Attribuzione Causale e Successo Scolastico

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Attribuzione Causale e Successo Scolastico
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Attribuzione Causale e Successo Scolastico
“Chi o che cosa controlla la vita di ciascuno? Si può dire che ciascuno sia artefice del proprio destino o è più
veritiero sostenere che la vita di ciascuno sia in mano al fato, al caso o a persone potenti che decidono della
sorte di ognuno?”
(Maino, 2003)
Fin dai tempi antichi filosofi come Aristotele e Platone sostengono che un senso di
controllo personale è vitale nell’esistenza umana. Più recentemente psicologi di molte
scuole, tra l’altro con orientamenti teorici diversi,1hanno affermato che il concetto di sé non
può maturare senza un senso di controllo personale.
Atri studiosi2hanno sostenuto la tesi secondo cui libertà e volontà individuale sono delle
illusioni. Il comportamento di ognuno è controllato dalle risposte che l’ambiente fornisce in
relazione al comportamento stesso, ben poco spazio è lasciato al libero arbitrio.
“I ricercatori nel campo delle attribuzioni causali cercano di evidenziare il significato soggettivo che le persone
danno ad eventi ricorrenti della loro vita personale. Tali eventi riflettono soprattutto situazioni valutative e
circostanze nelle quali avviene un successo o un fallimento.
Le attribuzioni causali sono le risposte che gli individui formulano di fronte alle domande “perché”. «Perché ho
fallito questo esame?»; «Perché nessuno dei miei compagni di classe mi apprezza?»; «Perché ho preso
un’insufficienza o un giudizio appena sufficiente nel compito di matematica?». Questi esempi descrivono
situazioni di fallimento nelle quali si vuole sapere il “perché” di un risultato negativo, inaspettato o di un esito
atipico. In termini più generali, il comportamento individuale sarebbe spontaneamente guidato dal desiderio di
comprensione causale degli eventi personali.
La ricerca sulle attribuzioni causali, quindi, si occupa di studiare come le persone spiegano (in termini di causaeffetto) ciò che provoca il loro comportamento e quello degli altri.”
(Gentile, 1999)
Le attribuzioni causali sono quindi le spiegazioni, in termini di causa-effetto, che ognuno
attribuisce agli accadimenti della propria vita, nella ricerca di relazioni strutturate di senso
che ci aiutino a comprendere il perché delle cose, al fine di rendere comprensibile, e in una
certa misura prevedibile, il nostro futuro, il nostro comportamento e quello altrui.
Locus of control
Un primo concetto per spiegare il
funzionamento di questo tipo di
spiegazioni, prodotte in maniera
spontanea dal soggetto, è il locus
of control3(Rotter, 1966). Rotter ha
ipotizzato
che
gli
individui
differiscano nel modo in cui
percepiscono gli eventi della vita e
nel controllo che ne hanno. Questa
disposizione ad interpretare il
mondo è concepita come un tratto
di personalità.
Le persone contraddistinte da un
locus
of
control
esterno
percepiscono la loro vita come
Figura 4
determinata dal caso o da eventi
Effetti emotivi e comportamentali di locus of control eccessivamente
fuori dal loro controllo. Al contrario
esterno.
chi è caratterizzato da un locus of
control interno ritiene di essere in grado di controllare la propria vita e il proprio futuro.
1
Psicologi sociali come Heider, psicologi dello sviluppo come Withe, teorici dell’apprendimento come Bandura, psicoanalisti
come Adler e Fenichel.
2
Ad esempio i comportamentisti.
3
Letteralmente “Luogo del controllo”.
1
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Queste ultime tendono ad avere migliori risultati scolastici, maggior successo nella vita e
più efficacia nell’affrontare stress e difficoltà, sentendo che i loro sforzi, impegno, capacità
possono determinare quanto accade loro.
