Valutare gli effetti indesiderati dell`instituto della mobilità sul
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Valutare gli effetti indesiderati dell`instituto della mobilità sul
Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS Working paper n. 87 February 2007 Valutare gli effetti indesiderati dell’instituto della mobilità sul comportamento delle imprese e dei lavoratori Luca Mo Costabella and Alberto Martini UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria Valutare gli effetti indesiderati dell’istituto della mobilità sul comportamento delle imprese e dei lavoratori 1 Luca Mo Costabella Progetto Valutazione – Torino [email protected] Alberto Martini Dipartimento POLIS Università del Piemonte Orientale [email protected] Febbraio 2007 Abstract La mobilità è un ammortizzatore sociale che ha il duplice scopo di sostenere il reddito dei lavoratori licenziati e di favorirne la rioccupazione. Sul primo versante è prevista un’indennità di mobilità per alcune tipologie di lavoratori, mentre sul secondo si garantiscono sgravi fiscali alle imprese che li riassumono. I meccanismi della mobilità possono tuttavia incentivare entrambi i soggetti a cambiare il loro comportamento in chiave opportunistica. In questo studio si stima l’effetto prodotto dalle varie componenti della mobilità su tali comportamenti, utilizzando dati relativi provincia di Torino nel periodo 1997-2003. Sul lato delle imprese, l’analisi rivela che una percentuale non irrilevante di aziende, allo scopo di godere degli sgravi contributivi, licenzia e riassumere a breve distanza i propri lavoratori, cambiando ragione sociale o partita IVA. Sul versante dei lavoratori, sfruttando la presenza di lavoratori indennizzati e non indennizzati, l’analisi evidenzia un plausibile effetto negativo del godimento dell’indennità sulla probabilità di rioccupazione. Tale effetto disincentivante si intensifica al crescere dell’età, essendo trascurabile per i ventenni e fortissimo per gli ultracinquantenni. Questa interazione tra età ed effetto disincentivante in termini di reimpiego è favorita dal disegno della politica, che prevede un progressivo prolungamento del periodo di percezione dell’indennità per i lavoratori meno giovani, fino ad un sostanziale traghettamento verso la pensione per gli over 50. 1 La fonte di ispirazione di questo studio è (Anastasia et al. (2004)). Gli autori ringraziano Enrico Rettore, Ugo Trivellato e Adriano Paggiaro dell’Università di Padova per molte utili discussioni sul tema delle liste di mobilità e della valutazione dei loro effetti. Questa analisi non sarebbe stata possibile senza il loro lavoro. Premessa Dai primi anni ’90 opera in Italia un tipo di ammortizzatore sociale destinato ad operare nel caso di licenziamenti collettivi, definito comunemente “lista di mobilità”. Questo sistema consta di una componente di politica attiva del lavoro e una di politica passiva. La componente passiva (prevista per alcune categorie di iscritti alle liste) è costituita da un’indennità erogata dall’INPS a favore dei lavoratori licenziati, per una durata variabile a seconda dell’età del lavoratore e della regione di residenza. La componente attiva è costituita da due tipi di incentivi dati alle imprese che assumono lavoratori in mobilità: una sensibile riduzione degli oneri sociali per il lavoratore assunto dalla lista di mobilità e un bonus per l’azienda pari alla metà dell’indennità non ancora percepita dal lavoratore. L’obiettivo di questa politica pubblica è infatti duplice. L’obiettivo primario è sostenere il reddito dei lavoratori licenziati, per un periodo massimo di tempo che aumenta con la (presunta) difficoltà nel riottenere un’occupazione stabile. Il secondo obiettivo è aumentare la probabilità che il lavoratore in mobilità venga riassunto da una nuova impresa, riducendo quindi la durata della disoccupazione. Il “combinato disposto” di questi due obiettivi è quello di sostenere il reddito del lavoratore per un periodo di tempo più breve possibile. Come qualsiasi sistema di benefici e di incentivi, quello della mobilità deve fare i conti con possibili comportamenti opportunistici da parte dei soggetti coinvolti, comportamenti che possono ridurre o frustrare la possibilità di conseguire gli obiettivi che la politica stessa si pone. Nel caso della mobilità, tali comportamenti indesiderati possono verificarsi su entrambi i fronti, quello delle imprese e quello dei lavoratori. Sul lato delle imprese, il sistema di incentivi per chi riassume lavoratori in mobilità può indurre un’impresa a licenziare i propri lavoratori per poi riassumerli con un costo del lavoro sostanzialmente ridotto per un notevole periodo di tempo. Avvertito di questo possibile uso distorto dell’istituto della mobilità, il legislatore è subito intervenuto introducendo un limite minimo di sei mesi di tempo per la riassunzione dei lavoratori licenziati da parte della stessa impresa, pena la non fruizione dei benefici previsti. Questo vincolo tuttavia non elimina la possibilità da parte dell’impresa di cambiare natura in modo fittizio, di modo che l’impresa licenziante e l’impresa che assume appaiano come entità giuridicamente diverse, operando però nella sostanza una frode. Sul lato dei lavoratori non si pone un problema di frode, quanto uno classico di disincentivo al lavoro: nel gergo dell’economia del lavoro, la percezione dell’indennità aumenta il salario di riserva del lavoratore e questo lo induce a rifiutare offerte di lavoro che diversamente avrebbe accettato. Quale che sia la razionalizzazione teorica che se ne vuole dare, è evidente il rischio che la presenza dell’indennità ostacoli o ritardi la ri-occupazione. Considerazioni simili possono essere avanzate anche riguardo all’opportunità per un lavoratore, soprattutto se percettore di indennità, di mantenere per un periodo più o meno lungo l’iscrizione nelle liste di mobilità. Il prolungamento del limite massimo di permanenza in lista (che è stato previsto per compensare gli svantaggi dei lavoratori più anziani nel cercare un nuovo lavoro), e dunque il prolungamento del periodo di fruizione dei benefici connessi, potrebbe indurre nel lavoratore una riduzione dell’intensità di ricerca del lavoro, con il conseguente calo della probabilità di occupazione. Se questo avvenga, e soprattutto quanto siano quantitativamente importanti questi effetti indesiderati, è ovviamente una questione empirica. 1. L’istituto della mobilità in estrema sintesi La regolamentazione delle liste di mobilità passa principalmente per la legge 223/91 e la legge 236/93: la prima introduce la nuova politica di incentivi alla rioccupazione e di indennità, la seconda ne chiarisce i limiti applicativi e ne estende alcuni vantaggi. 2 L’iscrizione di un lavoratore alle liste di mobilità comporta una serie di benefici, la possibilità di percepire i quali è vincolata al verificarsi di alcune condizioni. Queste dipendono dalle caratteristiche dell’individuo licenziato e dell’impresa licenziante. Quasi tutti i lavoratori licenziati hanno diritto, con regimi differenti, a godere dei benefici basilari concessi dall’iscrizione nelle liste. Questi sono i vantaggi più importanti sul versante “attivo “della politica: un’impresa che decida di assumere a tempo determinato un lavoratore in mobilità può godere, per un periodo non superiore a 12 mesi, di una forte riduzione degli oneri sociali, parificati a quelli degli apprendisti. La durata dello sgravio contributivo è estesa a 18 mesi nel caso di assunzione a tempo indeterminato, e può raggiungere i 24 mesi se si procede prima a un’assunzione a termine e poi alla successiva conversione del contratto a tempo indeterminato. Un primo fattore di differenziazione del trattamento è costituito dalla durata massima di permanenza in lista. Tale durata dipende dall’età del lavoratore al momento dell’iscrizione, ed è fissata in 12 mesi per i lavoratori con meno di 40 anni, in 24 mesi per i lavoratori tra i 40 e i 49 anni, e in 36 mesi per quelli con almeno 50 anni. Inoltre, la legge prevede per i lavoratori nelle regioni dell’Italia meridionale un aumento di 12 mesi per tutte e tre le classi. I limiti massimi di permanenza in lista sono intesi al netto di eventuali episodi di occupazione temporanea: il tempo trascorso in lista viene congelato, per un periodo complessivo non superiore alla durata massima prevista2, ogniqualvolta un lavoratore svolga un lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi. La cancellazione di un lavoratore dalle liste avviene solitamente per esaurimento del tempo massimo di iscrizione in lista o per avviamento a tempo indeterminato; esiste inoltre una serie di altri potenziali motivi di carattere sanzionatorio (per esempio, si dovrebbe cancellare un lavoratore che non accetti un’offerta di lavoro o di formazione considerata “non rifiutabile”) o comunque legati a particolari comportamenti e scelte del lavoratore (un iscritto con diritto all’indennità può chiedere di riceverla in un’unica soluzione ed uscire dalle liste, nel caso decida di iniziare un’attività in proprio). La forte differenziazione del trattamento per varie categorie di