"Notizie dal mondo": a) America Latina stavolta in prima

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"Notizie dal mondo": a) America Latina stavolta in prima
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Dal blocco allegato di "Notizie dal mondo":
a) America Latina stavolta in prima posizione. Due gli assi da seguire, tra loro intrecciati come da
lettura delle notiziole al riguardo. Primo asse: i Trattati di Libero Commercio con cui Washington
mira a legare a sé, bilateralmente, i paesi che lo sottoscrivono. Secondo asse: la sempre interessante
realtà venezuelana che mostra come si possa contrastare l’imperialismo muovendosi come uno
Stato che abbia una sovranità ed indipendenza effettive congiunte ad un orizzonte anti- imperialista
e di progressivo radicalismo sociale di liberazione. Si tratta di un modo tra i possibili. Nella
variabilità e, beninteso, parzialità di situazioni sono annoverabili l’Iran e di fatto, a suo modo, la
resistenza irachena che ha per ora impantanato l’aggressività planetaria statunitense. Nello
specifico, quindi: Colombia (15, 26, 31), Uruguay / Venezuela (15), Nicaragua (16, 22),
Guatemala (16), Bolivia (16, 17, 21, 22), Salvador (17, 25), Perù (21, 23), Venezuela /
Nicaragua (22), Salvador / Venezuela (22), Argentina (22), Ecuador (23), Venezuela (24, 26,
31).
b) Una raffica di notiziole su Euskal Herria (17, 20, 23, 24, 26, 30), alla luce anche della
significativa decisione di ETA di tregua permanente. Il laboratorio basco resta esemplare
innanzitutto perché mostra l’incidenza di una lotta politica nazionalitaria a tutto campo che sa
condizionare il quadro politico anche istituzionale, pur nelle difficilissime condizioni di agibilità
politica imposte dalla democrazia spagnola ai fautori del diritto di autodeterminazione del popolo
basco. Non si può, insomma, prescindere dagli indipendentisti, anche se li illegalizzi e li incarceri.
In secondo luogo –ricordiamolo– per la prospettiva di società anticapitalista che contraddistingue il
pluriverso di forze sociali e culturali che si riconoscono nel movimento di liberazione basco.
Conoscerne la storia e seguirne le lotte è assolutamente consigliabile.
c) Da seguire (sempre) anche l’area mediorientale: Palestina (16, 18, 20, 23, 28, 29, 30) e Israele
(21, 30), senza perdere di vista Iraq e Iran (cfr. sotto). Superfluo spiegare perché.
Le notiziole di seguito segnalate hanno solo l’indicazione della data, ma non per questo sono meno
rilevanti (leggere per credere –tanto per cominciare, appunto– la prima).
Unione Europea / Iran: 31 marzo.
USA. 17 marzo.
USA / Russia. 17, 21 marzo.
Russia. 27 marzo.
Russia / Cina : 23 marzo.
Afghanistan. 23 marzo.
Iran: 23 marzo.
Russia / Bielorussia. 24, 31 marzo.
Serbia-Montenegro. 27 marzo.
Iraq: 27, 30 marzo.
Catalogna : 19, 30 marzo.
Pace e bene.
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Colombia. 15 marzo. Il voto arride a Uribe. I partiti che sostengono il presidente Alvaro Uribe
hanno vinto le elezioni parlamentari di domenica scorsa, con 69 seggi (su 102) al Senato. Bassa
l’affluenza alle urne (40%). La senatrice del Partito Liberale, Piedad Cordoba, ha definito
«preoccupante» il risultato delle consultazioni per la presenza nel Parlamento di «una chiara
rappresentanza del paramilitarismo». Il riferimento è, appunto, alla compagine che sostiene Uribe.
Il nuovo periodo legislativo, che inizierà il 20 luglio, dovrà affrontare gli effetti della firma del
Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, che Uribe ha accettato, nonostante danneggi gli
interessi nazionali. Dall’anno prossimo, ad esempio, la soia colombiana dovrà fronteggiare la
concorrenza del prodotto statunitense, che, oltre a ricevere sussidi da parte del suo governo, non
pagherà dazi grazie al TLC appena sottoscritto tra Washington e Bogotà.
Uruguay / Venezuela. 15 marzo. Niente TLC con gli USA. Non è interesse dell’Uruguay
sottoscrivere un Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti. Parola del presidente
Tabaré Vázquez, in visita a Caracas. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa congiunta con
il presidente Chávez. Secondo Tabaré Vázquez, il TLC è fonte di rapporti non equilibrati tra le
parti. Anche Hugo Chávez ha respinto l’ipotesi di TLC, che «favorisce un solo paese» e ha
condannato l’accordo raggiunto invece tra Bogotà e Washington.
Bielorussia. 16 marzo. Stepan Sukhorenko, capo dei servizi di sicurezza bielorussi (KGB, lo stesso
nome dei tempi dell’URSS), ha denunciato che nelle loro «azioni illegali» l’opposizione antiLukashenko è aiutata da «funzionari delle ambasciate di Georgia, Lituania ed Ucraina». Il KGB
«ha aperto il 15 marzo un’inchiesta penale su un progettato atto terroristico (…) Tutte le persone
coinvolte in queste azioni saranno arrestate e processate in Bielorussia, indipendentemente dalla
posizione che detengono nei loro Paesi», ha Sukhorenko. Secondo il capo del KGB, l’opposizione
ha ordito questo scenario: la sera del 19 marzo, subito dopo la chiusura dei seggi, annuncerà di aver
vinto in base ad un «falso sondaggio dell’istituto demoscopico Gallup» con l’obiettivo di attirare
più gente possibile in piazza a Minsk per protestare contro i «brogli» a favore di Lukashenko. A
quel punto scoppieranno alcune bombe tra la gente. «La vista del sangue e delle vittime», ha
sostenuto Sukhorenko, «aprirà la strada agli organizzatori della protesta che daranno il via
all’occupazione degli edifici ufficiali e delle stazioni, al blocco delle ferrovie e dello Stato». Per
questo, ha aggiunto, saranno passibili di ergastolo o di condanna a morte quanti, in risposta
all’appello delle opposizioni, scenderanno in piazza a Minsk la sera del 19 marzo per protestare
contro l’esito del voto. «Queste azioni saranno considerate come atti terroristici», ha detto
Sukhorenko citando un articolo del codice che prevede appunto il carcere a vita o la pena capitale
per questo reato.
Bielorussia. 16 marzo. Alta affluenza alle urne in Bielorussia, dove Aleksander Lukashenko si
avvia alla terza riconferma. Secondo Lidia Eremoshina, presidente della Commissione elettorale
centrale, alle 14 ora locale (le 12 in Italia) aveva votato oltre il 70% dei circa sette milioni di elettori
aventi diritto. Subito dopo aver votato nel suo seggio a Minsk, Lukashenhko, definito in precedenza
dal segretario di Stato USA Condoleezza Rice uno degli «avamposti della tirannia», così replicava
alle accuse di Washington di aver incassato centinaia di milioni di dollari vendendo armi ai
“terroristi”: «Bush è il terrorista numero uno sul nostro pianeta». Dopo aver definito
«matematicamente infondato» il rapporto consegnato al Congresso USA e contenenti quelle accuse,
il presidente bielorusso ha denunciato come Bush «possa contare tra i suoi profitti anche quelli
derivanti dal petrolio e dalla guerra», e rivolto ai giornalisti ha aggiunto: «Chiedo pubblicamente a
voi di dire a Bush da parte mia che può tenersi tutto il mio denaro che sostiene di aver rintracciato
in conti segreti». Quanto alle minacce USA di sanzioni, Lukashenko ha ironizzato: «Stanno
cercando di spaventarci da nove anni e siamo ancora qui». Intanto, il responsabile degli osservatori
russi, Vladimir Rushailo, ha detto che le elezioni presidenziali sono state «conformi alle leggi
interne e all’altezza degli standard internazionali».
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Palestina. 16 marzo. Ebrei antisionisti in visita al Parlamento palestinese. 14 rabbini appartenenti
al movimento Neturei Karta, che alcuni mesi fa aveva spedito una lettera di solidarietà al presidente
iraniano Mahmud Ahmadinejad, hanno ricevuto una calorosa accoglienza dal movimento
palestinese di Hamas. Alla testa di questa delegazione, il rabbino Moshe Hirsh, un «ebreo
palestinese» in passato consigliere di Yasser Arafat sulle questioni ebraiche. «Noi siamo dei veri
ebrei che oggi sono venuti al Consiglio legislativo palestinese per proclamare il nostro appoggio
nei confronti di Hamas », ha dichiarato il portavoce del movimento che considera il sionismo
contrario alla legge talmudica.
Palestina. 16 marzo. Indignazione e sciopero generale nei Territori Occupati contro l’assalto
militare israeliano di Gerico. Scuole, negozi, edifici pubblici chiusi in segno di protesta per
l’operazione israeliana che ha mirato al sequestro dell’esponente del Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina (FPLP) e neodeputato Ahmed Saadat, oltre all’assassinio di due
palestinesi, a numerosi feriti ed al sequestro di decine di prigionieri. Un assalto realizzato con il
beneplacito di Stati Uniti e Gran Bretagna. Una conferma in tal senso è venuta direttamente dal
primo ministro israeliano in funzione, Ehud Olmert, cha ha parlato di «sostegno totale» dei due
Stati. L’azione rappresenta un attacco alla credibilità del presidente Abu Mazen, l’uomo che gli
occidentali «appoggiano» per frenare Hamas, e l’ennesima violazione degli accordi firmati da
Israele nel 2002 con l’Autorità Nazionale Palestinese. Questi accordi prevedevano di lasciare sotto
custodia di guardiani britannici e statunitensi la sicurezza del carcere assaltato e distrutto di Gerico.
Palestina. 16 marzo. L’assalto israeliano al carcere di Gerico e la sua stessa distruzione sono
«terrorismo di Stato». Lo ha detto l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Secondo Wissam
Rafidi, professore di 46 anni dell’Università di Bit Zeit, a Ramallah, e membro del comitato
centrale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), «l’operazione israeliana
debilita tutti gli accordi raggiunti con Israele e rafforza la posizione politica di Hamas di non
riconoscere gi accordi firmati tra Israele e l’ANP». Lo stesso Saeb Erakat, principale negoziatore
palestinese, ha ammesso l’«impatto devastastante sullo status dell’ANP» della vicenda. Erakat ha
inoltre rilevato che il «messaggio» di Tel Aviv ratifica ai palestinesi che gli israeliani «pensano di
andare avanti con i loro piani unilaterali». In interviste tra la gente effettuate da France Press,
emerge che il sequestro di Saadat porterà solo più violenza e che «bisogna continuare con la
resistenza». La Commissione Europea, dal canto suo, con piroette verbali, ha chiesto alle parti di
«contenersi», ponendo sullo stesso piano aggressori ed aggrediti. Ha così mostrato ancora una volta
la sua subalternità all’alleato principale degli Stati Uniti nella regione, Israele appunto.
Palestina. 16 marzo. Quella di Gerico era una prigione «atipica». I carcerieri erano funzionari
dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), ma nelle torri e posti di vigilanza erano appostati
permanentemente soldati (non «osservatori») britannici e statunitensi, che «sorvegliavano» la
prigione, in virtù degli accordi tra ANP e Israele, USA, Gran Bretagna. I militari, armati fino ai
denti, si sono ritirati 15 minuti prima che l’esercito israeliano mettesse il carcere a ferro e fuoco,
senza proteggere l’integrità e la vita degli oltre 200 palestinesi prigionieri che stavano «vigilando».
Tra gli incarcerati alcuni dei più qualificati dirigenti della sinistra palestinese. Tra questi Ahmed
Saadat, che Israele accusa di essere tra i massimi responsabili della morte di Rehavam Zeevi,
ministro del Turismo, celebre per la sua ideologia di espulsione massiccia di tutta la popolazione
palestinese al fine di creare “Eretz Israel” (la “Grande Israele”). L’attentato, rivendicato dal braccio
armato del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), costituì una risposta
all’assassinio, il mese prima, del precedente segretario generale del FPLP, Abu Ali Mustafa, da
parte dell’esercito israeliano. È stato uno dei più duri colpi armati che Israele abbia ricevuto nella
sua storia. L’Alto Tribunale di Giustizia di Palestina aveva ordinato la scarcerazione di Saadat non
esistendo prove a suo carico. Con le elezioni del 25 gennaio era divenuto membro del nuovo
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Parlamento palestinese. Ahmed Saadat anche recentemente aveva ribadito la posizione del FPLP sul
conflitto: «la sola soluzione definitiva è la creazione di un unico Stato democratico in tutta la
Palestina storica (Gaza, Cisgiordania e quello che è oggi lo Stato d’Israele), in cui tutta la
cittadinanza abbia garantiti uguali diritti civili e politici. Questo indipendentemente dalla tendenza
religiosa di ciascun individuo, nel caso sia credente. Questo è un progetto di pace, non di guerra».
USA / Iran. / Iraq. 16 marzo. L’Iran «accetta di negoziare con gli americani» per risolvere i
problemi in Iraq. Così il segretario del Consiglio supremo della sicurezza. «L’Iran», ha dichiarato
Ali Larijani alla stampa dopo un intervento in Parlamento, «accetta la richiesta del nostro fratello
(il capo del principale partito sciita iracheno Abdul Aziz Hakim, ndr) per risolvere i problemi e le
questioni irachene allo scopo di creare un governo indipendente».
