i tempi solitamente richiesti per colmare queste carenze sono in21 Rispetto a questo secondo tipo di difficoltà è necessaria una precisione, poiché carenze scolastiche non si rilevano necessariamente né fra tutti gli studenti immigrati, né per tutte le discipline. Il bagaglio di nozioni acquisite dipende, infatti, sia dal programma scolastico della scuola del paese di origine, sia dalla predisposizione allo studio del singolo studente. In alcuni casi è, quindi, anche possibile che lo studente straniero e immigrato sia avvantaggiato rispetto ai propri compagni italiani in alcune discipline. È il caso, ad esempio, di alcuni studenti cinesi, che ottengono buoni risultati in matematica nonostante il deficit linguistico, poiché la matematica è veicolata da un linguaggio universale e perché, nella scuola di origine, il programma disciplinare è più articolato e avanzato rispetto a quello italiano. Tuttavia, dalle testimonianze degli intervistati, situazioni di questo tipo sono piuttosto rare. 35 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali versamente associati all’età del giovane al momento della migrazione, perché: i) la probabilità di apprendere una lingua e di saperla parlare bene quanto un nativo diminuiscono drasticamente dopo la pubertà (King e Mackey 2006); ii) il bagaglio di nozioni disciplinari richieste dalla scuola aumentano al crescere del grado di istruzione. Pertanto, gli studenti stranieri che intraprendono un percorso scolastico in Italia a partire dalla fine del primo ciclo di istruzione, o all’inizio del secondo, sono quelli più colpiti da questi due ordini di difficoltà. La valutazione circa la necessità, o meno, di predisporre un percorso didattico personalizzato richiede, innanzitutto, di ricostruire le conoscenze e le competenze linguistiche e disciplinari possedute dallo studente straniero. Infatti, un programma personalizzato può essere formulato efficacemente solo dopo aver ricostruito i bisogni specifici di ogni singolo studente. Inoltre, sarebbe auspicabile che la ricognizione delle competenze venisse svolta al momento dell’ingresso dello studente nella scuola, o quanto meno nelle prime settimane di avvio delle lezioni, dal momento che i tempi per il pieno inserimento scolastico dello studente straniero dipendono anche dalla velocità con cui i deficit linguistici e disciplinari vengono recuperati. Il regolamento attuativo non specifica i modi e i tempi attraverso i quali l’istituzione scolastica e formativa deve provvedere ad elaborare possibili percorsi didattici personalizzati e, così, ogni istituzione può organizzarsi in modo autonomo. Non stupisce, pertanto, rilevare che alcune istituzioni hanno dedicato al percorso didattico personalizzato una specifica sezione del protocollo di accoglienza, attribuendo dettagliatamente incarichi e responsabilità a soggetti ben definiti. In altri protocolli di accoglienza, invece, il riferimento al percorso didattico personalizzato è appena accennato, così che l’istituzione scolastica e formativa, seppur sprovvista di procedure formalizzate per l’accoglienza degli studenti stranieri, non può essere accusata di mancato recepimento del regolamento attuativo. Infine, non mancano i casi in cui il tema della personalizzazione dei percorsi didattici è completamente taciuto. Ancora una volta, la formalizzazione degli interventi volti ad accogliere gli studenti stranieri sembra dipendere dalla sensibilità e dall’interesse degli operatori della singola istituzione scolastica e formativa. Dalle testimonianze raccolte in sede di intervista è, inoltre, emerso che la personalizzazione del percorso didattico – seppur formalmente prevista e incoraggiata dal regolamento – non è sempre di facile attuazione nella pratica quotidiana. È difficile applicarlo perché il percorso individualizzato non è visto bene da tutti i docenti. La difficoltà maggiore è il programma da rispettare, quindi perché uno [studente] deve fare di meno? Ci sono state grandi difficoltà di dialogo con il consiglio di classe… Non tutti i colleghi erano disposti a capire e ad accettare il programma personalizzato elaborato 36 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento per una ragazza… Alcuni non capivano perché la ragazza si doveva assentare [per frequentare il laboratorio linguistico] in alcune delle loro ore… Soprattutto c’erano dei colleghi che pensavano che si facesse un’ingiustizia nei confronti degli altri. La personalizzazione del programma comporta un ripensamento delle modalità attraverso le quali i contenuti disciplinari possono essere trasmessi, talvolta richiede anche di ripensare agli stessi contenuti. Però, alcuni docenti sono «spaventati» da questa flessibilizzazione, poiché si teme di rimanere indietro con la tabella di marcia e di non riuscire, pertanto, a trattare tutti gli argomenti previsti dal programma ufficiale. Per questi insegnanti diventa, quindi, impensabile che uno studente possa «perdere» alcune ore di lezione, e poco importa se queste ore sono spese a frequentare i laboratori dove si acquisisce quella competenza linguistica necessaria a comprendere la lezione stessa. Da un lato, questa impostazione didattica dipende da uno stile di insegnamento troppo rigido e poco lungimirante di alcuni docenti: La resistenza da parte di alcuni docenti ad abbandonare abitudini e stili è abbastanza forte… Non sono abituati a lavorare collegialmente condividendo buone pratiche, strumenti e materiali. Dall’altro lato, però, è la rigidità del sistema scolastico che richiede di essere inflessibili e perfettamente aderenti al programma ufficiale, perché l’esame di Stato, per essere superato, richiede a tutti di raggiungere un livello minimo di prestazione. L’obiettivo finale è l’esame di maturità che deve essere