Tesi Sierra Leone

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Tesi Sierra Leone
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI
BOLOGNA
FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN CULTURE E DIRITTI UMANI
TESI DI LAUREA
In Storia e istituzioni dei paesi dell’Africa Sub Sahariana
Identità giovanile, guerra e reintegrazione dei giovani
combattenti in Sierra Leone
CANDIDATO
RELATORE
Simona Grossi
Anna Maria Gentili
Anno Accademico 2006/2007
Sessione III
Indice
Introduzione ........................................................................................ 3
La gioventù in Africa ...................................................................................5
I giovani in Sierra Leone .............................................................................7
Presentazione del lavoro .............................................................................9
Organizzazione dell’elaborato...................................................................14
Acronimi ......................................................................................... 16
Identità giovanile in Sierra Leone ................................................... 17
Le origini culturali .......................................................................... 17
Vivere nelle foreste ....................................................................................17
La creolizzazione culturale e linguistica ...................................................19
Organizzazione politica ed economica ......................................................20
Iniziazione dei giovani ...............................................................................21
Identità giovanile e modernizzazione ............................................. 22
I giovani nei distretti minerari ...................................................................22
I giovani nelle città ....................................................................................24
I giovani e la crisi dello stato patrimoniale ..................................... 25
La crisi nei distretti minerari .....................................................................25
I giovani urbani dalla ribellione alla rivoluzione ......................................28
Conclusioni ..................................................................................... 31
I giovani combattenti ........................................................................ 32
Perchè scegliere l’approccio antropologico .................................... 33
Le principali ricerche antropologiche .......................................................35
Le interviste ai giovani ex-combattenti .......................................... 36
Perchè ci siamo arruolati ..........................................................................37
La discriminazione di genere .....................................................................38
L’analisi politica della guerra ...................................................................39
Le idee sul processo di smobilitazione e reintegrazione ............................40
Il Futuro .....................................................................................................40
Le storie di vita ............................................................................... 40
Il processo di militarizzazione ...................................................................41
Il processo di ritorno alla vita civile..........................................................43
La dimensione espressiva della guerra ........................................... 44
Rambo e l’esclusione sociale .....................................................................45
1
I giovani e i Media .....................................................................................46
Conclusioni ..................................................................................... 47
I giovani e il processo di pace: la sfida della reintegrazione ......... 49
La lunga strada verso la pace .......................................................... 50
Le cause del prolungamento del conflitto ..................................................50
Lomé: un accordo di pace scioccante ........................................................52
La reintegrazione degli ex-combattenti .......................................... 54
I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione .........................54
La progettazione della reintegrazione .......................................................56
La reintegrazione in Sierra Leone .............................................................57
Esperienze sul campo: il disarmo e la smobilitazione come dramma della
gioventù ...........................................................................................................60
La riconciliazione con le comunità ................................................. 62
Conclusioni ..................................................................................... 64
Conclusioni ........................................................................................ 66
Bibliografia ........................................................................................ 72
Siti internet ........................................................................................ 74
Appendice A: Carta geografica della Sierra Leone ....................... 76
2
Introduzione
“A partire dagli anni novanta, con la fine della Guerra Fredda si è
intensificato l’interesse per i conflitti intrastatali, combattuti con armi
convenzionali e per complesse ragioni locali.”1 Il rapporto Unicef
“State of the World's Children 1996: Children In War” afferma che,
dalla fine degli anni ottanta, la percentuale di vittime civili nei conflitti
armati è aumentata drasticamente rispetto a quella della Seconda
Guerra Mondiale (dal 66 per cento al 90 per cento circa), in parte a
causa dell’uso di armi di distruzione di massa, in parte a causa della
specificità dei conflitti intrastatali. Mentre nel conflitto fra Stati,
combattuto da eserciti, è chiara la distinzione fra civili e belligeranti, il
conflitto interno allo Stato avviene tra gruppi che devono essere
identificati ogni volta (ad esempio tra militari e civili oppure fra
gruppi armati di civili), può essere combattuto nei villaggi, nelle
strade o in qualsiasi altro luogo, non fa distinzione fra combattenti e
civili e, soprattutto, esercita la violenza verso target di gruppi sociali
come le famiglie, le donne e i bambini.2
Il continente africano già duramente colpito negli anni ottanta dalla
diffusione dell’HIV/AIDS e dalle calamità naturali (come la siccità in
Mozambico ed Etiopia), negli anni novanta è attraversato da una serie
di conflitti interni (Liberia, Sierra Leone, Ciad, Etiopia, Eritrea,
Sudan, Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del
Congo, ecc...) che sono stati causa di ulteriore degrado delle
condizioni di vita soprattutto per i più deboli come i bambini.
Il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati non è un
fenomeno nuovo, ma è un fenomeno che ha richiamato l’attenzione
negli anni novanta, nel momento in cui sono cambiate la dinamica del
fare la guerra e l’idea contemporanea di infanzia.
1
Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone. Oxford: James Currey, p. XIII.
2
United Nations Children's Fund, State of the World's Children 1996, Oxford:
Oxford University Press. http://www.unicef.org/sowc96/1cinwar.htm
3
Come spiega Machel nel rapporto per le Nazioni Unite, le guerre
moderne uccidono, menomano e sfruttano i bambini più spietatamente
e più sistematicamente che mai.3 Nelle guerre moderne si utilizzano
armi così leggere che possono essere maneggiate con facilità dai
giovani, come i fucili d’assalto M16 e AK-47, inoltre, le granate, le
mine terrestri e gli esplosivi si prestano ad essere posizionati e
utilizzati dai bambini. Gli effetti della “guerra sui bambini”4 nel
decennio 1985-1995 hanno provocato 2 milioni di morti, 5 milioni di
feriti gravi o disabili permanenti, più di 1 milione fra orfani e bambini
separati dalle famiglie, 12 milioni fra rifugiati e sfollati, circa 10
milioni di affetti da traumi psicologici.5
L’infanzia è una categoria sociale profondamente legata allo spazio
e al tempo, alla cultura, alla classe e al genere. Nelle società
occidentali si tende a considerare l’infanzia come una fase della vita
universale e uniforme, delimitata dal carattere biologico dell’età e
scandita dal percorso educativo, indipendente dal contesto storico e
culturale. Invece le vite e le identità di bambini e giovani sono
strettamente dipendenti dalle diverse esperienze, ad esempio fra i
Tchokwè dell’Angola i bambini acquisiscono un’identità che varia in
funzione dei ruoli sociali che assumono e sono chiamati con nomi
diversi in relazione all’occupazione che svolgono.6
Nella tutela internazionale dei diritti del fanciullo la necessità di
stabilire standard globali di protezione ha portato a uniformare la
definizione del fanciullo come “[...] ogni essere umano avente un’età
inferiore a diciotto anni [...]”7, mutuando l’universalismo occidentale,
e producendo l’esplosione dell’attenzione verso i giovani che non
3
Machel, Graça. 2001. The Impact of War on Children: a Review of Progress since
the 1996 United Nations Report on The Impact Of Armed Conflict on Children.
London: Hurst & Co, p. 1.
4
Machel, Graça. op. cit. p.1.
5
United Nations Children's Fund, State of the World's Children 1996, Oxford:
Oxford University Press, http://www.unicef.org/sowc96/1cinwar.htm
6
Honwana, Alcinda. 2006. Child Soldiers in Africa. Philadelphia: University of
Pennsylvania Press, pp. 41,42.
7
Convention on the Rights of the Child, 20/09/1989, Art.1.
http://www2.ohchr.org/english/law/crc.htm
4
seguono i percorsi di vita occidentali, che vengono considerati a
rischio o un rischio per la società. Dall’interesse per l’esperienza dei
bambini soldato negli anni novanta nasce a livello internazionale la
condivisione della necessità di strumenti per una maggiore tutela dei
diritti del fanciullo8 e, a livello accademico, una serie di studi
antropologici sull’identità dei bambini soldato.
La gioventù in Africa
La gioventù in Africa vive in condizioni di marginalità politica ed
economica, priva di lavoro e con scarse possibilità di accesso
all’istruzione. L’Africa Sub Sahariana possiede la popolazione
giovanile più numerosa del mondo, infatti, i giovani (minori di 15
anni) costituiscono il 43,6 per cento di una popolazione di circa 750
milioni di abitanti.9 Nonostante le difficoltà che attraversano, questi
giovani partecipano attivamente allo sviluppo politico, economico,
sociale e culturale, sono i principali attori nell’economia informale e
nei processi di globalizzazione e occupano un ruolo di primo piano
nelle
trasformazioni
delle
società
tanto
che
sono
giudicati
simultaneamente come forze creative e distruttive dell’ordine sociale o
“Makers & Breakers”10.
I contesti di vita nei quali sono immersi sono stati forgiati da
processi quali la colonizzazione e la decolonizzazione, il post8
I diritti del fanciullo sono trattati in forma sistematica solo a partire dalla
Convention on the Rights of the Child del 1989 (CRC). L’atto di arruolare minori di
quindici anni per farli combattere è riconosciuto come crimine di guerra dallo statuto
della Corte Penale Internazionale entrato in vigore il 1 Luglio 2002. Nel 2000 è
entrata in forza la Convenzione 182 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro
(ILO) che condanna l’arruolamento di minori come una delle peggiori forme di
sfruttamento del lavoro minorile. Nel Febbraio del 2002 è entrato in vigore il
“Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente il
coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati” allo scopo di vietare l’arruolamento
di minori di diciotto anni.
9
UNDP. Human Development Report 2007/2008 Fighting climate change: Human
solidarity in a divided world. New York: Palgrave Macmillan, Tav. 5.
http://hdr.undp.org/en/media/hdr_20072008_en_complete.pdf
10
Makers & Breakers è il titolo dell’opera di Honwana A., che attraverso i saggi
presentati dimostra come i giovani in Africa contribuiscano sia alla riproduzione
dell’ordine sociale che al suo mutamento. Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip
(Edited by). 2005. Makers & Breakers: Children and Youth in Postcolonial Africa.
Oxford: James Currey.
5
colonialismo e la formazione degli Stati nazione, le guerre civili, il
capitalismo globale e lo sfruttamento economico. Le società africane
inoltre sono attraversate da una profonda spaccatura fra zone urbane e
rurali. La città rappresenta la modernità, la libertà di scelta e la
possibilità di istruzione mentre la campagna, isolata e priva di
infrastrutture, è dominata dai legami tribali, dai quali spesso i giovani
vogliono scappare.
La questione dei giovani combattenti è in stretta relazione con lo
sviluppo dell’identità giovanile nel corso della storia.
Nella tradizione precoloniale il controllo dei giovani avveniva
attraverso il processo di iniziazione tribale che serviva ad inserirli nel
mondo degli adulti mantenendo ordinati i rapporti intergenerazionali.
Durante il periodo coloniale il rapporto intergenerazionale iniziò a
destabilizzarsi
come
conseguenza
dei
profondi
processi
di
trasformazione sociale ed economica avviati dalle potenze europee
con la messa a valore dei territori. L’introduzione delle imposte causò
un cambiamento definitivo nei modi di produzione che da volontari
divennero obbligati; Gentili descrive le conseguenze sociali dello
sfruttamento economico:
Fu in rapporto alla diffusione del mercato che mutò radicalmente la
divisione sessuale del lavoro, poiché le produzioni agricole alimentari
per la famiglia restarono progressivamente interamente a carico delle
donne, dei bambini e degli anziani.11
Il deteriorarsi dell’agricoltura familiare oltre a rendere i sistemi di
sicurezza alimentare delle società molto fragili davanti alle calamità
naturali, causò la frammentazione dei sistemi di solidarietà familiare e
comunitaria, resi già precari dall’introduzione del lavoro salariato,
dalla diffusione dell’individualismo, dalle grandi emigrazioni della
forza lavoro verso i terreni produttivi dell’Africa utile.
La politica coloniale inglese dopo la seconda guerra mondiale si
limitò a promuovere l’adesione verso il modello culturale occidentale
tramite le istituzioni scolastiche; la maggior parte dei giovani, che
11
Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma: Carocci, p. 304.
6
nelle città erano sempre più numerosi a causa del processo di
urbanizzazione e del boom demografico, non potevano andare a
scuola e ingrossarono le fila del proletariato urbano e dei disoccupati,
che vennero emarginati nei ghetti ed adottarono propri modelli
culturali.
Dopo le indipendenze, il clima di grande fervore per la costruzione
della nazione e l’enfasi posta sulla necessità di unione, legittimarono
sistemi politici che presto degenerarono nella condanna di ogni forma
di pluralismo e che si trasformarono in sistemi a partito unico. Negli
Stati Africani furono sperimentati sia il modello socialista sia quello
capitalista ma, nella sostanza, entrambe le classi dirigenti accentrarono
le decisioni politiche ed economiche in un modello statalista che fallì
nel fare decollare lo sviluppo dei paesi.
Negli anni settanta l’urbanizzazione era costantemente in crescita
perchè le condizioni di vita nelle campagne andavano sempre
peggiorando12 e l’economia informale prosperava sottoforma di
mercato nero e contrabbando. I politici commisero lo sbaglio di non
affrontare la complessità della società, ormai permeata da fratture
sociali e lotte di classe, ma soffocarono le proteste, negarono il
riconoscimento ai giovani e ridistribuirono le risorse in maniera
tutt’altro che egalitaria così che crearono, giorno dopo giorno, il
terreno di coltura per i conflitti degli anni novanta.
I giovani in Sierra Leone
Negli anni novanta la Sierra Leone è stata teatro di una guerra
civile durata undici anni. I ribelli del Revolutionary United Front of
Sierra Leone (RUF) invasero il paese dal confine orientale con la
Liberia. Motivati dalla necessità di riappropriarsi delle risorse
economiche del territorio, si proposero come un movimento di riscatto
nazionale, ma non ottennero appoggio dalla comunità. Ricacciati
12
I produttori agricoli che contribuivano alla crescita dello Stato pagando le tasse
non venivano ricompensati dallo sviluppo di adeguati servizi sociali e infrastrutture
nelle campagne perchè tutte le risorse venivano investite nelle aree urbane.
7
dall’esercito all’interno delle foreste, iniziarono ad esercitare la
violenza sulla popolazione rurale in maniera inaudita, uccisero o
menomarono chi non collaborava, bruciarono i villaggi, stuprarono
donne e bambine, si appropriarono di ogni cosa che rimaneva nelle
abitazioni.
Il movimento catturava i giovani dai villaggi e li costringeva a
diventare bambini e bambine soldato, li sottoponeva a traumatiche
prove di coraggio e fatiche fisiche. I giovani erano costretti ad usare
droghe e alcool, che fornivano il coraggio per diventare degli
infallibili strumenti di morte. In Sierra Leone i bambini soldato hanno
combattuto anche sul fronte governativo, come irregolari assoldati
dalle forze armate della Sierra Leone Army (SLA poi RSLMF,
Republic of Sierra Leone Military Forces), e si sono arruolati anche
nelle milizie civili (CDF, Civil Defence Forces). Si stima che siano
scesi in campo circa 10.000 bambini dei quali la metà ha combattuto
in prima linea uccidendo, mutilando e rubando ai danni della
popolazione civile inerme.
Come osservava Richards già nel 1996, poiché il RUF
sopravviveva grazie all’energia, intelligenza e disperazione dei
giovani catturati e iniziati alla guerra, allora il modo migliore per
sfidare i ribelli e spingerli a entrare nel processo di pace era quello di
offrire amnistia e reintegrazione ai combattenti.
I primi programmi di reintegrazione per combattenti furono avviati
con gli accordi di pace stipulati nel 1996 fra il RUF e il governo della
Sierra Leone.13 Questi programmi furono interrotti dalla ripresa del
conflitto, molti bambini che erano già stati smobilitati tornarono a
combattere, e ripresero dopo la firma di nuovi accordi di pace nel
1999.14 La reintegrazione doveva aiutare i ragazzi a ritornare presso le
proprie famiglie o comunità e fornirgli un percorso di formazione per
reinserirsi nel circuito sociale ed economico.
13
14
Accordi di Pace di Abidjan.
Accordi di Pace di Lomè.
8
La popolazione della Sierra Leone è formata dal 41,7 per cento di
giovani minori di quindici anni, dei quali circa il 72 per cento ha
un’età compresa fra 0 e 9 anni.15 Il tasso di fertilità è molto alto, ogni
donna ha in media 6 figli, e le speranze di vita sono molto basse, solo
il 4,4 per cento supera i 65 anni. Nel paese l’urbanizzazione16 è in
aumento, ma rimane su un tasso del 40 per cento circa, le città più
grandi sono Freetown, Bo e Kenema che contano rispettivamente
772.873, 149.957 e 128.402 abitanti.
I dati del censimento del 2004 per quanto riguarda l’educazione
mostrano che le iscrizioni scolastiche stanno esplodendo. Il problema
principale dell’istruzione è quello di non riuscire a portare a termine
gli studi. Fra i giovani più della metà sono analfabeti (nella fascia di
età 15-24 anni sono il 52,1 per cento), l’analfabetismo sta diminuendo,
i giovani sono più istruiti dei loro genitori e in particolare la fascia di
età dai 12 ai 14 anni è la più alfabetizzata. I livelli di istruzione
divergono notevolmente fra aree rurali, dove sono sempre più scarsi, e
aree urbane. Fra i distretti rurali quello meno alfabetizzato è quello di
Koinadugu, nel Nord, mentre i distretti urbani più alfabetizzati sono
quelli di Freetown e Bo (68 per cento e 64 per cento rispettivamente).
Nelle città di Makeni, Bo, Kenema, Bonthe e Freetown si registrano i
tassi più alti di frequenza scolastica.17
Presentazione del lavoro
Il lavoro che presento è un’analisi della letteratura antropologica
prodotta durante gli anni novanta che ha come oggetto l’identità dei
15
Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census -Executive
SummaryPopulation
Size,
Age
and
Sex
Structure,
http://www.statistics.sl/Population%20Size%20Age%20and%20Sex%20Structure.p
df, p. 4.
