Tesi Sierra Leone
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Tesi Sierra Leone
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN CULTURE E DIRITTI UMANI TESI DI LAUREA In Storia e istituzioni dei paesi dell’Africa Sub Sahariana Identità giovanile, guerra e reintegrazione dei giovani combattenti in Sierra Leone CANDIDATO RELATORE Simona Grossi Anna Maria Gentili Anno Accademico 2006/2007 Sessione III Indice Introduzione ........................................................................................ 3 La gioventù in Africa ...................................................................................5 I giovani in Sierra Leone .............................................................................7 Presentazione del lavoro .............................................................................9 Organizzazione dell’elaborato...................................................................14 Acronimi ......................................................................................... 16 Identità giovanile in Sierra Leone ................................................... 17 Le origini culturali .......................................................................... 17 Vivere nelle foreste ....................................................................................17 La creolizzazione culturale e linguistica ...................................................19 Organizzazione politica ed economica ......................................................20 Iniziazione dei giovani ...............................................................................21 Identità giovanile e modernizzazione ............................................. 22 I giovani nei distretti minerari ...................................................................22 I giovani nelle città ....................................................................................24 I giovani e la crisi dello stato patrimoniale ..................................... 25 La crisi nei distretti minerari .....................................................................25 I giovani urbani dalla ribellione alla rivoluzione ......................................28 Conclusioni ..................................................................................... 31 I giovani combattenti ........................................................................ 32 Perchè scegliere l’approccio antropologico .................................... 33 Le principali ricerche antropologiche .......................................................35 Le interviste ai giovani ex-combattenti .......................................... 36 Perchè ci siamo arruolati ..........................................................................37 La discriminazione di genere .....................................................................38 L’analisi politica della guerra ...................................................................39 Le idee sul processo di smobilitazione e reintegrazione ............................40 Il Futuro .....................................................................................................40 Le storie di vita ............................................................................... 40 Il processo di militarizzazione ...................................................................41 Il processo di ritorno alla vita civile..........................................................43 La dimensione espressiva della guerra ........................................... 44 Rambo e l’esclusione sociale .....................................................................45 1 I giovani e i Media .....................................................................................46 Conclusioni ..................................................................................... 47 I giovani e il processo di pace: la sfida della reintegrazione ......... 49 La lunga strada verso la pace .......................................................... 50 Le cause del prolungamento del conflitto ..................................................50 Lomé: un accordo di pace scioccante ........................................................52 La reintegrazione degli ex-combattenti .......................................... 54 I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione .........................54 La progettazione della reintegrazione .......................................................56 La reintegrazione in Sierra Leone .............................................................57 Esperienze sul campo: il disarmo e la smobilitazione come dramma della gioventù ...........................................................................................................60 La riconciliazione con le comunità ................................................. 62 Conclusioni ..................................................................................... 64 Conclusioni ........................................................................................ 66 Bibliografia ........................................................................................ 72 Siti internet ........................................................................................ 74 Appendice A: Carta geografica della Sierra Leone ....................... 76 2 Introduzione “A partire dagli anni novanta, con la fine della Guerra Fredda si è intensificato l’interesse per i conflitti intrastatali, combattuti con armi convenzionali e per complesse ragioni locali.”1 Il rapporto Unicef “State of the World's Children 1996: Children In War” afferma che, dalla fine degli anni ottanta, la percentuale di vittime civili nei conflitti armati è aumentata drasticamente rispetto a quella della Seconda Guerra Mondiale (dal 66 per cento al 90 per cento circa), in parte a causa dell’uso di armi di distruzione di massa, in parte a causa della specificità dei conflitti intrastatali. Mentre nel conflitto fra Stati, combattuto da eserciti, è chiara la distinzione fra civili e belligeranti, il conflitto interno allo Stato avviene tra gruppi che devono essere identificati ogni volta (ad esempio tra militari e civili oppure fra gruppi armati di civili), può essere combattuto nei villaggi, nelle strade o in qualsiasi altro luogo, non fa distinzione fra combattenti e civili e, soprattutto, esercita la violenza verso target di gruppi sociali come le famiglie, le donne e i bambini.2 Il continente africano già duramente colpito negli anni ottanta dalla diffusione dell’HIV/AIDS e dalle calamità naturali (come la siccità in Mozambico ed Etiopia), negli anni novanta è attraversato da una serie di conflitti interni (Liberia, Sierra Leone, Ciad, Etiopia, Eritrea, Sudan, Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, ecc...) che sono stati causa di ulteriore degrado delle condizioni di vita soprattutto per i più deboli come i bambini. Il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati non è un fenomeno nuovo, ma è un fenomeno che ha richiamato l’attenzione negli anni novanta, nel momento in cui sono cambiate la dinamica del fare la guerra e l’idea contemporanea di infanzia. 1 Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey, p. XIII. 2 United Nations Children's Fund, State of the World's Children 1996, Oxford: Oxford University Press. http://www.unicef.org/sowc96/1cinwar.htm 3 Come spiega Machel nel rapporto per le Nazioni Unite, le guerre moderne uccidono, menomano e sfruttano i bambini più spietatamente e più sistematicamente che mai.3 Nelle guerre moderne si utilizzano armi così leggere che possono essere maneggiate con facilità dai giovani, come i fucili d’assalto M16 e AK-47, inoltre, le granate, le mine terrestri e gli esplosivi si prestano ad essere posizionati e utilizzati dai bambini. Gli effetti della “guerra sui bambini”4 nel decennio 1985-1995 hanno provocato 2 milioni di morti, 5 milioni di feriti gravi o disabili permanenti, più di 1 milione fra orfani e bambini separati dalle famiglie, 12 milioni fra rifugiati e sfollati, circa 10 milioni di affetti da traumi psicologici.5 L’infanzia è una categoria sociale profondamente legata allo spazio e al tempo, alla cultura, alla classe e al genere. Nelle società occidentali si tende a considerare l’infanzia come una fase della vita universale e uniforme, delimitata dal carattere biologico dell’età e scandita dal percorso educativo, indipendente dal contesto storico e culturale. Invece le vite e le identità di bambini e giovani sono strettamente dipendenti dalle diverse esperienze, ad esempio fra i Tchokwè dell’Angola i bambini acquisiscono un’identità che varia in funzione dei ruoli sociali che assumono e sono chiamati con nomi diversi in relazione all’occupazione che svolgono.6 Nella tutela internazionale dei diritti del fanciullo la necessità di stabilire standard globali di protezione ha portato a uniformare la definizione del fanciullo come “[...] ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni [...]”7, mutuando l’universalismo occidentale, e producendo l’esplosione dell’attenzione verso i giovani che non 3 Machel, Graça. 2001. The Impact of War on Children: a Review of Progress since the 1996 United Nations Report on The Impact Of Armed Conflict on Children. London: Hurst & Co, p. 1. 4 Machel, Graça. op. cit. p.1. 5 United Nations Children's Fund, State of the World's Children 1996, Oxford: Oxford University Press, http://www.unicef.org/sowc96/1cinwar.htm 6 Honwana, Alcinda. 2006. Child Soldiers in Africa. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, pp. 41,42. 7 Convention on the Rights of the Child, 20/09/1989, Art.1. http://www2.ohchr.org/english/law/crc.htm 4 seguono i percorsi di vita occidentali, che vengono considerati a rischio o un rischio per la società. Dall’interesse per l’esperienza dei bambini soldato negli anni novanta nasce a livello internazionale la condivisione della necessità di strumenti per una maggiore tutela dei diritti del fanciullo8 e, a livello accademico, una serie di studi antropologici sull’identità dei bambini soldato. La gioventù in Africa La gioventù in Africa vive in condizioni di marginalità politica ed economica, priva di lavoro e con scarse possibilità di accesso all’istruzione. L’Africa Sub Sahariana possiede la popolazione giovanile più numerosa del mondo, infatti, i giovani (minori di 15 anni) costituiscono il 43,6 per cento di una popolazione di circa 750 milioni di abitanti.9 Nonostante le difficoltà che attraversano, questi giovani partecipano attivamente allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale, sono i principali attori nell’economia informale e nei processi di globalizzazione e occupano un ruolo di primo piano nelle trasformazioni delle società tanto che sono giudicati simultaneamente come forze creative e distruttive dell’ordine sociale o “Makers & Breakers”10. I contesti di vita nei quali sono immersi sono stati forgiati da processi quali la colonizzazione e la decolonizzazione, il post8 I diritti del fanciullo sono trattati in forma sistematica solo a partire dalla Convention on the Rights of the Child del 1989 (CRC). L’atto di arruolare minori di quindici anni per farli combattere è riconosciuto come crimine di guerra dallo statuto della Corte Penale Internazionale entrato in vigore il 1 Luglio 2002. Nel 2000 è entrata in forza la Convenzione 182 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che condanna l’arruolamento di minori come una delle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile. Nel Febbraio del 2002 è entrato in vigore il “Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente il coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati” allo scopo di vietare l’arruolamento di minori di diciotto anni. 9 UNDP. Human Development Report 2007/2008 Fighting climate change: Human solidarity in a divided world. New York: Palgrave Macmillan, Tav. 5. http://hdr.undp.org/en/media/hdr_20072008_en_complete.pdf 10 Makers & Breakers è il titolo dell’opera di Honwana A., che attraverso i saggi presentati dimostra come i giovani in Africa contribuiscano sia alla riproduzione dell’ordine sociale che al suo mutamento. Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip (Edited by). 2005. Makers & Breakers: Children and Youth in Postcolonial Africa. Oxford: James Currey. 5 colonialismo e la formazione degli Stati nazione, le guerre civili, il capitalismo globale e lo sfruttamento economico. Le società africane inoltre sono attraversate da una profonda spaccatura fra zone urbane e rurali. La città rappresenta la modernità, la libertà di scelta e la possibilità di istruzione mentre la campagna, isolata e priva di infrastrutture, è dominata dai legami tribali, dai quali spesso i giovani vogliono scappare. La questione dei giovani combattenti è in stretta relazione con lo sviluppo dell’identità giovanile nel corso della storia. Nella tradizione precoloniale il controllo dei giovani avveniva attraverso il processo di iniziazione tribale che serviva ad inserirli nel mondo degli adulti mantenendo ordinati i rapporti intergenerazionali. Durante il periodo coloniale il rapporto intergenerazionale iniziò a destabilizzarsi come conseguenza dei profondi processi di trasformazione sociale ed economica avviati dalle potenze europee con la messa a valore dei territori. L’introduzione delle imposte causò un cambiamento definitivo nei modi di produzione che da volontari divennero obbligati; Gentili descrive le conseguenze sociali dello sfruttamento economico: Fu in rapporto alla diffusione del mercato che mutò radicalmente la divisione sessuale del lavoro, poiché le produzioni agricole alimentari per la famiglia restarono progressivamente interamente a carico delle donne, dei bambini e degli anziani.11 Il deteriorarsi dell’agricoltura familiare oltre a rendere i sistemi di sicurezza alimentare delle società molto fragili davanti alle calamità naturali, causò la frammentazione dei sistemi di solidarietà familiare e comunitaria, resi già precari dall’introduzione del lavoro salariato, dalla diffusione dell’individualismo, dalle grandi emigrazioni della forza lavoro verso i terreni produttivi dell’Africa utile. La politica coloniale inglese dopo la seconda guerra mondiale si limitò a promuovere l’adesione verso il modello culturale occidentale tramite le istituzioni scolastiche; la maggior parte dei giovani, che 11 Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma: Carocci, p. 304. 6 nelle città erano sempre più numerosi a causa del processo di urbanizzazione e del boom demografico, non potevano andare a scuola e ingrossarono le fila del proletariato urbano e dei disoccupati, che vennero emarginati nei ghetti ed adottarono propri modelli culturali. Dopo le indipendenze, il clima di grande fervore per la costruzione della nazione e l’enfasi posta sulla necessità di unione, legittimarono sistemi politici che presto degenerarono nella condanna di ogni forma di pluralismo e che si trasformarono in sistemi a partito unico. Negli Stati Africani furono sperimentati sia il modello socialista sia quello capitalista ma, nella sostanza, entrambe le classi dirigenti accentrarono le decisioni politiche ed economiche in un modello statalista che fallì nel fare decollare lo sviluppo dei paesi. Negli anni settanta l’urbanizzazione era costantemente in crescita perchè le condizioni di vita nelle campagne andavano sempre peggiorando12 e l’economia informale prosperava sottoforma di mercato nero e contrabbando. I politici commisero lo sbaglio di non affrontare la complessità della società, ormai permeata da fratture sociali e lotte di classe, ma soffocarono le proteste, negarono il riconoscimento ai giovani e ridistribuirono le risorse in maniera tutt’altro che egalitaria così che crearono, giorno dopo giorno, il terreno di coltura per i conflitti degli anni novanta. I giovani in Sierra Leone Negli anni novanta la Sierra Leone è stata teatro di una guerra civile durata undici anni. I ribelli del Revolutionary United Front of Sierra Leone (RUF) invasero il paese dal confine orientale con la Liberia. Motivati dalla necessità di riappropriarsi delle risorse economiche del territorio, si proposero come un movimento di riscatto nazionale, ma non ottennero appoggio dalla comunità. Ricacciati 12 I produttori agricoli che contribuivano alla crescita dello Stato pagando le tasse non venivano ricompensati dallo sviluppo di adeguati servizi sociali e infrastrutture nelle campagne perchè tutte le risorse venivano investite nelle aree urbane. 7 dall’esercito all’interno delle foreste, iniziarono ad esercitare la violenza sulla popolazione rurale in maniera inaudita, uccisero o menomarono chi non collaborava, bruciarono i villaggi, stuprarono donne e bambine, si appropriarono di ogni cosa che rimaneva nelle abitazioni. Il movimento catturava i giovani dai villaggi e li costringeva a diventare bambini e bambine soldato, li sottoponeva a traumatiche prove di coraggio e fatiche fisiche. I giovani erano costretti ad usare droghe e alcool, che fornivano il coraggio per diventare degli infallibili strumenti di morte. In Sierra Leone i bambini soldato hanno combattuto anche sul fronte governativo, come irregolari assoldati dalle forze armate della Sierra Leone Army (SLA poi RSLMF, Republic of Sierra Leone Military Forces), e si sono arruolati anche nelle milizie civili (CDF, Civil Defence Forces). Si stima che siano scesi in campo circa 10.000 bambini dei quali la metà ha combattuto in prima linea uccidendo, mutilando e rubando ai danni della popolazione civile inerme. Come osservava Richards già nel 1996, poiché il RUF sopravviveva grazie all’energia, intelligenza e disperazione dei giovani catturati e iniziati alla guerra, allora il modo migliore per sfidare i ribelli e spingerli a entrare nel processo di pace era quello di offrire amnistia e reintegrazione ai combattenti. I primi programmi di reintegrazione per combattenti furono avviati con gli accordi di pace stipulati nel 1996 fra il RUF e il governo della Sierra Leone.13 Questi programmi furono interrotti dalla ripresa del conflitto, molti bambini che erano già stati smobilitati tornarono a combattere, e ripresero dopo la firma di nuovi accordi di pace nel 1999.14 La reintegrazione doveva aiutare i ragazzi a ritornare presso le proprie famiglie o comunità e fornirgli un percorso di formazione per reinserirsi nel circuito sociale ed economico. 