iscritti riguarda, oltre che la durata di permanenza in lista, il diritto all’indennità di mobilità. Hanno diritto all’indennità solo i lavoratori che hanno perso l’occupazione in seguito a un licenziamento collettivo da imprese rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), una delle cui principali caratteristiche deve essere quella di contare più di 15 dipendenti. La percezione dell’indennità è inoltre vincolata al rispetto di alcuni requisiti individuali, tra cui un’anzianità di servizio presso l’impresa licenziante di almeno 12 mesi. L’indennità è corrisposta per una durata pari a quella di permanenza in lista e ammonta per il primo anno al 100% del trattamento di integrazione salariale a cui si avrebbe diritto in caso di CIGS, e all’80% dello stesso negli anni successivi. Il diritto all’indennità può inoltre innescare, per i lavoratori over 50, il meccanismo della cosiddetta mobilità lunga. Nel caso in cui un iscritto beneficiario di indennità rispetti una serie di condizioni, riguardanti prevalentemente l’età e l’anzianità contributiva, può infatti sfruttare il periodo di permanenza in lista come traghetto verso il pensionamento. Di fatto, un tale lavoratore può, nel momento dell’iscrizione nelle liste di mobilità, uscire definitivamente dalle forze di lavoro. Per quanto l’erogazione di un’indennità di mobilità costituisca un provvedimento volto prevalentemente a sostenere il reddito dei lavoratori licenziati, anch’essa prevede un risvolto di politica attiva: come ulteriore incentivo all’assunzione, è stabilito che un’impresa che assuma a tempo indeterminato un lavoratore dalle liste abbia diritto a percepire il 50% dell’indennità non ancora corrisposta. Tuttavia, il maggiore incentivo all’assunzione per le imprese resta, per la sua entità, lo sgravio fiscale. Inoltre, è forte il dubbio (che motiva le ricerche sull’efficacia della unemployment insurance in termini di rioccupazione) che l’aspetto prevalente dell’indennità sia quello passivo, e che dunque esso costituisca soprattutto un disincentivo per il beneficiario ad accettare un lavoro. È questo uno dei potenziali effetti indesiderati che sono analizzati nel seguito. 2 Per cui la durata lorda può arrivare ad essere il doppio della durata massima netta prevista dalla legge. 3 2. Come valutare la presenza e l’entità degli effetti indesiderati? 2.1 Sul comportamento delle imprese La strategia per verificare la presenza di effetti indesiderati sul comportamento delle imprese è relativamente semplice: si può infatti plausibilmente presumere che, in assenza dell’istituto della mobilità (in particolare in assenza della sua componente attiva), nessuna impresa avrebbe l’interesse a licenziare i propri lavoratori per poi riassumerli alle stesse condizioni. Quindi l’osservazione di comportamenti che in assenza della politica sarebbero da ritenersi assurdi, e che viceversa appaiono razionali in sua presenza, costituisce un indizio plausibile di un effetto indesiderato di questa stessa politica. Come illustrato in dettaglio nella sezione 4, in provincia di Torino troviamo evidenza del seguente comportamento da parte di un numero non trascurabile di imprese: il licenziamento di un blocco di lavoratori e la loro riassunzione in blocco, a distanza di tempo molto ravvicinata dal licenziamento, da parte di un’impresa non necessariamente riconducibile a quella licenziante. È questo un comportamento che osserveremmo plausibilmente in assenza degli incentivi creati dal regime della mobilità? Una possibile lettura alternativa del fenomeno dei “licenziamenti opportunistici” è quella data da Caruso e Pisauro (2005): i due autori parlano di “recall” dei lavoratori licenziati da parte della stessa azienda, che farebbe solamente un uso improprio della mobilità, utilizzandola per sostenere licenziamenti temporanei. Quindi non di frode si tratterebbe, bensì di un uso contrario allo spirito della legge, che si rivolge a lavoratori licenziati in modo permanente da un’azienda e bisognosi di un sostegno, attivo e passivo, per trovare un nuovo lavoro, e non solo in attesa di riottenere quello vecchio. Tale interpretazione “benevola” trova una ragione anche nel diritto di precedenza che spetterebbe, teoricamente, a quei lavoratori licenziati da imprese che procedessero ad assunzioni entro un anno dal licenziamento collettivo. Questa farebbe tuttavia pensare ad un fenomeno con le seguenti caratteristiche: licenziamento di un blocco di lavoratori, loro riassunzione dopo un periodo non banale di tempo e da parte della stessa azienda. Come illustrato nella sezione 4, di questo tipo di fenomeno vi è evidenza molto limitata in provincia di Torino, mentre ciò che si osserva che fa pensare a comportamenti opportunistici e nella sostanza fraudolenti da parte di alcune imprese. 2.2 Sul comportamento dei lavoratori Se valutare l’effetto della mobilità sulla presenza di licenziamenti opportunistici è relativamente facile, seppure con le cautele appena discusse, molto più difficile è verificare la presenza di un effetto indesiderato della mobilità sulla probabilità di occupazione. In questo caso non possiamo presumere nulla di plausibile su quale sarebbe la probabilità in assenza di regime di mobilità. Possiamo solamente tentare di ricostruire la situazione controfattuale utilizzando differenze di trattamento interne alla politica stessa. Diverse dal caso precedente sono anche le implicazioni di policy dell’eventuale presenza di un effetto negativo sugli esiti occupazionali: mentre nel caso della presunta frode da parte delle imprese l’effetto indesiderato è univocamente condannabile, nel caso di un effetto sulla durata della disoccupazione non è a priori chiaro quali siano le implicazioni in termini di welfare: il lavoratore può per esempio stare disoccupato più a lungo per cercare un lavoro migliore, più vicino a casa, più adeguato alle sue aspirazioni. Né ovviamente la situazione di assenza di politica è da ritenersi superiore a quella della sua presenza, solo perché non vi si verifica alcuna distorsione: in assenza di sostegno al reddito i lavoratori potrebbero ad esempio restare disoccupati meno a lungo, ma con conseguenze facilmente immaginabili in termini di benessere. La formulazione di una domanda di valutazione che sia policy relevant deve quindi tenere conto di questa complessità interpretativa: più che sull’effetto della mobilità in quanto tale sulla probabilità di occupazione, ha senso verificare se specifiche caratteristiche della politica hanno un effetto distorsivo. Le indicazioni di policy che ne possono emergere non saranno quindi del tipo “la 4 mobilità andrebbe abolita in quanto diminuisce la probabilità di essere occupato dopo N mesi”, bensì del tipo “questa particolare caratteristica della politica non è giustificata in quanto riduce la probabilità di essere occupato dopo N mesi”. La caratteristica più rilevante da questo punto di vista è il prolungamento del periodo di godimento dei benefici a seconda dell’età. Questo prolungamento è giustificato come compensazione della maggiore difficoltà a trovare lavoro da parte dei licenziati più anziani. Il prolungamento è notevole: si passa da un anno a durate doppie o triple per i lavoratori più anziani. L’analisi svolta nella sezione 5 intende rispondere alla domanda seguente: “il prolungamento dei benefici a seconda dell’età si limita a compensare per uno svantaggio evidente o crea delle distorsioni in termini di minore probabilità di occupazione?”. 3. I dati utilizzati Le analisi qui riportate poggiano unicamente sui dati Netlabor3 provenienti dagli archivi amministrativi dei Centri per l’Impiego della provincia di Torino. Si tratta di archivi all’interno dei quali è possibile reperire informazioni su: gli iscritti alle liste di collocamento; i lavoratori coinvolti in episodi lavorativi di cui sia stata fatta comunicazione a un Centro per l’Impiego; le imprese, operanti nell’area circoscrizionale di competenza di un Centro per l’Impiego, che siano entrate in contatto con il Centro (per comunicare, ad esempio, avviamenti, trasformazioni, cessazioni di rapporti di lavoro); i rapporti di lavoro, con le relative caratteristiche, che coinvolgano le imprese del territorio di competenza o un lavoratore iscritto al Centro. Negli archivi dei Centri per l’Impiego vengono sistematicamente registrate, oltre a quelle citate, anche informazioni relative ad altri aspetti, quali ad esempio i servizi offerti agli iscritti e i principali dati dei lavoratori in mobilità e della loro iscrizione. Utilizzando congiuntamente tali dati è possibile dunque estrarre la lista dei lavoratori entrati in mobilità in un certo periodo, il regime di mobilità a cui questi sono soggetti, le principali caratteristiche demografiche e, entro certi limiti temporali, la storia lavorativa. Per questo studio sono stati utilizzati gli archivi amministrativi dei 13 Centri per l’Impiego della Provincia di Torino. Da questi sono state estratte le citate informazioni relative agli iscritti nelle liste di mobilità tra gennaio 1997 e dicembre 2000 afferenti a uno dei 13 Centri per l’Impiego provinciali. Tenuto conto delle informazioni disponibili (dagli archivi è stato possibile estrarre informazioni affidabili dal 1995 al 2003), la scelta dell’orizzonte temporale di osservazione è stata tale da poter disporre, per ogni iscritto, di due anni di storia lavorativa precedente all’iscrizione e di tre anni di storia lavorativa successiva. In definitiva, per ogni iscritto si dispone di un record di informazioni contenente: - sesso; - cittadinanza; - Centro per l’Impiego di iscrizione; - anno di iscrizione nelle liste; - nazionalità; - titolo di studio; - qualifica nell’ultimo lavoro precedente all’entrata in lista; - settore di attività nell’ultimo lavoro precedente all’entrata in lista; 3 Si tratta di un software, sviluppato agli inizi degli anni ’90 dal gruppo informatico veneto del Ministero del Lavoro, allo scopo di informatizzare le procedure amministrative degli uffici di collocamento, e successivamente adottato da molte regioni italiane. Per una più approfondita descrizione, si veda Bassi, Gambuzza e Rasera (2001). 