16
“In Sierra Leone non si ha una definizione standard di area urbana ma
tradizionalmente sono considerate aree urbane quelle con più di 2000 abitanti.”
Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census-Executive
Summary–Population
Distribution
Migration
and
Urbanization,
http://www.statistics.sl/Migration%20and%20Urbanization.pdf, p. 8
17
Republic of Sierra Leone: 2004 Population and Housing Census - Executive
Summary–Education
and
Literacy,
http://www.statistics.sl/Migration%20and%20Urbanization.pdf
9
giovani combattenti in Sierra Leone. Dagli studi antropologici
emergono alcune caratteristiche dei giovani combattenti, che
solitamente non sono messe in luce dall’approccio di tipo umanitario,
che è necessario conoscere per potere progettare dei programmi di
reintegrazione che abbiano successo, cioè che riescano ad attirare gli
ex-combattenti fuori dal conflitto e a creare un ambiente che sia in
grado di promuovere una pace duratura.
I termini ‘giovani combattenti’ e ‘bambini soldato’ in questo lavoro
sono utilizzati come sinonimi la cui definizione è quella adottata dai
Principi di Città del Capo:
'Child soldier' [...] is any person under 18 years of age who is part of
any kind of regular or irregular armed force or armed group in any
capacity, including but not limited to cooks, porters, messengers and
anyone accompanying such groups, other than family members. The
definition includes girls recruited for sexual purposes and for forced
marriage. It does not, therefore, only refer to a child who is carrying or
has carried arms.
Vedremo poi come sono stati applicati in Sierra Leone i programmi
di reintegrazione per ex-combattenti, in particolare mi riferisco al
programma iniziato nel 2001 e portato a termine nel 2004, al fine di
produrre delle osservazioni generali sull’organizzazione e sulle
problematiche da affrontare nella messa in opera. Se la reintegrazione
degli ex-combattenti mira a ricostruire il tessuto sociale lacerato da
anni di violenze, allora è indispensabile che venga affiancata da
strumenti per favorire la riconciliazione familiare e comunitaria, come
in Sierra Leone si è cercato di fare attraverso l’istituzione della
Commissione di Verità e Riconciliazione.
Ho scelto di analizzare il caso della Sierra Leone perchè presenta
caratteri emblematici per quanto riguarda il tipo di Stato a cui ha dato
vita nel periodo post-indipendenza, lo stato patrimoniale, il tipo di
conflitto civile di cui è stata protagonista negli anni novanta e la
partecipazione dei giovani al conflitto.
La cultura politica dello stato-nazione sierraleonese è caratterizzata
dal patrimonialismo, un modo di agire politico che attua la
redistribuzione
delle
risorse
e
delle
ricchezze
in
maniera
antiistituzionale e personalista. Come spiega Gentili: “In tutti i sistemi
10
africani
infatti
risorse
economiche
e
politiche
diventarono
immediatamente intercambiabili: il potere dava accesso privilegiato
alla ricchezza, così come la ricchezza al potere.” 18 Il patrimonialismo
non è un’alternativa al capitalismo e al socialismo africani ma si
ritrova in tutti i sistemi politici africani. Il patrimonialismo si nutre
della grande ricchezza prodotta dallo sfruttamento delle risorse
naturali, in questo caso minerarie, e dei finanziamenti provenienti
dall’esterno, in questo caso dalla Guerra Fredda, ma non si impegna
per un progetto nazionale di sviluppo del paese, delle infrastrutture,
dell’educazione, dell’assistenza sociale, lascia che questi aspetti siano
amministrati dalle compagnie estrattive che hanno in concessione le
enclave minerarie. L’assenza di un progetto nazionale e il mancato
reinvestimento dei profitti ha contribuito a fare si che la Sierra Leone,
oggi, sia il paese con il più basso indice di sviluppo umano al mondo,
poiché i servizi sanitari, educativi e le infrastrutture sono
sottosviluppati.
Le guerre africane che hanno avuto luogo dopo la decolonizzazione
sono guerre per l’accesso alle risorse, affondano le radici
nell’asimmetria della spartizione coloniale e sono state coltivate dalle
politiche perseguite dalle élite al potere dopo le indipendenze. Penso
ad esempio al conflitto del Ruanda, dove due classi sociali e politiche,
gli Hutu e i Tutsi, si sono massacrate per l’accesso alle risorse che
furono ripartite inegualmente dal potere coloniale tedesco. Quando le
élite al potere hanno favorito i gruppi vicini al centro politico ciò ha
significato poter decidere chi poteva comperare la terra e la casa,
penso ad esempio al Kenya, ex-colonia di settlers inglesi, dove le
violenze che si stanno verificando in seguito alle elezioni del 27
Dicembre 2007 derivano dalle proteste dei più poveri, i disoccupati e i
senza terra, che sono stati esclusi dalla redistribuzione delle terre
avvenuta a favore dei Kikuyu.19
18
Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma: Carocci, p. 398.
Najum Mushtaq. Kenia, la vera causa delle violenze, in “Internazionale”, n. 729,
anno 15, 1/7 Febbraio 2008.
19
11
Il conflitto in Sierra Leone deriva dal fallimento economico dello
stato patrimoniale e dalla sua incapacità di garantire ai giovani
l’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro. Secondo Richards il
conflitto è causato dalla ribellione di una gioventù stanca del clima di
alienazione e marginalità in cui vive e si alimenta grazie allo stato di
abbandono in cui si trovano le regioni più remote del paese, prive di
infrastrutture, strutture educative e poco sensibilizzate verso
un’identità nazionale.
In prospettiva regionale il RUF ha avuto appoggio logistico
dall’ex-presidente liberiano C. Taylor e dal suo movimento, il
National Patriotic Front of Liberia (NPFL), per destabilizzare lo Stato
sierraleonese favorevole al processo di pace liberiano. Anche
Gheddafi sostenne i dissidenti, sia in Sierra Leone che in Liberia,
mettendo a disposizione il suo campo di addestramento a Benghazi in
cambio dell’appoggio alla nuova forma di Stato da lui teorizzata nel
Green Book. La Nigeria e la Costa d’Avorio invece hanno aiutato
militarmente il governo sierraleonese, perchè le sue risorse minerarie
sono importanti per il loro sviluppo tecnologico a lungo termine e
anche Israele appoggio il paese inviando riso in cambio della
possibilità di controllare l’afflusso di risorse che i libanesi
convogliavano verso le fazioni in lotta durante la guerra civile
libanese.
L’effetto contagioso dei conflitti in Africa, già verificatosi nella
Regione dei Grandi Laghi i cui Stati hanno dato luogo alla ‘Prima
Guerra Mondiale Africana’, si presenta anche in Africa Occidentale.
Infatti, a partire dalla guerra civile Liberiana scoppiata nel Dicembre
1989, il conflitto è migrato in Sierra Leone, ritornato in Liberia e
arrivato in Guinea nel 2000 e in Costa d’Avorio nel 200220 tanto che si
può parlare di ‘Guerra Regionale dell’Africa Occidentale’.
Il conflitto in Sierra Leone è durato un decennio perchè si è
autofinanziato
tramite
l’economia
20
di
guerra
International
Crisis
Group,
West
http://www.crisisgroup.org/home/index.cfm?id=1170&l=1
12
cioè
estraendo
Africa
Project.
illegalmente i diamanti nei distretti di Kono e Kenema. Il RUF si era
fermamente stabilito in questi distretti, dai quali ha reclutato la
maggior parte dei giovani combattenti, dove estraeva diamanti che
scambiava con armi, la maggior parte delle quali provenivano dalle ex
Repubbliche Sovietiche dopo la fine della Guerra Fredda.
Fra tutte le conseguenze della guerra sui bambini, il caso della
Sierra Leone ci porta ad esaminare la questione dell’utilizzo dei
bambini soldato. Il termine bambino soldato è sconvolgente poiché
combina due identità che nella società occidentale si ritengono
opposte: quella del bambino, normalmente associata con l’innocenza,
la debolezza e la necessità di protezione e guida di un adulto e quella
del soldato, normalmente associata con la forza, l’aggressione e la
maturità. I bambini soldato si trovano in una posizione sociale
fluttuante fra la gioventù e la maturità: sono bambini che hanno perso
l’innocenza e sono adulti senza consapevolezza e senso di
responsabilità, agiscono da adulti proiettando le loro azioni in un
immaginario fatto di giochi e fantasia, “dove il ludico diventa
grottesco e macabro.”21
La maggior parte dei bambini soldato viene arruolata con la
violenza, sotto minaccia di morte, ma altri invece lo fanno
volontariamente. Sono molti i motivi che spingono i ragazzi a
arruolarsi. A volte cercano un’alternativa alla povertà, alla
disoccupazione, al mancato accesso all’istruzione, soprattutto quando
vengono separati dalle proprie famiglie in contesti di conflitto e
rimangono da soli con la necessità di sopravvivere. Anche il tentativo
di scappare dalla violenza domestica, dagli abusi e dallo sfruttamento
è fra i principali motivi per cui i bambini vanno a combattere.22 In altri
casi i volontari si sono arruolati per vendicare gli abusi e le torture
subiti dalla propria famiglia, ad opera delle forze governative e dei
gruppi armati. Infine per questi giovani combattenti l’utilizzo della
21
Honwana, Alcinda. 2006. Child Soldiers in Africa. Philadelphia: University of
Pennsylvania Press, p. 3.
22
Child Soldiers Global Report 2004, London: Coalition to Stop the Use of Child
Soldiers, p. 14.
13
violenza risponde ad una ricerca identitaria, come osserva Jourdan
“Diventare soldati [...] costituisce un tentativo di accedere alla
modernità nei suoi aspetti materiali e soprattutto simbolici, allo scopo
di sottrarsi a una condizione di esclusione e passività.”23
Si ha testimonianza di bambini soldato arruolati già all’età di otto
anni. I giovani combattenti ricevono un periodo più o meno intenso di
training e vengono così trasformati in killer senza pietà che uccidono
per gioco. Spesso la prima prova che devono affrontare, per
dimostrare coraggio ai propri capi e continuare a sopravvivere, è
l’assassinio a sangue freddo di una persona indifesa, un amico o un
familiare. Le bambine soldato anche arruolandosi sono ripetutamente
sottoposte a violenze sessuali e a condizioni di schiavitù,
particolarmente sconcertante è il racconto delle bambine angolane
costrette a diventare le mogli dei loro rapitori già dall’età di tredici
anni. I bambini combattenti vengono stremati fisicamente dai pesi che
sono costretti a portare, sono esposti a gravi malattie e infezioni
dovute all’assenza di assistenza sanitaria, subiscono gravi danni agli
occhi dovuti alla prolungata esposizione al sole senza protezione.
Comprendere chi sono questi bambini è l’imperativo per potere
intervenire sulla società nel dopo-guerra, per attuare dei programmi di
reintegrazione che abbiano successo, per dare una possibilità di
sviluppo a questo paese attraverso la forza dei suoi giovani.
Organizzazione dell’elaborato
Il primo capitolo parla della cultura giovanile in Sierra Leone
attraverso alcuni passi significativi della storia del paese: la
creolizzazione culturale, la cultura nei distretti minerari, la cultura
urbana e la rivoluzione.
Nel secondo capitolo saranno i ragazzi stessi a raccontarci le loro
storie di vita tramite le interviste raccolte da alcuni ricercatori
all’interno dei campi di smobilitazione o reintegrazione.
23
Jourdan, Luca. 2004. Guerra, giovani e identità nel Nord Kivu: un approccio
antropologico, in Afriche e Orienti, No. 1-2, Anno VI, pp. 120
14
Il terzo capitolo prende in esame il processo di pace, i programmi
di reintegrazione degli ex-combattenti e l’adozione di strumenti per la
riconciliazione
sociale
come
la
Riconciliazione.
15
Commissione
di
Verità
e
Acronimi
APC
All People’s Congress
AFRC
Armed Forces Revolutionary Council
CDF
Civil Defence Forces
CRC
Convention on the Rights of the Child
CMRRD
Commission for the Management of Strategic Resources, National
Reconstruction and Development
DDR
Disarmament, Demobilisation and Reintegration
DDRP
Disarmament, Demobilisation
and Reintegration Programs/
Program
ECOMOG
Economic Community of West African States Monitoring Group
ECOWAS
Economic Community of West African States
FBC
Fourah Bay College
GoSL
Government of Sierra Leone
IDDRS
Integrated Disarmament, Demobilisation
and Reintegration
Standard
ILO
International Labour Organization
NPFL
National Patriotic Front of Liberia
NPRC
National Provisional Rouling Council
PANAFU
Pan-African Union of Sierra Leone
RSLMF
Republic of Sierra Leone Military Forces
RUF
Revolutionary United Front of Sierra Leone
SLA
Sierra Leone Army
SLPP
Sierra Leone People’s Party
SLST
Sierra Leone Selection Trusts
UNAMSIL
United Nations Mission for Sierra Leone
UNIOSIL
United Nations Integrated Office for Sierra Leone
16
Identità giovanile in Sierra Leone
Quali sono gli aspetti culturali delle comunità delle Upper Guinea
Forests? In che ambiente sono cresciuti i giovani sierraleonesi nel
post-indipendenza? Chi sono i giovani che hanno dato origine al
RUF? In questo capitolo analizzerò le peculiarità della cultura della
Sierra Leone, il rapporto fra i giovani e lo sviluppo minerario e
l’impatto della recessione dello Stato negli anni ottanta del novecento
sulla cultura giovanile.
Le origini culturali
Vivere nelle foreste
L’area geografica delle Upper Guinea Forests comprende le foreste
umide tropicali (Tropical Moist Forest1) che si estendono dal sud della
Guinea e dall’est della Sierra Leone attraverso Liberia, Costa d’Avorio
e Ghana, fino all’ovest del Togo.2 In Sierra Leone meno del 5 per
cento3 del territorio è coperto dalla foresta primaria,4 che si trova solo
al confine con la Liberia (Gola Forest), a causa dello sfruttamento e
della deforestazione che la ha progressivamente ridotta; la foresta
secondaria è presente sul 40 per cento circa del territorio5. La Gola
Forest è formata da boschi tropicali che sono quasi impossibili da
attraversare; da queste aree isolate è partita l’offensiva del RUF, che il
23 Marzo 1991 attaccò i distretti di Kailahun e Pujehun.
1
Sull’ecosistema
delle
foreste
umide
tropicali
vedere:
http://www.biodiversityhotspots.org/xp/hotspots/west_africa/Pages/default.aspx
2
Di questi stati solo la Liberia è interamente coperta da foreste.
3
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7136606.stm
4
La foresta primaria è caratterizzata dalla presenza di specie vegetali endemiche e
non presenta segni visibili di interventi umani. Nella foresta secondaria le specie
endemiche crescono naturalmente ma presenta chiari segni di attività umane di
sfruttamento del territorio (FAO, Global Forest Resources Assessment update 2005,
Terms
and
definitions,
Rome
2004.
http://www.fao.org/forestry/webview/media?mediaId=7797&langId=1)
5
FAO,
Global
Forest
Resources
Assessment
2005,
http://www.fao.org/forestry/site/countryinfo/en/
17
Le comunità delle Upper Guinea Forest sono sopravvissute a più di
cinquecento anni di sfruttamento delle risorse destinate al mercato
globale dimostrando una creatività sociale che ha permesso di mettere
a punto dei processi di funzionamento della società in un contesto
estremamente difficile. Situate ai confini di due sistemi commerciali
quali il commercio di lunga distanza dell’oro6 e quello internazionale
di schiavi7 e prodotti tropicali, le foreste venivano sfruttate come
bacino di rifornimento della merce. Durante l’epoca coloniale la
messa a valore dei territori per il mercato fu estremamente violenta; le
foreste vennero bruciate e disboscate per avviare le coltivazioni dei
cash-crop come cacao, olio di palma e caffè e per esportare legna
pregiata. Gli elefanti, che fino a quel momento erano presenti in
grande numero e che fornivano il prodotto di esportazione di maggior
valore, l’avorio, si estinsero.
La violenza dello sfruttamento delle risorse e della tratta degli
schiavi è ricordata dalle comunità anche attraverso la narrativa orale. I
racconti, come “Bemba Gogbua’s Story”,8 raccolto nel 1989 nel paese
di Sembehun, descrivono alcuni particolari dello sfruttamento delle
foreste. I mercanti, che solitamente erano Mandingo, erano al servizio
di qualche “Big Man” europeo. I Mandingo venivano accolti in pace
dalle comunità che fornivano loro i prodotti delle foreste in cambio di
armi e alcolici; con la scusa di usare i ragazzini delle comunità come
portantini e inviarli a studiare in Europa, venivano condotti a Cape
Mount, in Liberia, dove venivano imbarcati e ridotti in schiavitù.
6
La strada dell’oro, che collegava i grandi imperi del Ghana, Mali, Songhai e
Kanem-Bornu nel Sudan Occidentale e Centrale al Mediterraneo attraversando il
Sahara, comprendeva anche il bacino del Niger, sul quale si affaccia la zona
collinare a nord della Sierra Leone, ed era controllata dai commercianti Mande.
7
Gentili osserva che Manning ha stimato che l’impatto demografico della schiavitù
in Africa raggiunse l’apice nei secoli XVII e XVIII, durante i quali è stato calcolato
che furono esportate circa 14 milioni di persone, delle quali 9 milioni provenienti
dall’Africa Occidentale (Gentili, Anna Maria. 1995. Il Leone e il Cacciatore. Roma:
Carocci, p. 53).
8
Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone. Oxford: James Currey, p. 98.
18
La creolizzazione culturale e linguistica
I brutali meccanismi di sfruttamento delle risorse in epoca
coloniale si rivelarono ben presto insostenibili e i membri più potenti
delle società delle foreste iniziarono a collaborare con i mercanti per
organizzare i commerci e l’acquisizione di schiavi, avorio e altri
prodotti.
