studi Persiani - Centro Studi Marco Biagi

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studi Persiani - Centro Studi Marco Biagi
Il lavoro a progetto:
profili teorico-ricostruttivi
di Michele Tiraboschi (*)
Impostazione del problema
E’ stato giustamente osservato – in quello che può essere considerato un classico
tra gli studi sul «tipo contrattuale» – che mentalità conservatrice ed esigenze di
certezza portano il giurista a qualificare i fenomeni sociali nuovi utilizzando
schemi già noti e sperimentati 1. L’oggettiva difficoltà di impostare i problemi in
termini radicalmente nuovi o anche solo l’incapacità culturale di formulare
compiute alternative inducono l’interprete a ricorrere a categorie concettuali
saldamente radicate nella tradizione, che vengono conseguentemente impiegate ben
al di là della sfera di operatività originaria.
E’ alla luce di questa regola di conservazione – mai codificata, ma certo bene
impressa nel codice genetico del giurista – che si possono probabilmente spiegare
sia l’affanno interpretativo, che ha accompagnato le prime letture della nuova
disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative 2, sia anche, almeno in
parte, talune delle principali notazioni critiche all’impianto complessivo del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 3.
Non sono invero neppure mancati dubbi interpretativi e soprattutto rilievi critici
basati su una lettura della nuova disciplina che, a voler essere generosi, potremmo
limitarci a definire frettolosa 4. Con specifico riferimento alla regolamentazione del
lavoro c.d. a progetto particolarmente deleteria – e anche deviante – è stata
l’opinione di chi, rivolgendosi a una platea di lettori che va decisamente ben oltre
gli esperti della materia, ha rappresentato il nuovo regime delle collaborazioni
coordinate e continuative alla stregua di una intollerabile forzatura e rigidità,
rispetto alla evoluzione del quadro economico e normativo degli ultimi anni,
*
Professore Straordinario di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia – Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi
(http://www.csmb.unimo.it/cv/Michele).
1
Così: G. De Nova, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, p. 3. Nella medesima prospettiva, e
con specifico riferimento alla tipicità del diritto applicato, cfr. anche R. Sacco, Autonomia
contrattuale e tipi, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1966, p. 790 e ss. e, proprio con specifico riferimento
all’area della c.d. «parasubordinazione» G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinazione»,
Angeli, Milano, 1979, p. 13.
2
Parlano di «affanno interpretativo», con espressione che bene rende il disorientamento di larga parte
degli operatori del diritto, M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, in Collana "Riforma del
lavoro" - Vol. I, Ipsoa, Milano, in corso di pubblicazione, qui § 1.
3
Per un tentativo di fornire percorsi interpretativi e proposte di lettura dell’impianto complessivo del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e dei principali provvedimenti in esso contenuti rinvio
ai contributi raccolti in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro – Prime
interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi
della riforma, Giuffrè, Milano, 2004. Il saggio di apertura del volume è pubblicato all’indirizzo
www.csmb.unimo.it
4
Vero è, tuttavia, che alcune prime notazioni critiche nel merito del provvedimento, che hanno poi
largamente condizionato il dibattito successivo, sono pervenute già all’indomani della approvazione
in prima lettura dello schema di decreto legislativo da parte del Consiglio dei Ministri del 6 giugno
2003 e, dunque, ben prima ancora di avere potuto prendere materialmente visione dei suoi contenuti.
In questo senso cfr., tra i tanti, L. Gallino, Occupazione usa e getta, in La Repubblica, sabato 7
giugno 2003.
destinata a entrare a regime in modo drastico e perentorio a partire dalla entrata in
vigore del decreto 5. Opinione certo rispettabile, e anzi avanzata da un
commentatore tra più autorevoli in materia, ma che purtuttavia ha trascurato di
rilevare come, in realtà, le disposizioni finali del decreto prevedessero una
disciplina transitoria di un anno per il definitivo passaggio dal vecchio al nuovo
regime. Preoccupati di comprendere, alla luce di queste ed altre ancora notazioni
allarmistiche, come gestire nell’arco di poche settimane il repentino passaggio di
un numero considerevole di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa –
di cui si annunciava, senza alcun solido argomento logico e normativo, la morte (v.
infra) – a quell’oggetto sconosciuto rappresentato dal c.d. lavoro a progetto 6 molti
operatori economici e molte aziende si sono così lasciati irrimediabilmente
sfuggire, in attesa dei primi chiarimenti ministeriali 7, la comoda transizione
prevista dalla prima parte del comma 1 dell’articolo 86 del decreto legislativo n.
276/2003 (v. infra).
E’ tuttavia proprio sul piano dell’atteggiamento culturale nei confronti del “nuovo”
che sono emersi i principali problemi di comprensione e razionalizzazione della
disciplina del lavoro a progetto. Una ostilità in buona parte pregiudiziale e talvolta
ideologica nei confronti delle soluzioni tecniche adottate dal legislatore delegato ha
in effetti dato luogo a una proliferazione incontrollata di letture radicali e spesso
contrapposte della lettera della legge, tali da collocare prepotentemente il dibattito
sulla sorte delle collaborazioni coordinate e continuative ben oltre l’orizzonte dei
problemi tecnico-operativi concretamente – e oggettivamente – sollevati dalla
messa a regime del nuovo assetto regolatorio 8.
Invece di tentare di affrontare e sciogliere i principali dubbi interpretativi in
coerenza alla ratio dell’intervento legislativo e al quadro dei principi e valori
costituzionali di riferimento, i primi commenti si sono il più delle volte diffusi, con
piglio marcatamente polemico, in serrate e minuziose disquisizioni circa l’effettiva
idoneità delle misure contenute nel decreto ad arginare l’utilizzo abusivo delle
collaborazioni fittizie ipotizzando – né più né meno di quanto già registrato nel
5
Così: P. Ichino, Il vero strappo è un’altra rigidità, in Il Corriere della sera, domenica 8 giugno
2003.
6
Secondo R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co., in www.lavoce.info, «dei due milioni e mezzo di
co.co.co. attuali, potrebbero salvarsene perché riconducibili a un progetto, non più di un quinto, tutti
di alta qualifica (amministratori di società, temporary managers, etc.).I restanti due milioni si
ritroverebbero attratti nell’alveo del diritto del lavoro subordinato, con un effetto dal sapore
paradossalmente "bertinottiano"». Più recentemente, tuttavia, B. Anastasia e A. Accornero, Precari
veri e presunti, in www.lavoce.info, hanno sostenuto che il numero dei contratti di collaborazione
coordinata e continuativa fittizi, su cui si concentra (come vedremo) l’intervento del decreto
legislativo n. 276/2003, sarebbero meno di 600 mila.
7
Puntualmente pervenuti in data 8 gennaio con la pubblicazione della circolare n. 1/2004 (vedila in
www.csmb.unimo.it).
8
Basti considerare che alcuni primi commentatori (v. Ichino e Del Punta, citati rispettivamente alle
note 5 e 6) hanno accusato il Legislatore delegato di aver congegnato una riforma delle collaborazioni
coordinate e continuative ingiustamente rigida e penalizzante per l’autonomia contrattuale privata, e
dunque perfettamente in linea con le radicali proposte della CGIL volte cioè a ricondurre
drasticamente queste forme di lavoro nell’alveo della subordinazione, mentre la stessa CGIL denuncia
ora la disciplina del lavoro a progetto come uno strumento finalizzato a svuotare surrettiziamente
l’area presidiata dalla subordinazione. Cfr. A. Andreoni, Il Decreto Legislativo n. 276/2003. Brevi
osservazioni, in www.cgil.it/giuridico, che parla del «rischio di un effetto boomerang che realizza,
anziché un transito dagli attuali co.co.co. al lavoro subordinato, l’effetto contrario di uno
sgonfiamento dell’area della subordinazione, in quanto preclusa alle fasce medio-alte di lavoratori
(senza peraltro che siano introdotti vincoli per i lavoratori di routine)». Sostanzialmente nello stesso
senso cfr. P. Alleva, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato
del lavoro, in www.cgil.it/giuridico.
2
2001, a seguito della riforma del lavoro a tempo determinato 9 – scenari
pessimistici che vedono alternarsi ora un imponente contenzioso giudiziario ora
una altrettanto imponente fuga verso il lavoro nero o comunque verso schemi
contrattuali ritenuti – ma erroneamente – più attrattivi come per esempio
l’associazione in partecipazione 10. Disquisizioni, a ben vedere, non solo capziose,
ma anche oziose in ragione del fatto che, a lume di buon senso, un giudizio
attendibile – e sereno – sulla bontà o meno della riforma sarà possibile solo dopo
aver avviato una prima fase di sperimentazione in piena aderenza con lo spirito
della legge e, segnatamente, con quanto dispone l’articolo 86, comma 12, del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in merito alla natura, appunto
sperimentale, della disciplina sul lavoro a progetto. Una natura, va precisato,
genuinamente sperimentale, come dimostra del resto la circostanza che, ai sensi
dell’articolo 7 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, la delega al Governo per
introdurre eventuali modifiche e integrazioni al testo del decreto legislativo rimane
aperta per un arco di tempo significativo: ventiquattro mesi dalla data di entrata in
vigore 11.