Non esiste una distinzione netta tra gli individui. E’ presente in ciascuno una tendenza per
un locus of control interno o esterno ed è raro trovare casi estremi. Non sempre le persone
con una tendenza per un locus of control esterno sottostimano le loro possibilità di
controllare gli eventi della vita e non sempre persone con una tendenza ad un locus of
control interno ritengono di poter controllare tutti gli eventi che accadono loro: molto dipende
dalle circostanze, dalle aspettative e dall’evento che l’individuo deve affrontare.
Secondo il tipo di locus of control gli individui assumono atteggiamenti e comportamenti
diversi. Il controllo interno attiva atteggiamenti di combattività, determinazione e
responsabilità personale, funzionali agli obiettivi e al benessere dell’individuo. Un controllo
esterno promuove atteggiamenti passivi e fatalisti, disfunzionali al raggiungimento delle
mete. Da un punto di vista delle relazioni interpersonali un locus of control esterno attiva la
percezione di essere prevalentemente controllati dal prossimo, favorendo un sentimento di
sfiducia negli altri.
A livello scolastico la teoria spiega nel modo seguente il “funzionamento mentale” di uno
studente con locus of control esterno: “Se la causa dei miei insuccessi è sempre esterna,
essa è indipendente da me e dunque io non ho il potere di intervenire ad orientare il
processo d’apprendimento”. Un intervento volta a migliorare la motivazione ad apprendere
dovrebbe portare il soggetto, con controllo esterno ad un controllo interno almeno su alcuni
settori della vita scolastica, aiutandolo a collocare correttamente i fattori che influenzano il
successo o l’insuccesso scolastico.
Heider e le attribuzioni causali
Una seconda prospettiva per interpretare il fenomeno è la teoria delle attribuzioni causali
(Heider, 1958). Heider ipotizza che nella ricerca del significato del comportamento d’un
individuo, esista una tendenza ad attribuire a fattori di tipo interni all’individuo stesso
(disposizionali), motivazionali o di tipo esterno le cause del comportamento stesso.
Nelle attribuzioni esiste uno squilibrio nella percezione delle cause degli eventi, attribuite a
sé o agli altri:
a- Errore fondamentale attribuzionale (Ross, 1977).
4
In uno scenario attore-osservatore, l’attore tende a concepire l’ambiente come causa del proprio agire,
mentre l’osservatore attribuisce le cause dell’azione a disposizioni: personali, caratteriali e stabili proprie
dell’attore (Jones e Nisbett, 1972). Questa stima d’attribuzioni interne dell’osservatore, nei confronti
dell’attore, sottostima le variabili ambientali a discapito delle prime anche in opposizione ad un forte senso
d’evidenza (Ross, Amabile e Steinmetz, 1977).
b- Effetti self-serving (Zuckerman, 1979).
E’ un effetto che tende a proteggere e favorire il sé. Nel caso delle attribuzioni causali, è la tendenza ad
attribuire il merito dei propri successi a se stessi (effetto d’innalzamento del sé) e negare la responsabilità per
l’insuccesso (effetto protettivo del sé) (Miller e Ross, 1975).
Questa teoria contribuisce a spiegare l’effetto dell’attribuzione di caratteristiche negative
all’insegnante da parte di studenti impreparati: l’insufficienza (l’insuccesso) è l’effetto
dell’antipatia del professore “carogna” (attribuzione disposizionale e motivazionale
interna),5piuttosto del mancato comportamento di studio (sottostima delle proprie
responsabilità per l’insuccesso).6
In questo caso l’attribuzione all’altro di una causa interna al suo comportamento con la
sottostima della situazione (errore causale d’attribuzione), è funzionale al mantenimento
dell’autostima (effetto self-serving), ma disfunzionale al raggiungimento d’adeguati risultati
4
L’attore è colui che agisce e l’osservatore è colui che assiste all’azione, senza prendervi un ruolo attivo, diretto.
5
Interna al soggetto professore, ma esterna e de-responsabilizzante al soggetto studente, che compie le attribuzioni.