La cultura del compromesso e dell’intermediazione commerciale è
un’abilità che le società delle foreste avevano acquisito già a partire
dal XVI secolo quando furono invase da guerrieri di lingua Vai, un
popolo che aveva assimilato le pratiche e le idee dei guerrieri Mande
relativamente al commercio di lunga distanza, alla religione islamica e
al possesso di abilità linguistiche che facilitassero la mobilità
geografica. In un clima di grande rivalità per l’accesso alle risorse, o
meglio: “Nelle convulse condizioni di tutta l’Africa Occidentale negli
anni precedenti all’arrivo degli europei”,9 e avendo a disposizione
piccoli spazi su cui muoversi, le comunità furono costrette a ricercare
la convivenza e la convergenza culturale, per affrontare positivamente
il processo di cambiamento sociale. I Vai ad esempio furono subito
integrati nella società e nel sistema economico tanto che non diedero
origine né ad un’identità culturale definita né ad un’organizzazione
politica particolare.
Le società delle Upper Guinea Forests hanno dato vita ad un
processo di creolizzazione culturale, cioè ad un insieme di pratiche
attraverso le quali la cultura diventa particolarmente dinamica e
creativa, capace di assorbire aspetti innovativi grazie alle virtù del
compromesso politico e del sincretismo religioso. La creolizzazione
culturale rende la cultura un flusso e le società inclusive e
multiculturali. Le comunità hanno sviluppato dei processi sociali atti a
favorire l’integrazione di nuovi arrivati, ad esempio attraverso la
valorizzazione delle risorse possedute come la forza lavoro o la
9
Bernardi, Bernardo. 2006. Africanistica, Le culture orali dell’Africa, Milano:
Franco Angeli. p. 296
19
capacità di commercio oppure attraverso il sistema matrimoniale che,
basato sulle alleanze fra famiglie, svolge un ruolo essenziale
nell’attribuire ai novizi un riconoscimento politico.
La creolizzazione culturale in Sierra Leone si rafforzò anche con lo
sviluppo e la diffusione della lingua Krio, che è attualmente la lingua
franca nazionale e viene utilizzata dai mass media e nei dibattiti
elettorali. Il Krio è una lingua creola adottata e arricchita dagli schiavi
liberati a Freetown nel 1840,10 che non possedevano un linguaggio
comune ma si dice che parlassero circa 200 lingue diverse. La lingua
ha alcuni caratteri in comune con l’inglese ed è parlata dalla quasi
totalità della popolazione. Della lingua Krio è ancora sconosciuta
l’origine: secondo alcune ipotesi sarebbe stata introdotta dai
portoghesi che arrivarono sulle coste nel XV secolo, altre teorie
contemporanee invece ipotizzano che abbia avuto origine dalle lingue
Mande parlate nelle foreste e portate sulla costa tramite i commerci.
Organizzazione politica ed economica
Le società delle Upper Guinea Forests sono società senza Stato,
cioè società che non hanno adottato governi centralizzati, e sono
organizzate in sistemi di classi d’età. A causa della mancanza di
istituzioni centralizzanti il sistema politico ed economico ha
sviluppato relazioni clientelistiche. I giovani sono parte attiva della
forza lavoro e svolgono molti compiti, organizzandosi in squadre
sponsorizzate dagli anziani. Il commercio dipende dai landlords
locali, che si occupano di assicurare ospitalità e protezione ai
commercianti.11 Le relazioni clientelistiche se da un lato sono viste
10
La moderna Sierra Leone fu fondata nel 1787 da schiavi africani che avevano
combattuto al fianco degli inglesi contro l’indipendenza degli Stati Uniti d’America
e che furono ricondotti in Africa come ricompensa. La maggior parte di loro morì
dopo poco tempo, ma la baia di Freetown fu ripopolata, a metà del XIX secolo, da
africani, i recaptives, che erano stati imbarcati come schiavi sull’Atlantico ma che
furono intercettati e liberati dagli squadroni anti-schiavitù inglesi. Furono i
recaptives che diedero origine alla cultura creola di Freetown, un metissaggio di
varie idee e pratiche tecniche e sociali che provenivano dalle coste occidentali
dell’Africa.
11
Richards, Paul. op. cit. p. 80.
20
come necessarie dalle popolazioni perchè servono alla equa
redistribuzione delle risorse, dall’altro favoriscono il patrimonialismo
e la visione sospettosa della politica che è considerata come un mezzo
per ottenere successi personali.
I principali prodotti delle foreste erano il riso e l’avorio. Il riso, che
era ed è ancora il principale alimento in Sierra Leone, viene coltivato
sia nella zona a Nord del paese, dove la foresta degrada nelle savane
sudanesi e forma valli paludose,12 che nelle foreste e nelle coste
atlantiche. Mentre il Nord era abitato dal popolo dei Kissi, detti “le
genti del riso”, la cui vita, materiale e affettiva, era scandita dalla cura
del riso,13 nelle foreste erano i Mande che lo seminavano nei varchi
aperti dai cacciatori di elefanti.
Anche la coltura del riso in Sierra Leone è testimone del processo
di creolizzazione culturale, infatti, nel triangolo di terra fra Freetown,
Kailahun e Cape Mount, tre diversi tipi di sementi di riso africano si
sono mischiate con quella proveniente dall’Asia e introdotta dai
portoghesi creando un metissaggio genetico.14
Iniziazione dei giovani
L’iniziazione dei giovani è un processo di inculturazione, quindi
educativo, funzionale al mantenimento dell’ordine sociale, attraverso
il quale i giovani, da inesperti e dipendenti dalla famiglia, sono
trasformati in adulti responsabili. In Sierra Leone l’iniziazione
avviene entrando a fare parte di un’associazione, rispettivamente Poro
per i maschi e Sande per le femmine. L’affiliazione aiuta a rompere
simbolicamente i legami con la famiglia e a crearne dei nuovi, più
estesi, come quelli fra coetanei o con gli anziani della comunità. Nel
momento in cui un giovane è pronto per essere iniziato una maschera
12
La regione a Nord della Sierra Leone è la più povera del paese e quella che ha i
tassi più alti di emigrazione in cerca di lavoro nelle miniere e nelle piantagioni
tropicali delle regioni del centro e del sud.
13
Bernardi, Bernardo. 2006. Africanistica, Le culture orali dell’Africa, Milano:
Franco Angeli. p. 298.
14
Richards, Paul. op. cit. p. 65.
21
di diavolo, Poro devil, lo rapisce dalla propria abitazione e lo porta in
un villaggio remoto dove gli verranno insegnati i segreti della
maturità.
Per capirne meglio il significato possiamo affidarci alle parole di
Bernardi:
In gran parte delle società illetterate [le iniziazioni] costituivano un
periodo sistematico di istruzione analogo al periodo scolastico delle
società letterate. Oggi, quando la diffusione della scrittura è pressoché
universale, alle iniziazioni tribali subentra il sistema scolastico [...].15
Scopo normale delle iniziazioni tribali è l’inserimento dei giovani tra
gli adulti in occasione del riconoscimento dell’avvenuta maturità
fisiologica. Il candidato viene istruito per prendere parte attiva alla
vita sociale. Per questa ragione nel periodo dell’iniziazione gli si
insegna, sotto la guida di maestri, le tradizioni e i segreti della
comunità.16
Identità giovanile e modernizzazione
I giovani nei distretti minerari
Il potenziale minerario del paese in diamanti, ferro, bauxite e
rutilo17 fu scoperto nel 1930. L’estrazione industriale di diamanti
iniziò nel 1935 nella miniera di Yangema, per mano di un’impresa
controllata dalla De Beer, la Sierra Leone Selection Trusts (SLST),
che ottenne il monopolio sulle attività diamantifere.18
A partire dagli anni cinquanta19 iniziò la ‘Grande Corsa ai
Diamanti’20: giovani da tutto il paese si trasferirono nei principali
distretti minerari di Kono (nelle città di Koidu-Sefadu, Tongo Field e
Yengema) e Kenema per estrarre diamanti dalle miniere alluvionali
con mezzi rudimentali, tramite la tecnica del lavaggio della ghiaia. Nel
15
Bernardi, Bernardo. 1985. Uomo Cultura Società. Introduzione agli studi etnoantropologici, Milano: Franco Angeli, pp.91,92.
16
Bernardi, Bernardo. op. cit. p. 92.
17
Diossido di Titanio (TiO2), utilizzato nella produzione di titanio.
18
La SLST ottenne i diritti esclusivi di estrazione e prospezione per 99 anni.
19
Durante la Seconda Guerra Mondiale moltissimi africani combatterono al fianco
delle potenze coloniali nei principali campi di battaglia, lontani migliaia di
chilometri e i sierraleonesi si resero conto del valore economico dei diamanti sul
mercato mondiale.
20
Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. 2000. The Heart of the Matter:
Sierra Leone, Diamonds & Human Security. Ottawa: Partnership Africa Canada, p.
42
22
1956 erano presenti circa 75.00021 minatori illegali immigrati nel
distretto di Kono, che diedero impulso al contrabbando dei diamanti
attraverso il confine con la Liberia causando grandi perdite per lo
Stato.22 Nei distretti si formarono bande di centinaia di giovani che
estraevano dai terreni della SLST ed erano pronti a scontrarsi con la
polizia, così che lo Stato fu costretto a negoziare la fine del monopolio
e introdurre un sistema di sfruttamento basato su licenze concesse ai
singoli individui.23 In questo sistema si distinsero i supporters,
prevalentemente libanesi, che possedevano le risorse per acquisire le
licenze per operazioni minerarie di piccola scala, dai tributors, i
lavoratori, solitamente giovani sierraleonesi.
La manodopera giovanile che immigrava nei distretti, non solo per
l’estrazione ma anche per rispondere alla domanda di servizi
(divertimenti, alimentari, manutenzione) causò una grave perdita per
l’agricoltura del paese che, a partire dal 1955, si trasformò da
esportatore di riso a importatore. I giovani nei distretti minerari
scoprirono che le possibilità di guadagno erano poco più redditizie che
nelle campagne, perchè il sistema delle licenze li legava ad una fitta
rete di sponsor che garantiva loro protezione e che forniva gli
strumenti per lavare la ghiaia. La bassa retribuzione non permetteva di
acquistare gli strumenti di lavoro e tanto meno di diventare titolari di
una licenza, ma lavorando nelle miniere di diamanti era sempre viva la
speranza di trovare gemme particolarmente preziose.
La maggior parte dei giovani che arrivavano nei distretti venivano
dalle campagne e non possedevano un titolo di studio, alcuni invece
erano diplomati o anche laureati in cerca di fortuna o rimasti senza
lavoro. I giovani preferivano vivere nei distretti minerari piuttosto che
nelle aree rurali, perchè la vita poteva essere condotta secondo
21
Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. Ibidem.
I diamanti, che si prestano ad essere facilmente nascosti e trasportati, venivano
venduti in Liberia, a Monrovia, dove si ricavavano maggiori guadagni. Il controllo
statale dei siti di estrazione era quasi impossibile
23
Smillie Ian, Gberie Lansana, Hazleton Ralph. Ibidem.
22
23
standard moderni ed era molto più vivibile, anche se a volte poteva
diventare pericolosamente violenta.24
Nelle città principali dei distretti si erano sviluppate attività
commerciali e artigianali e non mancavano le occasioni di
divertimento,
come
la
possibilità
di
assistere
a
proiezioni
cinematografiche o televisive durante il fine settimana, quando si
andava a fare acquisti, ma spesso i luoghi di estrazione erano talmente
inoltrati nella foresta da necessitare ore di viaggio prima di giungere
in città. Durante la Prima Guerra del Golfo erano molto seguite le
registrazioni della CNN fatte tramite una televisione satellitare e
proiettate in un cinema, nella città di Bo, dove ebbe luogo anche una
piccola manifestazione anti-Saddam, che secondo Richards poteva
rappresentare un’oscura protesta contro i commercianti libanesi.25 I
giovani facevano largo uso di alcolici e droghe, soprattutto cannabis
ma anche cocaina e crack, e si intrattenevano con il gioco d’azzardo.
L’accesso alle comunicazioni e ai mass media non era del tutto
assente neanche nelle miniere inoltrate nella foresta: chi aveva la
curiosità per la politica contemporanea poteva ascoltare il programma
radio della BBC, Focus on Africa, trasmesso su onde corte. Nel fine
settimana si poteva assistere a proiezioni video itineranti, Richards nel
1991 intervistò due trentenni, Abdul e Issa, che vivevano spostandosi
lungo le remote località minerarie al confine con la Liberia
proiettando film tramite un’attrezzatura noleggiata alimentata da un
generatore portatile.
I giovani nelle città
All’ inizio del novecento, durante il periodo coloniale, i giovani che
vivevano a Freetown e che non potevano permettersi di studiare, i
disoccupati e i lavoratori urbani vennero emarginati dalla società e
diedero origine ad una subcultura denominata Rarray Boys. I Rarray
24
25
Richards, Paul. op. cit. p. 49
Richards, Paul. op. cit. p. 102
24
Boys (letteralmente giovani uomini che vagano per le strade)26 si
compattarono attorno ai ghetti (Pote) che si formarono nell’Est e
West-End di Freetown e adottarono come forma di divertimento
urbano quella delle Odelay society, una specie di carnevale
mascherato.
Il gruppo degli emarginati viveva giorno per giorno grazie a furti,
vagabondaggio, lavori casuali come il trasporto delle barche ai moli o
la vendita ambulante.27 La microcriminalità individuale era molto
diffusa, rivolta soprattutto verso altri membri del ghetto, la violenza, il
gioco d’azzardo e l’utilizzo di droghe quali marijuana erano elementi
caratteristici di questa subcultura. I ragazzi erano soliti incontrarsi
nelle zone dei mercati, al cinema, nelle spiagge e vicino ai moli,28 a
partire dagli anni sessanta iniziarono ad aprire i primi Pubs nei ghetti,
che diventarono i luoghi per eccellenza di vendita di liquori e
marijuana.
I Rarray Boys, che erano prevalentemente analfabeti, non
produssero una critica costruttiva della società né un programma di
cambiamento politico, tuttavia influenzarono la cultura creola in due
modi. In primo luogo contribuirono allo sviluppo della lingua Krio, in
secondo luogo alcuni caratteri della subcultura dell’emarginazione
vennero assimilati e rielaborati dai giovani studenti.
I giovani e la crisi dello stato patrimoniale
La crisi nei distretti minerari
Durante gli anni sessanta, con la vittoria delle elezioni da parte del
partito All People’s Congress (APC), fu portato all’esasperazione il
sistema patrimonialista, che aveva già preso forma durante gli anni di
26
Zack Williams, Alfred. B. 2001. Child Soldiers in the Civil War in Sierra Leone,
in “Review of African Political Economy”, 87, p. 73. Invece per I. Abdullah, un
antropologo formatosi al FBC di Freetown, la parola Rarray Boy è un sinonimo di
“classe sociale bassa” o sottoproletariato (Lumpen). Ibrahim, Abdullah. 1998. Bush
Path to Destruction: The Origin and Character of the Revolutionary United
Front/Sierra Leone, in “The Journal of Modern African Studies”, 36(2), p. 208.
27
Zack Williams, Alfred. B. Ibidem.
28
Zack Williams, Alfred. B. Ibidem.
25
governo del Sierra Leone People’s Party (SLPP). Il leader dell’APC,
Stevens, ridistribuiva le risorse del paese in cambio di lealtà politica
ed esercitando un potere paternalistico, si faceva chiamare “Pa” e
invitava le persone a rivolgere direttamente a lui le richieste.
Esemplare è l’aneddoto raccontato da Richards29 di Stevens che
invitava gli studenti a chiedere a lui direttamente il prestito di
generatori elettrici per sopperire alla mancanza di luce nei collegi,
anziché rivolgersi ai politici locali che non avevano le risorse
necessarie.
Nel paese non venne avviato un processo di istituzionalizzazione e
i compiti più difficili per la costruzione della nazione, come
organizzare le comunicazioni, l’educazione e l’assistenza medica,
vennero lasciati in mano alle compagnie concessionarie. Le risorse
generate dalla ricchezza mineraria venivano usate in primis per
mantenere la fedeltà dell’esercito e della polizia, poi per tenere in vita
lo Stato ombra, cioè il sistema redistributivo delle reti patrimoniali. Il
sistema politico, basato su di un governo parlamentare, doveva
apparire agli occhi degli osservatori esterni come moderno e
responsabile al fine di ottenere gli aiuti internazionali.
La crisi dello stato patrimoniale si verificò a fine anni settanta,
quando le miniere più ricche di Yangema e Marampa si esaurirono e le
imprese straniere chiusero, causando uno shock per l’economia
formale del paese poiché la principale fonte di reddito divenne il
lavaggio dei diamanti alluvionali con tecniche pre-industriali.30 A
partire da questo momento il livello di vita nei distretti minerari iniziò
a degradare rapidamente. Lo Stato non si era preoccupato di garantire
i servizi necessari a livello di infrastrutture e educazione nei villaggi
più remoti, dove i padri che vi si erano trasferiti iniziavano a
comprendere che per i figli non ci sarebbe stata possibilità di
istruzione. L’abbandono a se stesse delle zone più remote del paese fu
29
30
Richards, Paul. op. cit. p. 35.
Richards, Paul. op. cit. 41.
26
un grave errore commesso dallo Stato sierraleonese che il RUF sfruttò
per costruire la propria forza.
Richards racconta della visita compiuta nel paese di Pandebu, nel
1989, allo scopo di sottolineare l’importanza che la costruzione di
strade e scuole avrebbero avuto nell’evitare la disgregazione della
società. Il paese, situato all’interno della foresta nel distretto di Nomo,
è l’ultimo paese della Sierra Leone. Separato dalla Liberia dal fiume
Mano è raggiungibile solo con una giornata di cammino dalla città più
vicina, Faama, mentre è collegato meglio alla capitale liberiana,
Monrovia, dove vengono venduti i diamanti estratti. Molti degli
abitanti di Pendebu anche se possiedono la doppia cittadinanza, sono
in realtà abbandonati da entrambi gli Stati. In questi paesi sperduti
nella foresta la maggior parte dei tributors si fermano solo il tempo
necessario per estrarre i diamanti e si spostano una volta esauriti i
giacimenti. Spesso non c’è tempo a sufficienza perchè si crei un senso
di appartenenza alla comunità locale, per cui lo Stato dovrebbe
preoccuparsi di arrivare in questi territori e sviluppare un’identità
nazionale.