come quello degli altri… Noi dobbiamo fare in modo che tutti siano preparati per l’esame finale, che è standardizzato. Quindi abbiamo fatto il protocollo e qui abbiamo scritto che noi faremo un percorso personalizzato per i ragazzi con valutazioni personalizzate, però, via via si procede per l’iter scolastico, ci si deve avvicinare sempre di più agli standard degli altri. Oltretutto, questa rigidità rischia anche di inibire l’emersione di qualche talento: Le capacità le hanno, certo la scuola italiana è di un rigido pazzesco e non lascia spazio a nessun aggiustamento. Una ragazza iraniana che arriva, e che c’ha un sacco di difficoltà, forse il latino potrebbe anche non farlo… Ha già l’inglese, il tedesco o lo spagnolo, tutte le altre materie… Io credo che dovrebbe esserci più elasticità in questo senso… Il problema in Italia è che si trincerano tutti dietro a queste cose, che il titolo di studio prevede questo percorso e quindi non sarebbe completo. Ovviamente in un liceo, in una scuola superiore, c’è una maturità e in una maturità come giustifichi che un ragazzo… Dovrebbe essere una decisione presa dall’alto. Se c’è una direttiva ministeriale o provinciale che dice che c’è un trattamento diverso, allora è accettabile. 37 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Questa esigenza di ripensamento dei programmi didattici in funzione delle specificità, soprattutto linguistiche, degli studenti stranieri è emersa anche in un’altra intervista rilasciata da una dirigente scolastica di un liceo linguistico, che descrive le difficoltà in cui si è imbattuta in seguito all’arrivo di una studentessa serba da inserire nella classe terza. Infatti, la studentessa si è trovata di fatto a dover apprendere non tre lingue straniere, così come previsto dal programma ministeriale, ma ben quattro, se si computa anche l’italiano. [Bisognerebbe] riuscire a superare, parlando di liceo in questo caso, di scuola superiore, i limiti del discorso «lingua all’esame di maturità»… Io ho fatto una serie di richieste, anche a Roma ho telefonato, per riuscire a sostituire con il serbo una delle lingue straniere, perché c’era un passaggio che faceva supporre che ciò fosse possibile, ma non è stato poi possibile metterlo in atto... A questo, secondo me, dovremmo arrivare… Usare la loro lingua madre come lingua spendibile come lingua straniera… Sarebbe un grosso aiuto usare come lingua straniera la propria. Vorrebbe dire togliere almeno un problema. Questi esempi aiutano a comprendere quanto sia difficile per gli stessi insegnanti riuscire a coniugare l’esigenza di personalizzazione del programma didattico con la struttura organizzativa del sistema scolastico e formativo. Se queste rigidità sistemiche sono difficili da smussare – poiché richiedono di contravvenire a procedure formalizzate universalistiche – non significa, però, che i margini di personalizzazione del programma didattico siano inesistenti e che altre rigidità non possano essere superate. In particolare, le opportunità di intervento potrebbero investire gli aspetti della didattica relativi alla disciplina insegnata e, a cascata, il rapporto tra insegnanti e studenti. I pedagogisti convengono ormai sul fatto che il modello trasmissivo – cioè incentrato sulla relazione asimmetrica fra docente e studente, sulle lezioni frontali, sulla comunicazione unidirezionale e sulla «tripletta» domanda-risposta-valutazione – è il meno efficace nei contesti multietnici, poiché non tiene conto dei diversi contesti culturali di provenienza degli allievi. Una migliore corrispondenza fra contesto scolastico in cui si produce l’apprendimento, da un lato, e bisogni socioevolutivi degli studenti, dall’altro, può essere ottenuta grazie all’adozione di uno stile di insegnamento interattivo, che promuove lo scambio bidirezionale tra docenti e studenti, la lezione centrata sulla discussione e la discussione nel gruppo (Bonica e Sappa 2010). Oggi il modello di insegnamento trasmissivo è ancora il più diffuso, ma fra gli insegnanti intervitati è possibile cogliere importanti segnali di mutamento: La prima strategia, nella quale credo moltissimo, è quella di stabilire un contatto umano, perché altrimenti non posso veicolare nessun valore…. Loro avvertono che sono anche curiosa della loro cultura… Per esempio mi piacerebbe sapere se c’è un’opera analoga alla nostra Divina Commedia nel loro paese…. In storia mi capita molto 38 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento spesso di metterli al centro: se parlo degli arabi lo faccio tramite il marocchino… diventano i protagonisti della lezione… Quello che poteva essere un handicap, in questa classe è poi diventato un punto di forza… Si è parlato degli Stati nazionali e questa è stata un’occasione per far fare una ricerca a ogni studente straniero, che ha cercato i simboli del proprio paese: l’eroe nazionale, le canzoni popolari… E abbiamo così scoperto che ogni Stato ha bisogno di un suo eroe per formarsi. Questo è un esempio di stile di insegnamento virtuoso, in quanto pone attenzione ai processi e ai bisogni degli studenti e li rende protagonisti della lezione, lasciando spazio all’espressione delle loro peculiarità motivazionali, cognitive e culturali. In molti altri casi, si è poi registrato un grande sforzo da parte degli insegnanti per acquisire un linguaggio semplificato in modo da poter veicolare meglio i contenuti e le nozioni della disciplina. Le strategie utilizzate a questo scopo sono le più varie: si va dal lavoro di gruppo in aula di riproduzione fotografica e di denominazione nelle diverse lingue di tutti gli attrezzi usati in officina o in cucina alla scelta dei libri di testo che utilizzano un linguaggio più fluente (per esempio, quelli che evitano l’uso del passato