La consulenza al ruolo

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La consulenza al ruolo
CONTRIBUTI
LA CONSULENZA AL RUOLO: UNA NUOVA DOMANDA
DEL MERCATO DEL LAVORO?
di MICHELE DAMICIS
1. Lo scenario organizzativo odierno
L’esperienza organizzativa contemporanea, in sintonia con le perturbazioni del nostro tempo si confronta con il contesto di incertezza socio-economica che caratterizza l’epoca attuale. Individui e organizzazioni devono
convivere e confrontarsi con una scarsa prevedibilità del futuro, con la
fatica di orientarsi tra più opportunità e scelte, con l’incertezza, ma anche
con gradi di libertà maggiori, con situazioni fluide e ricche di possibilità,
difficilmente piegabili a routine pianificatorie.
Gli individui sperimentano sempre più condizioni instabili relative alle modifiche dei confi ni (in seguito a fusioni, acquisizioni, incorporazioni, decentramenti, ecc.) e dell’assetto interno dell’organizzazione (a
causa di ristrutturazioni, ridisegno dei processi, semplificazioni, accorpamenti, ecc.).
Nelle organizzazioni le situazioni si presentano come instabili, scarsamente definite e poco comprensibili per i suoi stessi membri, perché
continuamente sottoposte a cambiamenti e di conseguenza esse appaiono
diverse, nuove rispetto alla precedente esperienza.
In tali situazioni sembra essere faticoso per le persone implicate
costruire azioni, progetti e soprattutto il senso di ciò che è richiesto: si
possono dilatare i livelli di contraddizione e d’ambivalenza organizzativa
connessi ad un aumento d’ansia e di stress dell’individuo.
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Le informazioni facilmente reperibili dai mass-media, la mia esperienza di studente universitario, gli studi accademici, sono state preziosi
fonti di riflessione sul nuovo rapporto tra individuo e mercato del lavoro:
un rapporto dai contorni incerti e labili, fonte di crescente insicurezza e
demotivazione che ostacola il percorso del soggetto verso la realizzazione
del proprio progetto professionale.
Lo scenario organizzativo e sociale accennato costringe a riflettere sulle possibilità di elaborare strategie di intervento che sostengano gli
individui in quanto attori all’interno dell’odierno mercato del lavoro. Ho
deciso di approfondire questo particolare aspetto scegliendo il punto di
vista della psicologia applicata che muove in un’ottica di analisi-intervento
su problemi che emergono dal contesto sociale e organizzativo: presenterò
un tipo di approccio al counselling psicologico che privilegia la responsabilizzazione della persona nei confronti della sua esperienza lavorativa e
fissa la sua attenzione alla relazione persona-ruolo: si tratta della “Consulenza al ruolo”.
A mio parere, la rilevanza di questo argomento si manifesta su tre
livelli: quello accademico, quello aziendale e quello dei professionisti. A
livello accademico la rilevanza è data dal fatto che solo recentemente gli
studiosi italiani hanno approfondito le ricerche su questa tipologia di
counselling.
A livello aziendale, l’analisi di questa tematica è utile per comprendere i motivi che possono spingere un individuo a richiedere questo genere di consulenza e quindi per avere maggiori informazioni in merito sia ai
bisogni che sottostanno alla richiesta, sia alle caratteristiche metodologiche che contraddistinguono la consulenza al ruolo.
A livello dei professionisti, la rilevanza si traduce nella possibilità di
aumentare le conoscenze teoriche e applicative sul counselling in azienda
per agevolare i processi di decisione che portano a richiedere o a rifiutare
questo servizio.
Il counselling, a mio avviso, rappresenta un vantaggioso ancoraggio
per l’individuo inserito nel mondo lavorativo poiché si interpone tra la
sfera individuale, che circoscrive i bisogni, i disagi, i desideri, la motivazione del singolo, e la sfera organizzativa, che racchiude le esigenze del
sistema produttivo, i ruoli e le funzioni associate.
