i miti della matematica tra leggenda e realtà talete: l`uomo dell`ombra

Transcript

i miti della matematica tra leggenda e realtà talete: l`uomo dell`ombra
I MITI DELLA MATEMATICA
TRA LEGGENDA E REALTÀ
TALETE: L’UOMO DELL’OMBRA
Intorno all’anno 620 a.c. a Mileto, in una delle città della Ionia,
nacque Talete che fu considerato uno dei sette saggi dell’antica
Grecia.
Egli non si occupò molto di numeri, era interessato soprattutto alle
figure geometriche come cerchi, linee, rette e triangoli.
Fu il primo a considerare l’angolo come un’entità geometrica a sé
stante, facendone la quarta grandezza della geometria a fianco del
terzetto che comprendeva lunghezza, superficie e volume.
Affermò per primo che angoli opposti al vertice sono uguali.
Dimostrò il famoso rapporto cerchio – triangolo e cioè che ogni
triangolo è circoscrivibile proponendone la costruzione.
Anche se le sue ricerche lo portavano a spaziare, mostrava sempre
un grande interesse per i rapporti che univano tra loro gli oggetti
matematici.
Dimostrò poi che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono
uguali, stabilendo così l’esistenza del legame tra lunghezza dei lati e
ampiezza degli angoli nei triangoli.
La prima volta che lasciò Mileto, appoggiato alla balaustra della
nave guardava la terraferma allontanarsi. Era diretto in Egitto.
La nave compì la traversata arrivando nei pressi della costa egizia,
entrò nel lago Mariotis e qui Talete s’imbarcò su una feluca che
doveva risalire il Nilo.
Dopo qualche giorno di navigazione, finalmente la scorse: al centro
di un vasto altopiano, non lontano dalla riva, sorgeva la piramide di
Cheope. Talete non aveva non aveva mai visto una costruzione così
imponente. Sullo stesso altopiano si trovavano altre due piramidi,
quelle di Chefren e di Macerino che nonostante le loro dimensioni, a
confronto di quella di Cheope apparivano piccole.
Quando sbarcò dalla feluca, mentre osservava ancora sbigottito ed
ammirato l’imponenza della piramide, si avvicinò un fellab che
notando il suo stato d’animo prese a parlargli: “lo sai straniero
quanti morti è costata questa piramide? Centinaia di migliaia.” Ed
all’incredulità di Talete riprese a parlare: “e sai perché? Cheope l’ha
fatta costruire con l’unico scopo d’indurre noi esseri umani ad
ammettere la nostra inferiorità. La costruzione doveva eccedere ogni
norma per sopraffarci meglio; più fosse risultata gigantesca più
piccolo sarebbe apparso il genere umano e devo ammettere continuò il fellab sempre rivolgendosi a Talete - che lo scopo è stato
raggiunto osservando il riflesso sul tuo volto di questa immensità.”
E continuò a parlare per tutta la notte. Nessuno ha mai saputo
cos’altro raccontò a Talete.
Quando all’alba il sole incominciò a schiarire l’orizzonte, Talete si
alzò ed osservando la propria ombra che si allungava verso
occidente rifletté che per quanto piccolo possa essere un oggetto
esiste sempre un sistema d’illuminazione che lo fa apparire grande.
Rimase a lungo immobile con gli occhi fissi sulla macchia scura che
il suo corpo proiettava sul terreno, vedendola rimpicciolire man
mano che il sole s’innalzava nel cielo.
Se la mia mano non può effettuare la misurazione, lo farà il mio
pensiero, si ripromise. Guardò a lungo la piramide; poi il suo
sguardo, lentamente, si spostò dal proprio corpo alla sua ombra,
dall’ombra al proprio corpo ed infine alla piramide.
Ebbene aveva trovato il suo alleato: il sole.
Il rapporto tra me e la mia ombra è uguale a quella tra piramide e la
sua.
Se ne può dedurre che nell’attimo in cui la mia ombra è uguale alla
mia altezza, l’ombra della piramide sarà uguale alla sua altezza.
Eccola, l’idea tanto cercata. Doveva ora metterla in atto, occorreva
essere in due ed il fellab accettò di aiutarlo.
L’indomani all’alba il fellab si diresse verso il monumento sedendosi
all’ombra
immensa
che
proiettava;
Talete
sulla
sabbia
tracciò
una
circonferenza di raggio pari alla sua altezza, si pose al centro di essa
concentrando lo sguardo sull’estremità della sua ombra. Quando
questa sfiorò la circonferenza, vale a dire quando la lunghezza
dell’ombra fu uguale alla sua statura, emise un grido stabilito come
segnale; il fellab piantò un piolo nel punto in cui arrivava l’estremità
dell’ombra della piramide.
Insieme poi, senza scambiarsi una parola, con l’aiuto di una corda
ben tesa misurarono la distanza che separava il piolo dalla base
della piramide. Quando ebbero calcolato la lunghezza dell’ombra
conobbero l’altezza della piramide.
Aveva a disposizione soltanto la corda, gli mancava persino l’unità
di misura per cui fu costretto ad utilizzare la sua statura: il talete.
Risultò alla fine che l’altezza della piramide di Cheope era di 85
taleti; in base all’unità di misura locale il talete equivaleva a 3,25
cubiti egiziani, il che faceva 276,25 cubiti in totale. Oggi noi
sappiamo che la piramide di Cheope è alta 280 cubiti equivalenti a
147 metri.
Non sappiamo se realmente le cose andarono così, sicuramente però
l’idea di servirsi della lunghezza dell’ombra per il calcolo
dell’altezza della piramide di Cheope gettò le basi per lo sviluppo
della similitudine, ovvero uno dei più importanti settori della
geometria; inoltre contribuì a rendere immortale la figura di Talete.
Tale unità didattica ha tratto spunto dal libro
“Il teorema del pappagallo” di Denis Guedj – Ed. TEA.
Prof. Armando Minichini