remoto, poiché aggiungono alla difficoltà cognitiva quella linguistica), dall’elaborazione personalistica di dispense ricche di immagini all’utilizzo di nuove tecnologie per il supporto alla didattica (per esempio, l’uso della lavagna interattiva, presentazioni in Powerpoint, uso del computer), dalla promozione del lavoro dei piccoli gruppi all’interno della classe fino all’organizzazione di un lavoro di gruppo di più ampio respiro, capace di coinvolgere gli studenti di più classi. A quest’ultimo proposito, meritano di essere qui brevemente descritti i due progetti di educazione interculturale promossi da un centro di formazione professionale: il primo ha sollecitato il dibattito fra gli studenti sul tema dell’immigrazione, dell’integrazione e della discriminazione a partire dalla lettura del libro sugli emigranti italiani di Gian Antonio Stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi; il secondo progetto si è incentrato, invece, sui temi dell’integrazione degli stranieri a partire dalla visione di due film di Clint Eastwood: Gran Torino e Invictus. Il prodotto finale dei gruppi di lavoro coinvolti in questi due progetti è stato l’elaborazione di alcuni cartelloni riportanti i principali contenuti emersi durante la discussione. Queste attività potrebbero essere fatte rientrare nelle cosiddette «strategie di didattica esperienziale», che, oltre al lavoro di gruppo e alla didattica interattiva, promuovono anche l’espressione dei diversi stili cognitivi e delle diverse intelligenze di cui gli studenti sono portatori (Bonica e Sappa 2010). Sebbene queste esperienze didattiche siano state accompagnate da un buon grado di partecipazione e impegno da parte degli studenti, simili attività non sembrerebbero trovare grande diffusione nei programmi didattici degli insegnanti delle scuole campionate. Oltretutto, non stupisce che le esperienze di didattica interattiva ed esperienziale siano risultate più diffuse all’interno delle istituzioni scolastiche e formative di tipo professionale, poiché questo 39 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali dato è del tutto coerente con quello rilevato dall’indagine nazionale Iard sugli insegnanti italiani (ibidem). Tuttavia, né i dati qui a disposizione, né quelli commentati nell’indagine Iard consentono di comprendere quale sia il motore di questa innovazione: il tipo utenza (solitamente più fragile e meno motivata allo studio) di questi istituti? Oppure, il carattere pratico di molte discipline qui insegnate, che potrebbe meglio coniugarsi con le «nuove» tecniche di insegnamento? O, ancora, una spiccata sensibilità degli insegnanti di questi istituti, alla ricerca di nuove tecniche di insegnamento per poter catturare l’attenzione di un’utenza così particolare? Questo lavoro non ha l’ambizione di trovare una risposta a questi interrogativi. Questo limite, però, non significa che dalle testimonianze raccolte non si possano estrapolare alcuni bisogni, che potrebbero essere soddisfatti grazie alla promozione di interventi concertati dai vari attori del mondo della scuola che operano a livello provinciale. In primo luogo, un coro di voci unanime ha espresso il bisogno di poter disporre di materiale scolastico semplificato. I testi scolastici ufficiali sono spesso di difficile comprensione per chi non padroneggia bene la lingua italiana, e questo problema non riguarda solo gli studenti stranieri, ma anche chi ha disturbi specifici di apprendimento (per esempio, i dislessici) e i sempre più numerosi studenti italiani che, per i più svariati motivi, presentano difficoltà di comprensione del testo. Il Centro Millevoci è stato indicato come un’utile fonte per reperire materiale di questo tipo, ma limitatamente alle discipline a carattere umanistico. Gli insegnanti delle discipline specifiche dell’indirizzo scolastico (per esempio, scienze meccaniche, elettroniche, fisica, chimica, ecc.), e soprattutto quelli del triennio, devono ricorrere al «fai da te», ma non tutti hanno un’adeguata formazione per la semplificazione del linguaggio e non tutti hanno la voglia e il tempo di preparare in autonomia del materiale ad hoc. Conseguentemente, un primo intervento potrebbe focalizzarsi sull’elaborazione di materiale didattico semplificato anche per queste discipline. Un secondo intervento che si potrebbe promuovere a livello provinciale è quello di coinvolgere l’intero corpo docente in attività di formazione, in particolare negli ambiti della didattica relativi alla disciplina insegnata e del rapporto tra insegnante e studenti.22 Questi due interventi potrebbero aiutare gli insegnanti nell’esercizio delle loro attività quotidiane e questo nuovo bagaglio di conoscenze potrebbe contribuire a far maturare in loro una maggiore consapevolezza dell’importanza della promozione dei programmi didattici personalizzati. Oltretutto, una formazione e un aggiornamento adeguati mirerebbero anche a far acquisire all’intero corpo docente quelle abilità necessarie a gestire la «personalizzazione del programma» senza che questo significhi necessariamente duplicazione della mole di lavoro. 22 Gli stessi insegnanti intervistati nell’indagine nazionale Iard hanno dichiarato di aver bisogno di formazione soprattutto in questi due ambiti (Moscati 2010). 