Il mio macinino mi aveva mollato in una curva sull`autostrada A6

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Il mio macinino mi aveva mollato in una curva sull`autostrada A6
Il mio macinino mi aveva mollato in una curva sull’autostrada A6.
Era notte fonda e il vento agitava la mia Simca color Ciliegia Hollywood come una zattera
in balia delle onde.
Tornavo da una degustazione di vini.
Nonostante l’ora le macchine sfrecciavano alla mia sinistra come in un videoclip.
Un tir bianco, con la scritta “Circo Boeuf Bourguignon” in blu, accostò in malo modo sulla
piazzola di sosta a circa cento metri da dove mi trovavo io. I battenti del portello del rimorchio si
aprirono e vennero fuori una capra nerboruta e quattro lumache che l’aizzavano con una frusta a
spingermi verso la piazzola di sosta.
Le lumache smisero di frustare la capra quando il cofano della mia auto era a pochi metri
dal cassone spalancato dell’autoarticolato. All’interno, grazie ai fari degli altri automobilisti, potei
scorgere un rettangolo di vetro con due coccodrilli, sulla sinistra un gabbione con un orangotango,
una teca con due piccoli serpenti, in una voliera un’aquila reale e, in un contenitore, un gatto e un
topo; agganciato a una catena che gli pendeva dal collo, un elefante: mancavano solo i due
liocorni.
Una delle lumache chiuse le pesanti ante e l’autotreno si immise sulla carreggiata con la
prepotenza e l’arroganza di un camorrista.
Ero solo, su una piazzola di sosta, alle quattro di mattina.
A quell’ora non potevo svegliare il mio amico Poulet senza rischiare che mi cantasse per
un anno intero il suo jingle preferito.
“Hai fatto una cosa grave… una cosa a cui mal si rimedia…”
Mi ricordai che nel portafogli avevo un biglietto da visita dell’ACI. Ma dalle mie tasche
uscivano solo bustine di senape
Afferrai il mio cellulare.
Composi il numero di casa.
Una voce da due pacchetti e mezzo di sigarette al giorno uscì dal ricevitore.
«NASA S.p.A. per il programma Mercury digitare uno, per il programma Sky Lab digitare
due, per il prog…»
Buttai il telefono; lo vidi volare oltre il guardrail: nell’erba alta l’illuminazione del display
dava l’impressione di una grossa lucciola. Poi si affievolì.
Iniziò a piovere così forte che la capote della mia macchina si piegava ad ogni colpo. Non
giurerei su quello che ho di più caro al mondo: la mia bottiglia di Bordeaux Cheval Blanc del
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millenovecentoquarantasette, ma di sicuro quella non era grandine, era pan di spezie. Dal cielo
cadevano enormi fette di pan di spezie!
Inserii le chiusure di sicurezza e aspettai che i ripetuti sbadigli mantenessero la loro
promessa.
Tutt’a un tratto non sentivo più la necessità di chiedere aiuto a chicchessia. Tuffai un
braccio nel bagagliaio e tirai fuori un cuore di peluche con la scritta “Ti amerò per sempre” un
regalo di Marina, la mia ex, e me lo sistemai dietro la nuca.
A quella strana pioggia si unirono delle voci, suoni inarticolati che avvertivo come da
lontano; mi cullavano: vellutato… austero… botitrizzato… maderizzato… corposo…
Un’incoscienza fatta di colla mi avviluppò.
All’alba, quando aprii gli occhi capii tutto.
Il mio tastevin ciondolava ancora sul mio petto, intriso di un aroma indescrivibile, striato
ancora di rosso.
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