Lo Stato aveva puntato tutto sullo sfruttamento minerario senza
adottare un’adeguata politica agraria che permettesse la fornitura di
generi alimentari ai distretti minerari; il riso veniva quasi
completamente importato e ciò causò una cronica mancanza di divisa
straniera e il ristagno del settore agricolo.
Le migliaia di giovani che avevano trovato un po’ di modernità nei
distretti minerari non erano assolutamente intenzionati a tornare alla
vita nei campi. Questi giovani, che vivevano nelle aree diamantifere
più remote della Sierra Leone e nelle foreste al confine con la Liberia,
furono etichettati dal RUF come potenziali alleati nella ribellione
contro lo Stato. Effettivamente la maggior parte dei volontari che
lottarono a fianco del RUF provenivano da questi distretti, ma questi
distretti furono soprattutto il luogo privilegiato in cui il RUF reclutava
bambini soldato con la violenza.
27
I giovani urbani dalla ribellione alla rivoluzione
Il declino dell’economia mineraria negli anni settanta rese il paese
sempre più dipendente dai finanziamenti provenienti dalla Guerra
Fredda. Nel 1978 il governo dell’APC introdusse un sistema politico a
partito unico e la possibilità di ritorno al multipartitismo31 fu stroncata
dallo scoppio della guerra.
I programmi di aggiustamento strutturale avviati dal paese negli
anni ottanta hanno causarono il definitivo collasso dello Stato e della
società civile. I tagli alla spesa pubblica implicarono una drastica
riduzione dei servizi sociali, così che l’istruzione divenne un
privilegio per pochi, i tagli alle importazioni significarono un aumento
del prezzo del riso. Le ridotte risorse che erano rimaste al sistema
patrimoniale dovevano essere usate per mantenere la lealtà
dell’esercito, il sistema non aveva più la capacità di distribuzione che
lo aveva fatto prosperare.
A partire dal 1977 l’opposizione studentesca urbana iniziò a
protestare con manifestazioni di piazza. La delegittimazione del
regime si manifestò nelle richieste di aperture democratiche e di
accesso alle risorse educative e sociali. Per i giovani istruiti non vi
erano più possibilità di ottenere un lavoro dal governo né di seguire un
percorso di formazione professionale, non si potevano ottenere piccoli
prestiti per potere avviare attività commerciali. I giovani si sentivano
tagliati fuori dalla città, stretti fra l’alternativa di vita in un distretto
minerario o nelle campagne. E’ proprio fra questi giovani attivisti, e in
particolare fra gli studenti del Fouray Bay College (FBC) di Freetown
che prese forma una cultura di opposizione al modello politico
sierraleonese che si poneva l’obiettivo di sradicarlo tramite la violenza
sociale collettiva, una cultura rivoluzionaria che scelse la violenza
come sistema di cambiamento sociale.
31
La possibilità di ritorno al multipartitismo si presentò all’inizio degli anni novanta
quando, a causa della crisi sovietica, la Sierra Leone fu costretta a negoziare dei
finanziamenti con le organizzazioni internazionali e quindi a rispettare alcuni
standard democratici per ottenerli.
28
A causa della repressione politica e del fallimento dello stato,
crollarono le barriere che separavano la cultura principale o
mainstream, quella degli studenti delle scuole superiori, dalla
subcultura giovanile, quella dei Rarray Boys. Si formò così una
‘comunità immaginata’ attorno ai ghetti e alle feste mascherate, dove
la classe media si incontrava con gli emarginati per ascoltare musica,
ballare, bere birra, stare in compagnia, praticare l’amore libero e
fumare marijuana. L’incontro fra questi giovani fu anche favorito dal
contesto globale, che negli anni settanta vide, soprattutto nei paesi
industrializzati, la diffusione delle subculture Hippie, Beat e Rock, che
erano trasversali rispetto alla classe sociale.
I nuovi gruppi che si formarono erano politicamente più
consapevoli
dei
Rarray
Boys
e
iniziarono
a
parlare
di
anticonformismo e radicalismo, aggiungendo alla cultura dei ghetti un
connotato politico. Si avvicinarono alle idee rivoluzionarie di Marx e
Fanon, di Castro e Guevara, lessero i classici del Panafricanismo
come Nkrumah e Garvey.32 Discussero dei problemi della nazione: la
corruzione dei politici, la repressione del regime e l’avidità dei
libanesi.
Il passaggio dalla presa di coscienza politica e dalla critica della
società all’azione avvenne durante gli anni ottanta. I giovani del
college si unirono attorno alle idee del Green Book di Gheddafi e del
Panafricanismo formando una nuova ‘comunità immaginata’ che si
opponeva allo status quo. Questi giovani non erano più dei teppisti
ribelli, ma diventarono dei rivoluzionari animati dallo spirito di
fratellanza e di unità. La parola chiave era diventata quella della
trasformazione della società attraverso la rivoluzione violenta e alcuni
ragazzi decisero di prendere le armi e attaccarono il paese.
Il Green Book, pubblicato da Gheddafi nel 1975, teorizzava una
forma di Stato africana alternativa a democrazia e autoritarismo, una
forma totalitaria chiamata ‘terza via’. Le idee radicali di questo
32
Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip (Edited by). 2005. Makers & Breakers:
Children and Youth in Postcolonial Africa. Oxford: James Currey. p.182
29
progetto furono discusse all’interno del FBC nel ‘Gardeners’ Club’.
Secondo Gheddafi la democrazia parlamentare e il sistema politico
democratico
erano
strumenti
di
potere
della
tirannia
della
maggioranza, quindi propose un sistema di democrazia diretta nel
quale l’autorità risiede nel popolo, fondato su conferenze popolari e
organizzazioni
corporative,
privo
di
organizzazioni
politiche.
Gheddafi adotta un modello economico socialista, nel quale sono
aboliti il profitto e l’accumulazione ma dove ognuno ha diritto ad una
casa, al cibo, alla salute e ai trasporti.
Il Panafricanismo venne discusso dalla Pan-African Union of
Sierra Leone (PANAFU), fondata all’interno del FBC nel 1982.
L’unione riunì i giovani appartenenti a varie categorie: studenti,
disoccupati, lavoratori, ed aveva fine educativo. Organizzò dei gruppi
di studio sui temi del neocolonialismo, dell’apartheid e del sionismo e
non è del tutto sicura la sua complicità con il RUF. Come ci fa notare
Honwana, a differenza delle altre organizzazioni la PANAFU
condannò l’uso di droghe e rifiutò l’idea della rivoluzione almeno
dopo il 1985,33 mentre Richards rileva che: “I portavoci del RUF a
volte usano il linguaggio inflessibile e radicale della PANAFU.”34
Dopo un periodo di esilio in Liberia durante il quale impararono le
tattiche della guerriglia e finanziati dal leader del National Patriotic
Front of Liberia (NPFL), C. Taylor, i giovani fondarono il RUF. Il
leader del RUF, Foday Sankoh, era un ex caporale dell’esercito della
Sierra Leone. Sankoh aveva vissuto gli anni della recessione dello
Stato a Segbwema, nel distretto di Kailahun, prendendo confidenza
con l’ambiente delle foreste e avvicinandosi ai sentimenti politici dei
giovani nei distretti minerari.
33
34
Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip (Edited by). Op. cit. p.183
Richards, Paul. 1996. op. cit. p. 53
30
Conclusioni
Per la Sierra Leone gli anni novanta rappresentano il ‘decennio
perduto’35: dopo l’insurrezione del RUF nel 1991 il paese subisce un
colpo di stato da parte di giovani ufficiali nel 1992 che instaurano una
giunta militare denominata National Provisional Rouling Country
(NPRC). Il NPRC, che ottiene ampio sostegno soprattutto dei giovani,
perchè si propone di riportare la pace e di riformare lo Stato, si
dimostra incapace di mantenere le promesse. Dopo un breve ritorno
alla democrazia con le elezioni del 1996, che portano al governo il
presidente Ahmed Tejan Kabbah esponente del SLPP, il governo viene
rovesciato nel 1997 da un’alleanza fra alcuni quadri del RUF e delle
forze armate (RSLMF) che danno vita al Armed Forces Revolutionary
Cuncil (APRC), regime diretto dal generale Johnny Paul Koroma. Il
governo del generale A. T. Kabbah viene ripristinato nel 1998 grazie
all’intervento del contingente armato della ECOWAS (Economic
Community of West African States), l’ECOMOG (Economic
Community of West African States Monitoring Group). Nel 1999 il
RUF entra a Freetown sterminando la popolazione e causando
migliaia di profughi.
Abbiamo visto in questo capitolo che i motivi della rivoluzione
sono in primo luogo collegati alla disgregazione dello Stato,
all’incapacità di offrire un futuro di istruzione e lavoro ai suoi giovani
volenterosi, che vivono in realtà moderne e globalizzate, per quanto
remote siano, caratterizzate da una storia secolare di rapporti
commerciali e culturali con il resto del mondo.
Nel prossimo capitolo continueremo il viaggio alla scoperta
dell’identità
giovanile
con
particolare
attenzione
ai
giovani
combattenti, ai motivi che li hanno portati ad arruolarsi e alle loro
aspettative, alla vita militare, ma anche ai processi di transizione
identitaria a cui sono stati sottoposti nel passaggio dalla vita civile alla
vita militare e viceversa.
35
Honwana, Alcinda and De Boeck, Filip. (Edited by). op. cit. p.186.
31
I giovani combattenti
Quando i ribelli del RUF sferrarono il primo attacco contro i paesi
al confine con la Liberia, il 3 Marzo 1991, erano un piccolo gruppo di
un centinaio di persone e anche l’esercito nazionale, la Sierra Leone
Army (SLA), era molto debole.1 Con il prolungarsi del conflitto, che è
durato un decennio, migliaia di persone furono militarizzate, fra cui
bambini e giovani di entrambi i sessi. Il numero totale dei combattenti
è stato stimato fra i 50.000 e i 75.000;2 la metà dei guerriglieri del
RUF avevano un età compresa fra gli otto e i quattordici anni.3
Il RUF catturava i giovani che riteneva potenziali reclute per la sua
causa soprattutto nei distretti minerari4 e attraverso un processo di
indottrinamento li rendeva abili e coraggiosi combattenti. Anche
l’esercito della Sierra Leone iniziò a reclutare i giovani nei distretti
minerari quando capì che poteva privare il RUF della sua risorsa
principale, e così molti irregolari5 entrarono in forza nelle RSLMF.
Anche le milizie civili,6 formazioni armate organizzate su base etnica
per combattere il RUF, come i Tamaboro del Nord oppure i
Kamajoisia del Sud, erano aperte ai giovani combattenti.
1
Richards, Paul and Peters, Krijn. 1998. Why We Fight: Voices Of Youth
Combatants in Sierra Leone, in “Africa” 68(2). p. 186
2
Richards, Paul and Peters, Krijn. Ibidem.
3
Richards, Paul and Peters, Krijn. Ibidem.
4
Il RUF rapiva giovani in ogni villaggio o città che attaccava, ad esempio quando
attaccò la città di Kambia, nel Nord-Ovest del paese al confine con la Guinea,
reclutò un centinaio di bambini. Nell’attacco a Freetown del Gennaio 1999 in una
settimana reclutò circa 3000 bambini.
5
Gli irregolari sono giovani reclutati e addestrati sul fronte di guerra dagli ufficiali
dell’esercito, spesso come guardie del corpo personali. La pratica potrebbe essere
nata nel contesto di fornire assistenza materiale alle vedove e agli orfani di guerra,
dove gli aiuti ufficiali non arrivavano. Richards racconta di avere scoperto che un
ufficiale delle RSLMF, sul fronte di guerra, nutriva ogni giorno un battaglione di
circa cinquanta bambini, orfani o abbandonati durante la fuga. Richards, Paul and ,
Peters. op. cit. p. 88
6
Le milizie civili erano formate da cacciatori tradizionali al servizio dei paramount
chief per la difesa dei villaggi.
32
Sia il RUF che le RSLMF arruolarono giovani ragazze e bambine
che, anche se si dimostrarono coraggiose combattenti, non vennero
risparmiate da ripetute violenze e dalla riduzione in schiavitù.
In questo capitolo analizzerò il rapporto dei giovani con la guerra,
in relazione alla guerra civile in Sierra Leone, basandomi su alcune
ricerche che utilizzano l’approccio antropologico, che a mio avviso
hanno fornito un contributo di grande valore sia per la comprensione
del problema che per la definizione di un framework concettuale utile
per la formulazione di progetti di reintegrazione dei giovani
combattenti nella società.
Perchè scegliere l’approccio antropologico
La rappresentazione del bambino soldato adottata nei discorsi
pubblici e dai media, è prevalentemente associata alle categoria di
vittima o a quella di colpevole.
Nella prospettiva che vede i bambini soldato come colpevoli,
diavoli, banditi e parassiti, i giovani che si arruolano sono considerati
come intrinsecamente inclini alla violenza, privi dei rudimenti per
affrontare una vita in società,7 alla stregua dei ragazzi di W. Golding
ne “Il signore delle mosche”. Richards e Peters osservano che spesso
la stigmatizzazione è influenzata da una componente di classe: le elite
urbane descrivono come barbari i giovani rurali che solitamente sono
meno educati, più poveri e più propensi ad arruolarsi.
Nella prospettiva che rappresenta i bambini soldato come vittime,
adottata in particolare dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, i
giovani sono pedine nelle mani dei signori della guerra (warlords),
esecutori forzati di ordini contro la propria volontà, senza capacità di
lettura e analisi politica della realtà, incapaci di attuare scelte
razionali.
7
Denov, Myriam. 2007. Turnings and Epiphanies: Militarization, Life Histories,
and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers in Sierra Leone, in “Journal of
Youth Studies”, 10(2), p. 244
33
Nella tutela internazionale dei diritti del fanciullo la necessità di
stabilire standard globali di protezione ha portato a uniformare
l’identità del fanciullo come “[...] ogni essere umano avente un’età
inferiore a diciotto anni [...]”,8 mutuando l’universalismo occidentale.
Se si considera il bambino come una creatura vulnerabile che non è in
grado di agire autonomamente, che non possiede razionalità, allora è
naturale che il bambino soldato ci appaia come una vittima.
Certamente
sono
vittime
i
giovani
combattenti
reclutati
forzatamente dal RUF, ma lo sono anche i giovani che si arruolano
volontariamente, dimostrando una precisa volontà ed esercitando la
propria capacità di scelta (agency)?
L’approccio antropologico ci permette di analizzare criticamente le
esperienze dei giovani combattenti attraverso la loro collocazione nel
contesto storico e sociale di origine, ci aiuta a comprendere che
l’identità del giovane combattente può occupare una posizione
intermedia fra la colpevolizzazione e la vittimizzazione. Difendendo il
concetto di infanzia come categoria sociale, culturale e storica,
variabile nello spazio e nel tempo, non universalizzabile, allora anche
lo studio del rapporto dei giovani con la guerra deve essere
contestualizzato. Come nota Rosen, Wilson ha osservato che la
decontestualizzazione è di fondamentale importanza nelle relazioni
redatte nell’ambito della difesa dei diritti umani, mentre l’obiettivo
dell’antropologia è quello di “ripristinare soggettività, valori e
memorie locali e [analizzare] i più ampi processi sociali globali in cui
la violenza si radica”.9
8
Convention on the Rights of the Child (CRC), 20/09/1989, Art.1,
http://www2.ohchr.org/english/law/crc.htm
9
Rosen, David M. 2005. Armies of the Young: Child Soldiers in War and Terrorism.
Piscataway, New Jersey: Rutgers University Press. Traduzione italiana di Barbara
Del Mercato. 2007. Un esercito di bambini. Giovani soldati nei conflitti
internazionali. Milano: Raffaello Cortina. p. 3
34
Le principali ricerche antropologiche
Gli approcci etno-antropologici ai quali mi riferisco in questo
lavoro sono basati su interviste e racconti di storie di vita dei giovani
combattenti e sull’analisi di materiale statistico riguardante il rapporto
fra i giovani e i media.
Per quanto riguarda le interviste mi riferisco alla ricerca condotta
da Paul Richards e Krijn Peters nel 199810 che si basa sulla
pubblicazione di nove delle ventidue interviste a ex-bambini soldato
raccolte e effettuate da Richards e Peters. Le interviste ci permettono
di ascoltare il racconto delle esperienze vissute in prima persona dai
ragazzi e di fare luce sugli aspetti fondamentali della questione dei
giovani combattenti. Richards e Peters rilevano che “molti
combattenti minorenni scelgono consapevolmente di combattere e
difendono la propria scelta, a volte orgogliosamente”, facendoci
meditare sulla tendenza a vittimizzare il giovane combattente.
Vedremo quali sono i motivi che li spingono a combattere.
Per quanto riguarda i racconti ritengo molto interessante
l’approccio alle storie di vita utilizzato da Denov Myriam e Maclure
Richard11 nella ricerca pubblicata nel 2007. Il lavoro si basa sulla
ricostruzione della complessità dei percorsi identitari che i ragazzi
devono affrontare quando vengono trascinati nella vita militare e
successivamente rilasciati per tornare alla vita normale.
Infine la raccolta e l’analisi di materiale statistico ha permesso a
Richards12 di fornirci una lettura della gioventù e della società
sierraleonese integrata al contesto della globalizzazione, e non formata
da molecole perdute, indispensabile al fine di potere indirizzare con
10
Richards, Paul and Peters, Krijn. 1998. Why We Fight: Voices Of Youth
Combatants in Sierra Leone, in “Africa” 68(2).
11
Denov, Myriam & Maclure, Richard. 2007. Turnings and Epiphanies:
Militarization, Life Histories, and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers
in Sierra Leone, in “Journal of Youth Studies”, 10(2).
12
Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone. Oxford: James Currey.
35
successo gli sforzi per la risoluzione del conflitto e la reintegrazione
dei giovani combattenti.
