Sentenza n. 21070/2015 pubbl. il 20/10/2015 RG n. 61167

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Sentenza n. 21070/2015 pubbl. il 20/10/2015 RG n. 61167
Sentenza n. 21070/2015 pubbl. il 20/10/2015
RG n. 61167/2013
Repert. n. 20225/2015 del 20/10/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Roma
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Monica Velletti ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 61167/2013 R.G. promossa da:
CGIL – CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA del LAVORO, in persona del
Segretario Generale, e CAMUSSO SUSANNA LINA GIULIA, rappresentate e difese
dall’Avv.to Vittorio Angiolini, dall’Avv. Luca Formilan e dall’Avv. Sergio Vacirca, con
elezione di domicilio in via Flaminia n. 195, Roma, presso lo studio dell’avv. Sergio Vacirca,
come da delega in calce all’atto di citazione;
ATTORI
contro:
FISMIC – SINDACATO AUTONOMO METALMECCANICI E INDUSTRIE
COLLEGATE, in persona del legale rappresentante Cinzia Monteverdi;
DI MAULO ROBERTO;
BACARANI VINCENZO;
rappresentati e difesi dagli Avv.ti Maria Irma Ciaramella e Gianluca Ciaramella, con elezione
di domicilio in via Rovereto n. 7, Roma, presso lo studio dell’avv. Valerio Antimo Di Rosa,
giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta;
CONVENUTI
Conclusioni delle parti: come da verbale udienza del 28 maggio 2015
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione regolarmente notificato, la CGIL – Confederazione Generale Italiana del
Lavoro – in persona del legale rappresentante e Susanna Lina Giulia Camusso hanno convenuto in
giudizio la FISMIC - Sindacato Autonomo Metalmeccanici e Industrie Collegate -, Vincenzo
Bacarani, nella qualità di direttore responsabile della newsletter “FISMIC in linea” e del TG
FISMIC, e Roberto Di Maulo, nella veste di direttore editoriale del TG FISMIC, per chiedere il
risarcimento dei danni subiti, quantificati nella misura di € 100.000 o nel diverso importo ritenuto di
giustizia, anche secondo equità, a causa della pubblicazione su rete Internet dell’articolo intitolato
“Squinzio e Squinzia” in data 13 luglio 2012, accompagnato da una striscia di vignette, i cui
contenuti avrebbero leso il diritto all’identità, all’onore, al decoro e all’immagine degli attori,
nonché la dignità e la reputazione personale e professionale. Gli attori hanno, inoltre, chiesto la
pubblicazione della decisione mediante inserzione per estratto in uno o più giornali e la rimozione
immediata dal sito web www.fismic.it e dalle fonti disponibili delle pubblicazioni oggetto di
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OGGETTO: azione di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa
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giudizio. A sostegno della domanda gli attori hanno esposto che: a partire dal luglio 2012, la
FISMIC e i suoi organi di informazione hanno condotto una campagna di addebito alla CGIL e a
Susanna Camusso circa un asserito atteggiamento di sudditanza nei confronti della Confindustria e
del suo Presidente, Giorgio Squinzi. In particolare, la convergenza espressa dai due esponenti
durante un dibattito pubblico in tema di situazione economica italiana, in merito all’opportunità di
evitare ogni operazione di cd. macelleria sociale, avrebbe offerto il pretesto alla FISMIC per
screditare la figura della Camusso come dirigente sindacale e per colpire, tramite la stessa, la CGIL.
La FISMIC ha pubblicato su “FISMIC in linea – newsletter quindicinale d’informazione” un
articolo intitolato “Squinzio e Squinzia” illustrato da tre vignette raffiguranti il Presidente della
Confindustria e la Camusso che, sotto le lenzuola di uno stesso letto, si scambiano battute sulla
situazione italiana. In tali illustrazioni, la Camusso chiede spiegazioni allo Squinzi e quest’ultimo
risponde in modo evasivo, meditando sui problemi della spesa pubblica e degli esodati. Inoltre, la
FISMIC ha mandato in onda, tramite i siti internet YouTube e Facebook, un servizio TG in cui la
presentatrice riferisce: “è nata una love story” tra “Squinzi e la sua Squinzia”. Gli attori sostengono
che tali documenti siano lesivi della dignità della Camusso, della quale è stata contestata
gratuitamente la capacità - in quanto donna - di dirigere un sindacato, e dell’onore della CGIL,
accusata di sudditanza nei confronti della Confindustria e quindi di inidoneità alla tutela dei propri
lavoratori.
Istruita documentalmente, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 28 maggio 2015,
con termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
*****
Preliminarmente, l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla parte convenuta deve
essere disattesa.