5 - storia lavorativa precedente all’entrata in lista (serie storica a cadenza mensile delle condizioni occupazionali nei due anni precedenti); storia lavorativa successiva all’entrata in lista (serie storica a cadenza mensile delle condizioni occupazionali nei tre anni successivi); In seguito a una verifica della qualità dei dati si è deciso di escludere le informazioni riguardanti i lavoratori in mobilità di competenza del Centro per l’Impiego del Comune di Torino4, tenuto conto di una serie di difficoltà connesse alla ricostruzione della loro storia lavorativa precedente e successiva all’iscrizione nelle liste. In definitiva, l’analisi ha come popolazione di riferimento quella degli iscritti nelle liste di mobilità residenti nella parte extracomunale della provincia di Torino, in cui operano i restanti 12 Centri per l’Impiego. Gli entrati in mobilità nel periodo e nel territorio presi in considerazione sono 13.147, con una distribuzione delle iscrizioni lievemente crescente nel tempo (si va da 2.589 nel 1997 a 3.490 nel 2000), prevalentemente legata alla crescita delle iscrizioni con indennità. La Tabella 3.1, in cui sono presentate le caratteristiche di maggiore interesse degli iscritti, evidenzia una stretta interdipendenza tra il sesso, l’età e la percezione dell’indennità. Le iscrizioni sono equamente distribuite tra uomini e donne, ma la quota di uomini con indennità è decisamente superiore a quella femminile. Parallelamente, l’età media degli iscritti maschi è decisamente superiore rispetto a quella delle donne. In particolare, è decisamente maggiore la quota di lavoratori over 50, che costituiscono il maggiore bacino di beneficiari dell’indennità. Tabella 3.1. Iscritti nelle liste di mobilità nella provincia di Torino tra il 1997 e il 2000 per sesso, classe d’età e diritto all’indennità Uomini 39 anni o meno 40-49 anni 50 anni o più Totale Donne con indennità 1012 806 2367 senza indennità 1392 554 411 con indennità 1230 924 1167 senza indennità 2398 639 247 Totale 4185 2357 3321 3284 13147 6032 2923 4192 Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino 4. L’evidenza sugli effetti indesiderati sul comportamento delle imprese Se da un lato è piuttosto facile definire una strategia per la misura degli effetti delle liste di mobilità in termini di modifica dei comportamenti delle imprese, dall’altro non è altrettanto semplice individuare questi comportamenti. Un buon metodo dovrebbe consentire di individuare tutte le situazioni, siano esse da considerare recall o comportamenti fraudolenti, in cui un datore di lavoro abbia licenziato un dipendente per poi riassumerlo con i benefici previsti dall’istituto della mobilità. Un primo e semplice metodo consiste nel confronto, per ogni lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, della partita IVA dell’impresa che lo ha licenziato con quella dell’impresa che lo ha successivamente assunto. Questo modo di procedere fornisce però risultati poco utili, dal momento che la legislazione dovrebbe limitare le riassunzioni a breve termine (entro sei mesi) dei lavoratori precedentemente licenziati e inseriti nelle liste, a meno di una improbabile rinuncia ai benefici 4 La competenza di un Centro per l’Impiego riguardo a un lavoratore è assimilabile alla residenza di quest’ultimo in un comune della circoscrizione in cui il Centro opera. 6 derivanti dall’assunzione. Per questo motivo, è frequente che tali riassunzioni avvengano in seguito a una formale chiusura dell’impresa e a una successiva riapertura con una ragione sociale e una partita IVA differenti. Un controllo basato semplicemente sull’abbinamento delle partite IVA non permetterebbe perciò di individuare questo genere di comportamenti, e condurrebbe a una sottostima della dimensione del fenomeno. Sfruttando le altre informazioni sulle imprese disponibili negli archivi dei Centri per l’impiego sarebbe teoricamente possibile operare una ricerca più fine, andando ad abbinare quelle imprese licenzianti e quelle imprese assumenti che presentano ragioni sociali molto simili oppure un simile indirizzo. Sono infatti frequenti i casi in cui il cambio anagrafico dell’impresa comporti sì una variazione della ragione sociale, ma che questa sia tanto simile alla precedente da poter concludere ragionevolmente che le due imprese sono in realtà una sola. A maggior ragione, ci si aspetta una coincidenza degli indirizzi, dal momento che il cambio anagrafico difficilmente avrà comportato anche uno spostamento della sede produttiva. Un criterio basato sull’abbinamento di ragioni sociali o indirizzi identici non sarebbe particolarmente utile, per via delle possibili (per quanto lievi) modifiche apportate in seguito al formale cambio anagrafico e, non ultimo, a causa della semplice variabilità con cui i centri per l’impiego hanno registrato in diverse occasioni tali informazioni. Per esempio, lo stesso indirizzo può essere stato registrato una volta come “Via Mazzini 5” e in un altro caso come “Viale Mazzini, n° 5”; un’impresa può comparire simultaneamente come “Industria Rossi SPA” e come “Industria Rossi S.P.A.” (per una più approfondita trattazione di questi aspetti, si rimanda a Anastasia et al. (2004)). Un controllo manuale di ogni singolo caso renderebbe abbastanza agevole l’individuazione dei comportamenti opportunistici, ma non altrettanto agevole è invece la predisposizione di un algoritmo di string comparison, necessario per questo studio, che individui automaticamente i casi in questione. Nella tabella 4.1 è riportato il numero di casi individuati ricorrendo al solo abbinamento esatto della partita IVA. Su oltre 8000 assunzioni registrate entro 3 anni dall’entrata in lista, solo 226 rispondono a questo criterio. Di queste, quasi l’80% ha avuto luogo entro un anno dal licenziamento del lavoratore (termine dopo il quale, in caso di disoccupazione continuativa, i lavoratori più giovani iniziano a uscire dalle liste di mobilità). Il numero dei presunti comportamenti opportunistici scende a 172 se si considerano le sole assunzioni a tempo indeterminato. Di queste, poco più del 50% si è verificata entro un anno. Dei riassunti con ritardo superiore a un anno, la maggior parte ha comunque lavorato in precedenza con altri contratti (solo la metà, tuttavia, presso lo stesso datore di lavoro). Volendo dare una lettura delle grandezze individuate in termini di recall, intesi come vere e proprie riassunzioni non opportunistiche, è necessario imporre la condizione che tale riassunzioni abbiano avuto luogo ad una certa distanza dall’entrata in lista: nel periodo immediatamente successivo al licenziamento non è plausibile che avvenga un mutamento nelle condizione dell’impresa tale da condurre ad una riassunzione del lavoratori appena licenziati. Volendo fissare tale limite minimo a sei mesi, facendolo coincidere con il termine prima del quale non sarebbe consentito riassumere se non perdendo i benefici della mobilità, il numero di casi di recall in provincia di Torino è molto contenuto: meno di un centinaio se si considerano le assunzioni a tempo indeterminato, una settantina nel caso di tutte le assunzioni5. Un fenomeno d’interesse è rappresentato dalla frequenza con cui ogni singola impresa ricorre a questo meccanismo di licenziamento e riassunzione vantaggiosa (va comunque considerato che questa può dipendere tanto dalla reale intensità di utilizzo quanto, più semplicemente, dalla dimensione dell’impresa, non osservabile con i dati a nostra disposizione). Dei 226 casi di assunzione con un qualsiasi contratto, la metà è relativa a imprese che, nell’arco di tempo considerato, hanno effettuato una sola riassunzione; il 30% degli avviamenti ha luogo in imprese 5 Il fatto che il numero sia minore quando si osservano tutti i contratti non è un errore. Considerando per ogni lavoratore il primo lavoro ottenuto, è frequente che questi abbia svolto un lavoro a termine molto prima di essere occupato a tempo indeterminato, e che dunque sia minore il numero di persone che hanno trovato il primo lavoro dopo un certo limite di tempo (6 mesi nel nostro caso). 