Nicaragua. 16 marzo. Esponente sandinista denuncia ingerenze USA in Nicaragua. Daniel Ortega,
segretario generale del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) ed ex presidente
nicarague nse (1985-1990), ha denunciato oggi che l’amministrazione statunitense si sta
impegnando a fondo per condizionare le elezioni nicaraguensi del 5 novembre prossimo ed
impedire il trionfo del suo partito. In conferenza stampa Ortega ha detto che questo obiettivo è stato
chiaramente indicato dal capo della Sicurezza USA, John Negroponte, che «si stanno muovendo
formidabili interessi che favoriscono il capitale e la politica interventista» di Washington, ed ha
indicato come esempio la recente visita in Nicaragua dell’ex presidente salvadoregno Armando
Calderón Sol. Questi, con il beneplacito di Washington, si è incontrato con Arnoldo Alemán e
Eduardo Montealegre per propiziare l’unità delle forze di destra. L’ex presidente Alemán,
nonostante sconti agli arresti domiciliari una condanna a 20 anni di carcere per corruzione, guida
ancora il Partito Liberale Costituzionalista, mentre il dissidente liberale Montealegre è notoriamente
il candidato degli Stati Uniti. Calderón Sol ha promesso finanziamenti del capitale salvadoregno per
la destra nicaraguense.
Nicaragua. 16 marzo. FSLN s’impegna con settori sociali del paese. È quanto scaturito
dall’Assemblea Sandinista Nazionale tenuta ieri sera a Managua. Gli oltre 300 delegati hanno
espresso appoggio ai lavoratori della sanità –in sciopero da circa quattro mesi- e a quelli dei
trasporti. In uno dei documenti, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) si è
impegnato a sviluppare, in un futuro governo sandinista, un sistema di sanità gratuito, di qualità e
che garantisca l’accesso alle medicine a tutti i nicaraguensi poveri. Respinte all’unanimità «le
reiterate e costanti dichiarazioni d’ingerenza» dell’amministrazione USA. Ribadita l’opposizione
al Trattato di Libero Commercio tra Stati Uniti e Centroamerica, il FSLN chiede l’approvazione di
leggi che proteggano la popolazione dagli effetti nocivi dell’accordo. Chiesti, tra l’altro, la
creazione di una Banca di Stimolo alla Produzione, l’applicazione di imposte alle compagnie
petrolifere, il salario minimo, una legislazione di Sicurezza ed Igiene Occupazionale, ed una Legge
dell’Acqua e Biosicurezza, per proteggere i settori vulnerabili. I delegati hanno dato mandato ai 38
deputati del FSLN all’Assemblea Nazionale di opporsi all’amnistia per l’ex presidente e reo per
corruzione Arnoldo Alemán. Il 17 e 18 maggio prossimo, congresso straordinario per ratificare
programma e candidati di FLSN e suoi alleati in vista delle elezioni del 5 novembre. Ortega sarà il
candidato alla presidenza della Repubblica.
Guatemala. 16 marzo. Pressioni USA sul Guatemala per il TLC. Washington continua a premere
per la riforma di almeno 10 leggi prima dell’entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio
(TLC). Una negoziazione che esperti, come l’economista Pablo Rodas, intervistato da Prensa
Latina, definiscono «umiliante nel contenuto e nella forma». Tra le leggi che Washington vuole che
si modifichino c’è quella sulle Comunicazioni, sulla Contrattazione di Stato e sulla Proprietà
Intellettuale. Su quest’ultima la Casa Bianca ha detto esplicitamente che intende proteggere i
brevetti farmaceutici ed i diritti d’autore dell’industria musicale e cinematografica statunitense.
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Sarebbero così fuori legge sia le cure medicamentose da estratti d’erba locale, sia le piccole imprese
che le producono, sia le famacie che le distribuissero. Le richieste in materia di telecomunicazioni
hanno come fine l’ingresso nel paese delle compagnie telefoniche statunitensi. Nell’elenco di leggi
di cui gli Stati Uniti esigono la modifica, ci sono anche il Codice di Commercio, la Legge di
Controllo Generale dei Conti e quella sull’Ambiente. Il viceministro dell’Economia, Enrique Lacs,
che guida la delegazione guatemalteca ai colloqui a Washington, ha detto che la Casa Bianca vuole,
«addizionalmente», cambiare regolamenti specifici in determinate aree, come le importazioni di
prodotti agricoli. Significativa l’affermazione di Lacs: «Sono riforme di leggi interne di
adeguamento al negoziato. Il TLC è lo stesso per tutti i paesi centroamericani».
Bolivia. 16 marzo. Liberi ieri, su cauzione (40mila euro ognuno), due dirigenti dell’impresa
Andina, filiale della multinazionale spagnola Repsol YPF. Sul direttore generale di Andina, lo
spagnolo Julio Gavito, e sul suo direttore delle operazioni, l’argentino Pedro Sánchez, pesa l’accusa
di contrabbando di greggio. Inizialmente i due si erano dati alla latitanza, dando una pessima
immagine della multinazionale spagnola. Poi si sono consegnati e hanno rilasciato dichiarazioni che
il procuratore ha detto di ritenere utili all’inchiesta e che porterà, nei prossimi giorni, all’audizione
di altri rappresentanti della compagnia petrolifera. Al centro dell’inchiesta un presunto
contrabbando di 230.400 barili di petrolio per un ammontare superiore ai 9,2 milioni di dollari. Il
ministro boliviano, Juan Ramón Quintana, ha assicurato, ieri, che il governo del presidente Evo
Morales non interferirà nell’inchiesta in corso.
Euskal Herria. 17 marzo. Grande-Marlaska emula Garzon: «Ha obbedito alle direttive di ETA» e
così finisce in carcere anche Juan Mari Olano, portavoce nazionale dell’organizzazione Askatasuna,
organismo che si occupa del collettivo delle prigioniere e dei prigionieri politici baschi.
Nello specifico il giudice Fernando Grande-Marlaska, basandosi su rapporti di polizia, accusa
Olano di essere stato «induttore di 108 atti violenti» e «parte integrante» della giornata di sciopero
e mobilitazione (9 marzo scorso, ndr), iniziativa «promossa dal fronte militare (ETA, ndr) e
posteriormente assunta, diretta e coordinata dai fronti politico-istituzionale e ‘di massa’».
Euskal Herria. 17 marzo. Arrestato, ieri, anche Juan Jose Petrikorena, responsabile stampa di
Batasuna. Il giudice Fernando Grande-Marlaska gli imputa «il reato di integrazione in
organizzazione terrorista» e «l’induzione di disordini pubblici con fini terroristici», con riferimento
alla giornata di sciopero del 9 marzo scorso indetta in segno di protesta per la morte in carcere dei
due prigionieri politici Igor Angulo e Roberto Sainz. Su Pernando Barrena, portavoce nazionale di
Batasuna, il magistrato ha fissato una cauzione di 200mila euro, da depositare entro una settimana.
Analogo provvedimento per Rafa Díez, segretario generale del sindacato LAB: per lui la cauzione è
di 100mila euro. Contro Arantza Zulueta, avvocatessa del collettivo delle prigioniere e dei
prigionieri politici baschi, il giudice non ha adottato misure cautelari.
USA / Russia. 17 marzo. Involuzione nei rapporti USA-Russia? Parrebbe di sì, stando a due
documenti di recente pubblicati negli Stati Uniti. Il primo, “Country Reports on Human Rights
Practices 2005”, datato 8 marzo 2006, è stato redatto dall’Ufficio della democrazia, diritti umani e
lavoro del Dipartimento di Stato; il secondo, datato marzo 2006, è un rapporto speciale scritto da
una “task force” indipendente dell’US Council on Foreign Relations dal titolo “Russia’s wrong
direction: what the United States can and should do”. Il documento del Dipartimento di Stato
prende in esame 196 Stati; alla Russia è dedicata una sezione di circa 30 pagine in cui si
evidenziano gli sviluppi in senso negativo nel campo dei diritti umani. L’attenzione è rivolta
soprattutto alle riforme legislative, alla nomina diretta dei governatori delle regioni da parte del
presidente, alle continue restrizioni ai media, alla corruzione e all’arbitrarietà nella applicazione
della legge e alle provocazioni nei confronti delle Organizzazioni Non Governative. A questo
sommario elenco di problemi segue una analisi dettagliata di situazioni specifiche, alcune di politica
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internazionale, come la situazione in Cecenia e più in generale nel Caucaso, altre legate a fattori
interni quali i fenomeni di prevaricazione (nonnismo) nell’ambito delle forze armate.
USA / Russia. 17 marzo. Mosca ha reagito soprattutto al rapporto dell’US Council on Foreign
Relations. Il 7 marzo la Pravda ha titolato: «Un’altra guerra fredda pronta a scoppiare tra Russia e
USA quando Putin e Bush lasceranno». In sostanza, solo i buoni rapporti personali tra i due
presidenti consentirebbero al momento di porre in secondo piano i motivi di disaccordo tra i due
Paesi. Il rapporto esamina in dettaglio, oltre ai diritti umani già ampiamente trattati nel documento
del Dipartimento di Stato, problemi molto vicini alla cronaca recente e quindi ancora suscettib ili di
sviluppi tanto da indurre a pensare che se ne faccia un uso strumentale. Emergono tra tutti
l’attitudine della Russia a considerare le sue esportazioni di energia come strumento di pressione
politica, il contrasto tra le due potenze per l’influenza che ciascuna intende esercitare nel Caucaso,
la divergenza di vedute che si sta manifestando sulla lotta al “terrorismo”. Quest’ultima in
particolare è messa in relazione alle pressioni esercitate da Mosca su Kirghizistan e Uzbekistan per
la chiusura delle basi USA e alla mossa a sorpresa con cui Putin ha invitato in Russia i
rappresentanti di Hamas, che per gli USA rimane un «gruppo terroristico» palestinese.
USA / Russia. 17 marzo. Sui rapporti tra NATO e Russia, gli autori del rapporto dell’US Council
on Foreign Relations non lesinano raccomandazioni e avvertenze: «Nel lungo termine l’esistenza
del Consiglio NATO-Russia deve essere giustificata in termini analoghi a quelli di una effettiva
appartenenza all’Alleanza. […] Gli USA favoriscono –e devono continuare a favorire– l’inclusione
della Russia. Ma la sua integrazione, per dare risultati veramente positivi, deve avere solide basi. A
quindici anni dalla fine della Guerra Fredda le basi sono molto più deboli di quanto dovrebbero
essere». Tra gli esponenti del gruppo che ha redatto il rapporto spiccano l’ex candidato
repubblicano alla vice presidenza nel 1996 Jack Kemp e l’ex senatore democratico John Edwards.
La Pravda ha citato entrambi per aver dichiarato che il G8 non sarebbe una organizzazione di durata
infinita e «potrebbe facilmente tornare ad essere di nuovo Gruppo dei 7».
USA. 17 marzo. L’amministrazione USA è pronta, malgrado l’Iraq, a compiere attacchi
«preventivi» contro altri paesi che ritiene una minaccia. Bush ribadisce la dottrina prevent iva degli
Stati Uniti ed indica nell’Iran il «nemico numero uno». Washington rilancia come fece con l’Iraq di
Saddam Hussein e dice: Teheran «appoggia il terrorismo» e «manca di democrazia». La «nuova»
strategia non risparmia critiche anche a Cina e Russia. Sono queste le principali conclusioni della
Strategia di Sicurezza Nazionale che l’amministrazione Bush ha reso pubblica ieri. «Non scartiamo
l’impiego della forza prima che si producano attacchi, anche se persiste incertezza sulla data ed il
luogo dell’attacco del nemico», recita il testo. Il documento si articola in una panoramica iniziale,
nove capitoli e una conclusione. I nove capitoli hanno la stessa struttura: un breve richiamo alla Nss
(National Security Strategy) del 2002, un paragrafo sui successi ottenuti e le sfide da affrontare e un
paragrafo sulla strada ancora da percorrere. Tra le basi della dottrina preventiva: l’infallibilità delle
informazioni di intelligence per prevedere la «capacità e le intenzioni del nemico», con buona pace
delle menzogne sulle inesistenti armi di distruzione di massa irachene. In visita in Australia, la
segretaria di Stato USA, Condoleezza Rice, ha ribadito le sue accuse all’Iran («è la banca centrale
del terrorismo») ed ha aggiunto che si tratta di «uno Stato problematico governato da un piccolo
gruppo non eletto che reprime i desideri della popolazione». Il documento contiene critiche alla
Cina sia pur avvolte in un linguaggio involuto (vi albergano «forme antiche di pensiero e di azione»
nella sua ricerca di risorse energetiche) e alla Russia (c’è un «impegno decrescente in tema di
libertà democratiche»). La Siria, infine, viene considerata «patrocinatrice del terrorismo».
Salvador. 17 marzo. Menjivar, del FMLN, è stata proclamata nuovo sindaco della capitale, San
Salvador. La candidata del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale (FMLN), Violeta
Menjivar, 54 anni, medico ed ex guerrigliera, ha vinto di stretta misura (44 voti di vantaggio) il
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testa-a-testa con il partito governativo di destra ARENA. Il FMLN amministra la capitale per la
quarta volta dal 1997. «Il trionfo elettorale di una donna in Salvador è un trionfo della lotta per la
democrazia, nonostante l’inconsistenza del sistema elettorale del mio paese», ha dichiarato
Menjivar. La sua vittoria è stata riconosciuta dal Tribunale Supremo Elettorale dopo una serrata
battaglia con l’esponente di Arena, Rodrigo Samayoa. Quest’ultimo si era autoproclamato vincitore
a scrutinio non ancora ultimato, spalleggiato dal presidente Saca. Dal giorno successivo al voto,
grazie anche al tam-tam dell’emittente radiofonica Maya Vision (legata al FMLN), migliaia di
militanti del FMLN avevano vegliato nella piazza principale di San Salvador denunciando
irregolarità e brogli, rimanendovi finché il Tribunale Supremo Elettorale ha accertato la vittoria di
Menjivar.