Gli studi effettuati sono importanti perchè mettono in primo piano
la capacità di scelta dei giovani (agency) nei contesti di conflitto,
perchè restituiscono ai bambini soldato la dimensione di soggetti attivi
nella propria vita, di attori razionali capaci di comprensione della
realtà.
Le interviste ai giovani ex-combattenti
Le interviste condotte da Richards e Peters sono finalizzate a fare
luce su alcuni degli aspetti del rapporto giovani e guerra quali: le
cause dell’arruolamento, le tattiche di combattimento, i ruoli assunti
dai giovani combattenti, la questione di genere, le letture della
situazione politica sierraleonese, le opinioni sul processo di
reintegrazione e le speranze per il futuro.
Le interviste sono state raccolte nel 1996, dopo le elezioni
democratiche che avevano portato al governo il presidente Ahmad
Tejah Kabbah. Il governo e il RUF avevano stipulato l’accordo di pace
di Abidjan, nel quale era prevista l’istituzione di centri di
smobilitazione e reintegrazione per i combattenti.
Alcuni degli intervistati sono bambini inseriti nel programma
“Children Associated with the War” (CAW) di Freetown, altri si
trovavano al campo di smobilitazione di Grafton ma sono stati
intervistati anche giovani non inseriti nei programmi di reintegrazione.
Per offrire una panoramica il più possibile esauriente sono stati
intervistati ragazzi che hanno combattuto in tutte le formazioni
militari presenti in Sierra Leone: giovani arruolatisi volontariamente
nelle RSLMF e nelle forze di difesa civili e ragazzi costretti con la
forza a combattere nel RUF.
Poiché considererò il caso particolare dei giovani arruolati nel RUF
con la forza nel secondo capitolo, i dati dei paragrafi seguenti sono
relativi ai giovani combattenti delle RSLMF e delle CDF.
36
Perchè ci siamo arruolati
Le interviste ci rivelano alcune delle cause che portano i giovani ad
arruolarsi volontariamente.
La vendetta e la difesa della madre patria spiccano fra le
motivazione dei volontari delle RSLMF, soprattutto fra i ragazzi che
provengono da un ambiente rurale, ad esempio dai distretti di
Kailahun e Kono (interviste 1,2,3). Questi ragazzi sono riusciti a
scappare dall’attacco del RUF ai propri villaggi, ma hanno perso i
contatti con la famiglia, che è fuggita o è stata sterminata, a volte sotto
gli occhi dei figli stessi. A volte i giovani venivano catturati e
assistevano alle violenze compiute sui genitori e sui fratelli e solo in
un secondo momento riuscivano a scappare, oppure trovavano i
cadaveri dei familiari e le abitazioni svuotate quando tornavano al
villaggio dopo essere scappati nella foresta, sempre che il villaggio
non fosse stato bruciato.
Un’altra colpa di cui si è macchiato il RUF e che ha suscitato
desiderio di vendetta è quella di avere bloccato il processo educativo
dei giovani, che ripongono nell’istruzione grandi impegno e speranze,
causando la chiusura delle scuole (int. 1,5). La maggior parte dei
ragazzi
intervistati,
al
momento
dell’arruolamento
volontario
frequentava un corso scolastico equivalente alla scuola media italiana
(ragazzi di età compresa fra i 12 e i 14 anni) o alla scuola superiore
(ragazzi di età compresa fra i 15 e i 17 anni) e alcuni sognavano un
futuro ambizioso, ad esempio come dottore o come ingegnere
meccanico.
I giovani sono spinti ad arruolarsi anche a causa della povertà che
la guerra genera. Ad esempio un giovane (int. 4), figlio di un minatore
di diamanti di Kono costretto a fuggire dalla propria casa e a vivere
come rifugiato interno, decide di arruolarsi nelle RSLMF perchè il
padre non lo può più mantenere. Il caso di questo ragazzo potrebbe
essere strumentale per chi sostiene la tesi della colpevolezza dei
bambini soldato, infatti, il giovane era già prima della guerra incline
alla violenza poiché frequentava un gruppo di Rarray Boys, e prima di
37
arruolarsi nell’esercito vagò cinque giorni con una banda (i Boy
Scouts) vivendo di furti. All’interno delle forze armate il giovane si
sente libero di fare ciò che vuole, perchè può rubare ciò che desidera
ai civili e violentare le donne.
La vita militare offre alcuni vantaggi a questi giovani che si
ritrovano senza una famiglia a doversi fronteggiare con la vita, come
una maggiore libertà, la possibilità di ricevere un training e di
imparare delle cose come salvare la vita e la proprietà, una paga
mensile per acquistare bevande e sigarette, la disponibilità di generi
alimentari (int. 1). Le osservazioni di Jourdan confermano quanto
affermato:
“Diventare soldati [...] costituisce un tentativo di accedere alla
modernità nei suoi aspetti materiali e soprattutto simbolici, allo scopo
di sottrarsi a una condizione di esclusione e passività.”13
”La voglia di procurarsi soldi con facilità è una risposta ad un contesto
privo di opportunità lavorative e dove il sistema scolastico,
completamente allo sfascio, rappresenta un costo insostenibile per
buona parte delle famiglie.”14
Alcuni ragazzi hanno risposto alla chiamata alle armi da parte delle
milizie civili come le Kamajoisia, ed hanno combattuto per difendere i
diritti sulla propria terra.
La discriminazione di genere
Le donne in tempo di guerra in Sierra Leone sono state oggetto di
violenza di genere perchè oltre a subire le mutilazioni e gli orrori ai
quali venivano sottoposti anche gli uomini, erano usate come
strumenti sessuali. Anche all’interno delle formazioni militari la donna
era considerata come un oggetto nonostante dimostrasse di essere un
combattente valoroso: al rientro nell’accampamento i suoi ruoli
tornavano ad essere prettamente quelli sessuali, le ragazze venivano
ripetutamente violentate (int. 2,3) e venivano trattate come schiave. La
13
Jourdan, Luca. 2004. Guerra, giovani e identità nel Nord Kivu: un approccio
antropologico, in Afriche e Orienti, No. 1-2, Anno VI, pp. 120
14
Jourdan, Luca. op. cit. p.130
38
discriminazione di genere non si è manifestata solo nel processo di
militarizzazione ma anche in quello di reintegrazione. La maggior
parte delle combattenti non hanno avuto accesso ai programmi di
reintegrazione e per le donne la riconciliazione con le comunità è stata
molto più difficile e problematica che per gli uomini.
L’analisi politica della guerra
La comprensione politica degli avvenimenti dipende da alcuni
fattori quali l’età e l’educazione. I teenager hanno maggiore
conoscenza e spirito di osservazione ma i bambini sono ignari del
motivo per cui combattono. Il più giovane degli intervistati, che aveva
dodici anni al momento del primo arruolamento e quattordici quando è
stato intervistato, ha vissuto un’esperienza comune a molti bambini
soldato, quella di ritrovarsi a combattere su entrambi i fronti, sia per le
RSLMF che per il RUF, senza comprendere i motivi della guerra (int.
6).
Fra gli intervistati solo un giovane di sedici anni fornisce
un’articolata analisi politica della situazione sierraleonese (int. 5). E’
convinto che i membri del RUF siano studenti, per il fatto che
scrivono biglietti e messaggi contenenti i loro obiettivi, e che la
rivoluzione sia diretta contro lo stato patrimoniale, che li ha privati
dell’istruzione e delle libertà democratiche. Anche se ritiene che i
motivi della ribellione siano condivisibili, l’adozione di metodi
violenti ha causato la perdita del consenso popolare e il fallimento
della rivoluzione.
Questa intervista è di fondamentale importanza al fine della
comprensione della guerra in Sierra Leone perchè ci dimostra come
l’analisi fornita da un ragazzo di sedici anni, che ha vissuto le ostilità
in prima persona, si discosti da interpretazioni date da studiosi
internazionali, che non hanno considerato i fattori culturali e sociali
ma solo quelli economici e demografici, come il controllo del traffico
di diamanti.
39
Le idee sul processo di smobilitazione e reintegrazione
I ragazzi sono generalmente attratti positivamente dall’idea di un
percorso di reintegrazione nella società, sono felici di abbandonare la
vita militare e potere ricevere training formativo. Le opinioni sul
processo di reintegrazione in corso tuttavia variano a seconda delle
singole esperienze.
Alcuni ragazzi si trovano bene nel campo di smobilitazione (int. 4)
dove si sentono trattati come figli, altri invece si sarebbero aspettati di
più in termini di possibilità di recupero degli anni di istruzione perduti
e appaiono veramente scoraggiati tanto da essere tentati a tornare nei
propri paesi (int. 5). Per i giovani che hanno maturato un forte
desiderio di vendetta, l’offerta di formazione professionale ed
educazione non hanno fatto da deterrente alla lotta, infatti alcuni degli
intervistati sono tornati a combattere in seguito all’interruzione del
cessate il fuoco, nonostante fossero già stati smobilitati (int. 1).
Il Futuro
La maggior parte dei giovani intervistati, che allo scoppio della
guerra ha dovuto interrompere il percorso scolastico, vorrebbe potere
finire gli studi. Molti ragazzi sono consapevoli di essere già troppo
grandi per dedicarsi allo studio e non possono farlo per mancanza di
risorse, in questo caso l’unica speranza sarebbe quella di trovare uno
sponsor.
I giovani hanno il desiderio di avviare un’attività lavorativa per
potersi mantenere e alcuni hanno il desiderio di fare qualcosa di utile
per la propria comunità (int. 4,5,6), come ad esempio diventare
infermiere per aiutare i propri concittadini, carpentiere per ricostruire i
villaggi distrutti, aiutare il proprio paese a svilupparsi.
Le storie di vita
L’approccio alle storie di vita, utilizzato da M. Denov e R. Maclure,
è basato sulla raccolta di riflessioni e interpretazioni delle esperienze
personali vissute dai giovani combattenti. Se le interviste hanno
40
l’obiettivo di farci conoscere le dinamiche in un determinato intervallo
temporale, le storie di vita permettono di costruire un ponte fra le
esperienze biografiche del passato, del presente e le visioni del futuro,
dando origine ad una narrativa di vita.
Gli autori della ricerca evidenziano come la perpetuazione di
rappresentazioni archetipiche di vittima o colpevole, anche se hanno
lo scopo di prevenire il reclutamento dei giovani o di sensibilizzare
l’opinione pubblica, contribuiscano poco alla comprensione della
complessità delle esperienze dei bambini soldato.15 L’approccio delle
storie di vita permette di analizzare la complessità dei processi sociali
che si verificano passando dalla vita normale ad un sistema sociale
militarizzato e viceversa, utilizzando un framework concettuale basato
sugli aspetti del cambiamento e dell’adattamento ai nuovi ruoli.
Questo approccio, che pone l’attenzione sul percorso di
cambiamento identitario, secondo gli autori è stato sotto-utilizzato,
inoltre notano come le esperienze fino ad ora meno documentate siano
quelle vissute dai giovani che hanno partecipato ai processi di
reintegrazione.16
La ricerca è basata sulla ricostruzione delle storie di vita di un
ragazzo, Mohamed, ed una ragazza, Isata, entrambi arruolati
forzatamente dal RUF all’età di nove anni, nel 1996, e demilitarizzati
all’età di quindici anni al cessare della guerra, nel 2002.
Il processo di militarizzazione
Il cambiamento nella vita di entrambi i ragazzi avviene quando
subiscono la brusca interruzione della propria infanzia, che ricordano
come tranquilla e gioiosa, con il rapimento da parte del RUF e la
separazione dalle famiglie. E’ l’inizio di un periodo di transizione ad
una nuova vita, caratterizzato da terrore, grandi traumi e dalla paura
15
Denov, Myriam & Maclure, Richard. 2007. Turnings and Epiphanies:
Militarization, Life Histories, and the Making and Unmaking of Two Child Soldiers
in Sierra Leone, in “Journal of Youth Studies”, 10(2), p. 244
16
Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 243
41
costante di morire.17 Per Isata il periodo di transizione si svolge fra
ripetute violenze sessuali da parte di vari membri del RUF, finché non
diventa la moglie di un comandante. Per Mohamed la transizione
avviene fra ripetute violenze psicologiche e fisiche: minacce di morte
come deterrente alla fuga, punizioni corporali per chi mostra segni di
paura, assunzione forzata di droghe per aumentare il coraggio, finché
non si adatta alla vita nel sistema sociale militare.
L’adattamento consiste, per entrambi, nell’acquisizione di nuovi
ruoli. Isata oltre ad essere un oggetto di gratificazione sessuale diventa
cuoca, lavandaia e portantina di armi e munizioni. Dopo un anno con
il RUF diventa una combattente e in questo nuovo ruolo ha la
possibilità di usare le armi contro civili inermi, questo le suscita un
senso di potere personale, di autostima e di orgoglio che inciderà
molto sulla sua vita, anche dopo la smilitarizzazione, quando perderà
il potere acquisito. Per Isata diventa normale uccidere e mutilare le
vittime, anche senza ragione solo per dimostrare di essere parte del
gruppo, partecipare ai rituali di assunzione di droghe in preparazione
ai conflitti e ai canti e alle danze dopo le battaglie.
L’adattamento di Mohamed avviene mediante il training,
l’incitamento e la promessa di premi; la promessa di un buon
pagamento in caso di vittoria della rivoluzione lo rese felice e
motivato. La redistribuzione di oggetti materiali rubati ai civili come
scarpe e vestiti ha un ruolo di primo piano nella fidelizzazione dei
giovani alla causa del RUF. Tramite il furto i giovani possono
accedere a beni che altrimenti non avrebbero mai avuto. L’offerta di
training è vissuta dai ragazzi come un’alternativa al sistema scolastico
fallito a causa del crollo dello stato patrimoniale e del mancato
pagamento degli stipendi agli insegnanti rurali, considerato che molti
17
Per ridurre le possibilità di ricongiungimento familiare e comunitario, il RUF
faceva compiere ai giovani delle atrocità sulle proprie famiglie, pena la morte. In un
secondo momento i giovani venivano tatuati per scoraggiarli dallo scappare; se li
avessero trovati i soldati delle RSLMF li avrebbero uccisi.
42
giovani rapiti dal RUF nei distretti minerari non avevano più accesso
all’istruzione da molto tempo.18
All’interno del sistema militare del RUF si formarono legami fra i
ragazzi che condividevano lo stato di coercizione, ma anche fra i
ragazzi e i loro comandanti, dai quali i giovani dipendevano per la
propria sopravvivenza. Un altro cambiamento nella vita di Mohamed è
provocato dal progressivo affezionamento al proprio comandante, che
lo porta a riconoscere il RUF come un surrogato della propria
famiglia. Infine Mohamed diviene lui stesso un comandante di una
small boys unit, raggiungendo l’apice del successo all’interno del RUF
e acquisendo potere e orgoglio.
Il processo di ritorno alla vita civile
Isata
e
Mohamed
seguirono
due
percorsi
diversi
di
demilitarizzazione. Per entrambi non fu un’esperienza facile, nella
quale mostrarono segni di attaccamento identitario alla vita da
combattenti. L’adattamento alla vita militare era stato un processo
traumatico ma alla fine aveva offerto loro sicurezza, sopravvivenza e
senso di appartenenza.19 Il distacco da questi valori e il riadattamento
alla vita civile fu un processo ugualmente traumatico, caratterizzato da
senso di solitudine, abbandono e senso di colpa.
Isata fu trovata insieme ad altri bambini dalla UNAMSIL20 (United
Nations Mission in Sierra Leone) e introdotta in un DDRP. Aveva
tredici anni ed aspettava un bambino dal comandante che l’aveva
abbandonata quando lo aveva scoperto. Mohamed disertò dal RUF
quando capì che aveva perso la guerra.
18
Richards, Paul. 1996. op. cit. pp. 28,29
Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 257
20
La UNAMSIL fu istituita il 22 Ottobre 1999 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU
allo scopo di cooperare con il Governo della Sierra Leone e altre organizzazioni
nell’implementazione degli accordi di pace di Lomé e dei programmi di disarmo,
smobilitazione e reintegrazione. Il mandato della UNAMSIL è terminato nel
Dicembre 2005 ed è stata sostituita da un’altra missione la UNIOSIL (United
Nations Integrated Office for Sierra Leone) allo scopo di aiutare il paese nel
consolidamento
della
pace.
http://www.un.org/Depts/dpko/missions/unamsil/index.html
19
43
Il comportamento assunto da Isata nel campo dimostrò la difficoltà
nel riadattarsi alla vita normale e nell’abbandonare il senso di potere e
il ruolo chiave acquisito nel RUF; Isata diventò leader delle ragazze,
una posizione di coordinamento e responsabilità che le permetteva di
esercitare un certo controllo.
Dopo un breve periodo di training professionale si ritrovò da sola a
Freetown poiché aveva perso tutti i contatti con la famiglia. A
Freetown, dovendo affrontare una nuova vita senza il potere di
controllo sugli altri, Isata fu nuovamente presa dalla paura. La paura
del proprio passato, di essere stigmatizzata e condannata, e il senso di
colpa e di sconfitta la portarono a diventare una persona estremamente
timida e insicura. Isata non riuscì a ricostruirsi una vita normale e alla
fine, dopo essere riuscita a ricongiungersi con la madre nel Nord del
paese, morì a causa di un’infezione non curata.21
Per Mohamed il ritorno alla vita civile fu caratterizzato dalla
perdita dei legami che si erano formati con la nuova famiglia (il RUF)
e dalla difficoltà di ricostruirsi una vita in un ambiente sociale
completamente nuovo. Mohamed riuscì a ricongiungersi subito con i
familiari ma per paura della stigmatizzazione non tornò al proprio
paese. Le sue prospettive erano nettamente migliori rispetto a quelle di
Isata; nel 2003 era tornato a scuola e poteva fare dei progetti per il
futuro, tuttavia era ancora legato alla sua identità di ex-soldato del
RUF poiché esprimeva il desiderio di incontrare i suoi ragazzi e il suo
comandante. I sensi di colpa e la vergogna per la propria esperienza
arrivarono anche per Mohamed che si ripromise di non raccontare a
nessuno l’esperienza che aveva vissuto.