7 che hanno invece impiegato un numero tra i 2 e i 7 lavoratori precedentemente licenziati. I lavoratori restanti fanno parte di due grandi riassunzioni in blocco6: una di 11 e una di 25 lavoratori. Si tratta in entrambe le situazioni di iscritti con indennità (dato l’alto numero di dipendenti dell’impresa licenziante), nel primo caso riassunti quasi tutti dopo meno di una settimana dal licenziamento, nel secondo caso dopo pochi mesi. Tabella 4.1. Lavoratori licenziati e riassunti dalla stessa impresa (stessa partita IVA) tutte le assunzioni assunti entro 1 mese assunti entro 3 mesi assunti entro 6 mesi assunti entro 1 anno assunti entro 18 mesi assunti entro 2 anni assunti entro 3 anni assunzioni a tempo indeterminato numero di casi % sul totale delle assunzioni numero di casi % sul totale delle assunzioni 70 119 152 178 197 205 226 2.8% 2.7% 2.7% 2.6% 2.7% 2.7% 2.7% 37 69 75 95 126 138 172 6.4% 6.3% 6.1% 4.7% 3.1% 2.9% 2.6% Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino L’incidenza delle riassunzioni individuate sul totale delle assunzioni dalle liste presenta comportamenti diversi, a seconda che si considerino anche i contratti a termine oppure i soli contratti a tempo indeterminato. Nel primo gruppo tale incidenza è costante, mentre nel secondo decresce all’aumentare del tempo atteso prima di essere riassunti; tuttavia, la scarsa numerosità dei gruppi in esame non permette di investigare nel dettaglio questo aspetto.7 Complessivamente, il numero di presunti recall e comportamenti opportunistici individuati con questo metodo non supera il 3% delle assunzioni totali dalle liste di mobilità. Va però ribadito che questo è senza dubbio una sottostima del numero reale, per via del criterio fortemente restrittivo che è stato impiegato e, in un’ottica di quantificazione del fenomeno dei comportamenti opportunistici, è utile al massimo a definirne un limite inferiore. Come già notato, sono frequenti i casi in cui per aggirare i vincoli della legislazione (nel qual caso, evidentemente, non si è in presenza di un recall, ma di un vero e proprio comportamento fraudolento), un’impresa provveda a una variazione anagrafica prima di riassumere i lavoratori licenziati, rendendo estremamente difficile riconoscere la coincidenza tra impresa licenziante e assumente. Un metodo di abbinamento alternativo aggira il problema del confronto tra stringhe (siano queste partite IVA, ragioni sociali o indirizzi) e le difficoltà ad esso connesse (Brunello e Miniaci (1997)). L’idea è di ricercare quei “blocchi di assunzioni” effettuate da una medesima impresa (non necessariamente nella stessa data), i cui lavoratori coinvolti provengano in una certa quota dai licenziamenti effettuati da un’altra impresa. Operativamente, un blocco di lavoratori licenziati da un’impresa A e riassunti da un’impresa B è considerato un potenziale caso di comportamento fraudolento se costituisce almeno il 50% dei licenziamenti dell’impresa A e almeno il 50% delle assunzioni dalle liste di mobilità effettuate dall’impresa B in un dato periodo. Un ulteriore vincolo è che tale blocco sia costituito da almeno 2 assunzioni.8 6 La distribuzione delle sole assunzioni a tempo indeterminato è molto simile: di 172 avviamenti totali, 97 sono casi singoli, 51 sono avvenuti in imprese che sono ricorse non più di 10 volte alla riassunzione dalle liste, e i restanti 24 (un sottoinsieme dei 25 individuati in precedenza) fanno capo a un’unica azienda. 7 Si potrebbe supporre che tali differenze dipendano dai differenti vantaggi derivanti dai due tipi di assunzione: solo nel caso di assunzione a tempo indeterminato si ha infatti diritto a percepire l’indennità non corrisposta al lavoratore, il cui ammontare è tra l’altro correlato al tempo già trascorso in stato di disoccupazione. 8 In assenza di questo vincolo, ogni singolo episodio riguardante da un’impresa che abbia effettuato un solo licenziamento a un’impresa che ha effettuato una sola assunzione sarebbe irragionevolmente classificato come comportamento opportunistico. 8 Il “metodo dei blocchi” fornisce (Tabella 4.2) un numero di casi sospetti quadruplicato rispetto al metodo di abbinamento delle partite IVA. Le assunzioni in blocco con qualsiasi contratto che si verificano entro un mese dall’entrata in lista sono 580 (contro le 70 riassunzioni individuate in precedenza), e il loro numero cresce velocemente (soprattutto nei primi mesi) fino all’orizzonte di un anno dall’entrata in mobilità; dopo tale termine, il fenomeno si assesta (da questo momento i lavoratori più giovani iniziano a uscire dalle liste), e a tre anni dall’entrata in mobilità gli assunti in blocchi sospetti sono 947. Tabella 4.2. Sospette assunzioni opportunistiche individuate con il “metodo dei blocchi” tutte le assunzioni assunti entro 1 mese assunti entro 3 mesi assunti entro 6 mesi assunti entro 1 anno assunti entro 18 mesi assunti entro 2 anni assunti entro 3 anni assunzioni a tempo indeterminato numero di casi % sul totale delle assunzioni numero di casi % sul totale delle assunzioni 580 833 908 942 947 947 947 22.9% 19.0% 16.1% 13.8% 13.4% 13.1% 13.0% 145 171 191 275 576 595 606 25.0% 18.4% 15.4% 13.7% 14.4% 12.7% 11.3% Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino Per quanto riguarda le assunzioni a tempo indeterminato, se ne contano 145 entro un mese dall’inizio della mobilità. Anche in questo caso è visibile una decisa crescita nel tempo, ma più lenta nei primi mesi, con un forte salto a cavallo fra i 12 e i 18 mesi dall’entrata in lista. Queste evidenze sembrano riflettere la tendenza delle imprese a effettuare le riassunzioni con i modi e i tempi più convenienti: si ottiene il massimo beneficio in termini di sgravi fiscali se si assume un lavoratore a tempo determinato per un anno, e successivamente se ne converte il contratto a tempo indeterminato. Dal momento che le riassunzioni dalle liste di mobilità avvengono presumibilmente entro i primi mesi dal licenziamento9, ci si aspetta che buona parte delle assunzioni a tempo indeterminato avvenga poco più di 12 mesi dall’entrata in lista10. Una conferma della frequenza con cui le imprese ricorrono a questa prassi viene direttamente dai dati: dei 595 lavoratori assunti “nei blocchi” a tempo indeterminato entro 2 anni dall’entrata in lista, ben 372 sono stati assunti dalla stessa azienda che li ha successivamente confermati. Il maggiore numero di casi sospetti individuati con il “metodo dei blocchi“ si riflette nella maggiore incidenza dei casi sul totale delle assunzioni. Nel caso delle assunzioni a tempo indeterminato, la percentuale è addirittura del 25% fra gli assunti nel primo mese dall’entrata in lista, mentre è del 23% per tutti gli assunti. A differenza però del metodo utilizzato in precedenza, tale percentuale scende nel tempo, stabilizzandosi intorno all’11-13% rispetto al totale degli assunti entro 3 anni. Se tutti gli (o buona parte degli) avviamenti sospetti fossero veramente casi di comportamento opportunistico, questo rifletterebbe la (ovvia) tendenza dei datori di lavoro a riassumere i lavoratori licenziati nei primi mesi dopo il licenziamento. 9 Non appare esistere un motivo sensato, per il datore di lavoro che decida di utilizzare opportunisticamente il meccanismo della mobilità, per aspettare un periodo prolungato prima di reinserire nell’organico i lavoratori licenziati. 10 Le strategie migliori per le assunzioni a tempo indeterminato (precedute o meno da un’assunzione a termine) sarebbero leggermente diverse in caso di lavoratori che percepiscono l’indennità: rimangono immutati i criteri di definizione della durata dello sgravio fiscale, ma l’ammontare della quota di indennità percepita dall’azienda è tanto più alta quanto minore è il numero di mesi trascorsi in lista prima dell’assunzione definitiva. In tal caso, i datori di lavoro sarebbero maggiormente incentivati a riassumere tempestivamente i lavoratori. Il peso dei lavoratori con indennità coinvolti nelle assunzioni “in blocco” è tuttavia abbastanza contenuto (inferiore al 30%). 