Nel ricordare le caratteristiche di sperimentalità e gradualità della riforma delle
collaborazioni coordinate e continuative non si vuole certo negare che, anche dopo
i primi i chiarimenti ministeriali 12, la disciplina del lavoro a progetto presenti zone
d’ombra e taluni rilevanti dubbi applicativi 13. Vero è tuttavia che – pur a fronte di
un fenomeno come quello degli abusi delle collaborazioni coordinate e
continuative, dai più giudicato negativamente per l’enorme impatto economico e
sociale in termini di distorsione della concorrenza e precarizzazione del lavoro – è
sino ad oggi mancato un atteggiamento culturale positivo nei confronti del
cambiamento: quell’approccio costruttivo che pure non dovrebbe mancare in un
settore dell’ordinamento giuridico che, da sempre 14, richiama «il giurista al
9
E’ a partire dalla riforma del contratti di lavoro a termine che, in effetti, si apre la polemica tra chi
prospetta scenari pessimistici e chi invece sollecita un atteggiamento culturale positivo nei confronti
del cambiamento. Cfr., sul punto, M. Biagi, La nuova disciplina del lavoro a termine: prima
(controversa) tappa del processo di modernizzazione del mercato del lavoro italiano, in Id. (a cura
di), Il nuovo lavoro a termine, Giuffrè, Milano, 2002, spec. p. 20 in risposta a P. Ichino, Contratti a
termine: un decreto trappola, in Il Corriere della Sera del 12 ottobre 2001. p. 1 e p. 15.
L’assestamento e i primi due anni di applicazione della disciplina sul contratto a termine di cui al
decreto legislativo n. 368/2001 hanno peraltro dimostrato come i timori di un imponente contenzioso
giudiziario fossero completamente infondati.
10
Così T. Treu, La riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, in Collana "Riforma del lavoro"
- Vol. I, Ipsoa. Milano, cit., nonché L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella Riforma Biagi, in
Guida al Lavoro, n. 42/2003, Speciale, qui p. X, dimenticando tuttavia che anche in questo caso le
disposizioni transitorie e finali contengono una rigorosa disciplina sanzionatoria in merito all’utilizzo
abusivo dei contratti di associazione in partecipazione. Cfr. infatti l’art. 86, comma 2, del decreto
legislativo n. 276/2003.
11
Circostanza questa che spiega perché l’art. 86, comma 12, del decreto legislativo n. 276/2003
preveda un confronto con le parti sociali sulle misure sperimentali decorsi diciotto mesi dalla data di
entrata in vigore del decreto stesso. A ciò si aggiunga che, grazie alla disposizione di cui all’art. 17
del decreto, sono peraltro in corso di definizione misure volte a potenziare e rendere maggiormente
efficace l’azione di monitoraggio e di valutazione delle politiche del lavoro.
12
Cfr. la circolare n. 1/2004 del Ministero del lavoro. Per un primo commento cfr. V. D’Oronzo,
Primi chiarimenti ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, in Guida al Lavoro, 2003.
13
Per un primo tentativo di sistematizzazione del nuovo quadro legale delle collaborazioni coordinate
e continuative nella modalità c.d. a progetto cfr. M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, continuato
da M. Tiraboschi, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 199-208.
14
Non a caso Hugo Sinzheimer, uno dei fondatori del moderno diritto del lavoro, parlava del diritto
del lavoro in termini di diritto di frontiera e di frontiera del diritto. Sul punto cfr. la ricostruzione
storico-comparativa di G. Vardaro, Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Angeli,
Milano, 1985, p. 27. A questo riguardo, con riferimento alle osservazioni di quanti hanno visto
nell’intervento sul lavoro a progetto una ingiustificata limitazione della autonomia negoziale privata
(cfr. Del Punta, citato alla nota 6), cfr. L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, in M. Tiraboschi (a cura
3
difficile compito di qualificare realtà nuove se non, addirittura, realtà in
movimento» 15.
Il principale rischio di questo clima culturale, va detto a chiare lettere a quanti
stanno avviando una campagna di demolizione in via interpretativa del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è unicamente quello di mortificare l’obiettivo
di politica del diritto sotteso agli articoli 61-69 del decreto stesso: l’obiettivo – che
pure nessuno osa apertamente sconfessare o criticare 16 e che, non a caso,
costituisce la pietra angolare su cui poggia l’intera riforma Biagi 17 – di reprimere
gli abusi nell’area grigia del lavoro coordinato e continuativo e di definire, in
coerenza con gli assetti della economia della informazione e della conoscenza, un
quadro di corretta competizione tra le imprese mediante la fissazione di regole
certe ed esigibili nella gestione del personale.
Probabilmente, come è stato giustamente rilevato 18, qualcuno pensava
internamente che la generalizzazione dell’illecito attraverso le collaborazioni
simulate potesse anche essere utile per il sistema delle imprese. Ma questa «è una
opzione oziosa: era necessario cambiare e regolarizzare» 19.
Vero è dunque che, anche in considerazione di una sostanziale aderenza
dell’intervento riformatore a una elaborazione giurisprudenziale più che decennale
20
, tanto l’approccio disincantato e riduttivo quanto quello fortemente critico e
pessimistico non rendono merito alla aspirazione razionalizzatrice di questa
porzione specifica del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 21. Il decreto
non ambisce certo a introdurre nuove e ingiustificate rigidità e tantomeno ad
alimentare l’economia sommersa. La questione, come evidenziato nella relazione
di accompagnamento del decreto 22, è semmai che in una logica di medio-lungo
periodo una concorrenza basata sulla mera riduzione del costo del lavoro, che è poi
la vera ragione negli abusi delle collaborazioni coordinate e continuative, rischia di
mettere completamente fuori mercato le imprese italiane rispetto alle logiche della
nuova economia e nel confronto internazionale: «le organizzazioni di impresa
fondate (solo) sulla precarietà del lavoro hanno bassi costi, ma finiscono per
disincentivare la formazione e la crescita professionale, onde non riescono a
garantirsi a lungo la competitività e alla fine anche la concorrenzialità sui mercati
di), La riforma Biagi del mercato del lavoro – Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10
settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, cit., che propone un efficace
accostamento storico-critico con le resistenze operate da una parte della cultura giuridica alla
regolamentazione del c.d. «libero contratto» di lavoro e, con essa, alla nascita del moderno diritto del
lavoro.
15
Per questa definizione della scienza giuslavoristica cfr. G. Giugni, Introduzione allo studio
dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1977 (ma 1960), qui p. 20.
16
Sulla ratio dell’intervento legislativo in materia di collaborazioni coordinate e continuative,
abbastanza pacifico e largamente condiviso in dottrina, cfr. V. D’Oronzo, Primi chiarimenti
ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, cit.
17
Sulla regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative come pietra angolare della
riforma rinvio a M. Tiraboschi, Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276: alcune premesse e un
percorso di lettura, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro ecc., cit.
Nello stesso senso cfr. R. Bonanni, Il giudizio della Cisl sulla riforma Biagi e le proposte per la sua
attuazione, ivi e C.L. Monticelli, Garanzie per i lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale, ivi.
18
M. Miscione, Il collaboratore a progetto, in Lav. Giur., n. 9/2003, 813.
19
Così, giustamente, M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., 813.
20
Cfr. infra, nel testo. Per una efficace dimostrazione di questo assunto cfr., sin da ora, R. Continisio,
I contratti di collaborazione coordinata e continuativa fra riforme e giudici, in M. Tiraboschi (a cura
di), La riforma Biagi del mercato del lavoro ecc., cit., secondo cui «l’oggetto centrale dell’intervento
riformatore (ossia quello di legare il contratto di collaborazione ad un progetto) appare il frutto
“raffinato” di un excursus giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte di Cassazione».
21
In questo senso cfr. L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma
Biagi del mercato del lavoro ecc., cit.
22
Vedila in www.csmb.unimo.it
4
internazionali» 23. Nella variegata area delle collaborazioni, il passaggio da rapporti
a minore o nessuna contribuzione ad altri a più alta aliquota dovrebbe costituire,
per contro, un beneficio per l’intero sistema delle imprese. Eliminando forme di
concorrenza sleale, basate su abusi ed elusioni palesi alla normativa di legge, sarà
plausibilmente più facile programmare misure volte alla progressiva riduzione del
costo del lavoro dipendente.
La filosofia dell’intervento sulle co.co.co.
Certo è che la rigorosa impostazione prospettata dal legislatore delegato, volta a
restringere in modo significativo il ricorso alle collaborazioni coordinate e
continuative, rappresenta una vera e, sicuramente per molti 24, inaspettata novità
non solo rispetto agli assetti normativi reali del nostro diritto del lavoro – in
relazione ai quali gli abusi nell’area grigia della parasubordinazione risultavano
tollerati se non proprio accettati dall’ordinamento nel suo complesso –, ma anche
agli attuali termini del dibattito sulla disciplina delle forme di lavoro atipico e dei
c.d. nuovi lavori. Un dibattito polarizzato, come noto 25, attorno alla alternativa tra
tipizzazione di un tertium genus e codificazione di uno «Statuto dei lavori».