La dimensione espressiva della guerra
Nell’opera Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone, Richards sostiene che “ogni tipo di guerra ha la sua
dimensione espressiva. Nelle guerre a bassa intensità, in paesi poveri
21
Denov, Myriam & Maclure, Richard. op. cit. p. 260
44
come la Sierra Leone, la dimensione espressiva può essere molto
accentuata”22. La drammaturgia della guerra in Sierra Leone, secondo
Richards, merita di essere analizzata nel più ampio contesto sociale e
non liquidata come bizzarra,23 come tipicamente fanno i media
internazionali.
E’ anche tramite l’espressività che i ribelli e i giovani sierraleonesi
hanno esternato le proprie posizioni. Una di queste posizioni
scaturisce dall’interpretazione che i giovani hanno dato del film di
Rambo, First Blood, prodotto nel 1982.
I giovani sierraleonesi che hanno partecipato al conflitto, anche
quelli provenienti dai distretti rurali e meno educati, sono soggetti alla
globalizzazione tramite l’esposizione ai media, radio, televisione e
video. Questi giovani reinterpretano i messaggi veicolati dai media
adattandoli al proprio contesto sociale e i ribelli hanno cercato di
sfruttare queste interpretazioni a proprio favore.
Rambo e l’esclusione sociale
First Blood narra la storia di un veterano del Vietnam che non
riesce a reintegrarsi nella società americana. Viene emarginato e
imprigionato, riesce a scappare dalla prigione e si rifugia nella foresta
dove si ritrova, solo con sé stesso, a dovere combattere contro le forze
di polizia. Per sopravvivere mette in pratica le strategie di guerra e
riesce a ribaltare la situazione tendendo imboscate e rubando le armi
al nemico. La situazione di guerra di bassa intensità si calma solo
quando interviene il suo ex-comandante, che gli offre una possibilità
di reintegrazione nella comunità.
Il film Rambo ha avuto un grande impatto fra i giovani in Sierra
Leone e specialmente nei distretti diamantiferi è uno dei film preferiti
22
Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone. Oxford: James Currey. p. 57
23
La rappresentazione più diffusa nei media internazionali sostiene che i giovani
combattenti venissero educati alle tattiche militari tramite la visione dei film di
guerra, in primo luogo Rambo. Secondo questa tesi i giovani africani sono degli
spettatori passivi e degli imitatori, e i prodotti mediatici verrebbero utilizzati
negativamente per enfatizzare l’espressione di un’essenziale barbarità africana.
45
dai ragazzi, che lo considerano di grande valore educativo. Il tema
principale che Rambo affronta, quello dell’esclusione sociale che
genera violenza, è vissuto anche da questi giovani che si sentono
tagliati fuori da uno stato patrimoniale sull’orlo del fallimento.
I ribelli utilizzarono regolarmente le proiezioni di Rambo come
mezzo di ispirazione, intrattenimento, ed educazione dei giovani
combattenti alle tattiche di guerra. Ma la figura di Rambo apparve
spesso anche nei murales urbani dipinti dai giovani sostenitori del
golpe del NPRC.
I giovani e i Media
Un sondaggio condotto negli anni 1993-94 fra i sierraleonesi, e in
particolare fra gli under 30,24 permette di capire quale sia l’impatto dei
media sui giovani e comprendere che i giovani in Sierra Leone usano i
film, e i media in generale, come strumenti per la costruzione della
loro modernità.25 I giovani appaiono bene informati sugli eventi
internazionali tramite la televisione, la radio e i giornali e utilizzano i
prodotti mediatici globalizzati in maniera costruttiva, reinterpretando
il contenuto dei video per adattarlo alle loro necessità sociali.
Circa i tre quarti del campione intervistato ha accesso a film e
video, il 39 per cento occasionalmente, al massimo una volta al mese,
il 57 per cento almeno una volta alla settimana. Anche nei villaggi le
persone sono raggiunte dalla televisione e dal cinema, abbiamo visto
nel primo capitolo come proiezioni video itineranti raggiungano i
giovani minatori nei fine settimana.
Il genere di film preferito è il romanzo d’amore indiano o il musical
indiano, seguito dai film di guerra, per ultimi Kung Fu e spionaggio.
24
Sinteticamente il campione utilizzato è così formato: 420 intervistati, stessa
proporzione fra uomini e donne, provenienti da tre aree diverse del paese: città di
Freetown, città di Bo, città di Kambia. Il campione è suddiviso in tre gruppi di età,
gli under 30 sono il 73%, e in tre gruppi di educazione formale: nessuna, primaria e
professionale, secondaria e post-secondaria. Per maggiori dettagli vedere: Richards,
Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone.
Oxford: James Currey. P. 106
25
Richards, Paul. op. cit. p.102
46
Fra i film di guerra il più conosciuto è First Blood ma sono anche
graditi i documentari e i telegiornali, come ad esempio la copertura
della Guerra del Golfo fornita dalla CNN, il video dell’assassinio del
presidente liberiano Doe, un documentario sull’insurrezione in Sierra
Leone prodotto da Hilton Fyle.
I giovani provano divertimento nel vedere i film indiani perché
sono ricchi di musica, balli e storie sentimentali. I film violenti invece
piacciono perché gli eroi si oppongono ai cattivi e vincono utilizzando
la propria intelligenza.
Ma i film hanno anche una funzione educativa perché forniscono
dei suggerimenti per affrontare la vita di tutti i giorni. I ragazzi
intervistati hanno espresso la convinzione che i film rappresentino una
finestra sul mondo globalizzato nel quale si trovano immersi, “che
permette di condividere le esperienze di amanti indiani o veterani
americani del Vietnam”.26
Le esperienze vissute dai protagonisti dei film vengono
reinterpretate e adattate alle storie personali, i giovani sierraleonesi
non sono passivi al contatto con la globalizzazione dei media ma li
usano costruttivamente attuando delle letture riflessive.
Conclusioni
Jourdan, relativamente alla relazione fra i giovani combattenti nel
Nord Kivu e la guerra, osserva che:
La figura del soldato è dunque carica di modernità, essendo, fra le
altre cose, il frutto di un’interpretazione locale dell’eroe dei film
d’azione, [...]. Attraverso la violenza inoltre il soldato può accedere
concretamente alla modernità e ai suoi simboli: si impossessa ad
esempio di radio, occhiali da sole, soldi e viaggia gratis sulle mototaxi.27
Credo che queste parole si possano utilizzare anche per descrivere uno
degli aspetti dell’identità dei giovani combattenti in Sierra Leone.
26
27
Richards, Paul. op. cit. p.110
Jourdan, Luca. op. cit. p.130
47
Dagli studi antropologici presentati emerge che molti giovani
scelgono di combattere autonomamente. E’ quindi possibile sostenere
che non esiste un modello interpretativo unico del fenomeno dei
bambini soldato: la categoria di giovane combattente, così come
quelle di infanzia e adolescenza, deve essere contestualizzata
socialmente per essere compresa a fondo.
I temi della consapevolezza e della responsabilità hanno un ruolo di
primo piano nello studio dell’identità giovanile. La consapevolezza
matura con l’età, ma la limitatezza delle scelte a volte rende
impercettibile il confine fra arruolamento volontario e forzato. In ogni
caso la responsabilità è sempre a carico dei giovani, almeno di quelli
più maturi.
La vittimizzazione è una generalizzazione che toglie voce ai
soggetti, che sono persone in grado di agire per il proprio interesse,
trasformandoli in oggetti, che diventano destinatari passivi dei
programmi di reintegrazione.
Le
esperienze
di
militarizzazione
e
demilitarizzazione
rappresentano entrambe dei profondi traumi per i giovani perchè li
sottopongono a bruschi cambiamenti identitari. In particolare
l’attenzione per il processo di ritorno alla vita civile ha messo in luce
alcuni degli ostacoli che i ragazzi devono affrontare per reintegrarsi
nella società.
I giovani sierraleonesi, sia che vivano in ambito urbano che rurale,
sono immersi nella globalizzazione culturale, nella modernità, hanno
accesso ai media. Qualcuno li ha definiti molecole perdute,28 invece
sono degli spettatori attivi e attenti, che sanno riadattare i contenuti
trasmessi al proprio contesto sociale. L’inventività culturale che hanno
dimostrato di possedere potrebbe essere utilizzata positivamente per la
costruzione di un processo di pace duraturo.
28
Robert Kaplan. 1994. The Coming Anarchy: How Scarcity, Crime,
Overpopulation and Didease are Rapidly Destroying the Social FAbric of Our
Planet, in “Atlantic Monthly”, February 1994. pp. 44-76
48
I giovani e il processo di pace: la sfida della
reintegrazione
Per arrivare alla risoluzione del conflitto in Sierra Leone ci sono
voluti tre accordi di pace: l’Accordo di Pace di Abidjan, Nigeria, del
30 Novembre 1996, il Piano di Pace di Conakry, Guinea, del 23
Ottobre 1997 e gli Accordi di Pace di Lomé, Togo, del 7 Luglio 1999.
Gli accordi di Lomé diventarono il documento operativo sul quale si
basò il processo di pace del paese. Il compromesso con il RUF fu
possibile solo garantendo completa amnistia ai suoi membri e
concedendogli ampio potere nel governo del paese.
La pace poteva essere mantenuta solo disarmando i gruppi militari
e trovando un’occupazione alternativa alle migliaia di uomini, donne e
bambini che si erano arruolati. Nel 1996 furono avviati i primi
programmi di Disarmament, Demobilisation and Reintegration
(DDRP) degli ex-combattenti,1 che furono interrotti dalla ripresa delle
ostilità. Gli Accordi di Lomé istituirono nuovi DDRP, con la volontà
del Governo della Sierra Leone (GoSL) in collaborazione con le
principali
organizzazioni
internazionali,2
che
si
conclusero
ufficialmente nel Febbraio 2004. Secondo i dati forniti dallo United
Nations Disarmament, Demobilisation and Reintegration Resource
Center3 sono stati disarmati 72.490 ex-combattenti, smobilitati
71.043 e 51.122 hanno partecipato alla reintegrazione.
La reintegrazione dei combattenti è un processo che ha due
obiettivi: nel breve periodo evitare la ripresa del conflitto così da
favorire l’attuazione degli accordi di pace; nel medio periodo
permettere il reinserimento sociale ed economico delle persone, così
1
Peters afferma che il disarmo e la smobilitazione dei bambini soldato iniziò nel
1993, prima dell’inizio ufficiale dei DDRP nel 1996 come parte dell’Accordo di
Pace di Abidjan. Vedere: Peters, Krijn. 2007. Reintegration Support for Young ExCombatants: A Right or a Privilege?, in “International Migration”, 45 (5), p. 39.
2
Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte quarta, Articolo XVI, comma 4.
http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
3
http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60#top
49
che possano diventare partecipanti attivi al processo di pace. In questa
seconda fase il processo di reintegrazione dovrebbe integrarsi con le
politiche di peacebuilding, di più ampio raggio e di lungo periodo.
In questo capitolo vedremo come si sono applicati i DDRP in Sierra
Leone, con particolare attenzione alla fase di reintegrazione.
La lunga strada verso la pace
Le cause del prolungamento del conflitto
Abbiamo visto nei capitoli precedenti i motivi che hanno portato il
RUF ad attaccare il paese, ma non abbiamo affrontato le cause del
prolungamento del conflitto. Se la guerra in Sierra Leone è durata così
tanto bisogna menzionare almeno cinque motivi strettamente correlati
fra loro.
In primo luogo il dialogo fra i governi sierraleonesi e il RUF è
sempre stato molto difficile. I governi offrirono al RUF di partecipare
al processo elettorale e negoziarono secondo gli standard della
diplomazia
internazionale,
il
RUF
voleva
il
potere
senza
legittimazione elettorale e accusava la diplomazia di essere uno
strumento dell’imperialismo. I governi non erano disposti ad accettare
l’impunità per i membri del RUF, almeno fino al 1996.4 I giovani
soldati, arruolatisi volontariamente o catturati dal RUF, non avevano
altra scelta se non quella di continuare a combattere. Nel 1992
Amnesty International aveva denunciato l’esecuzione sommaria di
alcuni giovani sospettati di essere membri del RUF, perchè così
facendo si metteva in moto un sistema che obbligava questi giovani a
continuare a combattere.5
In secondo luogo bisogna menzionare l’aspetto economico della
guerra. Partecipando alla guerra molti giovani trovarono una fonte di
sostentamento che nella vita civile gli era stata negata. Si sviluppò
4
Negli Accordi di Pace di Abidjan era prevista l’amnistia per i membri del RUF.
Amnesty International. 1992. The Extrajudicial Execution of Suspected Rebels and
Collaborators. London: International Secretariat of Amnesty International. Index
AFR 51/02/92.
5
50
quella che viene definita economia di guerra, un’economia possibile
solo con il prolungamento del conflitto.
Nella fase iniziale del conflitto l’attacco del RUF si espanse dai
distretti più remoti e arrivò alle città di Bo e Kenema solo perchè il
governo dell’APC non considerò l’attacco come una questione
nazionale.6 All’APC poco interessava di ciò che accadeva nelle
regioni al confine con la Liberia, che storicamente erano state la culla
del partito di opposizione, il Sierra Leone People’s Party (SLPP), che
il governo di S. Stevens aveva cercato di isolare il più possibile dalla
vita nazionale.7
In
terzo luogo fu l’incompetenza militare a causare il
prolungamento del conflitto. Nel 1993, dopo che il RUF fu sconfitto
nelle sue roccaforti di Kailahun, Pendembu e Koindu da parte delle
RSLMF, l’esercito del nuovo governo del NPRC, la guerra sembrava
terminata. Le RSLMF però non erano una forza omogenea e unita,
erano presenti fazioni rivali che si fronteggiavano sul campo, ostili al
NPRC e ancora legate tramite relazioni patrimoniali al precedente
governo del presidente Momoh. Alcune truppe, appena rifornite di
armi e munizioni dal governo, vennero attaccate dal RUF a Potoru,
6
Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the
Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p.
209.
7
In epoca coloniale gli inglesi costruirono una ferrovia che collegò Freetown a
Pendembu, al confine con la Liberia, passando per le città di Moyamba, Bo e
Kenema. La ferrovia divenne l’asse principale di diffusione della cultura creola e di
concentrazione delle scuole secondarie, nelle quali si formò un’élite provinciale
conservatrice e creolizzata in grado di sfidare la classe politica di Freetown. La
nuova élite diede origine al partito politico Sierra Leone People’s Party e ottenne la
leadership nelle province sud ed est del paese popolate prevalentemente dai guerrieri
Mane (o Mande). Il SLPP si guadagnò il passaggio di potere da parte inglese
nell’amministrazione del paese, impegnandosi nella costruzione di uno Stato
democratico. Quando Siaka Stevens dell’APC vinse le elezioni nel 1967 la prima
cosa che fece fu distruggere la ferrovia per minare il potere del SLPP. Da quel
momento le comunicazioni non furono più ripristinate e i distretti al confine con la
Liberia rimasero isolati.
Per un approfondimento storico sulla formazione dello Stato vedere: Richards, Paul.
1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in Sierra Leone.
Oxford: James Currey. pp. 42-48.
51
dove si stima che il RUF acquisì un quantitativo di armi sufficiente
per ritornare all’attacco e resistere a due anni di battaglia.8
In quarto luogo la diffusione dei ‘Sobels’, soldiers-rebels o soldiers
by day, rebels by night, si collega all’isolamento delle regioni al
confine con la Liberia. I soldati dell’esercito che combattevano al
fronte erano isolati dal resto del paese a causa della scarsa presenza di
infrastrutture, perciò spesso non venivano riforniti né di armi né di
generi di prima necessità. Per sopravvivere alle imboscate del RUF
dovettero negoziare la propria sopravvivenza concedendogli di
avanzare e iniziarono, ad imitazione del RUF, a svaligiare i villaggi.
Kelsall ha documentato una testimonianza ad un’udienza della Truth
and Reconciliation Commission (TRC) di Tonkolili, nella quale la
vittima afferma che durante gli attacchi non era possibile distinguere i
ribelli dai soldati.9
Infine, l’accesso alla risorsa più ricca del paese, i diamanti, permise
al RUF di avere accesso continuo al rifornimento di armi. Quando il
RUF iniziò ad esercitare il controllo sulle miniere di diamanti, a
partire dal 1992 con la conquista del distretto di Kono, fornì il pretesto
alle RSLMF per entrare nelle zone diamantifere, fare evacuare gli
abitanti e iniziare a cercare i diamanti, alimentando così l’economia di
guerra.
Lomé: un accordo di pace scioccante
Al fallimento degli accordi di pace di Abidjan seguì un colpo di
stato da parte di una fazione dell’esercito appoggiata dal RUF, nel
Maggio del 1997. Il nuovo governo, che si chiamò Armed Forces
Revolutionary Council (AFRC/RUF), fu destituito grazie ad
un’intensa azione dell’ECOMOG. Il presidente A. T. Kabbah ritornò al
governo nel Marzo del 1998 ma nel Gennaio del 1999 i ribelli
8
Richards, Paul. 1996. Fighting for the Rain Forest: War, Youth & Resources in
Sierra Leone. Oxford: James Currey. p. 24.
9
Kelsall, Tim. 2005. Truth, Lies, Ritual: Preliminary Reflections on the Truth and
Reconciliation Commission in Sierra Leone, in “Human Rights Quarterly”, 27(2), p.
373.