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2. Primi albori della consulenza al ruolo
L’origine della consulenza al ruolo, come è stato recentemente accertato
(Pasinetti, 2005), va individuata nella ricerca compiuta da Luigi Pagliarani,
fin dagli anni Settanta, nel territorio che comprende e connette psicoanalisi e psicoterapia da un lato, (psico)socioanalisi e sviluppo organizzativo
dall’altro. Egli ha a lungo teorizzato e praticato sulle modalità di intervento clinico di aiuto ad individui e gruppi alle prese con i problemi relativi
all’agire nei contesti lavorativi. L’approccio alla consulenza al ruolo si è
originariamente sviluppato come momento di indagine che coinvolge le
parti più profonde dell’individuo che, nell’esperienza del lavoro, si misura
con la realtà ma anche con gli strati profondi della propria personalità. In
quest’ottica la consulenza al ruolo si avvale di una solida base psicosocioanalitica che complessifica la relazione del singolo con il mondo del lavoro
interessando processi psicodinamici già descritti da altri autori come Fornari (1976) e Jaques (1966).
Pagliarani mette a fuoco la consulenza al ruolo definendola come
una relazione «in grado di portare in evidenza parti profonde dell’individuo che, nell’esperienza del lavoro, si misura con la realtà ma anche con gli
strati profondi della personalità».
La consulenza al ruolo potrebbe essere delineata, in prima battuta,
come «un intervento di supporto, strutturato, assicurato da un professionista a un individuo inserito in un’organizzazione o in procinto di inserirsi, per aiutarlo a pensare o ripensare il proprio agire all’interno di essa,
orientandolo verso soluzioni più efficaci e/o in grado di superare eventuali
forme di disagio» (G. Forti, D. Patruno, 2007).
Biggio (2007) nel suo recente lavoro sottolinea come le capacità richieste e gli ambienti lavorativi mutino rapidamente e divenga sempre più
rilevante il bisogno di un supporto a lungo termine che aiuti le persone
a riprogettare il proprio percorso professionale nell’intero arco di vita. Il
counsellor, afferma Biggio, è stimolato ad entrare in un’area di intervento
al confine tra psicologia dello sviluppo, l’orientamento alla carriera, il supporto all’identità, la cultura organizzativa, in una prospettiva di intervento
costruttivista-interazionista.
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Se Pagliarani si muoveva in una prospettiva psicosocioanalitica che
contempla il riferimento sia al “mondo interno” sia al “mondo esterno”
del cliente e che lavora anche su un problema che emerge dall’analisi dei
contenuti psichici latenti, Biggio, invece, adotta un’ottica di intervento che
si basa sulla comprensione della struttura e della dinamica del sistema di
significati che il cliente costruisce nelle sue interazioni quotidiane. Da una
parte l’accento è posto sulle dinamiche e sulle strutture psichiche interne
che influenzano la relazione individuo – contesto socio lavorativo, dall’altra è il contesto a fornire i quadri di riferimento simbolici che consentono
al counsellor di avviare il processo consulenziale.
3. Ruolo vs personalizzazione privatistica
Ora si intende approfondire il rapporto tra l’individuo e il proprio ruolo
attraverso i contributi di diversi autori, compresi quelli di formazione
psicoanalitica.
Il ruolo all’interno di una organizzazione comprende componenti
prescrittive e discrezionali. Entrambe aprono la strada all’insorgere di
possibili ansie: persecutoria e depressiva. Tali studi sono stati affrontati
già in passato da esponenti della psicosociologia di matrice francese,
come lo stesso Jaques (1966). Egli affermava come i sistemi sociali fungono anche da difesa contro le angosce persecutorie e depressive dei
suoi membri, quindi accanto ad un contenuto manifesto dell’organizzazione, con i suoi scopi dichiarati, con le dinamiche che avvengono all’insegna della razionalità, troviamo anche un aspetto latente che influenza
le azioni dei singoli all’interno dei contesti organizzativi.
Il ruolo organizzativo è un contenitore di capacità necessarie a soddisfare una serie di richieste formulate dall’organizzazione in funzione del
raggiungimento di obiettivi; ma è la persona con la sua identità personale
e professionale che dà vita all’insieme delle capacità per farlo divenire
azione organizzativa.
Stare all’interno del proprio ruolo significa avere uno spazio di
attività defi nito da un obiettivo fondamentale affidato in quanto si occupa una determinata posizione all’interno del sistema organizzativo. Il
problema si pone quando fra ruolo atteso (dall’organizzazione) e ruolo
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praticato (interpretato) non vi è concordanza e nascono le inevitabili
criticità.
In poche parole l’assunzione del ruolo rappresenta il punto di congiunzione tra individuo ed organizzazione, tra identità individuale e identità organizzativa, il processo relazionale della formazione di una propria
identità professionale, l’ambito privilegiato di intervento della consulenza
al ruolo.