40 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento La personalizzazione del programma didattico non si realizza, poi, solo tramite l’adozione di diverse tecniche di insegnamento e l’uso di materiale didattico semplificato, poiché si attua anche attraverso l’individuazione di adeguate modalità di valutazione. Infatti, la possibilità di sospendere temporaneamente l’insegnamento delle discipline ritenute di difficile comprensione per lo studente (art. 10, co. 2, lettera b) o la possibilità di «saltare» alcune ore di lezione per poter frequentare il laboratorio linguistico possono richiedere e legittimare il ricorso a una temporanea sospensione del giudizio. Molti dei docenti intervistati hanno dichiarato di aver fatto uso della sospensione del giudizio e di averla applicata soprattutto per gli studenti neoarrivati. Questo strumento di valutazione è ritenuto da molti indispensabile, poiché la valutazione di un giovane neoarrivato, privo della più semplice conoscenza dell’italiano per comunicare e impegnato in attività di laboratorio per colmare in breve tempo il deficit linguistico, non avrebbe alcun senso. La sospensione del giudizio non può essere, però, mantenuta a oltranza: si adotta in un primo momento, in occasione delle valutazioni del primo quadrimestre, ma a fine anno tutti gli studenti devono essere giudicati e valutati. L’improcrastinabilità del giudizio di fine anno spesso produce fra gli insegnanti un bisogno di ricorrere a strategie di valutazione del rendimento tarate ad hoc sulle caratteristiche dello studente e/o della classe. Questo meccanismo non è affatto nuovo al mondo della scuola, cioè non nasce con l’arrivo di un’utenza specifica quale può essere quella straniera, ma piuttosto risale al momento in cui, con l’innalzamento dell’obbligo scolastico, il «buonismo» ha iniziato ad avere la meglio sul rigore. Non a caso, la già citata indagine Iard sugli insegnanti ha messo in evidenza un dato su cui riflettere: quasi un docente su quattro attribuisce, in sede di valutazione dello studente, una scarsa rilevanza al raggiungimento di una soglia minima di conoscenze, mentre trova consenso unanime il criterio che mira a premiare il miglioramento individuale e, oltretutto, otto insegnanti su dieci sono inclini a valutare l’impegno dello studente a prescindere dal livello di competenze raggiunto (Barone 2010). L’obiettivo di questo lavoro non è quello di indicare quale criterio di valutazione debba essere adottato dagli insegnanti, ma è evidente che una corretta valutazione del rendimento dello studente non può disinteressarsi del livello minino di competenze raggiunto, se non a scapito della qualità dell’apprendimento, così come non può non tenere conto dell’impegno profuso dallo studente, se non a rischio di deprimerlo e demotivarlo. Dalle dichiarazioni rilasciate dagli intervistati si potrebbe affermare che la valutazione degli insegnanti si ispira solitamente a un criterio di giusto equilibrio fra rigore e buonismo. La strategia è di individuare, per ogni disciplina, un livello minimo di prestazione, che corrisponde al livello della sufficienza. Quindi si declina l’aspetto disciplinare in relazione a un percorso individualizzato, che consente a ogni studente di seguire il proprio successo formativo. 41 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali Tuttavia, la consapevolezza delle molteplici difficoltà che lo studente straniero – soprattutto se arrivato da poco in Italia – deve affrontare per poter integrarsi nella scuola, rende alcuni docenti più «morbidi»: A inizio anno fisso le competenze di base minime, senza le quali non si dà la sufficienza... I compiti sono uguali per tutti e tutti devono raggiungere il livello minimo e per gli stranieri tengo più conto, se arrivati da poco, dell’impegno e del miglioramento. Se si sono fatti grandi progressi e la sufficienza non si è pienamente raggiunta chiudo un occhio. In questi casi, però, l’impegno premiato non esclude una valutazione delle abilità cognitive dello studente, poiché l’insegnante considera il raggiungimento del livello minimo delle competenze un traguardo concretamente raggiungibile da parte dello studente straniero, ma non nei tempi stretti del singolo anno scolastico. In altre parole, è come se l’insegnante facesse un patto implicito con lo studente: ne premia l’impegno per non demotivarlo, anche perché prevede che, se quell’impegno verrà mantenuto, nel corso dell’anno successivo il giovane potrà raggiungere la piena sufficienza. Il fatto di avere in classe studenti stranieri con difficoltà linguistiche non solo sollecita l’adozione di un metro di valutazione dell’apprendimento più flessibile, ma può richiedere anche di adottare diverse tecniche di valutazione. Alcuni insegnanti, ad esempio, dichiarano di non tenere conto, nelle prove scritte, ma solo per gli studenti stranieri, degli errori ortografici e di sintassi; altri predispongono due diverse versioni dei compiti in classe; altri, invece, predispongono una sola prova, ma con un grado di difficoltà crescente; molti formulano le domande ricorrendo a un linguaggio semplice, in alcuni casi, arricchito di immagini; infine, è possibile annoverare anche casi in cui il compito in classe è stato redatto in una lingua diversa dall’italiano, solitamente l’inglese.23 La personalizzazione del programma didattico, se non sempre riesce a seguire la via ufficiale della formalizzazione istituzionalizzata, si concretizza nelle pratiche di insegnamento e di valutazione quotidiane degli insegnanti: la via del cambiamento è comunque intrapresa. 23 Un’insegnante ha addirittura dichiarato di aver chiesto l’intervento di una mediatrice interculturale cinese per tradurre il compito in questa lingua per poter far fare la prova a una sua studentessa, per l’appunto, cinese. 