13 14 Accordi di Pace di Abidjan. Accordi di Pace di Lomè. 8 La popolazione della Sierra Leone è formata dal 41,7 per cento di giovani minori di quindici anni, dei quali circa il 72 per cento ha un’età compresa fra 0 e 9 anni.15 Il tasso di fertilità è molto alto, ogni donna ha in media 6 figli, e le speranze di vita sono molto basse, solo il 4,4 per cento supera i 65 anni. Nel paese l’urbanizzazione16 è in aumento, ma rimane su un tasso del 40 per cento circa, le città più grandi sono Freetown, Bo e Kenema che contano rispettivamente 772.873, 149.957 e 128.402 abitanti. I dati del censimento del 2004 per quanto riguarda l’educazione mostrano che le iscrizioni scolastiche stanno esplodendo. Il problema principale dell’istruzione è quello di non riuscire a portare a termine gli studi. Fra i giovani più della metà sono analfabeti (nella fascia di età 15-24 anni sono il 52,1 per cento), l’analfabetismo sta diminuendo, i giovani sono più istruiti dei loro genitori e in particolare la fascia di età dai 12 ai 14 anni è la più alfabetizzata. I livelli di istruzione divergono notevolmente fra aree rurali, dove sono sempre più scarsi, e aree urbane. Fra i distretti rurali quello meno alfabetizzato è quello di Koinadugu, nel Nord, mentre i distretti urbani più alfabetizzati sono quelli di Freetown e Bo (68 per cento e 64 per cento rispettivamente). Nelle città di Makeni, Bo, Kenema, Bonthe e Freetown si registrano i tassi più alti di frequenza scolastica.17 Presentazione del lavoro Il lavoro che presento è un’analisi della letteratura antropologica prodotta durante gli anni novanta che ha come oggetto l’identità dei 15 Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census -Executive SummaryPopulation Size, Age and Sex Structure, http://www.statistics.sl/Population%20Size%20Age%20and%20Sex%20Structure.p df, p. 4. 16 “In Sierra Leone non si ha una definizione standard di area urbana ma tradizionalmente sono considerate aree urbane quelle con più di 2000 abitanti.” Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census-Executive Summary–Population Distribution Migration and Urbanization, http://www.statistics.sl/Migration%20and%20Urbanization.pdf, p. 8 17 Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census - Executive Summary–Education and Literacy, http://www.statistics.sl/Migration%20and%20Urbanization.pdf 9 giovani combattenti in Sierra Leone. Dagli studi antropologici emergono alcune caratteristiche dei giovani combattenti, che solitamente non sono messe in luce dall’approccio di tipo umanitario, che è necessario conoscere per potere progettare dei programmi di reintegrazione che abbiano successo, cioè che riescano ad attirare gli ex-combattenti fuori dal conflitto e a creare un ambiente che sia in grado di promuovere una pace duratura. I termini ‘giovani combattenti’ e ‘bambini soldato’ in questo lavoro sono utilizzati come sinonimi la cui definizione è quella adottata dai Principi di Città del Capo: 'Child soldier' [...] is any person under 18 years of age who is part of any kind of regular or irregular armed force or armed group in any capacity, including but not limited to cooks, porters, messengers and anyone accompanying such groups, other than family members. The definition includes girls recruited for sexual purposes and for forced marriage. It does not, therefore, only refer to a child who is carrying or has carried arms. Vedremo poi come sono stati applicati in Sierra Leone i programmi di reintegrazione per ex-combattenti, in particolare mi riferisco al programma iniziato nel 2001 e portato a termine nel 2004, al fine di produrre delle osservazioni generali sull’organizzazione e sulle problematiche da affrontare nella messa in opera. Se la reintegrazione degli ex-combattenti mira a ricostruire il tessuto sociale lacerato da anni di violenze, allora è indispensabile che venga affiancata da strumenti per favorire la riconciliazione familiare e comunitaria, come in Sierra Leone si è cercato di fare attraverso l’istituzione della Commissione di Verità e Riconciliazione. Ho scelto di analizzare il caso della Sierra Leone perchè presenta caratteri emblematici per quanto riguarda il tipo di Stato a cui ha dato vita nel periodo post-indipendenza, lo stato patrimoniale, il tipo di conflitto civile di cui è stata protagonista negli anni novanta e la partecipazione dei giovani al conflitto. La cultura politica dello stato-nazione sierraleonese è caratterizzata dal patrimonialismo, un modo di agire politico che attua la redistribuzione delle risorse e delle ricchezze in maniera antiistituzionale e personalista. Come spiega Gentili: “In tutti i sistemi 10 africani infatti risorse economiche e politiche diventarono immediatamente intercambiabili: il potere dava accesso privilegiato alla ricchezza, così come la ricchezza al potere.” 18 Il patrimonialismo non è un’alternativa al capitalismo e al socialismo africani ma si ritrova in tutti i sistemi politici africani. Il patrimonialismo si nutre della grande ricchezza prodotta dallo sfruttamento delle risorse naturali, in questo caso minerarie, e dei finanziamenti provenienti dall’esterno, in questo caso dalla Guerra Fredda, ma non si impegna per un progetto nazionale di sviluppo del paese, delle infrastrutture, dell’educazione, dell’assistenza sociale, lascia che questi aspetti siano amministrati dalle compagnie estrattive che hanno in concessione le enclave minerarie. L’assenza di un progetto nazionale e il mancato reinvestimento dei profitti ha contribuito a fare si che la Sierra Leone, oggi, sia il paese con il più basso indice di sviluppo umano al mondo, poiché i servizi sanitari, educativi e le infrastrutture sono sottosviluppati. Le guerre africane che hanno avuto luogo dopo la decolonizzazione sono guerre per l’accesso alle risorse, affondano le radici nell’asimmetria della spartizione coloniale e sono state coltivate dalle politiche perseguite dalle élite al potere dopo le indipendenze. Penso ad esempio al conflitto del Ruanda, dove due classi sociali e politiche, gli Hutu e i Tutsi, si sono massacrate per l’accesso alle risorse che furono ripartite inegualmente dal potere coloniale tedesco. Quando le élite al potere hanno favorito i gruppi vicini al centro politico ciò ha significato poter decidere chi poteva comperare la terra e la casa, penso ad esempio al Kenya, ex-colonia di settlers inglesi, dove le violenze che si stanno verificando in seguito alle elezioni del 27 Dicembre 2007 derivano dalle proteste dei più poveri, i disoccupati e i senza terra, che sono stati esclusi dalla redistribuzione delle terre avvenuta a favore dei Kikuyu.19 18 Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma: Carocci, p. 398. Najum Mushtaq. Kenia, la vera causa delle violenze, in “Internazionale”, n. 729, anno 15, 1/7 Febbraio 2008. 19 11 Il conflitto in Sierra Leone deriva dal fallimento economico dello stato patrimoniale e dalla sua incapacità di garantire ai giovani l’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro. Secondo Richards il conflitto è causato dalla ribellione di una gioventù stanca del clima di alienazione e marginalità in cui vive e si alimenta grazie allo stato di abbandono in cui si trovano le regioni più remote del paese, prive di infrastrutture, strutture educative e poco sensibilizzate verso un’identità nazionale. In prospettiva regionale il RUF ha avuto appoggio logistico dall’ex-presidente liberiano C. Taylor e dal suo movimento, il National Patriotic Front of Liberia (NPFL), per destabilizzare lo Stato sierraleonese favorevole al processo di pace liberiano. Anche Gheddafi sostenne i dissidenti, sia in Sierra Leone che in Liberia, mettendo a disposizione il suo campo di addestramento a Benghazi in cambio dell’appoggio alla nuova forma di Stato da lui teorizzata nel Green Book. La Nigeria e la Costa d’Avorio invece hanno aiutato militarmente il governo sierraleonese, perchè le sue risorse minerarie sono importanti per il loro sviluppo tecnologico a lungo termine e anche Israele appoggio il paese inviando riso in cambio della possibilità di controllare l’afflusso di risorse che i libanesi convogliavano verso le fazioni in lotta durante la guerra civile libanese. L’effetto contagioso dei conflitti in Africa, già verificatosi nella Regione dei Grandi Laghi i cui Stati hanno dato luogo alla ‘Prima Guerra Mondiale Africana’, si presenta anche in Africa Occidentale. Infatti, a partire dalla guerra civile Liberiana scoppiata nel Dicembre 1989, il conflitto è migrato in Sierra Leone, ritornato in Liberia e arrivato in Guinea nel 2000 e in Costa d’Avorio nel 200220 tanto che si può parlare di ‘Guerra Regionale dell’Africa Occidentale’. Il conflitto in Sierra Leone è durato un decennio perchè si è autofinanziato tramite l’economia 20 di guerra International Crisis Group, West http://www.crisisgroup.org/home/index.cfm?id=1170&l=1 12 cioè estraendo Africa Project. illegalmente i diamanti nei distretti di Kono e Kenema. Il RUF si era fermamente stabilito in questi distretti, dai quali ha reclutato la maggior parte dei giovani combattenti, dove estraeva diamanti che scambiava con armi, la maggior parte delle quali provenivano dalle ex Repubbliche Sovietiche dopo la fine della Guerra Fredda. Fra tutte le conseguenze della guerra sui bambini, il caso della Sierra Leone ci porta ad esaminare la questione dell’utilizzo dei bambini soldato. Il termine bambino soldato è sconvolgente poiché combina due identità che nella società occidentale si ritengono opposte: quella del bambino, normalmente associata con l’innocenza, la debolezza e la necessità di protezione e guida di un adulto e quella del soldato, normalmente associata con la forza, l’aggressione e la maturità. I bambini soldato si trovano in una posizione sociale fluttuante fra la gioventù e la maturità: sono bambini che hanno perso l’innocenza e sono adulti senza consapevolezza e senso di responsabilità, agiscono da adulti proiettando le loro azioni in un immaginario fatto di giochi e fantasia, “dove il ludico diventa grottesco e macabro.”21 La maggior parte dei bambini soldato viene arruolata con la violenza, sotto minaccia di morte, ma altri invece lo fanno volontariamente. Sono molti i motivi che spingono i ragazzi a arruolarsi. A volte cercano un’alternativa alla povertà, alla disoccupazione, al mancato accesso all’istruzione, soprattutto quando vengono separati dalle proprie famiglie in contesti di conflitto e rimangono da soli con la necessità di sopravvivere. Anche il tentativo di scappare dalla violenza domestica, dagli abusi e dallo sfruttamento è fra i principali motivi per cui i bambini vanno a combattere.22 In altri casi i volontari si sono arruolati per vendicare gli abusi e le torture subiti dalla propria famiglia, ad opera delle forze governative e dei gruppi armati. Infine per questi giovani combattenti l’utilizzo della 21 Honwana, Alcinda. 2006. Child Soldiers in Africa. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, p. 3. 22 Child Soldiers Global Report 2004, London: Coalition to Stop the Use of Child Soldiers, p. 14. 13 violenza risponde ad una ricerca identitaria, come osserva Jourdan “Diventare soldati [...] costituisce un tentativo di accedere alla modernità nei suoi aspetti materiali e soprattutto simbolici, allo scopo di sottrarsi a una condizione di esclusione e passività.”23 Si ha testimonianza di bambini soldato arruolati già all’età di otto anni. I giovani combattenti ricevono un periodo più o meno intenso di training e vengono così trasformati in killer senza pietà che uccidono per gioco. Spesso la prima prova che devono affrontare, per dimostrare coraggio ai propri capi e continuare a sopravvivere, è l’assassinio a sangue freddo di una persona indifesa, un amico o un familiare. Le bambine soldato anche arruolandosi sono ripetutamente sottoposte a violenze sessuali e a condizioni di schiavitù, particolarmente sconcertante è il racconto delle bambine angolane costrette a diventare le mogli dei loro rapitori già dall’età di tredici anni. I bambini combattenti vengono stremati fisicamente dai pesi che sono costretti a portare, sono esposti a gravi malattie e infezioni dovute all’assenza di assistenza sanitaria, subiscono gravi danni agli occhi dovuti alla prolungata esposizione al sole senza protezione. Comprendere chi sono questi bambini è l’imperativo per potere intervenire sulla società nel dopo-guerra, per attuare dei programmi di reintegrazione che abbiano successo, per dare una possibilità di sviluppo a questo paese attraverso la forza dei suoi giovani. Organizzazione dell’elaborato Il primo capitolo parla della cultura giovanile in Sierra Leone attraverso alcuni passi significativi della storia del paese: la creolizzazione culturale, la cultura nei distretti minerari, la cultura urbana e la rivoluzione. Nel secondo capitolo saranno i ragazzi stessi a raccontarci le loro storie di vita tramite le interviste raccolte da alcuni ricercatori all’interno dei campi di smobilitazione o reintegrazione. 23 Jourdan, Luca. 2004. Guerra, giovani e identità nel Nord Kivu: un approccio antropologico, in Afriche e Orienti, No. 1-2, Anno VI, pp. 120 14 Il terzo capitolo prende in esame il processo di pace, i programmi di reintegrazione degli ex-combattenti e l’adozione di strumenti per la riconciliazione sociale come la Riconciliazione. 15 Commissione di Verità e Acronimi APC All People’s Congress AFRC Armed Forces Revolutionary Council CDF Civil Defence Forces CRC Convention on the Rights of the Child CMRRD Commission for the Management of Strategic Resources, National Reconstruction and Development DDR Disarmament, Demobilisation and Reintegration DDRP Disarmament, Demobilisation and Reintegration Programs/ Program ECOMOG Economic Community of West African States Monitoring Group ECOWAS Economic Community of West African States FBC Fourah Bay College GoSL Government of Sierra Leone IDDRS Integrated Disarmament, Demobilisation and Reintegration Standard ILO International Labour Organization NPFL National Patriotic Front of Liberia NPRC National Provisional Rouling Council PANAFU Pan-African Union of Sierra Leone RSLMF Republic of Sierra Leone Military Forces RUF Revolutionary United Front of Sierra Leone SLA Sierra Leone Army SLPP Sierra Leone People’s Party SLST Sierra Leone Selection Trusts UNAMSIL United Nations Mission for Sierra Leone UNIOSIL United Nations Integrated Office for Sierra Leone 16 Identità giovanile in Sierra Leone Quali sono gli aspetti culturali delle comunità delle Upper Guinea Forests? In che ambiente sono cresciuti i giovani sierraleonesi nel post-indipendenza? Chi sono i giovani che hanno dato origine al RUF? In questo capitolo analizzerò le peculiarità della cultura della Sierra Leone, il rapporto fra i giovani e lo sviluppo minerario e l’impatto della recessione dello Stato negli anni ottanta del novecento sulla cultura giovanile. Le origini culturali Vivere nelle foreste L’area geografica delle Upper Guinea Forests comprende le foreste umide tropicali (Tropical Moist Forest1) che si estendono dal sud della Guinea e dall’est della Sierra Leone attraverso Liberia, Costa d’Avorio e Ghana, fino all’ovest del Togo.2 In Sierra Leone meno del 5 per cento3 del territorio è coperto dalla foresta primaria,4 che si trova solo al confine con la Liberia (Gola Forest), a causa dello sfruttamento e della deforestazione che la ha progressivamente ridotta; la foresta secondaria è presente sul 40 per cento circa del territorio5. La Gola Forest è formata da boschi tropicali che sono quasi impossibili da attraversare; da queste aree isolate è partita l’offensiva del RUF, che il 23 Marzo 1991 attaccò i distretti di Kailahun e Pujehun. 1 Sull’ecosistema delle foreste umide tropicali vedere: http://www.biodiversityhotspots.org/xp/hotspots/west_africa/Pages/default.aspx 2 Di questi stati solo la Liberia è interamente coperta da foreste. 3 http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7136606.stm 4 La foresta primaria è caratterizzata dalla presenza di specie vegetali endemiche e non presenta segni visibili di interventi umani. Nella foresta secondaria le specie endemiche crescono naturalmente ma presenta chiari segni di attività umane di sfruttamento del territorio (FAO, Global Forest Resources Assessment update 2005, Terms and definitions, Rome 2004. http://www.fao.org/forestry/webview/media?mediaId=7797&langId=1) 5 FAO, Global Forest Resources Assessment 2005, http://www.fao.org/forestry/site/countryinfo/en/ 17 Le comunità delle Upper Guinea Forest sono sopravvissute a più di cinquecento anni di sfruttamento delle risorse destinate al mercato globale dimostrando una creatività sociale che ha permesso di mettere a punto dei processi di funzionamento della società in un contesto estremamente difficile. Situate ai confini di due sistemi commerciali quali il commercio di lunga distanza dell’oro6 e quello internazionale di schiavi7 e prodotti tropicali, le foreste venivano sfruttate come bacino di rifornimento della merce. Durante l’epoca coloniale la messa a valore dei territori per il mercato fu estremamente violenta; le foreste vennero bruciate e disboscate per avviare le coltivazioni dei cash-crop come cacao, olio di palma e caffè e per esportare legna pregiata. Gli elefanti, che fino a quel momento erano presenti in grande numero e che fornivano il prodotto di esportazione di maggior valore, l’avorio, si estinsero. La violenza dello sfruttamento delle risorse e della tratta degli schiavi è ricordata dalle comunità anche attraverso la narrativa orale. I racconti, come “Bemba Gogbua’s Story”,8 raccolto nel 1989 nel paese di Sembehun, descrivono alcuni particolari dello sfruttamento delle foreste. I mercanti, che solitamente erano Mandingo, erano al servizio di qualche “Big Man” europeo. I Mandingo venivano accolti in pace dalle comunità che fornivano loro i prodotti delle foreste in cambio di armi e alcolici; con la scusa di usare i ragazzini delle comunità come portantini e inviarli a studiare in Europa, venivano condotti a Cape Mount, in Liberia, dove venivano imbarcati e ridotti in schiavitù. 