Salvador. 17 marzo. Il FMLN ha ottenuto 32 deputati alle elezioni dello scorso 12 marzo ed è
divenuto il partito con il maggior numero di rappresentanti nel massimo organo legislativo di El
Salvador. Un totale di 3,8 milioni di salvadoregni hanno eletto 84 deputati dell’Assemblea
Legislativa e 262 sindaci, oltre ad una ventina di deputati per il Parlamento Centroamericano
(Parlacen).
Salvador. 17 marzo. Lo scorso 1° marzo è entrato in vigore il Trattato di Libero Commercio tra
Salvador e Stati Uniti. Menjivar, neosindaca di San Salvador, ha detto che la sua amministrazione
respingerà il trattato e non scarta «la possibilità di cercare accordi con istituzioni di paesi amici,
come Venezuela, Bolivia, Argentina e Brasile». Ha espresso apprezzamento, infine, per
l’Alternativa Bolivariana portata avanti dal governo del Venezuela.
Bolivia. 17 marzo. TCP, non TLC. «Non negozieremo mai un Trattato di Libero Commercio (TLC,
ndr) con gli Stati Uniti». È quanto ha dichiarato il presidente Evo Morales, che ha proposto come
alternativa il Trattato di Commercio dei Popoli (TCP). Il TCP «significa che il piccolo produttore, il
microimprenditore, le cooperative, le associazioni, le imprese comunitarie, i poveri ed i loro
prodotti, abbiano un mercato», ha spiegato Morales.
Australia. 17 marzo. «Lei è una criminale di guerra». Con queste parole un professore australiano
ha apostrofato, a Sydney, la segretaria di Stato USA, Condoleezza Rice. Ed ha aggiunto: «Le sue
mani sono sporche di sangue iracheno e non può lavarsele». La Rice ha ironicamente apprezzato la
libertà universitaria in Australia ed ha detto di desiderare lo stesso per l’Iran, l’Iraq e l’Afghanistan.
«Di quale libertà parla? Per gli iracheni lei è un’assassina», ha replicato il professore, che è stato
quindi arrestato insieme ad altri manifestanti. Non è stata l’unica protesta che ha accompagnato la
visita della Rice in Australia. Forte tensione anche nel corso della sua presenza al Conservatorio
della città.
Palestina. 18 marzo. «Uno Stato palestinese entro i confini di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme
est». Questo chiede Hamas per rinunciare alla violenza e riconoscere il diritto d’Israele ad esistere.
Lo ha dichiarato, alla televisione statunitense Cbs, Ismail Haniyeh, primo ministro palestinese.
Hamas vuole dunque uno Stato palestinese nei territori occupati nel 1967. In pratica è anche quanto
previsto dall’ONU. Finché questo non sarà realizzato («solo a quel punto potrà esserci lo spazio
per colloqui»), per Haniyeh il diritto alla lotta armata continuerà ad essere rivendicato da Hamas.
Irlanda del Nord / USA. 19 marzo. Adams trattenuto all’aeroporto di Washington. Gerry Adams,
presidente del Sinn Féin, è stato sottoposto ad una perquisizione straordinaria all’aeroporto di
Washington, giacché il suo nome figura in una lista di «sospetti di terrorismo». Lo ha reso noto il
congressista democratico Brian Higgins. L’incidente si è prodotto ore dopo la partecipazione di
Adams ad un ricevimento alla Casa Bianca per commemorare il giorno di San Patrizio, insieme al
primo ministro irlandese, Bertie Ahern.
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Catalogna. 19 marzo. ERC voterà contro la riforma dello Statuto al Congresso. Lo ha deciso ieri la
direzione di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC). Il progetto, modificato da accordi tra CiU
(moderati autonomisti catalani) e PSOE (socialisti spagnoli), sarà sottoposto a votazione il prossimo
30 marzo. Carod-Rovira, esponente della formazione, ha spiegato che il testo è molto differente da
quello uscito dal Parlamento e che non colma le aspirazioni del paese. La direzione del partito
sarebbe disposta a cambiare atteggiamento se si producessero miglioramento nel testo. Prima
dell’approvazione definitiva, il progetto dovrà passare al Senato, e se questa camera introdurrà
modifiche, tornerà al Congresso.
Gran Bretagna / Iraq. 19 marzo. Triplicati i disertori, a tre anni dall’inizio del conflitto. Nel 2005
oltre 380 militari britannici si sono resi irreperibili sul fronte iracheno.
Bielorussia. 19 marzo. I bielorussi eleggono oggi il loro presidente. Circa sette milioni di
bielorussi decideranno se prolungare il mandato dell’attuale presidente, Alexander Lukashenko, al
potere dal 1994 e nella lista nera degli Stati Uniti, oppure votare uno dei tre candidati
dell’opposizione (Alexander Milinkevich, Aleksander Kozulin e Sergei Haydukevich), che hanno il
visto buono dell’Occidente. Un sondaggio recente dell’Istituto russo di Inchiesta dell’Opinione
Pubblica segnalava che un 60% inclinerebbe per Lukashenko. Vari organismi internazionali hanno
denunciato irregolarità, arresti e minacce in questa campagna elettorale.
Euskal Herria. 20 marzo. L’ETA rivendica 9 attentati compiuti da metà febbraio e denuncia «i
politici carcerieri che utilizzano i detenuti come ostaggi politici». L’organizzazione
politico/militare basca ha affermato che la «lotta per la liberazione» continua. ETA denuncia quindi
la morte «sospetta» di due detenuti, Roberto Sainz e Igor Angulo, che riflette «la situazione di
oppressione che soffrono ogni giorno i prigionieri politici baschi», ed i recenti arresti contro
esponenti del partito illegalizzato Batasuna. L’accusa per alcuni dirigenti è di essere responsabili dei
disordini avvenuti durante il recente sciopero generale nel Paese Basco.
Bielorussia. 20 marzo. Gli USA chiedono che la Bielorussia torni alle urne, dopo che l’OSCE ha
giudicato una farsa il voto che ieri ha rieletto Alexander Lukashenko. Il portavoce della Casa
Bianca ha ipotizzato l’adozione di sanzioni, aggiungendo che l’Amministrazione sta cons iderando
anche «limitazioni di viaggio». Intanto il presidente russo Vladimir Putin si è congratulato con
Lukashenko per la vittoria nelle presidenziali. Dopo la Casa Bianca è arrivato il Parlamento europeo
che ritiene che Lukashenko «non possa essere riconosciuto come presidente legittimo della
Bielorussia». Per Strasburgo, le elezioni non sono state «libere, corrette e democratiche» ed è
quindi necessario adottare sanzioni.
Bielorussia. 20 marzo. Controllando la Bielorussia «si chiuderebbe l’accerchiamento della NATO
contro Mosca sul suo fianco euro-occidentale; inoltre in Bielorussia si trova il sistema di radar che
avverte Mosca di virtuali operazioni dell’Alleanza Transatlantica», scrive Odalys Buscaron
sull’agenzia cubana Prensa Latina. «Senza contare», aggiunge, «che Minsk rappresenta il bastione
più importante per il Cremlino nello spazio post-sovietico». Questo per dire che, nonostante i suoi
soli 200mila km2 , la Bielorussia rappresenta un interesse geostrategico, non solo per essere rotta di
uscita del gas russo.
Palestina. 20 marzo. Abbas potrà destituire Haniyeh se vi sarà crisi finanziaria. Il presidente
dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen (Mahmoud Abbas), darà il via libera al
governo guidato da Ismail Haniyeh (Hamas), ma se l’ANP si troverà in crisi finanziaria per il
congelamento degli aiuti internazionali, potrà destituirlo. Lo ha detto oggi il negoziatore palestinese
Saeb Erekat, citato dalla radio israeliana. Intanto il Fronte Popolare per la Liberazione della
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Palestina (FPLP) ha comunicato che non entrerà nell’Esecutivo. Alla stampa Kayed Al Ghul,
membro dell’ufficio politico del FPLP, ha motivato la decisione perché «il suo (di Hamas, ndr)
programma politico si contraddice con quello dell’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina (OLP)».
Libia. 21 marzo. Gheddafi dice che il governo iracheno è illegittimo. L’esponente libico,
Muhammar Al Gheddafi, ha dichiarato ieri, all’emittente italiana Sky TG24 che l’attuale governo
iracheno non è legittimo dal momento che è stato eletto sotto «un regime d’occupazione straniera».
Ha aggiunto che Saddam Hussein è ancora «il presidente legale» dell’Iraq, giacché «non è stato
deposto dal suo popolo ma da una forza d’occupazione».
Iran. 21 marzo. La guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha chiesto agli Stati Uniti di
andar via dall’Iraq. «Il nostro punto di vista sull’Iraq», ha detto Khamenei ai pellegrini nella città di
Mashhad, «è chiarissimo: il governo americano dovrebbe lasciare il Paese, smetterla di provocare
le tribù e di creare insicurezza, perché il popolo iracheno possa governare da sé il proprio paese.
Non parleremo con gli americani di nessun altro argomento», ha aggiunto.
Iraq. 21 marzo. L’ultimo ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri, era stato, all’epoca di Saddam
Hussein, un informatore della CIA. A favorire il contatto tra Sabri e la CIA fu lo spionaggio
francese durante una visita del diplomatico a New York, nel settembre 2002, per partecipare
all’Assemblea Generale dell’ONU. Lo ha rivelato ieri sera l’emittente NBC. Dalla CIA avrebbe
avuto oltre 100mila dollari. La collaborazione sarebbe finita dopo il rifiuto di Sabri a rifugiarsi in
USA. Sabri non è comunque stato arrestato dopo l’invasione e l’occupazione del paese arabo.
Israele. 21 marzo. Olmert annuncia cambi di frontiera. Ehud Olmert, successore di Ariel Sharon
alla guida di Kadima e del governo israeliano, insiste nel voler imporre nuove frontiere ai
palestinesi con l’avallo degli Stati Uniti. In dichiarazioni alla radio dell’esercito, Olmert ha detto
che le frontiere tra il territorio di Israele e quello della Cisgiordania «saranno sensibilmente
differenti rispetto a quelle di oggi». Entro il 2010 Israele le stabilirà definitivamente. Della serie:
annettere altro territorio palestinese per far sì che quello palestinese sia uno Stato bantustan.
Nepal. 21 marzo. La guerriglia nepalese uccide 13 poliziotti in un’imboscata a Kavrepalanchowk,
50 km ad est della capitale. Nel distretto di Jhapa (600 km circa a sudest di Katmandú e a 50 km
dalla frontiera con l’India) attaccato un commissariato. Uccisi almeno dieci poliziotti. L’esercito
nepalese ha reagito annunciando un’operazione nel distretto centrale di Dhading e l’uccisione di
almeno venti guerriglieri. Si tratta dei primi rilevanti scontri dopo il blocco delle strade che la
guerriglia ha imposto per sei giorni e che paralizzerà il paese fino a domenica. L’azione s’inquadra
nell’offensiva militare dei maoisti che è combinata con una mobilitazione politica che sfocerà nello
sciopero generale ed in una massiccia manifestazione di protesta contro il regime assolutista del re
Gyanendra per i primi di aprile.
Uzbekistan. 21 marzo. L’ACNUR deve lasciare il paese. Il governo uzbeco ha ordinato ai membri
dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) di abbandonare l’Uzbekistan entro un
mese. L’ACNUR si stava dando da fare per impedire agli uzbeki che ricercano asilo in altri Stati di
poter essere poi rimpatriati.
USA / Sudan. 21 marzo. La NATO è pronta ad intervenire nel Darfur, la regione del Sudan teatro
da anni di scontri, se l’ONU gliene darà mandato. Lo ha detto a Washington il segretario generale
della NATO Jaap de Hoop Scheffer, in conferenza stampa. Poco prima era stato ricevuto alla Casa
Bianca e aveva incontrato il segretario di Stato Condoleezza Rice, il suo assistente Nicholas Burns e
il capo del Pentagono Donald Rumsfeld. Nell’incontro con de Hoop Scheffer, il presidente
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statunitense George W. Bush ha detto che, quando l’attuale missione dell’Unione Africana si
trasformerà in una missione dell’ONU, «la NATO potrà muoversi con l’aiuto degli Stati Uniti per
far capire al governo del Sudan che abbiamo intenzione di garantire la sicurezza della gente (nel
Darfur, ndr)». Facendo eco a Bush, de Hoop Scheffer si è detto sicuro che, una volta ottenuto il via
libera dell’ONU, «gli alleati saranno pronti a fare più di ora, costituendo una forza delle Nazioni
Unite nel Darfur». Nei suoi colloqui a Washington, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha
discusso, fra l’altro, i progetti di rafforzamento e di trasformazione della NATO per far fronte alle
nuove «sfide» (leggi: politiche imperiali di Washington, ndr) e rafforzare la «partnership
transatlantica» (leggi: dipendenza da Washington, ndr).
USA / Russia. 21 marzo. Mosca esprime preoccupazione per la nuova National Security Strategy
degli USA. Ieri il ministro degli Esteri russo ha affermato che potrebbe peggiorare le relazioni
bilaterali. Ne dà notizia la Ria-Novosti. La National Security Strategy, pubblicata il 16 marzo,
«ribadisce che le recenti tendenze in Russia indicherebbero una diminuita aderenza alle libertà e
alle istituzioni democratiche», ha proseguito il ministro russo, che si è chiesto: «ciò sta forse a
indicare che si prospettano tempi difficili in un prossimo futuro per le relazioni russo-americane?».