9 Le forti differenze nei due metodi adottati rendono difficilmente conciliabili i risultati ottenuti. A conferma di ciò, è piuttosto contenuta anche l’intersezione dei due gruppi di assunzioni sospette individuate. Riguardo alle assunzioni a tempo indeterminato, solo 41 dei 172 casi con medesima partita IVA sono individuati come sospetti anche col criterio del blocchi, mentre nel caso di tutti tipi di assunzione, questi sono 56 su 226. Tale difficoltà è tuttavia ovvia: i due approcci confrontati cercano di cogliere il fenomeno da due punti di vista totalmente differenti, ed entrambi sono soggetti ad inevitabili limiti di interpretabilità. Per quanto riguarda il metodo basato sull’abbinamento esatto delle partite IVA, si sono già evidenziate le debolezze: queste consistono principalmente nel rischio che le imprese cambino formalmente identità per riassumere nel breve termine i propri lavoratori, e che la loro mancata individuazione porti infine a una sottostima del fenomeno. La validità dei risultati ottenuti con il metodo dei blocchi è sottoposta a rischi di più varia natura: da un lato il metodo non è in grado di evidenziare i comportamenti opportunistici che sono consistiti in un solo licenziamento seguito da riassunzione, per individuare i quali sarebbe necessario ricorrere a un controllo sulla somiglianza delle caratteristiche anagrafiche dell’impresa prima e dopo l’episodio. Dall’altro lato esiste un problema di “falsi positivi”: nel caso di blocchi di grande numerosità si può concludere con una certa fiducia di essere in presenza di un comportamento opportunistico, ma lo stesso non vale nel caso dei blocchi costituiti da poche assunzioni, che pesano fortemente sul totale (quasi l’80% dei blocchi conta 2 o 3 assunzioni). L’incidenza dei falsi positivi dipende dal criterio con cui si discriminano i blocchi sospetti dagli altri. In questo caso specifico, si è posto che la dimensione di tali blocchi pesi per almeno il 50% sul ricorso alle liste dell’impresa licenziante e di quella assumente. La scelta di adottare una soglia del 50% “rischia” di includere un alto numero di falsi positivi per non perdere alcuni positivi veri. Quale che sia il metodo utilizzato, l’individuazione degli episodi di riassunzione resta approssimativa, e la natura stessa del fenomeno rende poco agevole la definizione di metodi più affidabili. Nel complesso, i due metodi adottati possono essere adottati per definire gli estremi di un intervallo entro il quale, ragionevolmente, si colloca la reale incidenza del fenomeno. 5. L’evidenza sugli effetti indesiderati sul comportamento dei lavoratori Si è notato in precedenza come sia poco sensato porsi domande riguardo agli effetti complessivi dell’istituto della mobilità sulle chance di occupazione dei lavoratori licenziati. Per rispondere a tale domanda sarebbe necessario confrontare gli esiti occupazionali degli iscritti alle liste con quelli che si sarebbero sperimentati in assenza della mobilità. Essendo logicamente impossibile osservare questo controfattuale, il confronto andrebbe invece condotto tra gli esiti dei lavoratori in mobilità e una adeguata approssimazione di quello che sarebbe successo loro senza la politica. Le strade teoricamente (ma non praticamente) percorribili sarebbero allora due: ricorrere al confronto con un gruppo di lavoratori licenziati non iscritti alle liste di mobilità. Dal momento che, in pratica, ogni lavoratore licenziato ha diritto all’iscrizione, questa prima opzione è di fatto impraticabile; confrontare gli esiti degli iscritti alle liste con un gruppo di lavoratori licenziati, ad essi simili, in un periodo precedente all’introduzione delle liste di mobilità. Anche supponendo di riuscire a effettuare un confronto che tenga conto di tutte le differenze tra i due gruppi connesse ai differenti momenti in cui questi sono osservati (per esempio differente congiuntura economica e differenti assetti istituzionali), è impossibile procedere su questa strada per la mancanza di dati relativi a un periodo precedente alla mobilità. D’altra parte, si può supporre (per quanto sia un’ipotesi non verificabile) che la semplice esistenza dell’istituto della mobilità, inteso nella sua formulazione di base come sistema di benefici per le imprese che riassumono un lavoratore licenziato, non modifichi il comportamento dei lavoratori: in assenza di indennità o di altri particolari trattamenti che vadano a modificare 10 attivamente la condizione del lavoratore licenziato, l’essere semplicemente inserito in una lista difficilmente lo disincentiverà a ricercare o ad accettare un lavoro. Un reale disincentivo si può verosimilmente produrre nel caso in cui siano previsti particolari regimi come quello dell’indennità di mobilità, in virtù del quale il lavoratore può preferire rinunciare temporaneamente al lavoro perché comunque provvisto di un sostegno economico. Sempre in presenza di indennità, tale disincentivo può assumere differenti intensità a seconda della durata massima del periodo di percezione. Volendo evidenziare le distorsioni nei comportamenti dei lavoratori, l’interesse non va dunque rivolto all’effetto dell’istituto della mobilità in sé, quanto piuttosto a quello di particolari benefici aggiuntivi che un iscritto può ricevere o meno. Questa sezione è articolata in due parti: nella prima si cerca di investigare quale sia generalmente l’effetto dell’indennità di mobilità sugli esiti occupazionali degli iscritti alle liste. Nella seconda si concentra l’attenzione sull’effetto prodotto dal disporre di un anno aggiuntivo di permanenza massima in lista. In entrambi i casi, la variabile risultato rappresentante gli esiti lavorativi è la probabilità di occupazione, misurata come tasso di occupazione mensile nei 36 mesi successivi all’entrata in lista. 5.1. L’effetto dell’indennità di mobilità sulla probabilità di occupazione In questa sezione si analizza il rischio connesso al diritto all’indennità, rappresentato dal disincentivo per il percettore ad accettare un lavoro (o a cercarlo con maggiore intensità), dal momento che il sostegno economico da questa rappresentato permette di ritardare, o in taluni casi di annullare, la stringente necessità di trovare un’occupazione. Questo rischio costituisce un tema classico della ricerca economica (si vedano, ad esempio, le rassegne in Lalive, Van Ours e Zweimüller (2004): Anastasia et al. (2004) passano in rassegna gli studi italiani sulla mobilità). Nel caso degli iscritti a Torino fra il 1997 e il 2000, un primo confronto grezzo tra il gruppo dei percettori e quello dei non percettori, mostrato nella figura 5.1, evidenzia un netto divario tra le probabilità di occupazione. Entrambe le curve mostrano un veloce incremento dell’occupazione nei primi mesi successivi all’entrata in lista. La crescita si interrompe quasi completamente al termine del primo anno, successivamente al quale le curve proseguono parallelamente sui medesimi livelli, mantenendo una differenza di oltre 30 punti percentuali. 0.8 Figura 5.1. Tasso di occupazione mensile degli iscritti nelle liste di mobilità della provincia di Torino tra il 1997 e il 2000 0.0 0.2 0.4 0.6 con indennità senza indennità 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste 11 L’obiettivo che ci si pone è di verificare in che misura la differenza osservata tra le due curve possa essere addebitata al differente regime di mobilità. Per quanto, almeno apparentemente, la figura 5.1 possa suggerire l’esistenza di un forte effetto disincentivante, la relazione causale tra l’indennità e la probabilità di occupazione potrebbe essere oscurata dalla variabilità connessa ad altre differenze tra gli iscritti tra i due gruppi. Il vero effetto potrebbe dunque essere tanto maggiore del divario osservato nella figura 5.1, quanto inferiore o addirittura nullo o di segno opposto, e la sua identificazione passa necessariamente per la “pulizia” della differenza osservata dall’influenza di tutte le caratteristiche estranee all’indennità che distinguono i due gruppi. La domanda valutativa si pone nei consueti termini: ci si deve chiedere quale sia la differenza tra gli esiti lavorativi degli iscritti alle liste di mobilità che percepiscono l’indennità e il controfattuale, cioè gli esiti che avremmo osservato per i medesimi lavoratori nel caso in cui questi non avessero beneficiato della componente passiva della politica. Al solito, si tratta di una domanda alla quale non esiste risposta certa, poiché la situazione controfattuale è per sua natura ipotetica e in nessun caso osservabile. Si tratta del “problema fondamentale della valutazione”, così definito da Heckman, Lalonde e Smith (1999), o, più in generale, del “problema fondamentale dell’inferenza causale” (Holland, 1986). Le possibilità di acquisire conoscenza sull’effetto dell’indennità si limitano pertanto alla produzione di una sua ragionevole stima, ricavata come differenza tra gli esiti realmente osservati per i beneficiari e una approssimazione del controfattuale. Quest’ultima può essere ricavata a partire dagli esiti degli iscritti nelle liste di mobilità che non hanno ricevuto l’indennità. La semplice media degli esiti dei non percettori non può però essere considerata una buona approssimazione del controfattuale: è ragionevole supporre che tra percettori e non percettori esistano delle differenze di carattere sistematico, tali per cui i loro esiti sarebbero stati differenti anche nel caso in cui nessuno avesse percepito l’indennità. Maggiore è l’entità di tali differenze, maggiore è il rischio che un confronto tra gli esiti medi dei due gruppi venga viziato dalle differenze di partenza. La logica delle stime presentate nel seguito, ottenute con metodi di matching, si fonda sull’idea che tale rischio diminuisca al crescere della somiglianza tra i due gruppi posti a confronto. La somiglianza deve riguardare, condizionatamente alla disponibilità di informazioni, tutte le caratteristiche individuali correlate con lo status di beneficiari (in assenza di correlazione è ragionevole aspettarsi che queste non siano differenti nei due gruppi, variabilità campionaria a parte) e, contemporaneamente, con gli esiti occupazionali dei lavoratori. La regolamentazione delle liste di mobilità individua nella dimensione dell’azienda di provenienza, e in seconda battuta nella durata dell’ultimo lavoro