6 La strada dell’oro, che collegava i grandi imperi del Ghana, Mali, Songhai e Kanem-Bornu nel Sudan Occidentale e Centrale al Mediterraneo attraversando il Sahara, comprendeva anche il bacino del Niger, sul quale si affaccia la zona collinare a nord della Sierra Leone, ed era controllata dai commercianti Mande. 7 Gentili osserva che Manning ha stimato che l’impatto demografico della schiavitù in Africa raggiunse l’apice nei secoli XVII e XVIII, durante i quali è stato calcolato che furono esportate circa 14 milioni di persone, delle quali 9 milioni provenienti dall’Africa Occidentale (Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma: Carocci, p. 53). 8 Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey, p. 98. 18 La creolizzazione culturale e linguistica I brutali meccanismi di sfruttamento delle risorse in epoca coloniale si rivelarono ben presto insostenibili e i membri più potenti delle società delle foreste iniziarono a collaborare con i mercanti per organizzare i commerci e l’acquisizione di schiavi, avorio e altri prodotti. La cultura del compromesso e dell’intermediazione commerciale è un’abilità che le società delle foreste avevano acquisito già a partire dal XVI secolo quando furono invase da guerrieri di lingua Vai, un popolo che aveva assimilato le pratiche e le idee dei guerrieri Mande relativamente al commercio di lunga distanza, alla religione islamica e al possesso di abilità linguistiche che facilitassero la mobilità geografica. In un clima di grande rivalità per l’accesso alle risorse, o meglio: “Nelle convulse condizioni di tutta l’Africa Occidentale negli anni precedenti all’arrivo degli europei”,9 e avendo a disposizione piccoli spazi su cui muoversi, le comunità furono costrette a ricercare la convivenza e la convergenza culturale, per affrontare positivamente il processo di cambiamento sociale. I Vai ad esempio furono subito integrati nella società e nel sistema economico tanto che non diedero origine né ad un’identità culturale definita né ad un’organizzazione politica particolare. Le società delle Upper Guinea Forests hanno dato vita ad un processo di creolizzazione culturale, cioè ad un insieme di pratiche attraverso le quali la cultura diventa particolarmente dinamica e creativa, capace di assorbire aspetti innovativi grazie alle virtù del compromesso politico e del sincretismo religioso. La creolizzazione culturale rende la cultura un flusso e le società inclusive e multiculturali. Le comunità hanno sviluppato dei processi sociali atti a favorire l’integrazione di nuovi arrivati, ad esempio attraverso la valorizzazione delle risorse possedute come la forza lavoro o la 9 Bernardi, Bernardo. 2006. Africanistica, Le culture orali dell’Africa, Milano: Franco Angeli. p. 296 19 capacità di commercio oppure attraverso il sistema matrimoniale che, basato sulle alleanze fra famiglie, svolge un ruolo essenziale nell’attribuire ai novizi un riconoscimento politico. La creolizzazione culturale in Sierra Leone si rafforzò anche con lo sviluppo e la diffusione della lingua Krio, che è attualmente la lingua franca nazionale e viene utilizzata dai mass media e nei dibattiti elettorali. Il Krio è una lingua creola adottata e arricchita dagli schiavi liberati a Freetown nel 1840,10 che non possedevano un linguaggio comune ma si dice che parlassero circa 200 lingue diverse. La lingua ha alcuni caratteri in comune con l’inglese ed è parlata dalla quasi totalità della popolazione. Della lingua Krio è ancora sconosciuta l’origine: secondo alcune ipotesi sarebbe stata introdotta dai portoghesi che arrivarono sulle coste nel XV secolo, altre teorie contemporanee invece ipotizzano che abbia avuto origine dalle lingue Mande parlate nelle foreste e portate sulla costa tramite i commerci. Organizzazione politica ed economica Le società delle Upper Guinea Forests sono società senza Stato, cioè società che non hanno adottato governi centralizzati, e sono organizzate in sistemi di classi d’età. A causa della mancanza di istituzioni centralizzanti il sistema politico ed economico ha sviluppato relazioni clientelistiche. I giovani sono parte attiva della forza lavoro e svolgono molti compiti, organizzandosi in squadre sponsorizzate dagli anziani. Il commercio dipende dai landlords locali, che si occupano di assicurare ospitalità e protezione ai commercianti.11 Le relazioni clientelistiche se da un lato sono viste 10 La moderna Sierra Leone fu fondata nel 1787 da schiavi africani che avevano combattuto al fianco degli inglesi contro l’indipendenza degli Stati Uniti d’America e che furono ricondotti in Africa come ricompensa. La maggior parte di loro morì dopo poco tempo, ma la baia di Freetown fu ripopolata, a metà del XIX secolo, da africani, i recaptives, che erano stati imbarcati come schiavi sull’Atlantico ma che furono intercettati e liberati dagli squadroni anti-schiavitù inglesi. Furono i recaptives che diedero origine alla cultura creola di Freetown, un metissaggio di varie idee e pratiche tecniche e sociali che provenivano dalle coste occidentali dell’Africa. 11 Richards, Paul. op. cit. p. 80. 20 come necessarie dalle popolazioni perchè servono alla equa redistribuzione delle risorse, dall’altro favoriscono il patrimonialismo e la visione sospettosa della politica che è considerata come un mezzo per ottenere successi personali. I principali prodotti delle foreste erano il riso e l’avorio. Il riso, che era ed è ancora il principale alimento in Sierra Leone, viene coltivato sia nella zona a Nord del paese, dove la foresta degrada nelle savane sudanesi e forma valli paludose,12 che nelle foreste e nelle coste atlantiche. Mentre il Nord era abitato dal popolo dei Kissi, detti “le genti del riso”, la cui vita, materiale e affettiva, era scandita dalla cura del riso,13 nelle foreste erano i Mande che lo seminavano nei varchi aperti dai cacciatori di elefanti. Anche la coltura del riso in Sierra Leone è testimone del processo di creolizzazione culturale, infatti, nel triangolo di terra fra Freetown, Kailahun e Cape Mount, tre diversi tipi di sementi di riso africano si sono mischiate con quella proveniente dall’Asia e introdotta dai portoghesi creando un metissaggio genetico.14 Iniziazione dei giovani L’iniziazione dei giovani è un processo di inculturazione, quindi educativo, funzionale al mantenimento dell’ordine sociale, attraverso il quale i giovani, da inesperti e dipendenti dalla famiglia, sono trasformati in adulti responsabili. In Sierra Leone l’iniziazione avviene entrando a fare parte di un’associazione, rispettivamente Poro per i maschi e Sande per le femmine. L’affiliazione aiuta a rompere simbolicamente i legami con la famiglia e a crearne dei nuovi, più estesi, come quelli fra coetanei o con gli anziani della comunità. Nel momento in cui un giovane è pronto per essere iniziato una maschera 12 La regione a Nord della Sierra Leone è la più povera del paese e quella che ha i tassi più alti di emigrazione in cerca di lavoro nelle miniere e nelle piantagioni tropicali delle regioni del centro e del sud. 13 Bernardi, Bernardo. 2006. Africanistica, Le culture orali dell’Africa, Milano: Franco Angeli. p. 298. 14 Richards, Paul. op. cit. p. 65. 21 di diavolo, Poro devil, lo rapisce dalla propria abitazione e lo porta in un villaggio remoto dove gli verranno insegnati i segreti della maturità. Per capirne meglio il significato possiamo affidarci alle parole di Bernardi: In gran parte delle società illetterate [le iniziazioni] costituivano un periodo sistematico di istruzione analogo al periodo scolastico delle società letterate. Oggi, quando la diffusione della scrittura è pressoché universale, alle iniziazioni tribali subentra il sistema scolastico [...].15 Scopo normale delle iniziazioni tribali è l’inserimento dei giovani tra gli adulti in occasione del riconoscimento dell’avvenuta maturità fisiologica. Il candidato viene istruito per prendere parte attiva alla vita sociale. Per questa ragione nel periodo dell’iniziazione gli si insegna, sotto la guida di maestri, le tradizioni e i segreti della comunità.16 Identità giovanile e modernizzazione I giovani nei distretti minerari Il potenziale minerario del paese in diamanti, ferro, bauxite e rutilo17 fu scoperto nel 1930. L’estrazione industriale di diamanti iniziò nel 1935 nella miniera di Yangema, per mano di un’impresa controllata dalla De Beer, la Sierra Leone Selection Trusts (SLST), che ottenne il monopolio sulle attività diamantifere.18 A partire dagli anni cinquanta19 iniziò la ‘Grande Corsa ai Diamanti’20: giovani da tutto il paese si trasferirono nei principali distretti minerari di Kono (nelle città di Koidu-Sefadu, Tongo Field e Yengema) e Kenema per estrarre diamanti dalle miniere alluvionali con mezzi rudimentali, tramite la tecnica del lavaggio della ghiaia. Nel 15 Bernardi, Bernardo. 1985. Uomo Cultura Società. Introduzione agli studi etnoantropologici, Milano: Franco Angeli, pp.91,92. 16 Bernardi, Bernardo. op. cit. p. 92. 17 Diossido di Titanio (TiO2), utilizzato nella produzione di titanio. 18 La SLST ottenne i diritti esclusivi di estrazione e prospezione per 99 anni. 19 Durante la Seconda Guerra Mondiale moltissimi africani combatterono al fianco delle potenze coloniali nei principali campi di battaglia, lontani migliaia di chilometri e i sierraleonesi si resero conto del valore economico dei diamanti sul mercato mondiale. 20 Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. 2000. The Heart of the Matter: Sierra Leone, Diamonds & Human Security. Ottawa: Partnership Africa Canada, p. 42 22 1956 erano presenti circa 75.00021 minatori illegali immigrati nel distretto di Kono, che diedero impulso al contrabbando dei diamanti attraverso il confine con la Liberia causando grandi perdite per lo Stato.22 Nei distretti si formarono bande di centinaia di giovani che estraevano dai terreni della SLST ed erano pronti a scontrarsi con la polizia, così che lo Stato fu costretto a negoziare la fine del monopolio e introdurre un sistema di sfruttamento basato su licenze concesse ai singoli individui.23 In questo sistema si distinsero i supporters, prevalentemente libanesi, che possedevano le risorse per acquisire le licenze per operazioni minerarie di piccola scala, dai tributors, i lavoratori, solitamente giovani sierraleonesi. La manodopera giovanile che immigrava nei distretti, non solo per l’estrazione ma anche per rispondere alla domanda di servizi (divertimenti, alimentari, manutenzione) causò una grave perdita per l’agricoltura del paese che, a partire dal 1955, si trasformò da esportatore di riso a importatore. I giovani nei distretti minerari scoprirono che le possibilità di guadagno erano poco più redditizie che nelle campagne, perchè il sistema delle licenze li legava ad una fitta rete di sponsor che garantiva loro protezione e che forniva gli strumenti per lavare la ghiaia. La bassa retribuzione non permetteva di acquistare gli strumenti di lavoro e tanto meno di diventare titolari di una licenza, ma lavorando nelle miniere di diamanti era sempre viva la speranza di trovare gemme particolarmente preziose. La maggior parte dei giovani che arrivavano nei distretti venivano dalle campagne e non possedevano un titolo di studio, alcuni invece erano diplomati o anche laureati in cerca di fortuna o rimasti senza lavoro. I giovani preferivano vivere nei distretti minerari piuttosto che nelle aree rurali, perchè la vita poteva essere condotta secondo 21 Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. Ibidem. I diamanti, che si prestano ad essere facilmente nascosti e trasportati, venivano venduti in Liberia, a Monrovia, dove si ricavavano maggiori guadagni. Il controllo statale dei siti di estrazione era quasi impossibile 23 Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. Ibidem. 22 23 standard moderni ed era molto più vivibile, anche se a volte poteva diventare pericolosamente violenta.24 Nelle città principali dei distretti si erano sviluppate attività commerciali e artigianali e non mancavano le occasioni di divertimento, come la possibilità di assistere a proiezioni cinematografiche o televisive durante il fine settimana, quando si andava a fare acquisti, ma spesso i luoghi di estrazione erano talmente inoltrati nella foresta da necessitare ore di viaggio prima di giungere in città. Durante la Prima Guerra del Golfo erano molto seguite le registrazioni della CNN fatte tramite una televisione satellitare e proiettate in un cinema, nella città di Bo, dove ebbe luogo anche una piccola manifestazione anti-Saddam, che secondo Richards poteva rappresentare un’oscura protesta contro i commercianti libanesi.25 I giovani facevano largo uso di alcolici e droghe, soprattutto cannabis ma anche cocaina e crack, e si intrattenevano con il gioco d’azzardo. L’accesso alle comunicazioni e ai mass media non era del tutto assente neanche nelle miniere inoltrate nella foresta: chi aveva la curiosità per la politica contemporanea poteva ascoltare il programma radio della BBC, Focus on Africa, trasmesso su onde corte. Nel fine settimana si poteva assistere a proiezioni video itineranti, Richards nel 1991 intervistò due trentenni, Abdul e Issa, che vivevano spostandosi lungo le remote località minerarie al confine con la Liberia proiettando film tramite un’attrezzatura noleggiata alimentata da un generatore portatile. I giovani nelle città All’ inizio del novecento, durante il periodo coloniale, i giovani che vivevano a Freetown e che non potevano permettersi di studiare, i disoccupati e i lavoratori urbani vennero emarginati dalla società e diedero origine ad una subcultura denominata Rarray Boys. I Rarray 24 25 Richards, Paul. op. cit. p. 49 Richards, Paul. op. cit. p. 102 24 Boys (letteralmente giovani uomini che vagano per le strade)26 si compattarono attorno ai ghetti (Pote) che si formarono nell’Est e West-End di Freetown e adottarono come forma di divertimento urbano quella delle Odelay society, una specie di carnevale mascherato. Il gruppo degli emarginati viveva giorno per giorno grazie a furti, vagabondaggio, lavori casuali come il trasporto delle barche ai moli o la vendita ambulante.27 La microcriminalità individuale era molto diffusa, rivolta soprattutto verso altri membri del ghetto, la violenza, il gioco d’azzardo e l’utilizzo di droghe quali marijuana erano elementi caratteristici di questa subcultura. I ragazzi erano soliti incontrarsi nelle zone dei mercati, al cinema, nelle spiagge e vicino ai moli,28 a partire dagli anni sessanta iniziarono ad aprire i primi Pubs nei ghetti, che diventarono i luoghi per eccellenza di vendita di liquori e marijuana. I Rarray Boys, che erano prevalentemente analfabeti, non produssero una critica costruttiva della società né un programma di cambiamento politico, tuttavia influenzarono la cultura creola in due modi. In primo luogo contribuirono allo sviluppo della lingua Krio, in secondo luogo alcuni caratteri della subcultura dell’emarginazione vennero assimilati e rielaborati dai giovani studenti. I giovani e la crisi dello stato patrimoniale La crisi nei distretti minerari Durante gli anni sessanta, con la vittoria delle elezioni da parte del partito All People’s Congress (APC), fu portato all’esasperazione il sistema patrimonialista, che aveva già preso forma durante gli anni di 26 Zack Williams, Alfred. B. 2001. Child Soldiers in the Civil War in Sierra Leone, in “Review of African Political Economy”, 87, p. 73. Invece per I. Abdullah, un antropologo formatosi al FBC di Freetown, la parola Rarray Boy è un sinonimo di “classe sociale bassa” o sottoproletariato (Lumpen). Ibrahim, Abdullah. 1998. Bush Path to Destruction: The Origin and Character of the Revolutionary United Front/Sierra Leone, in “The Journal of Modern African Studies”, 36(2), p. 208. 27 Zack Williams, Alfred. B. Ibidem. 28 Zack Williams, Alfred. B. Ibidem. 25 governo del Sierra Leone People’s Party (SLPP). Il leader dell’APC, Stevens, ridistribuiva le risorse del paese in cambio di lealtà politica ed esercitando un potere paternalistico, si faceva chiamare “Pa” e invitava le persone a rivolgere direttamente a lui le richieste. Esemplare è l’aneddoto raccontato da Richards29 di Stevens che invitava gli studenti a chiedere a lui direttamente il prestito di generatori elettrici per sopperire alla mancanza di luce nei collegi, anziché rivolgersi ai politici locali che non avevano le risorse necessarie. Nel paese non venne avviato un processo di istituzionalizzazione e i compiti più difficili per la costruzione della nazione, come organizzare le comunicazioni, l’educazione e l’assistenza medica, vennero lasciati in mano alle compagnie concessionarie. Le risorse generate dalla ricchezza mineraria venivano usate in primis per mantenere la fedeltà dell’esercito e della polizia, poi per tenere in vita lo Stato ombra, cioè il sistema redistributivo delle reti patrimoniali. Il sistema politico, basato su di un governo parlamentare, doveva apparire agli occhi degli osservatori esterni come moderno e responsabile al fine di ottenere gli aiuti internazionali. La crisi dello stato patrimoniale si verificò a fine anni settanta, quando le miniere più ricche di Yangema e Marampa si esaurirono e le imprese straniere chiusero, causando uno shock per l’economia formale del paese poiché la principale fonte di reddito divenne il lavaggio dei diamanti alluvionali con tecniche pre-industriali.30 A partire da questo momento il livello di vita nei distretti minerari iniziò a degradare rapidamente. Lo Stato non si era preoccupato di garantire i servizi necessari a livello di infrastrutture e educazione nei villaggi più remoti, dove i padri che vi si erano trasferiti iniziavano a comprendere che per i figli non ci sarebbe stata possibilità di istruzione. L’abbandono a se stesse delle zone più remote del paese fu 29 30 Richards, Paul. op. cit. p. 35. Richards, Paul. op. cit. 41. 