Il ministro ha quindi affermato che il documento dimostra una ulteriore ideologizzazione della
politica estera USA. «D’ora in poi il criterio principale per lo sviluppo delle relazioni degli USA
con gli altri Paesi sarà l’osservanza o la non osservanza […] della interpretazione americana della
democrazia e della necessità di combattere regimi (politici, ndr) indesiderati dal punto di vista di
Washington».
USA / India / Russia. 21 marzo. Washington esprime contrarietà alla decisione russa di fornire
combustibile nucleare all’India. Lo segnala l’agenzia Xinhua. Questa transazione, ha detto Nicholas
Burns, sottosegretario di Stato per gli affari politici, non dovrebbe avere luogo finché l’India non
avrà onorato il suo contratto nucleare con gli USA. Il primo ministro russo Mikhail Fradkov, atteso
in India il prossimo 23 marzo, dovrebbe firmare con il pari funzione indiano, Manmohan Singh, un
accordo per la fornitura di 60 tonnellate di uranio. Gli USA hanno firmato agli inizi di questo mese
un accordo che rende possibile il trasferimento di tecnologia nucleare all’India. In cambio l’India ha
accettato di separare le sue infrastrutture nucleari militari da quelle civili e di porre queste ultime
sotto «tutela internazionale», cioè statunitense.
USA. 21 marzo. Generale della riserva USA ha chiesto ieri le dimissioni di Rumsfeld. Il generale
Paul Eaton ha definito «incompetente strategicamente» il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld.
Secondo Eaton, Rumsfeld «ha posto il Pentagono alla mercé del suo ego, della sua visione del
mondo dell’epoca della Guerra Fredda e della sua fiducia poco realista nella tecnologia come
sostituta del lavoro umano».
Perù. 21 marzo. L’incubo Humala scuote gli ambienti politici del paese. L’ascesa dell’ex militare
Ollanta Humala, ormai al primo posto nei sondaggi per le presidenziali del 9 aprile, sta
compattando gli altri candidati, in particolare Lourdes Flores (fino a ieri favorita nelle inchieste) e
Alan García, uniti contro la minaccia “antisistema” dell’ex militare. Gonzalo García, teorico del
movimento di Humala (“Unione per il Perù”), ha dichiarato che in caso di vittoria vi sarà una
profonda trasformazione dell’economia, con la nazionalizzazione di settori strategici e il
cambiamento del modello di esportazione: non più materie prime, ma prodotti industrializzati.
Bolivia. 21 marzo. «L’educazione è uno strumento di liberazione dei popoli». Queste le parole del
presidente Morales nel dare avvio alla campagna di alfabetizzazione. Con l’aiuto dei governi
venezuelano e cubano un milione e 200.000 boliviani delle regioni più povere impareranno a
leggere e scrivere. Il metodo d’insegnamento cubano, denominato “Yo sí puedo”, verrà portato
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avanti –ha spiegato il ministro dell’Istruzione di La Paz, Félix Patzi– non solo in spagnolo, ma nelle
lingue indigene guaraní, quechua e aymara.
Bolivia. 21 marzo. Nel corso di una cerimonia a Camiri (Santa Cruz), dove quarant’anni fa Che
Guevara iniziò la sua lotta guerrigliera, Morales si è impegnato a nazionalizzare gli idrocarburi e a
rifondare la compagnia petrolifera Ypfb (“Yacimientos Petrolíferos Fiscales de Bolivia”) entro il 12
luglio.
Bielorussia. 22 marzo. Ambasciatori dei paesi dell’Unione Europea, con giornalisti al seguito,
visitano gli oppositori concentrati a Minsk, che rifiutano il responso elettorale, per presunti brogli,
che ha portato alla rielezione presidenziale di Alexander Lukashenko. La delegazione, guidata
dall’ambasciatrice della Lettonia, Maira Mora, era formata dai rappresentanti di Francia, Gran
Bretagna, Germania e Italia, oltre agli incaricati d’affari ceco e slovacco. Stéphane Chmelevsky
(Francia) ha detto: «veniamo a vedere se il diritto costituzionale di riunione è rispettato».
USA. 22 marzo. “Giornata dell’immigrato” negli States. Per un giorno gli immigrati clandestini
negli USA si assenteranno dal posto di lavoro in alberghi, cucine dei ristoranti, eccetera, per
dimostrare che non si può fare a meno di loro. Questa manifestazione, assieme a marce e
manifestazioni di protesta con migliaia di partecipanti a Washington, New York e Chicago, è legata
al voto del Senato, previsto tra due settimane, sull’immigrazione. La Camera, nei mesi scorsi, ha
approvato una legge sull’immigrazione, messa a punto dal repubblicano James Sensenbrenner, che
prevede tra le altre cose maggiore libertà di arresto per le polizie locali, la
criminalizzazione delle attività di chi assiste i clandestini, la realizzazione di una
controversa barriera anti- immigrati lungo il confine con il Messico. Proteste dai vertici
della Chiesa cattolica. L’arcivescovo di Los Angeles, cardinale Roger Mahony, ha
espresso il proprio dissenso con un editoriale sul New York Times nel quale invita
sostanzialmente alla disobbedienza civile. Mahony ha ribadito di aver dato disposizione
perché i preti della diocesi non rispettino leggi che criminalizzano l’aiuto agli immigrati,
anche a costo di finire in manette. «Negare l’aiuto a un altro essere umano vìola una legge di
un’autorità più alta del Congresso: la legge di Dio», ha affermato l’arcivescovo di Los Angeles.
Nicaragua. 22 marzo. Comandante sandinista condanna aggressione USA in Iraq. Il comandante
sandinista Thomas Borge, l’unico ancora in vita dei fondatori del Fronte Sandinista di Liberazione
Nazionale ha detto oggi all’agenzia Prensa Latina che l’intervento degli Stati Uniti in Iraq
costituisce il fatto più rilevante nella storia delle aggressioni, solo superato dai crimini del nazismo
e della guerra del Vietnam.
Venezuela / Nicaragua. 22 marzo. Annunciato per aprile un accordo petrolifero tra Venezuela e
Nicaragua. L’accordo tra l’Associazione dei Sindaci del Nicaragua e la compagnia statale
“Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA)” per la fornitura del combustibile sarà firmata il 25 aprile, a
Caracas, nel quadro di una cerimonia solenne. Lo ha annunciato oggi il sindaco di Managua, il
sandinista Dionisio Marenco. L’accordo è frutto di un minivertice svoltosi a Cuba tra paesi
latinoamericani e dei Caraibi, nel corso del quale il segretario del Fronte Sandinista, Daniel Ortega,
ha raggiunto un accordo con il Presidente venezuelano, Hugo Chávez, per la fornitura al Nicaragua
di petrolio venezuelano a basso costo. L’ambasciatore del Venezuela, Miguel Gómez, ha richiamato
altre esperienze di questo tipo con Argentina ed Uruguay: «il pagamento del petrolio avviene con
l’esportazione di carne e prodotti agricoli e la cosa interessante è che questa forma evita l’uscita di
divisa straniera (dollari, ndr)». Il fine, in questo modo, è vanificare i tentativi «imperialistici» degli
Stati Uniti di legare a sé i paesi latino-americani con i Trattati di Libero Commercio bilaterali.
Secondo il sindaco Marenco, le favorevoli condizioni di pagamento concesse dalla PDVSA daranno
l’opportunità di investire in progetti sociali. «Per esempio, potremo rinnovare tutta la flotta di
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autobus del trasporto pubblico, comprare case, rilanciare progetti di produzione». Il presidente
venezuelano, Hugo Chávez, si è mostrato interessato a stimolare la produzione dell’agroallevamento in Nicaragua, i cui prodotti costituirebbero la forma di pagamento. Marenco ha
aggiunto che l’accordo è simile a quello firmato nei giorni scorsi dalla PDVSA con la salvadoregna
Associazione Intermunicipale Energia per El Salvador (ENEPASA).
Salvador / Venezuela. 22 marzo. Dirigenti salvadoregni soddisfatti per accordo con Venezuela. I
dirigenti dell’impresa “Energia per El Salvador” (ENEPASA) hanno manifestato oggi il loro
ottimismo dopo l’accordo con la “Petróleos de Venezuela S.A (PDVSA)” per l’importazione di
combustibile venezuelano. Questo consta di due direttrici: 1. creazione di un’impresa mista tra PDV
Caribe e ENEPASA; 2. costruzione dell’infrastruttura necessaria per la ricezione,
immagazzinamento e distribuzione di combustibile. Secondo Carlos García Ruiz, presidente di
ENEPASA, l’accordo permetterà di trarre combustibile più a buon mercato. Ne beneficerà la
popolazione perché con questa riduzione di prezzi si abbasserà pure il costo di altri prodotti e si
riattiverà l’economia nazionale. Joaquín Herrera, presidente dell’Associazione del Trasporto
Pubblico, ha preannunciato consistenti diminuzioni dei prezzi dei trasporti. Julio Villagrán,
presidente dell’Associazione di Distributori dei Prodotti Derivati del Petrolio, è convinto che
l’ingresso della PDVSA nel mercato salvadoregno degli idrocarburi costringerà le imprese
transnazionali ad abbassare i loro prezzi. L’accordo è stato firmato lo scorso lunedì a Palazzo
Miraflores, sede del governo venezuelano, alla presenza del presidente Hugo Chávez e del ministro
dell’Energia e Petrolio, Rafael Ramírez. ENEPASA è costituita, fondamentalmente, da municipi
governati dal Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale ed è nata come alternativa per
uscire dalla crisi energetica.
Bolivia. 22 marzo. Morales accusa Washington di essere dietro due attentati, ieri, a La Paz, contro
altrettanti hotel che hanno causato la morte di due persone ed il ferimento di otto. Arrestati oggi,
dalla polizia, con l’accusa di essere autori degli attentati, uno statunitense, Claudio Lestat, con
precedenti penali per «terrorismo in Argentina» ed in altri paesi, ed una uruguagia, Alda Ribeiros.
Secondo il presidente boliviano, che ha fatto il punto della situazione con il suo consiglio dei
ministri ed i suoi più stretti collaboratori, gli attentati mirerebbero a «spargere paura, smarrimento,
far ritenere che il governo di Evo Morales non è in grado di controllare» il paese. Il presidente
boliviano ha anche accusato «imprenditori che non praticano la solidarietà» ed «alcuni gruppi
oligarchici» che usano «agenti esterni» per evitare i mutamenti in atto nel paese. Il vicepresidente
boliviano, Alvaro García Linera, ha dal canto suo rilevato che gli attentati si possono al momento
ritenere «preoccupanti ma isolati».
Bolivia. 22 marzo. Il presidente di Repsol in Bolivia presenta le dimissioni. La petrolifera spagnola
Repsol lo ha annunciato ieri. Julio Gavito, presentando le dimissioni, ha dichiarato «infondata»
l’accusa di contrabbando di petrolio. L’inchiesta comunque prosegue.
Argentina. 22 marzo. L’acqua torna pubblica. Il governo Kirchner ha dato vita alla società
anonima “Aguas y Saneamiento Argentino”, le cui azioni saranno per il 90% in mano allo Stato e
per il 10% ai lavoratori. La decisione pone fine a un lungo braccio di ferro con la privatizzata
“Aguas Argentinas” (gestita dalla compagnia francese Suez), accusata dall’esecutivo di
inadempienze e irregolarità. Lo scontro si era acuito lo scorso anno, quando il governo aveva
respinto la richiesta di un aumento delle tariffe e aveva contestato alla concessionaria la mancanza
di investimenti e la presenza, nell’acqua potabile, di alti livelli di nitrati.
Euskal Herria. 23 marzo. L’ETA ha annunciato, in un comunicato pubblicato dal quotidiano
Gara, che la tregua permanente inizierà alla mezzanotte del 24 marzo. L’ETA ribadisce che vuole
giungere attraverso «il dialogo, il negoziato e l’accordo» ad un «quadro democratico» nel quale
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siano riconosciuti i diritti che «come Popolo ci spettano ed assicurare per il futuro la possibilità di
sviluppo di tutte le opzioni politiche». Nel comunicato –in lingua basca, spagnola e francese– ETA
invita Spagna e Francia a rispondere alla tregua «lasciando da parte la repressione e mostrando la
volontà di una soluzione negoziata». Alla fine di questo processo «i cittadini baschi devono avere
la parola e la decisione sul loro futuro» che gli Stati spagnolo e francese dovranno «riconoscere»,
«senza alcun tipo di limitazione». In questo modo, prosegue ETA, si otterrebbe «una vera
situazione democratica per Euskal Herria, superando il conflitto di lunghi anni e costruendo una
pace basata sulla giustizia. Ribadiamo il nostro impegno di continuare, in futuro, a compiere passi
in accordo con questa volontà. Il superamento del conflitto, qui ed ora, è possibile. Questo è
il desiderio e la volontà di ETA».
Euskal Herria. 23 marzo. Un’«opportunità di proporzioni storiche» per risolvere il conflitto in
Euskal Herria. Così in conferenza stampa a Belfast Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, si è
pronunciato sul cessate- il- fuoco dell’ETA. Il Sinn Féin mantiene stretti rapporti con l’illegalizzata
Batasuna. Adams ha anche scritto al presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez
Zapatero, dicendo che «l’obiettivo del nostro partito (Sinn Féin, ndr) è la promozione della
risoluzione del conflitto (basco, ndr) ed aiutare umilmente in tutto quel che possiamo». A suo
parere, la chiave per progredire sta nello stabilire un «processo integratore di dialogo, nel quale
tutti i partecipanti siano trattati con uguaglianza». Ha quindi chiesto a Zapatero «la cessazione
immediata» dei processi contro i rappresentanti della formazione abertzale (patriottica, ndr),
«incluso Arnaldo Otegi».