Preso atto della notevole incertezza e opinabilità dei percorsi di riforma sin qui
prospettati in ambito dottrinale 26, il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,
si propone di percorrere una sorta di terza via, limitandosi a introdurre una serie di
robuste barriere – di tipo definitorio e sanzionatorio (v. infra) – per impedire
l’utilizzo improprio delle collaborazioni coordinate e continuative 27. In conformità
ai criteri della legge delega e agli impegni assunti nel Patto per l’Italia del 5 luglio
2002, le collaborazioni coordinate e continuative vengono con decisione ricollocate
nell’area, loro propria, «del lavoro autonomo (incrementandone il prelievo
contributivo), fermo restando l’impegno ad arginare con adeguata strumentazione
(promozionale e non solo sanzionatoria) il fenomeno delle collaborazioni fittizie,
23
Così: L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit.
Cfr., tra i tanti, R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co, cit., che definisce la misura
contraddittoria rispetto alle finalità dichiarate dal Governo. Una attenta lettura del Libro Bianco
dell’ottobre 2001 mostra tuttavia come l’intento di restringere il campo di applicazione delle
collaborazioni coordinate e continuative, mediante l’impiego del lavoro a progetto, in modo da
limitarle alle sole forme di lavoro autonomo genuine, risponda a una precisa opzione di politica del
diritto – peraltro confermata dal Patto per l’Italia del 5 luglio 2002 – volta alla regolamentazione
complessiva delle tipologie di lavoro atipico e flessibile, riequilibrando i rapporti tra lavoro autonomo
e lavoro subordinato. L’introduzione di nuove flessibilità sul versante delle tipologie contrattuali di
lavoro subordinato si giustifica, in questa prospettiva di politica legislativa, con un impegno a
eliminare le forme di flessibilità impropria (il c.d. lavoro grigio), che spesso si nascondono dietro lo
strumento delle collaborazioni coordinate e continuative. Cfr. C.L. Monticelli, Garanzie per i
lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale, ivi.
25
Cfr., per un riepilogo del dibattito, M. Biagi, M. Tiraboschi, Quale regolamentazione per le
collaborazioni coordinate e continuative, in GLav, 2001, n. 9 e già Id., Le proposte legislative in
materia di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno Statuto dei
lavori?, in LD, 1999, 571 ss.
26
Stante l’assenza di opinioni anche minimamente o parzialmente condivise circa i percorsi di
riforma del nostro diritto del lavoro (cfr., per un quadro di sintesi delle diverse opinioni, M. Biagi,
Istituzioni di diritto del lavoro, cit., spec. pp. 117-130), rischia invero di risultare autoreferenziale e,
comunque, lontana dai processi normativi reali la domanda, posta da M. Magnani, S. Spataro, Il
lavoro a progetto, cit, § 7, se la disciplina del lavoro a progetto costituisca «un approdo coerente con
il dibattito in corso».
27
Tra i primi commenti a caldo, segnala lo sforzo di ridurre gli abusi legati alle collaborazioni
coordinate e continuative R. De Luca Tamajo, Quei tre destini possibili per i 2 milioni di co.co.co, in
Il Mattino, domenica 8 giugno 2003.
24
5
che andranno invece ricondotte, anche in virtù del potenziamento dei servizi
ispettivi, a fattispecie di lavoro subordinato sulla base di criteri oggettivi» 28.
Nonostante una diversa opinione 29, è stata dunque definitivamente abbandonata la
strada della tipizzazione di un tertium genus contrattuale, collocato in una area
intermedia tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato; ma viene al contempo
rinviata – secondo la tempistica politica di attuazione degli impegni contenuti
sempre nel Patto per l’Italia – anche la proposta di dare corpo a quella ipotesi di
riforma complessiva del nostro diritto del lavoro che va sotto il nome di «Statuto
dei lavori». Una proposta che, nel suo nucleo essenziale, contrappone al dualismo
tradizionale tra lavoro autonomo e lavoro subordinato – ma a ben vedere anche alla
proliferazione delle tipologie contrattuali – una serie di tutele per cerchi concentrici
e geometrie variabili a seconda del tipo di istituto da applicare 30.
Resterebbe dunque deluso chi cercasse nel decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276, una robusta normativa di tutela del collaboratore coordinato e continuativo
costruita sulla falsariga del contratto di lavoro subordinato 31 o, comunque, una
serie di rinvii alla contrattazione collettiva in funzione della specificazione e
maggiore articolazione del dettato normativo 32. Così come resterebbe parimenti
deluso chi cercasse una astratta e generica valorizzazione della autonomia
contrattuale individuale a prescindere da una operazione di delimitazione del
28
Patto per l’Italia del 5 luglio 2002, punto 2.4 (vedilo in www.csmb.unimo.it). La finanziaria per il
2004 si occupa dell’innalzamento del prelievo contributivo sia per le collaborazioni coordinate e
continuative sia per i contratti di associazione in partecipazione. Cfr., a questo proposito, T. Treu, La
riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, cit., secondo cui «l’unico provvedimento strutturale
che può ridurre il rischio di un uso dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa è
l’avvicinamento progressivo dei contributi sociali tra i vari tipi di lavoro (autonomo e subordinato)».
Proprio in questa direzione si stanno orientando le più recenti proposte di riforma, anche in sede
parlamentare.
29
Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, in Itinerari d’impresa.
Management, diritto, formazione, n. 3/2003 e anche nei working papers del Centro Studi “Massimo
D’Antona”, n. 25/2003 (www.lex.unict.it), con opinione rimasta tuttavia, almeno al momento, isolata
in dottrina. Contra, giustamente, L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella riforma Biagi, cit., qui p.
IV.
30
Cfr. amplius M. Biagi, Le ragioni in favore di uno Statuto dei lavori, in L. Montuschi, M.
Tiraboschi, T. Treu (a cura di), op. cit.
31
In dottrina, proprio sul presupposto della assimilazione del lavoratore coordinato e continuativo al
lavoratore dipendente, concettualmente bene identificata dalla nozione di «parasubordinazione» (su
cui, tra i primi, cfr. G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinato», Angeli, Milano, 1979),
criticano l’esiguità delle tutele connesse al lavoro a progetto, R. De Luca Tamajo, Dal lavoro
parasubordinato al lavoro a progetto, p. 12, p. 22 e M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit.,
815. L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit., parla di un «modesto apparato garantistico, espressivo
dell’intento di adeguare a principi minimi di civiltà giuridica il trattamento del collaboratore a
progetto».
32
Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., che, ricordando il
braccio di ferro tra Governo e Confindustria, nelle strette finali di approvazione del decreto, in merito
alla rigorosa delimitazione del comma 1 dell’articolo 61, comma 1, indica come sarebbe stata
sicuramente preferibile una soluzione volta a concedere maggiori spazi alla autonomia collettiva. Ma
è stato proprio il rifiuto categorico di Confindustria a prevedere qualsivoglia rinvio alla contrattazione
collettiva nell’area del lavoro coordinato e continuativo a rafforzare l’idea di delimitarne
rigorosamente l’area di operatività al lavoro genuinamente autonomo. Ovviamente, a questa scelta ha
concorso anche il rifiuto di tipizzare una area intermedia tra autonomia e subordinazione, propria
della prospettiva del tertium genus prospettata da tempo da De Luca Tamajo (cfr. R. De Luca Tamajo,
Per una revisione delle categorie qualificatorie del diritto del lavoro: l’emersione del “lavoro
coordinato”, in Arg. Dir. Lav., n. 5/1997, e anche R. De Luca Tamajo, R. Flammia, M. Persiani, La
crisi della nozione di subordinazione e della sua idoneità selettiva nei trattamenti garantistici. Prime
proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium
genus: il lavoro coordinato, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1998, n. 21, p. 331 e ss.). Come evidenzia la
relazione di accompagnamento del decreto (vedila in www.csmb.unimo.it) il Legislatore delegato non
ha infatti preso in considerazione l’idea di tipizzare una area di subordinazione attenuata con tutele di
serie B.
6
campo di operatività delle collaborazioni coordinate e continuative in funzione
anti-elusiva.
Invero, chi giudica ora l’intervento delineato nel decreto legislativo come una forte
limitazione alle libere determinazioni della autonomia negoziale delle parti 33
dimentica probabilmente di rilevare come le collaborazioni coordinate e
continuative siano una figura indicativa non tanto certo di una fattispecie negoziale
tipica 34, ma piuttosto di un insieme indistinto di rapporti di lavoro accomunati
genericamente dal vincolo della dipendenza economica e, dunque, dalla disparità
contrattuale del collaboratore rispetto al committente 35. Un insieme di rapporti che
nel corso dell’ultimo decennio, per la loro rapida e incontrollata espansione, hanno
costituito una importante spia della crescita abnorme e irrazionale della norma
inderogabile di legge nell’area presidiata dal diritto del lavoro.
L’abuso delle collaborazioni coordinate e continuative non si può in effetti spiegare
solo in funzione di prassi fraudolente congegnate dal contraente più forte, ma
anche in ragione di una vera e propria disfunzione nella evoluzione dei rapporti tra
autonomia privata e ordinamento giuridico del lavoro a cui si è cercato di reagire
da parte degli operatori del mercato con manipolazioni, spesso ben oltre il limite
della legalità, dei tipi legali e a cui si è cercato di replicare da parte
dell’ordinamento in via giudiziale, ma il più delle volte tuttavia senza risultati
soddisfacenti, con qualificazione tipiche 36.
Considerato il rilevante numero di collaborazioni fittizie e irregolari non era certo
possibile immaginare di governare le disfunzioni dell’ordinamento nell’area grigia
tra autonomia e subordinazione mediante il solo controllo giurisdizionale.