52
entrarono a Freetown compiendo una sanguinosa offensiva: in una
settimana un terzo della popolazione rimase senza tetto, 7.335 corpi
furono bruciati e 3.000 bambini furono reclutati.10
Gli accordi di Pace di Lomé, stipulati fra il presidente della Sierra
Leone A. T. Kabbah e il leader del RUF F. Sankoh, furono condotti
all’insegna della quasi totale resa del governo al volere del RUF. Se,
da una parte, i mediatori difesero l’accordo come l’unica possibilità
per ristabilire la pace nel paese, la società civile sierraleonese,
l’opinione pubblica internazionale e le organizzazioni per i diritti
umani lo definirono scioccante e lo condannarono duramente per la
concessione dell’amnistia totale al RUF11. Ad esempio Human Right
Watch ha affermato che:
Le atrocità commesse in Sierra Leone hanno scioccato il mondo. Le
Nazioni Unite non devono sponsorizzare un accordo di pace che finge
che non siano mai accadute.12
Al RUF venne concessa la possibilità di trasformarsi in partito
politico,13 si costituirà infatti il RUF Party (RUF-P), e gli venne data
ampia partecipazione al potere governativo tramite la concessione del
posto di Vicepresidente della Repubblica, quattro posti da ministro e
quattro da vice-ministro.14 Sankoh fu nominato presidente della
Commissione per la gestione delle risorse strategiche, la ricostruzione
nazionale e lo sviluppo (CMRRD), quindi gli fu data la possibilità di
10
Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the
Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p.
220.
11
“[...] the Government of Sierra Leone shall also grant absolute and free pardon
and reprieve to all combatants and collaborators in respect of anything done by them
in pursuit of their objectives, up to the time of the signing of the present
Agreement.” Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte terza, Articolo IX,
comma 2. http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
12
Dichiarazione di Peter Takirambudde di Human Right Watch del 7/7/1999: “The
atrocities committed in Sierra Leone have shocked the world. The United Nations
must not sponsor a peace agreement that pretends they never happened”.
http://hrw.org/english/docs/1999/07/07/sierra967.htm
13
Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo III.
http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
14
Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo V, comma 2,3,4.
http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
53
esercitare il controllo completo sullo sfruttamento di oro, diamanti e
altre risorse.15
Con gli accordi di pace iniziò la missione di peacekeeping delle
Nazioni Unite, UNAMSIL. Formata inizialmente da 6.000 uomini
raggiunse le 17.500 unità e sostituì le forze dell’ECOMOG; obiettivo
della UNAMSIL era quello di disarmare i combattenti stimati in
numero di circa 45.000. Il processo di disarmo proseguì a rilento e
terminò solo nel Gennaio 2002, quando fu ufficialmente dichiarata la
pace nel paese. Il RUF ostacolò con tutti i mezzi il disarmo dei
combattenti, impedendo alle truppe delle Nazioni Unite di lavorare nei
centri di disarmo, rubando le armi ai peacekeeper e causando, con il
sequestro di 500 caschi blu, una crisi del processo di pace che si
risolse positivamente con l’arresto di Sankoh e la sua interdizione dai
pubblici poteri.16
Si può con certezza affermare che gli Accordi di Lomé non hanno
contribuito alla rimozione né delle cause del conflitto né dei motivi
che ne hanno favorito il prolungamento.
La reintegrazione degli ex-combattenti
I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione
I programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli excombattenti fanno parte dei processi di peacekeeping delle Nazioni
Unite e vengono avviati su richiesta dei governi dei paesi usciti da una
situazione di conflitto che abbiano firmato accordi di pace fra le parti
belligeranti. A partire dalla fine degli anni ottanta le Nazioni Unite
hanno
avuto
sempre
più
importanza
nel
fornire
supporto
all’implementazione dei DDRP, nei quali solitamente si occupano
direttamente delle fasi di disarmo e smobilitazione, effettuate dai
15
Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte seconda, Articolo VII, comma 1.
http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
16
Abraham, Arthur. 2001. Dancing with the Chameleon: Sierra Leone and the
Elusive Quest for Peace, in “Journal of Contemporary African Studies”, 19(2), p.
223.
54
caschi blu, mentre la fase di reintegrazione è affidata a molteplici
organismi. Il finanziamento dei DDR avviene tramite le agenzie
internazionali della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite.
L’acquisizione di una significativa esperienza maturata nella
pianificazione e nella gestione dei DDRP nel corso degli anni, hanno
evidenziato come la mancanza di coordinazione e cooperazione fra gli
attori e la sbagliata pianificazione siano causa del fallimento dei
DDRP. Nel 2004 è stato quindi definito uno standard caratterizzato da
una serie di approcci, politiche e linee guida da seguire nella
realizzazione dei DDRP denominato Integrated DDR Standard
(IDDRS).
Il disarmo consiste nella raccolta, nella inventariazione e nella
distruzione delle armi e delle munizioni, è il processo tramite il quale
un combattente diventa un ex-combattente. La smobilitazione si ha
quando l’ex-combattente viene rilasciato dal gruppo armato di
appartenenza e viene registrato per l’accesso ai programmi di
reintegrazione. L’ex-combattente viene accompagnato nella comunità
di origine o in un altro luogo a scelta e gli viene fornito un ‘pacchetto’
di supporto, allo scopo di supplire alle necessità basiche nel breve
periodo, che può comprendere cure mediche, cibo, vestiti, denaro,
strumenti di lavoro, educazione. (Questa fase della smobilitazione è
anche chiamata reinserimento).
La reintegrazione è un processo sociale, economico e politico
attraverso il quale gli ex-combattenti vengono reinseriti nella vita
civile. I DDRP hanno due funzioni: la prima si manifesta nel breve
periodo e consiste nel garantire la sicurezza al paese che si trova in un
contesto di post-conflitto, offrendo ai combattenti delle alternative di
vita civile alla vita militare. Per la maggior parte degli ex-combattenti
i DDRP sono l’unica attrattiva che la società gli offre dopo la
deposizione delle armi.
La seconda funzione dei DDRP consiste nel preparare gli excombattenti a svolgere un ruolo attivo nella ricostruzione della società
e dovrebbe essere integrata in una prospettiva multidimensionale e di
lungo periodo di peacebuilding. La reintegrazione in questo caso fa da
55
collegamento fra gli obiettivi di breve periodo del processo di pace, il
disarmo e la smobilitazione, e quelli di lungo periodo, il peacebuilding
e lo sviluppo nazionale. La reintegrazione dovrebbe permettere di
trovare un impiego, al fine di rendersi autosufficienti e meno
dipendenti dalla comunità di origine.
La progettazione della reintegrazione
La reintegrazione deve essere progettata tenendo conto delle cause
del conflitto, solo in questo modo potrà essere parte di un progetto di
sviluppo del paese.
La definizione dei criteri di scelta delle persone che parteciperanno
al DDRP è di fondamentale importanza, particolarmente in situazioni
in cui sono coinvolti più gruppi armati. Per fornire ad ogni gruppo
l’assistenza più adeguata bisogna diversificare l’applicazione del
programma secondo le necessità specifiche, ad esempio i bambini
devono essere separati e ricevere cure speciali così come i malati. I
destinatari dovrebbero essere scelti applicando il principio di
inclusione cioè la non discriminazione sulla base del sesso, età, razza,
religione, nazionalità, etnia, opinione politica. Specifiche misure
devono essere prese per garantire la partecipazione delle donne in tutte
le fasi del DDRP, perchè le donne hanno spesso occupato molteplici
ruoli nei gruppi armati, oltre a quello di combattenti.
I DDRP devono essere ben pianificati cioè progettati sulla base di
dati quantitativi e qualitativi che devono essere mantenuti aggiornati
durante lo svolgimento del progetto. La comunità deve essere bene
informata e sensibilizzata sulle procedure ed i benefici derivanti dalla
partecipazione ai DDRP, utilizzando mezzi e sistemi di comunicazione
specifici allo scopo di raggiungere il maggior numero di interessati.
56
La reintegrazione in Sierra Leone
Il programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli excombattenti in Sierra Leone è iniziato nel 1999 in seguito alla firma
degli Accordi di Pace di Lomé e si è concluso nel Febbraio del 2004.17
Il Governo della Sierra Leone ha ufficialmente chiesto alla
comunità internazionale il sostegno nella realizzazione di tali
programmi18 e ha dato vita, nel 1998, al Comitato Nazionale per il
disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione (NCDDR). Il NCDDR
ha organizzato 16 centri di demobilitazione in tutto il paese e 4 uffici
regionali e 12 distrettuali per la reintegrazione.19
I DDRP in Sierra Leone hanno avuto successo nel breve periodo
perchè sono riusciti nell’obiettivo di impedire la ripresa del conflitto.
Tuttavia
è
possibile
affermare
che
non
hanno
contribuito
sensibilmente al processo di consolidamento della pace, poiché non
sono stati integrati con le politiche nazionali di lungo termine e non
sono stati programmati in modo da indirizzare le cause del conflitto.
Il disarmo ha riguardato 72.490 combattenti dei quali 6.845
minorenni e 4.751 donne, dei combattenti 24.352 appartenevano al
RUF, 37.377 alle CDF, 8.527 all’esercito e 2.234 erano paramilitari.
La smobilitazione è stata possibile per 71.043 combattenti, fra i quali i
6.845 ragazzi e le 4.751 donne.20 Mentre le stime iniziali della
UNAMSIL prevedevano che il numero dei combattenti da disarmare
fosse di circa 45.000, gli studi condotti al termine del processo di
17
United Nations Disarmament, Demobilization and Reintegration Resource Center.
Country programme: http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60
18
Accordi di Pace di Lomè, 7 Luglio 1999, Parte quarta, Articolo XVI, comma 4.
http://www.sierra-leone.org/lomeaccord.html
19
National Committee for Disarmament, Demobilisation and Reintegration.
Executive Secretariat Report, 2/3/2004. Republic Of Sierra Leone. http://www.dacosl.org/encyclopedia/8_lib/8_3/NCDDR_ExecSecretary_report.pdf
20
Fonte: United Nations Disarmament, Demobilization and Reintegration Resource
Center. Country programme: http://www.unddr.org/countryprogrammes.php?c=60
57
reintegrazione hanno valutato che il numero totale dei combattenti fu
di circa 137.000.21
Per potere accedere ai DDRP ogni combattente, adulto o bambino,
doveva dimostrare di avere preso parte attiva nel conflitto all’interno
del RUF, dell’esercito della Sierra Leone (SLA e paramilitari) o delle
CDF. Per attestare l’effettiva partecipazione alla guerra, sia adulti che
bambini dovevano possedere una prova: un’arma individuale oppure
un’arma di gruppo e una certa quantità di munizioni. Chi non
possedeva armi doveva arrivare al centro di demobilitazione
accompagnato dai gruppi armati stessi.
La missione UNAMSIL era responsabile per l’organizzazione delle
fasi di disarmo e smobilitazione: provvedere alla sicurezza,
organizzare i centri di disarmo e di raccolta delle armi, scelta e
registrazione degli ex-combattenti. L’UNICEF si è occupata della
smobilitazione dei bambini soldato, che, secondo la prassi, dopo la
registrazione vengono subito separati dagli adulti e inseriti negli
Interim Care Center (ICC). Negli ICC i bambini hanno accesso a cure
specifiche come l’assistenza psico-sociale e vengono attivati i processi
di riunificazione famigliare. Il World Food Program (WFP) in
cooperazione con altre agenzie internazionali e ONG (Oxfam, Save the
Children, International Rescue Committee) ha fornito aiuti alimentari,
lo United Nations Population Fund (UNFPA) ha fornito formazione
sulla prevenzione dell’HIV, all’interno di una strategia nazionale di
più ampio respiro e di supporto sociale.
La reintegrazione ha coperto 51.122 ex-combattenti fra i 56.700
che si erano registrati. Fra gli iscritti 28.901 hanno seguito un percorso
di formazione professionale (56 per cento), 12.182 hanno optato per
l’educazione formale (23 per cento), 9.231 hanno scelto un pacchetto
relativo all’agricoltura (18 per cento), circa 3000 si sono arruolati
nell’esercito della Sierra Leone, 444 sono stati impiegati in lavori di
21
Mazurana, Dyan and Carlson, Khristopher. 2004. From Combat to
Community:Women and Girls of Sierra Leone. Women Waging Peace, a program of
Hunt Alternatives Fund.
58
pubblica utilità e 364 hanno usufruito di altri tipi di aiuti come il
microcredito.
Il pacchetto ‘educazione formale’ offriva l’iscrizione scolastica per
un massimo di tre anni, in funzione dell’anno di demobilitazione. Il
pacchetto ‘educazione professionale’ offriva un training di durata da
sei a nove mesi e un rimborso mensile di circa 30 dollari. Al termine
del percorso formativo veniva fornito un kit di strumenti di lavoro. Il
pacchetto agricolo poteva comprendere sia un training professionale
con un’indennità monetaria che un kit che includeva semi, riso e
strumenti agricoli.
La pianificazione dei corsi di formazione non è stata effettuata in
maniera standard nei vari distretti, così che i giovani potessero
effettivamente scegliere fra tutte le opzioni disponibili. Alcuni corsi
erano accessibili solo in determinati distretti, altri erano a numero
chiuso.22 Da alcune interviste fatte ai giovani durante il processo di
reintegrazione emerge la sensazione di non potere effettivamente
scegliere che corso seguire. I problemi ricorrenti evidenziati dai
giovani intervistati sono quello della tempificazione e quello della
mancanza di supporto nella ricerca di un lavoro.23
I corsi maggiormente disponibili furono quelli per carpentiere,
muratore,
confezionatore
di
abiti,
meccanico,
parrucchiera,
produzione di batik e di saponi. Il training informatico fu offerto solo
agli alti ranghi del RUF per favorire la loro collaborazione nel
processo.
Alcuni giovani si sono lamentati del fatto che, dopo avere scelto un
corso, questo non sia partito per mesi e di essersi visti costretti a
ripiegare su di un altra attività, dietro suggerimento del personale del
DDRP. Peters evidenzia come le difficoltà di accesso al training
formativo scelto aumentino in funzione della distanza dai centri
regionali, i luoghi in cui i ragazzi dovevano recarsi per sapere se erano
22
Peters, Krijn. 2007. Reintegration Support for Young Ex-Combatants: A Right or
a Privilege? in “International Migration”, 45 (5), p. 41.
23
Peters, Krijn. op. cit. p. 45.
59
stati accettati ad un determinato corso. Solo chi abitava vicino ai centri
poteva permettersi di andare a controllare più frequentemente le ‘liste
di attesa’ finché non trovava il suo nome sulla lista, ma quando la
strada da percorrere impegnava uno o due giorni di cammino, i
giovani che si sono visti respinti hanno rinunciato a partecipare oppure
hanno ripiegato su scelte più accessibili24.
Peters ha osservato come la programmazione dei DDRP in Sierra
Leone non abbia tenuto conto della struttura occupazionale e
economica del paese. Solo il 15 per cento degli ex-combattenti scelse
il pacchetto agricolo, in un paese dove circa il 70 per cento della
popolazione è legata all’agricoltura di sussistenza. Secondo Peters la
causa è da ricercare in parte nel modo in cui venne offerto questo
pacchetto, rendendolo poco accattivante. Il pacchetto agricolo infatti
veniva fornito prevalentemente come kit, senza indennità monetaria e
non era neanche disponibile in tutti i distretti.
Inoltre non sono state offerte ai giovani le possibilità finanziarie di
acquisire una licenza per cercare i diamanti né gli strumenti per
l’estrazione dei diamanti, perché non era nell’interesse della classe
politica aprire alla concorrenza queste attività.
Esperienze sul campo: il disarmo e la smobilitazione come dramma
della gioventù
Hoffman ci fornisce un’analisi del processo di demobilitazione
basata sulla ricerca sul campo da lui effettuata nei periodi di Luglio e
Agosto 2000 e dal Settembre 2001 al Maggio 2002.25 La ricerca ha
avuto luogo nel campo di smobilitazione della città di Bo, allestito
nello stadio. La maggior parte degli ex-combattenti presentatisi al
campo appartenevano alle CDF, che erano particolarmente forti nella
città.
24
Peters, Krijn. op. cit. p. 43.
Hoffman, Danny. 2003. Like Beasts in the Bush: Synonyms of Childhood and
Youth in Sierra Leone, in “Postcolonial studies”, 6(3), pp. 295-308.
25
60
Hoffman evidenzia il contrasto esistente fra l’apparenza del
processo di smobilitazione sulla carta e l’implementazione pratica,
sostenendo che nella pratica il DDRP si trasforma in un “complesso
dramma, animato in parte da multipli e conflittuali significati di
infanzia e gioventù.”26 Nell’analisi si dimostra come la dinamica di
accesso ai campi di demobilitazione da parte dei giovani combattenti
rispecchi alcuni dei caratteri fondamentali della gioventù in Sierra
Leone: la marginalità, l’alienazione e la dipendenza dalle reti
patrimoniali.
In primo luogo Hoffman si sofferma sull’estraneità dei giovani al
processo di smobilitazione stesso: molti non hanno idea di cosa
aspettarsi, devono aspettare ore in mezzo alla folla, sotto il sole, senza
cibo né acqua, prima di potere accedere al campo (nell’analisi ci si
riferisce al campo allestito nello stadio della città di Bo), se durante il
giorno non vengono ammessi nessuno li informa se il giorno seguente
avrà luogo un’altra registrazione.
In secondo luogo Hoffman nota il fatto che i giovani combattenti di
età inferiore a diciotto anni vengono presentati, da parte dei loro
comandanti, come adulti. La motivazione deriva dalla differenza di
trattamento riservato ai bambini e agli adulti: mentre ai bambini spetta
la riabilitazione all’interno degli ICC, agli adulti spetta un ‘pacchetto’
di beni che è possibile spartire con il comandante. Soprattutto fra le
milizie civili, dove le armi principalmente utilizzate, i machete, non
vennero riconosciute come idonee all’inserimento nel DDR, si
verificò una redistribuzione di armi da parte di chi le possedeva ai
giovani combattenti in cambio di una percentuale del pacchetto di
reinserimento.
Questo comportamento, oltre a sancire il fatto che molti bambini
soldato smobilitati come adulti non hanno seguito un percorso di
riabilitazione specifico, evidenzia come l’infanzia sia verticalmente
26
Hoffman, Danny. op. cit. p. 296.
61
inserita nella posizione più bassa delle reti patrimoniali, che hanno
sensibilmente influenzato anche il processo di smobilitazione.