42 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento I laboratori linguistici di italiano Il laboratorio linguistico di italiano L2 è l’ennesimo strumento di promozione dell’integrazione degli studenti stranieri (art. 11). I laboratori linguistici promuovono l’acquisizione dell’italiano L2 e gli studenti che partecipano a queste attività sono organizzati in gruppi omogenei rispetto al livello di competenza linguistica, ma eterogenei rispetto alla classe di inserimento, alla provenienza geografica e alla lingua madre. In molti casi, i laboratori linguistici sono comuni a più scuole e si parla, pertanto, di «laboratori di rete», che sono in grado di accogliere studenti provenienti anche da diverse istituzioni scolastiche e formative (art. 11, co. 2).24 In questi laboratori si lavora per favorire: a) l’acquisizione della lingua utile per comunicare; b) l’approfondimento del livello di padronanza della L2 per comunicare a livello ricettivo e produttivo; c) lo sviluppo delle capacità di lettura e scrittura; d) l’acquisizione della L2 per studiare (art. 11, co. 3). Con riferimento specifico a quest’ultima attività dei laboratori linguistici, cioè la valorizzazione della lingua per lo studio, è già emerso in precedenza25 il fatto che gli intervistati tendono a privilegiare l’internalizzazione di questa attività, anziché delegarla a professionisti esterni impiegati nei laboratori di rete, poiché questa gestione in autonomia sembrerebbe favorire la possibilità di lavorare meglio sui contenuti linguistici specifici delle materie disciplinari di indirizzo. Siccome la tematica della lingua per lo studio è già stata affrontata, non si ritiene necessario qui riprenderla nuovamente, mentre pare più utile soffermarsi sulle impressioni che gli intervistati hanno espresso in merito ai laboratori linguistici rispetto alla loro funzione «primaria»: l’insegnamento della lingua per comunicare. Innanzitutto, a conferma di quanto è già stato rilevato da Bampi (2009), il laboratorio di rete è considerato unanimemente una risorsa utile, talvolta indispensabile, che ha il vantaggio di garantire prassi uniformi e di affidare il compito del recupero del deficit linguistico a persone formate e preparate. Molti insegnanti affermano di aver visto alcuni studenti stranieri neoarrivati fare enormi progressi grazie alla frequentazione di questi laboratori. Ma, al di là di questi giudizi positivi, è doveroso dare spazio anche alle (poche) critiche che sono state sollevate, poiché potrebbero tornare utili per migliorare il servizio. La lamentela più comunemente sollevata dagli intervistati si riferisce ai tempi previsti per la frequentazione dei laboratori linguistici. Il regolamento 24 Gli accordi di rete fra istituzioni sono promossi dall’art. 19 della l.p. n. 5/2006, in quanto consentono una «migliore utilizzazione delle risorse, il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali e il contenimento dei costi». 25 Per maggiori dettagli si rimanda al par. 6. 43 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali attuativo è abbastanza flessibile al riguardo, dal momento che la frequenza del laboratorio può strutturarsi: a) con orario minimo giornaliero per la durata di tutto l’anno scolastico; b) con orario a scalare, che può prevedere anche moduli intensivi (art. 11, co. 4). Nonostante questa flessibilità, l’organizzazione di un servizio di rete, capace di accogliere e soddisfare le esigenze di più studenti gravitanti su scuole diverse, non può riuscire a soddisfare tutte le esigenze di ogni singolo docente. Più specificamente, molte delle attività del laboratorio vengono svolte nel corso della mattinata, quindi in orario scolastico, in ore ben specifiche di alcuni specifici giorni della settimana. Questo significa che gli studenti impegnati nelle attività di laboratorio finiranno per «perdere» diverse ore delle lezioni tenute da alcuni docenti. Alcuni insegnanti soffrono di questa situazione, poiché non riusciranno a valutare questi studenti e poco importa se lo strumento della sospensione del giudizio è consentito. E poco importa sapere anche che la frequenza del laboratorio è organizzata per moduli e, pertanto, non sempre le lezioni di L2 graviteranno sulle stesse ore e, quindi, sugli stessi insegnanti. Oltretutto, questa lamentela non sembra avere basi solide su cui fondarsi, poiché è evidente che la mera presenza in aula non è condizione sufficiente a garantire l’apprendimento della materia se lo studente è del tutto privo della competenza linguistica. Non a caso, vi sono insegnanti che propongono addirittura di esonerare temporaneamente questi studenti dal frequentare le lezioni, quanto meno quelle più teoriche: Io proporrei, se ha delle difficoltà linguistiche, di non fargli fare tutte le ore, perché è anche frustrante per uno studente stare in classe e non capire niente. Nonostante i limiti di questa lamentela, è comunque necessario prestare un minimo di attenzione all’orario scolastico degli studenti chiamati a frequentare i laboratori. Infatti, sarebbe utile cercare di evitare che queste attività finiscano per gravare sui docenti dal più basso carico orario: alcuni insegnamenti prevedono solo due ore, o addirittura una sola ora, di lezione a settimana. Pertanto, se l’orario di frequenza del laboratorio linguistico coincide con questo insegnamento, vi è il rischio che docente e alunno abbiano l’opportunità di conoscersi solo dopo diversi mesi dall’inizio dell’anno e questo potrebbe rendere più difficile l’integrazione scolastica del neoarrivato. Una seconda lamentela riguarda, invece, la composizione dei gruppi all’interno dei laboratori. Da un lato, alcuni docenti – facendosi portavoce dei propri studenti – hanno segnalato che i gruppi sono, a volte, troppo numerosi e questo rischia di inficiare i tempi e la qualità dell’apprendimento linguistico: «[alcuni miei studenti] mi hanno espresso loro stessi delle perplessità, perché mi hanno detto che se il gruppo è troppo numeroso non riescono ad apprendere». Dall’altro lato, alcuni docenti criticano la composizione eterogenea del gruppo rispetto alla lingua L1 dei frequentanti, poiché c’è chi ritiene che i 44 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento tempi di apprendimento possono variare notevolmente in funzione del paese di origine: Quest’anno abbiamo avuto dei neoarrivi in corso d’anno e non abbiamo potuto inserirli nei laboratori di rete, perché i corsi erano già stati avviati. Allora abbiamo organizzato [internamente alla scuola] due diversi gruppi: quelli dell’Europa dell’Est da una parte, perché hanno un livello di apprendimento [linguistico] molto veloce, e dall’altra parte i ragazzi pakistani, che sono molto più lenti… Ha funzionato benissimo… Abbiamo organizzato un corso intensivo: dalle 8 alle 11 dal lunedì al venerdì. Questa testimonianza non solo critica i criteri organizzativi – che poi sono quelli previsti da regolamento – seguiti per formare i gruppi nei laboratori linguistici, ma fa emergere anche un modello di organizzazione della frequenza dei corsi molto intensivo, poiché i partecipanti sono praticamente esonerati dalla partecipazione alle attività della classe di inserimento. Questa impostazione dei corsi per il recupero linguistico non sembra, quindi, tenere in considerazione il fatto che «gli allievi stranieri non vanno isolati dalla classe (né fisicamente, portandoli sempre fuori, né continuando a proporre loro attività completamente scollegate dal lavoro di classe), poiché è molto più produttivo e significativo tenerli “agganciati” il più possibile al contesto classe» (Arici et al. 2006, 7; Mantovani 2009). Ciononostante, alcuni insegnanti ritengono che per i neoarrivati l’immersione completa nelle attività di laboratorio sarebbe la soluzione migliore per promuovere, ma solo in un secondo momento, un inserimento scolastico di successo. Tuttavia, non mancano nemmeno le soluzioni intermedie: Se dovessi dare una mia idea… farei laboratorio [discipline pratiche] inizialmente, e solo italiano… per i primi tre mesi… riduciamo l’orario… perché all’inizio sono anche spaventati, spaesati, sono invisibili, immobili… non creano problemi, ma quando lo vedi dici: «Ma come faccio?»… e mandarli anche a casa prima, dando loro dei compiti che possano fare con calma. Insomma, se si chiedesse a dieci diversi docenti di esprimere un loro parere in merito alla soluzione migliore da adottare per facilitare l’apprendimento linguistico degli studenti neoarrivati, non ci si dovrebbe stupire se si registrassero dieci diverse «ricette». Alcune convinzioni si maturano in base all’esperienza concretamente vissuta tutti i giorni in aula, e questi vissuti sono molto importanti e devono essere tenuti in considerazione quando sono organizzate attività di questo tipo. Tuttavia, queste convinzioni si maturano alla luce di un’esperienza che è personale e che può essere condizionata da una visione stereotipata dello studente straniero. Per comprendere meglio il significato di queste parole può essere utile riportare le testimonianze di due insegnanti – 45 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali l’una afferente a una scuola secondaria di II grado, l’altra a un centro di formazione professionale – che fanno alcune riflessioni sugli studenti pakistani: Il problema grosso è con le pakistane: il rientro pomeridiano spesso è disertato perché i genitori vogliono che stiano a casa a sbrigare i lavori domestici. Si è anche ricorsi al mediatore culturale, ma non è servito a molto, il direttore ha anche cercato di fare una specie di compromesso con le famiglie, ma poi torna tutto come prima. Si va un po’ a tipologie, a etnie… i pakistani sono davvero molto attenti al percorso scolastico. Ci tengono tantissimo i pakistani alla crescita culturale dei figli. Sebbene queste dichiarazioni non abbiano a che fare con il problema dell’apprendimento linguistico, è chiaro che il tipo di esperienza vissuta quotidianamente dall’insegnante in un contesto ben definito, qual è la propria scuola e l’indirizzo scolastico in cui insegna, può produrre un’immagine distorta e semplificata della realtà. Ciononostante, l’esperienza quotidiana che mette in contatto il docente con l’alunno straniero, seppur parziale, tende ad essere considerata come universalmente vera e unica. Pertanto, per alcuni insegnanti i pakistani sono quelli che danno più problemi perché i genitori sono assenti, mentre per altri docenti questi stessi pakistani sono gli stranieri più seguiti dalla famiglia. In entrambi i casi, il difetto consiste nel soffermarsi al dettaglio più tangibile, il gruppo nazionale, e nel non considerare il background socioeconomico e culturale, e più in generale l’intero percorso migratorio, di questi giovani e delle loro famiglie. È comprensibile, quindi, che ogni insegnante si possa considerare detentore della strategia migliore di inserimento scolastico e integrazione linguistica degli studenti stranieri, ma questa strategia potrebbe essere efficace solo per quei pochi ragazzi con cui ha avuto modo di interagire e non per tutti gli altri. L’organizzazione dei corsi di alfabetizzazione deve, pertanto, dare ascolto alla voce e alle esperienze dei docenti, ma non può trascurare ciò che ormai è un dato assodato: lo studente straniero è in grado di apprendere la lingua italiana più celermente se al suo arrivo si procede con l’immediato inserimento nella classe ordinaria. 