L’opzione concettuale di considerare il lavoro coordinato e continuativo come una
forma di lavoro autonomo genuino 37, e dunque di prevenire un utilizzo improprio
di tale figura, si è conseguentemente tradotta in una operazione di politica
legislativa volta a far transitare quanti più rapporti possibili, e secondo una certa
gradualità temporale, dall’incerta area del lavoro c.d. grigio o atipico agli schemi
del lavoro dipendente, ora opportunamente ampliati e diversificati in funzione di
questo obiettivo di sostanziale rimodulazione delle tutele verso forme di flessibilità
regolata e – sindacalmente – controllata coerente con l’evoluzione dei rapporti
economici e sociali 38. Operazione questa che, in chiave anticipatoria rispetto alla
33
Così: R. Del Punta, La scomparsa dei co.co.co, cit.
Cfr., tra i tanti, G. Ferraro, Tipologie flessibili, Giappichelli, Torino, 2002, 126; M. Napoli, I
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in AA.VV., Autonomia negoziale e prestazioni
di lavoro, Giuffrè, Milano, 1993, 61 e, più recentemente, L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella
Riforma Biagi, cit., p. II. Contra, ma con posizione sostanzialmente isolata in dottrina, G: Gramiccia,
Così parte la sfida del lavoro a progetto, in Guida al Diritto, n. 9/2003, Il nuovo mercato del lavoro,
p. 142. Sul punto cfr. altresì, per l’impostazione del problema, G. Santoro Passarelli, Diritto dei
lavori, Giappichelli, Torino, 2002.
35
Ancora G. Ferraro, Tipologie flessibili, cit.; G. Santoro Passarelli, opp. citt.
36
Cfr., sul punto, G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinato», cit., qui spec. p. 13, secondo cui
«la disciplina per tipi legali non sempre risulta idonea a seguire l’evoluzione del tipo sociale e a
regolarne di nuovi ed asseconda la tendenza della giurisprudenza a ricondurre ogni fattispecie
concreta in uno o più tipi legislativamente esistenti». Nelle stesso senso, ma con notazioni di carattere
generale, cfr. U. Breccia, Le nozioni di «tipico» e «atipico»: spunti ricostruttivi, in AA.VV., Tipicità
e atipicità nei contratti, Giuffrè, Milano, 1983, p. 11, p. 12.
37
Cfr., sul punto, C.L. Monticelli, Garanzie per i lavoratori e nuove forme di flessibilità aziendale,
cit.
38
In questo senso cfr. C.L. Monticelli, op. cit. Non coglie la prospettiva di rimodulazione delle tutele
e delle flessibilità, proprie e improprie, nelle tecniche di utilizzo delle prestazioni di lavoro altrui P.
Bellocchi, Art. 4, comma 1, lett. a), c), d), e), f) – Le nuove tipologie di lavoro: il lavoro a chiamata;
il lavoro coordinato e continuativo; il lavoro occasionale e accessorio; il lavoro ripartito, in M.T.
Carinci (a cura di), La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, Ipsoa, Milano,
2003, qui 204.
34
7
proposta di «Statuto dei lavori» 39, si auspica possa alimentare, in luogo della
informe massa di singole prestazioni contrattuali oggi collocate nella c.d. area
grigia, la creazione di un continuum di tipologie contrattuali situate tra i poli
estremi del lavoro coordinato e continuativo e del lavoro subordinato a tempo
indeterminato; un continuum che, in altri termini, con l’emersione di tipologie
contrattuali irregolari o, comunque, di incerta definizione potrebbe poi contribuire
a una rimodulazione complessiva delle tutele del lavoro ratione materiae e in
funzione della posizione di effettiva debolezza del lavoratore 40. Nell’impostare la
questione dei lavori “dalla parte delle tutele” piuttosto che dalla parte della
qualificazione del rapporto 41, l’impianto di uno Statuto dei lavori non può infatti
che collocarsi nella prospettiva della «dipendenza economica» del lavoratore.
Procedere per contro alla codificazione di uno «Statuto dei lavori» senza prima
avere aggregato e fatto emergere, attraverso le nuove tipologie contrattuali, quella
miriade di prestazioni lavorative collocate nell’area del lavoro grigio e, sempre più
spesso, del lavoro nero sarebbe probabilmente stata una operazione meritoria
quanto priva di efficacia rispetto ai processi normativi reali. A chi parla di ben «44
forme di flessibilità (e ancora di più con la certificazione dei contratti) dopo questa
riforma» 42 va dunque replicato che la moltiplicazione delle tipologie contrattuali è
solo apparente. Il decreto mira infatti ad aggredire quell’immensa area del lavoro
nero e irregolare, rispetto alla quale ogni singolo contratto di lavoro costituisce una
forma sui generis di flessibilità contrattuale o tipologica 43, là dove la codificazione
di uno «Statuto dei lavori» senza aver prima identificato, costruito e aggregato
modalità di lavoro rese oggi in uno stato di totale anomia normativa e sindacale,
avrebbe costituito una operazione avveniristica, senza una base concreta e destinata
a rimanere sulla carta.
A chi ha rilevato una (presunta) contraddizione con il disegno riformatore delineato
nel Libro Bianco sul mercato del lavoro 44, si può dunque rispondere che con il
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è stata per il momento avviata
unicamente la pars destruens 45, vista tuttavia come condizione necessaria per la
messa a punto del più ampio e ambizioso progetto di «Statuto dei lavori», che è la
pars costruens su cui è stato registrato un ampio consenso con la firma del Patto
per l’Italia del 5 luglio 2002. E non poteva essere diversamente, in considerazione
del fatto che il nostro mercato del lavoro necessita in primo luogo di un processo di
emersione e di ristrutturazione, e in questo senso la diversificazione delle tipologie
contrattuali può essere una prima fase volta alla regolarizzazione e strutturazione
delle molteplici ipotesi di lavoro nero e grigio (l’art. 1 del d.lgs. n. 276/2003, parla
39
Contra: P. Bellocchi, op. loc. ult. cit.
Si veda il documento programmatico a cura di M. Biagi, Ipotesi per la predisposizione di uno
«Statuto dei lavori», in www.csmb.unimo.it.
41
Secondo l’intuizione originaria di T. Treu, Intervento, in AA.VV., Nuove forme di lavoro tra
subordinazione, coordinazione, autonomia, Cacucci, Bari, 1997, p. 225.
42
Così T. Boeri, Il co.co.co. dovrà cambiare pelle, in La Stampa, domenica 8 giugno 2003, in
contrapposizione a quanti hanno invece rimarcato un aumento delle rigidità (v. per esempio P. Ichino
cit. alla nota 5). Nello stesso senso di T. Boeri cfr. T. Treu, Statuto dei lavori: una riflessione sui
contenuti, in Ildiariodellavoro.it, 18 settembre 2003.
43
Cfr. G. Giugni, Fondata sul lavoro?, Ediesse, Roma, 1994, 69, che, con riferimento al «vero e
proprio lavoro sommerso, a tempo pieno (...) e finalizzato solo all’evasione contributiva», parla di un
complesso fenomeno sociale «regolato con norme direi quasi “contrattuali”» (corsivo mio) e anche
Id., Il diritto del lavoro: ieri, oggi e domani, in Scritti in onore di G.F. Mancini, Giuffrè, Milano,
1998, I, 293 dove si accenna alla «formazione di veri e propri mercati alternativi o “sommersi”,
muniti di regole anch’esse “sommerse” ed operanti in uno stato di totale anomia».
44
Cfr. R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., p. 11; M. Magnani,
S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit., § 2 e § 7.
45
Pienamente condivisibili, al riguardo, le notazioni di M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto,
cit., § 7.
40
8
di occupazione regolare di qualità) che potrebbe poi forse consentire, più
agevolmente, di delineare uno Statuto di tutti i lavori.
Con la regolazione delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a
progetto – che dovrà essere sostenuta sul piano della effettività dalla riforma, in via
di definitiva approvazione, dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza di cui
all’articolo 8 della legge n. 30/2003 46 – una variegata tipologia di rapporti di
lavoro atipici e di difficile classificazione verrà dunque ricondotta lungo i binari
della legalità. Obiettivo, questo, che non comporta affatto l’automatica conversione
di un numero spropositato di collaborazioni coordinate e continuative in contratti di
lavoro dipendente 47, ma solo e più semplicemente una rigorosa azione di contrasto
delle forme abusive e irregolari di utilizzo di questo schema contrattuale.
La finalità della nuova disciplina non si ferma peraltro qui. Se, per un verso, si
prospetta la riconduzione allo schema delle collaborazioni coordinate e
continuative unicamente dei rapporti di lavoro indipendente genuino, e cioè di quei
rapporti che si caratterizzano per le modalità proprie del lavoro c.d. a progetto reso
in regime di autonomia rispetto al committente, per l’altro verso, si cerca di
delineare una trama di tutele sostanziali di base per i collaboratori coordinati e
continuativi genuini (v. infra), in ragione di un rapporto di lavoro che, ancorchè
autonomo, può ingenerare situazioni di dipendenza socio-economica nei confronti
del committente, soprattutto nei casi in cui la prestazione lavorativa oltre a essere
coordinata e continuativa venga resa per una durata considerevole in regime di
monocommittenza.