Serbia-Montenegro. 23 marzo. Il presidente della Federazione Montenegrina di Calcio, Dejan
Savicevic, ha ricevuto l’incarico di guidare la transizione verso la messa in essere di una lega
autonoma, cioè montenegrina. Savicevic, ex giocatore della Stella Rossa e del Milan, ha annunciato
che «la nostra Federazione sarà indipendente in tutto, anche economicamente. Credo che avremo
meno stress che dentro l’attuale Lega serbo-montenegrina». Ed ha aggiunto: «ormai non possiamo
continuare a stare insieme (con la Serbia, ndr)». La repubblica balcanica del Montenegro celebrerà
il 21 maggio il suo referendum di indipendenza.
Russia / Cina. 23 marzo. Conclusa la due giorni di Putin in Cina, iniziata il 21. Il presidente russo
Vladimir Putin era accompagnato da una delegazione di circa 1.000 persone, tra cui i vertici delle
maggiori società energetiche (Gazprom, Rosfnet e Transfnet) e il presidente delle ferrovie russe.
Negoziati dozzine di accordi. Tra questi, Gazprom, la società russa che detiene il monopolio del gas
naturale, ha firmato con la cinese Cnpc (China National Petroleum Corporation) un memorandum di
cooperazione per la costruzione di due gasdotti dalla Siberia occidentale e orientale verso la Cina.
Messe a punto, in generale, quattro aree di sviluppo cooperativo: scambi di macchinari ed
equipaggiamenti, energia, banche e finanza, settore della IT (informatio n technology). Il vice primo
ministro russo Dmitry Medvedev ha dichiarato: «vorremmo che macchinari e IT giocassero un
ruolo più rilevante (nelle nostre esportazioni, ndr)», aggiungendo che sarebbe nelle ambizioni di
entrambi i paesi passare dai 30 miliardi di dollari di scambi commerciali del 2005 a 60-80 miliardi
nel 2010. La Cina però guarda alla Russia –per ora almeno– essenzialmente come fornitore di
energia. Secondo quanto scrive The Standard di Hong Kong, Pechino avrebbe anche un’altra carta
da giocare. Per i finanziamenti necessari alla costruzione dell’oleodotto e per la sua gestione come
infrastruttura in grado di generare utili, Hong Kong sarebbe nella posizione ideale per fornire ai
governi cinese e russo ciò di cui le economie dei due Paesi sono carenti: il collegamento diretto con
il sistema finanziario internazionale e una piattaforma legale che renda i suoi prodotti bancari
spendibili nel capitalismo globalizzato. Il fatto poi che Hong Kong sia parte integrante di uno dei
due Paesi renderebbe il ricorso alle sue risorse politicamente più corretto rispetto a una soluzione
che coinvolgesse altre piazze finanziarie internazionali.
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Russia. 23 marzo. La Russia ha iniziato la costruzione di un sottomarino a propulsione nucleare di
quarta generazione presso il cantiere Sevmash a Severodvinsk. L’evento, riferisce Itar-Tass, è stato
fatto volutamente coincidere con la ricorrenza del centenario delle forze nazionali sottomarine.
L’ammiraglio Vladimir Masorin, comandante della Marina militare, ha dichiarato: «Questo è il
secondo sottomarino della classe Borei, cui è stato posto il nome di Vladimir Monomakh. Per
costruire questo sottomarino è stato assegnato un miliardo di rubli nel 2006. Il sottomarino sarà
dotato dei nuovi missili strategici Bulava». «Entro un decennio», ha precisato l’ammiraglio,
«saranno costruiti più di sei sottomarini di quarta generazione, che andranno ad ammodernare le
forze nucleari strategiche navali».
Russia. 23 marzo. Gli ordinativi per la Difesa nell’anno 2006 saranno di nove miliardi di dollari,
mentre le esportazioni di armi nel 2005 hanno raggiunto sei miliardi di dollari. Lo ha dichiarato ieri
il ministro russo Sergei Ivanov, secondo quanto riferisce Ria-Novosti. Nominato lunedì 20 marzo
presidente di una nuova commissione che sovrintende all’industria della Difesa, Ivanov ha aggiunto
che la Cina è un partner strategico in molti campi, compresa la cooperazione militare. Pechino
acquista da molti anni da Mosca sistemi d’arma ed equipaggiamenti russi. Oggi, oltre 120 caccia
russi Su-27 e Su-30Mkk (Flanker, nella denominazione NATO) costituiscono la principale
componente operativa dell’aeronautica cinese. Nello stesso giorno in cui il ministro Ivanov
rilasciava queste dichiarazioni una delegazione russa al seguito del presidente Putin ha lasciato la
Cina al termine di una visita di due giorni.
Afghanistan. 23 marzo. «C’è da augurarsi che non entri nella campagna elettorale, ma il vero
problema sollevato dal caso del musulmano afgano convertito è quello dei nostri impegni militari
all’estero e di conseguenza di cosa stiamo a fare in Afghanistan». Lo rileva in una nota Enrico
Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici. «In Afghanistan stiamo con l’obiettivo di
proteggere un regime che si è dato delle leggi penali-religiose per noi infami», si chiede Jacchia, «o
ci stiamo per la ragion di Stato? Certo, la NATO è a Kabul in nome dei valori che difendiamo. Ma
c’é anche un interesse politico-militare rilevante che sarebbe ipocrita nascondere». «Al Nord
dell’Afghanistan», aggiunge Jacchia, «le immense regioni dell’Asia Centrale ex-sovietica hanno
ereditato la tirannia comunista o il minaccioso espandersi dell’integralismo islamico. Se venisse
meno il controllo militare della NATO sull’Afghanistan, l’integralismo islamico dominante in quel
paese potrebbe dilagare in quell’area immensa e ricchissima di risorse, con imprevedibili rischi
per il nostro Occidente. Non parliamo quindi», conclude Jacchia, «di ritiro delle truppe;
manteniamole con abnegazione, pur sapendo che difendono una democrazia zoppa. Magari,
turandoci il naso».
Iran. 23 marzo. «Non vi sono problemi se i negoziati hanno lo scopo di mostrare agli americani
gli errori che hanno commesso in Iraq». Con queste parole la Guida Suprema della Rivoluzione
Islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dato il via libera definitivo ai colloqui diretti tra Iran e USA
dopo 27 anni di gelo. I colloqui verteranno solo sulla questione irachena. Nel suo discorso alla
nazione tenuto in occasione del Capodanno persiano –coincidente con l’inizio della primavera– il
massimo esponente iraniano ha ricordato che la delegazione iraniana non si recherà a Bagdad per
raccogliere «minacce ed intimidazioni». Khamenei ha ribadito che l’Iran chiederà il ritiro di tutte le
truppe straniere dall’Iraq. I dip lomatici USA hanno invece intenzione di chiedere a Teheran di
cessare il suo sostegno per le milizie sciite e di favorire la formazione di un governo di unità
nazionale. L’Ayatollah Khamenei ha inoltre confermato la linea della fermezza sulla questione
nucleare, sostenendo che il suo Paese andrà avanti sulla strada dell’acquisizione delle tecnologie
nucleari ignorando eventuali risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
Palestina. 23 marzo. Delegazione di Hamas prosegue i suoi contatti in vari paesi arabi con
l’obiettivo di ricevere sostegno politico e finanziario per liberarsi dalla dipendenza economcia
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dell’Occidente. Ieri è stata la volta di Abu Dhabi, capitale del Bahrein. La settimana prossima,
rappresentanti dei potenziali donatori si riuniranno a Khartum (Sudan) per concretare le cifre.
Hamas calcola che il suo nuovo governo necessiterà di 1.750 milioni di dollari l’anno.
USA. 23 marzo. Che tra gli immigrati, soprattutto quelli provenienti dall’America Latina, cresca il
timore di un giro di vite sull’immigrazione, lo dimostrano gli eventi del 31 gennaio scorso a
Filadelfia, in quello che per la comunità ispanica locale è ricordato ora come il Martes de miedo, il
martedì di paura. Come ha ricostruito il Washington Post, voci di una grossa retata indiscriminata
della polizia hanno fatto fuggire migliaia di immigrati dai loro posti di lavoro. I banchi dell’Italian
Market di Filadelfia, il mercato reso celebre dai film di Sylvester Stallone Rocky, si sono così
svuotati.
Ecuador. 23 marzo. Gli indigeni non demordono contro il TLC. La Confederazione delle
Nazionalità Indigene dell’Ecuador (Conaie), dopo dodici giorni di proteste, con cortei e blocchi
stradali in tutto il paese, contro il Trattato di Libero Commercio (TLC) ha annunciato una
sospensione di pochi giorni delle mobilitazioni. La Conaie si riunirà il 31 marzo nella città andina di
Riobamba, dove verranno definite le nuove azioni da intraprendere contro il TLC con gli Stati Uniti
e per l’annullamento del contratto con la compagnia petrolifera Oxy, accusata di violare gli accordi
per l’estrazione del greggio nella regione amazzonica. I dirigenti della Conaie rilanciano la richiesta
di nazionalizzazione del petrolio e promettono che «la rivolta riprenderà dopo l’assemblea di
Riobamba, se prima di allora il governo di Alfredo Palacios non si sarà impegnato almeno a
convocare un referendum popolare per decidere sul TLC». Per tutta risposta il governo ha fatto
sapere che manterrà lo stato d’emergenza finché il paese non sarà «totalmente pacificato».
Perù. 23 marzo. Dure condanne ai dirigenti del MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupac
Amaru). In particolare Víctor Polay, in carcere dal 1992, si è visto comminare 32 anni di prigione.
Unica concessione: la pena potrà essere scontata in un penitenziario civile, e non in un carcere
militare e nell’isolamento come è avvenuto fino ad ora. Polay ha annunciato che ricorrerà in
appello. Da notare che il rapporto della Commissione di Verità e Riconciliazione, pubblicato nel
2004, affermava che, a differenza di Sendero Luminoso, il MRTA non ha mai colpito la
popolazione civile. Polay era già stato processato da un tribunale militare all’epoca di Fujimori: un
processo farsa, dichiarato nullo alla caduta del regime.
Irlanda del Nord. 24 marzo. «Intolleranza unionista» ed «estremismo islamico». Politici unionisti
hanno reagito furiosamente alle affermazioni del primo ministro britannico, Tony Blair, che ha
paragonato l’«intolleranza unionista» all’«estremismo islamico». Lo ha fatto nel corso di un
discorso nel quale ha difeso la presenza britannica in Afghanistan ed in Iraq. Gli oltranzisti del DUP
(Democratic Unionist Ulster) lo ha accusato di calunniare la comunità protestante.
Euskal Herria. 24 marzo. Zapatero si presenterà al Congresso prima dell’estate se «verifica» il
cessate- il- fuoco dell’ETA. Obiettivo sarà ottenere l’appoggio dei gruppi politici per avviare i
colloqui con l’organizzazione politico/militare indipendentista basca. Lo ha dichiarato lo stesso
presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, in conferenza stampa a Bruxelles
al termine della riunione del Consiglio Europeo. Per il primo ministro spagnolo la partecipazione
della sinistra abertzale (patriottica, ndr) al processo di pace è «fondamentale» e la dichiarazione
dell’ETA «è un punto di partenza sufficiente».
Euskal Herria. 24 marzo. Batasuna pone, come suo «compito immediato» creare un «Tavolo di
Soluzione». La Mesa Nacional (direttivo) di Batasuna ha rivolto un appello in tal senso all’insieme
delle forze politiche, sociali e sindacali di Euskal Herria per un accordo di «basi, principi e
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compromessi» comuni per la messa in moto di un «Tavolo di Soluzione». La dichiarazione, letta
oggi ad Iruñea, fa seguito alla tregua permanente dell’ETA.
Euskal Herria. 24 marzo. Rafa Díez invita ad attivare «un autentico tsunami sociale per soluzioni
democratiche e per la pace in Euskal Herria». Il segretario generale di LAB (sindacato
indipendentista basco), Rafa Díez, lo ha dichiarato oggi pubblicamente, presenti svariati membri
dell’esecutivo.
Euskal Herria / Sudafrica / Spagna. 24 marzo. La ANC sudafricana invita Madrid al dialogo sui
Paesi Baschi. L’African National Congress (ANC), che governa il Sudafrica dal 1994, ha espresso
soddisfazione per l’annuncio dell’ETA, che ha definito «storico» ed ha esortato il governo spagnolo
a cogliere questa opportunità per la pace. L’ANC è stata protagonista negli anni ’80 e ’90 di un
processo di pace che ha posto fine a decadi di apartheid contro la maggioritaria popolazione nera
sudafricana.
Sahara Occidentale. 24 marzo. Sudafrica e Algeria reclamano per il Sahara l’autodeterminazione.
I presidenti di questi due paesi, rispettivamente, Thabo Mbeki e Abdelaziz Buteflika, lo hanno
ribadito ieri in un comunicato congiunto. Il Sudafrica è uno dei paesi africani che ha riconosciuto
diplomaticamente la Repubblica Araba Saharawi Democratica fondata dal Fronte Polisario.
Bielorussia. 24 marzo. Ufficiale la vittoria alle presidenziali di Alexander Lukashenko. L’ha
proclamata ieri la Commissione Elettorale Centrale (CEC). Secondo il segretario del CEC, Nikolai
Lozovik, Lukashenko, al potere dal 1994, ha ottenuto, alle elezioni di domenica scorsa, l’83% dei
voti. Circa 300 oppositori continuano a presidiare per protesta Piazza d’Ottobre, a Minsk, dove
stazionano dal 19 marzo.