Nelle realtà lavorative si registra spesso la tendenza alla rinuncia al proprio ruolo organizzativo, l’individuo esce dai confini che delimitano lo spazio della sua attività riconosciuto dagli altri attori organizzativi e dal sistema
organizzativo in generale. La conseguenza di questo trend fa capo al fenomeno definito dagli studiosi: ‘personalizzazione privatistica dei rapporti’. La
connessione tra i due fenomeni può essere compresa a partire dalla teoria della
‘simbolizzazione affettiva’ elaborata da Fornari nel 1971. La teoria psicoanalitica della simbolizzazione affettiva individua alcuni contenuti affettivi delle interazioni interpersonali come effetto di un transfert semiotico dei ruoli
affettivi familiari di base (padre, madre, figlio, maschio, femmina e fratelli):
l’individuo adotta un registro familistico. La simbolizzazione affettiva consiste nell’attribuzione di significati emozionali agli elementi del contesto ai fini
di un miglior adattamento del singolo alla realtà sociale: le relazioni sociali
sono fonte di angoscia e l’individuo per sopperire ad essa tenta di ristabilire pattern relazionali che in passato si sono dimostrati funzionali ed efficaci.
L’individuo all’interno di un contesto organizzativo non riconoscendo l’altro nel proprio ruolo adotta un registro familistico: l’organizzazione
è simboleggiata alla stregua di una grande famiglia, si elidono le differenze dettate dai ruoli e dalle funzioni ad essi connessi; così facendo l’individuo “depersonalizza” gli individui che sono all’interno della propria rete
relazionale secondo i propri sistemi affettivi avviando processi disfunzionali sotto l’aspetto professionale – operativo. Uscendo dal proprio ruolo si
passa dalla dimensione produttiva o dello scambio, che contraddistingue
la vita all’interno delle organizzazioni, ad una dimensione del controllo
che consente di far fronte all’ansia connessa a situazioni di incertezza riedificando modelli affettivi relazionali che consentono di padroneggiare la
situazione in maniera adattiva.
Biggio (2007) afferma che nella consulenza in ambito organizzativo è particolarmente frequente la domanda di acquisire nuovi schemi
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comportamentali che risultino più efficaci all’interno del gruppo sociale
e professionale di riferimento. Infatti, nelle organizzazioni crescono le
sollecitazioni a modifiche e frequenti aggiornamenti delle “mappe mentali” (Spencer, Spencer, 1993), a queste pressioni l’individuo può rispondere in diversi modi, adattivi o disfunzionali. Certo, bisogna chiedersi
se vivere in un’azienda che richiede continui cambiamenti possa essere
un’opportunità reale di espressione, invece che promuovere la creazione
di una maschera in risposta alla pressanti domande provenienti dal sistema produttivo.
4. Collegare pensiero ed azione
Ho specificato che accanto alla dimensione prescrittiva del ruolo, dove vi
sono formalizzate (rese esplicite) le metodologie, le procedure, le attività e
i comportamenti che l’organizzazione richiede al ruolo, c’è una dimensione di discrezionalità.
Discrezionalità significa affidare a chi ricopre un ruolo la responsabilità di interpretare la realtà, e quindi di operare le scelte di comportamento che ne conseguono, fermo restando l’obiettivo del ruolo stesso: da
una parte troviamo la libertà offerta dal sistema di scegliere quale comportamento si ritiene più opportuno usare in una determinata occasione,
d’altra parte l’obiettivo, precedentemente fissato, costituisce il metro immediato per designare l’efficacia dell’azione.
Se i ruoli formali e prescritti rappresentano l’organizzazione formale, quella disegnata sulla carta, i modi con cui le persone interpretano
questi copioni (ruoli) costituiscono l’organizzazione reale, fatta dai comportamenti agiti nella pratica quotidiana.
Vi è una differenza tra pensare al ruolo e agire il proprio ruolo. Le
problematiche connesse all’assunzione del ruolo possono essere comprese
se si tiene in considerazione la sfera della fantasia, dove entrano in gioco
paure, desideri, angosce che ostacolano un percorso di riflessione sulla
propria posizione all’interno dell’organizzazione.
Accade che gli individui agiscano i propri impulsi (preoccupazioni,
urgenze, timori che riguardano la dimensione professionale ed extraprofessionale) entro il contesto lavorativo, persistendo in una condizione di
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disagio e di adattamento disfunzionale che compromette la sua salute e il
suo benessere.