Nel suo complesso, dunque, l’intervento sulle collaborazioni coordinate e
continuative nella modalità a progetto è una operazione coerente con le prospettive
evolutive della materia ipotizzate nel Libro Bianco, in quanto il nucleo di tutele
assegnato al collaboratore a progetto prescinde, come vedremo, dalla
individuazione di una specifica tipologia contrattuale, ma nondimeno consente di
«adeguare a principi minimi di civiltà giuridica il trattamento del collaboratore a
progetto, soprattutto con riguardo alle ipotesi in cui sia più intensa la sua posizione
di dipendenza socio-economica in forza, ad esempio della pattuizione specifica di
un rapporto in esclusiva o per altre circostanze di fatto che concretamente gli
precludano, nella fase stipulativa del contratto di esercitare una efficace autonomia
di determinazione dei suoi contenuti» 48.
Siamo in ogni caso ben lontani dal registrare un processo di progressivo
avvicinamento – che secondo taluno sta invece procedendo a tappe forzate 49 –
delle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro subordinato. L’esiguità
della disciplina di tutela del collaboratore coordinato e continuativo, che è e resta
sul piano giuridico un lavoratore autonomo, e la rigorosa azione di contrasto alle
collaborazioni fittizie depongono semmai nel senso contrario.
Il progetto come mera modalità della prestazione di lavoro
Con la disciplina di cui agli articoli 61-69 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, resta in ogni caso confermato che le collaborazioni coordinate e
continuative non sono indicative di una fattispecie contrattuale unitaria e tipica, ma
46
Cfr. P. Pennesi, La riforma dei servizi ispettivi, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del
mercato del lavoro – Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Il diritto transitorio e i tempi della riforma, cit.
47
In dottrina v’è chi ha prospettato una «nuova costrizione alla subordinazione». In questo senso cfr.
M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit., § 7.
48
Così: L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, cit.
49
Così: L. Tartaglione, Il contratto a progetto nella Riforma Biagi, cit., p. 10.
9
unicamente di particolari modalità di svolgimento di una serie di rapporti di lavoro
svolti senza vincolo di subordinazione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla
stragrande maggioranza dei primi commentatori 50, il legislatore delegato non ha
infatti provveduto a tipizzare una nuova figura contrattuale (il contratto di lavoro a
progetto) 51, ma, molto più semplicemente, a definire una modalità peculiare –
quella appunto “a progetto” – di svolgimento di una serie di rapporti eterogenei
aventi comunque ad oggetto prestazioni di lavoro, a carattere prevalentemente
personale, rese in forma coordinata e continuativa, ancorché senza vincolo di
subordinazione. Prestazioni di lavoro che, d’ora in poi, dovranno necessariamente
caratterizzarsi, oltre che per i requisiti di cui all’articolo 409, n. 3, del Codice di
Procedura Civile, anche per la particolare modalità di utilizzazione della
prestazione di lavoro attraverso la realizzazione di un progetto, di un programma di
lavoro o di una fase di esso.
Depone in questo senso il primo comma dell’articolo 61 del decreto legislativo n.
276/2003, secondo cui «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione di cui all’articolo 409,
n. 3, del Codice di Procedura Civile devono essere riconducibili a uno o più
progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente
e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del
coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal
tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa».
Il progetto, il programma di lavoro o la fase di esso non sono, come pure è stato
sostenuto 52, elementi caratterizzanti di una nuova fattispecie contrattuale, posto
che, coerentemente a una elaborazione giurisprudenziale più che decennale, ogni
attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa tanto in forma
autonoma che in forma subordinata 53, di modo che l’unico elemento decisivo ai
fini della qualificazione del contratto, come autonomo o subordinato, rimane la
modalità di esecuzione del lavoro.
Si tratta, dunque, di una prestazione lavorativa a carattere prevalentemente
personale, ma pur sempre coordinata e continuativa, che deve essere resa nella
nuova modalità a progetto in regime di piena autonomia, e cioè senza vincolo di
subordinazione, indipendentemente dal tempo impiegato per il conseguimento del
risultato – finale (il progetto) o parziale (il programma di lavoro o la fase di esso) 54
– dedotto in contratto. Non a caso, la circolare ministeriale n. 1/2004 che contiene i
50
Si pronunciano, seppure in contesti teorico-ricostruttivi alquanto differenziati, nel senso della
tipizzazione di un nuovo contratto di lavoro: M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2; G.
Proia, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in Arg. Dir. Lav., in corso di pubblicazione;
L. de Angelis, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in
http://www.unicz.it/lavoro/DEANGELIS.htm; M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., 814.
51
Cfr. M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, cit., p. 205 cui adde E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P.
Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro, in Guidaal Lavoro, n. 42/2003,
Speciale, p. XII.
52
Cfr., nel contesto di un impianto teorico-ricostruttivo particolarmente efficace, L. Castelvetri, Il
lavoro a progetto, cit. Sul punto cfr. L. de Angelis, La morte apparente ecc., cit., secondo cui «se il
progetto fosse elemento costitutivo della fattispecie, la sua mancanza dovrebbe risolversi
nell’inapplicabilità della relativa normativa; non, invece, nell’applicabilità di quella propria di un
rapporto di natura diversa, il rapporto subordinato».
53
Così, tra le tante, Cass. 3 aprile 2000, n. 4036 e Cass. 21 novembre 2001, n. 14664. Per una efficace
rassegna degli orientamenti giurisprudenziali cfr. P. Tesauro, I criteri distintivi nella giurisprudenza,
in L. Gaeta, P. Tesauro, Il rapporto di lavoro subordinato: subordinazione e costituzione, tomo I, La
subordinazione, UTET, 1993, qui spec. 82.
54
Secondo la circolare ministeriale n. 1/2004 il «progetto» consiste in una attività produttiva ben
identificabile e funzionalmente collegata a un determinato risultato finale, cui il collaboratore
partecipa direttamente con la sua prestazione, là dove il «programma di lavoro» consiste in un tipo di
attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale ma piuttosto un risultato intermedio o
parziale.
10
primi chiarimenti interpretativi parla ancora – coerentemente alla delega di cui
all’articolo 4, comma 1, lett. c), della legge 14 febbraio 2003, n. 30 – di
collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto. Le
collaborazioni coordinate e continuative, dunque, non muoiono affatto 55; più
semplicemente, con l’entrata in vigore del decreto e secondo i tempi e le modalità
di transizione al nuovo regime, le collaborazioni coordinate e continuative
dovranno d’ora in avanti essere rese nella modalità c.d. a progetto e, precisamente,
secondo progetti, programmi di lavoro o fasi di esso individuati sì dal committente
ma gestiti in piena autonomia dal collaboratore.
Non solo le collaborazioni coordinate e continuative non scompaiono dal nostro
ordinamento ma anzi, come giustamente rilevato nell’ambito di una efficace
prospettiva di analisi di tipo interdisciplinare 56, vi restano ancora più saldamente
ancorate, grazie alla nuova disciplina legale che, nella presenza del progetto,
programma di lavoro o fase di esso definito dalle parti contrattuali ai sensi
dell’articolo 61, comma 1, individua una traccia presuntiva della reale autonomia
dei rapporti de quibus. Attraverso la definizione del «progetto, programma di
lavoro o fase di esso» si richiede infatti alle parti contrattuali di esplicitare nella
fase di costruzione del programma negoziale le modalità con le quali il risultato
dedotto in obbligazione deve essere autonomamente realizzato dal collaboratore e,
in particolare, le forme di coordinamento, anche temporale, del lavoratore a
progetto al committente nella fase di esecuzione del contratto (cfr. art. 62, lett. d),
del d. lgs. n. 276 del 2003). In altri termini, l’oggetto del contratto, e in particolare
la prestazione lavorativa eseguita in autonomia, deve essere sin dall’inizio precisata
nelle sue caratteristiche specifiche e nelle concrete modalità esecutive in funzione
del risultato e indipendentemente dal tempo necessario per il suo raggiungimento
57
. Si può dunque giustamente parlare di predeterminazione consensuale
dell’oggetto e delle modalità di esecuzione della prestazione 58.
Nulla di nuovo, dunque; semmai una generalizzazione di quanto elaborato in sede
giurisprudenziale. Nella soluzione dei casi specifici la Corte di Cassazione
individua normalmente nel risultato – che di per sè non è elemento di fattispecie,
ma un effetto della qualificazione del contratto 59 – il profilo indiziario prevalente
di discrimine, nella esecuzione di un determinato programma negoziale, tra
rapporto di collaborazione in regime di autonomia e rapporto di subordinazione.
Come giustamente rilevato, appare pertanto possibile «tracciare una certa linea di
continuità fra gli orientamenti giurisprudenziali e la riforma attuale nel segno di un
concetto di risultato (o progetto) da realizzare che è stato via via posto a
fondamento della filosofia stessa, oltre che della tipologia giuridica, del rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa» 60.
55
L. Tartaglione, Il contratto a progetto ecc., cit, p. IV, richiamando la lettera della delega (art. 4,
comma 1, lett. c), l. n. 30/2003) parla giustamente di semplice riformulazione della disciplina delle
collaborazioni coordinate e continuative. Esclude, seppur in diverso contesto argomentativo, che si
possa parlare della fine delle collaborazioni coordinate e continuative, anche G. Proia, Lavoro a
progetto e modelli contrattuali di lavoro, cit., § 17. Per analoga impostazione cfr. la relazione tecnica
di accompagnamento dello schema di decreto legislativo (vedila in www.csmb.unimo.it).