26 un grave errore commesso dallo Stato sierraleonese che il RUF sfruttò per costruire la propria forza. Richards racconta della visita compiuta nel paese di Pandebu, nel 1989, allo scopo di sottolineare l’importanza che la costruzione di strade e scuole avrebbero avuto nell’evitare la disgregazione della società. Il paese, situato all’interno della foresta nel distretto di Nomo, è l’ultimo paese della Sierra Leone. Separato dalla Liberia dal fiume Mano è raggiungibile solo con una giornata di cammino dalla città più vicina, Faama, mentre è collegato meglio alla capitale liberiana, Monrovia, dove vengono venduti i diamanti estratti. Molti degli abitanti di Pendebu anche se possiedono la doppia cittadinanza, sono in realtà abbandonati da entrambi gli Stati. In questi paesi sperduti nella foresta la maggior parte dei tributors si fermano solo il tempo necessario per estrarre i diamanti e si spostano una volta esauriti i giacimenti. Spesso non c’è tempo a sufficienza perchè si crei un senso di appartenenza alla comunità locale, per cui lo Stato dovrebbe preoccuparsi di arrivare in questi territori e sviluppare un’identità nazionale. Lo Stato aveva puntato tutto sullo sfruttamento minerario senza adottare un’adeguata politica agraria che permettesse la fornitura di generi alimentari ai distretti minerari; il riso veniva quasi completamente importato e ciò causò una cronica mancanza di divisa straniera e il ristagno del settore agricolo. Le migliaia di giovani che avevano trovato un po’ di modernità nei distretti minerari non erano assolutamente intenzionati a tornare alla vita nei campi. Questi giovani, che vivevano nelle aree diamantifere più remote della Sierra Leone e nelle foreste al confine con la Liberia, furono etichettati dal RUF come potenziali alleati nella ribellione contro lo Stato. Effettivamente la maggior parte dei volontari che lottarono a fianco del RUF provenivano da questi distretti, ma questi distretti furono soprattutto il luogo privilegiato in cui il RUF reclutava bambini soldato con la violenza. 27 I giovani urbani dalla ribellione alla rivoluzione Il declino dell’economia mineraria negli anni settanta rese il paese sempre più dipendente dai finanziamenti provenienti dalla Guerra Fredda. Nel 1978 il governo dell’APC introdusse un sistema politico a partito unico e la possibilità di ritorno al multipartitismo31 fu stroncata dallo scoppio della guerra. I programmi di aggiustamento strutturale avviati dal paese negli anni ottanta hanno causarono il definitivo collasso dello Stato e della società civile. I tagli alla spesa pubblica implicarono una drastica riduzione dei servizi sociali, così che l’istruzione divenne un privilegio per pochi, i tagli alle importazioni significarono un aumento del prezzo del riso. Le ridotte risorse che erano rimaste al sistema patrimoniale dovevano essere usate per mantenere la lealtà dell’esercito, il sistema non aveva più la capacità di distribuzione che lo aveva fatto prosperare. A partire dal 1977 l’opposizione studentesca urbana iniziò a protestare con manifestazioni di piazza. La delegittimazione del regime si manifestò nelle richieste di aperture democratiche e di accesso alle risorse educative e sociali. Per i giovani istruiti non vi erano più possibilità di ottenere un lavoro dal governo né di seguire un percorso di formazione professionale, non si potevano ottenere piccoli prestiti per potere avviare attività commerciali. I giovani si sentivano tagliati fuori dalla città, stretti fra l’alternativa di vita in un distretto minerario o nelle campagne. E’ proprio fra questi giovani attivisti, e in particolare fra gli studenti del Fouray Bay College (FBC) di Freetown che prese forma una cultura di opposizione al modello politico sierraleonese che si poneva l’obiettivo di sradicarlo tramite la violenza sociale collettiva, una cultura rivoluzionaria che scelse la violenza come sistema di cambiamento sociale. 31 La possibilità di ritorno al multipartitismo si presentò all’inizio degli anni novanta quando, a causa della crisi sovietica, la Sierra Leone fu costretta a negoziare dei finanziamenti con le organizzazioni internazionali e quindi a rispettare alcuni standard democratici per ottenerli. 28 A causa della repressione politica e del fallimento dello stato, crollarono le barriere che separavano la cultura principale o mainstream, quella degli studenti delle scuole superiori, dalla subcultura giovanile, quella dei Rarray Boys. Si formò così una ‘comunità immaginata’ attorno ai ghetti e alle feste mascherate, dove la classe media si incontrava con gli emarginati per ascoltare musica, ballare, bere birra, stare in compagnia, praticare l’amore libero e fumare marijuana. L’incontro fra questi giovani fu anche favorito dal contesto globale, che negli anni settanta vide, soprattutto nei paesi industrializzati, la diffusione delle subculture Hippie, Beat e Rock, che erano trasversali rispetto alla classe sociale. I nuovi gruppi che si formarono erano politicamente più consapevoli dei Rarray Boys e iniziarono a parlare di anticonformismo e radicalismo, aggiungendo alla cultura dei ghetti un connotato politico. Si avvicinarono alle idee rivoluzionarie di Marx e Fanon, di Castro e Guevara, lessero i classici del Panafricanismo come Nkrumah e Garvey.32 Discussero dei problemi della nazione: la corruzione dei politici, la repressione del regime e l’avidità dei libanesi. Il passaggio dalla presa di coscienza politica e dalla critica della società all’azione avvenne durante gli anni ottanta. I giovani del college si unirono attorno alle idee del Green Book di Gheddafi e del Panafricanismo formando una nuova ‘comunità immaginata’ che si opponeva allo status quo. Questi giovani non erano più dei teppisti ribelli, ma diventarono dei rivoluzionari animati dallo spirito di fratellanza e di unità. La parola chiave era diventata quella della trasformazione della società attraverso la rivoluzione violenta e alcuni ragazzi decisero di prendere le armi e attaccarono il paese. Il Green Book, pubblicato da Gheddafi nel 1975, teorizzava una forma di Stato africana alternativa a democrazia e autoritarismo, una forma totalitaria chiamata ‘terza via’. Le idee radicali di questo 32 Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip (Edited by). 2005. Makers & Breakers: Children and Youth in Postcolonial Africa. Oxford: James Currey. p.182 29 progetto furono discusse all’interno del FBC nel ‘Gardeners’ Club’. Secondo Gheddafi la democrazia parlamentare e il sistema politico democratico erano strumenti di potere della tirannia della maggioranza, quindi propose un sistema di democrazia diretta nel quale l’autorità risiede nel popolo, fondato su conferenze popolari e organizzazioni corporative, privo di organizzazioni politiche. Gheddafi adotta un modello economico socialista, nel quale sono aboliti il profitto e l’accumulazione ma dove ognuno ha diritto ad una casa, al cibo, alla salute e ai trasporti. Il Panafricanismo venne discusso dalla Pan-African Union of Sierra Leone (PANAFU), fondata all’interno del FBC nel 1982. L’unione riunì i giovani appartenenti a varie categorie: studenti, disoccupati, lavoratori, ed aveva fine educativo. Organizzò dei gruppi di studio sui temi del neocolonialismo, dell’apartheid e del sionismo e non è del tutto sicura la sua complicità con il RUF. Come ci fa notare Honwana, a differenza delle altre organizzazioni la PANAFU condannò l’uso di droghe e rifiutò l’idea della rivoluzione almeno dopo il 1985,33 mentre Richards rileva che: “I portavoci del RUF a volte usano il linguaggio inflessibile e radicale della PANAFU.”34 Dopo un periodo di esilio in Liberia durante il quale impararono le tattiche della guerriglia e finanziati dal leader del National Patriotic Front of Liberia (NPFL), C. Taylor, i giovani fondarono il RUF. Il leader del RUF, Foday Sankoh, era un ex caporale dell’esercito della Sierra Leone. Sankoh aveva vissuto gli anni della recessione dello Stato a Segbwema, nel distretto di Kailahun, prendendo confidenza con l’ambiente delle foreste e avvicinandosi ai sentimenti politici dei giovani nei distretti minerari. 33 34 Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip (Edited by). Op. cit. p.183 Richards, Paul. 1996. op. cit. p. 53 30 Conclusioni Per la Sierra Leone gli anni novanta rappresentano il ‘decennio perduto’35: dopo l’insurrezione del RUF nel 1991 il paese subisce un colpo di stato da parte di giovani ufficiali nel 1992 che instaurano una giunta militare denominata National Provisional Rouling Country (NPRC). Il NPRC, che ottiene ampio sostegno soprattutto dei giovani, perchè si propone di riportare la pace e di riformare lo Stato, si dimostra incapace di mantenere le promesse. Dopo un breve ritorno alla democrazia con le elezioni del 1996, che portano al governo il presidente Ahmed Tejan Kabbah esponente del SLPP, il governo viene rovesciato nel 1997 da un’alleanza fra alcuni quadri del RUF e delle forze armate (RSLMF) che danno vita al Armed Forces Revolutionary Cuncil (APRC), regime diretto dal generale Johnny Paul Koroma. Il governo del generale A. T. Kabbah viene ripristinato nel 1998 grazie all’intervento del contingente armato della ECOWAS (Economic Community of West African States), l’ECOMOG (Economic Community of West African States Monitoring Group). Nel 1999 il RUF entra a Freetown sterminando la popolazione e causando migliaia di profughi. Abbiamo visto in questo capitolo che i motivi della rivoluzione sono in primo luogo collegati alla disgregazione dello Stato, all’incapacità di offrire un futuro di istruzione e lavoro ai suoi giovani volenterosi, che vivono in realtà moderne e globalizzate, per quanto remote siano, caratterizzate da una storia secolare di rapporti commerciali e culturali con il resto del mondo. Nel prossimo capitolo continueremo il viaggio alla scoperta dell’identità giovanile con particolare attenzione ai giovani combattenti, ai motivi che li hanno portati ad arruolarsi e alle loro aspettative, alla vita militare, ma anche ai processi di transizione identitaria a cui sono stati sottoposti nel passaggio dalla vita civile alla vita militare e viceversa. 35 Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip. (Edited by). op. cit. p.186. 31 I giovani combattenti Quando i ribelli del RUF sferrarono il primo attacco contro i paesi al confine con la Liberia, il 3 Marzo 1991, erano un piccolo gruppo di un centinaio di persone e anche l’esercito nazionale, la Sierra Leone Army (SLA), era molto debole.1 Con il prolungarsi del conflitto, che è durato un decennio, migliaia di persone furono militarizzate, fra cui bambini e giovani di entrambi i sessi. Il numero totale dei combattenti è stato stimato fra i 50.000 e i 75.000;2 la metà dei guerriglieri del RUF avevano un età compresa fra gli otto e i quattordici anni.3 Il RUF catturava i giovani che riteneva potenziali reclute per la sua causa soprattutto nei distretti minerari4 e attraverso un processo di indottrinamento li rendeva abili e coraggiosi combattenti. Anche l’esercito della Sierra Leone iniziò a reclutare i giovani nei distretti minerari quando capì che poteva privare il RUF della sua risorsa principale, e così molti irregolari5 entrarono in forza nelle RSLMF. Anche le milizie civili,6 formazioni armate organizzate su base etnica per combattere il RUF, come i Tamaboro del Nord oppure i Kamajoisia del Sud, erano aperte ai giovani combattenti. 1 Richards, Paul and Peters, Krijn. 1998. Why We Fight: Voices Of Youth Combatants in Sierra Leone, in “Africa” 68(2). p. 186 2 Richards, Paul and Peters, Krijn. Ibidem. 3 Richards, Paul and Peters, Krijn. Ibidem. 4 Il RUF rapiva giovani in ogni villaggio o città che attaccava, ad esempio quando attaccò la città di Kambia, nel Nord-Ovest del paese al confine con la Guinea, reclutò un centinaio di bambini. Nell’attacco a Freetown del Gennaio 1999 in una settimana reclutò circa 3000 bambini. 5 Gli irregolari sono giovani reclutati e addestrati sul fronte di guerra dagli ufficiali dell’esercito, spesso come guardie del corpo personali. La pratica potrebbe essere nata nel contesto di fornire assistenza materiale alle vedove e agli orfani di guerra, dove gli aiuti ufficiali non arrivavano. Richards racconta di avere scoperto che un ufficiale delle RSLMF, sul fronte di guerra, nutriva ogni giorno un battaglione di circa cinquanta bambini, orfani o abbandonati durante la fuga. Richards, Paul and , Peters. op. cit. p. 88 6 Le milizie civili erano formate da cacciatori tradizionali al servizio dei paramount chief per la difesa dei villaggi. 32 Sia il RUF che le RSLMF arruolarono giovani ragazze e bambine che, anche se si dimostrarono coraggiose combattenti, non vennero risparmiate da ripetute violenze e dalla riduzione in schiavitù. In questo capitolo analizzerò il rapporto dei giovani con la guerra, in relazione alla guerra civile in Sierra Leone, basandomi su alcune ricerche che utilizzano l’approccio antropologico, che a mio avviso hanno fornito un contributo di grande valore sia per la comprensione del problema che per la definizione di un framework concettuale utile per la formulazione di progetti di reintegrazione dei giovani combattenti nella società. Perchè scegliere l’approccio antropologico La rappresentazione del bambino soldato adottata nei discorsi pubblici e dai media, è prevalentemente associata alle categoria di vittima o a quella di colpevole. Nella prospettiva che vede i bambini soldato come colpevoli, diavoli, banditi e parassiti, i giovani che si arruolano sono considerati come intrinsecamente inclini alla violenza, privi dei rudimenti per affrontare una vita in società,7 alla stregua dei ragazzi di W. Golding ne “Il signore delle mosche”. Richards e Peters osservano che spesso la stigmatizzazione è influenzata da una componente di classe: le elite urbane descrivono come barbari i giovani rurali che solitamente sono meno educati, più poveri e più propensi ad arruolarsi. Nella prospettiva che rappresenta i bambini soldato come vittime, adottata in particolare dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, i giovani sono pedine nelle mani dei signori della guerra (warlords), esecutori forzati di ordini contro la propria volontà, senza capacità di lettura e analisi politica della realtà, incapaci di attuare scelte razionali. 7 Denov, Myriam. 2007. Turnings and Epiphanies: Militarization, Life Histories, and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers in Sierra Leone, in “Journal of Youth Studies”, 10(2), p. 244 33 Nella tutela internazionale dei diritti del fanciullo la necessità di stabilire standard globali di protezione ha portato a uniformare l’identità del fanciullo come “[...] ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni [...]”,8 mutuando l’universalismo occidentale. Se si considera il bambino come una creatura vulnerabile che non è in grado di agire autonomamente, che non possiede razionalità, allora è naturale che il bambino soldato ci appaia come una vittima. Certamente sono vittime i giovani combattenti reclutati forzatamente dal RUF, ma lo sono anche i giovani che si arruolano volontariamente, dimostrando una precisa volontà ed esercitando la propria capacità di scelta (agency)? L’approccio antropologico ci permette di analizzare criticamente le esperienze dei giovani combattenti attraverso la loro collocazione nel contesto storico e sociale di origine, ci aiuta a comprendere che l’identità del giovane combattente può occupare una posizione intermedia fra la colpevolizzazione e la vittimizzazione. Difendendo il concetto di infanzia come categoria sociale, culturale e storica, variabile nello spazio e nel tempo, non universalizzabile, allora anche lo studio del rapporto dei giovani con la guerra deve essere contestualizzato. Come nota Rosen, Wilson ha osservato che la decontestualizzazione è di fondamentale importanza nelle relazioni redatte nell’ambito della difesa dei diritti umani, mentre l’obiettivo dell’antropologia è quello di “ripristinare soggettività, valori e memorie locali e [analizzare] i più ampi processi sociali globali in cui la violenza si radica”.9 8 Convention on the Rights of the Child (CRC), 20/09/1989, Art.1, http://www2.ohchr.org/english/law/crc.htm 9 Rosen, David M. 2005. Armies of the Young: Child Soldiers in War and Terrorism. Piscataway, New Jersey: Rutgers University Press. Traduzione italiana di Barbara Del Mercato. 2007. Un esercito di bambini. Giovani soldati nei conflitti internazionali. Milano: Raffaello Cortina. p. 3 34 Le principali ricerche antropologiche Gli approcci etno-antropologici ai quali mi riferisco in questo lavoro sono basati su interviste e racconti di storie di vita dei giovani combattenti e sull’analisi di materiale statistico riguardante il rapporto fra i giovani e i media. Per quanto riguarda le interviste mi riferisco alla ricerca condotta da Paul Richards e Krijn Peters nel 199810 che si basa sulla pubblicazione di nove delle ventidue interviste a ex-bambini soldato raccolte e effettuate da Richards e Peters. Le interviste ci permettono di ascoltare il racconto delle esperienze vissute in prima persona dai ragazzi e di fare luce sugli aspetti fondamentali della questione dei giovani combattenti. Richards e Peters rilevano che “molti combattenti minorenni scelgono consapevolmente di combattere e difendono la propria scelta, a volte orgogliosamente”, facendoci meditare sulla tendenza a vittimizzare il giovane combattente. Vedremo quali sono i motivi che li spingono a combattere. Per quanto riguarda i racconti ritengo molto interessante l’approccio alle storie di vita utilizzato da Denov Myriam e Maclure Richard11 nella ricerca pubblicata nel 2007. Il lavoro si basa sulla ricostruzione della complessità dei percorsi identitari che i ragazzi devono affrontare quando vengono trascinati nella vita militare e successivamente rilasciati per tornare alla vita normale. Infine la raccolta e l’analisi di materiale statistico ha permesso a Richards12 di fornirci una lettura della gioventù e della società sierraleonese integrata al contesto della globalizzazione, e non formata da molecole perdute, indispensabile al fine di potere indirizzare con 10 Richards, Paul and Peters, Krijn. 