Secondo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, in tema di risarcimento del danno per
lesione del diritto alla reputazione conseguente al contenuto diffamatorio di una trasmissione
televisiva e, più in generale, dei danni derivanti dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da
mezzi di comunicazione di massa, il “forum commissi delicti”, ai fini dell’individuazione del
giudice territorialmente competente a decidere la causa (a norma dell’art. 20 c.p.c.), va individuato
nel luogo di verificazione dell’evento dannoso in conseguenza dell’evento diffamatorio. Tale luogo
coincide con quello in cui il soggetto offeso ha il proprio domicilio, ovverosia la sede principale
degli affari e interessi, posto che in tale sede si realizzano le ricadute negative dell’offesa alla
reputazione (Cass. n. 22525/2006). Tale criterio consente “da un lato, di evitare un criterio
“ambulatorio” della competenza, potenzialmente lesivo del principio costituzionale della
precostituzione del giudice, e, dall’altro, si presenta aderente alla concezione del danno risarcibile
inteso non come danno-evento, bensì come danno-conseguenza, permettendo, infine, di individuare
il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in simili controversie, è solitamente il
soggetto più debole.” (Cass. SS. UU. 21661/2009).
Nel caso in esame, il Tribunale di Roma è competente a conoscere della presente controversia, in
quanto la CGIL ha sede a Roma e la Camusso, in qualità di Segretario Generale del suddetto
sindacato, è domiciliata in Roma, ove si realizzerebbero le conseguenze dei fatti dedotti in giudizio.
La questione preliminare relativa alla legittimazione attiva della CGIL va risolta in senso
affermativo. A tal proposito, in astratto e salve le valutazioni di seguito espresse in merito alla
fondatezza della pretesa, anche la persona giuridica può subire offesa alla dignità; secondo la
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I convenuti, tempestivamente costituiti, hanno in via pregiudiziale eccepito l’incompetenza
territoriale del Tribunale di Roma, indicando come competente il Tribunale di Milano; in via
preliminare, hanno contestato la legittimazione attiva della CGIL. Nel merito, allegando il legittimo
esercizio del diritto di cronaca e di critica, hanno chiesto il rigetto delle domande di parte attrice,
con vittoria delle spese.
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Nel merito, deve essere rilevato come il reato di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p. si consumi
nel momento in cui un soggetto comunica con più persone, offendendo l’altrui reputazione, ed è
aggravato se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato e/o sia recata col mezzo della
stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La valutazione dell’efficacia diffamatoria di
dichiarazioni o opinioni diffuse a mezzo della stampa deve riferirsi al momento nel quale tali
dichiarazioni hanno avuto diffusione. Il diritto di cronaca giornalistica, al pari del diritto di critica,
in virtù della diretta tutela che riceve dall’art. 21 Cost. e del necessario bilanciamento con i diritti
individuali della persona riconosciuti dall’art. 2 Cost., soggiace a tutti i limiti individuati nei
principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, a partire dalla pronuncia delle Sez. U. Penali
della Cassazione del 23 ottobre 1984, più volte ribaditi anche in pronunce più recenti, secondo cui il
diritto di stampa (ossia la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti), sancito in
linea di principio dall’art. 21 Cost. e regolato nella legge 8.2.1948 n. 47, trova i suoi presupposti
legittimanti nell’utilità sociale dell’informazione, nella verità (oggettiva, o anche soltanto putativa,
purché, in tal caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) e nella forma civile
dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, ovvero in una forma non eccedente rispetto allo
scopo informativo da conseguire e tale da escludere un deliberato intento denigratorio.
Secondo la Corte di legittimità “vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca soltanto quando
vengano rispettate le seguenti condizioni: - A) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché
frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; verità che non sussiste quando, pur
essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri
fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero
quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi,
accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del
lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false (che si esprime nella formula
che "il testo va letto nel contesto", il quale può determinare un mutamento del significato apparente
della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall'uomo
medio); - B) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono
caratterizzare la cronaca ed anche la critica (e quindi tra l'altro l'assenza di termini esclusivamente
insultanti); - C) la sussistenza di un interesse pubblico all'informazione (ex multis: Cass. n.
5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366 (Cass. n.
1976/2009).
Secondo consolidata giurisprudenza gli stessi limiti operano in maniera meno rigorosa
nell’esercizio del diritto di critica. Mentre il diritto di cronaca, in quanto rivolto a trasmettere
informazioni concernenti fatti di pubblico interesse, è ancorato alla più rigorosa obiettività, il diritto
di critica implica un’attività valutativa di fatti ed eventi rispetto ai quali esprime giudizi tendenti
alla spiegazione delle cause ed alla previsione degli effetti, che presuppongono una selezione dei
fatti più una rappresentazione degli stessi, orientata da un’interpretazione originale soggettiva.
Anche l’esercizio del diritto di critica soggiace al rispetto di limiti che ne garantiscano il
collegamento con i principi costituzionali, posto che la libertà di diffondere valutazioni ed opinioni
personali, al pari dell’attività di divulgazione di conoscenze oggettive, è strumentale alla
costruzione della coscienza sociale e della pubblica opinione. La libertà del giornalista di
manifestare idee ed opinioni, garantita dall’art. 21 Cost., ricomprende la facoltà di rappresentare in
una luce negativa un personaggio di spicco nell’attualità sociale, un’istituzione, un’associazione
organizzata, quando ciò sia frutto di una ricostruzione di fatti finalizzata ad esprimere un giudizio di
valore che non si esaurisce in un attacco personale e immotivato, ma in una ragionata ponderazione
di situazioni e personaggi di pubblico interesse.