56
E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro,
cit., p. XII.
57
E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, op. ult. cit.
58
Così, in un contesto ricostruttivo tuttavia fortemente critico, U. Romagnoli, Una Repubblica non
più fondata sul lavoro, in La Repubblica, 25 giugno 2003.
59
Cfr. il classico contributo di L. Spagnuolo Vigorita, Riflessioni in tema di continuità, impresa,
rapporto di lavoro, in Studi in onore di F. Santoro Passarelli, Napoli, Jovene, 1972 ma 1969, p. 1025
e ss.
60
Così: R. Continisio, I contratti di collaborazione coordinata e continuativa fra riforme e giudici,
cit., secondo cui «la “lettura” della nuova disciplina normativa, posta nel quadro degli orientamenti
espressi dall’Autorità Giudiziaria in merito all’art. 409 n. 3 c.p.c., può spingerci a ravvisarvi un
11
Coerentemente a questa impostazione, le collaborazioni coordinate e continuative
nella modalità a progetto potranno avere ad oggetto la realizzazione di qualsivoglia
opera o servizio vengano resi in forma autonoma, senza cioè vincolo di dipendenza
61
. Se, come precisato, elemento decisivo ai fini della qualificazione del contratto è
la modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, del tutto fuorviante è la
disputa, che ha impegnato i primi commentatori, circa la maggiore o minore
ampiezza della nozione di progetto, programma di lavoro o fase di esso. Nella
nuova disciplina di cui agli articoli 61-69 del decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276, non esiste alcun appiglio normativo per circoscriverne il campo di
operatività del lavoro a progetto a prestazioni di lavoro «di alta qualifica o
comunque di contenuto ben delimitato» 62; vero è, piuttosto, che ogni attività
umana suscettibile di valutazione economica può essere ricondotta alla nozione di
progetto, programma di lavoro o fase di esso 63, fermo restando che saranno le
modalità di esecuzione della prestazione (programmate ex ante e poi confermate o
meno nella fase attuativa del programma negoziale) a stabilire se la prestazione è
autonoma o subordinata.
Questo profilo è chiarito dalla circolare ministeriale sul lavoro a progetto, là dove
si afferma inequivocabilmente che «le collaborazioni coordinate e continuative
secondo il modello approntato dal legislatore, oltre al requisito del progetto,
programma di lavoro o fase di esso, che costituisce mera modalità organizzativa
della prestazione lavorativa, restano caratterizzate dall’elemento qualificatorio
essenziale, rappresentato dall’autonomia del collaboratore (nello svolgimento della
attività lavorativa dedotta nel contratto e funzionalizzata alla realizzazione del
progetto, programma di lavoro o fase di esso), dalla necessaria coordinazione con il
committente, e dall’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della
prestazione” 64.
Del pari fuorviante è l’assimilazione del lavoro a progetto con il contratto di lavoro
a tempo determinato. Nel lavoro dipendente – precisa la circolare ministeriale – il
termine delimita esclusivamente il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del
“travaso“ tra giurisprudenza e norma, quasi un esperimento, se ci è consentito, di Common Law».
Sostanzialmente nelle stesso senso cfr. L. Castelvestri, Il lavoro a progetto, cit., secondo cui il
legislatore «utilizza la stessa terminologia degli orientamenti prevalenti della Cassazione» e anche M.
Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2, secondo cui «il riferimento al risultato (col suo
corollario: l'irrilevanza del tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa) è operato allo
stesso modo con cui esso viene utilizzato dalla giurisprudenza: esso riflette non tanto il discutibile e
discusso assunto dogmatico che riconduce la locatio operis all’obbligazione di risultato e la locatio
operum alla obbligazione di mezzi». Sul punto cfr. il classico contributo di L. Mengoni, Obbligationi
«di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. Dir. Comm., 1954, I, cui adde, più recentemente, A.
Perulli, Il lavoro autonomo, in Cicu, Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale,
vol. XVII, t. 1, Milano, Giuffré, 1996.
61
In questo senso cfr. G. Proia, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, cit.
62
In questo senso cfr. M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit., p. 818, secondo cui il lavoro a
progetto «non può essere la normalità, dev’essere una “ideazione” con un risultato specifico, diverso
dalla routine già ripetuta senza novità e omai prevedibile». Contra: G. Proia, Lavoro a progetto e
modelli contrattuali di lavoro, cit., § 7; M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, cit, § 2 e, nella
sostanza, anche R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit.,
63
Cfr., in proposito e con notazioni riprese nel Libro Bianco sul mercato del lavoro, M. Biagi,
Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione del lavoro, in L. Montuschi, M.
Tiraboschi, T. Treu (a cura di), Marco Biagi – Un giurista progettuale, Giuffrè, Milano 2003, qui p.
151, secondo cui «assai più che semplice titolare di un “rapporto di lavoro”, il prestatore di oggi e,
soprattutto, di domani, diventa un collaboratore che opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un
progetto, di una missione, di un incarico, di una fase dell’attività produttiva o della sua vita, sempre
più il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si alternano fasi di lavoro dipendente ed autonomo,
in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione
professionale».
64
Cfr. la circolare n. 1/2004.
12
datore di lavoro per lo svolgimento, secondo le direttive via via ricevute, delle
mansioni contrattualmente individuate 65; nel lavoro a progetto, per contro, la
durata del rapporto è funzionale alla realizzazione del risultato e, cioè, del progetto,
programma di lavoro o fase di esso dedotto in contratto. Ai sensi dell’articolo 61,
comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003, il collaboratore deve gestire il
progetto in funzione del risultato, che assume rilevanza giuridica
indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
Del pari, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, il contratto si risolve al momento della
realizzazione del progetto o del programma di lavoro o della fase di esso.
La durata del progetto, programma di lavoro o fase di esso è indubbiamente a
termine, ma questo solo nel senso che il tempo necessario per la realizzazione del
progetto, programma di lavoro o fase di esso, deve essere determinato o anche solo
determinabile ex ante come parte integrante del programma negoziale in cui si
esplicitano le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa. La determinabilità del
termine, funzionale a un avvenimento futuro certo nell’an ma non nel quando,
consente pertanto anche prestazioni a progetto denotate, come indica l’articolo 409,
n. 3, del Codice di Procedura Civile, da una consistente continuità nel tempo in
funzione del risultato – finale o parziale – dedotto in contratto. L’irrilevanza del
tempo e, dunque, della temporaneità della prestazione rende in altri termini
possibili contratti a termine di durata coerente con la complessità e natura del
progetto, programma di lavoro o fase di esso.
Analogo progetto o programma di lavoro può peraltro essere oggetto di successivi
contratti di lavoro con lo stesso collaboratore. Tuttavia, come chiarisce la circolare
ministeriale, i rinnovi così come i nuovi progetti in cui sia impiegato lo stesso
collaboratore, non devono costituire strumenti elusivi dell’attuale disciplina.
Ovviamente, ciascun contratto di lavoro a progetto deve presentare,
autonomamente considerato, i requisiti di legge.
Il regime delle deroghe
Il nuovo regime delle collaborazioni coordinate e continuative non trova
applicazione, come oramai noto, con riferimento alle pubbliche amministrazioni,
che sono escluse dal campo di applicazione del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276 66, in attesa delle eventuali future determinazioni da adottarsi, ai sensi
del comma 8 dell’articolo 86, da parte del Ministro per la Funzione pubblica e delle
organizzazioni sindacali, in sede di armonizzazione dei profili conseguenti
all’entrata in vigore del decreto legislativo in argomento. Sono altresì escluse le
professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in
appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto
legislativo, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e
continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle
associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive
nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva
riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’art. 90 della l. 27
dicembre 2002, n. 289. Sono esclusi anche i componenti degli organi di
65
Cfr. Cass. 7 aprile 1992, n. 4220, Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 258 e ss.
Cfr. l’articolo 1, comma 2, del decreto. Nel senso della estensione della disciplina del lavoro a
progetto anche alla Pubblica Amministrazione pare tuttavia disporre la finanziaria per il 2004.
66
13
amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni,
nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia 67.
Altra area di esclusione è poi quella dei rapporti “occasionali”, intendendosi per
tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso
dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso
complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo
committente, sia superiore a 5 mila Euro. Si tratta, come precisa la circolare
ministeriale, di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro
limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e,
dunque, di sottrarle dall’ambito di applicazione della nuova disciplina. Tali rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa si distinguono sia dalle prestazioni
occasionali di tipo accessorio, rese ai sensi degli agli articoli 70 e seguenti del
decreto legislativo 68, sia soprattutto dalle attività di lavoro autonomo occasionale
vero e proprio, rispetto alle quali «non si riscontra un coordinamento ed una
continuità nelle prestazioni e che proprio per questa loro natura non sono soggette
agli obblighi contributivi previsti per le collaborazioni coordinate e continuative
bensì a quelli di cui all’articolo 44, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 30
settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.
326» 69.