6
O delle implicazioni disposizionali negative dovute alle conseguenze dell’insuccesso o di ripetuti insuccessi.
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scolastici: questa visione consente allo studente il mantenimento del comportamento attuale,
giustificando l’insuccesso e trovando un alibi per quelli futuri.
Molti studi mettono in luce come il fatto di credere di poter controllare gli eventi della
propria vita sia funzionale ad un migliore adattamento del soggetto al proprio ambiente, ma
in situazioni d’insuccesso inaspettato la capacità di attribuire le colpe a fonti esterne, e non
esclusivamente a se stessi, può essere un mezzo che permette di attenuare l'impatto con
l'esperienza negativa. Questo tipo di difesa è disfunzionale se utilizzata costantemente:
facilita atteggiamenti di passività piuttosto che promuovere soluzioni comportamentali in
grado di modificare le situazioni negative, ma a piccole dosi è funzionale al mantenimento di
un adeguato livello d’autostima.
In questo caso, la teoria dell’attribuzione causale e quella del locus of control,
contribuiscono a spiegare il fenomeno in funzione della protezione del livello d’autostima.
La norma d’internalità
Il concetto di locus of control è rivisitato da
Beuvois,
che
con
Dubois
(1988),
analizzando le ricerche sul tema, giunge alla
conclusione che la gente aspira ad apparire
capace d’auto-direzionalità. Il locus of
control
non
sarebbe
dunque
una
caratteristica di personalità ma una variabile
promossa dal contesto normativo sociale.
L’internalità è una caratteristica positiva, fa
apparire l’attore come persona autonoma e
capace di produrre e dirigere il proprio agire,
di controllare l’ambiente. Molteplici ordini di
fattori sociali, economici educativi tendono a
riprodurla. Si arriva così alla definizione di
norma
d’internalità:
valorizzazione
socialmente appresa delle spiegazioni degli
eventi psicologici (comportamenti o rinforzi)
che accentuano il ruolo dell’attore come
fattore causale.
Figura 5
Interazione tra Locus of Control, attribuzione causale e
norma d’internalità.
Numerosi studi mostrano che si è giudicati in modo migliore se ci si assume la
responsabilità dei propri comportamenti e di quello che accade, in particolare in situazioni
valutative scolastiche. Inoltre, le ricerche mostrano che i giudizi degli insegnanti sugli alunni
si fondano non solamente sui risultati scolastici ma sono influenzati dal valore normativo
dell’internalità e che quest’attribuzione di valore agli alunni con elevata internalità è
costitutiva delle pratiche di valutazione d’insegnanti e maestri.
Ricerche in ambito francofono (Dubois, 1994) mostrato che:
a- Le spiegazioni interne sono socialmente desiderabili. Le persone utilizzano spiegazioni interne
per essere "ben viste" e sono consapevoli della valorizzazione sociale di tali risposte.
b- Le spiegazioni interne sono utilizzate principalmente dai gruppi sociali avvantaggiati.
c- La norma d’internalità è oggetto d’apprendimento, in particolare all’interno del sistema
educativo-scolastico.
Il modello ANOVA di Kelley
Nel 1967 Kelley presenta il suo modello ANOVA (ANalisysis Of VAriance) sul processo
d‘attribuzione al Nebraska Symposium on Motivation. Il modello fonda l’attribuzione di
causalità sull’analisi della covarianza di fattori causali intervenienti con gli effetti osservabili di
un evento. Il processo d’attribuzione avviene in base ad una specie d’analisi mentale della
varianza, per cui chi assiste a un evento valuta i fattori che v’intervengono, li compara con gli
effetti osservati, attraverso l’analisi delle covariazioni che vi registra attribuisce specifici effetti
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Figura 6
Rapporto tra antecedenti a un’attribuzione, cause percepite e conseguenze (preso da Gentile 1999,
originale in Harvey e Weary, 1984).
a specifiche cause. Il modello ANOVA rappresenta il modo con cui un contesto informativo è
analizzato e decifrato da un osservatore, sulla base di tre dimensioni: coerenza,
discriminazione e consenso. Ogni dimensione pesa nell’attribuzione con importanza
proporzionale all’ordine presentato.