Russia / Bielorussia. 24 marzo. Putin e Lukashenko, matrimonio di convenienza. Mosca esporta
gas in Europa attraverso il territorio bielorusso e dispone lì di un radar antimissile e basi militari.
Minsk, in cambio, esporta camion, refrigeratori e fornisce alla Russia manodopera. Meno serene di
quel che appare le relazioni tra i due paesi. Nel febbraio 2004, una “guerra del gas” tra Minsk e
Mosca provocò una grave crisi «che peggiorerà le relazioni con la Russia per molto tempo», disse
allora Lukashenko. Il rieletto presidente bielorusso accusò Mosca di «ricatto» e «terrorismo» dopo
un contenzioso tra i due paesi per il prezzo ed il transito di gas russo attraverso il territorio
bielorusso. Il Cremlino reagì accusando Minsk di voler «scaricare sulla Ru ssia» le conseguenze dei
suoi «errori profondi in politica interna ed estera», che «hanno provocato il suo isolamento
internazionale». La posizione russa è rimasta la miscela di realismo ed opportunismo di sempre. La
politica del Cremlino rispetto alle repubbliche ex sovietiche si riassume in una dottrina vigente dal
1992, e secondo la quale Mosca appoggia i governi esistenti in questi paesi. Questa dottrina non è
stata rivista, come ci si poteva aspettare, nemmeno dopo le «rivoluzioni colorate» in Georgia,
Ucraina e Kirghizistan.
Russia / Bielorussia. 24 marzo. «Per la Russia, come per l’Occidente, il regime di Lukashenko è
inespugnabile. È impossibile scuotere un regime stabile dall’esterno», sostiene Stanislav Belkovski,
dell’Istituto di Strategia Nazionale russo. Gli esperti russi ritengono che il presidente bielorusso non
ha bisogno di Putin per mantenersi al potere. «La Russia ha tentato di domarlo, ma Lukashenko è
intrattabile e non cede un apice», assicura Yuri Korgoniouk, della fondazione Indem (Innovazione
per la Democrazia). Per Korgoniouk è comunque naturale che, al di là dell’«intransigenza» e la
popolarità di Lukashenko, Mosca non voglia lontanamente che al potere, in Bielorussia, arrivi un
pro-occidentale come Milinkevich. Allo stato, comunque, la «Bielorussia è attualmente l’unico
alleato militare e politico sul quale conta la Russia in Europa», constata Evgueni Volk, della
fondazione Heritage, secondo il quale «i militari russi, che vedono la NATO come un nemico
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potenziale, vogliono la Bielorussia come testa di ponte da cui poter dispiegare nuove armi». Mosca
dispone in Bielorussia di un radar di allerta antimissili, di una base congiunta per la flotta d’acqua e
di una base aerea per le quali Mosca non paga alcunché. Soprattutto è il gas (il 17% del gas russo
esportato in Europa passa per la Bielorussia) a giocare un ruolo strategico. Il gasdotto che transita in
Bielorussia, proprietà esclusiva del gigante gasifero russo, Gazprom, passa quasi in esclusiva per la
Polonia, il che conferisce alla Bielorussia una posizione strategica tra Russia ed Unione Europea.
Venezuela. 24 marzo. Petrolio per l’indipendenza. Dopo aver firmato con la Colombia un accordo
per la costruzione di un gigantesco gasdotto, Chávez ha stretto intese analoghe con Brasile e
Argentina. Di recente Caracas ha permesso all’Argentina di ripianare i propri debiti con il Fondo
monetario internazionale e una mossa simile è stata fatta con l’Ecuador. Il 14 marzo Chávez si è
incontrato con Tabarè Vazquez, presidente dell’Uruguay e lo ha invitato a entrare nel progettato
gasdotto con Argentina e Brasile sostenendo la necessità di rafforzare il Mercosur, il mercato
comune sudamericano visto da entrambi come potente fattore di unità. Lo scopo di Chávez è
evidente: favorire il progressivo rafforzamento dei legami economici, culturali e infrastrutturali tra
le nazioni latino-americane con il Venezuela a fare da paese di riferimento.
Venezuela. 24 marzo. Le tensioni tra USA e Venezuela non sembrano attenuarsi. Dopo le
reciproche espulsioni di personale diplomatico, la Rice, parlando alla commissione Esteri della
Camera, ha accusato il presidente venezuelano Hugo Chávez di voler destabilizzare Paesi come
Nicaragua, Colombia e Perù attraverso una «guerra asimmetrica», una strategia di sabotaggi e
attacchi “mordi e fuggi” analoga a quella degli insorti iracheni. Inoltre, secondo il segretario USA,
le sempre più strette relazioni militari e diplomatiche del Venezuela con l’Iran e la Corea del Nord
rappresentano una minaccia alla sicurezza dell’intera regione. Chávez viene definito un demagogo
che, grazie alla risorsa del petrolio, tenta di mettere in pericolo la stabilità e la democrazia della
regione latino-americana. La Rice ha lasciato intendere che la strategia anti-Chávez consiste anche
nello sperimentare una strada di coesistenza con governi di sinistra o a possibile futura guida di
sinistra, come i casi di Messico e Perù, collaborando con loro attraverso la leva degli aiuti militari
ed economici e spezzare così i legami sempre più stretti tra questi e il Venezuela di Chávez.
Venezuela. 24 marzo. Comunitarismo a stelle e strisce. Gli Stati Uniti puntano sul separatismo in
funzione antichavista. È stato lo stesso Chávez a denunciare domenica 5, nel corso del suo consueto
programma Aló Presidente, il progetto “comunitario” di un gruppo di destra che opera nello Stato di
Zulia. Il movimento “Rumbo Propio para el Zulia” si limita per ora a parlare di autonomia: come
scrive il quotidiano di Caracas, El Nacional, propone la creazione di un governo autonomo «di
orientamento capitalista e liberale». Nella capitale statale, Maracaibo, è già iniziata l’opera di
propaganda, con l’obiettivo di convocare un referendum per il 24 ottobre. La domanda cui gli
elettori sarebbero chiamati a rispondere è: «Siete favorevoli a uno statuto di autonomia che
garantisca a Zulia i diritti individuali ed economici propri del sistema della libera impresa?».
Durissima la reazione di Chávez: il capo dello Stato ha avvertito che il progetto è destinato al
fallimento perché troverà l’opposizione della Repubblica unita, del popolo e delle forze armate.
Chávez ha poi responsabilizzato direttamente gli Stati Uniti, che «cercano di utilizzare questa
quinta colonna di venduti e senza patria».
Venezuela. 24 marzo. Quarto in ordine di grandezza degli Stati venezuelani, Zulia conta sull’80%
della produzione nazionale di petrolio e di gas. Inoltre il lago di Maracaibo, il più grande
dell’America del Sud, possiede uno sbocco al mare ed è fra le maggiori riserve d’acqua dolce del
continente. È chiaro che un distacco di questo ricchissimo territorio provocherebbe enormi
contraccolpi –non solo economici– sul resto del paese. Proprio su tale realtà fa leva Washington,
traendo spunto da rivendicazioni autonomiste che risalgono all’epoca della colonia. Nel giugno
dello scorso anno l’ambasciatore USA in Venezuela, William Brownfield, realizzò una visita a
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Maracaibo, strinse accordi di cooperazione con il governo locale e scatenò le proteste di Caracas
parlando ufficialmente di “Repubblica indipendente di Zulia”. Una politica di appoggio aperto al
separatismo già sperimentata in Bolivia: guarda caso anche il dipartimento di Santa Cruz, che mira
a sganciarsi da La Paz, è il più ricco del paese.
Sahara Occidentale. 25 marzo. Autonomia forse, indipendenza no. Il re del Marocco ha
annunciato che presenterà una proposta ufficiale per concedere un’ampia autonomia amministrativa
al Sahara occidentale. Ha chiesto ai «figli delle province Sud» una riflessione per un «progetto di
autonomia» nel quadro della sovranità del Regno. La regione è occupata dal Marocco dal 1975. Re
Mohammed VI ha detto che non cederà «un solo granello di sabbia» agli indipendentisti del Fronte
Polisario che hanno proclamato una repubblica nel sud dell’Algeria.
Sahara Occidentale. 25 marzo. Re Mohammed VI del Marocco ha graziato 216 detenuti saharoui,
tra cui una trentina di attivisti politici. Dal carcere di El Ayoun usciranno, oltre a detenuti comuni,
anche militanti dei diritti umani e per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale, arrestati con
l’accusa di «manifestazioni non autorizzate e violenze contro pubblici ufficiali», lo scorso anno. Tra
loro anche Ali Salem Tamek, sostenitore dell’indipendenza del Sahara Occidentale.
Russia. 25 marzo. Nei 20 anni trascorsi dalla catastrofe nucleare di Chernobyl mezzo milione di
persone sono morte per la nube radioattiva. Altre 30mila moriranno nei prossimi anni. A questa
conclusione sono giunti alcuni ricercatori analizzando più di cinquanta studi scientifici, secondo
quanto riferisce il quotidiano britannico The Guardian. Le nuove stime contrastano con quelle
molto più modeste dell’OMS e dell’AIEA, che prevedevano un massimo di 4mila vittime.
USA. 25 marzo. Paralizzato il centro di Los Angeles da una imponente manifestazione indetta in
difesa degli immigrati clandestini e contro la legge, all’esame del Senato dopo il sì della Camera,
che obbliga i datori di lavoro a verificare lo status degli immigrati. Questi, se trovati senza
permesso, saranno perseguiti penalmente. Non meno di mezzo milione di persone, stando ai dati del
Dipartimento di polizia della metropoli californiana, hanno partecipato alla marcia indetta per
chiedere una sanatoria per i clandestini e il ritiro del disegno di legge. «Amnistia per tutti», ha
scandito la fiumana umana, mentre si muoveva verso la sede del sindaco, Antonio Villaraigosa. Per
Javier Rodriguez, di March 25 Coalition, organizzazione che raggruppa decine di associazioni di
immigrati, provenienti in particolare dall’America Latina, si è trattata della «più importante marcia
di protesta ispanica nella storia degli Stati Uniti». Secondo il Pew Hispanic Center, il 24% degli
immigrati clandestini negli USA lavora nei campi, il 17% nel settore delle pulizie, il 14% in quello
delle costruzioni.
Salvador. 25 marzo. Ricorso alla Corte Suprema contro l’approvazione del TLC. Lo ha presentato
oggi il rappresentante della Confederazione delle Federazioni della Riforma Agraria Salvadoregna
(CONFRAS), Miguel Alemán. Il Trattato di Libero Commercio (TLC) vìola, a suo dire, molti
articoli della Costituzione. Alemán ha quindi rilevato che i produttori salvadoregni non sono in
grado di competere con i prodotti USA che invaderanno il mercato nazionale, che ripercussioni
negative si avranno sulla piccola e media produzione contadina, così come sul settore agropecuario,
ed in generale sul piano economico, sociale e nel mondo del lavoro. Il TLC è entrato in vigore in
Salvador lo scorso 1° marzo, che risulta così essere il primo paese della regione a porre in marcia il
TLC con Washignton. Come conseguenza si produrranno riforme legislative in svariati ambiti
(proprietà industriale, diritti d’autore, codice penale, fitosanitaria, contrattazione di Stato). Analoga
procedura di incostituzionalità si è messa in modo giuridicamente e socialmente in Honduras.
Euskal Herria / Spagna. 26 marzo. Il massimo dirigente della destra spagnola (PP), Rajoy,
cambia rotta e offre la sua collaborazione a Zapatero sulla questione ETA. «Voglio essere
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costruttivo, e lo sarò, per aiutare il governo a ottenere la fine dell’ETA», ha assicurato Mariano
Rajoy, in contrasto con quanto detto la scorsa settimana. La collaborazione del Partito Popolare sarà
un fattore «chiave» per arrivare alla pace, che Rajoy intende come raggiungimento della «completa
sconfitta dell’ETA».
USA. 26 marzo. Gli USA ridurranno significativamente le truppe in Iraq nel 2006. Lo ha
confermato il segretario di Stato statunitense Condoleezza Rice, che ha aggiunto che Washington
«prende molto sul serio» le informazioni, provenienti da documenti iracheni, secondo le quali la
Russia avrebbe fornito al regime di Saddam Hussein informazioni sui movimenti militari
statunitensi dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Smentisce il servizio russo di spionaggio all’estero
(SVR). «Queste accuse infondate», ha dichiarato Boris Labusov, portavoce dell’SVR, «spuntano
fuori con regolarità. Non riteniamo nemmeno necessario commentare insinuazioni simili».
Venezuela. 26 marzo. Inizia la rivoluzione per la casa. Lo ha annunciato oggi il presidente Hugo
Chávez. Il capo dello Stato ha fatto questa dichiarazione dopo una visita al complesso abitativo
“Popolo Nuovo”, nello Stato del Miranda, da dove è stata trasmessa la 250ª edizione del programma
domenicale “Aló Presidente”. Obiettivo del governo bolivariano, ha detto Chávez, è la costruzione
di abitazioni degne e non di soluzioni abitative provvisorie come è successo con le amministrazioni
precedenti. Il tutto in armonia con l’ambiente. L’iniziativa coinvolge autorità del settore,
governatori, sindaci, imprenditori pubblici e privati e le comunità organizzate. L’inizio di detta
rivoluzione, ha aggiunto il presidente venezuelano, coincide con l’ultimazione, in questo primo
trimestre 2006, tramite distinti progetti, di 15.921 case consegnate a prezzi accessibili, in aree che
includono servizi di trasporto e sociali. «Con gli sforzi di tutti, quest’anno andremo ad infrangere
un record storico giacché dobbiamo terminare 150mila abitazioni, obiettivo notevole ma che
raggiungeremo perché abbiamo impresso un ritmo impressionante», ha proseguito Chávez. Ha
quindi ricordato che, a partire dal 2004, una volta superati i danni causati all’economia dallo
sciopero petrolifero (tentativo dei settori golpisti nel paese, sostenuti da Washington, di rovesciare
Chávez portando al collasso economico il paese con lo sciopero della produzione nella compagnia
PDVSA, allora ancora nelle mani dei vecchi ceti oligarchici filo- imperialisti, ndr), si è dato impulso
con maggior forza a progetti residenziali nella logica di uno «sviluppo umano integrale».
