Fondazione AVSI

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Sostegno a distanza – Adozioni a distanza – Cooperazione allo sviluppo
#storiedipace. Un’umanità nuova tra le tende del campo
avsi · Thursday, September 25th, 2014
In un momento storico in cui i conflitti assumono sempre più le
sembianze di scontri tra culture e religioni raccogliamo storie di
vita quotidiana, storie di incontri e cambiamenti. Storie in grado di
ridarci la speranza di un futuro migliore e finalmente di pace.
“Apparteniamo alla stessa nazione, abbiamo gli stessi
desideri e bisogni, dobbiamo trovare una soluzione per
vivere insieme come fratelli “. Kebiro Jal Machop 20 anni
grandi occhi e una profonda cicatrice sulla fronte. Fa
capolino tra una sterminata distesa di tende bianche che
potrebbero sembrare senza vita, è arrivato questa
mattina presto per seguire il training che AVSI sta
organizzando sulla pace e la riconciliazione nel grande
campo profughi di Juba, in Sud Sudan.
Si perché Kebiro appartiene a quell’1.3 milioni di sfollati nel paese, gli IDP,
profughi interni in fuga dalla guerra, e dal conflitto tra i Dinka, il più grande
gruppo etnico sud sudanese e i Nuer.
Dopo l’indipendenza del paese nel 2011 le due tribù hanno vissuto insieme fino al
conflitto interno esploso nel dicembre 2013, da allora migliaia di persone hanno
cercato rifugio presso il contingente delle Nazioni Unite e sono stati accolti in un
campo profughi che oggi ospita più di 10.000 rifugiati.
Ad oggi la situazione politica è ancora instabile, 500 mila persone sono
fuggite all’estero, tre milioni sono a rischio fame e la metà degli sfollati sono
bambini. La vita nei campi è difficile, le malattie sono facili da trasmettere (come il
colera) e la condizione molto dure sopratutto perché spesso mancano di speranza. Gli
sfollati vivono in un contesto di totale assistenza e passano tutte le loro giornate
all’interno del campo. In questa situazione che cosa assume valore? Come è la vita
quotidiana degli sfollati? Quali opportunità possono avere le persone all’interno di un
campo?
Partendo da questa situazione AVSI sta portando avanti un progetto al fine di
fornire sostegno psicosociale agli sfollati. 25 donne e 40 giovani hanno
partecipato alla prima settimana di corsi di formazione sulla pace e riconciliazione al
fine di attenuare le tensioni, ridurre il conflitto e creare le condizioni per lo sviluppo
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del senso di appartenenza al paese. Tra questi c’è anche Kebiro che oggi dopo
una settimana di corso non è più solo uno dei tanti profughi ma ha trovato
un’umanità nuova che porterà tra le tende del campo.
L’impegno di Mohammad, sciita al fianco dei sunniti
Musulmano sciita, cresciuto in una famiglia povera e tra
mille difficoltà. Eppure con una personalità spiccata e la
determinazione ad andare avanti. Ha conosciuto AVSI da
bambino, grazie al SAD. Una volta cresciuto, ha spesso
partecipato al lavoro di AVSI come volontario per aiutare i
più vulnerabili. Sino a quest’estate, quando è stato
assunto per lavorare al fianco dei rifugiati di Marj El Kok,
in gran parte di origine sunnita.
Mohammad è un ragazzo libanese poco più che maggiorenne, frequenta l’università e
in passato è stato sostenuto da AVSI. Suo padre è un meccanico, senza un posto di
lavoro fisso, ma con lavoretti saltuari e precari. Una casa modesta e una vita non
sempre facile, comune a molti ragazzi nel Libano del sud.
Faceva parte del programma di sostegno a distanza di AVSI, da bambino, e lo
staff in Libano rimase colpito dalla sua personalità sin dal primo incontro, a casa sua,
insieme con i suoi genitori. Parlava perfettamente inglese, nonostante la giovane età,
era curioso, riempiva gli assistenti sociali di domande e si interessava al loro lavoro.
E’ nato così, quasi per caso, il rapporto che ormai da anni lega AVSI con
Mohammad, mai più perso di vista da quel giorno. Anzi, una volta cresciuto ha spesso
partecipato alle attività dello staff del SAD e quest’anno è stato assunto come
operatore per il periodo estivo. Poco prima di iniziare il suo percorso universitario, che
ha intrapreso con la promessa di tornare come volontario nel suo tempo libero.
Ha lavorato per tre mesi nel campo di Marj El Kok, per dare un supporto
concreto ai tanti profughi che vivono lì. Lui, sciita, al fianco dei più vulnerabili, ma in
gran parte sunniti. Un particolare non così scontato in un paese come il Libano, e in
un periodo storico come quello attuale, in cui l’odio interreligioso appare sempre più
forte e diffuso. La storia di Mohammad, invece, ci insegna che il muro delle differenze
religiose può essere facilmente abbattuto.
“Ho sempre rispettato molto il lavoro di AVSI – ha raccontato Mohammad al termine
del suo periodo di lavoro in AVSI – Mi affascina per come gli operatori si relazionano
con le persone e con i loro bisogni. Quel che più mi ha riempito di gioia, in questi
mesi, è stato il sorriso dei bambini ogni volta che il team di educatori arrivava al
campo per tenere le lezioni. Mi sento fortunato ad avere cose che altri non hanno e
sento che il lavoro al fianco dei rifugiati siriani mi appartiene, perché non dimentico il
mio passato di libanese, in fuga fino al 2006“.
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