1998. Why We Fight: Voices Of Youth Combatants in Sierra Leone, in “Africa” 68(2). 11 Denov, Myriam & Maclure, Richard. 2007. Turnings and Epiphanies: Militarization, Life Histories, and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers in Sierra Leone, in “Journal of Youth Studies”, 10(2). 12 Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey. 35 successo gli sforzi per la risoluzione del conflitto e la reintegrazione dei giovani combattenti. Gli studi effettuati sono importanti perchè mettono in primo piano la capacità di scelta dei giovani (agency) nei contesti di conflitto, perchè restituiscono ai bambini soldato la dimensione di soggetti attivi nella propria vita, di attori razionali capaci di comprensione della realtà. Le interviste ai giovani ex-combattenti Le interviste condotte da Richards e Peters sono finalizzate a fare luce su alcuni degli aspetti del rapporto giovani e guerra quali: le cause dell’arruolamento, le tattiche di combattimento, i ruoli assunti dai giovani combattenti, la questione di genere, le letture della situazione politica sierraleonese, le opinioni sul processo di reintegrazione e le speranze per il futuro. Le interviste sono state raccolte nel 1996, dopo le elezioni democratiche che avevano portato al governo il presidente Ahmad Tejah Kabbah. Il governo e il RUF avevano stipulato l’accordo di pace di Abidjan, nel quale era prevista l’istituzione di centri di smobilitazione e reintegrazione per i combattenti. Alcuni degli intervistati sono bambini inseriti nel programma “Children Associated with the War” (CAW) di Freetown, altri si trovavano al campo di smobilitazione di Grafton ma sono stati intervistati anche giovani non inseriti nei programmi di reintegrazione. Per offrire una panoramica il più possibile esauriente sono stati intervistati ragazzi che hanno combattuto in tutte le formazioni militari presenti in Sierra Leone: giovani arruolatisi volontariamente nelle RSLMF e nelle forze di difesa civili e ragazzi costretti con la forza a combattere nel RUF. Poiché considererò il caso particolare dei giovani arruolati nel RUF con la forza nel secondo capitolo, i dati dei paragrafi seguenti sono relativi ai giovani combattenti delle RSLMF e delle CDF. 36 Perchè ci siamo arruolati Le interviste ci rivelano alcune delle cause che portano i giovani ad arruolarsi volontariamente. La vendetta e la difesa della madre patria spiccano fra le motivazione dei volontari delle RSLMF, soprattutto fra i ragazzi che provengono da un ambiente rurale, ad esempio dai distretti di Kailahun e Kono (interviste 1,2,3). Questi ragazzi sono riusciti a scappare dall’attacco del RUF ai propri villaggi, ma hanno perso i contatti con la famiglia, che è fuggita o è stata sterminata, a volte sotto gli occhi dei figli stessi. A volte i giovani venivano catturati e assistevano alle violenze compiute sui genitori e sui fratelli e solo in un secondo momento riuscivano a scappare, oppure trovavano i cadaveri dei familiari e le abitazioni svuotate quando tornavano al villaggio dopo essere scappati nella foresta, sempre che il villaggio non fosse stato bruciato. Un’altra colpa di cui si è macchiato il RUF e che ha suscitato desiderio di vendetta è quella di avere bloccato il processo educativo dei giovani, che ripongono nell’istruzione grandi impegno e speranze, causando la chiusura delle scuole (int. 1,5). La maggior parte dei ragazzi intervistati, al momento dell’arruolamento volontario frequentava un corso scolastico equivalente alla scuola media italiana (ragazzi di età compresa fra i 12 e i 14 anni) o alla scuola superiore (ragazzi di età compresa fra i 15 e i 17 anni) e alcuni sognavano un futuro ambizioso, ad esempio come dottore o come ingegnere meccanico. I giovani sono spinti ad arruolarsi anche a causa della povertà che la guerra genera. Ad esempio un giovane (int. 4), figlio di un minatore di diamanti di Kono costretto a fuggire dalla propria casa e a vivere come rifugiato interno, decide di arruolarsi nelle RSLMF perchè il padre non lo può più mantenere. Il caso di questo ragazzo potrebbe essere strumentale per chi sostiene la tesi della colpevolezza dei bambini soldato, infatti, il giovane era già prima della guerra incline alla violenza poiché frequentava un gruppo di Rarray Boys, e prima di 37 arruolarsi nell’esercito vagò cinque giorni con una banda (i Boy Scouts) vivendo di furti. All’interno delle forze armate il giovane si sente libero di fare ciò che vuole, perchè può rubare ciò che desidera ai civili e violentare le donne. La vita militare offre alcuni vantaggi a questi giovani che si ritrovano senza una famiglia a doversi fronteggiare con la vita, come una maggiore libertà, la possibilità di ricevere un training e di imparare delle cose come salvare la vita e la proprietà, una paga mensile per acquistare bevande e sigarette, la disponibilità di generi alimentari (int. 1). Le osservazioni di Jourdan confermano quanto affermato: “Diventare soldati [...] costituisce un tentativo di accedere alla modernità nei suoi aspetti materiali e soprattutto simbolici, allo scopo di sottrarsi a una condizione di esclusione e passività.”13 ”La voglia di procurarsi soldi con facilità è una risposta ad un contesto privo di opportunità lavorative e dove il sistema scolastico, completamente allo sfascio, rappresenta un costo insostenibile per buona parte delle famiglie.”14 Alcuni ragazzi hanno risposto alla chiamata alle armi da parte delle milizie civili come le Kamajoisia, ed hanno combattuto per difendere i diritti sulla propria terra. La discriminazione di genere Le donne in tempo di guerra in Sierra Leone sono state oggetto di violenza di genere perchè oltre a subire le mutilazioni e gli orrori ai quali venivano sottoposti anche gli uomini, erano usate come strumenti sessuali. Anche all’interno delle formazioni militari la donna era considerata come un oggetto nonostante dimostrasse di essere un combattente valoroso: al rientro nell’accampamento i suoi ruoli tornavano ad essere prettamente quelli sessuali, le ragazze venivano ripetutamente violentate (int. 2,3) e venivano trattate come schiave. La 13 Jourdan, Luca. 2004. Guerra, giovani e identità nel Nord Kivu: un approccio antropologico, in Afriche e Orienti, No. 1-2, Anno VI, pp. 120 14 Jourdan, Luca. op. cit. p.130 38 discriminazione di genere non si è manifestata solo nel processo di militarizzazione ma anche in quello di reintegrazione. La maggior parte delle combattenti non hanno avuto accesso ai programmi di reintegrazione e per le donne la riconciliazione con le comunità è stata molto più difficile e problematica che per gli uomini. L’analisi politica della guerra La comprensione politica degli avvenimenti dipende da alcuni fattori quali l’età e l’educazione. I teenager hanno maggiore conoscenza e spirito di osservazione ma i bambini sono ignari del motivo per cui combattono. Il più giovane degli intervistati, che aveva dodici anni al momento del primo arruolamento e quattordici quando è stato intervistato, ha vissuto un’esperienza comune a molti bambini soldato, quella di ritrovarsi a combattere su entrambi i fronti, sia per le RSLMF che per il RUF, senza comprendere i motivi della guerra (int. 6). Fra gli intervistati solo un giovane di sedici anni fornisce un’articolata analisi politica della situazione sierraleonese (int. 5). E’ convinto che i membri del RUF siano studenti, per il fatto che scrivono biglietti e messaggi contenenti i loro obiettivi, e che la rivoluzione sia diretta contro lo stato patrimoniale, che li ha privati dell’istruzione e delle libertà democratiche. Anche se ritiene che i motivi della ribellione siano condivisibili, l’adozione di metodi violenti ha causato la perdita del consenso popolare e il fallimento della rivoluzione. Questa intervista è di fondamentale importanza al fine della comprensione della guerra in Sierra Leone perchè ci dimostra come l’analisi fornita da un ragazzo di sedici anni, che ha vissuto le ostilità in prima persona, si discosti da interpretazioni date da studiosi internazionali, che non hanno considerato i fattori culturali e sociali ma solo quelli economici e demografici, come il controllo del traffico di diamanti. 39 Le idee sul processo di smobilitazione e reintegrazione I ragazzi sono generalmente attratti positivamente dall’idea di un percorso di reintegrazione nella società, sono felici di abbandonare la vita militare e potere ricevere training formativo. Le opinioni sul processo di reintegrazione in corso tuttavia variano a seconda delle singole esperienze. Alcuni ragazzi si trovano bene nel campo di smobilitazione (int. 4) dove si sentono trattati come figli, altri invece si sarebbero aspettati di più in termini di possibilità di recupero degli anni di istruzione perduti e appaiono veramente scoraggiati tanto da essere tentati a tornare nei propri paesi (int. 5). Per i giovani che hanno maturato un forte desiderio di vendetta, l’offerta di formazione professionale ed educazione non hanno fatto da deterrente alla lotta, infatti alcuni degli intervistati sono tornati a combattere in seguito all’interruzione del cessate il fuoco, nonostante fossero già stati smobilitati (int. 1). Il Futuro La maggior parte dei giovani intervistati, che allo scoppio della guerra ha dovuto interrompere il percorso scolastico, vorrebbe potere finire gli studi. Molti ragazzi sono consapevoli di essere già troppo grandi per dedicarsi allo studio e non possono farlo per mancanza di risorse, in questo caso l’unica speranza sarebbe quella di trovare uno sponsor. I giovani hanno il desiderio di avviare un’attività lavorativa per potersi mantenere e alcuni hanno il desiderio di fare qualcosa di utile per la propria comunità (int. 4,5,6), come ad esempio diventare infermiere per aiutare i propri concittadini, carpentiere per ricostruire i villaggi distrutti, aiutare il proprio paese a svilupparsi. Le storie di vita L’approccio alle storie di vita, utilizzato da M. Denov e R. Maclure, è basato sulla raccolta di riflessioni e interpretazioni delle esperienze personali vissute dai giovani combattenti. Se le interviste hanno 40 l’obiettivo di farci conoscere le dinamiche in un determinato intervallo temporale, le storie di vita permettono di costruire un ponte fra le esperienze biografiche del passato, del presente e le visioni del futuro, dando origine ad una narrativa di vita. Gli autori della ricerca evidenziano come la perpetuazione di rappresentazioni archetipiche di vittima o colpevole, anche se hanno lo scopo di prevenire il reclutamento dei giovani o di sensibilizzare l’opinione pubblica, contribuiscano poco alla comprensione della complessità delle esperienze dei bambini soldato.15 L’approccio delle storie di vita permette di analizzare la complessità dei processi sociali che si verificano passando dalla vita normale ad un sistema sociale militarizzato e viceversa, utilizzando un framework concettuale basato sugli aspetti del cambiamento e dell’adattamento ai nuovi ruoli. Questo approccio, che pone l’attenzione sul percorso di cambiamento identitario, secondo gli autori è stato sotto-utilizzato, inoltre notano come le esperienze fino ad ora meno documentate siano quelle vissute dai giovani che hanno partecipato ai processi di reintegrazione.16 La ricerca è basata sulla ricostruzione delle storie di vita di un ragazzo, Mohamed, ed una ragazza, Isata, entrambi arruolati forzatamente dal RUF all’età di nove anni, nel 1996, e demilitarizzati all’età di quindici anni al cessare della guerra, nel 2002. Il processo di militarizzazione Il cambiamento nella vita di entrambi i ragazzi avviene quando subiscono la brusca interruzione della propria infanzia, che ricordano come tranquilla e gioiosa, con il rapimento da parte del RUF e la separazione dalle famiglie. E’ l’inizio di un periodo di transizione ad una nuova vita, caratterizzato da terrore, grandi traumi e dalla paura 15 Denov, Myriam & Maclure, Richard. 2007. Turnings and Epiphanies: Militarization, Life Histories, and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers in Sierra Leone, in “Journal of Youth Studies”, 10(2), p. 244 16 Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 243 41 costante di morire.17 Per Isata il periodo di transizione si svolge fra ripetute violenze sessuali da parte di vari membri del RUF, finché non diventa la moglie di un comandante. Per Mohamed la transizione avviene fra ripetute violenze psicologiche e fisiche: minacce di morte come deterrente alla fuga, punizioni corporali per chi mostra segni di paura, assunzione forzata di droghe per aumentare il coraggio, finché non si adatta alla vita nel sistema sociale militare. L’adattamento consiste, per entrambi, nell’acquisizione di nuovi ruoli. Isata oltre ad essere un oggetto di gratificazione sessuale diventa cuoca, lavandaia e portantina di armi e munizioni. Dopo un anno con il RUF diventa una combattente e in questo nuovo ruolo ha la possibilità di usare le armi contro civili inermi, questo le suscita un senso di potere personale, di autostima e di orgoglio che inciderà molto sulla sua vita, anche dopo la smilitarizzazione, quando perderà il potere acquisito. Per Isata diventa normale uccidere e mutilare le vittime, anche senza ragione solo per dimostrare di essere parte del gruppo, partecipare ai rituali di assunzione di droghe in preparazione ai conflitti e ai canti e alle danze dopo le battaglie. L’adattamento di Mohamed avviene mediante il training, l’incitamento e la promessa di premi; la promessa di un buon pagamento in caso di vittoria della rivoluzione lo rese felice e motivato. La redistribuzione di oggetti materiali rubati ai civili come scarpe e vestiti ha un ruolo di primo piano nella fidelizzazione dei giovani alla causa del RUF. Tramite il furto i giovani possono accedere a beni che altrimenti non avrebbero mai avuto. L’offerta di training è vissuta dai ragazzi come un’alternativa al sistema scolastico fallito a causa del crollo dello stato patrimoniale e del mancato pagamento degli stipendi agli insegnanti rurali, considerato che molti 17 Per ridurre le possibilità di ricongiungimento familiare e comunitario, il RUF faceva compiere ai giovani delle atrocità sulle proprie famiglie, pena la morte. In un secondo momento i giovani venivano tatuati per scoraggiarli dallo scappare; se li avessero trovati i soldati delle RSLMF li avrebbero uccisi. 42 giovani rapiti dal RUF nei distretti minerari non avevano più accesso all’istruzione da molto tempo.18 All’interno del sistema militare del RUF si formarono legami fra i ragazzi che condividevano lo stato di coercizione, ma anche fra i ragazzi e i loro comandanti, dai quali i giovani dipendevano per la propria sopravvivenza. Un altro cambiamento nella vita di Mohamed è provocato dal progressivo affezionamento al proprio comandante, che lo porta a riconoscere il RUF come un surrogato della propria famiglia. Infine Mohamed diviene lui stesso un comandante di una small boys unit, raggiungendo l’apice del successo all’interno del RUF e acquisendo potere e orgoglio. Il processo di ritorno alla vita civile Isata e Mohamed seguirono due percorsi diversi di demilitarizzazione. Per entrambi non fu un’esperienza facile, nella quale mostrarono segni di attaccamento identitario alla vita da combattenti. L’adattamento alla vita militare era stato un processo traumatico ma alla fine aveva offerto loro sicurezza, sopravvivenza e senso di appartenenza.19 Il distacco da questi valori e il riadattamento alla vita civile fu un processo ugualmente traumatico, caratterizzato da senso di solitudine, abbandono e senso di colpa. Isata fu trovata insieme ad altri bambini dalla UNAMSIL20 (United Nations Mission in Sierra Leone) e introdotta in un DDRP. Aveva tredici anni ed aspettava un bambino dal comandante che l’aveva abbandonata quando lo aveva scoperto. Mohamed disertò dal RUF quando capì che aveva perso la guerra. 