Colombia. 26 marzo. «Se la Colombia lo chiede, gli Stati Uniti sono pronti a intervenire nel paese
per catturare i guerriglieri delle FARC ». Lo ha detto il 23 marzo, al quotidiano El Tiempo, l’ex
ambasciatrice statunitense a Bogotá Anne Patterson. Ieri la Patterson, attualmente vicesegretaria del
Dipartimento di Stato USA per i problemi del narcotraffico internazionale, ha rincarato la dose,
affermando che «la guerriglia è ora il nostro bersaglio principale».
Serbia-Montenegro. 27 marzo. Belgrado dovrà consegnare Mladic al TPI entro tre settimane. L’ex
comandante militare serbo-bosniaco Ratko Mladic, accusato di crimini di guerra e finora latitante,
dovrà essere consegnato al Tribunale Penale Internazionale per l’Antica Jugoslavia (TPI). Lo ha
detto il ministro degli Esteri di Serbia e Montenegro. Vuk Draskovic ha dichiarato al quotidiano
Vecernje Novosti, che il caso di Mladic continua ad essere il principale ostacolo per le possibilità
del paese balcanico di incorporarsi nell’Unione Europea (UE). «Dobbiamo eliminare questo
ostacolo in due settimane», ha aggiunto. La UE ha dato a Belgrado tempo fino a fine mese per
incontrare Mladic e consegnarlo al Tribunale sotto minaccia di sospendere i colloqui, previsti per il
prossimo 5 abrile, sull’avvicinamento tra Belgrado e UE. Responsabili di Belgrado hanno chiesto
recentemente più tempo per catturare Mladic. Al momento la UE avrebbe respinto la richiesta serba.
Russia. 27 marzo. Mosca risponderà a Washington quando sarà installata la base USA per la difesa
anti missile in Europa e saranno note le capacità di questa nuova infrastruttura. Lo ha detto il
ministro della Difesa russo, Sergei Ivanov, stando a quanto riporta l’agenzia Ria-Novosti. «La
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questione è stata ampiamente discussa per anni, anche in colloqui a porte chiuse tra Russia e Stati
Uniti», ha detto il ministro Ivanov, aggiungendo che per la Russia è più importante determinare le
caratteristiche della base e il numero dei missili schierati piuttosto che la località. «Solo dopo avere
chiarito questo formuleremo la nostra risposta» ha aggiunto Ivanov. L’amministrazione USA ha
recentemente annunciato l’intenzione di costituire in Europa una base nell’ambito del progetto per
lo schieramento di un sistema di difesa missilistica globale e ha detto che il Paese sarà scelto in
primavera.
Iraq. 27 marzo. L’espulsione dell’ambasciatore USA, Zalmay Khalizad, è stata richiesta
dall’Organizzazione Badr, la milizia legata allo Sciri. Il principale partito sciita ha espressamente
auspicato l’allontanamento del funzionario, all’indomani del massacro nella moschea di Al
Mustafa, alla periferia est della capitale irachena. Lo ha riferito la Tv irachena Al-Iraqiya.
Iraq. 27 marzo. Il governatore di Baghdad ha annunciato che sospenderà ogni cooperazione con gli
USA dopo l’attacco di ieri a una moschea sciita. L’attacco ha provocato 17 morti e 3 feriti. Intanto a
Mossul l’attentato compiuto questa mattina da un kamikaze in un centro di reclutamento
dell’esercito ha causato 40 morti e 20 feriti. L’esplosione è avvenuta nella base USA Azki Kalak.
USA. 27 marzo. Secondo il New York Times George W. Bush avrebbe invaso l’Iraq anche senza
una seconda risoluzione ONU e senza le armi di sterminio di massa. È quanto emerge da un
memorandum segreto che pubblica oggi. Bush espresse la sua volontà in un incontro di due ore allo
studio ovale, il 31 gennaio 2003, con Tony Blair. Il documento conferma l’atteggiamento dei due
massimi esponenti di governo rispetto all’invasione dell’Iraq e mostra come fossero molto fiduciosi
in una rapida vittoria.
Venezuela / Euskal Herria. 27 marzo. Soddisfazione e «speranza» dopo il cessate- il- fuoco
permanente dell’ETA, entrato in vigore venerdì scorso, ed apprezzamenti a Zapatero. Li ha espressi
il presidente venezuelano Hugo Chávez nel suo programma settimanale radiotelevisivo “Aló
presidente”. Di Zapatero ha detto di aver apprezzato il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq.
Russia. 28 marzo. Mosca ultima i dettagli tecnici relativi all’invio di un contingente militare per la
missione ONU in Sudan (Unmis). Lo ha dichiarato ieri il ministero degli Esteri russo, stando a
quanto riferisce l’agenzia Ria-Novosti. «Stiamo coordinando gli aspetti pratici del contributo al
contingente armato dell’Unmis: quattro elicotteri Mi 8-Mt e 200 uomini» si legge in un comunicato
del ministero. Il 24 marzo scorso il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato all’unanimità la
Risoluzione 1663 che estende fino a settembre 2006 il mandato di Unmis nel paese nord africano.
Bielorussia. 28 marzo. L’opposizione «non tollererà» altri cinque anni di Lukashenko. Lo assicura
uno dei dirigenti dell’opposizione, Alexander Milinkevich. In un’intervista all’Associated Press,
Milinkevich ha promesso ad Alexander Lukashenko, vincitore alle presidenziali del 19 marzo, «un
assedio alla fortezza: un assedio che sarà un attacco informativo». Ha quindi rilanciato l’invito a
Unione Europea e Stati Uniti ad accentuare le pressioni contro il governo di Minsk.
Iraq. 28 marzo. Al- Duri invita i paesi arabi a sostenere la resistenza irachena. Quello che fu il
vicepresidente di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim al Duri, ha invitato ieri i dirigenti arabi ad
appoggiare la resistenza irachena, che ha definito «unico rappresentante legittimo del popolo
iracheno». Lo ha fatto tramite un messaggio trasmesso da Al Jazeera. Al Duri si rivolge,
apparentemente, agli esponenti che si riuniranno oggi a Khartum, affinché «boicottino il regime di
mercenari e traditori e lo mettano sotto assedio mediante la necessaria decisione di appoggiare il
popolo d’Iraq e la sua valente resistenza nazionale».
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Iraq. 28 marzo. «Agenti dei servizi segreti iraniani operano all’interno dell’Iraq». Lo ha detto il
capo del Comando centrale statunitense John Abizaid. Il generale ha aggiunto che «esplosivi
prodotti in Iran sono stati introdotti in Iraq». «Ma non posso spingermi fino a dire che il governo
iraniano sia complice delle attività anti-governative», ha aggiunto.
Palestina. 28 marzo. Per la prima volta miliziani palestinesi hanno sparato verso Israele un razzo
Katiuscia da 122 mm prodotto in Iran. A Gaza le Brigate dei martiri di al-Aqsa avevano annunciato
di aver iniziato una ‘Operazione Vulcano’ nel cui contesto –è stato spiegato– sono stati lanciati
verso Israele razzi dotati di una gittata di 12-18 chilometri. I razzi lanciati abitualmente dai miliziani
palestinesi verso Israele sono Qassam fabbricati a Gaza e hanno una gittata minore.
Sudan. 29 marzo. Assenze al vertice di Khartum. La Lega Araba ha aperto ieri il suo XVIII
Vertice, centrato sulle crisi in Iraq, Darfur (Sudan) e sul conflitto palestinese. Tra gli assenti il
presidente dell’Iraq, Yalal Talabani, ed i suoi omologhi di Egitto (Hosni Mubarak), Tunisi (Zein el
Abedin Bin Ali), Arabia Saudita (Abdala bin Abdelaziz) e Marocco (Mohamed VI). Il presidente
algerino, Abdelaziz Buteflika, ha detto che «gli appelli alla sospensione degli aiuti al popolo
palestinese sono un’aggressione al suo diritto» ad eleggere propri rappresentanti. Sull’Iraq, vari
dirigenti hanno chiesto ai partiti iracheni di rispettare e lavorare per il successo dell’iniziativa
dell’organizzazione panaraba per la riconciliazione nazionale. Rispetto alla crisi in Darfur, il
segretario generale della Lega Araba, Amro Musa, ha invitato la “comunità internazionale” a non
inviare truppe in questa regione senza l’approvazione del governo sudanese.
Iran. 29 marzo. Il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato all’unanimità una dichiarazione che
chiede all’Iran di sospendere le attività nucleari. Riunitosi al Palazzo di Vetro dell’ONU a New
York, il Consiglio ha rapidamente approvato il testo su cui i cinque membri permanenti (Stati Uniti,
Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) avevano poco prima trovato l’intesa. L’Iran ha un mese di
tempo per adeguarsi. L’intesa è stata possibile perché non si esplicita l’idea di sanzioni su cui
Mosca e Pechino finora hanno espresso contrarietà.
Palestina. 29 marzo. Il presidente palestinese Abu Mazen si è espresso oggi in favore di una «pace
negoziata» con Israele, ed ha respinto i progetti di Olmert. Questi mira ad una determinazione
unilaterale di Israele del suo futuro confine orientale. «Occorre che Israele cambi atteggiamento»,
ha detto Abu Mazen, «e adotti una politica basata sulla pace negoziata e la legalità
internazionale». Il governo statunitense avrebbe ordinato ai suoi diplomatici di non avere rapporti
con i ministri palestinesi a partire da questo pomeriggio, da quando cioè avverrà il giuramento del
governo palestinese guidato da uno dei dirigenti di Hamas, Ismail Haniyeh. La decisione è in
armonia con il Quartetto (USA, UE, Russia e ONU) secondo il quale un dialogo con il nuovo
governo di Hamas potrà cominciare solo dopo il riconoscimento di tutti gli accordi israelopalestinesi.
Irlanda del Nord. 30 marzo. Washington toglie Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, dalla sua
lista di «terroristi». Lo ha dichiarato ieri il deputato Brian Higgins, che ha chiesto di depennare
dalla lista anche gli altri membri del Sinn Féin che vi sono inclusi.
Euskal Herria. 30 marzo. Arrestato Otegi. Il giudice Fernando Grande-Marlaska l’Audiencia
Nacional (massimo organo giudiziario spagnolo, ndr) ha imposto al portavoce di Batasuna
l’alternativa di una cauzione di 250mila euro, che si aggiungono ai 400mila che deve pagare per una
sua precedente incarcerazione nel maggio 2005. Per altri due dirigenti indipendentisti in carcere,
analoghe condizioni: 200mila per Juan Mari Olano e Juan Joxe Petrikorena. Arnaldo Otegi, secondo
il magistrato, «ha partecipato alla decisione» di convocare lo sciopero ed è ritenuto «induttore» dei
«fatti criminali» accaduti durante la giornata di sciopero e mobilitazioni dello scorso 9 marzo, che
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vanno dalla collocazione di silicone in serrature sino alle bombe dimostrative dell’ETA esplose quel
giorno. Il portavoce di Batasuna è stato trasferito nella notte nel carcere di Soto del Real e vi
permarrà se non sarà pagata la cauzione. Davanti al suo domicilio di Elgoibar, dove è rimasto
durante gli ultimi venti giorni per malattia e l’ordine di Grande-Marlaska all’Ertzaintza di vigilarlo
ininterrottamente, decine e decine di persone stazionavano dietro un striscione che recitava
«Errepresioa ez dà bidea. Bakea Euskal Herrian. Arnaldo, herria zurekin» («La repressione non è
la via, Pace in Euskal Herria, Arnaldo, il popolo è con te», ndr) e gli hanno mostrato il
loro appoggio con grida di incoraggiamento ed applausi. Otegi ha risposto abbozzando un sorriso ed
alzando il pugno prima di salire nell’automobile che lo ha portato a Madrid.
Euskal Herria. 30 marzo. Estremisti di destra cercano di aggredire Arnaldo Otegi a Madrid.
Mezzo centinaio di estremisti di destra si sono messi all’entrata della sede giudiziaria con striscioni
come «Otegi assassino» e «Euskal Presoak Cantabricora» (sollecitazione a gettare i prigionieri
baschi nel mare Cantabrico, ndr). Alcuni reggevano bandiere spagnole con l’aquila franchista.
Prima che Otegi arrivasse, molti degli accusati baschi nel maxiprocesso 18/98 erano accorsi per
appoggiare il portavoce del loro partito, Batasuna. Ci sono stati tafferugli. Il dirigente
indipendentista basco, ha ripetuto lo stesso gesto fatto nella sua località natale: sorriso e pugno in
alto.