Contrariamente a quanto si potrebbe essere indotti a pensare, il regime delle
deroghe non dà in ogni caso luogo a una area franca impermeabile alle incursioni
giudiziarie o degli organi ispettivi. Si ricade infatti nell’ambito del lavoro
coordinato e continuativo sì senza “progetto”, ma pur sempre reso senza vincolo di
subordinazione. Non troppo paradossalmente, mentre l’area presidiata dal
“progetto” consente, ai sensi dell’articolo 69, comma 3, una certa tranquillità alle
parti contrattuali in merito alla fedele esecuzione del programma negoziale
concordato (v. infra sulla insindacabilità nel merito del progetto), i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa resi secondo le modalità tradizionali
potranno sempre essere oggetto di ampie incursioni, mancando l’obbligo di
definire ex ante le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro dedotta in
contratto.
Forma del contratto e tutele del lavoratore a progetto
L’articolo 62, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, prevede
la forma scritta del contratto. La forma è tuttavia richiesta ad probationem, con
riferimento ai seguenti elementi:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di
lavoro, da cui si desume l’impossibilità di stipulare collaborazioni a
progetto a tempo indeterminato ma non certo l’obbligo di circoscrivere le
collaborazioni coordinate e continuative a rapporti di durata breve;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, che deve
essere individuato nel suo contenuto caratterizzante, da cui si desume
67
La circolare ministeriale precisa che nella esclusione dei percettori di pensione di anzianità devono
essere compresi quei soggetti, titolari di pensione di anzianità o di invalidità che, ai sensi della
normativa vigente, al raggiungimento del 65° anno di età, vedono automaticamente trasformato il loro
trattamento in pensione di vecchiaia.
68
Sul lavoro occasionale di tipo accessorio cfr. G. Mautone, Lavoro accessorio e prestazioni che
esulano dal mercato del lavoro, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi. Commento allo
schema di decreto attuativo della legge delega sul mercato del lavoro, in Guida al Lavoro de Il Sole
24 Ore, Milano, n. 4/2003, p. 112 e ss.
69
Così la circolare ministeriale n. 1/2004.
14
l’irrilevanza del progetto, programma di lavoro o fase di esso ai fini della
validità sostanziale del contratto, di modo che ne risulta confermata la
valenza sostanzialmente probatoria in merito alle modalità di esecuzione
del programma negoziale (v. infra);
c) indicazione del corrispettivo e dei criteri per la sua determinazione,
nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi
spese;
d) indicazione delle forme di coordinamento del lavoratore a progetto al
committente in merito all’esecuzione della prestazione lavorativa, che in
ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella
esecuzione dell’obbligazione lavorativa;
e) infine, indicazione delle eventuali misure per la tutela della salute e
sicurezza del collaboratore a progetto.
Fermo restando che la nuova disciplina non pregiudica l’applicazione di clausole di
contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a
progetto, i diritti di questo, definiti nell’ambito della riforma, si caratterizzano, in
primo luogo, per una chiara determinazione del corrispettivo. Il compenso
corrisposto ai collaboratori a progetto dovrà infatti essere proporzionato alla
quantità e qualità del lavoro eseguito, e dovrà tenere conto dei compensi
normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di
esecuzione del rapporto. E’ evidente tuttavia che il parametro della qualità del
lavoro consentirà trattamenti alquanto differenziati anche in relazione al medesimo
progetto, programma di lavoro o fase di esso.
Il lavoratore a progetto ha peraltro diritto a essere riconosciuto autore della
invenzione fatta nello svolgimento del rapporto. Trovano in questo caso
applicazione le leggi speciali vigenti in materia, compreso quanto previsto dall’art.
12 bis della legge 22 aprile 1941, n. 633 70.
Oltre alle disposizioni di cui alla legge n. 533/73 sul processo del lavoro e di cui
all’articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ai lavoratori a
progetto si applicano le norme di cui all’articolo 51, primo comma, della legge 23
dicembre 1999, n. 488, e del Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza
sociale 12 gennaio 2001, nonchè le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui
al decreto legislativo n. 626/94 e successive modifiche e integrazioni, ma questo
solo quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del
committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali. Riguardo a quest’ultimo profilo non poche prescrizioni del decreto
legislativo n. 626/94 risultano di problematica applicazione nei confronti di figure,
come quelle dei collaboratori, fortemente connotate da una componente di
autonomia nello svolgimento della prestazione (in funzione del risultato, ancorchè
nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente). Per questa
ragione, la circolare ministeriale precisa che l’attuazione della delega di cui
all’articolo 3 della legge di semplificazione 2001, n. 229/03 per il riassetto
normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro costituirà
l’occasione per un adattamento dei principi generali di tutela prevenzionistica alle
oggettive peculiarità del lavoro coordinato e continuativo nella modalità a progetto.
Fermo restando l’onere dell’invio, ai fini della prova 71, di idonea certificazione
scritta, la gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non
comportano l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza
70
Qualche perplessità sulla applicabilità di norme pensate per il lavoro dipendente al collaboratore a
progetto cfr. M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit.
71
Così la circolare ministeriale n. 1/2004.
15
erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, la durata del rapporto è
prorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del
contratto individuale. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di
malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta invece una proroga
della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende
comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto
della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a
trenta giorni per i contratti di durata determinabile.
Quanto ai doveri del collaboratore a progetto, l’articolo 64 del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276, si limita invece a precisare, rispetto alla disciplina di
diritto comune di cui al Libro IV del Codice Civile, che il collaboratore a progetto
non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti né, in ogni caso,
diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di
essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei
committenti medesimi. Il collaboratore a progetto mantiene la possibilità, in via
generale, di svolgere la medesima attività a favore di più committenti. Accordi di
esclusiva saranno sempre possibili, ma la loro validità è ovviamente subordinata
alla presenza di un congruo corrispettivo da determinarsi in ragione del grado di
limitazione della libertà contrattuale del collaboratore.
Rispetto alla cessazione del rapporto di collaborazione, i contratti a progetto si
risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase
di esso che ne costituisce l’oggetto. In questi casi, ovviamente, il compenso al
collaboratore sarà dovuto per l’intero. Il recesso prima della scadenza del termine è
possibile solo in presenza di una giusta causa ovvero secondo le diverse causali o
modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro
individuale. In questo caso, logicamente, il compenso sarà dovuto per la quota
parte di risultato – finale o parziale – realizzato, in applicazione del principio che
prevede che il compenso del collaboratore sia determinato in ragione della qualità
ma anche della quantità del lavoro eseguito (art. 63).
Di una certa difficoltà interpretativa è infine la disposizione, abbozzata nella legge
delega e recepita all’articolo 68 del decreto, secondo cui «i diritti derivanti dalle
disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o
transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al
Titolo V del presente decreto legislativo». Premesso che il riferimento al Titolo V
del decreto è frutto di un errore materiale, che potrà essere sanato in sede di
rettifica del decreto, posto che la certificazione dei contratti di lavoro è disciplinata
nel Titolo VII, si deve ritenere che la disposizione in oggetto possa operare con
riferimento non a diritti non ancora sorti 72, ma più correttamente – e
opportunamente – a rapporti di lavoro già in essere, di cui si prospetta la
riconduzione al progetto ovvero a uno degli schemi del lavoro dipendente. In
queste ipotesi, l’articolo 68 consente di sanare, in sede di certificazione del
contratto, eventuale situazioni grigie o di palese irregolarità che, in mancanza di
questa possibilità, potrebbero altrimenti degradare nel lavoro nero vero e proprio
per la diffidenza del committente a regolarizzare (con un atto percepito
soggettivamente alla stregua di una sorta di autodenuncia) rapporti di lavoro
dipendente mascherati dietro l’etichetta della collaborazione coordinata e
continuativa. Se questa è la ratio dell’articolo 68 si spiega l’opportunità di
includere la regola in questione anche nel titolo espressamente dedicato alla nuova
disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative e non solo, genericamente,
nell’ambito delle procedure di certificazione e, segnatamente, all’articolo 82 del
72
Cfr. L. de Angelis, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, cit.
16
decreto. Che non esista piena sovrapposizione tra le due regole 73 lo dimostra del
resto la circostanza che l’articolo 82 precisa, a completamento dell’articolo 68, che
questo tipo di rinunzie e transazioni può essere effettuato solo presso gli enti
bilaterali.
Il regime sanzionatorio
A garanzia della effettività della opzione concettuale che, salve le deroghe di cui
all’articolo 61, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 276/2003, riconduce tutte le
collaborazioni coordinate e continuative a uno o più progetti specifici o programmi
di lavoro o fasi di esso, l’articolo 69 del decreto prevede altresì alcune rigorose
misure sanzionatorie. In primo luogo, si stabilisce che i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile,
saranno considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla
data di costituzione del rapporto, là dove manchi uno specifico progetto ovvero non
sia stato identificato o, comunque, non sia possibile identificare un programma di
lavoro o una fase di esso (comma 1). In secondo luogo, qualora venga accertato dal
giudice che, nella fase di esecuzione del programma negoziale concordato, il
rapporto di lavoro a progetto configuri o sia venuto a configurare un rapporto di
lavoro subordinato, esso si convertirà in un rapporto di lavoro subordinato. In
questa ipotesi sarà il giudice a valutare, caso per caso, la riconducibilità del
rapporto di lavoro a un contratto a tempo indeterminato, a termine o ad altro
schema contrattuale di lavoro dipendente (comma 2). In relazione a questa ipotesi
il decreto si premura tuttavia di precisare che, in coerenza con i principi generali
dell’ordinamento e segnatamente con l’articolo 41 della Costituzione 74, il controllo
giudiziale deve limitarsi all’accertamento dell’esistenza del progetto o programma
di lavoro o fase di esso, mentre non può estendersi fino al punto di sindacare le
valutazioni e le scelte tecniche, organizzative o produttive del committente poste a
base di esso (comma 3).