18 Richards, Paul. 1996. op. cit. pp. 28,29 Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 257 20 La UNAMSIL fu istituita il 22 Ottobre 1999 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU allo scopo di cooperare con il Governo della Sierra Leone e altre organizzazioni nell’implementazione degli accordi di pace di Lomé e dei programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione. Il mandato della UNAMSIL è terminato nel Dicembre 2005 ed è stata sostituita da un’altra missione la UNIOSIL (United Nations Integrated Office for Sierra Leone) allo scopo di aiutare il paese nel consolidamento della pace. http://www.un.org/Depts/dpko/missions/unamsil/index.html 19 43 Il comportamento assunto da Isata nel campo dimostrò la difficoltà nel riadattarsi alla vita normale e nell’abbandonare il senso di potere e il ruolo chiave acquisito nel RUF; Isata diventò leader delle ragazze, una posizione di coordinamento e responsabilità che le permetteva di esercitare un certo controllo. Dopo un breve periodo di training professionale si ritrovò da sola a Freetown poiché aveva perso tutti i contatti con la famiglia. A Freetown, dovendo affrontare una nuova vita senza il potere di controllo sugli altri, Isata fu nuovamente presa dalla paura. La paura del proprio passato, di essere stigmatizzata e condannata, e il senso di colpa e di sconfitta la portarono a diventare una persona estremamente timida e insicura. Isata non riuscì a ricostruirsi una vita normale e alla fine, dopo essere riuscita a ricongiungersi con la madre nel Nord del paese, morì a causa di un’infezione non curata.21 Per Mohamed il ritorno alla vita civile fu caratterizzato dalla perdita dei legami che si erano formati con la nuova famiglia (il RUF) e dalla difficoltà di ricostruirsi una vita in un ambiente sociale completamente nuovo. Mohamed riuscì a ricongiungersi subito con i familiari ma per paura della stigmatizzazione non tornò al proprio paese. Le sue prospettive erano nettamente migliori rispetto a quelle di Isata; nel 2003 era tornato a scuola e poteva fare dei progetti per il futuro, tuttavia era ancora legato alla sua identità di ex-soldato del RUF poiché esprimeva il desiderio di incontrare i suoi ragazzi e il suo comandante. I sensi di colpa e la vergogna per la propria esperienza arrivarono anche per Mohamed che si ripromise di non raccontare a nessuno l’esperienza che aveva vissuto. La dimensione espressiva della guerra Nell’opera Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone, Richards sostiene che “ogni tipo di guerra ha la sua dimensione espressiva. Nelle guerre a bassa intensità, in paesi poveri 21 Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 260 44 come la Sierra Leone, la dimensione espressiva può essere molto accentuata”22. La drammaturgia della guerra in Sierra Leone, secondo Richards, merita di essere analizzata nel più ampio contesto sociale e non liquidata come bizzarra,23 come tipicamente fanno i media internazionali. E’ anche tramite l’espressività che i ribelli e i giovani sierraleonesi hanno esternato le proprie posizioni. Una di queste posizioni scaturisce dall’interpretazione che i giovani hanno dato del film di Rambo, First Blood, prodotto nel 1982. I giovani sierraleonesi che hanno partecipato al conflitto, anche quelli provenienti dai distretti rurali e meno educati, sono soggetti alla globalizzazione tramite l’esposizione ai media, radio, televisione e video. Questi giovani reinterpretano i messaggi veicolati dai media adattandoli al proprio contesto sociale e i ribelli hanno cercato di sfruttare queste interpretazioni a proprio favore. Rambo e l’esclusione sociale First Blood narra la storia di un veterano del Vietnam che non riesce a reintegrarsi nella società americana. Viene emarginato e imprigionato, riesce a scappare dalla prigione e si rifugia nella foresta dove si ritrova, solo con sé stesso, a dovere combattere contro le forze di polizia. Per sopravvivere mette in pratica le strategie di guerra e riesce a ribaltare la situazione tendendo imboscate e rubando le armi al nemico. La situazione di guerra di bassa intensità si calma solo quando interviene il suo ex-comandante, che gli offre una possibilità di reintegrazione nella comunità. Il film Rambo ha avuto un grande impatto fra i giovani in Sierra Leone e specialmente nei distretti diamantiferi è uno dei film preferiti 22 Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey. p. 57 23 La rappresentazione più diffusa nei media internazionali sostiene che i giovani combattenti venissero educati alle tattiche militari tramite la visione dei film di guerra, in primo luogo Rambo. Secondo questa tesi i giovani africani sono degli spettatori passivi e degli imitatori, e i prodotti mediatici verrebbero utilizzati negativamente per enfatizzare l’espressione di un’essenziale barbarità africana. 45 dai ragazzi, che lo considerano di grande valore educativo. Il tema principale che Rambo affronta, quello dell’esclusione sociale che genera violenza, è vissuto anche da questi giovani che si sentono tagliati fuori da uno stato patrimoniale sull’orlo del fallimento. I ribelli utilizzarono regolarmente le proiezioni di Rambo come mezzo di ispirazione, intrattenimento, ed educazione dei giovani combattenti alle tattiche di guerra. Ma la figura di Rambo apparve spesso anche nei murales urbani dipinti dai giovani sostenitori del golpe del NPRC. I giovani e i Media Un sondaggio condotto negli anni 1993-94 fra i sierraleonesi, e in particolare fra gli under 30,24 permette di capire quale sia l’impatto dei media sui giovani e comprendere che i giovani in Sierra Leone usano i film, e i media in generale, come strumenti per la costruzione della loro modernità.25 I giovani appaiono bene informati sugli eventi internazionali tramite la televisione, la radio e i giornali e utilizzano i prodotti mediatici globalizzati in maniera costruttiva, reinterpretando il contenuto dei video per adattarlo alle loro necessità sociali. Circa i tre quarti del campione intervistato ha accesso a film e video, il 39 per cento occasionalmente, al massimo una volta al mese, il 57 per cento almeno una volta alla settimana. Anche nei villaggi le persone sono raggiunte dalla televisione e dal cinema, abbiamo visto nel primo capitolo come proiezioni video itineranti raggiungano i giovani minatori nei fine settimana. Il genere di film preferito è il romanzo d’amore indiano o il musical indiano, seguito dai film di guerra, per ultimi Kung Fu e spionaggio. 24 Sinteticamente il campione utilizzato è così formato: 420 intervistati, stessa proporzione fra uomini e donne, provenienti da tre aree diverse del paese: città di Freetown, città di Bo, città di Kambia. Il campione è suddiviso in tre gruppi di età, gli under 30 sono il 73%, e in tre gruppi di educazione formale: nessuna, primaria e professionale, secondaria e post-secondaria. Per maggiori dettagli vedere: Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey. P. 106 25 Richards, Paul. op. cit. p.102 46 Fra i film di guerra il più conosciuto è First Blood ma sono anche graditi i documentari e i telegiornali, come ad esempio la copertura della Guerra del Golfo fornita dalla CNN, il video dell’assassinio del presidente liberiano Doe, un documentario sull’insurrezione in Sierra Leone prodotto da Hilton Fyle. I giovani provano divertimento nel vedere i film indiani perché sono ricchi di musica, balli e storie sentimentali. I film violenti invece piacciono perché gli eroi si oppongono ai cattivi e vincono utilizzando la propria intelligenza. Ma i film hanno anche una funzione educativa perché forniscono dei suggerimenti per affrontare la vita di tutti i giorni. I ragazzi intervistati hanno espresso la convinzione che i film rappresentino una finestra sul mondo globalizzato nel quale si trovano immersi, “che permette di condividere le esperienze di amanti indiani o veterani americani del Vietnam”.26 Le esperienze vissute dai protagonisti dei film vengono reinterpretate e adattate alle storie personali, i giovani sierraleonesi non sono passivi al contatto con la globalizzazione dei media ma li usano costruttivamente attuando delle letture riflessive. Conclusioni Jourdan, relativamente alla relazione fra i giovani combattenti nel Nord Kivu e la guerra, osserva che: La figura del soldato è dunque carica di modernità, essendo, fra le altre cose, il frutto di un’interpretazione locale dell’eroe dei film d’azione, [...]. Attraverso la violenza inoltre il soldato può accedere concretamente alla modernità e ai suoi simboli: si impossessa ad esempio di radio, occhiali da sole, soldi e viaggia gratis sulle mototaxi.27 Credo che queste parole si possano utilizzare anche per descrivere uno degli aspetti dell’identità dei giovani combattenti in Sierra Leone. 26 27 Richards, Paul. op. cit. p.110 Jourdan, Luca. op. cit. p.130 47 Dagli studi antropologici presentati emerge che molti giovani scelgono di combattere autonomamente. E’ quindi possibile sostenere che non esiste un modello interpretativo unico del fenomeno dei bambini soldato: la categoria di giovane combattente, così come quelle di infanzia e adolescenza, deve essere contestualizzata socialmente per essere compresa a fondo. I temi della consapevolezza e della responsabilità hanno un ruolo di primo piano nello studio dell’identità giovanile. La consapevolezza matura con l’età, ma la limitatezza delle scelte a volte rende impercettibile il confine fra arruolamento volontario e forzato. In ogni caso la responsabilità è sempre a carico dei giovani, almeno di quelli più maturi. La vittimizzazione è una generalizzazione che toglie voce ai soggetti, che sono persone in grado di agire per il proprio interesse, trasformandoli in oggetti, che diventano destinatari passivi dei programmi di reintegrazione. Le esperienze di militarizzazione e demilitarizzazione rappresentano entrambe dei profondi traumi per i giovani perchè li sottopongono a bruschi cambiamenti identitari. In particolare l’attenzione per il processo di ritorno alla vita civile ha messo in luce alcuni degli ostacoli che i ragazzi devono affrontare per reintegrarsi nella società. I giovani sierraleonesi, sia che vivano in ambito urbano che rurale, sono immersi nella globalizzazione culturale, nella modernità, hanno accesso ai media. Qualcuno li ha definiti molecole perdute,28 invece sono degli spettatori attivi e attenti, che sanno riadattare i contenuti trasmessi al proprio contesto sociale. L’inventività culturale che hanno dimostrato di possedere potrebbe essere utilizzata positivamente per la costruzione di un processo di pace duraturo. 28 Robert Kaplan. 1994. The Coming Anarchy: How Scarcity, Crime, Overpopulation and Didease are Rapidly Destroying the Social FAbric of Our Planet, in “Atlantic Monthly”, February 1994. pp. 44-76 48 I giovani e il processo di pace: la sfida della reintegrazione Per arrivare alla risoluzione del conflitto in Sierra Leone ci sono voluti tre accordi di pace: l’Accordo di Pace di Abidjan, Nigeria, del 30 Novembre 1996, il Piano di Pace di Conakry, Guinea, del 23 Ottobre 1997 e gli Accordi di Pace di Lomé, Togo, del 7 Luglio 1999. Gli accordi di Lomé diventarono il documento operativo sul quale si basò il processo di pace del paese. Il compromesso con il RUF fu possibile solo garantendo completa amnistia ai suoi membri e concedendogli ampio potere nel governo del paese. La pace poteva essere mantenuta solo disarmando i gruppi militari e trovando un’occupazione alternativa alle migliaia di uomini, donne e bambini che si erano arruolati. Nel 1996 furono avviati i primi programmi di Disarmament, Demobilisation and Reintegration (DDRP) degli ex-combattenti,1 che furono interrotti dalla ripresa delle ostilità. Gli Accordi di Lomé istituirono nuovi DDRP, con la volontà del Governo della Sierra Leone (GoSL) in collaborazione con le principali organizzazioni internazionali,2 che si conclusero ufficialmente nel Febbraio 2004. Secondo i dati forniti dallo United Nations Disarmament, Demobilisation and Reintegration Resource Center3 sono stati disarmati 72.490 ex-combattenti, smobilitati 71.043 e 51.122 hanno partecipato alla reintegrazione. La reintegrazione dei combattenti è un processo che ha due obiettivi: nel breve periodo evitare la ripresa del conflitto così da favorire l’attuazione degli accordi di pace; nel medio periodo permettere il reinserimento sociale ed economico delle persone, così 1 Peters afferma che il disarmo e la smobilitazione dei bambini soldato iniziò nel 1993, prima dell’inizio ufficiale dei DDRP nel 1996 come parte dell’Accordo di Pace di Abidjan. Vedere: Peters, Krijn. 2007. Reintegration Support for Young ExCombatants: A Right or a Privilege?, in “International Migration”, 45 (5), p. 39. 2 Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte quarta, Articolo XVI, comma 4. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 3 http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60#top 49 che possano diventare partecipanti attivi al processo di pace. In questa seconda fase il processo di reintegrazione dovrebbe integrarsi con le politiche di peacebuilding, di più ampio raggio e di lungo periodo. In questo capitolo vedremo come si sono applicati i DDRP in Sierra Leone, con particolare attenzione alla fase di reintegrazione. La lunga strada verso la pace Le cause del prolungamento del conflitto Abbiamo visto nei capitoli precedenti i motivi che hanno portato il RUF ad attaccare il paese, ma non abbiamo affrontato le cause del prolungamento del conflitto. Se la guerra in Sierra Leone è durata così tanto bisogna menzionare almeno cinque motivi strettamente correlati fra loro. In primo luogo il dialogo fra i governi sierraleonesi e il RUF è sempre stato molto difficile. I governi offrirono al RUF di partecipare al processo elettorale e negoziarono secondo gli standard della diplomazia internazionale, il RUF voleva il potere senza legittimazione elettorale e accusava la diplomazia di essere uno strumento dell’imperialismo. I governi non erano disposti ad accettare l’impunità per i membri del RUF, almeno fino al 1996.4 I giovani soldati, arruolatisi volontariamente o catturati dal RUF, non avevano altra scelta se non quella di continuare a combattere. Nel 1992 Amnesty International aveva denunciato l’esecuzione sommaria di alcuni giovani sospettati di essere membri del RUF, perchè così facendo si metteva in moto un sistema che obbligava questi giovani a continuare a combattere.5 In secondo luogo bisogna menzionare l’aspetto economico della guerra. Partecipando alla guerra molti giovani trovarono una fonte di sostentamento che nella vita civile gli era stata negata. Si sviluppò 4 Negli Accordi di Pace di Abidjan era prevista l’amnistia per i membri del RUF. Amnesty International. 1992. The Extrajudicial Execution of Suspected Rebels and Collaborators. London: International Secretariat of Amnesty International. Index AFR 51/02/92. 5 50 quella che viene definita economia di guerra, un’economia possibile solo con il prolungamento del conflitto. Nella fase iniziale del conflitto l’attacco del RUF si espanse dai distretti più remoti e arrivò alle città di Bo e Kenema solo perchè il governo dell’APC non considerò l’attacco come una questione nazionale.6 All’APC poco interessava di ciò che accadeva nelle regioni al confine con la Liberia, che storicamente erano state la culla del partito di opposizione, il Sierra Leone People’s Party (SLPP), che il governo di S. Stevens aveva cercato di isolare il più possibile dalla vita nazionale.7 In terzo luogo fu l’incompetenza militare a causare il prolungamento del conflitto. Nel 1993, dopo che il RUF fu sconfitto nelle sue roccaforti di Kailahun, Pendembu e Koindu da parte delle RSLMF, l’esercito del nuovo governo del NPRC, la guerra sembrava terminata. Le RSLMF però non erano una forza omogenea e unita, erano presenti fazioni rivali che si fronteggiavano sul campo, ostili al NPRC e ancora legate tramite relazioni patrimoniali al precedente governo del presidente Momoh. Alcune truppe, appena rifornite di armi e munizioni dal governo, vennero attaccate dal RUF a Potoru, 6 Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p. 209. 7 In epoca coloniale gli inglesi costruirono una ferrovia che collegò Freetown a Pendembu, al confine con la Liberia, passando per le città di Moyamba, Bo e Kenema. La ferrovia divenne l’asse principale di diffusione della cultura creola e di concentrazione delle scuole secondarie, nelle quali si formò un’élite provinciale conservatrice e creolizzata in grado di sfidare la classe politica di Freetown. La nuova élite diede origine al partito politico Sierra Leone People’s Party e ottenne la leadership nelle province sud ed est del paese popolate prevalentemente dai guerrieri Mane (o Mande). Il SLPP si guadagnò il passaggio di potere da parte inglese nell’amministrazione del paese, impegnandosi nella costruzione di uno Stato democratico. Quando Siaka Stevens dell’APC vinse le elezioni nel 1967 la prima cosa che fece fu distruggere la ferrovia per minare il potere del SLPP. Da quel momento le comunicazioni non furono più ripristinate e i distretti al confine con la Liberia rimasero isolati. Per un approfondimento storico sulla formazione dello Stato vedere: Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey. pp. 42-48. 51 dove si stima che il RUF acquisì un quantitativo di armi sufficiente per ritornare all’attacco e resistere a due anni di battaglia.8 In quarto luogo la diffusione dei ‘Sobels’, soldiers-rebels o soldiers by day, rebels by night, si collega all’isolamento delle regioni al confine con la Liberia. I soldati dell’esercito che combattevano al fronte erano isolati dal resto del paese a causa della scarsa presenza di infrastrutture, perciò spesso non venivano riforniti né di armi né di generi di prima necessità. Per sopravvivere alle imboscate del RUF dovettero negoziare la propria sopravvivenza concedendogli di avanzare e iniziarono, ad imitazione del RUF, a svaligiare i villaggi. Kelsall ha documentato una testimonianza ad un’udienza della Truth and Reconciliation Commission (TRC) di Tonkolili, nella quale la vittima afferma che durante gli attacchi non era possibile distinguere i ribelli dai soldati.9 Infine, l’accesso alla risorsa più ricca del paese, i diamanti, permise al RUF di avere accesso continuo al rifornimento di armi. Quando il RUF iniziò ad esercitare il controllo sulle miniere di diamanti, a partire dal 1992 con la conquista del distretto di Kono, fornì il pretesto alle RSLMF per entrare nelle zone diamantifere, fare evacuare gli abitanti e iniziare a cercare i diamanti, alimentando così l’economia di guerra. Lomé: un accordo di pace scioccante Al fallimento degli accordi di pace di Abidjan seguì un colpo di stato da parte di una fazione dell’esercito appoggiata dal RUF, nel Maggio del 1997. Il nuovo governo, che si chiamò Armed Forces Revolutionary Council (AFRC/RUF), fu destituito grazie ad un’intensa azione dell’ECOMOG. Il presidente A. T. Kabbah ritornò al governo nel Marzo del 1998 ma nel Gennaio del 1999 i ribelli 8 Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone. Oxford: James Currey. p. 24. 9 Kelsall, Tim. 2005. Truth, Lies, Ritual: Preliminary Reflections on the Truth and Reconciliation Commission in Sierra Leone, in “Human Rights Quarterly”, 27(2), p. 373. 