Euskal Herria. 30 marzo. Arnaldo Otegi: un dirigente abertzale (patriottico, ndr). Un passato
nell’ETA, poi il passaggio alla direzione dell’organizzazione politica pubblica. Storicamente la
sinistra indipendentista è stata sempre molto poco incline a personalizzare la sua dirigenza, anche se
non sono mai mancati dirigenti carismatici. Quando lo stesso Arnaldo Otegi si è sentito paragonare
all’irlandese Gerry Adams, la sua risposta è stata «la sinistra abertzale è un Gerry Adams
collettivo». Sono stati i suoi compagni della Mesa Nacional (direttivo) a definirlo come «la persona
più referenziata e l’interlocutore massimo di Batasuna». Proprio il fatto che Batasuna abbia
accettato la pubblicazione di un libro con un’estesa intervista nella quale Otegi dà immagine e voce
alla storia della lotta di liberazione basca delle ultime decadi, sviluppa analisi sulla fase attuale e
fissa la direzione dei prossimi passi della sinistra abertzale, mostra la rilevanza politica che Arnaldo
Otegi rappresenta per il movimento di liberazione. È anche il dirigente che riceve la denominazione
di Lehendakaritza (nome del presidente del governo basco in una Euskal Herria libera, ndr) nelle
riunioni pubbliche o riservate. È l’interlocutore che, negli anni, ha mantenuto il filo diretto con il
presidente del PSE (partito socialista basco), Jesús Eguiguren. Un rapporto cui hanno partecipato
anche Pernando Barrena e Francisco Egea, e che è risultato di grande importanza per arrivare
all’attuale momento politico. L’aver messo in carcere un esponente politico di queste caratteristiche
–si dice in Euskal Herria– non è irrilevante e non è un incidente senza conseguenze.
Euskal Herria. 30 marzo. Diez afferma che «non si può costruire un processo (di soluzione
politica, ndr) nel mantenimento di una strategia di persecuzione della sinistra abertzale». Così Rafa
Diez, segretario generale del sindacato LAB, tra i più rappresentativi nei Paesi Baschi, ha
commentato la decisione del giudice Grande-Marlaska di decretare l’ingresso in prigione di Arnaldo
Otegi, portavoce di Batasuna, a meno che non venga versata una maxi-cauzione. Parlando a Radio
Euskadi, Rafa Diez si è chiesto se «qualcuno» può capire «nella società basca» che una settimana
dopo la dichiarazione di cessate- il- fuoco di ETA, «l’interlocutore e massimo riferimento della
sinistra abertzale sia a Soto del Real (carcere, ndr)». E, si chiede ancora, «se con questo tipo di
provvedimenti si costruiscono fiducia e credibilità». «Intanto», ha aggiunto, «l’Audiencia Nacional
(massimo organo giudiziario spagnolo, ndr) si converte in uno strumento che interferisce in modo
molto significativo in quelli che dovrebbero essere passaggi ed impegni per costruire tra tutti uno
scenario di soluzioni».
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Catalogna. 30 marzo. Approvato il testo sullo Statuto di Catalogna con 189 voti a favore (PSOE,
CiU, PNV, IU-ICV, CC-NC e BNG), 154 contro (PP, ERC e EA) e due astensioni (Nafarroa Bai e
CHA). Il testo passa ora al Senato.
Catalogna. 30 marzo. ERC: «È uno statuto per una regione, non per una nazione». Joan
Puigcercos, portavoce di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), ha commentato che «lo Statuto
è buono per la Spagna, per una regione della Spagna, ma non lo è per una nazione come la
Catalogna». Ed ha aggiunto: «quello che è un popolo, non si negozia. L’identità è come l’atto di
nascita. Non è negoziabile».
Catalogna. 30 marzo. Modifiche restrittive allo Statuto della Catalogna votato oggi dal Congresso
spagnolo. Il testo è frutto di un accordo tra CiU (autonomisti di centrodestra) e socialisti spagnoli
(PSOE), e modifica quello scaturito dal parlamento catalano il 30 settembre con un consenso del
90%. Tra le modifiche dell’ultima versione, l’espressione «nazione catalana» passa dall’articolato
al preambolo (con il che perde valore giuridico) e si riconosce la Catalogna solo come
«nazionalità». È soppresso il diritto ad indire referendum. I poteri della Generalitat (parlamento
catalano) emanano sì dal popolo di Catalogna, ma sono sfumati perché «si esercitano in accordo
con quanto stabilito nel presente Statuto e nella Costituzione». Nell’ultima versione si dice che lo
spazio politico e geografico di riferimento in Catalogna è l’Unione Europea e si aggiunge che lo è
anche lo Stato spagnolo. Il Tribunale Superiore di Giustizia di Catalogna si vede soppressa la
competenza in diritto mercantile e la funzione di cassazione in materia di diritto statale. Il testo
riforma anche il sistema di finanziamento della Catalogna.
Gran Bretagna. 30 marzo. Jack Straw ha detto che sanzioni potranno essere decise se l’Iran rifiuta
di bloccare il proprio programma nucleare. Il ministro degli esteri britannico ha sottolineato che
Teheran deve rispettare lo stop dell’arricchimento dell’uranio richiesto dal Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite. Straw ha ricordato la dichiarazione non vincolante che dà all’Iran trenta giorni
per congelare il programma nucleare.
Ucraina. 30 marzo. Il Partito delle Regioni, con a capo l’ex premier filo-russo Viktor Ianukovic, ha
ottenuto il 32,11% dei voti alle elezioni in Ucraina. Lo ha reso noto la commissione elettorale sulla
base del 99,97% delle schede scrutinate. Secondo è arrivato il blocco guidato dalla «pasionaria
della rivoluzione arancione» Julia Timoshenko, con il 22,28%. Terzo si piazza –con il 13,95%–
l’altro troncone “arancione”: Nostra Ucraina, il partito del presidente filo-occidentale Viktor
Yushenko.
Ucraina. 30 marzo. Yushenko non scarta di accordarsi con Yanukovich. Il partito Nostra Ucraina
guidato dal presidente ucraino, Viktor Yushenko, ha detto ieri che non scarta di accordarsi con altre
formazioni, incluso il partito pro-russo dell’ex primo ministro Viktor Yanukovich, vincitore delle
elezioni. Pone però tre condizioni: «la prima, respingere le idee di federalismo; la seconda,
respingere lo status di lingua statale per il russo; e la terza, riconoscere il cammino dell’Ucraina
verso l’integrazione europea».
Iraq. 30 marzo. Washington pone il veto alla riconferma dello sciita Ibrahim al Jaafari come primo
ministro, nonostante rappresenti la coalizione più votata. Lo scrive The New York Times. La crisi
per l’affidamento del nuovo governo continua.
Israele. 30 marzo. Kadima, Likud e Meretz hanno ricevuto ciascuno un seggio in più mentre
Raam-Taal, Shas e Israel Beitenu ne hanno perso uno ciascuno. Sono i risultati elettorali in Israele –
come riferiscono tv di Stato e i siti Internet dei principali quotidiani– a conclusione del computo dei
voti nelle elezioni anche dei soldati e dei diplomatici all’estero. I risultati delle elezioni per la
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Knesset vedrebbero perciò, fra gli altri, Kadima con 29 seggi, Laburisti 20, Shas e Likud 12, Yisrael
Beitenu 11. Sono 120 i seggi al parlamento israeliano.
Israele. 30 marzo. Secondo uno studio 1,6 milioni di israeliani vive al di sotto della soglia di
povertà, il che rappresenta il 23% del totale della popolazione. Nel merito il sociologo Yohanan
Peres ritiene che «i risultati esprimono chiaramente il profondo malcontento di ampi strati della
popolazione spinte verso la povertà. Illustrano anche», aggiunge questo professore dell’Universitòà
di Tel Aviv, «il peso crescente degli interessi settoriali: gli ultraortodossi votano i partiti
ultraortodossi, i coloni votano i partiti dei coloni, gli arabi israeliani hanno dato il loro voto ai
partiti arabi, gli immigrati dall’ex URSS hanno votato un partito russofono di estrema destra,
eccetera». «Il risultato elettorale dimostra che un’ampia maggioranza di israeliani aspira a certa
normalizzazione», dice l’analista Daniel Ben Simon. «Non è che respingano l’ideología sionista dei
fondatori dello Stato, ma vogliono una vita migliore, tranquilla dal punto di vista della sicurezza
pubblica. Resta solo una minoranza che si aggrappa al mito del Grande Israele che esclude
qualunque ritiro dalla Cisgiordania».
Palestina. 30 marzo. «È la fine del sogno di uno Stato indipendente. Lo sanciscono queste elezioni
(israeliane, ndr)». Ne è convinto Jaber Awad, professore di Nablus, 42 anni. Kadima ha vinto e «la
prossima fase sarà una delle più pericolose per la causa palestinese perché Israele va a disegnare
le sue frontiere in modo unilaterale, il che non lascerà alcuna possibilità alla creazione di uno
Stato indipendente di Palestina». I palestinesi di Cisgiordania hanno, dalla notte di domenica, un
assaggio di quel che sarà il ritiro unilaterale, con la trasformazione in posto di frontiera del controllo
militare di Kalandia, stabilito all’altezza del Muro costruito da Israele. L’esercito israeliano ha
informato che, a partire da oggi, ai palestinesi sarà proibito passare da Ramallah a Gerusalemme per
detto luogo. Sempre più diffuse sono le opinioni, tra i palestinesi, che i piani del primo ministro
israeliano Ehud Olmert porteranno solo a più violenza. «Dopo queste elezioni andremo ad assistere
alla terza Intifada, la più violenta, perché il popolo palestinese non avrà più niente da perdere».
Portorico. 30 marzo. FBI arresta esponente indipendentista. Antonio Camacho Negrón, ex
dirigente dell’Ejército Popular Boricua-Macheteros, 65 anni di cui 15 trascorsi in carcere, è stato
rinchiuso nella prigione federale di Guaynabo, vicino a San Juan. Per giustificare il suo arresto, le
autorità statunitensi hanno affermato che il 20 agosto di due anni fa, tre giorni dopo la sua
scarcerazione, Antonio Camacho –in libertà vigilata– non si era presentato al previsto controllo.
Non si capisce perché, allora, il provvedimento di arresto non sia scattato subito. Camacho ha
partecipato a numerose iniziative pubbliche, tra cui una manifestazione di protesta dopo
l’assassinio, nel settembre 2005 ad opera dell’FBI, di Filiberto Ojeda Ríos, dirigente dell’Ejército
Popular Boricua-Macheteros.
Unione Europea / Iran. 31 marzo. «Il problema dell’Occidente con l’Iran è molto più grave e va
molto oltre la questione del nucleare». Lo ha ammesso ieri a Berlino, Javier Solana, Alto
Rappresentante di Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea. In dichiarazioni alla stampa,
il diplomatico comunitario ha aggiunto che «l’Iran è un paese che sta ora al centro di gravità di
tutti i problemi e di tutte le questioni che preoccupano la comunità internazionale e, soprattutto
quella europea». «L’Iran sta giocando un ruolo fondamentale in tutta l’area del Medio Oriente da
molti punti di vista: le sue relazioni con l’Iraq, con la Siria, con Hezbollah, la sua influenza che
vuole avere sempre più crescente attraverso Hamas nel processo di pace (sic, ndr) in Medio
Oriente, il tema dei diritti umani, del terrorismo, dell’Afghanistan...», ha specificato Solana. La
confessione del diplomatico spagnolo-comunitario europeo, al di là che sia stata opportuna o meno,
colloca nei giusti termini le ragioni delle pressioni sulla Repubblica Islamica dell’Iran, nemico
storico degli Stati Uniti da quando rovesciò la satrapia persiana di Reza Palevi nel 1979. Un’ostilità
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alimentata dall’influenza dell’Iran in Iraq e nell’Afghanistan occupati, e per la sua solidarietà con le
resistenze palestinese e libanese.
Russia / Bielorussia. 31 marzo. L’avvertimento è venuto dal potente gigante energetico russo
Gazprom: la Bielorussia deve prepararsi a pagare «a prezzi europei» il metano proveniente dalla
Russia. Una vera batosta, visto che attualmente Minsk paga 46,68 dollari per 1000 metri cubi di gas
siberiano contro i 200-230 sborsati dagli altri clienti europei. Ma vi è di più: nell’aprire una nuova
contrattazione dei futuri prezzi del gas diretto verso Misk, Gazprom mette sul piatto della bilancia
l’acquisto del 50% del gasdotto che attraversa la Bielorussia e giunge in Polonia e da lì nel cuore
del mercato europeo. Questa mossa si inserisce nella strategia del Gazprom di avere il controllo di
quote sempre maggiori dei gasdotti, dei depositi e, in prospettiva anche della distribuzione del
metano in Europa.
Iran. 31 marzo. L’Iran ha effettuato con successo un test con un nuovo missile di produzione
nazionale che sfugge ai radar. Lo ha reso noto la Tv di Stato. Il Fajr-3 è stato sperimentato durante
esercitazioni navali. Oltre a sfuggire ai radar nemici, il missile ha la capacità di colpire
simultaneamente più bersagli.
Venezuela. 31 marzo. L’Europa ha un ruolo molto importante «per evitare che la politica
imperialista degli Stati Uniti produca una tragedia ancora più grande in Iran». Lo ha dichiarato
oggi il presidente venzuelano Hugo Chávez inaugurando una nuova centrale idroelettrica sul rio
Caroni. Chávez ha attaccato il presidente USA George Bush in particolare sulla legge
sull’immigrazione, che «sfiora il fascismo», aggiungendo che è qualcosa di «orribile, bestiale».
Colombia. 31 marzo. Il presidente Uribe vara l’«imposta di guerra». Il presidente della Colombia,
Alvaro Uribe, ha lanciato una nuova contribuzione speciale, battezzata «imposta di guerra», che
sarebbe versata una tantum dai settori con le maggiori entrate del paese. Il fine è finanziare
l’equipaggiamento dell’Esercito nella sua lotta contro la guerriglia contro la quale non riesce a
venire a capo. Negli ultimi decenni sono state diverse le imposte fissate per finanziare la repressione
della resistenza.
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