svolto, le principali determinanti della percezione dell’indennità. Tuttavia la dimensione aziendale non è tra le informazioni disponibili su Netlabor (e anche se lo fosse, un confronto tra lavoratori provenienti da aziende con poco meno e poco più di 15 dipendenti evidenzierebbe differenze dovute non solo all’indennità, ma anche a una serie di altre discontinuità nella legislazione del lavoro che agiscono a cavallo della medesima soglia). Si cerca di ovviare a questo limite ricorrendo a un abbinamento basato su una serie di altre caratteristiche individuali osservabili, ipotizzando che queste siano comunque sufficienti a cogliere le differenze di partenza tra i due gruppi11. Sotto questa ipotesi, le stime degli effetti ottenute confrontando individui simili rispetto a tali caratteristiche sono corrette. Come spiegato nella sezione 3, con i dati Netlabor siamo in grado di osservare per ogni lavoratore un discreto numero di variabili demografiche, oltre alle caratteristiche della mobilità (che rappresentano l’esposizione al trattamento) e ai vari episodi lavorativi da questo sperimentati. Il metodo di abbinamento utilizzato per stimare l’effetto dell’indennità è il caliper matching (con raggio 0.01) basato su propensity score (Rosenbaum e Rubin (1983)): la somiglianza tra gli 11 Non c’è rimedio alle eventuali differenze sistematiche in caratteristiche non osservabili. Bisogna dunque necessariamente supporre che le informazioni di cui si dispone permettano di cogliere tutte le differenze e che, al netto di queste, tutto ciò che non è osservabile giochi un ruolo trascurabile nella differenziazione dei due gruppi. All’atto pratico, tale ipotesi può essere tradotta nella fiducia che una discreta quantità di informazioni osservabili permetta di cogliere, se non tutte le differenze, la maggior parte di queste. 12 individui non è valutata separatamente per ognuna delle caratteristiche osservabili, ma sulla base di un indice sintetico (il propensity score) rappresentante la probabilità di ricevere l’indennità, stimata sulla base delle stesse caratteristiche. Una volta stimato il propensity score, ad ogni lavoratore con indennità è abbinato per confronto il lavoratore senza indennità con lo score più simile, a patto che la distanza tra i due non sia superiore a 0.01. Nel caso in cui non si trovi alcun abbinamento con propensity score abbastanza vicino, il lavoratore con indennità viene escluso dall’analisi. Le analisi sono condotte separatamente per classi d’età, dal momento che l’età dei lavoratori è fortemente correlata (figura 5.2) con il tasso di occupazione e, soprattutto, con le differenze tra beneficiari e non beneficiari. Ciò suggerisce l’eventualità che lo stesso succeda per l’effetto dell’indennità, nel qual caso una semplice stima dell’effetto medio su tutta la popolazione degli iscritti sarebbe poco informativa. Figura 5.2 Tasso di occupazione degli iscritti nelle liste di mobilità della provincia di Torino tra il 1997 e il 2000, per classe d’età con indennità senza indennità 1.0 1.0 29 anni o meno 30-39 anni 40-49 anni 50 anni o più 0.8 29 anni o meno 30-39 anni 40-49 anni 50 anni o più 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0.0 0.0 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino I due grafici mostrano una relazione generalmente negativa tra l’età al momento dell’iscrizione in lista e la probabilità di occupazione successiva. Tale relazione è molto meno evidente per gli iscritti senza indennità: i ventenni hanno tassi di occupazione prossimi al 70%, con un vantaggio inferiore ai 10 punti percentuali sulle classi dei trentenni e dei quarantenni. Queste ultime non sembrano avere nel lungo periodo esiti differenti, pur sembrando che i più giovani abbiano (o colgano) opportunità leggermente maggiori nei primi 12-18 mesi. L’unico gruppo che si scosta in modo evidente è quello degli over 50, tra i quali meno del 50% si ritrova occupato dopo 3 anni dall’entrata in lista12. I confronti tra gli iscritti con indennità evidenziano invece differenze molto più marcate tra le varie classi. Tra i ventenni percettori il tasso di occupazione rimane quasi identico (di pochi punti inferiore) a quello dei non percettori. Per quanto riguarda le altre classi, si nota un aumento progressivo degli scostamenti, praticamente mai inferiori ai 10 punti percentuali, al punto che i quarantenni con indennità sperimentano probabilità di occupazione prossime a quelle degli over 50 che invece non la percepiscono. L’evidenza più forte riguarda gli over 50 con indennità, per i quali si osserva una probabilità di occupazione praticamente nulla. Nonostante le probabili differenze di 12 Va tenuto conto che le differenze tra classi più e meno giovani, per quanto prevedibili, potrebbero celare tanto un effetto dell’età quanto l’influenza della diversa durata di permanenza in lista. Questo aspetto verrà meglio affrontato nella sezione 5.2. 13 partenza impediscano di trarre da un confronto grezzo indicazioni sugli effetti della politica, questo crollo drastico dell’occupazione genera il forte sospetto che la grande maggioranza di quei lavoratori ricorra al meccanismo della mobilità lunga, sfruttando l’indennità per “tirare avanti” senza lavorare fino al definitivo pensionamento. Gli interrogativi suggeriti dalle figure 5.1 e 5.2, da verificare con le stime matching, possono in definitiva essere così riassunti: percepire l’indennità di mobilità provoca una riduzione della probabilità di tornare al lavoro? l’effetto negativo dell’indennità è tanto maggiore quanto più anziano è il lavoratore che ne beneficia? Una variabile abitualmente utilizzata per stratificare i risultati nelle ricerche sul mercato del lavoro è il sesso. I risultati di questa sezione vengono tuttavia differenziati solo per classe d’età, poiché le stime degli effetti ottenute stratificando per sesso non hanno evidenziato differenze tali da giustificare due distinte trattazioni dei risultati. La procedura di caliper matching permette di abbinare un numero di lavoratori con indennità variabile, da una classe d’età all’altra, tra il 92% e il 94% del totale dei beneficiari osservati. In altre parole, per una quota di poco superiore al 5% di questi non è possibile trovare alcun iscritto non beneficiario abbastanza simile (cioè con un propensity score distante al massimo 0.01). I risultati delle stime, e i relativi intervalli di confidenza, sono presentati nella figura 5.3. Figura 5.3 Stime dell’effetto dell’indennità sulla probabilità di occupazione, per classe d’età 29 anni o meno 30-39 anni 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 12 24 36 -24 -12 mesi dall'iscrizione nelle liste 0 12 24 36 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste 40-49 anni 50 anni o più 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 12 mesi dall'iscrizione nelle liste 24 36 -24 -12 0 12 mesi dall'iscrizione nelle liste 14 Nei grafici della figura 5.3 sono rappresentate anche le differenze nella probabilità di occupazione nei due anni precedenti all’entrata nelle liste di mobilità. Ciò non è di alcuna utilità ai fini della stima d’impatto, ma evidenzia come l’abbinamento abbia condotto a un confronto tra soggetti simili rispetto a una serie di caratteristiche, tra cui la storia lavorativa precedente all’entrata in mobilità. In generale, le differenze “grezze” osservate nella figura 5.2 sono confermate dalle stime. L’effetto stimato è complessivamente non significativo per la classe dei ventenni, mentre è negativo, con entità visibilmente crescente, per le altre classi d’età: 10-15 punti percentuali per i trentenni, circa 20 per i quarantenni, oltre 40 punti per gli over 50. Le curve delle stime degli effetti mostrano in tutti e quattro i casi un andamento a forma di “U”: in un primo momento l’effetto negativo sembra crescere nel tempo (anche nel caso dei ventenni, per quanto questo sia quasi costantemente non significativo); dopo un certo periodo, l’effetto tende a riavvicinarsi gradualmente a zero, pur restando chiaramente negativo per le tre classi d’età meno giovani. Il momento in cui le curve evidenziano questo cambio di pendenza si colloca nei mesi in cui mediamente gli iscritti escono dalle liste, perdendo di conseguenza il beneficio dell’indennità. Questa evidenza suggerisce che una parte dei lavoratori beneficiari di indennità resti effettivamente inattiva per il periodo di percezione, vedendosi poi costretta a cercare un’occupazione nel momento in cui il sostegno economico della politica viene meno. Il punto in cui l’effetto inizia a ridursi di entità è di circa 12 mesi per i più giovani e per i trentenni, circa 24 mesi per i quarantenni, che hanno diritto a un anno aggiuntivo di permanenza in lista. L’unica eccezione a questa lettura dei grafici è costituita dalla classe dei cinquantenni per i quali, pur essendo la permanenza massima in lista di 36 mesi, il riavvicinamento verso zero dell’effetto stimato inizia a 24 mesi dall’iscrizione. In quel caso tuttavia, come si può vedere dalla figura 5.2, la progressiva riduzione dell’effetto non è tanto da addebitare a una parziale rioccupazione degli iscritti con indennità, quanto