52 entrarono a Freetown compiendo una sanguinosa offensiva: in una settimana un terzo della popolazione rimase senza tetto, 7.335 corpi furono bruciati e 3.000 bambini furono reclutati.10 Gli accordi di Pace di Lomé, stipulati fra il presidente della Sierra Leone A. T. Kabbah e il leader del RUF F. Sankoh, furono condotti all’insegna della quasi totale resa del governo al volere del RUF. Se, da una parte, i mediatori difesero l’accordo come l’unica possibilità per ristabilire la pace nel paese, la società civile sierraleonese, l’opinione pubblica internazionale e le organizzazioni per i diritti umani lo definirono scioccante e lo condannarono duramente per la concessione dell’amnistia totale al RUF11. Ad esempio Human Right Watch ha affermato che: Le atrocità commesse in Sierra Leone hanno scioccato il mondo. Le Nazioni Unite non devono sponsorizzare un accordo di pace che finge che non siano mai accadute.12 Al RUF venne concessa la possibilità di trasformarsi in partito politico,13 si costituirà infatti il RUF Party (RUF-P), e gli venne data ampia partecipazione al potere governativo tramite la concessione del posto di Vicepresidente della Repubblica, quattro posti da ministro e quattro da vice-ministro.14 Sankoh fu nominato presidente della Commissione per la gestione delle risorse strategiche, la ricostruzione nazionale e lo sviluppo (CMRRD), quindi gli fu data la possibilità di 10 Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p. 220. 11 “[...] the Government of Sierra Leone shall also grant absolute and free pardon and reprieve to all combatants and collaborators in respect of anything done by them in pursuit of their objectives, up to the time of the signing of the present Agreement.” Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte terza, Articolo IX, comma 2. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 12 Dichiarazione di Peter Takirambudde di Human Right Watch del 7/7/1999: “The atrocities committed in Sierra Leone have shocked the world. The United Nations must not sponsor a peace agreement that pretends they never happened”. http://hrw.org/english/docs/1999/07/07/sierra967.htm 13 Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo III. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 14 Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo V, comma 2,3,4. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 53 esercitare il controllo completo sullo sfruttamento di oro, diamanti e altre risorse.15 Con gli accordi di pace iniziò la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, UNAMSIL. Formata inizialmente da 6.000 uomini raggiunse le 17.500 unità e sostituì le forze dell’ECOMOG; obiettivo della UNAMSIL era quello di disarmare i combattenti stimati in numero di circa 45.000. Il processo di disarmo proseguì a rilento e terminò solo nel Gennaio 2002, quando fu ufficialmente dichiarata la pace nel paese. Il RUF ostacolò con tutti i mezzi il disarmo dei combattenti, impedendo alle truppe delle Nazioni Unite di lavorare nei centri di disarmo, rubando le armi ai peacekeeper e causando, con il sequestro di 500 caschi blu, una crisi del processo di pace che si risolse positivamente con l’arresto di Sankoh e la sua interdizione dai pubblici poteri.16 Si può con certezza affermare che gli Accordi di Lomé non hanno contribuito alla rimozione né delle cause del conflitto né dei motivi che ne hanno favorito il prolungamento. La reintegrazione degli ex-combattenti I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli excombattenti fanno parte dei processi di peacekeeping delle Nazioni Unite e vengono avviati su richiesta dei governi dei paesi usciti da una situazione di conflitto che abbiano firmato accordi di pace fra le parti belligeranti. A partire dalla fine degli anni ottanta le Nazioni Unite hanno avuto sempre più importanza nel fornire supporto all’implementazione dei DDRP, nei quali solitamente si occupano direttamente delle fasi di disarmo e smobilitazione, effettuate dai 15 Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo VII, comma 1. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 16 Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p. 223. 54 caschi blu, mentre la fase di reintegrazione è affidata a molteplici organismi. Il finanziamento dei DDR avviene tramite le agenzie internazionali della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite. L’acquisizione di una significativa esperienza maturata nella pianificazione e nella gestione dei DDRP nel corso degli anni, hanno evidenziato come la mancanza di coordinazione e cooperazione fra gli attori e la sbagliata pianificazione siano causa del fallimento dei DDRP. Nel 2004 è stato quindi definito uno standard caratterizzato da una serie di approcci, politiche e linee guida da seguire nella realizzazione dei DDRP denominato Integrated DDR Standard (IDDRS). Il disarmo consiste nella raccolta, nella inventariazione e nella distruzione delle armi e delle munizioni, è il processo tramite il quale un combattente diventa un ex-combattente. La smobilitazione si ha quando l’ex-combattente viene rilasciato dal gruppo armato di appartenenza e viene registrato per l’accesso ai programmi di reintegrazione. L’ex-combattente viene accompagnato nella comunità di origine o in un altro luogo a scelta e gli viene fornito un ‘pacchetto’ di supporto, allo scopo di supplire alle necessità basiche nel breve periodo, che può comprendere cure mediche, cibo, vestiti, denaro, strumenti di lavoro, educazione. (Questa fase della smobilitazione è anche chiamata reinserimento). La reintegrazione è un processo sociale, economico e politico attraverso il quale gli ex-combattenti vengono reinseriti nella vita civile. I DDRP hanno due funzioni: la prima si manifesta nel breve periodo e consiste nel garantire la sicurezza al paese che si trova in un contesto di post-conflitto, offrendo ai combattenti delle alternative di vita civile alla vita militare. Per la maggior parte degli ex-combattenti i DDRP sono l’unica attrattiva che la società gli offre dopo la deposizione delle armi. La seconda funzione dei DDRP consiste nel preparare gli excombattenti a svolgere un ruolo attivo nella ricostruzione della società e dovrebbe essere integrata in una prospettiva multidimensionale e di lungo periodo di peacebuilding. La reintegrazione in questo caso fa da 55 collegamento fra gli obiettivi di breve periodo del processo di pace, il disarmo e la smobilitazione, e quelli di lungo periodo, il peacebuilding e lo sviluppo nazionale. La reintegrazione dovrebbe permettere di trovare un impiego, al fine di rendersi autosufficienti e meno dipendenti dalla comunità di origine. La progettazione della reintegrazione La reintegrazione deve essere progettata tenendo conto delle cause del conflitto, solo in questo modo potrà essere parte di un progetto di sviluppo del paese. La definizione dei criteri di scelta delle persone che parteciperanno al DDRP è di fondamentale importanza, particolarmente in situazioni in cui sono coinvolti più gruppi armati. Per fornire ad ogni gruppo l’assistenza più adeguata bisogna diversificare l’applicazione del programma secondo le necessità specifiche, ad esempio i bambini devono essere separati e ricevere cure speciali così come i malati. I destinatari dovrebbero essere scelti applicando il principio di inclusione cioè la non discriminazione sulla base del sesso, età, razza, religione, nazionalità, etnia, opinione politica. Specifiche misure devono essere prese per garantire la partecipazione delle donne in tutte le fasi del DDRP, perchè le donne hanno spesso occupato molteplici ruoli nei gruppi armati, oltre a quello di combattenti. I DDRP devono essere ben pianificati cioè progettati sulla base di dati quantitativi e qualitativi che devono essere mantenuti aggiornati durante lo svolgimento del progetto. La comunità deve essere bene informata e sensibilizzata sulle procedure ed i benefici derivanti dalla partecipazione ai DDRP, utilizzando mezzi e sistemi di comunicazione specifici allo scopo di raggiungere il maggior numero di interessati. 56 La reintegrazione in Sierra Leone Il programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli excombattenti in Sierra Leone è iniziato nel 1999 in seguito alla firma degli Accordi di Pace di Lomé e si è concluso nel Febbraio del 2004.17 Il Governo della Sierra Leone ha ufficialmente chiesto alla comunità internazionale il sostegno nella realizzazione di tali programmi18 e ha dato vita, nel 1998, al Comitato Nazionale per il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione (NCDDR). Il NCDDR ha organizzato 16 centri di demobilitazione in tutto il paese e 4 uffici regionali e 12 distrettuali per la reintegrazione.19 I DDRP in Sierra Leone hanno avuto successo nel breve periodo perchè sono riusciti nell’obiettivo di impedire la ripresa del conflitto. Tuttavia è possibile affermare che non hanno contribuito sensibilmente al processo di consolidamento della pace, poiché non sono stati integrati con le politiche nazionali di lungo termine e non sono stati programmati in modo da indirizzare le cause del conflitto. Il disarmo ha riguardato 72.490 combattenti dei quali 6.845 minorenni e 4.751 donne, dei combattenti 24.352 appartenevano al RUF, 37.377 alle CDF, 8.527 all’esercito e 2.234 erano paramilitari. La smobilitazione è stata possibile per 71.043 combattenti, fra i quali i 6.845 ragazzi e le 4.751 donne.20 Mentre le stime iniziali della UNAMSIL prevedevano che il numero dei combattenti da disarmare fosse di circa 45.000, gli studi condotti al termine del processo di 17 United Nations Disarmament, Demobilization and Reintegration Resource Center. Country programme: http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60 18 Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte quarta, Articolo XVI, comma 4. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html 19 National Committee for Disarmament, Demobilisation and Reintegration. Executive Secretariat Report, 2/3/2004. Republic Of Sierra Leone. http://www.dacosl.org/encyclopedia/8_lib/8_3/NCDDR_ExecSecretary_report.pdf 20 Fonte: United Nations Disarmament, Demobilization and Reintegration Resource Center. Country programme: http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60 57 reintegrazione hanno valutato che il numero totale dei combattenti fu di circa 137.000.21 Per potere accedere ai DDRP ogni combattente, adulto o bambino, doveva dimostrare di avere preso parte attiva nel conflitto all’interno del RUF, dell’esercito della Sierra Leone (SLA e paramilitari) o delle CDF. Per attestare l’effettiva partecipazione alla guerra, sia adulti che bambini dovevano possedere una prova: un’arma individuale oppure un’arma di gruppo e una certa quantità di munizioni. Chi non possedeva armi doveva arrivare al centro di demobilitazione accompagnato dai gruppi armati stessi. La missione UNAMSIL era responsabile per l’organizzazione delle fasi di disarmo e smobilitazione: provvedere alla sicurezza, organizzare i centri di disarmo e di raccolta delle armi, scelta e registrazione degli ex-combattenti. L’UNICEF si è occupata della smobilitazione dei bambini soldato, che, secondo la prassi, dopo la registrazione vengono subito separati dagli adulti e inseriti negli Interim Care Center (ICC). Negli ICC i bambini hanno accesso a cure specifiche come l’assistenza psico-sociale e vengono attivati i processi di riunificazione famigliare. Il World Food Program (WFP) in cooperazione con altre agenzie internazionali e ONG (Oxfam, Save the Children, International Rescue Committee) ha fornito aiuti alimentari, lo United Nations Population Fund (UNFPA) ha fornito formazione sulla prevenzione dell’HIV, all’interno di una strategia nazionale di più ampio respiro e di supporto sociale. La reintegrazione ha coperto 51.122 ex-combattenti fra i 56.700 che si erano registrati. Fra gli iscritti 28.901 hanno seguito un percorso di formazione professionale (56 per cento), 12.182 hanno optato per l’educazione formale (23 per cento), 9.231 hanno scelto un pacchetto relativo all’agricoltura (18 per cento), circa 3000 si sono arruolati nell’esercito della Sierra Leone, 444 sono stati impiegati in lavori di 21 Mazurana, Dyan and Carlson, Khristopher. 2004. From Combat to Community:Women and Girls of Sierra Leone. Women Waging Peace, a program of Hunt Alternatives Fund. 58 pubblica utilità e 364 hanno usufruito di altri tipi di aiuti come il microcredito. Il pacchetto ‘educazione formale’ offriva l’iscrizione scolastica per un massimo di tre anni, in funzione dell’anno di demobilitazione. Il pacchetto ‘educazione professionale’ offriva un training di durata da sei a nove mesi e un rimborso mensile di circa 30 dollari. Al termine del percorso formativo veniva fornito un kit di strumenti di lavoro. Il pacchetto agricolo poteva comprendere sia un training professionale con un’indennità monetaria che un kit che includeva semi, riso e strumenti agricoli. La pianificazione dei corsi di formazione non è stata effettuata in maniera standard nei vari distretti, così che i giovani potessero effettivamente scegliere fra tutte le opzioni disponibili. Alcuni corsi erano accessibili solo in determinati distretti, altri erano a numero chiuso.22 Da alcune interviste fatte ai giovani durante il processo di reintegrazione emerge la sensazione di non potere effettivamente scegliere che corso seguire. I problemi ricorrenti evidenziati dai giovani intervistati sono quello della tempificazione e quello della mancanza di supporto nella ricerca di un lavoro.23 I corsi maggiormente disponibili furono quelli per carpentiere, muratore, confezionatore di abiti, meccanico, parrucchiera, produzione di batik e di saponi. Il training informatico fu offerto solo agli alti ranghi del RUF per favorire la loro collaborazione nel processo. Alcuni giovani si sono lamentati del fatto che, dopo avere scelto un corso, questo non sia partito per mesi e di essersi visti costretti a ripiegare su di un altra attività, dietro suggerimento del personale del DDRP. Peters evidenzia come le difficoltà di accesso al training formativo scelto aumentino in funzione della distanza dai centri regionali, i luoghi in cui i ragazzi dovevano recarsi per sapere se erano 22 Peters, Krijn. 2007. Reintegration Support for Young Ex-Combatants: A Right or a Privilege? in “International Migration”, 45 (5), p. 41. 23 Peters, Krijn. op. cit. p. 45. 59 stati accettati ad un determinato corso. Solo chi abitava vicino ai centri poteva permettersi di andare a controllare più frequentemente le ‘liste di attesa’ finché non trovava il suo nome sulla lista, ma quando la strada da percorrere impegnava uno o due giorni di cammino, i giovani che si sono visti respinti hanno rinunciato a partecipare oppure hanno ripiegato su scelte più accessibili24. Peters ha osservato come la programmazione dei DDRP in Sierra Leone non abbia tenuto conto della struttura occupazionale e economica del paese. Solo il 15 per cento degli ex-combattenti scelse il pacchetto agricolo, in un paese dove circa il 70 per cento della popolazione è legata all’agricoltura di sussistenza. Secondo Peters la causa è da ricercare in parte nel modo in cui venne offerto questo pacchetto, rendendolo poco accattivante. Il pacchetto agricolo infatti veniva fornito prevalentemente come kit, senza indennità monetaria e non era neanche disponibile in tutti i distretti. Inoltre non sono state offerte ai giovani le possibilità finanziarie di acquisire una licenza per cercare i diamanti né gli strumenti per l’estrazione dei diamanti, perché non era nell’interesse della classe politica aprire alla concorrenza queste attività. Esperienze sul campo: il disarmo e la smobilitazione come dramma della gioventù Hoffman ci fornisce un’analisi del processo di demobilitazione basata sulla ricerca sul campo da lui effettuata nei periodi di Luglio e Agosto 2000 e dal Settembre 2001 al Maggio 2002.25 La ricerca ha avuto luogo nel campo di smobilitazione della città di Bo, allestito nello stadio. La maggior parte degli ex-combattenti presentatisi al campo appartenevano alle CDF, che erano particolarmente forti nella città. 24 Peters, Krijn. op. cit. p. 43. Hoffman, Danny. 2003. Like Beasts in the Bush: Synonyms of Childhood and Youth in Sierra Leone, in “Postcolonial studies”, 6(3), pp. 295-308. 25 60 Hoffman evidenzia il contrasto esistente fra l’apparenza del processo di smobilitazione sulla carta e l’implementazione pratica, sostenendo che nella pratica il DDRP si trasforma in un “complesso dramma, animato in parte da multipli e conflittuali significati di infanzia e gioventù.”26 Nell’analisi si dimostra come la dinamica di accesso ai campi di demobilitazione da parte dei giovani combattenti rispecchi alcuni dei caratteri fondamentali della gioventù in Sierra Leone: la marginalità, l’alienazione e la dipendenza dalle reti patrimoniali. In primo luogo Hoffman si sofferma sull’estraneità dei giovani al processo di smobilitazione stesso: molti non hanno idea di cosa aspettarsi, devono aspettare ore in mezzo alla folla, sotto il sole, senza cibo né acqua, prima di potere accedere al campo (nell’analisi ci si riferisce al campo allestito nello stadio della città di Bo), se durante il giorno non vengono ammessi nessuno li informa se il giorno seguente avrà luogo un’altra registrazione. In secondo luogo Hoffman nota il fatto che i giovani combattenti di età inferiore a diciotto anni vengono presentati, da parte dei loro comandanti, come adulti. La motivazione deriva dalla differenza di trattamento riservato ai bambini e agli adulti: mentre ai bambini spetta la riabilitazione all’interno degli ICC, agli adulti spetta un ‘pacchetto’ di beni che è possibile spartire con il comandante. Soprattutto fra le milizie civili, dove le armi principalmente utilizzate, i machete, non vennero riconosciute come idonee all’inserimento nel DDR, si verificò una redistribuzione di armi da parte di chi le possedeva ai giovani combattenti in cambio di una percentuale del pacchetto di reinserimento. Questo comportamento, oltre a sancire il fatto che molti bambini soldato smobilitati come adulti non hanno seguito un percorso di riabilitazione specifico, evidenzia come l’infanzia sia verticalmente 26 Hoffman, Danny. op. cit. p. 296. 