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prospettazione di parte attrice, le pubblicazioni oggetto del presente giudizio avrebbero leso la
reputazione del sindacato, accusato di inidoneità a rappresentare le esigenze dei lavoratori .
Nel caso specifico, l’utilizzo del termine “Squinzia” non appare teso a screditare l’attrice sulla base
del tenore letterale del vocabolo, ma è utilizzato per creare un’ambiguità semantica riferita al
femminile del cognome Squinzi (“Squinzia”). È necessario considerare che il ruolo pubblico della
persona oggetto della parodia può esporre a fenomeni satirici che, lungi dal voler porre in ridicolo la
persona stessa, tendono a commentare in termini ironici le situazioni della vita politico-economica
del paese, i cui esponenti ordinariamente manifestano in pubblico un atteggiamento di reciproca
cordialità e correttezza, ancorché portatori di interessi contrapposti.
Il contesto raffigurato nelle vignette non appare affatto teso a sminuire la figura della Camusso in
quanto donna né a porre in discussione il ruolo rivestito in ragione dell’appartenenza al genere
femminile; piuttosto, l’accostamento dell’attrice alla figura dello Squinzi costituisce una mera
occasione per rendere in termini farseschi una circostanza politico-economica ove è del tutto
irrilevante l’appartenenza di genere.
Come osservato, il diritto di cronaca implica la descrizione di fatti che trovino un’effettiva
corrispondenza nella realtà, mentre ciò che rileva in tale sede è il cd. diritto di critica, volto a una
manifestazione valutativa di orientamenti socio-politici, in funzione censoria dell’opinione corrente.
La rappresentazione critica - in tal caso vignettistica - ha una matrice puramente valutativa, che può
richiedere anche toni forti o accentuati, volti a contrastare la tesi opposta manifestata in un’altra
sede.
Il fatto storico dell’incontro in dibattito tra lo Squinzi e la Camusso e le valutazioni ivi espresse
fungono da mera premessa fattuale allo stesso diritto di critica, giacché, in tal caso, non sussiste
l’obbligo di mantenersi fedeli a quanto oggettivamente verificatosi. In tale contesto, il profilo
informativo è teso alla deformazione del fatto storico e alla ricerca del paradosso; l’eccesso
dell’espressione è giustificato dal fine – anche satirico - di suscitare ilarità, oltre che da un substrato
di irrealtà e di metafora. Tale impostazione allontana l’ipotesi in esame dall’attività di cronaca,
riconducendola nella satira, in quanto ciò che in tale sede rileva è una manifestazione meramente
manipolativa della realtà, per la quale sussistono i limiti posti dall’art. 596 c.p. a tutela dell’onore e
della dignità morale della persona, nei termini temperati individuati da consolidata giurispudenza.
Infatti, secondo la Corte di Cassazione, “la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso
impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire
fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un
fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o immagini
rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione
del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della
reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso
ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvono in un’aggressione
gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato, non potendo invece,
essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. nei casi di attribuzione di condotte illecite o
moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell’immagine in
modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica.” (Cass. n.
21235/2013).
Peraltro, “il diritto di satira, di rilevanza costituzionale, costituisce una manifestazione del diritto di
critica che può esprimersi mediante la rappresentazione artistica della vignetta con la quale si
realizza la riproduzione ironica di un fatto, anche mediante lo strumento dell’inverosimiglianza e
dell’iperbole, al fine di suscitare il riso e sferzare il costume. Per la sua natura di giudizio
soggettivo e opinabile la satira è sottratta al parametro della verità, ma soltanto i fatti espressi in
modo apertamente difforme dalla realtà sono privi di capacità offensiva, mentre la riproduzione
apparentemente attendibile di un fatto di cronaca deve essere valutata secondo il criterio della
continenza delle espressioni e immagini utilizzate. Non può, pertanto, essere riconosciuta la
scriminante dell’esercizio del diritto di critica per le attribuzioni di condotte illecite e riprovevoli o
moralmente disonorevoli, per gli accostamenti volgari e ripugnanti, per la deformazione
dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio, perché anche per la satira, la libertà di
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RG n. 61167/2013
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manifestazione del pensiero non può infrangere il rispetto di diritti fondamentali della persona”
(Cass. 23314/2007).
Per le ragioni esposte le domande degli attori devono essere rigettate, e gli stessi devono essere
condannati, in solido, al pagamento alle parti soccombenti delle spese processuali, liquidate come in
dispositivo tenendo conto dell’unicità della difesa per i convenuti.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
rigetta le domande proposte da parte attrice;
condanna gli attori in solido al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti
convenute, che si liquidano tenendo conto dell’unicità della difesa, in complessivi € 5.000,00 oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2015
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Il Giudice
Dr.ssa Monica Velletti