In un contesto scolastico supponiamo che un ragazzo prenda un’insufficienza in una
materia. Lo studente ha preso solo questo brutto voto o ne ha altri in altre materie? La
discriminazione è alta se il comportamento varia nelle diverse materie o bassa se lo studente
va male in più le materie. Il consenso riguarda le informazioni circa la somiglianza del
comportamento del ragazzo con quello delle persone che lo circondano, i compagni di
classe. Molti hanno preso un’insufficienza in quella materia? In caso di comportamento ad
alta frequenza sociale il consenso è alto, altrimenti è basso. La coerenza riguarda la
costanza nel tempo del comportamento: il ragazzo ha preso solo quel brutto voto a ne ha
presi altri in quella materia?
La rilevazione di queste tre variabili aiuta l’osservatore, in questo caso potrebbe essere
l’insegnante, ad attribuire a cause interne o esterne all’attore, lo studente, le cause del
comportamento osservato. In questo caso l’attribuzione di cause esterne potrebbe essere
data da: altri studenti hanno preso un voto negativo, nello stesso tipo di prova il ragazzo
prende un altro voto negativo, in un’altra prova il ragazzo prende un voto positivo.
Un’attribuzione interna potrebbe derivare da: il resto della classe ha preso voti positivi, il
ragazzo prende insufficienze in tutti i tipi di prova.
Il modello di Kelley si fonde con quello di Michela (in Harvey e Weary, 1984) in una teoria
generale che si focalizza sui seguenti gruppi di variabili (Figura 1.4):
a- condizioni antecedenti un'attribuzione;
b- contenuti di un'attribuzione o cause percepite;
c- conseguenze che seguono ad un'attribuzione.
I principi generali della teoria delle attribuzioni causali sono stati utilizzati per spiegare e
prevedere la percezione dei risultati scolastici: le percezioni causali del successo e del
fallimento nei compiti scolastici mediano il rapporto tra le condizioni antecedenti e gli aspetti
conseguenti (Gentile, 1999).
Le tre dimensioni dell’attribuzione causale
Nel tentativo di spiegare il successo/insuccesso in un evento scolastico, gli studenti danno
maggiore importanza alla percezione della loro intelligenza, alla quantità d’impegno investito,
alla difficoltà del compito e all’intervento del caso (Weiner, 1986).
Queste attribuzioni assolvono differenti funzioni (Forsyth, 1988):
abcd-
ridurre il grado di discrepanza tra l'aspettativa e le caratteristiche reali dell'evento;
intraprendere azioni pertinenti per raggiungere lo scopo non ottenuto in precedenza;
proteggere il senso di autostima e il concetto di sé;
proteggere la propria immagine di fronte ai compagni (Gentile, 1999).
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Le cause sono state classificate su tre dimensioni (Weiner, 1984):
a- Luogo di causalità. Definisce la locazione di una causa come interna o esterna all'individuo,
come appartenente o al soggetto o alla situazione.
b- Stabilità. Definisce la percezione da parte del soggetto del perdurare delle cause.
c- Controllabilità. Esprime la percezione della responsabilità personale dei comportamenti
prodotti.