61 inserita nella posizione più bassa delle reti patrimoniali, che hanno sensibilmente influenzato anche il processo di smobilitazione. La riconciliazione con le comunità Nel secondo capitolo abbiamo raccontato la storia di Mohamed, che si era riunito alla propria famiglia ma non alla propria comunità per paura di venire stigmatizzato e condannato. Anche nella vita di Isata la paura della stigmatizzazione ha avuto un ruolo fondamentale, tanto da renderla una persona insicura e timida. Spesso il RUF obbligava i giovani che rapiva a commettere atrocità sui propri famigliari o vicini, una tattica che serviva a creare un muro di odio fra le comunità ed i giovani, che da quel momento erano visti come diavoli, e non sarebbero stati riaccettati anche se fossero riusciti a fuggire. Il tema della riconciliazione fra gli ex-combattenti e le comunità è strettamente legato alla possibilità di reintegrazione e di ricostruzione dei legami sociali. In particolare perchè i programmi di reintegrazione abbiano successo e gli ex-combattenti riescano a reinserirsi nel tessuto sociale, è necessario che avvenga anche la riconciliazione con la comunità. La Sierra Leone ha messo in pratica alcuni strumenti per il supporto del consolidamento della pace, accanto alla programmazione dei DDRP: la Corte Speciale per la Sierra Leone e la Commissione di Verità e Riconciliazione (TRC). Entrambi sono meccanismi della ‘giustizia di transizione’ che hanno la funzione di ricostruire il tessuto sociale di un paese distrutto da un conflitto interno. La Corte Speciale ha l’obiettivo di combattere il generale senso di impunità diffusosi nel paese dopo la firma degli accordi di Lomé. Attraverso la formulazione di accuse e condanne per i responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, compiuti dopo la firma degli accordi di Abidjan del 30 Novembre 1996, la corte si occuperà di processare coloro che hanno le maggiori responsabilità nel conflitto. 62 La Commissione di Verità e Riconciliazione ha il compito di creare un archivio di testimonianze, delle vittime e dei perpetratori delle violenze, allo scopo di portare a conoscenza di tutto il paese le atrocità commesse e di favorire la riconciliazione nazionale. Le udienze della TRC sono uno spazio in cui gli ex-combattenti possono porgere pubblicamente le proprie scuse alla comunità, ammettendo di avere commesso atti crudeli e di essere sinceramente pentiti. La TRC in Sierra Leone ha incontrato varie difficoltà durante il suo lavoro, ma una delle più penalizzanti sembra essere stata quella della comunicazione. Gli alti livelli di analfabetismo della popolazione impedivano di usare efficacemente la comunicazione scritta e l’informazione via televisione o radio non sempre raggiungeva i destinatari. La TRC non aveva a disposizione un budget sufficiente a mantenere uno staff specializzato nella comunicazione orale nelle province. Molte persone non ne conoscevano il funzionamento e gli obiettivi. Ad esempio molti credevano che le confessioni fossero retribuite, altri non vedevano la necessità della commissione sostenendo che in Sierra Leone le persone avrebbero dimenticato facilmente, altri la credevano inutile perchè non aveva il potere di punire. Un altro problema a livello di comunicazione derivava dalla mancata conoscenza dei legami della TRC con la Corte Speciale. Nonostante la TRC avesse sostenuto che non avrebbe fornito informazioni alla Corte, e la Corte avesse informato che il suo obiettivo era di colpire i maggiori responsabili delle violazioni, gli excombattenti temevano che la confessione avrebbe potuto essere usata contro di loro e ciò causò grandi lacune nelle confessioni fornite. Kelsall riporta alcuni momenti delle udienze tenutesi nel distretto di Tonkolili, nelle quali i giovani ex-combattenti del RUF si scusano pubblicamente per avere fatto parte di un gruppo che ha commesso 63 tante atrocità, ma non confessano di averle commesse in prima persona.27 Nonostante l’attività della TRC la maggior parte degli excombattenti del RUF non sono riusciti a riconciliarsi con le proprie comunità e sono costretti a condurre una vita di strada, senza la possibilità di reintegrazione. Conclusioni Nonostante gli abbondanti finanziamenti internazionali i programmi rimasero senza fondi già dall’Agosto 2002, lasciando circa i due terzi degli ex-combattenti che si erano disarmati senza la possibilità di concludere il percorso di reintegrazione e con l’unica alternativa di unirsi ai combattenti sierraleonesi in Liberia.28 Molti donatori internazionali si rifiutarono di contribuire alla reintegrazione di coloro che si erano macchiati di tante atrocità, e preferirono contribuire alla realizzazione di progetti comunitari ai quali spesso gli ex-combattenti non poterono partecipare.29 Il successo della reintegrazione degli ex-combattenti ha dipeso essenzialmente da due fattori: la possibilità di reinserimento nella comunità e la possibilità di trovare un lavoro. Per rafforzare l’accoglienza comunitaria lo Stato ha agito istituendo la TRC, ma per quanto riguarda le possibilità occupazionali la programmazione dei DDRP non ha tenuto conto del contesto locale tanto che solo il 42 per cento degli ex-combattenti ha trovato lavoro.30 Le caratteristiche per l’accesso ai DDRP hanno discriminato almeno due gruppi: le CDF e le donne. La maggior parte dei combattenti delle CDF lottavano con armi non convenzionali come i machete, tanto che si stima che il numero ufficiale di combattenti che 27 Kelsall, Tim. 2005. Truth, Lies, Ritual: Preliminary Reflections on the Truth and Reconciliation Commission in Sierra Leone, in “Human Rights Quarterly”, 27(2), pp. 371-373. 28 International Crisis Group. op. cit. p. 13. 29 International Crisis Group. op. cit. p. 14. 30 International Crisis Group. 12 Luglio 2007. Sierra Leone: The Election Opportunity ICG Africa Report N° 129. p. 10. 64 si sono disarmati, 72.490, sia di molto inferiore al numero reale. Le giovani combattenti nella maggior parte dei casi non sono riuscite ad accedere alla reintegrazione. Le donne combattenti sono state abbandonate dallo Stato e hanno incontrato grandissime difficoltà a reintegrarsi nelle comunità, specialmente quando vi sono tornate con dei figli.31 La questione di genere, all’interno del tema dei rapporti fra i giovani e la guerra, negli ultimi anni ha attirato l’attenzione dei ricercatori tanto che sono state prodotte ricerche specifiche, che non sono state trattate in questo lavoro.32 32 Vedere ad esempio: Amnesty International. 1 Novembre 2007. Sierra Leone: Getting reparations right for survivors of sexual violence (Including amendments). AFR 51/005/2007 oppure Honwana, Alcinda. 2006. Child Soldiers in Africa. Philadelphia: University of Pennsylvania Press. Capitolo 4. 65 Conclusioni Il caso specifico della guerra civile in Sierra Leone è stato studiato al fine di potere riflettere sul rapporto fra i giovani e la guerra e sull’implementazione dei programmi di reintegrazione. Alla luce di quanto emerso nell’analisi è possibile concludere che il rapporto fra i giovani e la guerra è un rapporto complesso, che non deve essere generalizzato nelle categorie di vittima e colpevole ma che deve essere analizzato caso per caso. L’identità dei giovani combattenti, così come l’identità giovanile, l’infanzia, l’adolescenza, sono strettamente dipendenti dal contesto perchè sono delle categorie sociali. Il metodo antropologico ci offre gli strumenti per studiare le specificità di queste categorie, ad esempio attraverso le interviste. L’identificazione dei giovani combattenti come vittime è una generalizzazione errata. Nasce dall’universalizzazione della categoria di gioventù occidentale, basata su fasi di vita scandite dall’educazione formale e dal presupposto che i giovani non siano dotati della capacità di agire autonomamente (agency). La vittimizzazione mette in secondo piano la responsabilità dei giovani combattenti per le atrocità commesse mentre il riconoscimento della agency responsabilizza il giovane nei confronti della scelta effettuata. La gioventù africana spesso è costretta ad effettuare delle scelte molto prima dei diciotto anni e la scelta di combattere è maturata dalla necessità di trovare una fonte di sostentamento, in un contesto in cui lo Stato non offre alternative percorribili. A volte l’arruolamento è l’unico mezzo, per i giovani, per avere accesso alla modernità, agli oggetti che la rappresentano (vestiti, radio, televisione), alla libertà di movimento, ma anche per ottenere una forma di educazione e di riconoscimento. Abbiamo visto che l’applicazione di programmi di reintegrazione degli ex-combattenti è una politica necessaria al fine di fare cessare le ostilità e garantire la creazione di un clima di pace. La reintegrazione 66 non si esaurisce nel medio-periodo, durante il quale gli ex-combattenti frequentano i corsi di formazione e sono sviati dal tornare all’attività militare ma, se accuratamente programmata, può essere considerata come l’inizio di un processo di ricostruzione della società che ha legami con il lungo-periodo. Perchè la reintegrazione degli ex-combattenti abbia successo si devono verificare alcune condizioni. In primo luogo l’accoglienza delle comunità: i giovani che non riescono a tornare ‘a casa’ nella maggior parte dei casi sono soggetti alla vita di strada o allo sfruttamento economico. Inoltre i DDRP devono essere compatibili con le possibilità di sviluppo e occupazionali del paese ma questo obiettivo non è semplice da realizzare. Spesso gli Stati non hanno un reale interesse a fare crescere professionalmente i propri ragazzi, perchè preferiscono mantenerli come manodopera a basso costo, oppure si incontra la resistenza di settori dominati dalle élite politiche che si vedono minacciate. I programmi di reintegrazione dovrebbero nascere da un compromesso fra l’essere accattivanti per i destinatari e l’essere utili nella realtà sociale del paese. Il caso della Sierra Leone a mio avviso evidenzia il fatto che il processo di reintegrazione possa essere vissuto come minaccia al mantenimento dello Status quo, piuttosto che come opportunità per il cambiamento sociale. I DDRP devono essere differenziati in funzione dei gruppi di combattenti a cui si rivolgono e tenere conto delle specificità delle singole persone che vi prendono parte. In Sierra Leone molti combattenti non sono stati demobilitati perchè non possedevano un’arma da fuoco. E’ indispensabile aumentare la sensibilità dei governi rispetto alla questione di genere, garantendo alle donne l’accesso ai percorsi di reintegrazione. L’ esperienza di demilitarizzazione, che inizia all’interno dei campi di smobilitazione, può essere traumatizzante al pari dell’esperienza di militarizzazione. I valori della vita militare: sicurezza, sopravvivenza e senso di appartenenza, non sono presenti nella vita civile, dove i 67 ragazzi si trovano ad affrontare, senza l’assistenza adeguata, il senso di solitudine, il senso di colpa e l’impotenza e dove si devono ricostruire una nuova identità. La fine della guerra civile in Sierra Leone, nel Gennaio del 2002, ha segnato l’inizio di un percorso di ricostruzione nazionale e di consolidamento della pace nel paese. Durante questi sei anni si sono visti dei progressi verso una maggiore istituzionalizzazione, ma i problemi alla radice del conflitto sono ancora aperti. La società civile ha dimostrato fiducia nel sistema politico tramite l’alta partecipazione elettorale, ma la lentezza con cui vengono attuate le riforme nel paese e, spesso, l’assenza delle stesse, e la persistente mancanza di sviluppo sociale ed economico stanno contribuendo a ricostruire un clima di sfiducia verso le istituzioni e di possibile ritorno al conflitto. Le elezioni del Maggio 2002 sono state vinte dal Sierra Leone People’s Party di A. T. Kabbah, che si è aggiudicato 83 seggi su 112. Le prime elezioni non violente nella storia del paese hanno legittimato il Presidente Kabbah per avere condotto il paese alla pace, ma il Presidente ne ha approfittato per creare un governo monopartitico, non idoneo ad un paese appena uscito dalla guerra che necessita invece di una politica di dialogo fra partiti. Il governo Kabbah non ha attuato dei programmi volti a risolvere i grandi problemi legati alla cultura politica del paese come il patrimonialismo, la corruzione, il monopartitismo, lo scarso rendimento democratico e l’assenza di pluralismo, ma si è impegnato nella riforma del settore della sicurezza, obiettivo identificato come primario dai donatori internazionali. La sicurezza nel paese è stata migliorata grazie all’addestramento dell’esercito e della polizia verso due obiettivi principali: eliminare la divisione dell’esercito in fazioni legate a relazioni patrimoniali e costruire un esercito nazionale; sviluppare un sistema di difesa anche nei distretti fino ad ora abbandonati, al confine con la Liberia, nei quali ha maturato la forza del RUF. 68 La disoccupazione giovanile, uno degli elementi scatenanti del conflitto, arriva all’80 per cento.33 La maggior parte degli excombattenti al termine dei programmi di reintegrazione sono rimasti disoccupati, molti sono tornati a lavare ghiaia, senza avere ottenuto un miglioramento delle condizioni lavorative. Altri vivono giorno per giorno ingrossando le fila dei ragazzi di strada, spesso aiutati dalle ONG per le esigenze di base, fra questi la maggior parte proviene dal RUF. Sono ragazzi che non sono riusciti a riconciliarsi con le proprie comunità, il cui tenore di vita contrasta con quello dei leader del movimento che invece vivono agiatamente. Infine alcuni giovani disoccupati hanno deciso di arruolarsi nel Liberian United for Reconciliation and Democracy (LURD) e continuare a combattere in Liberia. Con il ritorno alla pace i tassi di iscrizione nelle scuole sono esplosi e alcuni dei principali istituti scolastici che erano stati distrutti dal RUF sono stati ricostruiti e riaperti, come il Njala University College (NUC) di Freetown. I tassi di abbandono scolastico sono tuttavia ancora alti e più della metà dei giovani sono analfabeti (nella fascia di età 15-24 anni sono il 52,1 per cento). La corruzione continua ad essere una pratica ampiamente diffusa, la popolazione ne percepisce l’aumento e questo pregiudica il raggiungimento di altri obiettivi come quello dello sviluppo economico. Un primo passo da effettuare sarebbe quello di ripristinare il funzionamento della Commissione Nazionale Anticorruzione, che è stata sottomessa al potere politico del Presidente Kabbah. Il processo elettorale sembra avere acquisito una dinamica democratica. Sia le elezioni del 2002 che quelle del 2007 si sono svolte senza violenze, inoltre le elezioni del 2007 sono state giudicate dagli osservatori internazionali come libere e competitive. In queste ultime si è distinta una Commissione Elettorale Nazionale che ha brillato per imparzialità e giustizia, contribuendo alla creazione di un 33 International Crisis Group. 12 Luglio 2007. Sierra Leone: The Election Opportunity ICG Africa Report N° 129. p. 8. 69 clima di fiducia verso le istituzioni e al rafforzamento della partecipazione elettorale. Le elezioni dell’Agosto 2007, vinte dall’All People’s Congress di Ernest Bay Koroma, hanno visto la nascita di un nuovo partito, il Peoples Movement for Democratic Change (PMDC) di Charles Francis Margai. L’importanza del PMDC risiede nella capacità del partito di attrarre gli elettori giovani ed educati delle province sud ed est del paese e gli ex-combattenti, non politicizzati dalle élite gerontocratiche dei partiti storici. La nascita del PMDC ha stimolato sia il SLPP che l’APC ad organizzare politiche attrattive per i più giovani, cercando di modernizzare le proprie strutture organizzative. La ricostruzione delle infrastrutture e dei servizi è un imperativo per la risoluzione di alcuni gravi problemi. La comunicazione, la diffusione del mercato e la mobilità territoriale sono elementi che denotano la modernizzazione della società. Finché la vita nei distretti rurali sarà ridotta ad una dinamica premoderna, i giovani continueranno a guardare verso la città piuttosto che pensare a progetti di vita in ambito agricolo. La conseguenza dell’attrazione svolta dalle città verso i giovani, se in primo luogo è la disoccupazione, in secondo luogo è l’assenza di possibilità di sviluppo agricolo per il paese. Lo sviluppo agricolo del paese è un punto in sospeso da quando sono stati scoperti i diamanti all’inizio del novecento, scoperta che ha indirettamente trascinato il paese dall’autosufficienza alimentare alla dipendenza dalle importazioni estere. L’assenza di una volontà nazionale di impegnarsi nello sviluppo del settore agricolo ha fatto sì che ancora oggi il paese sia dipendente dalle importazioni di beni alimentari che, aggiunti alle importazioni di beni secondari causano gravi squilibri nella bilancia dei pagamenti. I problemi aperti nel paese sono ancora tanti, oltre a quelli già discussi, come i bassissimi livelli sanitari, la diffusione dell’HIV, la discriminazione di genere, il contrabbando di diamanti, l’aumento delle famiglie che vivono sotto la soglia di povertà, la crescita degli slums urbani, la mancanza di accesso all’acqua e alle risorse. 70 A sei anni dalla fine delle ostilità non si può dire che il paese abbia investito le capacità di cui è dotato, in termini di risorse economiche e capitale culturale e sociale, nella ricostruzione di una società pronta per affrontare le sfide del futuro, siano esse di tipo economico, politico, sociale o legate alla dinamica regionale e internazionale. 71 Bibliografia Abdullah Ibrahim. 1998. Bush Path to Destruction: The Origin and Character of the Revolutionary United Front/Sierra Leone, in “The Journal of Modern African Studies”, 36(2), p. 203-235. Abraham, Arthur. 2001. 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Map No. 3902 Rev.5, Gennaio 2004, United Nations Cartographic Section. 76