La consulenza al ruolo spiana la strada ad un percorso mentale ed
affettivo che consente di ricreare spazi di pensiero per riflettere sul sé,
sull’ambiente sociale all’interno dell’organizzazione e sulla personale situazione lavorativa. Il consulente affianca il cliente nella costruzione di
nuovi contesti cognitivi in grado di favorire il confronto con nuove emergenze e la possibilità di attivare nuove visioni che riconfigurino la lettura
della realtà. In questi casi, la consulenza al ruolo viene orientata nel costituire un setting nel quale facilitare la riflessione partendo dallo sviluppo
di proposte creative, dalle quali fare poi emergere nuovi percorsi e quindi
nuove azioni.
In ogni relazione di consulenza si possono manifestare transfert e
controtransfert. Il cliente può trasferire inconsciamente immagini e sentimenti o rapportarsi al consulente come se fosse una persona significativa
del proprio passato (transfert). Il consulente, a sua volta, può prendere
coscienza delle proprie emozioni e risposte transferali nei confronti del
cliente (controtransfert). L’obiettivo di questa tecnica, utilizzata anche nella consulenza al ruolo, è facilitare il collegamento tra pensiero ed azione,
tra impulso e azione attraverso la preservazione di spazi di riflessione sui
propri vissuti emotivi. Lo scopo del consulente è favorire la scelta attraverso il pensiero e lavorare sugli automatismi che agiscono e bloccano
ogni processo di cambiamento.
5. Potere connesso al ruolo
Le relazioni all’interno dei contesti organizzativi non si configurano mai
come semplici relazioni tra singoli, ma soprattutto come relazioni tra diversi ruoli. Nel ruolo organizzativo è presente la dimensione relazionale
e quindi sussiste un continuo confronto dell’individuo con il tema delle
aspettative e delle responsabilità cui è chiamato a rispondere in quanto
appartenente ad un sistema produttivo.
L’eterogeneità delle funzioni e delle mansioni, previste dal sistema
organizzativo, rimanda alla differente distribuzione del potere tra gli attori organizzativi, inteso come la capacità di un soggetto di esercitare un’in13
fluenza su di un altro. Esso non rappresenta una proprietà stabile di un
individuo o di un gruppo, ma dipende dalle relazioni e dal contesto entro
cui si esplica.
Il ruolo espone l’individuo al tema del proprio “valore” e alle angosce che derivano dall’intensità dell’esposizione all’autovalutazione e alla
valutazione espressa dagli altri individui: il tema della “valutazione” riconsegna all’individuo esperienze primarie e lo nutre incessantemente di ansie
profonde (Forti, Varchetta 2001).
La polarizzazione onnipotenza – impotenza evidenzia la compresenza di due fantasmi che rendono intrattabile il tema del potere da
parte degli individui: come conseguenza delle profonde angosce e della
difficoltà a mentalizzare e a riflettere sulla propria condizione professionale ed organizzativa, si riscontra la tendenza a rinunciare o a fuggire al
proprio ruolo.
L’individuo fugge dal ruolo per timore che altri attori non riconoscano il potere connesso alla posizione organizzativa che ricopre e adotta
un registro familistico che consente di tenere a bada l’angoscia e a ristabilire nuovi e più definiti pattern relazionali.
Secondo me, la consulenza al ruolo risulta determinante nel favorire
la presa in carico delle ansie connesse all’assunzione del ruolo e consente
di far leva sulle potenzialità inespresse che garantiscono una ri – definizione del proprio valore. Penso che l’intervento sull’immagine di sé e
la stimolazione ad un continuo automonitoraggio si pongono come utili
strumenti in grado di restituire nuove ed inedite informazioni su di sé per
organizzare personali mappe mentali che orientino le relazioni con gli
altri attori organizzativi.
6. Nuove prospettive
Lo scenario del mercato del lavoro italiano muta rapidamente, cambiano
gli aspetti funzionali e strutturali dei rapporti tra datore di lavoro e aspirante lavoratore, l’individuo deve fare sempre più leva sulle proprie risorse
personali per restare all’interno del mercato.
Non esistono stime che riguardano la richiesta di consulenza al ruolo da parte di professionisti che operano all’interno di organizzazioni, poi14
ché gli studi che ho potuto visionare si riferiscono a specifici casi utilizzati
come esempi di analisi della domanda e intervento organizzativo.