piuttosto al calo del tasso di occupazione tra gli iscritti senza indennità (che può essere spiegato con l’uscita dal mercato del lavoro di alcuni iscritti che, in assenza della mobilità lunga, hanno lavorato per il breve periodo che il separava dal definitivo pensionamento). In sintesi, le stime degli effetti non sono molto diverse dalle semplici differenze tra beneficiari e non beneficiari. Un’osservazione più dettagliata rivela che per le classi dei ventenni e dei quarantenni l’effetto stimato è praticamente identico alla differenza grezza tra i gruppi. Nel caso dei trentenni e dei cinquantenni, le stime sono addirittura di entità maggiore rispetto alle differenze grezze, a significare che il controfattuale stimato è addirittura maggiore della probabilità osservata per i non beneficiari. Resta da definire il grado di credibilità delle stime ottenute. Perché i risultati si possano considerare corretti bisogna accettare l’ipotesi che la distorsione da selezione sia stata completamente eliminata o, nella pratica, eliminata per la maggior parte. Il vincolo all’effettiva realizzazione di questa ipotesi sta nella disponibilità di informazioni rispetto alle quali pareggiare i gruppi di trattati e non trattati: maggiore è il numero di caratteristiche osservabili, maggiore è la somiglianza tra gli individui abbinati. La disponibilità nei database Netlabor delle principali e più importanti variabili demografiche, oltre alle caratteristiche professionali e ai dati sulla storia lavorativa precedente, danno una certa fiducia rispetto a questo interrogativo. Sono inoltre stati condotti alcuni test di specificazione del modello, volti a comprendere se la probabilità di occupazione pre-iscrizione nei due gruppi fosse uguale al netto delle variabili osservabili, ottenendo esito positivo. Come ultima e non trascurabile nota, va considerato che le stime d’impatto sono di tale entità da generare dubbi circa la possibilità che l’utilizzo di secondarie informazioni non osservabili possa correggerle al punto da annullarle completamente, a maggior ragione se si ricorda che le stime prodotte a questo stadio suggeriscono effetti addirittura maggiori delle differenze grezze osservate in precedenza. 15 5.2. L’effetto di un anno aggiuntivo di permanenza in lista di mobilità sulla probabilità di occupazione La regolamentazione della durata massima di permanenza in lista poggia sull’ipotesi che gli iscritti più anziani sperimentino una maggiore difficoltà a trovare lavoro: proprio per contrastare le difficoltà di reimpiego che teoricamente dovrebbero sorgere al crescere dell’età, la legge prevede per gli over 40 la possibilità di restare in lista per un tempo più prolungato (un anno in più per i lavoratori con almeno 40 anni, due anni in più per quelli con almeno 50 anni), in modo da accrescere il periodo di “appetibilità” del lavoratore e di conseguenza il numero di occasioni di assunzione. Il primo interrogativo che ci si pone riguarda l’opportunità di una tale regolamentazione: è vero che la probabilità di trovare un lavoro a seguito di in licenziamento dipende negativamente dall’età del lavoratore? Una volta fornite evidenze su questo aspetto, ci si concentrerà l’attenzione sull’effetto di un anno aggiuntivo di mobilità sulla probabilità di occupazione. Un lavoratore in mobilità non diventa immediatamente preferibile agli occhi delle imprese se acquisisce un anno aggiuntivo di permanenza massima in lista: qualunque sia il contratto di assunzione, queste beneficiano infatti degli sgravi fiscali per un periodo massimo predeterminato e indipendente dalla durata di permanenza in lista. Presi due lavoratori identici, i quali possono restare in mobilità rispettivamente uno e due anni, il vantaggio del secondo sul primo si concretizza alla fine del primo anno quando, nel caso questi non siano occupati, il primo esce comunque dalle liste, mentre il secondo ha ancora un anno di tempo perché un’impresa lo assuma godendo degli sgravi fiscali previsti dalla mobilità. A questo potenziale effetto positivo si affianca un possibile effetto disincentivante sul lavoratore il quale, sapendo di poter godere per più tempo dei vantaggi della mobilità, potrebbe cercare lavoro con minore intensità. Gli effetti ipotizzati vengono virtualmente amplificati nel caso dei percettori di indennità. Dal lato delle imprese, la permanenza in lista per un anno aggiuntivo (e dunque la percezione dell’indennità per un anno aggiuntivo) si traduce nella possibilità di un maggiore bonus per l’indennità non percepita (Paggiaro, Rettore e Trivellato (2006)). Dal lato del lavoratore, la possibilità di beneficiare dell’indennità per un altro anno può aumentare il disincentivo alla ricerca di una nuova occupazione. Vista la possibilità che gli effetti siano fortemente connessi alla percezione dell’indennità, l’analisi è stata condotta separatamente per beneficiari e non beneficiari, e per uomini e donne. Nella figura 5.4 è sintetizzato il rapporto tra età degli iscritti e probabilità di occupazione, rispettivamente dopo 12 e 36 mesi dall’iscrizione nelle liste. La scelta dei due istanti di osservazione (necessaria per ridurre a due dimensioni la rappresentazione grafica) è soggettiva, ma non pregiudica la generalizzabilità dei principali risultati. Le figure 5.1 e 5.2 mostrano infatti che la dinamica dei tassi di occupazione si esaurisce quasi completamente al dodicesimo mese dall’entrata in lista, dopo il quale le curve si appiattiscono e le differenze tra gruppi restano costanti. Un confronto come quello mostrato nella figura 5.4 darebbe risultati molto simili se condotto rispetto a un qualunque mese successivo al dodicesimo dall’entrata in lista; nella figura 5.4, per esempio, si può notare come i grafici corrispondenti al dodicesimo e al trentaseiesimo mese siano molto simili. I grafici della figura 5.4 relativi ai lavoratori maschi non evidenziano, almeno relativamente agli under 50, una particolare dipendenza della probabilità di occupazione dall’età. Tra i lavoratori senza indennità, le linee interpolanti per il gruppo dei 20-30enni e per il gruppo dei 50enni sono sostanzialmente piatte, e la probabilità media di un venticinquenne è quasi uguale a quella di un trentanovenne o di un quarantacinquenne. Questa evidenza suggerirebbe, almeno in riferimento al sottogruppo in esame, che la relazione negativa tra probabilità di occupazione ed età, sulla quale si basa la differenziazione della durata di permanenza in lista, non sia molto forte. I grafici relativi alla popolazione femminile mostrano invece, sempre in riferimento agli under 50, una più marcata influenza negativa dell’età sulla probabilità di occupazione. Per i lavoratori di entrambi i generi, l’influenza dell’età aumenta visibilmente tra gli iscritti alle liste con indennità (come già suggerito dalla figura 5.2). 16 Figura 5.4: Probabilità di occupazione a 12 e 36 mesi dall’entrata in lista (in funzione dell’età), per sesso e percezione d’indennità uomini dopo 12 mesi donne dopo 12 mesi 1.0 1.0 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 con indennità senza indennità con indennità senza indennità 0.0 0.0 20 25 30 35 40 45 50 55 60 20 25 30 35 età 40 45 50 55 60 55 60 età uomini dopo 36 mesi donne dopo 36 mesi 1.0 1.0 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 con indennità senza indennità con indennità senza indennità 0.0 0.0 20 25 30 35 40 45 50 55 60 età 20 25 30 35 40 45 50 età Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino Gli iscritti con almeno 50 anni meritano di essere osservati a parte. Nel loro caso, l’età sembra giocare un ruolo cruciale, anche nel caso di non percezione dell’indennità (e, al pari degli under 50, l’influenza dell’età è più forte nel gruppo delle lavoratrici). A titolo esemplificativo, si può notare come un cinquantenne abbia una probabilità di occupazione sistematicamente maggiore di un sessantenne. Più in generale, le curve interpolanti hanno una evidente tendenza verso il basso. Tra i percettori di indennità, la dipendenza dall’età per gli over 50 è (apparentemente) mitigata solo dal fatto che la probabilità di occupazione è uniformemente prossima a zero, a causa del ricorso alla mobilità lunga per transitare direttamente al pensionamento. La stima dell’impatto di un anno aggiuntivo di permanenza massima in lista sulla probabilità di occupazione è ottenuta, come in precedenza, ponendo a confronto due gruppi di lavoratori che abbiano il diritto a restare in lista rispettivamente per z e z+1 anni (dove z è uguale a 1 o a 2). Anche in questo caso, la semplice osservazione delle differenze medie tra i due gruppi non è sufficiente a identificare l’effetto del differente regime di mobilità: i due gruppi avrebbero presentato sistematiche differenze nelle chance occupazionali, dovute alle differenze di età, anche se sottoposti allo stesso regime di mobilità. 