Baricentro della disciplina sanzionatoria è, senza dubbio, la disposizione di cui al
primo comma dell’articolo 69, che non assume tuttavia il rilievo di una
presunzione iuris et de iure 75 proprio perché il progetto non è elemento costitutivo
di alcuna fattispecie negoziale, ma mera modalità di esecuzione del lavoro da cui si
presume l’autonomia della prestazione dedotta in contratto. Depone in questo senso
anche il disposto di cui all’articolo 62, comma 1, secondo cui la forma scritta è
richiesta «ai fini della prova … del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso,
individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto».
In mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso il rapporto di lavoro si
considera a tutti gli effetti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con l’onere
73
In questo senso cfr., invece, L. de Angelis, op. ult. cit. Tuttavia, come rileva lo stesso de Angelis, se
la disposizione di cui all’articolo 68 fosse intesa nel senso di assegnare, in deroga all’articolo 82, la
competenza alla certificazione delle rinunzie e transazioni a tutte le sedi di certificazione, la norma
sarebbe palesemente inconstituzionale, per il fatto che l’articolo 5 della legge n. 30/2003, limita tale
possibilità ai soli enti bilaterali.
74
Questa disposizione, contenuta anche nell’articolo 27, comma 3, in materia di somministrazione di
lavoro, era già desumibile in via interpretativa con riferimento all’articolo 1, comma 1, del decreto
legislativo n. 368/2001, in materia di ipotesi che consentono la legittima apposizione del termine al
contratto di lavoro. Sia consentito rinviare a M. Tiraboschi, Il Decreto Legislativo n. 368/2001:
commentario – Art. 1: Apposizione del termine, in Biagi M. (a cura di), Il nuovo lavoro a termine,
Giuffrè, Milano, spec. p.p. 99-106.
75
In questo senso cfr., tuttavia, M. Magnani, S. Spataro, Il lavoro a progetto, § 3; R. De Luca
Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, cit., p. 9; E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P.
Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro, cit., p. XVIII.
17
processuale a carico del committente di provare il contrario 76. Come riconosce la
circolare ministeriale, l’articolo 69, comma 1, dispone dunque una presunzione
semplice, che può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova
della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo. Non un apparato
sanzionatorio «rigido e micidiale» 77, dunque; ma semmai un regime «adeguato» –
come richiedeva espressamente l’articolo 4, comma 1, lett. c), numero 5), legge
delega – per arginare forme abusive di utilizzo delle collaborazioni coordinate e
continuative.
Ipotizzare per contro una presunzione assoluta significherebbe congegnare non
solo un apparato sanzionatorio inadeguato, al punto di poter qualificare come
subordinata una prestazione di lavoro genuinamente autonoma, ma anche a rischio
di incostituzionalità rispetto agli articoli 3, 41, 101 e 104 della Costituzione e alla
congruenza della misura rispetto alla delega legislativa.
A questo proposito è stato rilevato che, in coerenza a un orientamento della Corte
Costituzionale 78, al legislatore sarebbe peraltro interdetto qualificare in astratto un
rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, negando così al giudice «il
potere di interpretare autonomamente i fatti rilevanti per determinare la sua esatta e
concreta qualificazione giuridica, dovendosi, bensì, procedere a tal fine ad una
apposita ed accurata indagine caso per caso in sede giudiziale, sulla scorta dei
criteri di distinzione tra autonomia e subordinazione già da tempo individuati dalla
giurisprudenza di merito e di legittimità, così come del resto imposto dall’art. 104
Cost. » 79. Da parte di chi propende per la tesi della presunzione assoluta si è
tuttavia replicato che in questo caso – e diversamente da quanto deciso dalla Corte
Costituzionale negli orientamenti richiamati formulati con riferimento a una legge
che qualificava come autonomo un rapporto di lavoro con le caratteristiche della
subordinazione 80 – «l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato a tale
rapporto privo di progetto non comporta alcun problema sul piano costituzionale,
poiché, se è vero che le qualificazioni giuridiche operate dal legislatore non devono
determinare l’esclusione o la violazione di tutele previste dalla Costituzione, è
altrettanto vero che, nel caso, ciò non si verifica, essendovi un innalzamento del
livello di tutela per il lavoratore» 81.
Vero è tuttavia che, come giustamente osservato 82, per la Corte Costituzionale il
significato classificatorio e quello assiologico della subordinazione «non possono
non coincidere», per cui sarebbe contrario alla finalità del diritto del lavoro, agli
assetti di tutele delineati nella stessa Carta costituzionale e al principio di
uguaglianza di fronte alla legge imputare a rapporti di lavoro genuinamente
autonomo tutele e protezioni che non possono che essere riservate all’area della
76
In questo senso cfr., R. Continisio, op. cit., L. Castelvetri, op. cit., L. Tartaglione, op. cit.
In questo senso cfr., tuttavia, R. De Luca Tamajo, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto,
cit., p. 9.
78
Corte Cost. 23-31 marzo 1994, n. 115, in Arg. Dir. Lav.1997, p. 297 e ss.
79
L. Tartaglione, op. cit., p. IX
80
Il riferimento è all’articolo 13, secondo e terzo comma, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, così
come sostituito dall’art. 6-bis del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito nella legge 18 marzo 1993, n.
67, che dichiarava i comuni, le province, le comunità montane, le istituzioni santarie del Servizio
sanitario nazionale «non soggetti, relativamente ai contratti d’opera o per prestazioni professionali a
carattere individuale da essi stipulati, all’adempimento di tutti gli obblighi derivanti da leggi in
materia di previdenza e di assistenza, non ponendo in essere, i contratti stessi, rapporto di
subordinazione».
81
E. De Fusco, L. Cacciapaglia, P. Pizzuti, Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro,
cit., p. XVIII. In questa prospettiva cfr. altresì C. L. Monticelli, Garanzie per i lavoratori e nuove
forme di flessibilità aziendale, cit.
82
Così, proprio con riferimento a Corte Cost. 23-31 marzo 1994, n. 115, cit. alla nota 78, M.
D’Antona, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in Arg.
Dir. Lav., 1994, qui p. 73 e anche pp. 78-79
77
18
subordinazione. Solo l’esistenza nei fatti del vincolo di dipendenza giustifica 83, in
altri termini, l’applicazione delle garanzie e delle tutele previste dall’ordinamento
del diritto del lavoro. Di modo che anche sotto questo profilo, una interpretazione
della nuova disciplina alla luce dei principi costituzionali, induce a propendere per
la tesi – fondata anche su altre solide argomentazioni, come visto – della
presunzione semplice, vincibile attraverso la prova contraria.
Il regime transitorio
Come ricordato in apertura del presente commento, il decreto prevede un regime
transitorio per il passaggio alla nuova modalità della collaborazione a progetto.
L’articolo 86, comma 1, prima parte, prevede infatti che le collaborazioni
coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente al momento di
entrata in vigore del decreto e che non possono essere ricondotte ad un progetto o a
una fase di esso, mantengono efficacia fino alla scadenza e, in ogni caso, non oltre
un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo, ossia non
oltre il 24 ottobre 2004. E’ chiaro che questa ipotesi non consente la fruibilità del
regime transitorio di un anno per i contratti di collaborazione coordinata e
continuativa stipulati a far data dal 24 ottobre 2003.
Tuttavia, per le collaborazioni in atto che non possono essere ricondotte a un
progetto o a una fase di esso è ancora oggi prevista la facoltà di stabilire termini più
lunghi di efficacia transitoria, purché ciò sia stabilito nell’ambito di un accordo
aziendale con cui viene contrattata la transizione di questi collaboratori o verso il
lavoro a progetto, nel caso di rapporti di lavoro autonomo genuini per i quali non
sia possibile ipotizzare un progetto o un programma di lavoro ovvero verso una
forma di rapporto di lavoro subordinato che può essere individuata tra quelle
disciplinate dal nuovo regime dei rapporti di lavoro previsti dallo stesso decreto
legislativo n. 276/2003, o anche da ipotesi tradizionali come il lavoro subordinato a
tempo indeterminato o a termine. Il decreto non pone un limite temporale preciso a
questa possibilità per cui la durata della transizione è, in questi casi, interamente
rimessa alla autonomia delle parti contrattuali. E’ evidente che, in questi casi, il
controllo sindacale funge da unico parametro per la gestione della transizione al
nuovo regime.
83
Secondo la Corte Costituzionale «i principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in
questa materia sono e debbono essere sottratti alla disponibilità delle parti. Affinché sia salvaguardato
il loro carattere precettivo e fondamentale, essi debbono trovare attuazione ogni qual volta vi sia, nei
fatti, quel rapporto economico-sociale al quale la Costituzione riferisce tali principi, tali garanzie e tali
di diritti Cfr. Corte Cost. 23-31 marzo 1994, n. 115, cit.
19