Recentemente gli studi sulla consulenza allo sviluppo professionale
(Biggio, 2007) si sono orientati sul tema della costruzione dell’identità
individuale all’interno di differenti contesti e ambienti di lavoro che l’individuo attraversa lungo l’intero arco della propria carriera professionale. Mi
soffermerò sul concetto di carriera, poiché rappresenta la via di accesso
privilegiato per lo studio dei rapporti tra individuo e contesto lavorativo.
Biggio (2007) afferma che la carriera viene sempre più pensata
come un cammino di sviluppo che impegna tutto l’arco di vita, non è più
lo sviluppo del proprio lavoro ma il lavoro della propria vita. Tuttavia,
sempre più spesso si sente parlare di “boundaryless career”, ossia “carriera
senza confini” (Hall, 1996). Da una parte il pensiero di Biggio rimanda
ad una cambiamento della percezione del lavoro nella vita delle persone:
assume un ruolo rilevante che condiziona le scelte significative e diventa
un aspetto fondamentale dell’identità individuale; Hall ci dice che il vecchio concetto di carriera, «la sistemazione lavorativa raggiunta attraverso
la coordinazione verticale, soprattutto in grosse e stabili imprese» (Arthur
e Rousseau, 1996), è ormai “morto” e lascia il posto alla moltitudine delle
esperienze lavorative di un individuo, difficili da organizzare all’interno di
una struttura dotata di senso.
Secondo Collin e Watts (1996), la carriera viene sempre più vista
come un “passaggio senza confini” tra diverse organizzazioni flessibili:
questo assetto ha un impatto significativo sulla costruzione dell’identità
individuale. Secondo Mirvis e Hall (1994) le nuove alternative di lavoro
presentano confini aperti, di conseguenza, aumenta la possibilità che le
persone, in un prossimo futuro, avranno bisogno di maggiore flessibilità per integrare stimoli ed esperienze provenienti dal proprio lavoro. A
questo punto mi chiedo: qual è la strada che la consulenza al ruolo può
intraprendere alla luce di queste considerazioni?
La critica alla visione tradizionale di carriera ha generato nuovi orizzonti di sviluppo nel counselling.
Penso che Biggio (2007) abbia espresso pareri interessanti sui nuovi
orizzonti della consulenza al ruolo. Secondo lo studioso il nuovo corso di
questo approccio al counseling si focalizzerà maggiormente sul concetto
di identità individuale e l’intervento riguarderà soprattutto l’immagine di
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sé e l’autopercezione della propria identità. In questo senso gli obiettivi
della consulenza di accompagnamento alla riflessione e al cambiamento,
in un’ottica di sviluppo della carriera, assumono un significato più soggettivo e personalizzato. La nuova sfida della consulenza al ruolo tiene conto
della labilità e della precarietà dei confini che riguardano sia le carriere
professionali e, di conseguenza, anche l’identità dell’individuo, sempre più
esposta alla necessità di mantenere un dialogo costante con l’esterno mutevole e contraddittorio.
La mia formazione universitaria ha evidenziato la recente affermazione in campo epistemologico di paradigmi operativi caratterizzati dalla
contestualizzazione e dal costruttivismo: assumono rilevanza le concezioni narrative ed ermeneutiche presenti nella consulenza professionale a
partire dalla fine degli anni Ottanta.
La capacità dell’individuo di avviare in maniera riflessiva un progetto professionale costituisce un punto di partenza per avviare nuovi
metodi di counselling, poiché sono in gioco l’identità professionale del
cliente e il cambiamento dello scenario lavorativo. Il tema del rapporto
tra identità e cambiamento del mondo lavorativo contemporaneo deve
riferirsi a ricerche e riflessioni maturate nella pratica del counselling che
aiutino a definire un corpus teorico-applicativo valido ed efficace.
Ad oggi la strada percorsa è breve, ma il dinamico mercato del lavoro accoglierà in futuro un maggior numero di proposte d’orientamento da
parte della psicologia applicata, che, tra i servizi alle organizzazioni, offre
anche la consulenza al ruolo; il counsellor dovrà confrontarsi a livello sia
teorico che applicativo con i temi che riguardano l’identità dell’individuo
e allo stesso tempo deve, usando le parole di Biggio (2007), «anticipare
l’elaborazione delle criticità e delle incertezze che il cliente esperisce nel
sentimento del proprio futuro».
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