17 A differenza del caso precedente, in cui la discriminante tra lavoratori con e senza indennità era costituito principalmente dalla dimensione aziendale, non osservabile con i dati a nostra disposizione, l’età è osservabile per tutti i lavoratori. Un primo tentativo di stima dell’effetto può dunque essere effettuato ponendo a confronto lavoratori con età molto simile, in modo da ridurre al minimo la distorsione dovuta all’effetto dell’età sugli esiti occupazionali. Nello specifico, l’effetto dell’avere due anni di mobilità anziché uno può essere indagato confrontando le probabilità di occupazione di lavoratori con 40 anni o poco più (che restano per due anni nelle liste) con quelle di lavoratori che abbiano 39 anni o poco meno (con un anno di permanenza in lista); analogamente, un confronto tra lavoratori con poco più di 49 anni e lavoratori con poco meno di 50 dovrebbe evidenziare le differenze, parzialmente ripulite dall’effetto dell’età, addebitabili alla permanenza in lista per tre anni anziché due. Facendo riferimento alla figura 5.4, tali confronti coinvolgono le probabilità di occupazione immediatamente a destra e a sinistra delle linee-soglia tratteggiate nei grafici. Per quanto riguarda il confronto intorno alla soglia dei 40 anni, per i lavoratori senza indennità non si evidenziano particolari differenze tra il gruppo con un anno e quello con due anni di mobilità: le linee interpolanti le probabilità di occupazione “toccano” la linea di soglia al medesimo livello, intorno al 70-75% per gli uomini e al 60% per le donne, suggerendo l’assenza di un effetto rilevante dell’anno aggiuntivo. La differenza è maggiormente evidente per i lavoratori con indennità, per i quali sembra esserci, in presenza di un anno aggiuntivo in lista (e, perciò, un anno aggiuntivo di indennità), un calo di circa dieci punti percentuali nella probabilità di occupazione. Il confronto operato intorno alla soglia dei 50 anni evidenzia un più netto divario, sempre negativo, tra i chi permane due anni e tre anni in lista. Tra i non percettori di indennità è visibile, a cavallo della soglia di 50 anni, un’intensificazione della relazione negativa tra la probabilità di occupazione e l’età. Il risultato più forte riguarda ancora i percettori di indennità: gli over 50 sfruttano il meccanismo della mobilità lunga, e la loro probabilità di occupazione dopo l’entrata nelle liste è costantemente prossima a zero. La caratteristica comune dei “confronti intorno al punto di discontinuità” (Rubin (1977), Trochim (1984)) è che essi sono effettuati sfruttando le informazioni sui soli lavoratori con un’età prossima a una delle due soglie. Quale che sia il risultato ottenuto, questo non può essere generalizzato ai lavoratori con età molto diverse da quelle utilizzate nelle stime, dal momento che questi potrebbero essere influenzati in modo diverso dall’anno aggiuntivo di mobilità. Per ottenere la stima di un effetto medio su tutti i lavoratori coinvolti si può tentare la strada del matching, già percorsa per stimare l’effetto dell’indennità nella sezione 5.1. In questo caso sorge un’ovvia complicazione, legata al fatto che l’abbinamento di individui abbastanza simili (riguardo alle caratteristiche che differenziano sistematicamente trattati e non trattati, cioè l’età) è possibile solo intorno alla soglia, coinvolgendo cioè i soli lavoratori utilizzati per i confronti intorno al punto di discontinuità. La “soluzione” adottata, piuttosto inconsueta in queste situazioni, è un propensity score matching basato su tutte le caratteristiche osservabili dei lavoratori, tranne l’età. Questa soluzione è giustificata nel caso in cui, condizionatamente a tutte le caratteristiche coinvolte nel matching, ci sia indipendenza tra probabilità di occupazione ed età. I test di specificazione condotti (per i dettagli, si veda Anastasia et al. (2004)) mostrano una buona affidabilità del metodo. Nelle figure 5.5 e 5.6 sono rappresentate le stime matching dell’effetto dell’anno aggiuntivo sulla probabilità di occupazione. La figura 5.5 riguarda l’effetto del disporre di due anni di mobilità invece di un anno, per stimare il quale si sono abbinati i lavoratori in età 30-39 con quelli in età 4049. La figura 5.6 è relativa all’effetto del disporre di tre anni di mobilità invece di due anni, che è stato stimato abbinando i lavoratori in età 40-49 con quelli in età 50-59. Le conclusioni che si possono trarre dalla figura 5.5 sono simili a quelle ottenute con il confronto intorno al punto di discontinuità: per un lavoratore che abbia diritto a restare in mobilità per un anno, la disponibilità di un anno aggiuntivo di permanenza in lista non sembra influenzare la probabilità di occupazione, se questi non percepisce l’indennità. Per gli iscritti con indennità si stima un forte effetto negativo, di 15-20 punti percentuali. L’entità delle stime non differisce molto tra uomini e donne ma, mentre per le seconde l’effetto stimato perdura nel tempo, per i primi 18 l’effetto sembra riassorbirsi col passare dei mesi, e perde di significatività verso la fine del secondo anno dall’entrata in lista, quando viene meno il sostentamento dell’indennità e i lavoratori sono “costretti” a trovare un’occupazione. Figura 5.5. Stime matching dell’effetto di un anno aggiuntivo di mobilità sulla probabilità di occupazione, per sesso e indennità. Confronto tra 30-39enni e 40-49enni uomini con indennità donne con indennità 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 12 24 36 -24 mesi dall'iscrizione nelle liste -12 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste uomini senza indennità donne senza indennità 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste -24 -12 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino Anche le stime degli effetti del terzo anno di mobilità (mescolato al meccanismo della mobilità lunga), presentate nella figura 5.6, sono complessivamente negative, ma di maggiore entità rispetto a quelle ottenute per il caso precedente: tra gli iscritti con indennità, il calo stimato nella probabilità di occupazione è di oltre 40 punti percentuali. Le differenze di genere non riflettono una eterogeneità dell’effetto: l’effetto può essere più sensatamente riassunto nell’azzeramento della probabilità di occupazione, per cui ciò che si stima è per entrambi i sessi pari alla differenza tra zero e la probabilità che si sarebbe avuta in assenza di trattamento (che è superiore per i maschi, come suggerisce ad esempio la figura 5.4). Un ulteriore tratto distintivo delle stime presentate nella figura 5.6 è che l’effetto negativo non tende a riassorbirsi nel tempo. Quest’ultima differenza è abbastanza ovvia, ed è ragionevole supporre che l’effetto stimato non si riassorbirebbe nemmeno se si 19 allungasse l’orizzonte temporale di osservazione dal momento che, tra i lavoratori con indennità, l’iscrizione alle liste per tre anni si tramuta in pratica nell’abbandono definitivo del lavoro. Le stime dell’effetto riguardanti i non percettori di indennità sono in questo caso negative, con un’entità crescente nel tempo; a differenza degli effetti stimati per il secondo anno di mobilità non è visibile un riassorbimento dell’effetto nel tempo. Il potenziale riassorbimento andrebbe tuttavia osservato al momento dell’uscita dalle liste, a partire cioè da 36 mesi dopo l’iscrizione, per il quale periodo non si hanno osservazioni disponibili. È altresì possibile che tale riassorbimento non abbia luogo, e che l’effetto negativo crescente nel tempo rifletta il progressivo pensionamento dei lavoratori alla maturazione dell’età anagrafica necessaria. Quest’ultima ipotesi si fonderebbe tuttavia sulla presenza di un effetto dell’età non completamente eliminato dal matching, mentre i test di specificazione condotti sulla popolazione degli over 50 suggeriscono una buona capacità del metodo adottato di eliminare tale distorsione. Figura 5.6: Stime dell’effetto di un anno aggiuntivo di mobilità sulla probabilità di occupazione, per sesso e indennità. Confronto tra 40-49enni e 50-59enni uomini con indennità donne con indennità 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 12 24 36 -24 mesi dall'iscrizione nelle liste -12 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste uomini senza indennità donne senza indennità 0.3 0.3 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 0.1 0.1 0.0 0.0 -0.1 -0.1 -0.2 -0.2 -0.3 -0.3 -0.4 -0.4 -0.5 -0.5 -0.6 -0.6 -24 -12 0 stime signif icativ e stime non signif icativ e 0.2 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste -24 -12 0 12 24 36 mesi dall'iscrizione nelle liste Fonte: nostra elaborazione su dati Provincia di Torino 20 Riferimenti bibliografici Anastasia B. et al. 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The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public organizations. Instructions to Authors Please ensure that the final version of your manuscript conforms to the requirements listed below: The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins. Include an abstract of no more than 100 words. Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system. Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering). Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows: COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias.... and “...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7). 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