Tabella 1
Controllabile
Interna
Stabile
Instabile
Esterna
Stabile
Instabile
Tenacia
«Vado male perché non sono
costante»
Incontrollabile
Intelligenza
«Non sono bravo»
Umore
«Ero esausto/triste/scazzato»
Impegno
«A scuola vado male perché non
studio»
Pregiudizio
«l’insegnante ce l’ha con me/non mi
piace la materia»
Difficoltà
«La scuola è troppo difficile per me»
Fortuna
«Ho avuto poca fortuna»
Aiuto
«Non mi hanno aiutato»
Una serie di possibili attribuzioni causali in circostanze di fallimento scolastico è mostrata in
tabella 1. Attribuire un fallimento a scarsa intelligenza sarà percepito come una caratteristica
stabile, durevole nel tempo e fuori controllo individuale. Attribuire un fallimento ad
un'assenza d’impegno è percepito come una caratteristica personale modificabile attraverso
la volontà. La fortuna è vista come un fattore appartenente all’ambiente variabile nel tempo.
Non è sotto il controllo personale. La difficoltà è una caratteristica del compito o
dell’ambiente scolastico che, non è passibile di controllo individuale. Per studenti molto
demotivati o con una scarsa valutazione delle proprie capacità, la difficoltà è percepita come
una causa stabile.
La percezione causale lungo queste 3 dimensioni può produrre effetti sia emotivi che
cognitivi (Weiner, Graham et al.1983), associati alla possibilità di costruirsi una buona
autostima, in particolare si sperimenta:
a- Orgoglio quando la percezione della riuscita in un compito scolastico è attribuita ad intelligenza
o impegno stabile.
b- Senso di colpa quando si conseguano risultati negativi considerati evitabili personalmente
(impegno insufficiente).
c- Senso d’incapacità o rassegnazione se i risultati negativi sono attribuiti a fattori interni stabili
(scarse abilità o competenze/conoscenze non migliorabili).
L’esito in campo scolastico, associato ad attribuzioni interne, attiva emozioni che richiamano
sentimenti di stima personale (competenza, fiducia, orgoglio) in caso di successo, oppure
innesca sensi di vergogna e rassegnazione, dannosi all’autostima, in caso d’insuccesso.
Questa relazione tra la locazione della causa e sentimenti di stima personale,
contribuirebbe a spiegare i sopra menzionati effetti self-serving: effetti in funzione della
protezione del livello d’autostima d’un individuo, svolgendo una funzione difensiva. C’è uno
stretto rapporto tra attribuzione causale, risultato e reazione cognitiva, emotiva e
comportamentale. In particolare c’è la possibilità che si determinino delle sequenze
cognitivo-emotive con i seguenti effetti: negli studenti che attribuiscono i loro successi ad una
causa stabile e i loro fallimenti ad una causa instabile, aumenteranno le aspettative di
successi futuri, mentre in studenti che adottano attribuzioni contrarie si otterrà l’effetto
opposto. In questo caso ogni fallimento sarà percepito come il presagio di altri, mentre un
eventuale successo apparirà un fatto occasionale
Questa catena tra variabili non è deterministica, ad ogni attribuzione non corrisponde
necessariamente una reazione e un dato risultato. Le reazioni variano in ogni individuo in
rapporto a fattori antecedenti divisi da Rogers (1987) in due grandi categorie:
a- Antecedenti individuali.
b- Antecedenti ambientali.
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La prima categoria comprende:
-
La spiegazione ottimistica/pessimistica degli eventi.
Chi centra l'attenzione su caratteristiche personali, stabili e generalizzate ha uno “stile attribuzionale
pessimistico” che può generare sentimenti stabili d’incapacità e rassegnazione. Chi riesce a gestire il
fallimento attraverso comportamenti di controllo e di soluzione funzionale ha uno “stile attribuzionale
ottimistico”.
-
La storia passata di successi/fallimenti.
Si può avere la tendenza a generalizzare la spiegazione degli eventi personali, inferendole dai vissuti
passati, sulla base delle spiegazioni assegnate a tali eventi e derivate dalle associazione causa-effetto
percepite in quei contesti. La causa assegnata ad un evento trascorso intensifica le aspettative per il ripetersi
del medesimo esito: il successo produrrà un’aspettativa di risultati positivi e sicurezza; il fallimento, rinforzerà
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la convinzione che si avranno esiti negativi futuri, creerà paura e sfiducia nelle proprie capacità.