46 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Considerazioni conclusive Nell’ultimo decennio la scuola trentina è stata investita da un profondo cambiamento. I banchi delle istituzioni scolastiche e formative di ogni ordine e grado della provincia di Trento sono stati occupati in misura crescente da studenti stranieri: immigrati o figli di immigrati. Le aule si sono, così, trasformate in piccole babeli, dove il pluralismo linguistico è talvolta una consuetudine. L’eterogeneità delle origini degli studenti e la rapidità della loro crescita numerica invitano a considerare la presenza straniera nelle scuole come un fenomeno ormai non più trascurabile o ignorabile. È necessario, pertanto, intervenire per gestire e regolare la presenza degli studenti stranieri, e la provincia di Trento si è già concretamente attivata in questa direzione da alcuni anni. Infatti, risale al 2006 l’art. 75 contenuto nella l.p. n. 5 sul sistema educativo di istruzione e formazione in Trentino, che è espressamente dedicato all’«Inserimento e integrazione degli studenti stranieri», ed è del 2008 l’approvazione del «Regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nel sistema educativo provinciale». La provincia di Trento ha, quindi, recepito la necessità di regolamentare e disciplinare l’accoglienza dell’utenza straniera, mettendo anche a disposizione delle istituzioni scolastiche e formative risorse umane e finanziarie. Tuttavia, la traduzione di queste disposizioni teoriche in azioni e pratiche quotidiane spetta alle singole istituzioni scolastiche e formative e al personale dirigente e docente che opera in esse. Il lavoro che è stato presentato in queste pagine ha cercato di comprendere se, e in quale misura, le istituzioni scolastiche e formative di questa provincia si sono attivate per rendere operative le disposizioni normative attraverso la realizzazione di una cinquantina interviste a dirigenti scolastici/direttori di istituti e insegnanti. Più specificamente, l’attenzione è stata posta alle sole scuole secondarie di II grado e ai centri/istituti di formazione professionale, poiché è nel secondo ciclo di istruzione che: i) si è registrato, negli ultimi anni, l’incremento percentuale più consistente di studenti stranieri; ii) l’utenza straniera iscritta in queste scuole è spesso anche immigrata e, pertanto, presenta ragguardevoli difficoltà di integrazione linguistica e scolastica. I risultati emersi da questa indagine hanno, innanzitutto, evidenziato l’importanza della normativa provinciale nel richiamare l’attenzione delle scuole sul tema dell’accoglimento e dell’inserimento scolastico degli studenti stranieri. In assenza di un simile intervento normativo, infatti, alcune istituzioni, seppur interessate da una presenza straniera per niente trascurabile al loro interno, non si sarebbero spontaneamente attivate – quanto meno nel breve periodo – 47 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali al fine di disciplinare e regolare l’organizzazione dell’utenza straniera tramite un documento formale, qual è il protocollo di accoglienza. Ciononostante, ancora oggi un quarto delle istituzioni scolastiche e formative dell’intera provincia sono sprovviste di questo documento segno, da un lato, di una carenza di sensibilità e attenzione verso il tema dell’integrazione scolastica degli alunni stranieri e, dall’altro, indicatore di una mancanza di procedure formalizzate capaci di assicurare una gestione coordinata e pianificata dei nuovi arrivi e, più in generale, dei bisogni dell’utenza straniera. A fianco di questi casi poco virtuosi e, per quanto numericamente minoritari, non trascurabili, è comunque possibile scontrarsi anche in istituzioni scolastiche e formative precursori dei tempi, in cui l’adozione di un protocollo di accoglienza precede addirittura l’approvazione del regolamento attuativo che ne detta l’istituzione. L’attenzione e la sensibilità mostrate dalle scuole verso l’inserimento e l’accoglimento degli studenti stranieri sono, pertanto, alquanto variegate. Ma il protocollo di accoglienza non è la sola chiave di lettura utile a decifrare la diversa sensibilità delle istituzioni scolastiche e formative di fronte al tema dell’utenza straniera. Infatti, l’apertura nei confronti dello studente straniero, per quanto possa essere promossa da un documento formale, dipende considerevolmente dalla propensione del corpo docente ad accogliere questi allievi e dalla capacità di rispondere efficacemente ai loro bisogni specifici. Lo studente straniero, soprattutto se neoarrivato o residente in Italia da pochi anni, presenta spesso delle debolezze linguistiche e delle fragilità scolastiche, che non possono essere sottostimate dagli insegnanti. Gli strumenti didattici, gli stili relazionali, i modelli comunicativi e trasmissivi utilizzati finora non sono più funzionali (almeno in parte), perché il tipo di utenza è cambiata. Le lezioni frontali devono essere integrate dai lavori di gruppo, le spiegazioni unidirezionali degli insegnanti devono alternarsi a momenti di discussione collegiale, i tradizionali libri di testo devono essere affiancati (o sostituiti) da materiali e strumenti didattici facilitanti, i tempi della valutazione devono farsi meno stringenti e i programmi didattici devono diventare più flessibili favorendo l’elaborazione di percorsi di studio personalizzati. Per aiutare i docenti a rifornirsi delle nozioni e delle competenze necessarie a gestire classi nazionalmente e linguisticamente sempre più eterogenee è, pertanto, necessario investire nella loro formazione e aggiornamento continuo. Iniziative di questo tipo dovrebbero coinvolgere tutti i docenti, a prescindere dalla disciplina insegnata e dall’indirizzo scolastico dell’istituzione di appartenenza, perché la presenza straniera nelle scuole trentine è ormai una realtà che non investe più solo le scuole professionalizzanti (centri/istituti di formazione professionale, istituti professionali e istituti tecnici), dal momento che questi studenti iniziano ad essere numerosi anche nei licei. L’investimento nella formazione del corpo insegnante dovrebbe stimolare quel ricambio di mentalità – promosso dall’alto tramite l’intervento normativo – necessario a promuovere il cambiamento del modello pedagogico di rife- 48 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento rimento, contribuendo a far comprendere che semplificazione del linguaggio e della relazione non è sinonimo di semplificazione dei contenuti. Ovviamente, la frequentazione dei corsi di formazione e aggiornamento sono necessari affinché i docenti possano disporre degli strumenti necessari a mettere in pratica stili comunicativi e didattici più confacenti alla nuova utenza, ma ciò non è sufficiente. È indispensabile, infatti, che ogni insegnante investa del tempo per consultare nuovi materiali didattici, per preparare compiti in classe semplificati, per confrontarsi con i colleghi. In altre parole, l’insegnante è chiamato a rivalutare il suo modo di lavorare e non c’è corso di aggiornamento che possa garantire il raggiungimento di un simile risultato. Per questo motivo si è avanzata, un po’ provocatoriamente, la proposta di fare diventare gli insegnanti oggetto di pubblica valutazione da parte dei loro studenti, in modo da stimolare anche l’attivismo di quei docenti che, nel corso degli anni, si sono dimenticati della rilevanza educativa del proprio ruolo. Se, da un lato, gli insegnanti devono investire nella formazione per poter acquisire quelle conoscenze e competenze necessarie a gestire classi sempre più eterogenee e dalle mille necessità, dall’altro lato, bisognerebbe saper garantire loro la possibilità di lavorare in un ambiente favorevole. Questo significa poter gestire soprattutto delle classi numericamente contenute, ma questa richiesta è del tutto in controtendenza con quanto sancito dalla riforma messa in moto dalla recente delibera n. 1036/2010. I tagli all’istruzione impongono di ridurre la spesa e così la formazione di classi più ampie dovrebbe contribuire a favorirne il contenimento, dal momento che un simile intervento incide sulla contrazione della domanda di docenti. Tuttavia, se si desidera promuovere un’istruzione di qualità e incoraggiare gli insegnanti a investire nel progetto educativo, sarebbe necessario ripensare a soluzioni alternative: le classi troppo numerose sono, in generale, difficili da gestire, in particolare negli indirizzi scolastici più professionalizzanti, dove l’utenza è solitamente meno votata allo studio. L’art. 75 della l.p. n. 5/2006 e il regolamento attuativo per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri esemplificano l’impegno delle istituzioni trentine a promuovere l’accoglimento di questa particolare utenza. Le disposizioni normative hanno messo a disposizione della scuola risorse umane e finanziarie per consentire e facilitare la gestione di un’utenza straniera numericamente ormai non più trascurabile. Questo cambiamento promosso dall’alto richiede, però, del tempo affinché possa essere recepito dalla classe docente. La gestione di classi sempre più eterogenee e con molteplici bisogni implica, infatti, l’adozione di nuove competenze e conoscenze da parte di tutti i docenti, che sono indispensabili affinché le risorse finanziarie e umane (facilitatori linguistici, mediatori interculturali) messe a disposizione della provincia possano essere pienamente sfruttate. Questo percorso di aggiornamento deve essere valorizzato e sostenuto da corsi di formazione e sensibilizzazione capaci 49 Progetto A1b Analisi della qualità dell’inclusione: alunni di cittadinanza non italiana e con bisogni educativi speciali di coinvolgere tutto il personale scolastico, in modo che il patrimonio dell’accoglienza dello studente straniero diventi un patrimonio diffuso. La strada del cambiamento, sollecitata dall’alto, sembra ormai essere stata imboccata. L’effettiva concretizzazione di questo mutamento è ora nelle mani di coloro che tutti i giorni si scontrano e confrontano con gli studenti e i loro bisogni. Il vero cambiamento non può che partire dal basso e, per questo motivo, gli interventi di riforma dovrebbero sapere dare ascolto anche a chi, ogni giorno, tocca con mano i problemi e i bisogni della scuola: insegnanti e studenti. 50 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Ambrosini M. (2005), Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino Andall J. (2002), Second Generation Attitude? African-Italians in Milan, in «Journal of Ethnic and Migration Studies», vol. 28, n. 3, pp. 389-407 Argentin G. (2010), «Scegliere» di insegnare: vocazione, vantaggi e caso, in A. Cavalli e G. Argentin (a cura di), Gli insegnanti italiani: come cambia il modo di fare scuola. Terza indagine dell’Istituto IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 51-74 Arici M., Cristofori S. e Maniotti P. 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Edizione 2009, Trento, Temi s.a.s. 52 Accoglienza e integrazione scolastica degli studenti stranieri nella provincia di Trento Appendice Le scuole che hanno partecipato all’indagine I dirigenti scolastici, i referenti per le iniziative interculturali e alcuni degli insegnanti degli istituti scolastici elencati nel seguente prospetto hanno contribuito all’indagine, rendendosi disponibili alla realizzazione di alcune interviste. I promotori dell’indagine ringraziano i dirigenti scolastici e il personale docente dell’istituto che hanno accettato di partecipare alla ricerca, fornendo informazioni preziose a disposizione dei ricercatori. • • • • • • • • • • • Istituto di istruzione Floriani, Alto Garda e Ledro Cfp Enaip alberghiero e ristorazione, Alto Garda e Ledro Istituto di istruzione Marie Curie, Alta Valsugana Liceo Rosmini, Vallagarina Istituto di formazione professionale alberghiero e ristorazione, Vallagarina Istituto professionale Battisti, Valle dell’Adige Liceo Da Vinci, Valle dell’Adige Istituto tecnico Pilati, Valle di Non Cfp Enaip industria e artigianato, Valle di Non Istituto di istruzione Guetti, Giudicarie Cfp Upt settore terziario, Giudicarie 53