IL VIALE Anna ritornava in vacanza ad Acerno, un paesino di
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IL VIALE Anna ritornava in vacanza ad Acerno, un paesino di
IL VIALE Anna ritornava in vacanza ad Acerno, un paesino di montagna, gioiello verde disteso in piano e abbracciato dai monti Picentini, dove l’aria sottile le riempiva l’anima. Erano anni che trascorreva l’estate fra i massicci, verdi castagni. Conosceva tutti di nome: Lucia la pasticcera con le sue specialità locali, dal cuore di castagna. Carmelo il salumiere, Giuseppe il parrucchiere, Lucia la moglie del fotografo Cesare, dal quale si era fatta scattare delle fotografie. Sergio, che accoglieva i villeggianti nel suo ristorante con le pietanze ai funghi porcini, al tartufo e la fragolata di fragoline. Il paese era migliorato negli ultimi vent’anni! Avevano costruito una piscina e nei negozi si trovava tutto, si organizzavano spettacoli e attività per i residenti e i villeggianti. Anna andava anche qualche ora nel boschetto del Villaggio San Francesco. In quel luogo le sembrava che aleggiasse Dio avvolto dagli alti castagni secolari e da quel filare in trasversale al boschetto. Quante volte aveva letto, studiato e sognato godendo la fresca brezza del luogo. Andava nella chiesetta a parlare con Dio, le sembrava che lì più che in altri luoghi, Egli fosse presente e la ascoltasse. Il dialogo era fitto e filiale, il suo cuore parlava e raccontava di sé, dei dolori, delle speranze, dei timori e del domani. Quando arrivava, Anna andava giù al viale San Donato e si fermava a guardare una villetta bianca; la vedeva chiusa, abbandonata con le persiane di legno scolorite e malandate. Il giardino era incolto, il fabbricato, stile anni ’50 in un grande stato di degrado. Da anni era innamorata di quella villetta. Eppure quella sera sognava: un giorno suo figlio l’avrebbe comprata. Anna si vedeva nella casetta trascorrere gli anni della vecchiaia, intenta a narrare la storia di una vita ai nipotini. Si avvicinò al cancelletto basso di legno verde come le persiane, e rimase per un attimo a guardarla. Guardò l’ingresso, poi l’ala laterale della casa con le imposte sberciate e chiuse; si accorse di una palla abbandonata di bambina, tra i cespugli. Salutò la casetta e riprese il cammino. Vide arrivare nel viale una grossa moto bianca anni ’60. La inforcava un vecchio centauro dalla barbetta ispida bianchiccia e il capello di quel bianco mesciato capace di attirare attempate punzelle, desiderose di scappatelle amorose. Lo vide entrare nel cancello di una villa e pensò che i proprietari fossero fortunati ad avere tanta pace. Lungo il viale, ecco arrivare Pasquale, insieme con un altro compaesano; scendeva dalla Bardiglia e con i suoi cavalli attraversava il viale, mentre gli zoccoli degli animali scivolavano sull’asfalto lucido. Era una calda mattina di agosto e Anna leggeva “La Coscienza di Zeno”, mentre il suo orecchio percepiva il fruscio del vento lieve tra le foglie, il chiacchiericcio dei ragazzi, il rumorare dei bambini con le loro corse in bicicletta. Il soggiorno continuava e la festa di San Donato riempiva il paese di quanti volevano avere ore gioiose. La processione del Santo, lunga quanto un intero paese, portava il busto argenteo del Patrono alla riaperta Cattedrale nel fondo del viale, calpestando infiorate sacre, fatte dalle donne del paese. Negli anni passati, arrivando alla cattedrale e trovandola chiusa per i danni subiti dal terremoto dell’’80, si era chiesta se sarebbe stata mai aperta, Poi un’estate la ritrovò aperta con tante opere da completare, ma riaperta! La chiesetta che Anna amava di più non era Santa Maria degli Angeli al centro di Acerno, e neppure quella di Santa Maria delle Grazie, cui gli abitanti del luogo erano devoti; ma la chiesetta della Madonna del Suffragio o dei morti. In quella chiesina, la domenica sentiva la Messa con la sua famiglia. Ascoltava le prediche del vecchio sacerdote Don Raffaele, il quale non spiegava solo il Vangelo, ma legava la religione alla 1 vita quotidiana delle persone, nella comunità. Il tempo era trascorso tra una chiacchiera con le amiche e le passeggiate tra gli alberi, dalla ragnatela di rami. Ancora pochi giorni e Anna sarebbe ritornata alla sua casa, ogni volta era un lasciare qualcosa che apparteneva al suo cuore. Significava dire arrivederci a una persona cara, sperando di vederla l’anno dopo. Sì, perché Anna vedeva Acerno solo in estate, quando i castagni erano verdi, il sole era caldo di giorno e la luna fresca di sera. Tante volte si era ripromessa di salire in Autunno o in Primavera, e non le era stato possibile. Una cosa era certa: sarebbe ritornata l’estate prossima, portando per tutto l’inverno l’abbraccio caldo degli alberi dalla verde chioma e la fresca acqua della fontana di Padre Pio. L’autobus di Anna era giunto al capolinea della calda estate. Riprendevano le corse, gli affanni e nel viaggio di ritorno c’era tutta la malinconia del distacco, la tristezza dell’abbandono. Viaggiava verso la sua meta quotidiana e il cuore sarebbe voluto rimanere, fare il gambero, tornare al viaggio di andata con la luce del riposo negli occhi, con la gioia di rivivere luoghi cari. Il suo viaggio a ritroso continuava, ma il tempo non si fermava. Acerno sarebbe divenuta il suo viaggio onirico quando il tempo sarebbe stato freddo freddo e il cuore avrebbe vissuto la solitudine quotidiana della vita. Anna si voltò e sommessamente disse: “Arrivederci, Acerno!” 2