La riconciliazione con le comunità
Nel secondo capitolo abbiamo raccontato la storia di Mohamed,
che si era riunito alla propria famiglia ma non alla propria comunità
per paura di venire stigmatizzato e condannato. Anche nella vita di
Isata la paura della stigmatizzazione ha avuto un ruolo fondamentale,
tanto da renderla una persona insicura e timida. Spesso il RUF
obbligava i giovani che rapiva a commettere atrocità sui propri
famigliari o vicini, una tattica che serviva a creare un muro di odio fra
le comunità ed i giovani, che da quel momento erano visti come
diavoli, e non sarebbero stati riaccettati anche se fossero riusciti a
fuggire.
Il tema della riconciliazione fra gli ex-combattenti e le comunità è
strettamente legato alla possibilità di reintegrazione e di ricostruzione
dei legami sociali. In particolare perchè i programmi di reintegrazione
abbiano successo e gli ex-combattenti riescano a reinserirsi nel tessuto
sociale, è necessario che avvenga anche la riconciliazione con la
comunità.
La Sierra Leone ha messo in pratica alcuni strumenti per il
supporto del consolidamento della pace, accanto alla programmazione
dei DDRP: la Corte Speciale per la Sierra Leone e la Commissione di
Verità e Riconciliazione (TRC). Entrambi sono meccanismi della
‘giustizia di transizione’ che hanno la funzione di ricostruire il tessuto
sociale di un paese distrutto da un conflitto interno.
La Corte Speciale ha l’obiettivo di combattere il generale senso di
impunità diffusosi nel paese dopo la firma degli accordi di Lomé.
Attraverso la formulazione di accuse e condanne per i responsabili di
crimini di guerra e crimini contro l’umanità, compiuti dopo la firma
degli accordi di Abidjan del 30 Novembre 1996, la corte si occuperà
di processare coloro che hanno le maggiori responsabilità nel
conflitto.
62
La Commissione di Verità e Riconciliazione ha il compito di creare
un archivio di testimonianze, delle vittime e dei perpetratori delle
violenze, allo scopo di portare a conoscenza di tutto il paese le atrocità
commesse e di favorire la riconciliazione nazionale. Le udienze della
TRC sono uno spazio in cui gli ex-combattenti possono porgere
pubblicamente le proprie scuse alla comunità, ammettendo di avere
commesso atti crudeli e di essere sinceramente pentiti.
La TRC in Sierra Leone ha incontrato varie difficoltà durante il suo
lavoro, ma una delle più penalizzanti sembra essere stata quella della
comunicazione. Gli alti livelli di analfabetismo della popolazione
impedivano di usare efficacemente la comunicazione scritta e
l’informazione via televisione o radio non sempre raggiungeva i
destinatari. La TRC non aveva a disposizione un budget sufficiente a
mantenere uno staff specializzato nella comunicazione orale nelle
province.
Molte persone non ne conoscevano il funzionamento e gli obiettivi.
Ad esempio molti credevano che le confessioni fossero retribuite, altri
non vedevano la necessità della commissione sostenendo che in Sierra
Leone le persone avrebbero dimenticato facilmente, altri la credevano
inutile perchè non aveva il potere di punire.
Un altro problema a livello di comunicazione derivava dalla
mancata conoscenza dei legami della TRC con la Corte Speciale.
Nonostante la TRC avesse sostenuto che non avrebbe fornito
informazioni alla Corte, e la Corte avesse informato che il suo
obiettivo era di colpire i maggiori responsabili delle violazioni, gli excombattenti temevano che la confessione avrebbe potuto essere usata
contro di loro e ciò causò grandi lacune nelle confessioni fornite.
Kelsall riporta alcuni momenti delle udienze tenutesi nel distretto di
Tonkolili, nelle quali i giovani ex-combattenti del RUF si scusano
pubblicamente per avere fatto parte di un gruppo che ha commesso
63
tante atrocità, ma non confessano di averle commesse in prima
persona.27
Nonostante l’attività della TRC la maggior parte degli excombattenti del RUF non sono riusciti a riconciliarsi con le proprie
comunità e sono costretti a condurre una vita di strada, senza la
possibilità di reintegrazione.
Conclusioni
Nonostante
gli
abbondanti
finanziamenti
internazionali
i
programmi rimasero senza fondi già dall’Agosto 2002, lasciando circa
i due terzi degli ex-combattenti che si erano disarmati senza la
possibilità di concludere il percorso di reintegrazione e con l’unica
alternativa di unirsi ai combattenti sierraleonesi in Liberia.28 Molti
donatori internazionali si rifiutarono di contribuire alla reintegrazione
di coloro che si erano macchiati di tante atrocità, e preferirono
contribuire alla realizzazione di progetti comunitari ai quali spesso gli
ex-combattenti non poterono partecipare.29
Il successo della reintegrazione degli ex-combattenti ha dipeso
essenzialmente da due fattori: la possibilità di reinserimento nella
comunità e la possibilità di trovare un lavoro. Per rafforzare
l’accoglienza comunitaria lo Stato ha agito istituendo la TRC, ma per
quanto riguarda le possibilità occupazionali la programmazione dei
DDRP non ha tenuto conto del contesto locale tanto che solo il 42 per
cento degli ex-combattenti ha trovato lavoro.30
Le caratteristiche per l’accesso ai DDRP hanno discriminato
almeno due gruppi: le CDF e le donne. La maggior parte dei
combattenti delle CDF lottavano con armi non convenzionali come i
machete, tanto che si stima che il numero ufficiale di combattenti che
27
Kelsall, Tim. 2005. Truth, Lies, Ritual: Preliminary Reflections on the Truth and
Reconciliation Commission in Sierra Leone, in “Human Rights Quarterly”, 27(2),
pp. 371-373.
28
International Crisis Group. op. cit. p. 13.
29
International Crisis Group. op. cit. p. 14.
30
International Crisis Group. 12 Luglio 2007. Sierra Leone: The Election
Opportunity ICG Africa Report N° 129. p. 10.
64
si sono disarmati, 72.490, sia di molto inferiore al numero reale. Le
giovani combattenti nella maggior parte dei casi non sono riuscite ad
accedere alla reintegrazione.
Le donne combattenti sono state abbandonate dallo Stato e hanno
incontrato grandissime difficoltà a reintegrarsi nelle comunità,
specialmente quando vi sono tornate con dei figli.31 La questione di
genere, all’interno del tema dei rapporti fra i giovani e la guerra, negli
ultimi anni ha attirato l’attenzione dei ricercatori tanto che sono state
prodotte ricerche specifiche, che non sono state trattate in questo
lavoro.32
32 Vedere ad esempio: Amnesty International. 1 Novembre 2007. Sierra Leone:
Getting reparations right for survivors of sexual violence (Including
amendments). AFR 51/005/2007 oppure Honwana, Alcinda. 2006. Child
Soldiers in Africa. Philadelphia: University of Pennsylvania Press. Capitolo 4.
65
Conclusioni
Il caso specifico della guerra civile in Sierra Leone è stato studiato
al fine di potere riflettere sul rapporto fra i giovani e la guerra e
sull’implementazione dei programmi di reintegrazione.
Alla luce di quanto emerso nell’analisi è possibile concludere che il
rapporto fra i giovani e la guerra è un rapporto complesso, che non
deve essere generalizzato nelle categorie di vittima e colpevole ma che
deve essere analizzato caso per caso. L’identità dei giovani
combattenti, così come l’identità giovanile, l’infanzia, l’adolescenza,
sono strettamente dipendenti dal contesto perchè sono delle categorie
sociali. Il metodo antropologico ci offre gli strumenti per studiare le
specificità di queste categorie, ad esempio attraverso le interviste.
L’identificazione dei giovani combattenti come vittime è una
generalizzazione errata. Nasce dall’universalizzazione della categoria
di gioventù occidentale, basata su fasi di vita scandite dall’educazione
formale e dal presupposto che i giovani non siano dotati della capacità
di agire autonomamente (agency). La vittimizzazione mette in
secondo piano la responsabilità dei giovani combattenti per le atrocità
commesse mentre il riconoscimento della agency responsabilizza il
giovane nei confronti della scelta effettuata.
La gioventù africana spesso è costretta ad effettuare delle scelte
molto prima dei diciotto anni e la scelta di combattere è maturata dalla
necessità di trovare una fonte di sostentamento, in un contesto in cui
lo Stato non offre alternative percorribili. A volte l’arruolamento è
l’unico mezzo, per i giovani, per avere accesso alla modernità, agli
oggetti che la rappresentano (vestiti, radio, televisione), alla libertà di
movimento, ma anche per ottenere una forma di educazione e di
riconoscimento.
Abbiamo visto che l’applicazione di programmi di reintegrazione
degli ex-combattenti è una politica necessaria al fine di fare cessare le
ostilità e garantire la creazione di un clima di pace. La reintegrazione
66
non si esaurisce nel medio-periodo, durante il quale gli ex-combattenti
frequentano i corsi di formazione e sono sviati dal tornare all’attività
militare ma, se accuratamente programmata, può essere considerata
come l’inizio di un processo di ricostruzione della società che ha
legami con il lungo-periodo.
Perchè la reintegrazione degli ex-combattenti abbia successo si
devono verificare alcune condizioni. In primo luogo l’accoglienza
delle comunità: i giovani che non riescono a tornare ‘a casa’ nella
maggior parte dei casi sono soggetti alla vita di strada o allo
sfruttamento economico.
Inoltre i DDRP devono essere compatibili con le possibilità di
sviluppo e occupazionali del paese ma questo obiettivo non è semplice
da realizzare. Spesso gli Stati non hanno un reale interesse a fare
crescere professionalmente i propri ragazzi, perchè preferiscono
mantenerli come manodopera a basso costo, oppure si incontra la
resistenza di settori dominati dalle élite politiche che si vedono
minacciate.
I programmi di reintegrazione dovrebbero nascere da un
compromesso fra l’essere accattivanti per i destinatari e l’essere utili
nella realtà sociale del paese. Il caso della Sierra Leone a mio avviso
evidenzia il fatto che il processo di reintegrazione possa essere vissuto
come minaccia al mantenimento dello Status quo, piuttosto che come
opportunità per il cambiamento sociale.
I DDRP devono essere differenziati in funzione dei gruppi di
combattenti a cui si rivolgono e tenere conto delle specificità delle
singole persone che vi prendono parte. In Sierra Leone molti
combattenti non sono stati demobilitati perchè non possedevano
un’arma da fuoco. E’ indispensabile aumentare la sensibilità dei
governi rispetto alla questione di genere, garantendo alle donne
l’accesso ai percorsi di reintegrazione.
L’ esperienza di demilitarizzazione, che inizia all’interno dei campi
di smobilitazione, può essere traumatizzante al pari dell’esperienza di
militarizzazione. I valori della vita militare: sicurezza, sopravvivenza
e senso di appartenenza, non sono presenti nella vita civile, dove i
67
ragazzi si trovano ad affrontare, senza l’assistenza adeguata, il senso
di solitudine, il senso di colpa e l’impotenza e dove si devono
ricostruire una nuova identità.
La fine della guerra civile in Sierra Leone, nel Gennaio del 2002,
ha segnato l’inizio di un percorso di ricostruzione nazionale e di
consolidamento della pace nel paese. Durante questi sei anni si sono
visti dei progressi verso una maggiore istituzionalizzazione, ma i
problemi alla radice del conflitto sono ancora aperti.
La società civile ha dimostrato fiducia nel sistema politico tramite
l’alta partecipazione elettorale, ma la lentezza con cui vengono attuate
le riforme nel paese e, spesso, l’assenza delle stesse, e la persistente
mancanza di sviluppo sociale ed economico stanno contribuendo a
ricostruire un clima di sfiducia verso le istituzioni e di possibile
ritorno al conflitto.
Le elezioni del Maggio 2002 sono state vinte dal Sierra Leone
People’s Party di A. T. Kabbah, che si è aggiudicato 83 seggi su 112.
Le prime elezioni non violente nella storia del paese hanno legittimato
il Presidente Kabbah per avere condotto il paese alla pace, ma il
Presidente ne ha approfittato per creare un governo monopartitico, non
idoneo ad un paese appena uscito dalla guerra che necessita invece di
una politica di dialogo fra partiti. Il governo Kabbah non ha attuato
dei programmi volti a risolvere i grandi problemi legati alla cultura
politica del paese come il patrimonialismo, la corruzione, il
monopartitismo, lo scarso rendimento democratico e l’assenza di
pluralismo, ma si è impegnato nella riforma del settore della sicurezza,
obiettivo identificato come primario dai donatori internazionali.
La sicurezza nel paese è stata migliorata grazie all’addestramento
dell’esercito e della polizia verso due obiettivi principali: eliminare la
divisione dell’esercito in fazioni legate a relazioni patrimoniali e
costruire un esercito nazionale; sviluppare un sistema di difesa anche
nei distretti fino ad ora abbandonati, al confine con la Liberia, nei
quali ha maturato la forza del RUF.
68
La disoccupazione giovanile, uno degli elementi scatenanti del
conflitto, arriva all’80 per cento.33 La maggior parte degli excombattenti al termine dei programmi di reintegrazione sono rimasti
disoccupati, molti sono tornati a lavare ghiaia, senza avere ottenuto un
miglioramento delle condizioni lavorative. Altri vivono giorno per
giorno ingrossando le fila dei ragazzi di strada, spesso aiutati dalle
ONG per le esigenze di base, fra questi la maggior parte proviene dal
RUF. Sono ragazzi che non sono riusciti a riconciliarsi con le proprie
comunità, il cui tenore di vita contrasta con quello dei leader del
movimento che invece vivono agiatamente. Infine alcuni giovani
disoccupati hanno deciso di arruolarsi nel Liberian United for
Reconciliation and Democracy (LURD) e continuare a combattere in
Liberia.
Con il ritorno alla pace i tassi di iscrizione nelle scuole sono esplosi
e alcuni dei principali istituti scolastici che erano stati distrutti dal
RUF sono stati ricostruiti e riaperti, come il Njala University College
(NUC) di Freetown. I tassi di abbandono scolastico sono tuttavia
ancora alti e più della metà dei giovani sono analfabeti (nella fascia di
età 15-24 anni sono il 52,1 per cento).
La corruzione continua ad essere una pratica ampiamente diffusa,
la popolazione ne percepisce l’aumento e questo pregiudica il
raggiungimento di altri obiettivi come quello dello sviluppo
economico. Un primo passo da effettuare sarebbe quello di ripristinare
il funzionamento della Commissione Nazionale Anticorruzione, che è
stata sottomessa al potere politico del Presidente Kabbah.
Il processo elettorale sembra avere acquisito una dinamica
democratica. Sia le elezioni del 2002 che quelle del 2007 si sono
svolte senza violenze, inoltre le elezioni del 2007 sono state giudicate
dagli osservatori internazionali come libere e competitive. In queste
ultime si è distinta una Commissione Elettorale Nazionale che ha
brillato per imparzialità e giustizia, contribuendo alla creazione di un
33
International Crisis Group. 12 Luglio 2007. Sierra Leone: The Election
Opportunity ICG Africa Report N° 129. p. 8.
69
clima di fiducia verso le istituzioni e al rafforzamento della
partecipazione elettorale.
Le elezioni dell’Agosto 2007, vinte dall’All People’s Congress di
Ernest Bay Koroma, hanno visto la nascita di un nuovo partito, il
Peoples Movement for Democratic Change (PMDC) di Charles
Francis Margai. L’importanza del PMDC risiede nella capacità del
partito di attrarre gli elettori giovani ed educati delle province sud ed
est del paese e gli ex-combattenti, non politicizzati dalle élite
gerontocratiche dei partiti storici. La nascita del PMDC ha stimolato
sia il SLPP che l’APC ad organizzare politiche attrattive per i più
giovani, cercando di modernizzare le proprie strutture organizzative.
La ricostruzione delle infrastrutture e dei servizi è un imperativo
per la risoluzione di alcuni gravi problemi. La comunicazione, la
diffusione del mercato e la mobilità territoriale sono elementi che
denotano la modernizzazione della società. Finché la vita nei distretti
rurali sarà ridotta ad una dinamica premoderna, i giovani
continueranno a guardare verso la città piuttosto che pensare a progetti
di vita in ambito agricolo. La conseguenza dell’attrazione svolta dalle
città verso i giovani, se in primo luogo è la disoccupazione, in secondo
luogo è l’assenza di possibilità di sviluppo agricolo per il paese.
Lo sviluppo agricolo del paese è un punto in sospeso da quando
sono stati scoperti i diamanti all’inizio del novecento, scoperta che ha
indirettamente trascinato il paese dall’autosufficienza alimentare alla
dipendenza dalle importazioni estere. L’assenza di una volontà
nazionale di impegnarsi nello sviluppo del settore agricolo ha fatto sì
che ancora oggi il paese sia dipendente dalle importazioni di beni
alimentari che, aggiunti alle importazioni di beni secondari causano
gravi squilibri nella bilancia dei pagamenti.
I problemi aperti nel paese sono ancora tanti, oltre a quelli già
discussi, come i bassissimi livelli sanitari, la diffusione dell’HIV, la
discriminazione di genere, il contrabbando di diamanti, l’aumento
delle famiglie che vivono sotto la soglia di povertà, la crescita degli
slums urbani, la mancanza di accesso all’acqua e alle risorse.
70
A sei anni dalla fine delle ostilità non si può dire che il paese abbia
investito le capacità di cui è dotato, in termini di risorse economiche e
capitale culturale e sociale, nella ricostruzione di una società pronta
per affrontare le sfide del futuro, siano esse di tipo economico,
politico, sociale o legate alla dinamica regionale e internazionale.
71
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UNDP
http://www.undp.org
UNICEF
http://www.unicef.org
UNICEF: Sezione del sito dedicata alla protezione dei bambini
http://www.unicef.org/protection/index_armedconflict.html
UNICEF: Report di Machel
http://www.unicef.org/graca
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UNICEF: Sito dedicato alla CRC
http://www.unicef.org/knowyourrights/
WHO
http://www.who.int
WHO: Sierra Leone;
http://www.who.int/countries/sle/en/
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Appendice A: Carta geografica della Sierra Leone
Fig.1 Sierra Leone. Map No. 3902 Rev.5, Gennaio 2004, United Nations Cartographic Section.
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