-
Gli schemi attribuzionali (Diener e Dweck, 1978).
In base al passato gli studenti sviluppano differenti schemi attribuzionali: dei modi ricorrenti di interpretare il
successo e il fallimento scolastico. Una storia di risultati positivi facilita lo sviluppo di schemi attribuzionali di
padronanza che pota lo studente ad attribuire a cause interne i successi scolastici, a cause esterne o
controllabili i fallimenti. Ripetuti fallimenti daranno probabilmente vita a schemi attribuzionali d’incapacità che
favoriscono l’attribuzione dei fallimenti a cause interne, stabili e incontrollabili, e dei successi a cause
esterne.
La seconda comprende caratteristiche dell’ambiente d’apprendimento (la classe) che
producono informazioni valutative indirette, in grado di provocare implicazioni importanti nella
visione che lo studente ha di sé e dei risultati scolastici:
-
Forma di comunicazioni, verbali e non verbali
Sono messaggi sociale emessi sia dall'insegnante sia dai compagni di classe. Per quanto riguarda
l'insegnante i comportamenti che non intenzionalmente trasmettono giudizi indiretti sulle abilità intellettive
degli alunni sono: fare eccessivi elogi (Brophy, 1981; Barker e Graham, 1987), comunicare comprensione
(Graham, 1984a), dare aiuto quando non è richiesto (Graham e Barker, 1990) che possono favorire
ragionamenti causali orientati sulla scelta di cause stabili ed incontrollabili (Gentile, 1999); disapprovazione e
biasimo per insuccessi, ottenuti in compiti oggettivamente facili e da studenti intelligenti, promuove la scelta
di cause interne, instabili e controllabili (Graham, 1991).
Le interazioni positive con i compagni generano reazioni auto-percettive determinanti per la percezione dei
risultati scolastici.
-
Clima generale d’apprendimento.
Il clima d’apprendimento incide sulla percezione di sé riflettendo l'organizzazione della classe, schematizzata
nei 3 seguenti sistemi di interdipendenza sociale (Comoglio e Cardoso, 1996).
Il sistema d’interdipendenza negativa (Levine, 1983; Johnson e Johnson, 1985) determina un clima di classe
nel quale la probabilità di ottenere un risultato positivo è dipendente dal confronto con la prestazione di
studenti più o meno capaci, in un clima competitivo che impedisce un apprendimento autentico ed un
impegno scolastico adeguato. Questo clima induce maggiormente gli studenti a scegliere la mancanza
d’abilità come causa per spiegare il fallimento, spingendo gli studenti a ricercare situazioni in cui è più facile
ottenere giudizi positivi.
L’assenza d’interdipendenza sociale riflette un apprendimento organizzato secondo percorsi individualizzati
in cui i riconoscimenti del rendimento scolastico sono basati sui miglioramenti individuali e sul progresso
raggiunto, valutato secondo criteri stabiliti (Covington, 1984, 1992): il termine di confronto non è più la
prestazione altrui, ma la prestazione iniziale e finale. Facilita condotte d’auto-monitoraggio dell’attività
d’apprendimento, aumentando il valore dell’impegno nelle attribuzioni, promovendo comportamenti finalizzati
al possesso delle competenze.
L’interdipendenza positiva implica il lavoro in piccolo gruppo, in cui si coopera per raggiungere uno scopo
comune, condividendo riconoscimenti/disapprovazione per il risultato ottenuto (Comoglio, 1998). Il gruppo
influisce sulla scelta delle cause e sulle reazioni affettive: sia in circostanze di fallimento sia di successo, gli
alunni attribuiscono all’impegno la responsabilità dei risultati.
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Qualora le cause siano soggette a cambiamento lo studente non si aspetterà che il risultato attuale si ripeta in futuro (Weiner,
Nierenberg e Goldstein, 1976).
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